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LO STATO E I SUOI ELEMENTI

Lo Stato è “l’organizzazione politica che esercita il potere sovrano su un popolo stanziato su un territorio”. Dunque i suoi
elementi costitutivi sono territorio, popolo e sovranità / autorità. In base ai rapporti intercorrenti fra questi elementi, e in
particolare tra autorità e popolo / territorio, cambia la “forma di stato”. In base poi al diverso numero e poteri degli organi
sovrani, cambia la “forma di governo”. La parola Stato può avere diversi significati: «Stato “comunità”: indica il popolo
localizzato in un territorio e organizzato politicamente; Stato “apparato”: indica l’insieme delle strutture politiche che esercitano
i poteri sovrani; Stato “ordinamento”: indica l’insieme delle organizzazioni pubbliche sia centrali che decentrate; Stato “ente”:
indica l’organizzazione pubblica centrale» (G. Zagrebelsky). Caratteristiche dello stato moderno sono la soggettività /
personalità ( esso è soggetto del diritto, ha capacità giuridica e capacità di agire; è un ente, cioè una persona giuridica, anzi la
prima e la principale perché è esso che, attraverso le sue norme, fa nascere le altre persone giuridiche); la giuridicità (è regolato
dal diritto e produce il diritto, è organizzato in base alla legge); l’impersonalità (lo stato ente è distinto dalle persone fisiche che
compongono i suoi organi e quindi ne esprimono la volontà). Lo stato agisce attraverso gli “ organi” (stabiliti
dalla Costituzione) che sono persone fisiche (singole o riunite in un collegio) che esprimono la volontà dell’ente, al quale solo
spetta la personalità giuridica. Sono organi: il capo dello stato (re o presidente), il parlamento, il governo, la magistratura
(rectius i giudici), etc. Lo stato si distingue dalla “società” che è l’insieme complesso delle relazioni personali, familiari,
economiche, culturali, etc., che le persone stabiliscono liberamente tra loro in base a loro interessi, bisogni, convinzioni, etc. Lo
stato si distingue dalla “nazione” che è l’insieme delle persone legate tra loro da stesse radici storiche e culturali, dalla stessa
etnia, lingua, religione, tradizioni (per dirla con Manzoni: ”Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor”). E
allora si possono avere “nazioni” o “nazionalità” divise in più stati o, all’opposto, stati plurinazionali”
FORMA DI GOVERNO
La "forma di governo" è "il modo in cui le varie funzioni dello stato sono distribuite fra i diversi organi" (Costantino
Mortati). E' "il tipo di organizzazione attraverso cui lo stato esercita la sua potestà d'imperio" (Paolo Barile). E' il tipo di
organizzazione del potere, a quanti e quali organi, cioè, appartengono quali e quanti poteri. Chi è il "capo dello stato"? Chi
nomina o elegge il "capo del governo"? E quali funzioni hanno l'uno e l'altro? etc. Sostanzialmente le forme di governo oggi
sono due: monarchia e repubblica, ma con tutta una serie di sub-forme (almeno due per ciascuna), a volte difficilmente
raggruppabili tra loro. La distinzione sopra detta ha lontani precedenti filosofico-politici illustri. Aristotele prevedeva una
tripartizione delle forme di governo, a loro volta distinte in "buone" e "cattive", o meglio, accettabili se "esercitano il potere in
vista dell'interesse comune", "deviate" e quindi condannabili se "esercitano il potere nel loro privato interesse". Secondo il
filosofo greco del IV sec. a.C. abbiamo tre possibili forme di governo a seconda che "il potere sovrano sia esercitato da uno
solo, da pochi, o dai più". Se è uno solo a governare abbiamo la monarchia che se degenera diviene tirannide; se sono pochi a
governare e sono i migliori abbiamo l'aristocrazia che se degenera diviene oligarchia; se è la maggioranza del popolo ad avere il
potere abbiamo la politeia (oggi forse traducibile con "democrazia") che se degenera diventa "democrazia" (oggi forse
traducibile con "demagogia/anarchia") (cfr. Aristotele: "La politica" - III, 3). Occorre avvertire che "politeia" vorrebbe dire
"cittadinanza" (status activae civitatis) e indica la conduzione del potere da parte del "demos" che può stare in assemblea (i
maschi adulti proprietari di immobili). L'accezione poi "democrazia" è per Aristotele fortemente negativa perché si riferisce al
"popolino". Poco meno di duemila anni dopo, nel 1642, il filosofo inglese Thomas Hobbes riprendeva la tripartizione
aristotelica fra monarchia, aristocrazia, democrazia. Ma con questa differenza: egli dice che le tre forme degenerate non
esistono; tirannide, oligarchia e demagogia sono solo i nomi che danno alle rispettive forme di governo coloro cui le stesse non
piacciono, coloro che non sono d'accordo con questa o con quella (cfr. T. Hobbes: "De cive", VII). Ma poco più di cento anni
prima il "politologo" italiano Niccolò Machiavelli aveva introdotto la distinzione in due sole forme di governo, che ancora oggi
appare quella fondamentale e discriminante, fra monarchia e repubblica. Si ricordi di Machiavelli il famoso incipit di "Il
principe" (1513): "Tutti gli stati, tutti e' dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o
republiche o principati". Aggiungiamo che è forse la prima volta che appare in un testo italiano il termine "stato" nella accezione
che noi diamo tuttora a questa parola Bisogna avvertire che le forme di governo previste dagli antichi non sono del tutto
sovrapponibili a quelle moderne, non fosse altro che per il fatto che lo stato moderno comincia a formarsi solo verso la metà del
'500. Oggi le forme base sono solo monarchie parlamentari, repubbliche parlamentari o repubbliche presidenziali o
semipresidenziali.
FORMA DI STATO
La "forma di stato" è «il modo in cui lo stato risulta strutturato nella sua totalità, e in particolare come si atteggiano i rapporti
fra i suoi elementi costitutivi [autorità, popolo, territorio]» (Costantino Mortati); è come si configura lo stato nel suo complesso
e il tipo di rapporti che intercorrono fra stato e cittadini. A seconda dei punti di vista si possono distinguere, estraendo e
semplificando, lo stato assoluto e lo stato di diritto; lo stato liberale o legale e lo stato democratico o costituzionale; lo stato
democratico quello autoritario e quello totalitario; lo stato liberale-liberista, lo stato sociale e lo stato socialista; lo stato
accentrato e quello decentrato e autonomista; lo stato nazionalista e quello internazionalista; lo stato unitario, quello regionale e
quello federale. Dunque dalla nostra Costituzione, l'Italia, in base a quanto detto, appare uno stato di
diritto costituzionale democratico sociale decentrato e autonomista pacifico e internazionalista
IL PARLAMENTO E LA FUNZIONE LEGISLATIVI
Il Parlamento, insieme con il Governo, la Magistratura, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, è uno dei
cinque organi costituzionali, uno di quegli organi, cioè, cui è attribuito l’esercizio di una delle funzioni fondamentali di uno
Stato (legislativa, esecutiva e giudiziaria). Al Parlamento è attribuita la funzione legislativa, cioè l’attività di formazione delle
leggi, assieme ad altre (ispettivo-finanziaria, elettiva, di indirizzo politico, etc. ) che vedremo. Il Parlamento è composto da due
Camere (“bicameralismo”), in carica per 5 anni (art. 55 Cost.): la Camera dei Deputati (art. 56 Cost.) ed il Senato della
Repubblica (art. 57 Cost.), entrambe con sede a Roma, rispettivamente nel Palazzo di Montecitorio e a Palazzo Madama. Per la
composizione, l’organizzazione interna, il procedimento legislativo, si dovrà fare riferimento alle norme giuridiche contenute
nella Costituzione italiana e nei Regolamenti parlamentari. Questi ultimi, sono richiamati in Costituzione (art. 64, I c. Cost.)
e contengono norme organizzative interne ai due rami del Parlamento, norme su cui ciascuna camera ha competenza esclusiva.
Il Parlamento è organo indispensabile ai fini della vita democratica di uno Stato, specialmente in un moderno stato di diritto,
democratico, costituzionale, che abbia una forma di governo parlamentare (cioè un sistema “monistico”, dove la base prima del
potere – in rappresentanza del popolo sovrano – è appunto il parlamento).
IL GOVERNO E LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA
Il Governo è un organo complesso costituito dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Ministri, che insieme formano
il Consiglio dei Ministri. Esso è l’organo di indirizzo politico. Ad esso è attribuito il “potere esecutivo” ( o funzione
amministrativa), cioè quell’attività di esecuzione del programma di governo sostenuto dalla maggioranza parlamentare. Per
l’attuazione vera e propria delle direttive di governo, esso si avvale della struttura della Pubblica Amministrazione ( P.A.) e di
tutte le sue articolazioni, di cui il Governo è al vertice. Di particolare importanza, nel nostro sistema istituzionale, è il rapporto
di fiducia che deve intercorrere tra il Parlamento e il Governo. Le disposizioni normative più importanti relative al Governo
sono gli articoli 92-100 Cost.; la Legge 23/8/1988 n°400 che ha meglio specificato la composizione e le funzioni del governo ed
ha individuato il meccanismo del suo funzionamento interno; i Decreti Legislativi 300 e 303 del 1999, attuativi della Legge
delega 59/97 (c.d. Bassanini 1), che hanno profondamente innovato la materia, in particolare attraverso il riordino dei ministeri
(che sarà attuato per la prima volta con la prossima legislatura, la XIV, dal maggio 2001) e della Presidenza del Consiglio (con
l’attribuzione di un ruolo più importante e incisivo al Presidente del Consiglio). Il Governo dispone di funzioni legislative sia di
tipo autonomo, sia di tipo delegato, ed ha iniziativa legislativa.
I GIUDICI E LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
I giudici sono organi dello Stato con il compito di applicare il diritto, prendendo delle decisioni attraverso atti che si
denominano “sentenze” e osservando particolari “procedure” contenute nel Codice di procedura civile e nel Codice di
procedura penale. È facile intuire l’importanza della funzione giurisdizionale: spesso l’applicazione del diritto non è semplice,
può dare adito a dubbi cui i giudici trovano una soluzione attraverso l’interpretazione del diritto. Da qui la necessità di
garantire l’indipendenza della magistratura (art. 101 Cost.) e il diritto alla difesa di tutti di fronte tanto ad altri soggetti privati,
quanto all’amministrazione (art. 24 Cost.).
LA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale è l’organo di garanzia della conformità alla Costituzione delle Leggi della Repubblica e del rispetto
delle reciproche attribuzioni tra i poteri dello Stato.
I DOVERI COSTITUZIONALI
La Costituzione, nel disciplinare i rapporti fra i singoli ed i pubblici poteri, prevede anche una serie di prestazioni e di
comportamenti, il cui adempimento, per la sua necessarietà e rilevanza sociale (art.2: "La Repubblica….. richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"), viene considerato un dovere.
In particolare, la Costituzione impone i seguenti doveri:
- dovere di difendere la Patria (art.52), previsto solo per i cittadini
- dovere di concorrere alle spese pubbliche (art.53) esteso a tutti
- dovere di fedeltà alla Repubblica e osservanza delle leggi (art.54), per i soli cittadini
e prevede i seguenti diritti-doveri:
- diritto-dovere di lavoro(art.4), previsto solo per i cittadini
- diritto-dovere di mantenere, istruire, educare i figli (art.30) esteso a tutti
- diritto-dovere di istruzione di base (art.34) esteso a tutti
- diritto-dovere di voto (art.48) previsto solo per i cittadini
In particolare, la “rilevanza costituzionale” del lavoro si manifesta non soltanto nel diritto di ogni cittadino ad avere un lavoro,
ma anche nel dovere “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al
progresso materiale o spirituale della società”. In tal senso, tale dovere può farsi rientrare in quei “doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”, il cui adempimento è richiesto dall’art. 2 Cost., così come il dovere di concorrere alle
spese pubbliche, ed anche il diritto-dovere di voto. In realtà i cittadini hanno anche altri doveri, non citati dalla costituzione (se
non nel dettato dell’art.54 che impone l’osservanza delle leggi), quali quello di eseguire gli ordini legittimi delle pubbliche
autorità, e quello di partecipare, se chiamati, a pubbliche funzioni quali quella di giudice popolare, scrutatore nei seggi elettorali,
testimone nei processi (giudice popolare e scrutatore può essere solo il cittadino).
1. Che cos’è la norma giuridica?
È una regola di condotta stabilita convenzionalmente, per consuetudine oppure imposta d’autorità.
Definita da Galgano “l’unità elementare del sistema del diritto”, la norma giuridica ha lo scopo di guidare il comportamento
dei consociati, regolando una determinata attività o indicando la condotta da adottare in certi casi.
2. Norma giuridica e norma morale
Diversa dalla norma giuridica è la norma morale, anch’essa regola di condotta ma imposta non da un’autorità riconosciuta
bensì dal comune sentire e dalla sensibilità di ciascun individuo.
Per tale motivo la norma morale può non essere condivisa dalla collettività, in quanto ciò che un individuo trova riprovevole
non è detto lo sia anche per altri. Allo stesso modo, a differenza della norma giuridica, la norma morale crea un obbligo solo nel
singolo che spontaneamente ne riconosce il valore e decide di osservarla.
L’eventuale sanzione conseguente alla sua inosservanza non è imposta d’autorità ma discende direttamente
dalla coscienza dell’individuo (ne è un esempio il rimorso per aver compiuto, o per aver omesso una determinata azione).
3. Quali sono le caratteristiche della norma giuridica?
Ogni norma giuridica possiede caratteristiche peculiari che consentono di distinguerla da altre tipologie di norme, ad esempio
quelle religiose o morali.
Tra le principali ricordiamo:
 la generalità: la norma non è dettata per singoli individui ma per un numero potenzialmente indeterminato di soggetti,
ossia tutti coloro che si trovano nella situazione ivi richiamata;
 l’astrattezza: la fattispecie descritta dalla norma è del tutto ipotetica;
 la positività: la norma è posta o riconosciuta dallo Stato o da altra autorità legittimata ad operare in tal senso;
 la coattività o coercibilità: in caso di inosservanza della norma è prevista una sanzione o comunque la possibilità
di attuarla in modo coattivo;
 la relatività: la produzione normativa di uno Stato è relativa, sia nel tempo che nello spazio, in quanto varia nel corso
degli anni ma anche da Nazione a Nazione, influenzata da fattori economici, politici, religiosi e socio-culturali.
3.1. (segue): cosa vuol dire che le norme giuridiche sono generali?
Come già anticipato, la generalità allude al fatto che la norma si rivolge a tutti i consociati, o tuttalpiù a categorie generiche di
soggetti. Si tratta di un attributo intrinsecamente collegato all’astrattezza, così da ovviare all’impossibilità, per l’ordinamento,
di prevedere (e quindi disciplinare) ogni situazione suscettibile di verificarsi in concreto.
La previsione a priori delle regole vigenti in determinati contesti garantisce infatti la certezza del diritto, assicurando
l’uguaglianza e la parità di trattamento.
4. Il contenuto della norma giuridica
Ogni norma giuridica consiste in una proposizione precettiva, ossia una regola formulata in termini generali e astratti, che
riconosce, facoltizza, impone o proibisce determinati comportamenti.
Ciò vale anche per le norme giuridiche descrittive o per quelle che contengono definizioni: si pensi, rispettivamente, all’art.
3 della Costituzione o all’art. 1321 del Codice Civile, che definisce il contratto come “l’accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Anche queste norme vanno intese in senso
precettivo: statuiscono infatti principi la cui osservanza si impone a tutti i consociati, oppure delimitano l’ambito di applicazione
di altre norme. Così, ad esempio, l’uguaglianza, affermata all’art. 3 della Costituzione italiana, non dev’essere ostacolata dalle
diverse condizioni personali o sociali; allo stesso modo le norme sul contratto non si applicheranno al matrimonio, perché pur
essendo un istituto basato sull’accordo di due parti non è diretto a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale.
5. Differenza fra norma e legge
Spesso usati come sinonimi, norma e legge sono in realtà termini diversi, sia dal punto di vista lessicale che contenutistico.
La legge ha portata più ampia; è intesa (in senso materiale) come fonte di produzione del diritto, ossia come atto normativo
che, all’esito di un determinato iter, l’ordinamento qualifica idoneo a produrre norme giuridiche.
La norma è invece il contenuto di quell’atto: la regola o l’insieme di regole che lo compongono, disciplinando un ambito più
specifico e circoscritto.
6. Le varie tipologie di norme giuridiche
Le norme giuridiche si prestano a varie, possibili classificazioni; tra queste ricordiamo:
 l’ambito giuridico di riferimento (norme di diritto pubblico o di diritto privato, con le rispettive articolazioni
interne);
 il contenuto (norme precettive, proibitive o permissive);
 la sanzione (norme primarie e secondarie, e ancora: norme perfette, imperfette e men che perfette);
 l’efficacia (norme assolute, relative e suppletive).
6.1. La classificazione delle norme giuridiche in base all’ambito di riferimento
Una prima, possibile classificazione è quella in base all’ambito giuridico di riferimento.
Il diritto è convenzionalmente distinto in due grandi sistemi di norme: quelle di diritto pubblico e quelle di diritto privato. Le
prime regolano il funzionamento e l’organizzazione dei pubblici poteri, nonché i rapporti a cui partecipano lo Stato o
altro ente pubblico in veste di enti sovrani. Le norme di diritto privato regolano invece i rapporti tra soggetti privati, oppure
tra i privati e lo Stato o altro ente pubblico, quando questi ultimi non agiscono nell’esercizio del proprio potere autoritativo.
Convenzionalmente si è soliti operare suddivisioni interne ad entrambi gli ambiti, che saranno approfondite nei paragrafi
seguenti.
6.1.1. Le norme di diritto pubblico
Al più vasto ambito del diritto pubblico sono tradizionalmente riconducibili, tra gli altri:
 il diritto costituzionale
 il diritto amministrativo
 il diritto penale
 il diritto tributario
6.1.1.1. Le norme costituzionali
La Costituzione della Repubblica e le leggi costituzionali sono poste al vertice della gerarchia delle fonti dell’ordinamento
italiano.
Entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, la nostra Carta fondamentale è una Costituzione:
 scritta: è costituita da un documento scritto e non da usi e consuetudini tramandati oralmente;
 lunga: si compone di 139 articoli e XVIII disposizioni finali e transitorie;
 rigida: i principi su cui poggia la nostra democrazia (diritti fondamentali, forma repubblicana, principio di sovranità
popolare…) sono immodificabili, mentre le altre parti della Carta Costituzionale sono modificabili solo con una
complessa procedura (c.d. aggravata), prevista agli artt. 138 e 139 della Costituzione;
 votata: è stato il popolo italiano a volerla, a differenza dello Statuto Albertino, concesso per volontà del Sovrano
(Costituzione c.d. ottriata)
 laica: la Costituzione non “adotta” un determinato credo come religione ufficiale ma sancisce la libertà di culto (art.
19);
 compromissoria: è frutto della cooperazione tra le forze politiche presenti in Italia all’esito del secondo conflitto
mondiale.
Il testo costituzionale è suddiviso in quattro sezioni:
 Principi fondamentali (artt. 1-12);
 Parte prima: “Diritti e Doveri dei cittadini” (artt. 13-54);
 Parte seconda: “Ordinamento della Repubblica” (artt. 55-139);
 Disposizioni transitorie e finali (disposizioni I-XVIII).
Nei primi dodici articoli sono racchiusi i principi cardine della Repubblica Italiana, alcuni dei quali richiamati implicitamente
anche in altre parti del testo costituzionale. L’importanza di questi principi è tale che non possono essere modificati, neppure
tramite il procedimento di revisione aggravato. Di pari rango gerarchico rispetto alla Costituzione sono le norme
costituzionali e di revisione costituzionale. Si tratta di atti normativi - approvati secondo la particolare procedura contemplata
all’art. 138 della Carta, più complessa rispetto a quella prevista per le leggi ordinarie - che nel rispetto di determinati limiti e
iter procedurali consentono di intervenire sul testo della Costituzione, integrandolo o modificandolo.
6.1.1.2. Le norme di diritto amministrativo
All’interno del più vasto ambito del diritto pubblico, le norme di diritto amministrativo regolano l’organizzazione, il
funzionamento e l’attività della Pubblica Amministrazione, intesa come l’insieme degli enti pubblici preposti
all’amministrazione statale, nelle materie di sua competenza.
Scopo di tali norme è quindi quello di disciplinare:
 la struttura della Pubblica Amministrazione
 gli interessi pubblici che questa persegue
 le modalità con cui agisce nel perseguirli
 i rapporti tra le diverse manifestazioni del potere pubblico e i cittadini.
Tradizionalmente le norme di diritto amministrativo avevano fonte esclusivamente statuale, ma con il passare del tempo questo
ramo del diritto ha acquisito natura composita, con una forte componente di norme di origine regionale.
6.1.1.3. Le norme tributarie Le norme tributarie regolano il fenomeno impositivo, ossia le modalità di accertamento o
riscossione dei tributi, nonché le eventuali sanzioni da applicare se i contribuenti risultano inadempienti. I principi generali del
sistema tributario italiano sono delineati agli artt. 23 e 53 della Costituzione, a norma dei quali, rispettivamente, “nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (art. 23 Cost.) e “tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, inoltre “il sistema tributario è informato a criteri di
progressività” (art. 53 Cost.).
Dalla lettura di tali articoli si ricavano quattro fondamentali principi:
 la legalità dell’imposta, in quanto i tributi possono essere istituiti solo per legge e non in modo arbitrario;
 l’universalità dell’imposta, poiché tutti i cittadini sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche;
 l’equità del carico fiscale, nel senso che ogni consociato è chiamato a contribuire in funzione delle proprie capacità
economiche;
 la progressività dell’imposta: l’imposizione fiscale è direttamente proporzionale alla capacità contributiva del
cittadino, per cui maggiore è quest’ultima e più alta sarà l’imposizione.
6.1.1.4. Le norme penali
Storicamente contrapposte alle norme civili, le norme penali sanzionano l’inosservanza dei precetti in esse contenuti mediante
l’applicazione di una sanzione, definita pena.
La norma penale è:
 imperativa: il comando o il divieto previsto dalla norma va necessariamente osservato;
 ·valutativa: contiene la valutazione di antigiuridicità di una determinata condotta, attiva od omissiva, attualmente o
potenzialmente lesiva di beni giuridicamente tutelati;
 statuale: tale valutazione, e dunque la conseguente emanazione della norma penale, spetta unicamente allo Stato.
Tipicamente la norma penale si compone di due elementi:
 precetto: una previsione, implicita o esplicita, di un divieto o un comando da osservare;
 sanzione: la conseguenza giuridica derivante dall’inosservanza del precetto.
Vi sono però casi in cui la norma contiene solo il precetto e rinvia la previsione sanzionatoria ad un’altra norma (ne è un
esempio l’art. 17 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza). In tal caso si parla di norma
imperfetta (vedi paragrafo 6.3.).
6.1.1.4.1. LA NORMA GIURIDICA PENALE IN BIANCO
Accanto alle norme imperfette vi è il caso in cui la norma contiene la sanzione mentre il precetto è formulato in modo generico,
rinviando ad altri atti normativi con funzione integrativa. Si parla, in proposito di norma penale “ in bianco”: il legislatore si
limita quindi a prevedere la sanzione applicabile e descrive il precetto normativo in termini generici, rinviando ad una fonte di
rango diverso, anche inferiore alla legge, ad esempio un atto amministrativo. Tipica norma penale in bianco è l’ art. 650 c.p.,
che sanziona con l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206,00 euro l’inosservanza di un provvedimento legalmente dato
dall’Autorità per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene.
6.1.2. Le norme di diritto privato
Come anticipato, le norme di diritto privato regolano i rapporti tra privati o tra questi e i pubblici poteri quando non agiscono in
veste autoritativa. Tipica articolazione interna al diritto privato è il diritto civile, tuttavia vi fanno capo anche altre branche del
diritto, quali il diritto commerciale o il diritto del lavoro.
6.1.2.1. Le norme civili
Malgrado sia frequente l’identificazione tra diritto privato e diritto civile, il rapporto tra i due è di genere a specie.
Il diritto civile è infatti una branca interna al diritto privato volta a regolare specificamente la materia contrattuale,
le obbligazioni, i diritti reali, i rapporti di famiglia, la responsabilità civile e le successioni per causa di morte.
Nel nostro ordinamento le principali fonti di cognizione del diritto civile sono il Codice Civile (Regio Decreto del 16 marzo
1942 n. 262) e le varie leggi speciali emanate in materia. Le norme codicistiche hanno portata generale e si propongono una
regolamentazione unitaria e razionale del diritto civile, dettando anche principi di fondamentale importanza per la comprensione
dell’intero sistema normativo (si veda ad esempio l’art. 1 delle preleggi). Le leggi speciali (ad esempio la L. n. 392/1978, c.d.
“legge sull’equo canone” in materia di locazioni), regolano invece specifici settori della materia in modo analitico e dettagliato,
integrando o spesso derogando alla disciplina codicistica.
6.1.2.2. Le norme giuslavoristiche
Il diritto del lavoro è quel ramo del diritto privato che disciplina sia il rapporto di lavoro (dunque la relazione intercorrente
tra lavoratore e datore di lavoro), sia le associazioni rappresentative delle parti del rapporto (diritto sindacale). Presupposto
delle norme giuslavoristiche è la condizione di fisiologica inferiorità economica e dunque di debolezza contrattuale in cui
versa il lavoratore rispetto al datore di lavoro.
Fine ultimo del diritto del lavoro è dunque la tutela del lavoratore, garantendone i diritti fondamentali.
6.1.2.3. Le norme di diritto commerciale
Altra branca interna al diritto privato è il diritto commerciale, costituito da norme giuridiche che disciplinano l’esercizio
dell’impresa e le attività imprenditoriali, sia ad opera del singolo che di società e organizzazioni, sia nei rapporti privatistici
quanto in quelli con enti pubblici. Figura centrale è quella dell’imprenditore, definito all’art. 2082 del codice civile come colui
che esercita professionalmente un’attività economica diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi. In origine il diritto
commerciale era normato autonomamente nell’ambito del Codice di Commercio del 1865 ma con l’entrata in vigore del
Codice Civile del 1942 la materia ha perso la propria autonomia formale e la disciplina dell’attività d’impresa è confluita
nel Libro V, Titolo II del Codice Civile, che si apre proprio con l’art. 2082 dedicato alla nozione di imprenditore.
6.2. La classificazione delle norme giuridiche in base al contenuto
Le norme giuridiche possono poi classificarsi in base al contenuto.
A tal proposito si parla di norme:
 precettive: se contengono un comando da osservare o un comportamento da adottare in una determinata situazione
(tipico esempio sono le norme penali);
 proibitive: se contengono comandi negativi, vietando quindi l’attuazione di determinate condotte;
 permissive: se autorizzano certi comportamenti o attribuiscono specifiche facoltà (ad esempio l’art. 832 del Codice
Civile, che consente al proprietario di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con
l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico).
6.3. La classificazione delle norme giuridiche in base alla sanzione
Le norme giuridiche possono poi classificarsi in base alla sanzione. Sotto questo profilo sono possibili due distinzioni.
In primo luogo si è soliti distinguere tra:
 norme primarie o di condotta: contengono un comando o prescrivono l’osservanza di una determinata condotta. Ne è
un esempio l’art. 1325 del Codice Civile, che individua i requisiti necessari affinché il contratto sia valido ed efficace.
 norme secondarie (o sanzionatorie): contengono una sanzione applicabile in caso di inosservanza del precetto
contenuto nella norma primaria. Un esempio è l’art. 1418 del Codice Civile, che sanziona con la nullità il contratto
carente dei requisiti previsti dall’art. 1325 del medesimo codice.
La seconda possibile distinzione è tra:
 norme perfette: munite di sanzione (ad esempio l’art. 1427 del Codice Civile, che sancisce l’annullabilità del contratto
in cui il consenso di un contraente è stato estorto con violenza o carpito con dolo);
 norme imperfette: contengono soltanto un precetto ma sono prive di sanzione (ne è un esempio l’art. 143, terzo
comma del Codice Civile, secondo cui entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia, senza però
prevedere alcuna sanzione in caso di inosservanza);
 norme men che perfette: categoria intermedia tra le due precedenti, in quanto si tratta di norme munite di
una sanzione, che tuttavia risulta inadeguata rispetto alla violazione commessa. Ne è un esempio l’art. 140 del Codice
Civile, che punisce l’inosservanza del divieto temporaneo di nuove nozze con una mera sanzione amministrativa da 20
a, 82 euro, a carico dell’ufficiale celebrante e del coniuge che se ne è reso responsabile.
6.4. La classificazione delle norme giuridiche in base all’efficacia
Infine, in base al tipo di efficacia, le norme giuridiche si distinguono in:
 norme assolute (dette anche imperative o cogenti): contengono prescrizioni o divieti dei quali l’ordinamento vuol
garantire l’osservanza e ai quali non è possibile derogare in alcun modo (tipico esempio sono le norme penali);
 norme relative (dette anche derogabili o dispositive): l’obiettivo della norma, in questo caso, non è tanto vietare o
garantire l’osservanza di una determinata condotta, quanto individuare la soluzione più idonea a prevenire conflitti
rispetto ad una questione. Le norme relative regolano quindi il rapporto, lasciando però libere le parti di disciplinarlo
diversamente se lo ritengono più opportuno. L’art. 1477, secondo comma, del Codice Civile prevede ad esempio che,
salvo diverso accordo delle parti, la cosa venduta debba essere consegnata insieme ad accessori, pertinenze e frutti dal
giorno della vendita;
 norme suppletive: intervengono a regolare una fattispecie in assenza di una specifica disciplina sul punto, cogente o
dispositiva. Se quindi la legge e le parti non hanno previsto alcunché, la norma suppletiva interviene
Governo della Repubblica Italiana
Funzioni
Il governo è l'organo situato al vertice dell'amministrazione dello Stato. Esercita la funzione esecutiva, può richiedere il
passaggio in aula (e non in commissione) di proposte di legge (art. 72 cost.), emana leggi delegate (art. 76) e decreti legge (art.
77) nelle forme e con i limiti determinati dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, presenta annualmente alle Camere, che lo
devono approvare, il rendiconto dello Stato (art. 81 cost.), solleva la questione di legittimità rispetto alle leggi regionali (art. 123
cost. e art. 127 cost.) nel caso ritenga che un consiglio regionale abbia ecceduto nelle sue competenze.
Nomina
Il presidente del Consiglio dei ministri è nominato dal presidente della Repubblica dopo una serie di consultazioni che vede
coinvolti i presidenti dei due rami del parlamento, gli ex presidenti della repubblica e i rappresentanti dei gruppi
parlamentari. Anche i ministri, indicati dal presidente del Consiglio, sono nominati dal presidente della Repubblica. Ottenuta la
nomina, il governo giura nelle mani del presidente della Repubblica ed entro dieci giorni dalla sua formazione si reca in
entrambe le camere del Parlamento, le quali, tramite una mozione motivata e votata per appello nominale (detta "mozione di
fiducia"), gli accordano o meno la fiducia. Il governo dura finché ha la fiducia del Parlamento. Un governo entra in carica solo
provvisoriamente con il giuramento: l'investitura del governo diventa definitiva soltanto con il voto di fiducia di entrambe le
camere. Nel caso di mancata approvazione delle Camere ad un nuovo governo, e se il presidente della Repubblica, vista la
situazione, scioglie il Parlamento, il governo che non ha avuto l'investitura, ma ha giurato, rimane in carica per la normale
amministrazione, e può anche durare più di un mese, se la crisi si prolunga anche dopo l'esito delle nuove elezioni. La
Costituzione non prevede il potere di revoca del governo da parte del presidente della Repubblica. Non si tratta di una lacuna: il
potere di far cessare il governo è dalla Costituzione attribuito a ciascuna camera del Parlamento che può, negandogli la fiducia,
determinarne la caduta al pari delle dimissioni. Il presidente della Repubblica è invece estraneo al rapporto fiduciario con il
governo e non lo può revocare.
Crisi di governo e dimissioni
Nel caso in cui il governo rassegni le proprie dimissioni al presidente della Repubblica (dimissioni che possono essere respinte e
che quando vengono accolte sono accettate con riserva), lo stesso governo dimissionario rimane comunque in carica.
L'attività del governo dimissionario è circoscritta all'ordinaria amministrazione: il governo dimissionario può compiere gli atti di
esecuzione delle leggi vigenti, ma deve astenersi da tutti quegli atti discrezionali e politici che, in quanto tali, possono e devono
essere rinviati alla gestione del successivo governo. La nozione di ordinaria amministrazione ha comunque confini molto elastici
e a volte il governo stesso si pone degli autolimiti, talora contenuti in direttive del presidente del Consiglio. Il governo
dimissionario rimane in carica fin tanto che il successivo nuovo governo non presti giuramento (la procedura prevede che
l'incaricato di formare il nuovo governo possa rinunciare all'incarico oppure sciogliere la riserva accettando l'incarico); in questo
caso viene nominato il presidente del Consiglio con la firma e la controfirma dei decreti di nomina del capo del governo e dei
ministri; la procedura prevede tre decreti: quello di accettazione delle dimissioni del governo uscente (controfirmato dal
presidente del Consiglio nominato); quello di nomina del presidente del Consiglio (controfirmato dal presidente del Consiglio
nominato, per attestare l'accettazione); quello di nomina dei singoli ministri (controfirmato dal presidente del Consiglio). Entro
dieci giorni dal decreto di nomina il nuovo governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. La formalizzazione
dell'apertura della crisi di governo determina l'arresto, alla Camera e al Senato, di ogni attività parlamentare legata al rapporto
con l'esecutivo: possono essere esaminati i soli progetti di legge connessi ad adempimenti costituzionalmente dovuti, ovvero
urgenti e indifferibili. Si tratta, in particolare, dei disegni di legge di conversione di decreti-legge; dei disegni di legge di
sanatoria degli effetti di decreti-legge non convertiti; dei disegni di legge di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali e
il disegno di legge comunitario, quando dalla loro mancata tempestiva approvazione possa derivare responsabilità dello Stato
italiano per inadempimento di obblighi internazionali o comunitari.
Presidente del Consiglio dei ministri
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, a volte denominato primo ministro, occupa un ruolo centrale e predominante nel
Governo italiano. Egli svolge la funzione di capo del governo e, in quanto tale, è il principale detentore del potere esecutivo, e
ha inoltre il compito di assemblare il nuovo governo dopo la fine del precedente, in quanto può nominare i ministri (art. 92,
comma 2 Cost.). Le sue dimissioni provocano la caduta dell'intero governo. Inoltre egli "dirige la politica generale del governo",
"mantiene l'unità dell'indirizzo politico, amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri" (art. 95, comma 1
Cost.). Il presidente del Consiglio dei ministri è responsabile della politica generale del governo, i Ministri lo sono
collegialmente per gli atti del Consiglio e individualmente per gli atti dei propri Ministeri. Convoca le riunioni del Consiglio dei
Ministri, ne stabilisce l'ordine del giorno e le presiede. Egli non può dare ordini diretti ai singoli ministri nei settori di loro
competenza e ciò costituisce un elemento di fragilità, ma può impartire loro delle direttive in attuazione delle decisioni del
consiglio, può sospendere l'adozione di atti da parte dei ministri e può chiedere loro di concordare con lui le dichiarazioni
pubbliche che essi intendono rilasciare. Queste ultime disposizioni sono state introdotte dalla legge n. 400/1988, come
modificata dal D. Lgs. n. 303/1999, con l'intento di rafforzare la posizione del premier e di conferirgli una maggiore autorità nei
confronti dei singoli ministri e quindi nei confronti dei diversi partiti politici che fanno parte della coalizione.
Data la speciale posizione del Presidente del Consiglio, nel linguaggio politico i governi vengono di solito designati con il
cognome del loro Presidente (governo De Gasperi, Governo Spadolini ecc.). Per svolgere i suoi compiti di indirizzo e
coordinamento il presidente del Consiglio dispone di una serie di uffici che sono stati riorganizzati dalla legge n. 400/1988, oltre
che dal D. Lgs. n. 300/1999, denominata Presidenza del Consiglio dei ministri, con uffici propri retti da un segretario generale, e
dipartimenti e uffici, retti da ministri senza portafoglio o da sottosegretari. Il segretario generale è scelto discrezionalmente dal
presidente del Consiglio, e provvede a organizzare tutta l'attività amministrativa di governo, raccogliere e a elaborare le
informazioni necessarie per mettere in pratica il programma di governo e per aggiornarlo. All'interno del Governo, uno o più
Ministri possono ricoprire l'incarico di Vicepresidente del Consiglio su designazione del Consiglio dei Ministri, con il compito
di sostituire il Presidente in caso di assenza o di impedimento temporaneo di questi (legge n. 400/1988).
Ministri
Ciascun ministro è a capo di un particolare ramo della pubblica amministrazione italiana che viene chiamato ministero o
dicastero. Il numero e le competenze dei ministri sono stati stabiliti per legge, ai sensi dell'art. 95, comma 3, Cost., dal D. Lgs. n.
300/1999, (legge Bassanini), riportata in vita dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008). I ministeri
furono fissati in 12.
Con la legge 13 novembre 2009, n. 172 il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali viene suddiviso in due: il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero della salute, portando il numero dei dicasteri a 13. Con il decreto-
legge del 9 gennaio 2020, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca viene diviso in Ministero dell'istruzione e
Ministero dell'università e della ricerca, portando il numero dei dicasteri a 14. Con il decreto-legge del 1º marzo 2021 viene
istituito il Ministero del turismo, mediante scorporo dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che
contestualmente viene ridenominato Ministero della cultura, portando il numero dei dicasteri a 15. Con il medesimo decreto-
legge il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha assorbito le competenze in materia di politica
energetica del Ministero dello sviluppo economico e ha assunto la denominazione di Ministero della transizione ecologica e il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha assunto la denominazione di Ministero delle infrastrutture e della mobilità
sostenibili.
 Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale
 Ministero dell'interno
 Ministero della giustizia
 Ministero della difesa
 Ministero dell'economia e delle finanze
 Ministero dello sviluppo economico
 Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
 Ministero della transizione ecologica
 Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili
 Ministero del lavoro e delle politiche sociali
 Ministero dell'istruzione
 Ministero dell'università e della ricerca
 Ministero della cultura
 Ministero della salute
 Ministero del turismo
Accanto ai ministri responsabili di un dicastero, possono esservene altri, chiamati ministri senza portafoglio, che non hanno alle
loro dipendenze un dicastero, ma svolgono incarichi particolari e spesso sono chiamati a dirigere speciali dipartimenti
organizzati in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Essi fanno comunque parte a pieno titolo del consiglio dei
ministri.
Consiglio dei ministri
Il Consiglio dei Ministri è una parte del governo, nonché la sezione predominante e principale di suddetto governo. Esso è
formato dai ministri e dal Presidente del Consiglio. Le attività svolte dal consiglio sono le seguenti:
 gestisce la politica generale del Governo (politica interna e politica economica);
 risolve i conflitti di competenza tra i ministri;
 delibera i disegni di legge da presentare alle Camere, i decreti-legge, i decreti legislativi e i regolamenti governativi;
 prende le decisioni fondamentali di politica estera.
Sottosegretari
I sottosegretari fanno parte del governo, ma in modo subordinato. Essi vengono designati dal consiglio dei ministri e decadono
con le dimissioni del governo. A differenza dei ministri, essi non partecipano alle riunioni del consiglio; il loro compito è quello
di coadiuvare il ministro a cui fanno capo nelle funzioni che egli delega loro e di rappresentarlo nelle sedute del parlamento.
Alcuni sottosegretari, cui viene assegnata la responsabilità di un dipartimento all'interno di un ministero, assumono la carica di
vice-ministri. Di norma, non prendono parte al Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, e i loro atti si intendono
compiuti sotto la responsabilità del relativo ministro.

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