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Politica costituzionale

comparata
Seconda lezione
25 ottobre 2021
Michele Carducci

Michele Carducci Politica costituzionale comparata 2021 1


Accoppiamento strutturale 1
Quindi, la politica condiziona il diritto indicato dalla Costituzione (le Costituzioni,
infatti, nascono da atti di volontà politica di "vocazione" condivisa);
Ma il diritto indicato dalla Costituzione condiziona la politica (le regole giuridiche
della Costituzione, infatti, limitano le successive azioni politiche).
• Questo "doppio condizionamento" è sintetizzato dalla formula che definisce le
Costituzioni un «accoppiamento strutturale» di politica e diritto.
• Si deve quindi partire dalle Costituzioni e dalla loro struttura, per comprendere
come esse condizionano la dinamica tra politica e diritto e, quindi, quale
politica costituzionale abilitano, nella considerazione di verificare come ogni
Costituzione abiliti il rapporto tra potere e libertà, funzione e
autodeterminazione.

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Accoppiamento strutturale 2

Qualsiasi Costituzione emancipata da qualsiasi "missione" o


"escatologia" (come sono le Costituzioni moderne) produce un insieme
di regole (si pensi alle leggi approvate dal parlamento, secondo i modi
appunto previsti da una Costituzione), ma nel contempo abilita
soggetti umani a decidere sull'uso di quelle regole, quindi abilita
attività politiche ossia attività che non sono rivolte a se stessi o ai
propri rapporti privati, bensì alla collettività e in tal senso sono
"politiche".
Ecco perché si parla di "accoppiamento strutturale" di diritto e politica

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Accoppiamento strutturale 3
È la dinamica storica di questo "accoppiamento strutturale" di diritto e politica ad
aver segnato le differenze storiche tra le Costituzioni, anche perché, nella realtà
effettuale, questo "accoppiamento strutturale" è invero circolare, perché il diritto
ha bisogno della politica - nel senso che senza azione politica non si producono
regole giuridiche - come la politica ha bisogno del diritto - nel senso che senza le
previsioni giuridiche su come e con quali contenuti prendere decisioni, nessun
soggetto potrebbe appunto prendere decisioni politiche.
Bisogna allora analizzare questa dinamica storica, per comprendere meglio i
rapporti tra politica e diritto.

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Ma … Politica «insulare» vs. Politica «continentale»
Con la rottura dell’unità cristiana europea, si divaricano due «concezioni» della
politica come «vocazione»: quella «insulare» e quella «continentale»
Per tutte si passa dalla politica come “missione” (realizzare un fine precostituito) e
alla politica come “vocazione” (agire per costruire un fine)
Il problema centrale, però, diventa quello delle «parole» del diritto, non più
referenziate al linguaggio di una Chiesa depositaria del verbo divino.
Di conseguenza, l’uso della parole nelle Costituzioni ha condizionato la «missione»
della politica, registrando (come si vedrò più oltre) due linee storiche europee.
Politikum (realizzare fini) = il fine giustifica i mezzi (dimensione «machiavelliana») (la
politica «continentale»)
Polity (organizzarsi) – Politics (per elaborare fini) – Policy (attraverso azioni) = i mezzi
giustificano i fini (dimensione pragmatica) (la politica «insulare»)
G. Richter, Il volto demoniaco del potere, 1949
Da che cosa è dipesa questa divaricazione dopo la rottura dell’unità cristiana?

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La prima «parola» della Costituzione: il soggetto «attore» o
meno della politica (per l’attuazione, applicazione o
esecuzione della Costituzione)
"Attuare" la Costituzione significa praticarla quotidianamente da parte delle singole
persone in qualsiasi contesto di vita, affinché quanto dalla Costituzione riconosciuto
venga "regolarmente" fatto proprio dai cittadini (in tal senso si parla di "regolarità
costituzionale"). In tale prospettiva, il concetto di "attuazione" della Costituzione è
diverso da quello di "applicazione" (riferito ai giudici che risolvono controversie
applicando appunto il diritto attraverso la sua interpretazione nei casi concreti) o di
"esecuzione" (riferito alle pubbliche amministrazioni che provvedono ad eseguire,
all'interno dei propri procedimenti, quanto previsto da leggi e Costituzione). "Attuare"
significa praticare nella vita quotidiana di tutti e da parte di tutti i contenuti della
Costituzione. In tale prospettiva, ogni persona è un "attore politico" (ovvero un attore
della polis). Più correttamente, ogni attore dovrebbe essere definito "soggetto
costituzionale", ossia colui che, nella propria dimensione soggettiva, attua appunto la
Costituzione. Ma non tutte le Costituzioni abilitano il soggetto come «attore politico».
Tutto dipende dall’uso delle parole nella configurazione in Costituzione del rapporto tra
potere e liberta (funzione e autodeterminazione)
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Prima «legge ferrea» del rapporto tra diritto e
politica nelle Costituzioni: le parole sul soggetto
Identificazione, attraverso le parole in Costituzione, del soggetto costituzionale come
«attore politico» per rispondere alle domande: chi attua, chi applica e chi esegue la
Costituzione?
Es: «tutti» vs. «i cittadini»; «uomo» vs. «persona» ecc…

Conseguente qualificazione del «grado di condivisione» delle «vocazioni politiche»


(es. suffragio ristretto, esclusione delle donne dal voto, esclusione dei minorenni o
degli stranieri ecc…).

Le parole in Costituzione servono a identificare i «soggetti-attori» della politica e


quindi della Costituzione, incidendo nella configurazione del rapporto potere e libertà,
funzione e autodeterminazione (se io attribuisco al soggetto-potere il compito di
applicare la Costituzione; restringo il compito del soggetto-libertà nell’attuare la
Costituzione)
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Si può allora procedere, focalizzando l'attenzione su tre
elementi di analisi di parole su potere e libertà:
1 - gli elementi strutturali della Costituzione che producono il diritto che
condiziona la politica;

2 - gli elementi strutturali della Costituzione che legittimano la politica nel


produrre diritto;

3 - le diverse configurazioni costituzionali della politica e del diritto, derivanti dal


combinarsi dei precedenti due profili.

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Gli elementi strutturali della Costituzione che producono
il diritto che condiziona la politica
Per comprendere questi elementi, bisogna ricordare nuovamente che il diritto è un
fenomeno sociale a riproduzione intellettuale. Esso, in altri termini, nasce dalle
relazioni sociali, ma si sviluppa attraverso discorsi, ossia parole che producono regole
(si pensi alle parole "vietato", "permesso", "consentito", "giusto" ecc).
In tal senso, si deve ribadire che il diritto risponde sempre a due domande:
• come (prima ancora che «che cosa») far cose con regole?
• come (prima ancora che «che cosa») far cose con parole?
Riflettere su queste due domande è imprescindibile per comprendere la dinamica
concreta del rapporto tra diritto e politica. In altri termini, regole e parole sono
elementi strutturali imprescindibili per costruire il diritto e fare politica.
Da questa riflessione è possibile dedurre alcuni criteri costanti di analisi del rapporto
tra politica e diritto (quindi procedere alla comparazione della politica costituzionale).

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Parole espressive di «vocazioni condivise»
produttive di «missione»
Storicamente regole e parole sono state condizionate dalle riproduzioni intellettuali dei
discorsi di una comunità (si pensi alle idee di Nazione, popolo, identità, razza ecc).
Sono infatti esistite esperienze giuridiche con regole costruite su parole identitarie (es.
"i tedeschi" (invece dei «cittadini») nella Costituzione di Weimar, la "nazione" (invece
che il «popolo») nell’ esperienza francese) o su concetti indeterminati (es. "bene
comune", "ordine pubblico", "sicurezza" ecc ...) o uso di verbi o avverbi modali ("può",
"possibilmente", "eventualmente" ecc...)
Se le parole identitarie escludono (dire "i tedeschi" significa escludere evidentemente
chi non è tedesco), quelle indeterminate e con verbi o avverbi modali confondono (che
cosa significa "bene comune"? "sicurezza"? "possibilmente"? ecc ... Come faccio a dire
se una regola è "sbagliata" rispetto alla idea di "bene comune" o di "possibilità"?).
Storicamente, l'una e l'altra conformazione delle parole usate nelle regole hanno
favorito la politica rispetto al diritto e si sono sviluppate soprattutto nei contesti che
hanno concepito la politica come Politikum o come "indirizzo politico« (di cui si parletà
in altra lezione):
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L'uso “condiviso” di parole identitarie e concetti indeterminati
nel diritto abilita spazi ampi di discrezionalità della politica.
La prima costante del rapporto tra politica e diritto è allora la seguente:
• parole identitarie utilizzate nel diritto producono azioni politiche escludenti;
• parole indeterminate nel diritto abilitano ampia libertà di azione politica, non facilmente
controllabile e quindi con margini di discrezionalità estremamente ampi (secondo una
formula che si attribuisce a Napoleone: "più la Costituzione è oscura nella comprensione,
maggior potere posso avere");
Entrambe favoriscono una concezione della politica come "volontà" (libera nei limiti e nei
fini).
La politica come «vocazione» finisce per assumere la «missione» di dare concretezza a
parole identitarie o indeterminate. È questa la «deriva continentale» europea della politica
Gli esempi storici di "abuso" del potere politico, abilitato da regole con parole identitarie o
indeterminate sono stati numerosi nel corso del Novecento: Weimar (i tedeschi = identitario),
la Turchia di Atatürk (i turchi = identitario, con "sentimento turco" = indeterminato), l'URSS (la
"liberazione dal bisogno", la "estinzione dello Stato" = concetti indeterminati) ecc...

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Seconda «legge ferrea» del rapporto tra politica e diritto
nelle Costituzioni: il contenuto delle parole
Parole indeterminate o identitarie nel (linguaggio del) diritto
= maggiore autonomia e arbitrio della politica
Se le Costituzioni contengono parole indeterminate o identitarie, l’
«accoppiamento strutturale» di politica e diritto gioca a favore dell’autonomia
della politica rispetto al diritto

L’esempio nefasto di questa «legge ferrea» è stato l’art. 48 della Costituzione di


Weimar, noto come «clausola del suicidio».

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