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Ci sono servizi che debbono essere governativi (esercito, finanza, giustizia, sicurezza pubblica, istruzione
superiore, grandi mezzi di comunicazione, circolazione monetaria e fiduciaria). Sono locali, invece, i servizi quali i
registri della popolazione, le istituzioni di beneficienza pubblica, i provvedimenti di igiene pubblica e
provvedimenti economici relativi alle istituzioni locali, al commercio locale, alle istituzioni operaie, le istituzioni
di cultura intellettuale, i provvedimenti per il culto religioso. Anche per questi servizi, è necessario il controllo
dello Stato. L’autarchia (cioè il beninteso decentramento) deve essere guidata dai più ricchi e dai più colti.
Ferraris spinge ai suoi limiti estremi la teorica dello stato liberale, senza uscirne. Soltanto nel 1899-1900 la
teorizzazione dello stato riformatore assume un aspetto più sistematico, in parte in polemica con il socialismo
scientifico, in parte indipendentemente da esso. Il socialismo sottovaluta sistematicamente la figura
dell’imprenditore.
Lo Stato moderno è divenuto l’organo prominente che deve provvedere al raggiungimento dello scopo della
riforma sociale con l’aiuto di tutte le classi. Collaborazione di classe, dunque, ondata sulla comune radice di tutti
gli italiani nel diritto. Non «meno Stato», come sostengono i liberisti, ma «meglio Stato», uno Stato che attui la
giustizia sociale, non che se la faccia strappare con la forza. Attraverso l’arbitrato sociale (cioè la risoluzione e
l’analisi delle problematiche attuata direttamente dal corpo sociale), il conflitto sociale è indirizzabile in una
direzione non distruttiva del bene collettivo.
Nel 1899 Ordinamenti politici ed educazione politica: evidenzia la fragilità della costruzione statale italiana e il
rischio a cui la sottopone lo sviluppo del socialismo. Occorre non cambiare le istituzioni italiane, ma farle
funzionare meglio, utilizzando le «scienze politiche» (scienza dell’amministrazione, statistica sociale, economia
politica, sociologia, Diritto amministrativo). I mali della società derivano non dalle istituzioni, ma dallo svolgersi
conflittuale delle attività di singoli e di gruppi. Lo Stato si è mantenuto troppo a lungo inattivo.
Lo Stato è il «terzo necessario» nel conflitto di classe, proprio perché la visuale del pubblico potere è rivolta agli
interessi collettivi, non agli interessi di una classe. Il Parlamento stesso ha finito per dimostrare carenza di spirito
pubblico.
I capisaldi dello stato riformatore sono:
1) la Corona: la Corona non deve essere sempre e comunque ossequiente alla «volontà popolare» che si
presenta attraverso le maggioranze parlamentari. Essa deve indirizzare la collettività e il governo.
2) la gerarchia civile: («burocrazia») proprio perché non è elettiva, mantiene l’impero della legge.
3) il Senato: proprio perché non è elettivo, costituisce un «filtro razionale» alle proposte che vengono dalla
camera elettiva, un filtro costituito dalla competenza. La «terzietà» deriva dalla non-elettività.
Le scienze sociali sono gli strumenti di cui debbono giovarsi i poteri dello stato per attuare quelle che riforme che
i moti sociali stessi denunciano come indispensabili e urgenti.
Di fronte ai cambiamenti innescati dalla Prima Guerra mondiale e, poi, dalla «marcia su Roma», il modello di
Ferraris si rivela utopistico (fino alla illusione che il fascismo fosse un momento temporalmente limitato dello
Stato liberale, una crisi passeggera): lo Stato non poteva essere arbitro del conflitto sociale, essendone parte in
causa; perché lo Stato è un’astrazione interpretata dal governo. E il governo tende a rappresentare una parte,
anche in un sistema «pluriclasse». Lo si è visto nei nostri rapidi cenni sullo sviluppo del fascismo.