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LO STATO RIFORMATORE (FERRARIS)

LO STATO RIFORMATORE Ferraris


Il libro Lo Stato riformatore di Carlo Francesco Ferraris è il tentativo di tracciare un percorso di connessione fra
scienza della politica e azione politico-amministrativa. È dunque fondamentale per lui che ci sia una matrice
scientifica alla base dalle azioni compiute da uno stato che lavora nell’interesse della società, in modo che le
decisioni non siano arbitrarie ma accuratamente esaminate attraverso molteplici (e tutti scientifici) fattori.
Durante l’esposizione della sua tesi di laurea nel 1870 emerge il tema della rappresentanza delle minoranze in
un sistema rappresentativo: Cuore del problema è il possibile dispotismo della maggioranza (già segnalato da
Tocqueville e da John Stuart Mill) all’interno degli ordinamenti liberali.
«La franchigia elettorale senza la rappresentativa è una guarentigia inutile» vale a dire che, pur avendo un corpo
politico eletto dalla maggioranza, senza il criterio della rappresentatività che tuteli anche le minoranze potrebbe
aprirsi la strada al «dispotismo della maggioranza» (Franchigia elettorale= il risultato espresso dal corpo elettivo,
il “permesso” del popolo concesso agli eletti; guarentigia= garanzia, sicurezza). Perché? Esperienze come la
Francia del 1792; l’insegnamento di Tocqueville e di John Stuart Mill.
Problema: come rappresentare i singoli interessi. Rischio, se non li si rappresenta: scissione fra paese reale e
paese legale, vale a dire tra le esigenze concrete del paese e i fatti compiuti da chi esercita il potere decisionale
inquanto legalmente istituito.
Soluzione: modello ideato da Thomas Hare, in Inghilterra, per rappresentare convenientemente le minoranze.
Dividere il numero dei votanti per il numero dei membri della rappresentanza da eleggere. Esempio: un milione
di elettori e 500 deputati da eleggere, il minimo dei voti sarà 1000000 /500= 200.
La rappresentanza che governerà dovrà essere costituita dai migliori rappresentanti. Gli interessi delle parti, in
presenza dei migliori rappresentanti a gestire i dibattiti e attraverso il sistema di Thomas Hare, saranno affrontati
nella maniera più corretta e lineare, rendendo inutile la corruzione, proprio perché attraverso il dialogo tra le
parti sarà possibile individuare e realizzare gli interessi della collettività e non del singolo.
NB: Occorre distinguere il momento della rappresentanza (nel quale tutti gli interessi devono essere
rappresentati) dal momento della decisione (il governo) che deve esprimere la maggioranza.
Il problema del liberalismo, non soltanto di quello italiano (liberalismo= il potere dello Stato deve essere limitato
per favorire la libertà d'azione del singolo individuo), è la selezione dei migliori attraverso la rappresentanza in
un ragionevole equilibrio nella rappresentanza degli interessi, vale a dire l’incapacità di individuare un giusto
compromesso tra gli interessi dei migliori che ci rappresentano ed i reali interessi che il popolo vorrebbe che
fossero rappresentati. La soluzione sarebbe, evidentemente, la legge elettorale, che però non subirà modifiche
nel senso auspicato da Ferraris. Sembra esserci uno iato fra «governo dei migliori» e «governo uscito dal
verdetto delle urne».
(Ricordare: tra 1861 e il 1880, in sette tornate elettorali, gli elettori passano da 418.696 a 621.896. Nessun
aumento dei rappresentanti, in proporzione, rispetto ai rappresentati).
Il 24 ottobre 1874 Ferraris è chiamato a Roma come «ufficiale di Statistica». Propone di unire il Ministero del
Tesoro con la Presidenza del Consiglio dei ministri e propone il ripristino del Ministero dell’Agricoltura
(soppresso nel 1877). Propone di aumentare la componente burocratica dell’Ufficio di Statistica per farne uno
strumento tecnico utile all’esecutivo. L’esecutivo deve utilizzare la statistica come strumento conoscitivo per
attuare interventi riformatori.
Lungo lo sviluppo dello Stato moderno si nota un crescente interesse dei pubblici poteri per la statistica. Con il R.
D. 10/02/1878 n. 4288 il servizio di statistica è elevato a Direzione Generale. Sono pubblicati gli «Annali di
Statistica» e l’«Annuario»: carattere pubblico dell’informazione statistica. Che cosa studia la statistica? Il
movimento migratorio, il movimento naturale della popolazione, i bilanci comunali e provinciali, la statistica
della navigazione, delle Casse di Risparmio, degli Istituti di Credito, dei prezzi, dei salari, della statistica elettorale
(si legge nel Decreto Ministeriale 14701 / 1877).
Dall’aprile 1878 al giugno 1883 Ferraris è docente presso la Facoltà di Giurisprudenza come professore incaricato
di Diritto Amministrativo, ma si occupa anche di Scienza dell’Amministrazione. Per Ferraris la Scienza
dell’Amministrazione è la descrizione delle linee ottimali di connessione fra Stato e società, una scienza idonea a
formare i pubblici amministratori. La Scienza dell’Amministrazione «alla francese» non può rendere ragione di
tutte le materie della pubblica amministrazione, perché manca un sistema organico di saperi
dell’amministrazione pubblica. Occorre una sinergia fra organismo economico (lavoro materiale), organismo
fisico (demografia) e organismo intellettuale (il lavoro culturale). La sinergia, per essere debitamente governata,
esige la statistica del lavoro materiale, della demografia, del lavoro culturale. A differenza del Diritto
Amministrativo, la Scienza dell’Amministrazione studia la reale compatibilità delle istituzioni con le regolarità
della vita sociale rilevate dalle scienze sociali. Il pubblico amministratore deve essere esperto nel Diritto
(amministrativo e costituzionale), nelle scienze sociali e nella statistica. La statistica sociale permette al pubblico
potere di conoscere quale sia lo stadio di sviluppo cui la società è pervenuta. Le scienze sociali (e politiche) sono
il fondamento dell’azione del pubblico potere. Un pubblico potere fondato sulla scienza (Saint-Simon, Comte). Lo
Stato moderno si intromette nella dinamica sociale degli interessi individuali quando (e solo quando) ravvisa
disfunzioni che possono essere nocive alla pacifica convivenza di individui e di gruppi. Questa «intromissione»
ha, come strumento, le inchieste pubbliche promosse dal potere legislativo. Elemento centrale, basilare, dei
rapporti sociali è l’economia politica. Il Regno d’Italia, nel 1866, è andato incontro a una crisi finanziaria cui si
reagì introducendo il corso forzoso (detto anche sistema a carta moneta inconvertibile, si intende un sistema
monetario in cui vige la non convertibilità tra la moneta e l'equivalente in metallo prezioso). Il corso forzoso sarà
abolito con il R.D. 7 aprile 1881 (decorrenza 12 aprile 1883). Il corso forzoso creò una situazione di monopolio
(impone una certa moneta come unico mezzo legale di tutti i pagamenti, transazioni commerciali e finanziarie
nell'ambito del territorio nazionale. Inoltre, comporta l'illegalità di clausole che obblighino al baratto e dei
pagamenti effettuati in valute straniere) a favore della Banca Nazionale (non esiste ancora la Banca d’Italia). Nel
1879 Ferraris pubblica Moneta e corso forzoso nel quale Ferraris afferma che il Regno d’Italia deve adottare l’oro
come punto di riferimento della moneta italiana (adozione del sistema aureo) e questa è l’azione che lo Stato
deve compiere nell’imminenza dalla pur necessaria disciplina del corso forzoso. Nel 1883 (giugno) Ferraris è
chiamato dal Ministro Berti a capo della Divisione Istituti di Credito e di Previdenza presso il Ministero
dell’Agricoltura, Industria e Commercio, a Roma. Ferraris elabora le linee per la configurazione della personalità
giuridica delle società di mutuo soccorso che verrebbero, così, incluse nello Stato. Tali linee di configurazione
divengono legge il 15 aprile 1886 con lo scopo di legalizzare, sull’esempio inglese e tedesco, le organizzazioni
operaie e disinnescarne, così la carica «anti-sistema». Da quanto detto fin qui, deriva non soltanto un’indagine
sulle basi del credito (Principi di scienza bancaria, Milano, 1892), ma soprattutto la critica del socialismo
scientifico (Il materialismo storico, 1897).
Per Ferraris la scienza politica e sociale è guida nella gestione concreta del pubblico potere e della pubblica
amministrazione. Non è infatti strano trovare nei “Principi di scienza bancaria” la frase «per me la scienza
bancaria non è che un capitolo della scienza economica.» La scienza economica è un aspetto delle scienze
politiche e sociali che, a loro volta, sono aspetti della scienza dell’amministrazione, aspetti dello strumento
fondamentale dello Stato riformatore. Anche la scienza bancaria è considerata un ramo della scienza sociale, si
occupa del settore strategico del credito che anche Marx riconosce come essenziale in questo preciso momento
storico (1864) in cui sono le merci che muovono il denaro e non viceversa (dunque il credito si può considerare
fattore determinante della vita sociale, ecco perché è necessario riservargli una certa importanza). Il credito è
quell’insieme di operazioni di scambio «in cui si effettua la cessione di un bene economico consumabile e
fungibile contro la promessa di prestazione futura».
I titoli di credito sono adatti a servire quali strumenti per la circolazione del denaro.
Le operazioni in moneta sono operazioni di credito (la cambiale, l’ordine di pagamento, la tratta) contratti di
cambio, titoli derivanti dal contratto di deposito (a es. l’assegno bancario), e titoli derivanti dal contratto di
deposito e dal contratto di cambio (a es. il vaglia cambiario, la cambiale propria emessa da un istituto di credito a
favore e a nome del depositante per l’importo della somma girata e pagabile a ogni ufficio dell’istituto
emittente, oppure il biglietto di banca o il bancoposta». Le operazioni del credito sono molto differenziate,
esistono cioè diverse fenomenologie del credito (cioè appare socialmente in diverse forme, per Ferraris i
rapporti di credito, qualsiasi essi siano, sono rapporti sociali). Oppure: titoli derivanti dal contratto di mutuo (a
es. l’obbligazione emessa in serie uniforme per un certo valore nominale, contenente l’obbligo del rimborso, a
scadenza determinata o indeterminata, e di un interesse, come le obbligazioni emesse da società per azioni, i
titoli di debito pubblico, le cartelle di credito fondiario o agrario).
Da questa complessa fenomenologia sorge l’economia del credito (già sviluppata in Inghilterra e in Francia da
almeno mezzo secolo) nel corso degli anni ’80 dell’‘800 e nascono conseguentemente delle nuove strutture
idonee a sostenere questa nuova realtà, cioè le grandi banche di emissione.
Il credito crea capitali, con effetti vantaggiosi sul piano economico: se prima si sosteneva che fosse il lavoro a
cerare ricchezza, ora si ritiene che ci sia una circolarità in questo rapporto e che l’uno crei l’altro e viceversa. Non
ci si può dunque aspettare che questo meccanismo così complesso produca ordine e rigore in autonomia, è
necessario un intervento del pubblico potere che garantisca l’ordine. L’esigenza di sostenere che fosse
necessario un istituto governatore in materia deriva dal fatto che di fronte alla crisi economica si possono
percorrere due strade: 1) la teoria della crisi economica intesa come processo integrante del ciclo economico,
con la quale si aspetta sostanzialmente che la fase di recessione in cui l’offerta supera la domanda arrivi a
regolarsi nuovamente in autonomia; 2) la teoria della possibilità dell’intervento dello Stato. Questa seconda
teoria è quella sostenuta da Ferraris, il quale ritiene che il flusso economico debba necessariamente essere
gestito.
Tuttavia, i servizi di pubblica utilità non sono riducibili a operazioni di credito, perché non sono riducibili a
operazioni che generano surplus economico. Gli stessi servizi di sanità pubblica non possono essere erogati a
seconda del reddito per Ferraris, ma devono essere erogati a priori pur non producendo surplus. Va considerato
che per Ferraris la moneta ha un senso soltanto se essa esprime il valore di beni concreti, di beni d’uso, di servizi;
essa è una funzione sociale, pubblica. Citando Marx, Ferraris evidenzia la tendenza dell’economia del credito
(intesa come una sorta di economia “fittizia” poiché la prestazione sarà erogata in futuro) a sostituirsi
all’economia reale (quella parte dell’economia collegata alla produzione e alla distribuzione di beni e servizi), con
l’ulteriore aggiunta della nuova dinamica del denaro che genera denaro, vale a dire dei tassi di interesse che
generano surplus partendo dal denaro stesso.
Lo Stato non può essere il muto testimone della dinamica finanziaria. Il credito deve essere soggetto al bene
pubblico e, quindi, al controllo del pubblico potere.
Nel frattempo, viene fondato a Genova il Partito Socialista nel 1892. È significativo che Ferraris appena cinque
anni dopo definisca «scientificamente difettosa, socialmente pericolosa, moralmente dannosa» la concezione
materialista della storia di Marx ed Engels (concezione secondo cui la storia è fondata non su qualche elemento
spirituale ma sulle strutture economico-sociali della società). L’allarme viene lanciato da Ferraris perché la
concezione materialistica della storia svaluta lo Stato riducendolo a epifenomeno (cioè un elemento relativo,
non influente) della dinamica economica e a dittatura della classe borghese intesa come classe sociale che
attraverso il potere economico tutto muove e decide. Ferraris al contrario sostiene che lo stato sia stato in grado
di creare il diritto amministrativo e tutto il complesso istituzionale, dunque per importante che sia la dinamica
economica è sbagliato sostenere che la dinamica sociale si riduca meramente ad essa perché se così fosse lo
stato sarebbe stato esclusivamente un “burattino” al servizio del sistema economico.
Invece, colui che riduce la dinamica sociale al prodotto della realtà economica è l’economista socialista Achille
Loria (1857-1943) che esclude qualsiasi ruolo progressivo del pubblico potere (lo Stato). Loria fu sostanzialmente
vittima di una mal interpretazione delle tesi di Marx, l’errore sta nel pensare che l’intera interpretazione
economica di Marx derivi da un’interpretazione dell’essere umano meramente come Homo economicus che
pensa solo al rapporto di dare-avere e vantaggio-svantaggio (questo era invece il pensiero di Jeremy Bentham,
inventore dell’utilitarismo e spesso aspramente criticato da Marx, ecco perché è lampante che Loria si sia
sbagliato). Da questa interpretazione può derivare soltanto una violenta contrapposizione sociale che potrebbe
distruggere la compagine statale italiana, ancora giovane, poiché questa visione utilitarista sviluppata da Loria
tende a vanificare completamente l’operato della borghesia, che in Marx è visto come essenza del progresso,
mentre in Loria l’operato borghese ed il progresso che ne deriva è semplicemente inutile ai fini utilitaristici. La
versione di Loria è molto influente nel socialismo italiano: questa versione non è in grado di spiegare
l’andamento della natalità, della mortalità, lo sviluppo della cultura intellettuale, lo sviluppo della religione. La
vita sociale è ridotta a calcolo utilitaristico (diversamente da quanto fa Marx, ricordiamo sempre che questa è
l’interpretazione errata di Loria e non il pensiero puro di Marx). L’economia non spiega la vita sociale nella sua
complessità e non spiega le forme e le forze dello Stato: la finanza, l’esercito e la gerarchia civile: la spesa dello
Stato è orientata alla realizzazione della libertà e dell’uguaglianza, l’esercito è, ormai esercito di popolo,
espressione della società civile, la gerarchia sociale è strutturata in base a esigenze tecniche e di esecuzione delle
leggi. Vuole arrivare sostanzialmente a sostenere che lo stato può e deve elevarsi rispetto alle classi sociali: le
classi economiche dominanti nel caso della storia italiana, seppur breve, si sono sempre dovute piegare davanti
al pubblico potere. Lo deve fare assumendo funzioni sociali e operando le riforme necessarie a garantire la
dignità di tutti i cittadini, inoltre lo stato deve essere il garante attivo delle uguali opportunità per tutti e della
libertà per tutti nel quadro delle leggi.
Esiste una convergenza del «liberalismo sociale» (vale a dire il pensiero tipico dei partiti di centro-sinistra e delle
fazioni progressiste del liberalismo classico che ingloba nel tardo Ottocento influssi del pensiero keynesiano e
che dunque promuove un’economia regolamentata e interventi statali mirati al welfare, vale a dire un sistema
diverso dal liberismo puro) di Ferraris e dell’ala riformista del Partito socialista Italiano: uno Stato interventista
nel sociale. La municipalizzazione dei servizi messi a disposizione delle classi più deboli è una delle azioni dello
Stato riformatore. Linea, questa, enunciata anche da «La Riforma Sociale». Socialismo «dall’alto»? (intesa come
il raggiungimento di una condizione di uguaglianza sociale su diversi livelli, esattamente come previsto dal
socialismo classico, che però sarebbe possibile attuare grazie ad una serie di interventi “dall’alto”, vale a dire
strumenti concessi dallo stato)? Attuazione della «politica positiva» teorizzata da Auguste Comte? (meccanismo
attraverso cui ci si avvale dello studio di alcuni aspetti della società come religione, proprietà, famiglia e potere
spirituale per spiegare la struttura della società).
Esiste un versante amministrativo dello stato riformatore, naturalmente. In seguito alla concezione di Francesco
Crispi dello Stato «educatore» della società, viene dato ampio spazio alle inchieste e alle ispezioni per gestire
correttamente la cosa pubblica, proprio perché si riteneva necessario che i cittadini fossero “educati” ad un certo
tipo di vita sociale e lo stato si investiva di questa funzione educatrice indagando su illeciti e comportamenti
scorretti. Si afferma, quindi, un «nuovo centralismo», ma si afferma anche parallelamente un aumento delle
autonomie locali che si estende dal 1881 al 1911, prima dunque delle presidenze del Consiglio di Crispi e dopo di
esse (che fu presidente del consiglio 4 volte tra il 1887 e il 1896).
Si coglie la domanda di servizi proveniente dai nuovi ceti sociali cresciuti con l’industrializzazione. Cresce la
domanda di rappresentanza (allargamenti del suffragio nel 1882 e nel 1912). Nel 1898 Ferraris pubblica la Teoria
del decentramento amministrativo. Se l’anarchismo vuole abolire lo Stato (ma poi vi dovrebbe comunque
ricorrere, creando una struttura amministrativa), il socialismo vorrebbe creare una struttura amministrativa
fortemente centralistica (la dittatura del proletariato). I moti sociali dei primi anni Novanta, culminati nel 1898
mostrano la fragilità delle basi sociali dello stato italiano.
Il ruolo decisionale dello Stato va ampliato, vanno ampliati e raffinati gli strumenti istituzionali che permettano ai
socialisti riformisti (il movimento operaio legalitario) di guadagnare spazi di dialogo con le istituzioni. Come? Con
una idonea pratica di «decentramento». Esistono due tipologie di «decentramento»: il decentramento
burocratico ed il decentramento territoriale.
-Decentramento burocratico: può affidarsi sia all’amministrazione governativa centrale, sia all’amministrazione
governativa locale;
Vantaggi di questa forma: deflusso di molti affari dall’amministrazione centrale e loro disbrigo più celere;
Inconvenienti: si può sviluppare una poco efficiente burocrazia locale, più invadente della burocrazia centrale;
possono svilupparsi forme di governo locale poco unitarie su scala nazionale.
Lo Stato può porre rimedio attraverso idonee misure di controllo.

Ci sono servizi che debbono essere governativi (esercito, finanza, giustizia, sicurezza pubblica, istruzione
superiore, grandi mezzi di comunicazione, circolazione monetaria e fiduciaria). Sono locali, invece, i servizi quali i
registri della popolazione, le istituzioni di beneficienza pubblica, i provvedimenti di igiene pubblica e
provvedimenti economici relativi alle istituzioni locali, al commercio locale, alle istituzioni operaie, le istituzioni
di cultura intellettuale, i provvedimenti per il culto religioso. Anche per questi servizi, è necessario il controllo
dello Stato. L’autarchia (cioè il beninteso decentramento) deve essere guidata dai più ricchi e dai più colti.
Ferraris spinge ai suoi limiti estremi la teorica dello stato liberale, senza uscirne. Soltanto nel 1899-1900 la
teorizzazione dello stato riformatore assume un aspetto più sistematico, in parte in polemica con il socialismo
scientifico, in parte indipendentemente da esso. Il socialismo sottovaluta sistematicamente la figura
dell’imprenditore.
Lo Stato moderno è divenuto l’organo prominente che deve provvedere al raggiungimento dello scopo della
riforma sociale con l’aiuto di tutte le classi. Collaborazione di classe, dunque, ondata sulla comune radice di tutti
gli italiani nel diritto. Non «meno Stato», come sostengono i liberisti, ma «meglio Stato», uno Stato che attui la
giustizia sociale, non che se la faccia strappare con la forza. Attraverso l’arbitrato sociale (cioè la risoluzione e
l’analisi delle problematiche attuata direttamente dal corpo sociale), il conflitto sociale è indirizzabile in una
direzione non distruttiva del bene collettivo.
Nel 1899 Ordinamenti politici ed educazione politica: evidenzia la fragilità della costruzione statale italiana e il
rischio a cui la sottopone lo sviluppo del socialismo. Occorre non cambiare le istituzioni italiane, ma farle
funzionare meglio, utilizzando le «scienze politiche» (scienza dell’amministrazione, statistica sociale, economia
politica, sociologia, Diritto amministrativo). I mali della società derivano non dalle istituzioni, ma dallo svolgersi
conflittuale delle attività di singoli e di gruppi. Lo Stato si è mantenuto troppo a lungo inattivo.
Lo Stato è il «terzo necessario» nel conflitto di classe, proprio perché la visuale del pubblico potere è rivolta agli
interessi collettivi, non agli interessi di una classe. Il Parlamento stesso ha finito per dimostrare carenza di spirito
pubblico.
I capisaldi dello stato riformatore sono:
1) la Corona: la Corona non deve essere sempre e comunque ossequiente alla «volontà popolare» che si
presenta attraverso le maggioranze parlamentari. Essa deve indirizzare la collettività e il governo.
2) la gerarchia civile: («burocrazia») proprio perché non è elettiva, mantiene l’impero della legge.
3) il Senato: proprio perché non è elettivo, costituisce un «filtro razionale» alle proposte che vengono dalla
camera elettiva, un filtro costituito dalla competenza. La «terzietà» deriva dalla non-elettività.
Le scienze sociali sono gli strumenti di cui debbono giovarsi i poteri dello stato per attuare quelle che riforme che
i moti sociali stessi denunciano come indispensabili e urgenti.
Di fronte ai cambiamenti innescati dalla Prima Guerra mondiale e, poi, dalla «marcia su Roma», il modello di
Ferraris si rivela utopistico (fino alla illusione che il fascismo fosse un momento temporalmente limitato dello
Stato liberale, una crisi passeggera): lo Stato non poteva essere arbitro del conflitto sociale, essendone parte in
causa; perché lo Stato è un’astrazione interpretata dal governo. E il governo tende a rappresentare una parte,
anche in un sistema «pluriclasse». Lo si è visto nei nostri rapidi cenni sullo sviluppo del fascismo.

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