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Stato e Costituzione (M.

Fioravanti)
1.Premessa: alle origini dello Stato Moderno Europeo
Il carattere originario dello Stato Moderno va cercato in quel momento storico, successivo al XIII secolo,
secolo che vede delinearsi il tramonto del medioevo, in cui inizia a manifestarsi una certa tendenza al
“governo” dei molteplici territori presenti in Europa.
In tal contesto siamo in presenza di 3 elementi precisi:

a) Un signore che esercita poteri di “imperium”, di dire la giustizia, esigere imposte etc, su un
territorio (inteso in senso politico)
b) Un’assemblea rappresentativa, che svolge la duplice funzione di porre dei limiti al signore, e di
collaborare con lui per il governo del territorio
c) La presenza di regole di origine consuetudinaria che ora iniziano a prendere la forma scritta

Siamo in presenza adi uno Stato, quindi, in quanto abbiamo una realtà territoriale governata nel suo
insieme in modo istituzionalizzato, secondo regole che fissano il ruolo di ognuno.
Questo è il senso del passaggio dall’età medioevale all’età moderna ed il carattere dello Stato Moderno.
Questa originaria forma di Stato della prima età moderna, però, manca del carattere della sovranità*( è
l'espressione della somma dei poteri di governo) in quanto il signore esercita il suo potere di imperium sul
territorio, senza però preoccuparsi di eliminare alla radice la pluralità di poteri giurisdizionali, in materia di
tributi, e militari, esercitati ancora dai numerosi copri presenti nel territorio

Si pone quindi la questione di individuare il momento storico in cui lo Stato compie il salto che lo porta ad
essere da mera organizzazione di un territorio a portatore del principio- guida della sovranità.

2.Le forme dello Stato moderno europeo: Stato Giurisdizionale, Stato di Diritto, Stato
Costituzionale
Lo Stato moderno Europeo inizia dunque a prendere forma quando all’interno di un certo territorio
nascono le condizioni per l’esistenza di un governo, che, sebbene non sia ancora sovrano, si propone
comunque di esercitar un potere di imperium, di amministrazione della giustizia, difesa del territorio, con la
collaborazione delle forze già esistenti sul medesimo territorio.

Lo Stato Giurisdizionale dal VIV sec. al XVIII


La prima e più antica forma di Stato moderno europeo è lo Stato Giurisdizionale che ha tre caratteristiche
fondamentali:

a) Un territorio sempre più inteso in senso unitario ma composto da una pluralità di soggetti
b) Un diritto comune sempre più funzionale alla gestione del territorio
c) Un governo che opera con riferimento ad un territorio. Senza la pretesa di estendere il potere di
“imperium” mediante un’amministrazione periferica

Ora secondo il Fioravanti lo Stato giurisdizionale è la forma di stato dominante in Europa fino al punto di
rottura della Rivoluzione francese. Eppure, la tradizione storiografica considera lo Stato Assoluto del XVII
secolo la vera prima forma di Stato Moderno, poiché di fatto preparava la strada per la caduta dei privilegi e
l’affermazione dei diritti individuali, operati poi dalla rivoluzione.
Per comprendere la posizione del Fioravanti è necessario comprendere il significato di Stato Assoluto.

Nel corso del XVII secolo alcune monarchie europee ebbero la tendenza a semplificare la forma di governo
monarchica in senso assolutistico, riducendo i poteri dei Consigli o dei soggetti istituzionali che potevano
esercitare controllo sull’azione della stessa monarchia.
In Francia Luigi XIV (1661-1715) depotenziò al massimo il ruolo del Consiglio e dei parlamenti, riducendoli
ad organi puramente tecnici.

In questo senso quindi per assolutismo politico, si intende la tendenza della monarchia ad operare in senso
monocratico eliminando sempre di più le diverse forme di condivisione del potere. Ciò segna il punto di
rottura con il precedente stato giurisdizionale. Il nodo cruciale su cui ci si sofferma è la mancanza di una
attività normativa tale da superare quella pluralità di ordinamenti, di ceti che ancora erano presenti sul
territorio. Nell’intenzione assolutistica dei monarchi non c’era quella di essere portatori di un diritto
espressione del principio di sovranità.

A confermare l’assenza di quel principio di sovranità necessario sono le Ordonnances di Luigi XIV del 1667.
Si tratta di una raccolta normativa voluta da un sovrano particolarmente forte, pensata per essere vera e
propria legislazione per la Francia, fonte normativa gerarchicamente superiore alla pluralità di diritti
preesistenti, e vi è l’idea in essa contenuta che il potere normativo del sovrano avesse un peso ed una
qualità dominante rispetto ai precedenti diritti esistenti.
In realtà, l’analisi approfondita del contenuto delle Ordonnance mostra come questo potere normativo
superiore arrivi solo fino ad un certo punto e non abbia la forza necessaria ad abrogare del tutto la pluralità
di diritti particolari e territoriali ancora esistenti

Dunque, i diritti particolari e consuetudinari sono abrogati parzialmente, solo nelle parti in cui vengono in
contrasto con la normativa prevista dal re, ma restano applicabili in tutti quei casi in cui la legislazione è
lacunosa. Questi saranno completamente abrogati solo in seguito alla rivoluzione.

Il vero punto di rottura tra stato giurisdizionale e assoluto è quindi lo stato di diritto, portatore del principio
della sovranità, che nascerà dopo la rivoluzione

Stato di diritto dal XVIII sec.


È quindi solo con la Rivoluzione francese che avviene la cesura con il mondo antico, e l’affermazione
esplicita e dichiarata di quel principio di sovranità. Esso è affermato chiaramente nell’ art 3 della
“Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” dove si enuncia che “la sovranità è espressione unica
della nazione e che nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da
essa”. Questo collega direttamente il potere di “imperium” al principio di sovranità, ovvero ad una
situazione di esclusività e monopolio. Al riconoscimento di un’unica autorità che emana direttamente dal
volere della nazione.

Il territorio, liberato dalle pluralità soggettive viene definitivamente unificato. Il sovrano ora perde la sua
aura di investitura divina o di legittimazione propria, e anch’esso trova la sua unica legittimazione nella
volontà della nazione.

La legge è al primo posto nella nuova forma di Stato perché è espressione della volontà della nazione.

Accanto alla centralità della legge si colloca un elemento del tutto nuovo, che conferma definitivamente la
cesura con l’antico. L’esecuzione della legge stessa viene affidata ad un nuovo soggetto: la pubblica
amministrazione.

Siamo quindi al momento in presenza di un nuovo Stato legislativo e amministrativo.


La vera spinta della rivoluzione, infatti, è stata la necessità di affermare una società nuova e che affermasse
i diritti individuali di ognuno ed il principio di unicità del soggetto di diritto.
Ciò che rileva dell’esito post-rivoluzionario è il legame stretto tra sovranità, diritti individuali e principio di
uguaglianza, che ben presto sarà rafforzato e tutelato dalla legge dello Stato.
Il diritto in senso oggettivo, come legge dello stato, ed il diritto in senso soggettivo di tutti gli individui, è
elemento caratterizzante di questa nuova forma di stato che possiamo quindi chiamare Stato di Diritto.
Esso sarò dotato di una costituzione liberare capace di equilibrare i poteri e di riservare alla legge il potere
normativo sui diritti. Nello Sato di diritto prenderà avvio l’attività di codifica che metterà ordine e darà
certezza alla legge. Lo stato di Diritto era destinato a vacillare nel corso del Novecento.

Con l’entrata in vigore delle Costituzioni democratiche, questi processi sono stati così profondi da lo
legittimare l’affermarsi di una nuova forma di Stato moderno: lo Stato Costituzionale. In questa ultima
forma di Stato l’unicità e la sovranità della nazione e l’autorità della legge che da essa promana, proprie
dello Stato di diritto, vengono sostituiti da una pluralità di soggetti, attivamente partecipi alla vita politica e
la giurisdizione ritrova un ruolo forte, e non solo applicativo della legge.
In un certo senso si può considerare lo Stato Costituzionale, eredità dello Stato moderno europeo.

3.Le costituzioni dello Stato moderno europeo


a. la Costituzione cetuale.
La prima forma di costituzione di cui si ha traccia, si fa risalire alla prima forma di stato moderno che
abbiamo analizzato, e cioè lo Stato Giurisdizionale. Abbiamo visto che caratteristica di questa prima forma
di Stato è la presenza dei due poli caratterizzati dal signore e dalla pluralità di soggetti che insistevano sul
medesimo territorio. Il rapporto tra questi due soggetti era disciplinato da un ordinamento complessivo: la
Costituzione cetuale.

Alla base c’è il popolo: inteso come una concreta realtà storica-costituzionale che attraverso una serie di
patti e contratti puntavano a mantenere l’identità distinta di ciascun soggetto ma contemporaneamente
riconoscendo l’esistenza dell’intero, inteso come popolo.

Questo popolo riconosce un signore dotato di poteri di “imperium” ma i cui poteri sono fortemente limitati
dall’esistenza di questa molteplicità di ordinamenti e diritti tra loro concatenati, e che danno origine alla
legge fondamentale di un certo territorio, che non può essere mutata dal signore. Un’assemblea
rappresentativa garantisce controllo sul signore e collaborazione al governo.
Da questa costituzione cetuale, di tipo misto, sono generate forme di governo moderate e bilanciate.
Forma per eccellenza di Monarchia moderata con costituzione cetuale è il King In Parliament inglese, con i
tre rami dal parlamento monarchico, aristocratico (LORDS) e popolare (COMMONS).

Questa costituzione cetuale, quindi, rappresenta un modo complessivo di organizzare rapporti politici e
sociali dotato di una propria razionalità interna.

La costituzione cetual assolutistica


Tra la costituzione cetuale e quella liberale che si affermerà con la rivoluzione, si pone sul piano storico una
costituzione intermedia, cetual-assolutistica, tipica delle monarchie assolutistiche del ‘600 e descritta
nell’opera di Jean Bodin del 1576, Le six livre de la repubblique.

Il fondamento cetuale e la forma assolutistica si conciliano grazie alla distinzione operata da Bodin tra
regime e governo; sul piano della sovranità e del regime politico la sovranità è “assoluta”, sul piano del
governo viene invece recuperato il ruolo dei Consigli, delle assemblee rappresentative di un territorio
ancora complesso, che quindi conferma la rilevanza politica- istituzionale dei ceti.

A distruggere la costituzione cetuale non sarà quindi, solo l’affermarsi del principio di sovranità, ma la
contemporanea rilevanza che prenderanno nel corso dei secoli i modelli giusnaturalistici.

Nell’opera di Hobbes, Il Leviatano 1651, come nell’opera di Bodin, viene operata una critica alla
costituzione mista, moderata, evidenziando la necessità di attribuire in maniera chiara ad un solo soggetto
politico i poteri di fare la legge, nominare giudici e magistrati, dichiarare guerra. Ma, a differenza di Bodin,
Hobbes interpreta il cambiamento in chiave giusnaturalistica, portando l’attenzione sui diritti naturali
individuali, predicando l’uguaglianza di ciascun individuo nello stato di natura.
Nel 1651, quindi, Hobbes teorizza quel punto di rottura che sarà concretizzato solo un secolo dopo con la
rivoluzione, ma che afferma con determinazione un nuovo paradigma sociale in cui il popolo non è più
inteso come molteplicità di soggetti legati da interessi e privilegi territoriali, ma come l’insieme delle
volontà di individui in quanto tali, sottoposti alla medesima legge, e quindi in posizione di uguaglianza. Per
la prima volta viene affermato il principio di sovranità al di fuori di ogni riferimento all’antica costituzione
cetuale.

La Costituzione liberale
La Rivoluzione raccoglierà questi nuovi ideali e ne farà la spinta propulsiva per scardinare concretamente gli
antichi modelli. Con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, vengono affermati i
principi di sovranità e del rispetto dei diritti individuali, liberati dalla dissoluzione della costituzione cetuale,
riassunti in alcuni punti cardine:

a) La presunzione di libertà: tutti si presumono liberi a meno che non intervenga la legge a disporre
contrariamente.
b) Il criterio della riserva di legge che afferma che solo la legge può disciplinare e limitare i diritti
individuali.
c) Il principio della costituzione come atto che garantisce i diritti e separa i poteri. Questo principio
sarà da ispirazione alle costituzioni future che si preoccuperanno sempre di più di equilibrare la
distribuzione dei poteri legislativi ed esecutivi e giudiziario

Lo Sato di diritto post-rivoluzionario, quindi, sarà dotato di una costituzione di tipo liberale, perché muove
dalla presunzione generale della liberta degli individui.
Sebbene questo tipo di Stato non si sia affermato integralmente subito dopo la rivoluzione, racchiude i
principi di fondo che hanno caratterizzato l’esperienza europea fino ai primi decenni dei Novecento:
centralità della legge come manifestazione di sovranità e strumento di garanzia dei diritti, e il ricorso alle
Carte costituzionali per stabilire forme di governo moderate, non assolutistiche stabili ed ordinate.

Caratteristica e limite stesso della costituzione di tipo liberare è stata la forza che si è data alla legge, intesa
come sovrana in senso oggettivo.
Sebbene la costituzione sia quindi essenziale per delineare la forma di governo, e si affidi ai parlamenti il
compito di controllare il potere dell’esecutivo proprio tramite lo strumento delle riserve di legge, la sua
forza è subordinata alla legge stessa come conseguenza del principio di sovranità della legge.

Il limite dello Stato di diritto e della sua costituzione liberare si fissa agli inizi del Novecento.
Espressione di questa nuova realtà sociale sono le grandi assemblee costituenti di Weimar 1919 e Italiana
1947, in cui viene progettato un nuovo tipo storico di costituzione che non si limita a disegnare la forma di
governo e a rafforzare la garanzia dei diritti.

La nuova costituzione democratica, in quanto portatrice di principi fondamentali inviolabili, si porrà al di


sopra di qualunque legge del parlamento, che non potrà avere contenuti contrastati con i principi in essa
espressi. Violare quei principi significherebbe intaccare l’identità stessa di quella comunità politica. Essa
diventerà espressione della nuova forma di Stato che sostituirà lo stato di diritto nel corso del Novecento e
che è appunto lo Stato Costituzionale.

Lo Stato Costituzionale moderno sembra richiamare tale tradizione. Sul piano dell’organizzazione interna
accanto al forte ruolo della legge, e della parte politica della costituzione legata al principio democratico di
partecipazione alla scelta dell’indirizzo polito da parte del popolo, trova una rafforzata rilevanza l’attività
giurisdizionale, limitata alla sola interpretazione della legge nella costituzione liberale.

La giurisdizione ora partecipa al governo, come garante dei diritti e della tutela di un certo equilibrio
all’interno di una società fortemente orientata in senso pluralistico. Ciò che emerge su questo piano è il
carattere democratico di questa costituzione non solo per la sua derivazione da un’Assemblea costituente,
ma anche per l’esito finale di rafforzare la pacifica mediazione dei conflitti e garantire la pace sociale.

DIRITTI- PIETRO COSTA


Avere un diritto significa:

 pretendere legittimamente qualcosa


 imporre un obbligo
 oppure disporre della forza di un terzo che costringe l’obbligato ad un comportamento conforme
la mia richiesta
L’età moderna viene spesso rappresentata come l’età dei diritti ma ciò non significa che i diritti nascono
con la modernità, infatti, essi sono frutto di un lento e lungo processo storico.
Già la rivoluzione americana così come quella francese hanno come perno principale i diritti del soggetto,
ma le loro aspettative e il loro linguaggio non possono essere compresi appieno se separati dal concetto del
Giusnaturalismo.

Il Giusnaturalismo è una corrente filosofica e culturale e rappresenta un nuovo modo di pensare


l’individuo, la società e la sovranità.

In un’Europa seicentesca dilaniata dalle guerre di religione Ugo Grozio con il giusnaturalismo si fa portatore
di un nuovo concetto: quello dello stato di natura.

Lo stato di natura rappresenta una condizione umana nella quale l’individuo riveli suoi tratti originari senza
tener conto della logica del potere e di obbedienza.
L’individuo per il Giusnaturalismo è un soggetto caratterizzato da bisogni e diritti fondamentali ed è per
questo che lo Stato di diritto attribuisce al soggetto due caratteristiche: la libertà e l’uguaglianza.

 Nel medioevo la libertà apparteneva al corpo collettivo


 mentre con il giusnaturalismo la libertà appartiene al singolo soggetto

Il primo grande episodio di una lotta per i diritti si scatenò nell’Inghilterra del 600 così come in Spagna e in
Francia in cui vi fu il tentativo di ricostruire un potere sovrano forte e accentrato capace di superare il
particolarismo medievale. Ma tale tentativo venne ostacolato dal parlamento che si propose come custode
dei diritti dei sudditi.
Per fondere questi diritti i giuristi parlamentari ricorrono non al diritto naturale ma al diritto positivo,
fondato sulla tradizione della Magna carta che diede le basi per l’affermazione dei diritti individuali in
Inghilterra, tale documento si stabiliva la libertà dei baroni che per i giuristi parlamentari divenne la libertà
degli inglesi, ed era questa libertà che il parlamento doveva tutelare.

La petition of Rights del 1628 è il primo esempio di una garanzia procedurale che difende la libertà dei
sudditi.

Nella seconda metà del secolo John Lock scrive il secondo trattato sul governo in cui si delinea una società
in cui la libertà e proprietà dei soggetti sono la struttura portante dell’ordine.
Il sovrano deve solo tutelare e garantire l’ordine e il rispetto della legge e in caso in cui esso non adempia ai
suoi compiti il popolo può decidere di sciogliere il vincolo di obbedienza con lo stesso.

Con John Locke viene inoltre meno il requisito dell’unità di fede in quanto diviene una libera scelta interna
dell’individuo e di conseguenza ci deve essere tolleranza confronti di altre regioni.
L’Inghilterra rappresenta però un’eccezione rispetto all’Europa e i diritti di libertà e proprietà assunti da
Locke diventano un modello chiamato ad assumere una funzione peculiare dagli intellettuali illuministi.
Nelle pagine degli illuministi vengono denunciate le inadempienze dell’ordine reale nei confronti dell’ordine
ideale ed è in tal tipo di divaricazione tra modello che si colloca una delle grandi parole d’ordine
dell’Illuminismo: riforma.

Gli Illuministi, infatti, attendevano la riforma quando furono travolti dallo scoppio in Francia della
rivoluzione del 1789.

I diritti sono al centro di tale dibattito rivoluzionario infatti i diritti menzionati nel testo rivoluzionario,
quali: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza sono temi acquisiti nel secolo dei lumi.
Ma interviene una nuova importante novità frutto della rivoluzione: a proclamare i diritti non è più il
singolo individuo ma un nuovo soggetto collettivo: la nazione.
Quindi diritti e nazione divengono i pilastri del nuovo ordinamento e attraverso la nazione i diritti naturali
divengono diritti civili.
In un ordinamento quindi intende costituirsi intorno ai diritti naturali civili che non si esauriscono nella
proprietà e nella libertà, ed è in questo contesto che si dimostra essere occorrente una partecipazione
attiva all’esercizio della sovranità, facendo adottare in questa prospettiva nel 1792 il suffragio universale.

Nel corso dell’ottocento i principi di libertà e proprietà continuano ad essere il tema di fondo delle diverse
culture europee, ciascuna delle quali li svilupperà secondo i propri tempi e le proprie modalità e ai propri
diversi modelli culturali:

 ln Inghilterra il processo di costruzione di una società ordinata intorno a libertà e proprietà risale
alla gloriosa rivoluzione
 in Francia invece vediamo che si affermerà con il codice di Napoleone nel 1804

Continua però il dibattito su quale fosse il fondamento dei diritti politici e tale problema continuerà ad
essere dibattuto anche nel primo Novecento in cui però prevalerà la tendenza dell’estensione
dell’elettorato che culmina con l’introduzione del suffragio universale.

Con l’avvio del processo di industrializzazione gli inevitabili mutamenti sociali dovuti alla nascita di nuove
classi sociali pongono il problema della questione sociale ed è possibile ricondurre le strategie di risoluzione
a tre modelli:

1. Strategia liberale; lo Stato rimane estraneo alla disputa sociale facendo solo da arbitro e custode
dell’ordine. Sarà la legge di mercato che, equilibrando la domanda e l’offerta moltiplicherà la
ricchezza collettiva risolvendo così il conflitto.
2. Strategia dell’integrazione; lo Stato deve intervenire nel conflitto facendosi garante dei bisogni
primari dei soggetti più deboli riconoscendo nuovi diritti ad altri soggetti. In questo caso cresce il
ruolo dell’amministrazione pubblica e si moltiplicano le leggi sociali che si affiancano al codice civile
3. Strategia dell’alternativa; considera necessario un profondo mutamento del regime esistente e la
riformulazione dell’ordinamento vigente di libertà e proprietà. In questo caso i soggetti pretendono
dallo Stato un diretto coinvolgimento nel processo produttivo garantendo un’occupazione
adeguata ad ogni cittadino.

 Invece in Germania con la socialdemocrazia tedesca i partiti socialisti inclusero nel loro programma
una serie di diritti sia politici che sociali.
Dopo la prima guerra mondiale prese corpo in Germania un coraggioso esperimento costituzionale:
la costituzione di Weimar del 1919. Lo scopo era quello di realizzare una democrazia capace di
congiungere la tradizione occidentale, ponendo l’attenzione ai bisogni vitali dei soggetti. Ma
l’esperienza weimariana avrà vita breve in quanto in Germania e in Italia nasceranno i regimi
totalitari che metteranno in discussione la centralità dell’individuo dei suoi diritti naturali.

CODICI- PAOLO CAPPELLINI


La codificazione può essere interpretata come concetto poiché rimanda alla parola “codice”.
La parola codice è una parola polisemica, cioè le si possono attribuire diversi significati. Con la parola codice
possiamo infatti indicare tanti oggetti diversi tra loro (es. codice civile, codice binario, codice genetico ecc.)
La sostanza polisemica di tale termine ha comportato non pochi problemi alla scienza giuridica, poiché gli
storici quando utilizzano una parola devono intenderla tutti con lo stesso significato. Nella storia del diritto
si è prodotto ancora più un dibattito circa tale parola poiché ‘codice’ era anche il nome attribuito al ‘codice
di Giustiniano’ che ad esempio non poteva essere uguale al ‘codice napoleonico’ nonostante gli fosse stato
attribuito lo stesso nome.

Per questo motivo da cappellini sono state individuate le diverse caratteristiche necessarie a far
comprendere e per poter determinare quale sia il vero codice. Da qui sono provenute varie proposte dagli
storici: uno storico del diritto, ad esempio, sosteneva che si potesse chiamare ‘codice’ quello che ha delle
caratteristiche di innovazione del diritto, un altro studioso invece sostiene che è possibile considerare
codice tutto quello che è un testo giuridico che ordina e semplifica l’ordinamento. Sono state quindi
attribuite al ‘codice’ diverse caratteristiche che si dimostravano essere differenti a seconda
dell’interpretazione dello stesso storico. L’unica certezza è che tutte le caratteristiche individuate dai diversi
studioso siano contenute all’interno del codice napoleonico del 1804, che rappresenta la vera concezione
della parola codice.

La parola codice rimanda al concetto di scrittura, tant’è vero che un codice è un testo scritto, infatti una
caratteristica comune a tutti i significati della parola è la parola stessa e ciò lo si capisce grazie
all’etimologia della parola codex.
In latino la parola codex significa letteralmente “albero” o “tronco di un albero” e rinvia immediatamente al
materiale utilizzato come supporto per la scrittura (tavoletta).
Il termine “codice” nella sua evoluzione storica presenta un carattere straordinariamente polisemico in
quanto definisce testi molto differenti tra loro. L’unico elemento che accomuna tali testi dal punto di vista
formale è quello della scrittura.

Si può fare la storia della codificazione? Si può ma se siamo d’accordo che il primo codice, intrinseco di
tutte le caratteristiche per essere tale, sia nato nel 1804 allora la storia della codificazione inizia in quel
momento.
La maggioranza degli storici del diritto non considera ‘codici’ i codici precedenti a quello napoleonico, altri
pensano invece che la storia della codificazione sia nata nel 500 altri nel 600.
A dare una svolta nell’interpretazione della storia della codificazione fu il giurista Pio Caroni che ha rilevato
che tutte le storie della codificazione risalgono al 500, anno in cui per la prima volta nella storia una
persona dice che il diritto romano non debba più essere usato e chiede al proprio sovrano di fare esso
stesso delle leggi, quindi la storia della codificazione sarebbe nata in questo momento, cioè quando il diritto
non è più appannaggio dei giuristi ma quando diventa una questione prevalentemente politica, di stato.

Il primo vero codice (napoleonico) ha delle caratteristiche, tra queste la principale quella di essere un testo
legislativo (pieno di norme) e che riesce a sostituire per la prima volta in europa, in particolare francia, il
diritto comune che non viene più considerato fonte giuridica. Quindi si riesce a creare per la pima volta una
fonte giuridica unica e esclusiva (codice napoleonico.)

Secondo Caroni la storia parte quindi dal 500 poiché la caratteristica del codice napoleonico che lo fa essere
tale è intrinseco di idee sviluppatesi prima del 1804. Caroni può quindi individuare nel 500 alcune idee
presenti all’interno del codice del 1804 ma ciò poiché sa già che le idee fiorite nel 500 sbocciano nel 800 (lo
sappiamo poiché possiamo avere una visione completa del passato storico prima del 1804, quindi una volta
che le vicende storiche sono già avvenute e sono già state conosciute) (Queste idee, che finalmente si
concretizzano nel 1804, sono state espresse prima ad esempio dagli illuministi.)

Tale modo di fare la storia si dimostra essere sbagliato. L’errore sta nel fatto di non considerare che le idee
prodotte nel 500 non possono essere le stesse del 800, poiché i due contesti politici erano completamente
diversi e quindi le regole di codificazione giuridiche saranno allo stesso modo diverse.
Gorzio ad esempio non poteva pensare a idee come quelle che ispirarono napoleone nella stesura del suo
codice, come quella di uguaglianza, di uniformità giuridica, di monismo delle fonti, un ulteriore
semplificazione avviene in merito alla scrittura della norma che appare più semplice, questo perché il
codice francese di napoleone non è più scritto in latino ma in francese è ciò gli permette di essere di facile
comprensione.

Le idee quindi che portarono al codice napoleonico non possono essere considerate come lo sbocciare delle
idee del 500.

Per Caroni quindi non si può fare la storia della codificazione poiché ogni codice passato deve essere
considerato per le esigenze che si avvertono in quel determinato momento storico e non sono solo come
frutto di un passaggio necessario per arrivare al codice di napoleone. Quindi per Caroni ogni codice ha
determinate caratteristiche e non rappresentano solo la realizzazione delle stesse nella storia, ma
rappresentano idee proprie e affini al proprio tempo di realizzazione.
Dalla codificazione di napoleone in poi i codici fino ai tempi nostri seguono il medesimo modello
napoleonico; oggigiorno ci sono delle tendenze politiche volte alla decodificazione ponendo una fine a tale
periodo. (della codificazione)

Sono indicati come determinanti a seconda della prospettiva storiografica caratteri sostanziali e/o formali
dei codici, quali:

- innovazione dei contenuti normativi (Viora); (se riprende cose vecchie non è un codice)
- unificazione del soggetto di diritto destinatario della norma (Tarello): (cioè deve realizzare l’uguaglianza
giuridica, rivolgendosi non ai ceti ma ad un astratto cittadino che non definisco proprio poiché un cittadino
può avere tante caratteristiche diverse)
- stabilizzazione del diritto (Grossi); (cioè renderlo certo e sicuro)
- completezza, non eterointegrabilità (Cavanna); (non eterointegrabilità cioè siamo di fronte ad un codice
solo nel momento in cui tale codice si dimostra essere completo) Cavanna intese, in un suo saggio, essere
dinanzi un codice soltanto quando questo risultasse completo. Quasi tutti i codici, prima di quello di
Napoleone, anche se aspiravano a sostituirsi al diritto romano, non ce la fecero perché non contenevano
una clausola (che invece si inventò chi redasse il codice di Napoleone) di non eterointegrabilità. Qualsiasi
codice ha costitutivamente un difetto, cioè ha delle lacune, non regolano tutti i casi giuridici. Ad esempio
Portalis, per ogni caso giuridico esistente in Francia in quel periodo, egli scrive una norma (generale e
astratta) che lo regolano. Una volta scritto, rimane lì, ma i rapporti giuridici, continuano, si modificano, la
realtà sociale va avanti e il codice non può prevedere tutto ciò e si hanno delle lacune.

Si risponde in due modi a queste lacune: con la eterointegrabilità, cioè il codice viene integrato grazie a
fonti esterne (le nuove norme non abrogano le vecchie) o viene integrato grazie all’autointegrazione, con
cui si impone al giurista nel caso in cui non trovi una norma generale astratta che regola il caso concreto,
deve in ogni caso giudicare altrimenti viene arrestato e deve risolvere tale problema per analogia quindi o
attaccandosi a casi similari (norme provenienti da altri casi di diritto) o a principi generali del diritto che
servono da guida al giurista di risolvere i casi non previsti dalla legge(l’autointegrazione pone le basi del
monismo).
Napoleone realizza per la prima volta un vero codice, secondo Cavanna, poiché scrive nell’art 7 delle
preleggi la formula secondo cui dall’entrata in vigore del medesimo codice il diritto romano non aveva più
una sua validità.
-unificazione delle fonti del diritto (Astuti).

Secondo le impostazioni storiografiche attente al fattori sociali, l'avvio dell'età della codificazione coincide
con Il passaggio epocale dal diritto dell'età moderna a quello di età contemporanea, realizzato sul finire del
XVIII secolo con la rivoluzione francese.
Emerge come vecchio ceto o meglio, vecchia classe sociale (in base alla definizione di marx) , dalla
rivoluzione francese la borghesia e si pone alla guida di uno stato.

Tra il 700 e l’800 i Sovrani producono, molto diritto, sempre allo scopo di semplificare l’ordinamento, tanti
tentativi di raccolta di diritti scritti che potrebbero assomigliare ai codici ma tuttavia privi delle
caratteristiche per farli essere tali.

Tali raccolte si dimostrano essere più frequenti negli stati che cercano di affermarsi (es.francia, spagna,
mentre stati come l’inghilterra non saranno mai raggiunti dal fenomeno della codificazione poiché il potere
politico si disinteressa della produzione normativa.
Nell’Europa continentale si vedono una serie di interventi normativi che tuttavia, rispetto al codice di
Napoleone (con tale codice l’organizzazione delle fonti, passa da plurimo a monismo), non riusciranno a
sostituire lo ius comune.

Pian piano i re diventano sempre piu esperti di diritto e nelle corti sono presenti sempre piu giuristi, si
arriva cosi con Il Re Sole, e la sua ambizione di costruire uno stato in cui lui potesse realmente governare in
maniera assoluta senza cedere pezzi del suo potere politico ad altri (pero cio non gli riuscì), ai 3 interventi
legislativi che presero il nome di ordinancee.

Nel 1667 le “ordinance civil” cioe raccolse tutto cio che lui ritenesse fossero le norme regolanti i rapporti
civili. Tre anni dopo, 1670, fece le ordinance criminell, (diritto penale) e nel 1673 le ordinance du
commerce che presupponevano l’idea di uguaglianza giuridica applicata alla persona dei sudditi, tale
volonta doveva quindi rendere tutti i sudditi uguali tra di loro ma non mettevano il sovrano allo stesso
piano di quest’ultimi (ma ad uno superiore).
Queste 3 odonance pero non possono essere considerate codice poiché manca l’elemento di
eterointegrabilita, infatti queste 3 odornance vengono sottoposte dai giuristi alla stessa interpretazione con
cui loro sottoponevano le regole del corpus iurs civili, attraverso tale lettura dei giuristi, abbastanza
personale, appaiono essere evidenti molte le lacune (delle ordinance) che rendevano necessaria la
presenza di un dritto comune che rimanesse vigente.

Per una gran parte di storici del diritto le chiamano compilazioni, ossia compilazioni di testi giuridici che
raccolgono il diritto, le quali introducono molte novita e diritto nuovo rispetto il diritto romano ma che pero
non riescono ad avere la caratteristica dell’esclusivita nel governare il governo.

In italia soprattutto si muovono gli stati gia formati, come ad esempio lo stato di savoia, dove il re Vittorio
amedeo II tra il 1723 e il 1729 prova fare il suo codice ma anch’egli fa un codice che cerca di introdurre
nuove norme giuridiche che pero anche qui tollerano la presenza di fonti esterne che possono colmare le
lacune del suo codice.

A napoli, carlo di borbone nel 1734 compie un tentativo di introdurre nel suo regno una codificazione si
scontra per mezzo di questo con il ceto giuridico che si dimostrava essere cosi arretrato da non permettere
allo stesso sovrano di emanare in alcun modo tale codificazione, per questo motivo tale codice e’ stato solo
accennato.
Le codificazioni o compilazioni che danno più problemi, e che hanno il proprio apogeo nel 1804 sono:

 L'Allgemeines Landrecht für die preussichen Staaten (Diritto territoriale generale per gli stati
prussiani) fu pubblicato nel 1794. Fortemente voluto da Federico Il il Grande.
Definito "allo stesso tempo progressista e conservatore" (Caroni) produsse mediazione tra istanze
illuministiche e assolutistiche. Tale codice avviene esattamente 10 anni prima del codice di
napoleone e viene elaborato in uno stato (Prussia) che non è stato raggiunto dalla rivoluzione
francese ed è per questo ancora diviso per ceti. Tale codice appare essere ‘contorto’ poiché
richiama contemporaneamente concetti tipici di una visione progressista sia a concetti di visione
conservatrice.
Una delle sue caratteristiche più importanti è però che tale codice rappresenta il primo codice,
prima di quello di Napoleone, che possiede la caratteristica della non etero integrabilità, quindi
realizza l’unificazione delle fonti giuridiche poiché si pone in maniera esclusiva. Da una parte tale
codice ha un ‘accelerazione’ verso il progresso, d’altra parte invece si pone come sussidiario ai
diritti dei lend, quindi non realizza una delle unificazioni più importanti, ossia quella del territorio.
Svolge quindi un’unificazione per metà del popolo, completamente l’unificazione del diritto e per
niente l’unificazione del territorio.
 Il codice austriaco Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch für die deutschen Erblander der
ästerreichischen Monarchie (Codice civile generale per i territori tedeschi), entrò in vigore nel
1812. Il codice ABGB è il libro di leggi (codice) per tutti i borghesi (borghesi intesi come abitanti dei
borghi e non come ceto sociale), tale codice appare poco condizionato dall'autoritarismo dei
sovrani e dalla volontà di conservazione della tradizionale organizzazione sociale. Tale codice
realizzava l’unificazione del soggetto del diritto, quella territoriale ma non quella delle fonti del
diritto.

Struttura formale:

 1502 paragrafi tripartiti secondo lo schema gaiano (personae-res-actiones);


 riferimenti solo al diritto privato, quello pubblico continuava ad essere considerato una prerogativa
del sovrano.

Aspetti contenutistici:

 presenza di fattori d'innovazione che convivevano insieme ad elementi tradizionali (esemplificativa


è la disciplina del matrimonio);
 il par. 7 sanciva la possibilità di riferirsi ai "principi di diritto naturale" nel caso di lacune,
presentandosi dunque come fonte non esclusiva del diritto privato, è un codice autointegrante

Il codice del 1804 (di Napoleone) non fu un fenomeno che riguarda solo la francia ,ma da li parti un modo di
concepire il diritto che condizionò non solo l’Europa ma tutto il mondo.]

 II Code civil des Français fu promulgato in Francia Il 21 marzo 1804 e viene assunto
concordemente dalla storiografia come il modello di codice moderno. Esso viene
simbolicamente considerato come II punto di riferimento che segna Il momento di frattura tra
l'età del diritto comune' e quella designata come "età delle codificazioni".

La Francia giuridicamente non era unita nel suo territorio (a ridosso della rivoluzione francese), poichè era
divisa in paesi in cui si applicano le norme scritte, vale a dire il corpus iuris civilis nella sua versione
commentata e glossata (regioni del sud), e paesi che basavano il loro ‘diritto’ su consuetudini perlopiù
tedesche. In Francia si parte da una situazione di antico regime e quindi di pluralismo giuridico e addirittura
di separazione territoriale. Tra lo scoppio della rivoluzione e il 1804, anche non potendo del tutto ricostruire
i fatti, sappiamo che si alternano varie fasi in contrasto tra di loro.
Quasi un anno prima dello scoppio della rivoluzione, viene pubblicato un decreto sull’organizzazione
giudiziaria che enuncia “le leggi civili saranno rivedute e riformate dai legislatori per poter poi fare un
codice di leggi semplici, chiare e adatte alla costituzione”, quindi si aveva già come caposaldo la
codificazione . Tra questo decreto istituzionale e il 1804, cioè anno di pubblicazione del codice, si
susseguono diversi interventi legislativi propri delle varie fasi della rivoluzione, in particolare con gli
interventi legislativi non codificati si realizza l’abolizione dei diritti feudali e viene abolita la mano morta
ecclesiastica cioè l’istituto che impedisce la messa in commercio di beni appartenenti al clero, attraverso
questo semplice provvedimento (abolita mano morta ecclesiastica) si libera un terzo dei territori francesi
alla disponibilità del commercio.

I primi progetti di codice, prima del 1804, furono:

• 1793: progetto Jean-Jacques Régis Cambacêrès. Il progetto fu lasciato cadere dalla Convenzione dopo due
mesi di discussione, con ogni probabilità a causa dell'opposizione del Comitato di salute pubblica. Il primo
progetto presenta tre libri: persone, cose e contratti (tale distinzione ricalca il modello di giustiniano). Tale
testo segue l’ideologia rivoluzionaria, ma anche essendo molto innovativo non viene approvato poiché vi è
una nuova spinta in avanti verso robespierre che fa concepire tale testo come troppo conservatore.

•1794 secondo progetto Jean-Jacques Régis Cambacérès. Si trattava di una sorta di esperimento di "codice
di principi”. Le critiche si appuntarono proprio sul suo carattere eccessivamente sintetico e il progetto
cadde il 9 dicembre 1794. Tale progetto viene definito come un breviario del radicalismo giusnaturalista
poichè il primo progetto costava di 700 articoli e in questo progetto li condensa in soli 297 articoli.

• 1798: progetto Jean Françols Jacqueminot. Nemmeno il terzo progetto ottenne l'approvazione
parlamentare, sebbene molti articoli in esso contenuti furono recepiti nel testo definitivo.

Napoleone nel Novembre del 1799 diventa primo console e a fine dicembre presenta la costituzione e già
ad agosto del 1800 ha l’intento di iniziare i lavori di codificazione. Una nuova commissione venne nominata
il 12 agosto 1800 ed incaricata redigere un nuovo progetto di Codice civile. Nel suo celebre Discorso
preliminare al progetto, aveva difeso la possibilità che il giudice continuasse a ricorrere all'equità in tutti I
casi non esplicitamente regolati dal codice.
Ma la complessità della strutturazione di un codice non è tanto il fatto che esso debba essere preparato e
scritto ma ancora più complicata era la sua approvazione.( Ad esempio in Italia l’uso del parlamento prima
di approvare una codificazione era riunirsi e discutere, con discussione libera e non contigentata, articolo
per articolo.) L’iter legislativo della codificazione prevede che sia discusso in un organo che si chiama
consiglio di stato, dibattuto in un altro organo che si chiamava tributato e infine votato “si o no” nel corpo
legislativo (il maggior dibattito si aveva nel consiglio di stato, che si riunì 102 volte, poiché li si riunivano i
più importanti giuristi francesi e dove Napoleone partecipava almeno per la metà delle sedute ciò per
‘influenzare’ i giuristi che non si sarebbero opposti al volere di quest’ultimo, quindi possiamo dire che tale
codice è fortemente influenzato ideologicamente da napoleone ). Tale codice, che segna il passaggio da
antico a nuovo regime, conta 2281 articoli ed è tripartito: 1 persone, diritti delle persone 2 diritti reali,
proprietà o altri diritti reali 3 acquisto della proprietà e trasferimento, successione, testamento,
obbligazioni (sono i modi per trasferire i beni giuridici). Prima di questi articoli vi erano 7 altri, che
andavano a comporre il titolo preliminare (inventato per la prima volta da Vittorio Amedeo II nel 1723),
cioè articoli costituzionali che guardassero a come dovesse essere il diritto costituzionale, si prevede così il
principio di retroattività della legge. Introduce i limiti all’autonomia privata (contratti), e dice che
quest’ultimi debbano essere guardati alla luce del buon costume dell’ordine pubblico, introducendo questi
due criteri di interpretazione del contratto. Gli art delle preleggi sono 7 ma è importante soffermarsi sul
settimo che prevedeva “a partire da oggi tutte le leggi romane, le ordinanze, le consuetudini locali o
generali, gli statuti, i regolamenti, cessano di avere vigore nelle materie riguardanti il diritto”, si parla così
di non eterointegrabilità, quindi la chiusura delle porte a fonti esterne anche in caso di lacune.
E’ necessario guardare il contenuto di un codice per sapere se esso è progressista o conservatore, in
particolare per fare ciò bisogna osservare l’istituto del matrimonio e quindi della famiglia, ma è inoltre
importante osservare anche l’istituto della proprietà. La proprietà romana, il proprietario è completamente
libero nel fare ciò che vuole dell’oggetto in sua proprietà.
Con napoleone invece il potere economico e politico si basa sulla proprietà e la sua libertà (come anche
quella dei mezzi di produzione), nell’art 544 del suo codice napoleone scrive a proposito della proprietà “la
proprietà è il diritto di godere e di disporre della cosa nella maniera più assoluta purché non se ne faccia un
uso vietato dalla legge o dai regolamenti), l’unico limite dell’esercizio della proprietà è quindi posto dalla
legge .

Sotto l’aspetto economico ci fu l’introduzione del possesso come titolo (proprietà è un diritto difeso dalla
legge, il possesso è uno stato di fatto)che semplificava la commerciabilità dei beni facendolo (possesso)
valere titolo, infatti si presupponeva che chi fosse in possesso di un immobile allora ne avesse anche la
proprietà.

Questo codice sotto molti aspetti era progressista ma sotto altri no, la famiglia ad esempio per napoleone si
costituisce per matrimonio ed è il vivaio dello stato, cioè dove cresce il senso dello stato, il divorzio è un
istituto di carattere eccezionale, esiste ma lo si può richiedere solo per adulterio, condanna a pena
infamante del coniuge, eccessi e ingiuria grave, quello del muto consenso (quando non ci sono tali episodi),
si può liberamente divorziare secondo la legge ma attraverso i giudici ciò non diventa possibile. La patria
potesta (altro aspetto per comprendere se un codice è progressista o meno), cioè l’obbligo del padre di
gestire e regolare la vita dei propri figli fino alla maggiore età è restaurato integralmente, i figli naturali non
sono più equiparati ai figli legittimi. La moglie deve obbedire al marito che per ripagarlo della sua
obbedienza la deve proteggere.

In Francia con l’entrata in vigore del codice nelle scuole giuridiche si insegna il codice e non vi è più alcun
tipo di interpretazione, tale scuola prende il nome di esigesi, cioè interpretazioni (che assume una
connotazione del termine differente da quella, cosi intesa, dell’antico regime). L’interpretazione esegetica
del corpus iuris civilis consisteva nell’impararlo a memoria e nel commentarlo. Tuttavia solo i giuristi più
colti utilizzavano tale tecnica di commento al codice, inoltre, per ogni articolo aggiungevano i casi in cui
era capitato di applicare una determinata norma e con la nascita di nuovi codici provvederanno con la
comparazione legislativa tra gli stessi. In Francia quando qualcuno tentava di comparare diacronicamente
(a retroso nel tempo ) gli venivano tagliate le mani poiché non era possibile in alcun modo far riferimento
al vecchio diritto romano.

Con il passare del tempo la scuola delle esigesi incomincia ad avere molti ascoltatori e si diffonde il metodo
di commentare il codice dove si codifica (nasce un atteggiamento di intoccabilità della legge che quindi non
prevede un interpretazione del codice ), tale fenomeno nasce in francia e si espandei n tutto il mondo.
L’unica nazione che sceglie di non codificare è la germania.
Non solo vi erano molteplici conflitti tra tedeschi e francesi, i tedeschi pensavano inoltre che non fosse
necessario codificare e realizzarono una certezza del diritto che impedì fino al 1900 per la propria nazione
di codificare il diritto (fino all’entrata in vigore del bgb).

PROPRIETA E CONTRATTO- PAOLO GROSSI


L'Istituto della proprietà è importantissimo perché attraverso questo i borghesi puntano sulla libertà di
essere proprietari. I caratteri generali sono dunque:

 L'assolutezza, La proprietà è un diritto libero che nasce libero da condizionamenti reali e


obbligatori, cioè nessuno può permettersi di avere un altro diritto su quella cosa che io ho in
proprietà, se io non lo voglio.
 L'unitarietà spetta a un solo e indeterminato soggetto giuridico
 La certezza, cioè la costanza nel tempo delle prerogative connesse al diritto. Non perdo il diritto per
il semplice passare del tempo.
 L'inviolabilità da parte dei terzi e soprattutto dello Stato, che non può in alcun modo limitare il mio
diritto di proprietà.
 Accessibilità formale a tutti ma il codice da solo non realizza l'uguaglianza della persona. (Il punto di
caduta del codice è proprio questo, gene uguaglianza formale ma non sostanziale.)

Fare la storia dell'Istituto della proprietà può essere raccontare un movimento circolare, descrive un
cerchio che si chiude perché la storia del diritto di proprietà si compone di tre fasi: Fase medievale, fase
napoleonica e fate attuale. Si passa dalle proprietà, alla proprietà e si ritorna alle proprietà. La proprietà da
cui si parte e le proprietà a cui si arriva, non sono plurali perché sono uguali. Giustiniano, nel diritto
romano, regolò la proprietà come “ius utendi et abiutendi”, cioè la possibilità di fare di disporre della cosa
in possesso nella maniera più libera (la posso usare e ne posso abusare, posso anche distruggerla perché il
mio diritto su quella cosa è assoluto). Bartolo, leggendo questa cosa nei cambia totalmente significato e
dice che l'Istituto della proprietà ora si chiama Dominium, che si articola in due figure:

 Dominuius directus, quello che è titolare della proprietà


 Dominius utilis, soggetto che fa fruttare quel fondo. L'utilizzazione del bene ha dei diritti connessi a
quel bene e dunque limitare i diritti del dominus direcuts che non può dunque disporre della cosa
in maniera assoluta.

Per tale ragione si parla di proprietà al plurale sui beni nell'epoca medievale. Nella seconda fase, nell'epoca
napoleonica, napoleonica, si torna alla proprietà singolare come un tempo alla intendevano ai romani,
intesa come il diritto di disporre nella maniera più assoluta, e quindi esclusività, accessibilità formale e
assolutezza. Non può subire limitazioni da terzi privati né dallo Stato. napoleonica, questa concezione te la
proprietà si protrae fino alla Prima guerra mondiale. Per poi ritornare a chiamarsi le proprietà perché
attualmente il proprietario non è più libero di disporre della cosa liberamente, ma obbliga il soggetto
proprietario a contribuire al. Benessere della società (nell'età contemporanea, posso essere limitata dallo
Stato)

(Età medievale: limitazione di terzi ma non limitazione dello Stato. Età napoleonica nessuna limitazione. Età
attuale, limitazione di terzi no, ma dello Stato si.)

Il contratto è disciplinato dall’ art 1134 dice che “salvo le limitazioni di ordine pubblico e di buon costume,
l’autonomia privata ovvero il contratto è legge tra le parti”. Ci sono 4 condizioni affinché il contratto sia
valido: il consenso, la capacità di agire delle parti, l’oggetto determinato, causa lecita.

Con il codice di napoleone si assiste alla grande vittoria nel diritto dello stato, il diritto diventa faccenda
pubblica ma, nonostante ciò, non si realizza l’unificazione dello stesso. In un ordinamento codificato le tra
unificazioni (fonte, soggetto e territorio) non sempre si realizzano:

 Monismo attuale delle fonti, il diritto da pluralistico diventa monista ma comunque la potestà
legislativa oggi non risiede solo nel parlamento ma esiste anche una potestà legislativa territoriale
(alcune materie sono assegnate in via esclusiva alle regioni);
 Unificazione del territorio, legge regionale che varia da regione a regione
 Unificazione dei soggetti giuridici, la legge è uguale per tutti, idea di un astratta uguaglianza. La
legge nel medioevo fotografa la società nella disuguaglianza e la regolava (società disuguale con
norme disuguali); nuovo regime, nuove leggi uguali per tutti ma persiste una società diseguale
(uguaglianza formale, la società è bloccata in ceti, radiografia della società, astrazione delle
posizioni, cerca di strutturare una cornice di uguaglianza perché alla borghesia conviene che la
popolazione accetti la codificazione perché si sente in condizione di uguaglianza)
Con il Congresso di Vienna del 1814 le vecchie dinastie regnanti ritornarono sui loro troni, ma il codice
Napoleone resistette perché anche in seguito all’ emanazione di altri codici, questo diede un'idea di
modernità; Quando i sovrani europei tornarono sui loro troni non potranno far altro che codificare dando
così ragione a Napoleone e per timore di rivolte popolati.
Di solito i sovrani restii non trovavano di meglio che ricopiare, tradurre il codice francese del 1804 quindi da
un lato riuscirono a introdurre alcune di quegli effetti positivi ma restavano comunque leggi inadeguate
perché non sorte nei paesi in cui venivano applicate.
Quando si apri poi la fase della colonizzazione, i paesi europei che colonizzavano gli “incivili” il loro scopo
era proprio quello di civilizzarli e strumento migliore era l’imposizione anche lì del codice francese. Il codice
francese divenne da un lato un modello qui tendere per cui si voleva definire “moderno” e dell’altro lato
divenne strumento di civilizzazione (il Giappone decide di adottare l’ABGB, il codice tedesco).

La penisola italiana si presenta divisa in:

- Parte centro nord-occidentale (Piemonte, Toscana, Parma, Piacenza, Umbria, Liguria, Lazio) diventano
dipartimenti imperiali, cioè sono un pezzo di impero un pezzo della Francia

- Parte centro nord-orientale (Alto Adige, Friuli, Lombardia, Marche) qui vige il codice francese ma viene
tradotto in italiano (Regno d’Italia)

- Regno di Napoli, Napoleone invia qui prima a governare il fratello Giuseppe che divenne poi re di spagna e
poi invio il cognato Gioacchino Murat. Il popolo napoletano vide che grazie ai francesi questo territorio
riceveva delle innovazioni di tipo politico-amministrativo (nasce una struttura amministrativa, un controllo
dello stato che dal centro organizzasse il potere nelle periferie con l’introduzione di nuove figure come i
prefetti). Il codice civile entra in vigore qui il 1° gennaio 1809 e vengono abrogate tutte le vecchie
consuetudini. Al sud la battaglia sul divorzio è ancora dura, perché mentre Murat voleva totalmente
eliminarlo, alla fine fu conservato per volontà di Napoleone stesso.

Con il Congresso di Vienna, l'Italia ritorna frammentata, la legislazione è comune ma inventata dai francesi:
Ciò genera entusiasmo ma anche avversione da parte dei giuristi italiani, perché loro si sentono gli esperti
del diritto a livello mondiale in virtù della loro discendenza dai romani, gli inventori della scienza del diritto.

 Il lombardo Veneto era la parte del Regno austriaco e dunque qui si applica l’ABGB dopo il
Congresso di Vienna.
 Il Ducato di Parma e Piacenza. Qui il sovrano ritorna e realizza un proprio codice che unifica la
materia civile e commerciale (introducono nel nuovo ordinamento anche numerose forme di
contratto agrario presenti nelle consuetudini locali).
 Il Regno di Sardegna, Con i Savoia che saranno i regnanti che porteranno avanti il processo di
unificazione italiano del 1861. Carlo Alberto, il sovrano produce un codice nel 1837 che prende il
nome di codice Albertino. Questo è il primo codice del mondo a menzionare i principi generali del
diritto di tipo costituzionale (segnalava i diritti civili e politici dei cittadini)
 Il regno di Napoli, qui i Borboni introdussero numerose innovazioni ma vi potevano accedere solo
le persone di un certo rango. Anche loro per evitare molti insurrezioni, vollero produrre un codice e
così Ferdinando IV fa scrivere il codice per il legno delle due Sicilie (1816): Questo codice però non
assolveva alle sue funzioni di semplificazione del diritto, infatti, mise insieme diritto al civile penale
leggi di procedura penale, leggi di procedura civile e leggiti commercio senza distinguerli. Quindi si
venne a creare un caos legislativo e quindi segno è frutto di una monarchia arretrata.

A seguito dell'unificazione del 1861 era necessario scegliere quale diritto applicare all'Italia; quando si riunì
il Parlamento italiano, lo statuto albertino del 1848 fu esteso a tutte le regioni italiane.
Furono avanzate tre proposte in Parlamento:
1) mantenere momentaneamente la disuguaglianza giuridica (Non fu però accettata per una
questione di opportunità politica)
2) Ritorno al codice napoleonico perché l'Italia si presentava nelle stesse condizioni di arretratezza
della Francia nel 1804.
3) Fare ex novo dei codici ma il problema stava nel come farli E qui che nasce la distinzione tra
codificazione civile e codificazione penale (problema della doppia velocità). Si reputò più
scandaloso presentarsi a livello internazionale frammentati dal punto di vista penale e civile
(Costituzione Leopoldino e abrogazione della pena di morte). A Napoli la soglia minima di
imputabilità era 9 anni che poteva anche essere mandata a morte. Il Parlamento decise allora
di adottare il codice penale sabaudo e di estenderlo a tutti, ma in realtà la pena di morte non
era valida in Toscana e l'età minima di imputabilità a 12 anni, a Napoli rimaneva di 9 anni ((il
primo vero codice penale fu quello del 1889 -Codice Zanardelli-). Per il codice civile, invece, il
Parlamento comune incomincia a discuterne con più calma e vengono avanzati dei progetti. Il
primo nel 1861 con Giuseppe Pisanelli, il primo a commentare il codice.

Carlo Alberto nel 1848 fece redigere la Costituzione del Regno Sabaudo conosciuto come statuto Albertino,
che diventerà automaticamente della costituzione del nuovo Regno d'Italia. Con lo statuto albertino siamo
ancora in uno Stato liberale di diritto, nel senso che la legge ad essere la garanzia dei diritti, delle libertà
delle persone, perché la Costituzione, quando esiste ha forza pare alla legge. La costituzione di Weimar del
1919 fu una delle prime costituzioni che si trovava all'apice della gerarchia delle fonti (forza sovraordinata
alla legge), ciò significa che è difficile modificarla e nascono degli organismi come la Corte costituzionale,
che verifica la compatibilità delle leggi con i principi scritti nella Costituzione. * nel meridione ci fu una forte
opposizione all'unificazione italiana perché guidata dai Savoia (qui è diffuso il fenomeno del brigantaggio).
Per quanto concerne il codice civile italiano, si optò per lo scrivere un nuovo codice: l'iter parlamentare fu
lungo e complesso, nel 1861 il ministro della Giustizia Cassinis cerco di modificare il codice Albertino, ma
data l'instabilità politica, il governo dei cadde e insieme a lui anche il suo progetto. L'anno successivo il
nuovo ministro Marco Miglietti elaborò un progetto progressista basato sul codice napoleonico: Patria
potestà, diminuita presenza dei principi generali del diritto e la protezione degli incapaci. Oltre che alla
Corte di giustizia, questo codice fu giudicato anche da 5 commissioni (Firenze, Milano, Napoli, Torino e
Palermo) formate da professori universitari. Anche questo codice a causa della mancata riconferma di
Miglietti al dicastero decadde. Così nel 1863 si arriva a Giuseppe Pisanelli, esponente di destra storica (In
Italia fino al 1870 75. Si parla di destra e sinistra storica, cioè chi la composizione dei partiti di destra e
sinistra era così omogenea che non si riuscivano a distinguere). Comincia l'iter per la stesura del codice, si
raccolgono consensi, la capitale da Torino è spostata a Firenze e in seguito a Roma, nel 1864 il governo
Chiese al Parlamento il permesso di poter legiferare autonomamente per velocizzare i tempi, ma così si
evita la discussione parlamentare e dunque il popolo così non è più rappresentato (decisione autocritica,
decreto-legge, decreto legislativo odierno). il 2 Aprile 1865 viene emanato il codice civile che poi entra in
vigore il 1° gennaio 1866. I contenuti del nuovo codice civile sono:

 Famiglia: reintroduzione del matrimonio civile, esclusione del divorzio ma contemplata la


separazione che liberava la donna dall'Autorità maritale. il matrimonio è difeso, per cui i figli
legittimi hanno l'eredità mentre quelli illegittimi no e la potestà era sempre esclusa alla donna
 Proprietà: Resiste il modello proprietario napoleonico, ma rispetto a questo la società è progredita
e vedeva alcune forme di comunione. nelle successioni. Era privilegiata la famiglia attraverso la
prevalenza della successione legittima su quella testamentaria (Olografo).

LAVORO E IMPRESA- GIOVANNI CAZZETTA


Elementi di arretratezza del codice erano rappresentati dall'arresto per debiti (a metà tra civile e penale,
era previsto il carcere) e dal diritto del lavoro ( SAGGIO 6) concepito come ambito privatistico (locatio
operarum) senza alcun elemento di carattere pubblicistico o sociale.

Il contratto di lavoro è un contratto bilaterale sinallagmatico, ovvero questi conclude tra due parti e ha
effetti reciproci scambievole tra i due contraenti. Il contratto è legge tra le parti e per essere valido deve
avere:
una causa lecita, un oggetto determinato e il consenso dei due contraenti.

Nel contratto di lavoro il bene venduto è la forza lavoro e il prezzo è il salario, il guadagno. Ma in un primo
momento i diritti dei lavoratori non erano per nulla considerati, per cui gli operai protestavano per il
numero eccessivo di ore lavorative e anche per lo sfruttamento del lavoro minorile.
L'idea semplificata di contratto di lavoro ha portato a sottovalutare i problemi sostanziali che questo
generava, in quanto era si necessario l'accordo tra le parti, ma l'operaio poteva scegliere se accettare o
meno, come allo stesso modo poteva farlo l’imprenditore ma con conseguenze diverse, perché l'operaio
non avrà mai di che vivere, mentre il capitalista potrà proporre le stesse condizioni lavorative a migliaia di
altri operai.

A partire da metà-fine 800 gli operai riconoscono la loro debolezza come parte contrattuale e insieme si
uniscono decidendo di rifiutare i contratti di lavoro. Alla forza contrattuale dell'imprenditore si risponde con
la forza di unione degli operai e nasce così il sindacato, gruppo di operai scioperanti.
Il primo sciopero generale italiano fu promosso ad opera dei tipografi il 15 settembre 1904. Il primo
sindacato fu la CGL (Confederazione generale del lavoro) che si rivolgeva agli imprenditori proponendo un
tot di operai associati alla propria sigla sindacale e chiedeva di assumerli assicurando loro un certo salario e
un determinato numero di ore lavorative. E in cambio assicuravano che gli operai non avrebbero scioperato
e dunque non avrebbero bloccato la produzione. I sindacati riescono a trasformare la locatio operarum in
contrattazione collettiva del lavoro: Si passa da una contrattazione individuale di lavoro svantaggiosa per
gli operai a sindacati che rappresentavano gli operai e ottengono anche la registrazione come i soggetti
giuridici (capaci di agire in nome e per conto di chi rappresentano). I sindacati non riconosciuti, si sedevano
a contrattare facendo una specie di precontratto, stabiliscono con l'imprenditore dei limiti (numero
massimo di ore lavorative, età minima, ecc.…): Gli effetti giuridici di questo accordo non si estendono però
automaticamente a tutti i membri, per cui ogni lavoratore dovrà firmarlo (contratto di tariffa, un
precontratto).
L’accoglienza del codice tra i giuristi è come un Giano bifronte, (espressione usata da Gazzetta storico del
diritto) un Dio greco che guarda avanti ma insieme guarda indietro. Ciò significa che il codice è un prodotto
innovativo ma allo stesso tempo conserva intatti i caratteri tradizionali del diritto italiano, che affondano le
radici nel diritto romano. Il codice immaginario, la maggior parte dei giuristi italiani sostennero che i
contenuti del codice di Napoleone appartengono già alla loro tradizione e quindi l'adesione al modello
napoleonico avviene perché quel codice non era straniero, bensì ripreso da Giustiniano dalla tradizione
giuridica italiana romana (È una rielaborazione, una visione moderna del nostro diritto tradizionale,
continuità tra diritto romano e diritto napoleonico, come se il Medioevo non vi fosse anche se segnato un
momento di rottura, dunque, il diritto napoleonico si rifà a glossatori e commentatori non al corpus iuris
civilis in sé.
Con il codice non c'è più una visione europea, dato che non si analizza solo un testo, i giuristi italiani
depotenziano l'attività di Napoleone adattandolo ai costumi e alle situazioni sociali presenti.
L'occultamento del dato politico che dava Napoleone nel codice impedì ai giuristi di discutere politicamente
le scelte del legislatore. L'Italia nell'Ottocento è l'unico paese europei occhi e ricevette l'influenza. Diversa e
si avvicinò anche alla Germania con la sua scienza tedesca anti-codice, i commentatori o spediscono oppure
erano diversi dalla prima fase. In questo contesto si notava una forte impronta del giurista Savigny, che
nacque nel 1779 a Berlino ed Incominciò nel 1802 a insegnare corsi di metodologia e scrive il diritto del
possesso. Nel 1810 in Prussia viene inventato il metodo di studio con la ricerca e Savigny insegnò in questa
nuova università con questo nuovo metodo, esso riteneva che la funzione dell’università fosse formare
scienziati. Nel 1814 scrive “sulla vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza”, dove
inizia a criticare il codice. Diventa ministro della legislazione nel 1842, ma rinuncia alla carica e continua ad
insegnare e studiare. La nascita della scuola storica è stato compito suo Savigny a lezione da molta fiducia
agli studenti, lavorando anche insieme durante le lezioni, chiedendo pareri e consigli. Egli riteneva che il
codice avesse tre difetti:
 Difetto politico che deriva dalla Francia non è possibile prendere un prodotto giuridico da un
nemico.
 Problema di chi faceva il codice, Il dritto è diventato stabile, ma se si persa la scienza del diritto, ora
l'esecutore cambia e questo potere viene sottratto al tecnico del diritto.
 Il codice non può più prevedere ciò che accadrà.
 Il codice cristallizza il diritto, per il semplice fatto di essere scritto fotografa il diritto e non lo rende
elastico e quindi non utilizzabile per i cambiamenti della società. Savigny dice che I francesi sono
più rozzi e il codice è espressione dello spirito di un popolo, ognuno con i suoi caratteri distintivi. Il
diritto individua i caratteri specifici di un popolo.

La sua soluzione era quella di ritornare al diritto romano e quindi si deve tornare alla scienza giuridica con i
giuristi, ma questo significava tornare al passato. E quindi si fa una considerazione. Egli afferma che se il
diritto deve rappresentare il popolo tedesco, deve essere quindi visto alla sua formazione, quindi alle
origini. Si deve far nascere quindi un diritto che deve eseguire lo spirito del popolo, Ma affidato ai giuristi
per capirlo. Quindi, giuristi devono interpretarlo in modo chiaro, non scritto e in modo non arbitrario, ma
uguale per tutti. Quindi bisognava ristudiare il diritto romano, ma il diritto è una scienza e quindi bisogna
rendere i giuristi degli scienziati, i quali hanno tutti la stessa base e un metodo comune. Savigny dice ai
giuristi tedeschi di fare un diritto fluido ma non arbitrario. Egli cerca di dare un oggettività che in realtà non
c'è, afferma che il codice cristallizza il diritto e bisogna comprendere la metodologia di come si produce il
diritto metodo dell'astrazione. Se si usano i medesimi postulati e lo stesso metodo dell'astrazione (usare le
stesse tecniche e una scienza comune) le pronunce dei giuristi non saranno così tanto differenti. Il fatto o
l'atto, il negozio o il contratto giuridico è tutto ciò che produce conseguenze giuridiche. Questo è un codice
sistematico, ovvero c'è l'organizzazione di concetti giuridici.

GIUSTIZIA CRIMINALE- MARIO SBRICCOLI


Gli esperti di diritto per essere tali devono dedicarsi ad una singola branca del diritto, specializzandosi in
una di esse. Proprio come abbiamo detto per il diritto pubblico, anche per il diritto privato è necessario
individuare dei punti di rottura per poter effettuare una periodizzazione e quindi suddividere le grandi
epoche dell’età della penalistica.

In passato esisteva la presunzione di innocenza ma la presunzione di colpevolezza.


Il momento in cui si avverte da parte della storia giuridica la necessità di dare una svolta al sistema è il
1764, data di pubblicazione di “diritti e delle pene di Cesare Beccaria”. Il pensiero di Beccaria veniva fuori
da una serie di lunghi anni (20-30) in cui altri giuristi riflettevano sul significato della pena e la sua
rieducazione. Questo passaggio da una sorta di tortura ad un periodo in cui vi era una tutela per le parti in
causa, permise all’uomo di migliorarsi, ciò venne messo in discussione da un filosofo francese mivhelle
sauvo. Le ragioni di questo aggiornamento delle pene fa pensare che ciò corrisponda ad un progresso e una
volontà di assumere un comportamento meno violento nei confronti di colui che è sottoposto ad una pena.

(saggio 7, giustizia)
In Italia furono estete per la prima volta leggi penali a tutto il territorio nel 1889, e con il ministro
zanardelli venne emanato il codice penale che venne elaborato dal 1881 al 1889 (anno della sua
pubblicazione). Si crearono dal 1861 al 1915 2 scuole penalisiche: la classica (guardava al secolo dei lumi di
beccaria) composta da penalisti come francesco Carrara, a cui si contrappose una serie di personaggi non
necessariamente giuristi capeggiati da cesare di lombroso. Lombroso è stato dipinto come una sorta di
demone e razzista ma tuttavia possiamo constatare che esso stesso è ebreo e socialista, era un medico è
diventò l’intellettuale italiano più famoso all’estero che aveva scritto ‘l’uomo deliquente’.

Torniamo a sbriccoli. La storia della giustizia può dividersi in 2 grandi fasi, la giustizia penale negoziata e la
giustizia penale egemonica. La giustizia penale per molti anni è stata trattata come un affare privato che
riguarda 2 parti in cui non interviene lo stato, parliamo in questo caso di giustizia negoziata. La giustizia
egemonica riguarda invece il potere

A partire dal XI secolo, nell’ambito dell’organizzazione politica comunale del basso medioevo, si affermò un
sistema di giustizia penale che ebbe il suo fulcro nella vendetta privata. Tale mezzo ordinario di giustizia “si
è radicato nelle mentalità e nel costume e riposa sulla convinzione che i crimini che colpiscono le persone –
nella vita, nell’incolumità, nei beni, nell’onore- sono affare privato, da sbrigare tra gli interessati,
coinvolgendo famiglie e amici, se necessario, ma non i poteri pubblici" (M. Sbriccoli, Giustizia criminale, in
Id., Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Tomo I, Milano, Giuffrè, 2009,
pp. 3-44 (p. 4).
Tale strumento per la soluzione dei conflitti e per la riparazione dell'equilibrio violato traeva le sue origini
dal diritto germanico. Tra il VI e il VII secolo, infatti, le popolazioni germaniche, all'interno della logica dello
scambio vendicatorio, avevano, trovato nella figura della faida (dal tedesco Fehde, ostilità, lite) uno
strumento rituale (non è più importante il pugno ricevuto ma il rito avvenuto attorno a tale fatto) per
comporre i conflitti privati e per assicurare il ritorno alla pace. La faida prevedeva il coinvolgimento dei
gruppi familiari dei litiganti ed era consideralo disonorevole porvi fine prima di aver ottenuto soddisfazione.

La faida era espressione di un diritto consuetudinario: “I criteri non scritti dell'onore come le norme non
codificate e antiche del Landrecht sono inoltre vicini nel negare validità reale ai contenuti e alle tecniche del
diritto; le endiadi 'pace e faida’ - 'vendetta e pena’ derivano da atteggiamenti e sensibilità, risolvono
conflitti e lacerazioni a prescindere dall'esistenza di istituzioni giuridiche e dai rapporti d'autorità che esse
creano. Il fastidio non celato verso una nozione teorica di diritto, che si risolva in un arido elenco di formule
e di procedure, porta (...) ad accentuare il peso delle regole diffuse, sostenute da sentimenti di lealtà e
amicizia tra ceti, di devozione parentale o di rispetto verso i costumi di un territorio", M. Bellabarba, La
giustizia ai confini. Il principato vescovile di Trento agli inizi dell'età moderna, Bologna, Il Mulino, 1996, pp.
31-32

Era necessaria una limitazione dell’uso di tale pratica poiché senza essa il conflitto sarebbe potuto protrarsi
nel tempo.

I Longobardi cercarono di limitare il ricorso a questo strumento di soluzione violenta dei conflitti
soprattutto nei casi in cui l'offesa fosse stata procurata da atti non intenzionali, come i reati colposi o i danni
causati da animali o da cose inanimate. Il re longobardo Rotari, nel suo celebre Editto (643 .C.), prescrisse il
guidrigildo (wer-uomo, geld-denaro), ovvero un risarcimento in denaro in caso di danno subito: "Se un
uomo libero ferito avrà ferito un altro alla testa in modo da rompergli le ossa, pagherà per un osso 12 soldi,
per due ossa 24, per tre ossa 36 soldi, Se un uomo libero avrà offeso gravemente la sposa di un altro uomo
libero, paghi la somma di 1200 soldi, metà ai parenti della donna, metà alla corte del re”.

Questa faccenda di una prima introduzione di poteri nei conflitti tra soggetti privati pone un’alternativa alla
‘vendetta’, attraverso il risarcimento del danno, si assicura una sorta di protezione alla sua comunità in
cambio di denaro.

Con l'avvento del Sacro Romano Impero, l'autorità politica cercò sempre più di fondare nuovi tabu legati
agli obblighi di fedeltà fissati nei rapporti gerarchici cetuali e assunse il compito di tutelare la pace sul
territorio. Secondo parte della storiografia (Alessi) l'attribuzione di sacralità della persona del re fu
all'origine della sfera penale poiché fu di li che si arrivò alla previsione di un primo nucleo di sanzioni
pubbliche. Le prime forme di giudizio medievale fecero il loro ingresso grazie all'intrusione del potere
pubblico nei conflitti privati e furono caratterizzate dall'oralità e dalla ritualità.

Se il potere politico decide di non poter più usare violenza contro altra violenza, anche tutte le forme volte
a tutelare e limitare tale azione devono mettere in atto un processo. Il processo dell’alto medioevo è un
processo rituale cioè simbolico che rimanda quindi ad un meta significato.

Carlo Magno si occupa della giustizia penale e scrive diverse cose tra cui:

Il Capitulare de missis era una disposizione normativa prodotta dall'imperatore Carlo Magno nell' 802 con
cui nominava i suoi missi dominict tra gli alti dignitari di Corte, affidando loro funzioni di controllo dei
territori imperiali.
I missi (ambasciatori) , di solito un laico e un ecclesiastico, si recavano nei luoghi dove fossero sorte
controversie e svolgevano la loro inquisitio (inchiesta) raccogliendo le testimonianze degli abitanti del
luogo. Potevano convocare le parti dinnanzi alla corte regia o decidere direttamente la questione sul posto.
Tale soluzione era adottata soprattutto nei casi in cui i signori locali rifiutassero di occuparsi di comporre
faide o di raccogliere prove. In ogni caso il ricorso alle istituzioni giudiziarie fu limitato alle controversie
relative alla terra o ai conflitti su benefici e immunità, mentre violenze, omicidi e rapine furono ancora
gestite attraverso transazioni e vendette.

Il giudizio ordalico fu largamente utilizzato nell’Impero carolingio e fu seguito in tutta Europa almeno fino al
1215, quando il IV Concilio lateranense proibì al clero di partecipare alle prove ordaliche.

“Il giudizio ordalico, che comprendeva sia il duello giudiziario che altre diverse prove come quelle
dell’acqua e del fuoco, era culturalmente e funzionalmente razionale, in quanto si inseriva nel modello
processuale germanico caratterizzato da un confronto tra le parti e nel quale il giudice era chiamato solo a
decidere quali fossero le prove che avrebbero deciso la controversia”, C. Povolo, Faida e vendetta tra
consuetudini e riti processuali nell’Europa medievale e moderna. Un approccio antropologico-giuridico, in
G.Ravincic (ed. 1 )

L’atto centrale del provvedimento era costituito da una sentenza di prova solenne che obbligava una o
entrambe le parti a sottoporsi a giuramenti, prove ordaliche o duelli, il cui esito era interpretato come
segno della volontà divina.
Le ordalie (dal tedesco Urteil “giudizio”) consistevano nella sottoposizione dell’accusato o dell’accusatore a
prove rischiose per l’incolumità personale. Tali prove si dividevano in unilaterali, come quelle che
prevedevano di:

1Trarre un oggetto dall’acqua bollente per poi verificare dopo 3 giorni lo stato delle ferite.

2 Passare su vomeri ardenti: se il soggetto avesse resistito si sarebbe liberato dalle accuse

3 Essere immersi, legati, nell’acqua fredda: l’accusato che avesse resistito sarebbe stato dichiarato
colpevole, viceversa la sua innocenza sarebbe stata stabilita dall’annegamento

4 Essere obbligati a mangiare una ingerente quantità di pane e di formaggio: il buon eisto veniva
interpretato come segno di innocenza

Le ordalic bilaterali invece prescrivevano:

1. che le parti si affrontassero in duello lino alla morte di una delle due. Il vincitore avrebbe cosi provato la
fondatezza della sua pretesa (monomachia)
2. che i sospetti fossero legati a un palo e assumessero la posizione del crocifisso, il primo che non fosse
riuscito a mantenere tale posizione, abbassando le braccia sarebbe stato ritenuto colpevole (iudicinm
crucis).

"Scopo delle ordalie non era pertanto la ricerca della verità, ma semplicemente la soddisfazione del
desiderio di giustizia dell'offeso attraverso un rituale probatorio indiscutibile perché evocativo di un giudizio
ultraterreno; l'accusato, se soccombente nella prova, doveva pagare la compositio (guidrigildo), se il
vincitore restava purgato da ogni addebito disonorante" (Pifferi).

L'ortodossia cattolica aggirava il divicto hiblico che imponeva ai cristiani di non giurare (erano considerati
infami coloro che non poteva giurare come ad esempio le donne) raccomandando un uso controllalo del
giuramento. I vescovi, durante le visite parrocchiali, potevano costringere sette persone a rivelare ogni
trasgressione alla disciplina ecclesiastica compiuta dai membri della comunità, usando il giuramento come
forma di inchiesta. Se nell'alto medioevo la possibilità di procedere ex officio, e quindi senza accusa privata,
era contemperata dalla necessità che la notizia del crimine fosse emersa da forme di testimonianza giurata
di gruppo, alla fine del XIII secolo la testimonianza, pur rappresentando un elemento ancora fondamentale
del giudizio, comincio ad essere raccolta separatamente e venne ammesse anche quella, prima irricevibile,
degli infami.
Nonostante il largo uso di testimonianze come fonti di prova, la necessità per i giudici di raccogliere ulteriori
elementi probatori diretti spinse a ricorrere alla tortura come mezzo di prova. Lo scopo principale del
processo inquisitorio (concede molto meno giustizia all’imputato) , coerentemente con il principio di
presunzione di colpevolezza che lo animava, era quello di arrivare alla confessione dell'accusato.
L'acquisizione di tale "prova piena" raggiunta attraverso la minaccia o l’effettiva sottoposizione a strumenti
di tortura. La tortura era usata, però, anche come sanzione per i condannati che non potevano risarcire le
vittime e la comunità attraverso il pagamento di ammende pecuniarie.

Il carcere compare nella storia della giustizia dalla metà-fine del 700, la pena prima non si sostanziava nella
perdita della libertà ma nella violenza. Siamo infatti ancora in un mondo dal 600 d. c al 1300-1200 dove
funziona nella maggior parte dei casi la vendetta per il risolvimento dei conflitti.

Nonostante l'affermazione di alcune forme di giustizia penale “pubblica" che prevedevano, seppur in forme
rituali, procedure volte all'accertamento della responsabilità penale e forme sanzionatorie standardizzate,
l'idea che il delitto fosse un 'offesa (iniuria) e che essa dovesse essere riparata attraverso una trattativa
privata satisfattoria dell'offeso rimase a lungo nella mentalità giuridica medievale.
Si può dire quindi che le forme di vendetta privata nacquero dal basso per tutelare i consociati di piccole
comunità, mentre ai forestieri, ai vagabondi e a tutti quelli che fossero stati esclusi dalla comunità (banditi,
ladri. incendiari e tutti gli altri individui ritenuti pericolosi) veniva riservata una giustizia governata dall'alto,
secondo la logica della repressione unilaterale della violazione e della rimozione del pericolo. Tale ultima
forma repressiva si esercitava anche nei confronti dei cd. crimina enormio (eresia, apostasia, sacrilegio, lesa
maestà) e di regola non prevedeva garanzie per gli accusati, soprattutto se i crimini fossero stati compiuti
da soggetti appartenenti a ceti non elevati, mentre ai nobili si permetteva, anche in questi, casi di ricorrere
a soluzioni patteggiate.

Negli ultimi decenni dell'anno 1000 la Chiesa prosegui nella ricerca dei peccati dei chierici mescolando
elementi inquisitori e processuali diversi.
Papa Lucio III (Ubaldo Allucignoli) con la decretale Ad abolendam diversarum haeresium pravitarem del
1184 intese reprimere le eresie sanzionando una frattura tra le gerarchie ecclesiastiche e i gruppi
pauperistici ed evangelici come i Catari, Patari, Umiliati.
Il compito di perseguire gli eretici venne posto sotto l'autorità dei vescovi, incaricati dal papa di visitare due
volte l'anno le loro diocesi (personalmente o tramite commissari da loro inviati) e di indagare sulle eresie
attraverso la raccolta di denunzie di casi sospetti richieste agli uomini più affidabili delle varie diocesi.
Innocenzo IV affidò poi l'inquisitio a domenicani e francescani esautorando progressivamente i vescovi da
questo compito. Lo stesso pontefice, con la bolla Ad extirponda del 1252 converti definitivamente l'antica
inchiesta medievale in una procedura inquisitoria.

Durante l’'XI secolo in Inghilterra si svolgevano parallelamente forme tradizionali di giudizio e nuove
procedure repressive affidate agli ufficiali del re. Le tradizionali corti di centena, di contea e dei feudi si
riunivano periodicamente. Il modello seguito da tali assemblee si apriva con l'appeal (accusa) di un privato,
cui l'accusato rispondeva portando elementi di prova a suo favore o sfidando l'accusatore a duello. Se
l'accusato fosse un soggetto di basso rango la corte poteva destinarlo alla prova ordalica. Non era
contemplata alcuna assistenza legale ma si prevedevano dei soggetti (narratores) che rappresentassero le
donne e i minori in giudizio, uniche categorie escluse dall'obbligo di presentare personalmente l'accusa e la
difesa in giudizio. Le corti dei grandi signori feudali potevano, su assenso del sovrano, giudicare le
controversie tra pari riguardanti questioni ereditarie o di titolarità del feudo.

Gli sceriffi inglesi (shire-reeves ufficiali della contea) controllavano, per conto del sovrano, l'operato delle
corti locali ed amministravano la fiscalità delle contee accertando il pagamento dei tributi. I luoghi comuni
sull'avidità di tali figure, di cui erano ricche le cronache medievali, prendevano le mosse anche dal fatto che
gli sceriffi potevano trarre in giudizio gli evasori a prescindere dalla presenza di accuse private; ricorrevano
largamente a tale possibilità poiché alla loro nomina avevano dovuto depositare nelle casse regie una
somma presumibilmente corrispondente al reddito dei beni della contea che dovevano amministrare, come
forma di garanzia.
I funzionari regi furono competenti di un numero sempre maggiore di reati: attraverso elenchi di Placita
coronae, infatti, i re inglesi riservarono sempre più casi alla giustizia regia (offese al re o ai suoi uomini, furto
grave, assassinio, incendio, la seduzione e il ratto). La previsione della possibilità di adire la giurisdizione
regia nei casi in cui nelle corti locali si fosse verificato un intusrum indicim, un defectus institine o una
prevaricatio legis regine, schiuse l'opportunità agli uomini liberi delle contee di sottrarsi ai loro giudici locali
e aumentò notevolmente il ricorso alla giustizia regia.

Enrico II (1154-1189) destituiti tutti i giudici stabili di contea e la quasi totalità degli sceriffi, preoccupato
dalla corruzione e dalla cattiva amministrazione della giustizia locale. Nominò un gruppo di giudici itineranti
e di testimoni giurati in ciascuna centena. I testimoni giuravano di rispondere alle domande dei giudici sui
delitti del quale fossero a conoscenza e i giudici regi aprivano formali processi direttamente nel luogo dove
venivano raccolte le accuse. Attraverso tale sistema si registrò un notevole incremento del patrimonio dei
sovrani grazie alle multe comminate nelle sentenze.

Nel 1215 il re Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere la Magna Charta Libertarum (nella magna carta
si organizza per la prima volta il potere politico in inghilterra) che, all'art. 39 prevedeva: "Nessun uomo
libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua dipendenza, della sua libertà o libere usanze,
messo fuori dalla legge, esiliato, molestato in nessuna maniera (...] se non in virtù di un giudizio legale dei
suoi pari e secondo la legge del paese. Noi non venderemo, né rifiuteremo a nessuno il diritto e la giustizia
(traduzione italiana di G, Alcasi)

11/11/21

Lo stato, il sovrano e di conseguenza il potere politico, inizia ad assumere in se il potere privato. La


questione penale in particolare attira la volontà di individuare crimini e di porre soluzioni ad essi, il poter
politico pone infatti il suo interesse alla repressione dei crimini.

Saggio 7

Siamo nell’anno 643 quando per la prima volta, con l’editto di rotari, vi è una quantificazione in denaro del
danno subito dal soggetto (ciò sostituisce la pratica della violenza).
Nella seconda metà del XIII secolo nella corte regia di Parigi si formò un corpo specializzato di funzionari
che si occupavano dell'amministrazione della giustizia,il Parlamentum. Il modello procedurale fu mutuato
da quello ecclesiastico e fondato sull' inquisitio condotta su testimonianze di parte e sulla scrittura. Soltanto
alla fine del XIV i re francesi ebbero il potere di nominare, in seno al Parlamentum, giuristi selezionati e di
allontanare i signori laici ed ecclesiastici che fino a quel momento lo componevano.
Luigi IX, con una serie di Ordonnances (tipica espressone legislativa francese, leggi), emanate tra il 1254 e il
1260 vietò il duello giudiziario (che fu però riammesso da Filippo il Bello nel 1306 limitandolo ai casi che
prevedessero la pena capitale e ai delitti su cui non vi fossero testimoni) e rese ufficiale il modello
processuale sviluppato nella curia regis.
I signori francesi si opposero a lungo all'uso dell'inchiesta ritenendola un'offesa ai privilegi di ceto e alle
tradizionali garanzie loro riservate .
La francia in tal periodo era uno degli stati più simili alla concezione di stato moderno, appariva divisa in
territori feudali in cui i signori godevano di ampia autonomia legislativa.

Nel corso del XIII si affermò anche nelle città italiane un processo penale di tipo inquisitorio, ma fu
affiancato e accompagnato a lungo da elementi ordalici (tipici della legge del taglione), talionici e derivanti
dalla vendetta privata. La diffusione dell' inquisitio confermava l'acquisizione di maggior potere politico da
parte dei comuni cittadini.
Il processo per inquisitionem sottraeva ai privati il ruolo di protagonisti nella giustizia criminale e inseriva il
dovere di un funzionario politico nell'avviare un indagine.
"La ragione del punire trasmigra dall'interest alicui, in base al quale viene perseguito l'autore di un'offesa,
all'interest civitati ne crimina remaneant impunita. Cosa che, a ben guardare, non implica solo un
mutamento di centro, ma determina una rivoluzione di prospettiva, ponendo nel fine la punizione (dovere
pubblico che comporta diritti pubblici) e non la soddisfazione o il risarcimento", M. Sbriccoli, "Tormentum
idest torquere mentem". Processo inquisitorio e interrogatorio per tortura nell'Italia comunale, in Id., Storia
del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Tomo I, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 104-
128 (p. 116).
Il diritto privato inizia ad essere pensato non più come una faccenda privata tra soggetti, per cui la vendetta
non rappresenta più una soluzione. Seguendo la periodizzazione di sbriccoli possiamo individuare la fine del
1300 come la fine dell’uso della vendetta. Il diritto politico inizia ad occuparsi del diritto penale (colui che
viola le norme) nel momento in cui il soggetto non nuoce solo a terzi ma trasgredisce anche all’ordine
giuridico e a chi fa le norme.

Tra la fine del XII e gli inizi del XIV secolo si assiste all'emersione di una giustizia penale pubblica.
Nei Comuni italiani, prima ancora che in territori di area francese e tedesca, l'accusa privata diventò solo
uno dei modi per attivare forme di protezione degli offesi e di repressione dei colpevoli. I magistrati de
maleficiis, nominati dai Podestà, si occuparono dell'accertamento dei delitti e dell'irrogazione delle sanzioni
anche ex officio, poiché si affermò il principio secondo cui il delitto non danneggiasse solo la vittima ma
offendesse il potere. Spesso giudici non erano giuristi e si giovavano delle consulenze fornite dai giuristi
formati presso le Università. Tractatus de maleficiis, Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, Fondo
manoscritti, ms. 374. vol. I, secolo 15. - ff. 124. Il Tractatus de maleficiis (1286-1300) del noto giurista
Alberto da Gandino e altre opere simili testimoniano il rifiuto, da parte del sapere giuridico, della vendetta
privata e la preferenza verso un sistema basato sull'accertamento del fatto criminale tramite un processo
guidato da un giudice e svolto secondo forme prestabilite.

I caratteri della giustizia egemonica


Il processo penale di prima età moderna era sempre fondato sul principio secondo cui "l'impulso spettava a
colui cui pure spettava la sanzione" (Caprioli); esso mise in difficoltà i giuristi, che non riuscivano a
giustificare, nella teoria, la presenza di un giudice che avviava il processo er officio e che lo chiudeva
irrogando una sanzione, poiché tale ipotesi mal sia adattava alle forme transattive ancora largamente in
uso. Ecco perché, secondo Mario Sbriccoli, "questa è una delle questioni che venne decisa dalla prassi, sulla
spinta di esigenze pratiche e di necessità politiche, e soltanto in seguito fu, per cosi dire, razionalizzata dalla
dottrina".
Il sistema dell'accusa privata fu via via comunque abbandonato perché non prevedeva accuse contro ignoti
e scoraggiava quelle rivolte agli inopes (che non potevano ristorare l'offeso) e ai potentiores (che per via del
ruolo sociale e delle maggiori disponibilità economiche avrebbero prevalso nel processo).
Nella teoria giuridica medievale, dunque, l'apertura di un processo e 'irrogazione di una pena da parte del
magistrato in nome di un pubblico interesse trovano giustificazione all'interno del nuovo compito del
potere, anche registrato negli Statuta comunali, di assicurare il mantenimento dell'ordine nella comunità e
risultano dalla commistione di accusatio e di inquisitio, che si combinano a seconda dello svolgimento del
singolo caso processuale. Soprattutto intorno all'accusatio la pratica giudiziaria, sostenuta dal potere
politico, trova pian piano corrispondenza con le disposizioni del diritto romano, forzate e modificate
attraverso l'interpretazione dei giuristi e sintetizzate con le norme statutarie.

L'affermazione del modello di giustizia egemonica (decisa da forme di potere al vertice) fu progressivo ma
non segnò la scomparsa delle forme comunitarie e transattive.
I due "sistemi" convissero fino all'avvento della codificazione ottocentesca e in qualche caso si realizzò tra
loro una osmosi: se il carattere di mediazione tendeva alla scomparsa, attratto dal momento
dell'esecuzione della sentenza. In tale fase esecutiva potevano poi aprirsi spazi per la mediazione dei
potenti, per il ruolo della comunità, per l'influenza della Chiesa e per l'arbitrio del giudice.
Anche le norme introdotte negli statuti, nelle costituzioni imperiali, nelle decretali pontificie e nei capitoli
contribuirono a edificare una giustizia basata più sulla certezza che sul consenso. La produzione normativa
fu tuttavia sporadica, riguardò più l'aspetto procedurale rispetto a quello sostanziale, ma soprattutto si
scontrò con la caratteristica giurisprudenziale del diritto comune, attraverso la quale i giuristi
interpretavano, filtravano e organizzavano le norme prodotte dall'autorità politica.
Le practicae criminales, fiorite nel XVI secolo con l'avvio dell'insegnamento dello ius criminale, costituirono
dunque uno strumento di legittimazione della procedura e indirizzando i giudici sulle modalità di
suddividere lediverse fasi processuali. Si formavano cosi delle consuetudines iudicandi che assunsero ben
presto valore normativo.
Il primo esempio di practica è costituito dalla practica causarum criminalium del giurista Ippolito Marsili, a
essa seguirono innumerevoli altre opere simili.
Esse erano rivolte ai giudici e prescrivevano loro di:
-accertare l'effettiva presenza di un delitto
-proseguire con accertamenti, sopralluoghi, interrogatori
-individuato il sospetto, proseguire con l'incuipatio, la ricerca di prove e il tentativo di
ottenerne la confessione
-emanare la sentenza
Il momento dell'esecuzione della pena era invece lasciato all'amministrazione ed era
guidato da logiche di negoziazione.

Il penale che si dipanò dalle practicaes ( prescrivevano al giudice di accertarsi l’effettiva presenza di un
crimine) costituì la base di avvio per ulteriori "aggiustamenti" che a loro volta vennero recepiti e collocati in
practicaes successive. Tale andamento testimonia il potere dei giuristi nella gestione del diritto penale. Essi
conferivano razionalità e credibilità ai fini (comunque) politici della giustizia penale.
Il ceto giuridico dotto svolse una funzione di consolidamento (legittimità) della scansione del processo
penale ma anche una funzione di controllo e di moderazione, mostrando al potere politico la necessità di
garantire almeno parità di trattamento agli imputati dello stesso ceto.
Inoltre le practicaes “incubarono” principi e dogmi del diritto penale sostanziale anche in maggior misura
rispetto al diritto processuale. Prescrivendo le regole procedurali, infatti affrontarono quasi esclusivamente
la questione dei limiti del giudice. L'individuazione di tali limitazioni fu collegata spesso, però, a motivi di
carattere sostanziale.
Il punto di debolezza delle practicaes è ancora nel rovesciamento del rapporto tra norma e processo e,
attraverso queste crepe continuarono a insinuarsi forme negoziali che resero difficile 'emersione di un
processo penale autonomo.
Il diritto penale di Antico Regime, sfuggendo al carattere imperativistico che contraddistingue il diritto
penale contemporaneo (il prius è la norma giuridica, solo con la sua violazione si attiva il processo), poneva
le norme sostanziali su un piano non prioritario rimettendole al giudice alla stregua di giudizi interpretativi
sugli atti degli imputati, dei quali bisognava soprattutto valutare la pravitas e il grado di disobbedienza che
esprimevano con i propri atti.

Nel 1500 si compi un passaggio "ideologico" molto importante: la concezione della rilevanza penale di un
atto si spostò dal piano del danno a quello della disobbedienza.
Tale inversione di tendenza fu possibile all'interno di una modificazione della teoria politica: il potere si
sente investito del dovere di mantenere la pace all'interno del territorio entro cui si esercita il dominio.
Dentro questo nuovo orizzonte si estendono a tutto l'ambito penale alcune caratteristiche del reato
politico.
1) Da un lato ogni trasgressione penale viene ricondotta nello schema della "offesa alla respublica"
Alberto da Gandino aveva già teorizzato che il potere pubblico punisce perché non può tollerarsi che lo si
offenda, esso riceve il danno indirettamente (e si giustifica cosi l'avvio del processo ex officio indicis).
2) Dall'altro tutti i reati comuni di qualche rilevanza vennero perseguiti attraverso una forma processuale
concepita per la repressione dell' eterodossia religiosa e dell'opposizione politica, ovvero processi pensati e
strutturati contro il nemico.
Di qui si giustificano gli enormi poteri inquisitori del giudice, i limitati diritti difensivi degli imputati,
l'esercizio congiunto della funzione inquirente e giudicante, la segretezza delle accuse e delle indagini, l'uso
della tortura e la possibilità di escludere l'appello.

L'affermarsi del binomio giustizia/repressione portò, secondo Mario Sbriccoli, tre effetti o conseguenze
assai rilevanti:
1) I principi dottrinali prima contenuti nella Practicaes vennero disciplinati da Leggi generali, emanate dai
sovrani.
Queste irrigidirono il sistema dell'incriminazione e quello del giudizio. Tali atti normativi riflettevano ancora
la logica secondo cui bisognasse regolare soprattutto la procedura, ma, ripensando ai poteri dei giudici e
alla scansione dei tempi del giudizio, essi ridussero l'arbitrio dei giudici e esclusero ogni ricorso a regole
consuetudinarie. Inoltre rafforzarono gli apparati statali delle giustizia e certificarono come la iurisdictio in
poenalibus fosse ormai appannaggio del principe.
2) Il sistema penale si orientava verso l'obbiettivo delle prevenzione generale. Vi fu un generale incremento
della criminalizzazione primaria (ovvero quella che opera minacciando di colpire con una pena un
determinato comportamento). Emergenze inattese portarono alla repressione, su larghissima scala, del
dissenso religioso e della devianza morale attraverso nuove forme di incriminazione.
3) Emersero a quel tempo anche esigenze di "ordine pubblico". Se l'infrazione era considerata una
disobbedienza, allora si apre lo spazio a forme di repressione poliziesca, orientate soprattutto a colpire i
soggetti (o i gruppi) pericolosi.
La Constitutio Criminalis Carolina
Carlo V, Imperatore dell'Impero Romano-germanico, promulgò, nel 1532 una costituzione che ebbe vigore
in tutto l'Impero creò un apparato giudiziario strutturato dal centro e diffuso in tutto il territorio che si
serviva di giudici esperti e nominati o approvati dalle autorità centrali.
In realtà il documento fu pronto già nel 1530 ma fu presentata in quell'anno alla Dieta di Augsburgo, che la
approvò due anni più tardi.
Oltre al contenuto penalistico, vi era anche disciplinata una parte cospicua del diritto civile.
L'obbiettivo dell'unificazione procedurale in tutto l'Impero era ostacolato dalle resistenze dei poteri locali,
che riuscirono a far includere nel testo una clausola di separazione che poneva in posizione sussidiaria la
Carolina rispetto alle norme locali. In realtà, però, soprattutto grazie alla previsione della possibilità di
appellare le sentenze delle corti locali presso i tribunali centrali, le norme imperiali cominciarono a essere
seguite ovunque.

Le regole processuali furono quindi fondate su un testo normativo certo, di valore generale e cogente per i
giudici. Se i giudici avessero avuto dubbi o incertezze sulle norme da applicare avrebbero dovuto, a norma
della Carolina, consultare le autorità superiori per iscritto.
Norme dettagliate guidavano il giudice negli interrogatori e nella raccolta degli indizi e della valutazione
delle prove.
Il processo doveva essere affidabile: vi erano norme contro le accuse inique, imprudenti o pretestuose; si
assicuravano prime garanzie per gli imputati.
Fu assicurata anche la verbalizzazione di interrogatori, difese, confessioni e la
registrazione di prove indizi e allegati.

La santa inquisizione romana


La Sacra congregatio Romane et universalis inquisitionis seu Sancti officii (denominata Congregazione del
Sant'Offizio) era composta da sei cardinali competenti in materia di fede e con giurisdizione su tutto il
mondo cristiano.
Fu istituita dalla Papa Paolo II con la Bolla Licet ab initio il 21 luglio 1542.
La sua genesi va posta nel quadro generale della Controriforma e quindi della repressione dell'eresia e
anche nel desiderio di opporre l'iniziativa all' inquisizione spagnola, che operava indipendentemente dalla
Santa Sede.
Solo alla fine del XVI secolo 1'intensità dell'inquisizione scemò (sotto pontificati di Gregorio XIII, Sisto V e
Clemente VIII) e via via si ridusse alla ordinaria amministrazione per la tutela dei costumi e del buon ordine
nella vita interna della Chiesa.

Il processo comunemente praticato dall' inquisizione non si discostò da quelli gestiti ordinariamente nelle
città italiane. I «manuali inquisitoriali» (che istruiscono i giudici inquisitori), infatti, sono costituiti da fonti di
diritto comune. L'azione muoveva da accusa, fama o notitia criminis; ai giudici veniva lasciato arbitrium
nell'irrogazione del tipo di pena (da qui una vasta gamma di sanzioni figurative, simboliche o allusive).
Vi furono tuttavia anche caratteri peculiari: Anzitutto la centralizzazione e la gerarchizzazione dell'attività
giudiziaria (che l' inquisizione realizzò su scala italiana) che ignorava i confini delle giurisdizioni locali e ne
avocava la competenza o ne controllava l'operato. Anche in quest'ambito, infatti, giudici che avessero avuto
dubbi o incertezze avrebbero dovuto chiedere lumi direttamente alla Congregazione del Sant'Ufizio.

L'Inquisizione romana mostrò anche peculiarità più spiccate:


1) Realizzò accordi e sinergie con i poteri locali a cui fu chiesta collaborazione e a cui si diede supporto
attraverso una fittissima rete di religiosi itineranti.
2) Realizzò, per la prima volta in Europa, un sistema giudiziario penale che si orientò a osservare una
condotta sempre lineare. L'adattamento ai casi singoli, assai praticato nei territori europei, non venne
seguito dalla Santa Sede e, nei rari casi in cui avvenne, fu sempre entro procedure anch'esse ritualizzate e
non estemporanee.
Il rigorismo formale (ad es. accurate verbalizzazioni) venne preso a modello e si diffuse come un modello
nel lungo periodo.
Nel corso del Seicento le Practicae apparvero sempre più arcaiche e sconvenienti. Ciò fu dovuto da un lato
al nuovo ordine politico (sovranità assoluta, infrazione come disobbedienza al potere, forme transattive
sempre più limitate per la progressiva erosione del potere dei ceti), e dall'altro alla comparsa di sempre più
attente e generali riflessioni teoriche sul diritto criminale da parte di intellettuali e giuristi.
Tra questi possiamo ricordare soprattutto Thomas Hobbes (Westport, 5 aprile 1588 - Hardwick Hall, 4
dicembre 1679). Il teorico dell'assolutismo oriento buona parte della dottrina criminalistica
attraverso la sua concezione formalistica:
-La natura del delitto non è generata dal comportamento e dalla sua qualità
intrinseca, ma dalla proibizione della legge (nuila poena sine lege)
La pena ha una funzione retributiva al pari della vendetta, ma ora questa spetta esclusivamente al sovrano
Tutti i crimini sono peccati ma non tutti i peccati sono crimini (secolarizzazione del penale). La natura del
crimine non è teologica ma politica (espansione della legge).
«La pena è un male inflitto dalla pubblica autorità a chi ha fatto o ha omesso di fare ciò che è giudicato
dall'autorità come trasgressione, allo scopo di ottenere che la volontà degli uomini sia per tal mezzo
divenire meglio disposta alla obbedienza». Da questa concezione si può ricavare che:
a) La legge penale non possa essere retroattiva
b) Il criterio di giustezza della pena viene correlato ai suoi effetti (general
preventivo [punire un soggetto per far comprendere ad altri soggetti che non si deve commettere lo stesso
reato]-specialpreventivo [con essa viene diminuita la possibilità di pene eccessive] e correzionale)
c) La quantità di pena irrogata diventa correlata ai suoi fini

Sul finire del 1600 in Europa, si svilupparono diverse nuove riflessioni intorno alla criminalità e al modo
in cui trattarla. I principali punti chiave che accomunarono la dottrina criminalistica furono:
A) La riflessione sulla funzione della pena (sfavore verso la pena capitale, umanizzazione delle sanzioni)
- B) Il tentativo di slegare definitivamente il reato dal peccato (laicizzazione)
C) Il tentativo di offrire alcune garanzie minime agli imputati (razionalizzazione delle fonti, principio del
nulla poena sine lege)
- D) Consentire un giudizio imparziale ed equo per tutti (egualitarismo)

In Italia l'Illuminismo penale conobbe due centri principali di elaborazione: Napoli e Milano.  Nella Capitale
del Regno di Napoli, fra i molti protagonisti del pensiero illuminista (Antonio Genovesi, Francesco Mario
Pagano), spicca in particolare quello di Gaetano Filangieri (1752-1788).  Figlio di Cesare, Principe di
Arianello, Gaetano si laureò in legge nel 1774. La sua opera maggiore, la Scienza della legislazione si
articolava, nel progetto iniziale, in sette criminali;  Educazione, costumi e istruzione pubblica;  religione;
proprietà;  Patria potestà e buon ordine delle famiglie.  Solo i primi quattro furono pubblicati durante la vita
di Filangieri, tra il 1780 e il 1785, mentre il quinto usci postumo nel 1791, e gli ultimi due non furono mai
scritti.  libri: Regole generali;  Leggi politiche ed economiche;  Leggi «Il popolo non è più schiavo, ed i nobili
non ne sono più i tiranni [..].  Per questo fine la filosofia è venuta in soccorso dei governi […].  Tutto è
mutato.  [...] L'Europa per undici secoli il teatro della guerra e della discordia [...] oggi è divenuta la sede
della tranquillità e della ragione [...] ma niuno ci ha dato ancora un sistema compiuto e ragionato di
legislazione, niuno ha ancora ridotta questa materia ad una scienza, unendo i mezzi alle regole, e la teoria
alla pratica.  Questo è quello che io intraprendo Pedretti Gnaccarini, di fare in quest opera, che ha per titolo
La Scienza della Legislazione» (La scienza della legislazione, libro I, 1780, Introduzione).  [...] Gaetano
Filangieri, incisione da disegno 1839

I punti principali dell'opera si possono riassumere, con il rischio di ogni generalizzazione, pressappoco cosi:
La scienza della legislazione non è più solo scienza dei giuristi, ma soprattutto politica. Essa studia le norme
finalizzate all'esercizio razionale della funzione di legiferare.
Valori fondamentali: eguaglianza giuridica, proprietà, libertà economica e di circolazione, necessità di
distribuzione delle ricchezze.
Sul piano costituzionale: la sovranità consiste nella funzione legislativa.
Bilanciamento, ma non separazione delle funzioni del potere politico.
Sul piano del diritto e processo criminale: favore per modello accusatorio; riduzione dei poteri del giudice di
cattura; superamento del sistema di prove legali senza lasciare però troppo arbitrio al giudice (esigenza di
convinzione morale unita anche a prove legali fissate dalla legge); pubblicità, contraddittorio, diritto di
difesa.
Il delitto come rottura del patto sociale: pena proporzionata a qualità e grado del reato, inflessibile e certa.
Laicizzazione del delitto penale (ogni reato e’ un peccato ma non più ogni peccato e’ reato). Conservazione
della pena capitale
Per la prima volta dopo la rivoluzione francese si pensa che lo stato sia costituito dalle forze dei cittadini
(non più sudditi). Questa idea di rappresentanza diretta, proposta soprattutto da Rosseau, non si realizzo e
il potere legislativo, di fare norme, inizia a trasmettersi tramite mandato.

A Miļano, a quel tempo ancora sotto la dominazione austriaca degli Aburgo, le istanze illuministe si
concentrarono soprattutto all'interno del circuito culturale che si espresse nella rivista Il Caffe (1764-1766),
i maggiori  protagonisti furono i fratelli Alessandro e Pietro Verri, Paolö Frisi, Alfonso Longo, ma più di futti
Cesare Beccaria (1738-1794).  L'opera maggiore del Marchese di Bonesana fu Dei delitti e delle pene, edito
per la prima volta anonima a Livorno nel 1764. Il testo ebbe molta fortuna, fu tradotto in francese e poi in
altre lingue.  Ricevette una recensione favorevole da Voltaire (Commentaire sur le traité des délits et des
peines, 1766), fu _letto e apprezzato da Thomas Jefferson, ma fu anche molto critico (ad es. da Ferdinando
Facchinei, religioso veneziano e da Pierre François Muyart de  Vouglans, fra i principali criminalisti Nel 1766
il libro venne incluso nell'indice dei libri proibiti (e vi rimase per oltre 200 anni) a causa della sua data tra
reato e peccato: »Le riflessioni mi danno il diritto  unica vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione,
e però errano coloro che credettero vera misura dei delitti l'intenzione di chi gli commette. Questa dipende
dall'impressione attuale degli oggetti e dalla precedente disposizione della mente» (cfr. Cap. VII  , Errori
nella misura delle pene. Cesare Beccaria, dipinto di Giuseppe Bossi (1777 – 1815)
Secondo Beccaria il diritto e’ diverso dalla morale e dalla ragione, esso rappresenta razionalità’, e qualsiasi
sia la persona ad aver commesso il reato essa deve essere punita allo tesso modo delle altre.
17/11/21

Il fortunato trattato di Beccaria, fu a lungo considerato il simbolo dell'umanitarismo penalistico, ovvero


ispirato dall'idea di ridurre le sofferenze degli imputati e dei condannati nel processo penale. Si legge tale
trattato con un interpretazione secondo la quale l’uomo sia diventato, nel tempo, più ‘buono’ (parliamo di
umanitarismo penale). Recentemente, invece, il professore di criminologia, attualmente emerito presso
l’Università di Southern Maine di Portland (Arizona), Piers Beirne, nel suo inventing criminology del 1993
ha proposto di rileggere il classico di Beccaria adoperando una nuova prospettiva di osservazione.
Nell’ottica dello studioso statunitense bisogna collocare il testo nel contesto borghese della Milano di meta
Settecento (uguaglianza di fronte alla legge non fu mai un caposaldo dell'opera) e tenere in conto il timore
di Beccaria nei confronti della censura e comunque della difficoltà di pubblicare l' opuscolo (Beccaria omise
di citare, come suoi referenti più prossimi, gli illuministi a lui contemporane1 e si rifece ad autori più
antichi, come Hobbes) .
Per Beirne Beccaria cerca una saldatura tra l’umanitarismo francese (aveva letto avidamente Montesquieu)
con l'utilitarismo inglese (nelle prime sei edizioni il testo si apriva con una citazione di Francis Bacon sulla
pazienza e la fiducia nelle possibilità dell'uomo).

Beccaria era chiamato dagli amici "newtoncino" per la sua ammirazione verso matematici e filosofi
britannici del secolo precedente perché inaugurarono la scienza dell’uomo. In quegli anni in Italia si credeva
che il progresso della Francia, Inghilterra, Olanda, fosse dovuto al razionalismo scientifico ed empirico del
triumvirato Bacon-Newton-Locke, osteggiato dalla chiesa italiana (i principi erano la tolleranza religiosa, il
ruolo della legge, il governo costituzionale, la giustizia e le condizioni dell'ordine sociale).

La costruzione di una scienza dell'uomo fu centrale nei Delitti. Altro referente fu il filosofo scozzese Francis
Hutcheson, maestro di David Hume, citato nascostamente anche nell'introduzione come filosofo che ha
lavorato nell'oscurità ma che a lungo fatto fruttare le idee di verità tra le persone. In Dei delitti si rinviene
una fortissima correlazione con le idee di Hume System, 1755): dalla proprietà come base del contratto
sociale, alla definizione del crimine, all’uniformità e alla semplicità delle leggi, all’uso compensativo delle
multe, alla natura deterrente delle pene, alla loro proporzionalità con il delitto, all’opposizione alla tortura
giudiziale.
Un altro punto rilevante da considerare è il determinismo delle scienze matematiche. In Beccaria è
presente l'utilitarismo (criterio di giustezza dato dal criterio dell’utilita’, la legge e’ giusta se dimostra
essere tale per un gran numero di persone): il nuovo sistema sarà diverso dal vecchio perché concepito per
soddisfare il maggior numero di persone rispetto alle poche considerate dalla vecchia tirannia. La felicità
può raggiungersi attraverso la "sicurezza e la libertà limitata solo dalle leggi", ma per Beccaria il libero
attore economico e il soggetto della legge coincidevano, quindi in realtà danno per la società significava
danno al suo libero mercato, l'offesa del criminale si rivolgeva sia alla legge sia ai rapporti economici.

Nella ricerca del motivo della punizione, Beccaria dimostrò di partire dalle dottrine del probabilismo,
sensazionalismo e associazionismo.(Beccaria ha cercato di trasformare il diritto penale in modo che possa
essere più utile per la società e non meno violento)

Il pensiero probabilista (contrario alla tortura ma non alle pene corporali più gravi, poiché’ se si tortura non
si arriva alla verità) incise nelle ragioni del contrasto alla tortura (ma non alle pene corporali per i crimini più
gravi) perché era considerata un metodo insufficiente per stabilire con "probabilità o certezza" l'innocenza
o la colpevolezza. Il giurista milanese inoltre pensava che esistesse un teorema generale per calcolare con
certezza i fatti criminali, e lo chiamò "peso della prova". Rifacendosi alla dottrina dell'associazionismo
Beccaria affermava che fosse meglio prevenire il crimine più che curarlo e che bisognasse stabilire un rigido
raffronto tra causa ed effetto delle pene, per questo la pena di morte non sarebbe servita all'obbiettivo
della deterrenza. Il sensazionalismo (Loke) suggeriva che tutte le cose dolorose sono cattive, mentre quelle
piacevoli sono buone, Condillac aggiunse che la persona è fatta di tutto ciò che ha acquisito mediante
sensazioni.

Condorcet disse che Beccaria portò avanti (insieme agli inglesi e a Montesquieau e a Rousseau) il lavoro di
Locke per costruire una scienza sociale applicando il calcolo delle probabilità per comprendere la società.

 Nel periodo di trasformazione degli Stati e delle società europee sul finire del XVIII secolo, Che
suole indicarsi come epocale passaggio tra Antico e Nuovo Regime, il diritto penale come
strumento repressivo si modificò profondamente.
 Il nuovo atteggiamento teorico e politico delle società postrivoluzionarie nei confronti della
criminalità è stato oggetto di numerosi studi da parte della storiografia giuridica e sociale. Una
ricostruzione particolarmente accurata e innovativa del periodo considerato e’ stata offerta dal
filosofo francese Michel Foucault nel celebre Sorvegliare e punire del 1975. Tale opera può essere
considerata un valido punto di partenza per affrontare la questione della modernizzazione della
penalità poiché ne sintetizza lucidamente i nuclei tematici e offre un’analisi divenuta
Imprescindibile per la storiografia successiva.

Michel Foucault. Biografia.

 Nasce nel 1926 a Poitiers, in Francia. Il padre è chirurgo anatomista. Affronta i primi studi in istituti
cattolici
 1496-50 studia all’Ecole Normale Superieure. Sono anni di grande crescita intellettuale, ma anche di
acuta crisi. Nel 1948-49 consegue la licence prima in filosofia poi in psicologia. Nel 1950, sotto
l’influenza di Althusser, aderisce al PCF (partito comunista francese) da cui uscirà due anni dopo
poiché essendo omosessuale era avversato perfino dalla propria parte politica (benché’ essa fosse
prgressista).
 1951 diventa assistente di Psicologia all’Ecole e collabora come psicologo all'ospedale di Saint-Anne
 1954 pubblica Malattia mentale e psicologia
 1963 dopo quattro anni di insegnamento negli Istituti di cultura francese all'estero pubblica Nascita
della clinica
 1966 pubblica le parole e le cose
 1969 pubblica L'archeologia del sapere
 1970 è chiamato al College de France dove fino alla sua morte ricoprirà la cattedra di Storia del
sistemi di pensiero. Seguono anni di impegno militante: fonda nel 1971 il GIP (Groupe
d’information sur les prisons)
 1975 pubblica Sorvegliare e punire
 1976 con La volontà di sapere si conclude la fase della ricerca dedicata al ruolo dei dispositivi
disciplinari nel funzionamento del potere moderno e inizia il progetto, rimasto incompiuto, di
scrivere una storia della sessualità di cui appariranno nel 1984 L’uso dei piaceri e la cura di se
 1984 muore a Parigi

Foucault e’ inoltre il filosofo della biopolitica, cioè interessato a come la politica del nuovo regime
applicasse il proprio potere politico al corpo.

Il discorso di Foucault sulla penalità fa leva su alcuni punti-cardine di un complesso e articolato approccio
teorico alla storia, che si dimostra essere innovativo rispetto all’epoca. Le sue analisi storiche dedicate al
rapporto tra i saperi e il potere propongono:

1. Lo studio storico come ricerca della discontinuità: critica all'analisi storica sottesa all'immagine biologica
della continua evoluzione e maturazione della scienza.

2. Lo studio storico come archeologia: ricerca delle condizioni a partire dalle quali in certi momenti e in certi
ordini del sapere si sono prodotti bruschi distacchi e precipitazioni dell'evoluzione.

3. Lo studio storico come genealogia: forma di storia che studia la costituzione dei saperi senza far
riferimento ad un "soggetto costituente e trascendente”. Studiando le condizioni di possibilità per cui
emerge un tipo di potere, cerca di rilevare la correlazione tra chi usa questo tipo di potere e quanto esso
possa essere a favore del soggetto che ne fa uso.

La penalità di Antico Regime fu fondata essenzialmente sul supplizio come caratteristico strumento della
punizione

Il supplizio

 È una pena corporale più o meno atroce e dolorosa.


 E' una pena rituale che risponde all'esigenza di lasciare segni visibili sui corpi dei condannati.
 Assume un chiaro significato sociale e politico non come valore generalpreventivo ma come segno
d'autorità da parte del potere sovrano, slegato da vincoli e direttamente offeso da qualsiasi delitto
commesso dai sudditi. Se si viola la legge si viola il sovrano che l’ha fatta
 Risponde ad un'economia del potere in cui il corpo non ha grande Valore in un regime non ancora
dominato dalla forza-lavoro.
 Si esercita sia in istruttoria per estorcere la confessione in un sistema processuale dominato dalle
prove legali, sia nell'esecuzione come pena che assolve a determinate funzioni rituali, simboliche e
politiche.

A partire dalla metà del XVIII secolo il sistema punitivo di Antico Regime fu sottoposto a critiche e proposte
di riforma orientate a:

 Introdurre il concetto che la punizione fosse un intervento repressivo di condotte illecite e non un
arbitrio del sovrano.
 Interrogarsi sulla funzione della pena.
 Eliminare i caratteri di incertezza della giustizia penale dovuti a continue sovrapposizioni tra
tribunali differenti.
 Eliminare la lacunosità delle norme penali.
I punti sintetizzati evidenziano la volontà dei riformatori trasformare l'intero sistema penale, legislazione-
processo- esecuzione, in senso moderno e razionale.

 L'opera di riforma ebbe esiti positivi. Dopo la Rivoluzione francese, gran parte degli ordinamenti dei
Paesi Europei subì profonde modificazioni in linea con le proposte dei giuristi dell'età dei lumi. Si
pensi alla
o codificazione e alla riforma del processo per la razionalizzazione e la certezza del diritto
o all'abolizione della tortura e della pena di morte per 'addolcimento delle punizioni
o alla nascita della prigione come principale strumento punitivo

•A partire dall'analisi della prigione, strumento principale utilizzato nel Nuovo Regime per esecuzione della
pena, Foucault sottopose a critica la lettura degli esiti della riforma della penalità che sottolineava
esclusivamente i caratteri "evolutivi" dell'addolcimento e della razionalizzazione del sistema penale
rispetto al precedente periodo.

Per Foucault ciò che si modificò nelle tecniche punitive, dal supplizio al carcere, fu la strategia penale. Nel
XIX secolo il diritto penale diventò lo strumento principale per la creazione di una società disciplinare

•Nuova economia che porta alla considerazione di ogni corpo come funzionale alla produzione: punire con
la morte diventa antieconomico.

•Funzionale al nuovo assetto politico ed economico diventa quindi la creazione di "corpi docili", da
disciplinare in apposite strutture. Quella che meglio consente l'addestramento dei corpi è proprio la
prigione, che consente un controllo costante nel tempo e nello spazio sui condannati. Il modello del
Panopticon, ideato da Bentham nel 1794, consente infatti ai guardiani di osservare I condannati senza la
possibilità di essere osservati

 Lo scopo della pena e’ per Faucault di restituire un soggetto più disciplinato e obbediente alla
comunità

La società disciplinare, secondo Foucault, fu il reale obbiettivo della riforma della penalità.

 Essa venne richiesta dal potere:


1. Per la gestione della forte crescita demografica
2. Dalla crescita e modificazione dell'apparato economico-produttivo

• Si basa su una serie di istituzioni (scuole, ospedali,riformatori) che hanno il loro idealtipo nella prigione,
tali "istituzioni disciplinari":
1. Servono all'utilizzo di corpi controllati, non neutralizzati
2. Modificano l'architettura e l'urbanistica a questo scopo
3. Non servono a eliminare la criminalità

 Viene concepita da un potere diverso da quello spettacolare ed assoluto del Sovrano


1. Multiplo perché gestito dall'alto verso il basso ma anche il contrario
2. Anonimo perché silenzioso
3. Automatico perché funziona come un meccanismo che distribuisce i corpi e si trasmette per il
loro tramite

La disciplina in carcere si ottiene organizzando il tempo e lo spazio. Il fatto che i condannati debbano alzarsi
ad una certa ora non ha alcun motivo pratico. Tutte le regole stabilite all’interno del carcere sono state
adottate poiché’ i soggetti devono essere abituati a rispettare le regole anche senza capirne il senso,
devono essere quindi disciplinati. Per chi da prova di buona condotta non solo ottiene una riduzione della
pena, ma ad esso viene affidato un ruolo di controllo sugli altri detenuti.

18/11/21

Secondo Faucault la strategia del potere che si rivolge ai condannati, e quindi in relazione alla vera funzione
della pena tenendo conto del fatto che essa si svolga in carcere e tenendo conto delle funzionalità della
struttura carceraria, possiamo dire che c’è una tendenza tendenzialmente maggiore alla rieducazione del
condannato (ciò avviene anche attraverso la cultura). Il carcere resta una struttura contenitiva e nonostante
delle spinte portate avanti dai governi per motivi di immagine, il carcere ancora oggi soffre di diversi
problemi. Il problema principale delle carceri è un problema endemico dell’Italia, la mancanza di fondi.
Faucault sull’osservazione di carceri e strutture contenitive, pensava, osservando tutti i regolamenti interni
del carcere (riferimento a rango, premio e posizione –responsabilizzare il detenuto tanto da fargli ottenere
una certa forma di controllo sul detenuto più debole-) che all’interno del carcere si creassero dei
meccanismi che comportassero un perfetto autocontrollo dei detenuti su loro stessi.

Il lavoro a fine 700 inizio 800 diventa l’argomento chiave per raddrizzare l’uomo in carcere poiché il lavoro
educa l’uomo che potrà riinserirsi nella società successivamente. Tali lavori non producevano nulla ed
erano fini a se stessi, ciò fece pensare a Faucault che tale volontà politica di indirizzare il detenuto al lavoro
non fosse del tutto ‘utile’. Ma la pratica di rieducazione con il carcere oltre a poter restituire soggetti
indociliti, restituisce criminali indociliti, tant’è vero che secondo Faucault in alcuni casi ci sia bisogno della
presenza della criminalità all’interno di una società, essa però deve essere controllata, in modo da non far
esplodere l’equilibrio creatosi all’interno della società stessa.

Subito dopo l’unificazione d’Italia, con il passaggio della criminalità tra vecchio e nuovo regime e con la
rottura di regole fatte dai cittadini stessi e che quindi un soggetto ha contribuito a costruire, i penalisti si
iniziano a chiedere perché e come rispondere a tale infrazione, quindi si inizia a pensare alla categoria della
criminalità come una categoria di soggetti diversi da quelli normali e quindi anormali. Tale teoria sfocia
anche fuori dall’Italia, poiché con il passaggio da vecchio a nuovo regime si danno le condizioni necessarie
per chiedersi per quale motivo i soggetti trasgrediscono tali regole. Enrico fermi introdusse quindi il
concetto di sociologia criminale, quindi in relazione all’appartenenza del soggetto (luoghi con più
criminalità), credeva quindi che le caratteristiche fisiche e biologiche di coloro che delinquono siano diverse
da quelle che invece non lo fanno. Le idee che sono alla base del perché delinquere si sviluppano proprio
grazie al passaggio tra vecchio e nuovo regime. Nello spazio di tale domanda apre lo spazio in Italia per la
nascita della scuola positivistica penale.

(Slide) Ulteriore effetto della trasformazione della penalità fu la diversa considerazione dei criminali.
• In Antico Regime non si sentiva il bisogno di sapere "chi fosse" il delinquente, di conoscere le ragioni del
suo comportamento in quanto il delitto, pensato esclusivamente come atto d’inimicizia nei confronti del
Sovrano, richiedeva esclusivamente la risposta, terribile e violenta, del potere, che in tal modo ripristinava
la propria autorità.
• Nel Nuovo Regime Invece Il delinquente è colui che, attraverso atti contrari alla legge, viola il patto
sociale. La pretesa punitiva non si configura più come un diritto del Sovrano ma come mezzo attraverso il
quale l’intera società si difende dal trasgressore. Egli deve dunque diventare un mostro, un traditore
un anormale agli occhi dei consociati e deve essere punito per prevenire il disordine futuro.
• L’introduzione della categoria dell’anormalità, riferita per la prima volta ai delinquenti, consente
l’affermazione di nuovi saperi che si affiancano al diritto penale per integrare, attraverso le loro tecnologie,
la correzione dei trasgressori.
Medicina, psichiatria, antropologia e Statistica sono le principali discipline che vengono Utilizzate
per la cura dei criminali a si affiancano ai classici strumenti punitivi.
• E' la nuova economia e strategia del potere che produce la nascita o l'affermazione di nuovi saperi. Il
diritto penale non è più l'unico strumento per la punizione e tale radicale modificazione comporta rilevanti
conseguenze che Foucault riassunse nell’espressione di “medicalizzazione della penalità”.

•Per descrivere in complesso la situazione penale del Regno d'Italia sul finire del XIX secolo la più recente e
avvertita storiografia (Sbriccoli, Colo, Lacchè et al.) ha osservato la presenza di un "duplice livello di
legalità", non solo per l'evidente contrapposizione tra le disposizioni del codice penale e quelle di leqqi
eccezionali, ma anche per le attribuzioni dei giudici che spesso entravano in conflitto con i poteri della
polizia.
•Il contesto sociale in trasformazione nel quale si allacciarono gli interventi legislativi degli anni '80 a '90
vide succedersi nel ruolo di "nemico dello Stato" prima i briganti del meridione d'Italia e poi, com'è noto, gli
anarchici.

Nel codice penale sabaudo si potevano riconoscere i reati e quindi decidere pene. Dimenticandosi del
diritto penale del tempo si rispose a politiche temporanee di emergenza, contro i briganti. Nel 15 agosto
1863 un deputato propone una legge di 5 art, i primi due che definiscono il luogo in cui si trova il fenomeno
del brigantaggio (in tutto il meridione escluso Napoli), gli altri 3 stabiliscono delle comunicazioni con i
briganti che o consegnano le armi o vengono considerati nemici ( ciò avviene automaticamente e senza
alcun tipo di processo), diversatemene per coloro che deponevano le armi. Il processo per coloro che
deponevano le armi veniva pero visto come troppo garantista, cosi in tutto il mezzogiorno si istituirono
tribunali militari che se riconoscevano colpevole il soggetto accusato di brigantaggio potevano rispondere
con 2 pene , ergastolo o pena di morte (tali principi si rivedono nelle idee di Beccaria). Nel sud Italia si
cancellava qualsiasi forma di garanzia al soggetto con un certo ritorno al vecchio regime. Tale legge, che
prese il nome di legge pica, rimane in vigore per diversi anni.

•Per dare una valutazione complessiva del sistema penale italiano alle soglie del XX secolo è necessario
però considerare che il codice penale non fu l'unica fonte normativa di diritto penale. Esso entrò in vigore
accompagnato dalla legge sulla pubblica sicurezza del 30 giugno 1889, concepita dall'allora ministro
dell'Intero Francesco Crispi.
•Il testo stabiliva una serie di norme generali sui poteri di polizia, sui viandanti, i liberati dal carcere e degli
stranieri da espellere dal Regno, per poi occuparsi dei tre "classici" istituti repressivi dell'ammonizione,
vigilanza speciale e domicilio coatto.

La sistemazione delle norme sulla pubblica sicurezza da parte del ministro Crispi determinò
1. L'introduzione di mezzi di prevenzione indipendenti dal sistema penale
2, L'attribuzione alla polizia dell'uso di poteri forti di natura amministrativa

•Nella concorrenza tra 'emanazione del codice penale e della legge di pubblica sicurezza si osserva
chiaramente come prese corpo il "duplice livello di legalità"
•Com'è stato osservato (Martone) gli strumenti di PS., in assenza di una emergenza da fronteggiare, si
mostrarono ancora più restrittivi per l'esercizio dei diritti di libertà, con la conseguenza di rendere duraturo
tale orientamento legislativo nel nostro ordinamento giuridico. Il contesto normativo di quegli anni si
presta inoltre alla lettura storiografica sintetizzata nella celebre categoria di "stato d'eccezione” (Agamben).

Le norme contenute nella legge crispina furono oggetto di revisione da parte nella legge 19 luglio 1894 n.
389 sui reati commessi con materie esplodenti, diretta a colpire gli attentati degli anarchici che in quel
periodo si erano intensificati.
Questa normativa sanzionava gli attentatati dinamitardi con pene più severe aggravate dalla vigilanza
speciale, mentre gli attentatori già ammoniti o vigilati sarebbero incorsi nella pena accessoria del domicilio
coatto. La legge 19 luglio 1894 n. 316 ed il suo regolamento per l'esecuzione (R.D, 4 settembre 1898 n. 402)
invece integrarono le categorie da sottoporre al domicilio coatto previste da Crispi, inserendo una serie di
altri casi.
Nel 1894 altri diritti e garanzie venivano quindi sacrificate a fronte dell'emergenza dei reati politici, e la
tendenza continuò anche nel 1898 con la legge 17 luglio n. 297 contenente provvedimenti urgenti e
temporanei pel mantenimento dell'ordine pubblico. Quest'ultima all'articolo 5 vietò le associazioni e
riunioni dirette a sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali o la costituzione dello Stato punendo i
trasgressori, qualora il fatto non costituisse reato più grave, con il confino fino a sei mesi.

Le considerazioni sugli elementi repressivi introdotti dalle leggi sulla pubblica sicurezza devono essere
affiancate almeno da un accenno all'assetto generale dell'organizzazione giudiziaria e processuale del
Regno:
•Il giudiziario non costituiva evidentemente un potere dello Stato, riecheggiavano ancora formule di
"giustizia ritenuta" nello Statuto Albertino, nell'art. 68, ad esempio, si afferma: "La giustizia emana dal Re,
ed è amministrata in suo nome dai giudici che Egli istituisce”.
•I Pubblici Ministeri rappresentavano il potere esecutivo (ad es, attraverso poteri di controllo sui magistrati
giudicanti) e ricevevano la garanzia 'inamovibilità dopo tre anni ma erano di nomina ministeriale diretta. I
poteri dei PM, inoltre, eccedevano quelli tecnici d'iniziativa processuale e, in virtù dell'essere
"rappresentanti dell'esecutivo presso l'autorità giudiziaria", fu loro affidato il compito di controllare
l'operato della magistratura giudicante.
•Il processo era misto: scrittura in istruttoria e pubblicità nel dibattimento, Codice di procedura arretrato e
d'ispirazione autoritaria.
•La Polizia era autoritaria e dotata di ampi poteri.
•Il sistema carcerario era arretrato nelle strutture e nei regolamenti.
A inizio 800 soprattutto in Germania nascono riviste tutte dedicate ad un particolare settore del diritto e ciò
contribuisce alla specializzazione disciplinare. Proprio gli scienziati penalisti si trovano a discutere di
questioni penali su riviste che iniziano ad interessare il pubblico. Nasce a Milano ad esempio il giornale per
l’abolizione della pena di morte, dove scrivono penalisti ma anche giuristi.

•L'Impegno dei penalisti italiani nell'affrontare le numerose questioni poste dall'unificazione legislativa e
dalle emergenze criminali rappresentate in un primo momento dai briganti e poi gli anarchici, fu condotto
secondo schemi e prospettive del tutto rinnovate rispetto agli anni precedenti all'unificazione
•I caratteri di tale rinnovamento, Identificati nell'autonomia disciplinare, nella professionalizzazione delle
carriere e nella convinzione dello stretto rapporto tra riforme penali e riforma della società sono stati
sintetizzati nella felice formula della “penalistica civile”
•Nonostante la presenza di tali caratteristiche unitarie, la disputa tra due scuole penalistiche sul finire
dell'ottocento ha finito per essere la rappresentazione più utilizzata dagli storici del diritto penale che
hanno analizzato tale periodo. In effetti, pur se comoda e in qualche modo superficiale, tale ricostruzione è
stata influenzata dalla stessa auto-rappresentazione che le due correnti dei penalisti classici da un lato e del
positivismo medico-antropologico dall'altro impiegarono per sottolineare differenze di analisi, di proposte
e prospettive.

•Innanzitutto gli studiosi di diritto penale si dotarono di nuovi strumenti comunicativi; le riviste giuridiche,
necessarie per riunire le idee dei vari autori
Tale mezzo di comunicazione scientifica in Italia arriva più tardi rispetto al resto del mondo, ciò dimostrò,
insieme al fatto che per venderle fosse necessario aggiungere al loro interno pezzi di romanzi (nell’ultima
parte), che l’Italia non era ancora in grado di scrivere delle riviste. (tali tipi di riviste assunsero più
propriamente il nome di romanzo di appendice).
•Il dibattito scientifico fu infatti promosso e agevolato anche attraverso la nascita di importanti periodici,
primo fra tutti la Rivista penale, fondata da Luigi Lucchini nell'agosto del 1874.
"La Rivista Penale (..] costituisce da sola uno specchio in cui decenni di storia si sono riflessi in maniera
tanto ricca, completa e persuasiva, da poter essere ricostruiti - nel loro versante giuridico, e per ciò che
attiene alle politiche penali di questo paese .- semplicemente a partire dalle sue pagine
Anche a Napoli fu fondata una rivista molto importante durante il regno delle due Sicilie, tale rivista in
particolare si dimostrava essere una rivista non di settore, conteneva per cui anche scoperte, curiosità ecc.
Un’altra rivista importante al nord era invece ‘il giornale per l’abolizione della pena di morte’.
Temi come l’imputabilità, la pena di morte, la gradazione delle pene rispetto ai reati, erano infatti
argomenti sottoposti all’interesse dell’opinione pubblica.

Mario Sbriccoli nell’analizzare tale periodo di circa 40 anni della scienza penalistica ha rilevato una fase di
scontro tra scuole e inoltre l’introduzione di una nuova figura di giurista, si penalista ma non
esclusivamente tale. Alcuni dei penalisti del 700 non facevano infatti solo i giuristi ma alcuni erano laureati.
Al ridosso dell’unità d’Italia il giurista viene trasformato in uno specialista consapevole che il proprio
discorso possa interessare la pubblica opinione. Mario Sbriccoli chiama tale fase del penale come
penalistica civile, fase del diritto penale aperto all’interesse civile. La struttura della figura del penalista
cambierà ancora facendola diventare civilistica penale.

•Per necessità di sintesi, pur condividendo gli avvertimenti di Sbriccoli, si esporranno in questa sede i
fondamentali caratteri della scuola classica, rappresentando fittiziamente una compattezza scientifica che si
riscontrò soltanto nei momenti più duri dello scontro con i positivisti.
•La scuola si presentava come continuatrice della tradizione penalistica italiana inaugurata dagli studi di
Beccarla, Filangieri, Pagano e Rossi,

CARATTERI PRINCIPALI DELA SCUOLA CLASSICA:

1. Il reato è considerato come un ente giuridico cui deve seguire, per reazione, una pena connotata come
"tutela giuridica"

2. Il presupposto per l'imputabilità è il libero arbitrio.

3. La pena deve sottostare al principi di tassatività e proporzionalità per operare una tutela rivolta a tutti i
consociati e non solo all'autorità.

4. La funzione della pena è quella di ristabilire l'ordine giuridico violato dal reato.

5. Assoluta contrarietà nei riguardi della pena di morte.

6. La giustizia penale deve agire al di sopra delle parti, bisogna seguire il due process of law, le prove
devono essere raccolte a partire dai fatti.

7. Gli organi giurisdizionali devono essere imparziali e indipendenti.

LA SCUOLA CLASSICA è in continuità con la tradizione dell’illuminismo penale italiano. Uno degli esponenti
più importanti è Francesco Carrara che si ammalò precariamente e divenne cieco (Luigi Locchini era una
giurista veneto contrario alla pena di morte – rivista penale). Fu uno scontro senza pari perché i giuristi non
si erano mai divisi così violentemente e si trattava di uno scopo partico ovvero difendere il codice penale. i
giuristi avevano inventato un nuovo modo di esprimersi ovvero attraverso le riviste giuridiche che furono
inventate da Savigny con la sua scuola storica (il codice in Germania) e sono tornate utili nei periodi in cui
bisognava unire il pensiero di diversi autori che la pensano allo stesso modo. In italia questo mezzo di
comunicazione scientifica arrivò più tardi e le prime revisite apparivano strane; per venderle venivano lì
sopra pubblicati anche i romanzi d’appendice per convincere le perosne a comprare quelle riviste. I classici
fondarono la rivista penale nel 1874. Altra rivista famosa nel nord italia fu il Giornale per l’abrogazione della
pena di morte dove tutti i giurisiti contrari alla pena di morta scrivevano i loro articoli. Nella lotta tra classici
e positivisti, furono i classici che anticiparono: i positivisti fondarono molto presto la loro rivista fino al
1880, quando Lombroso inventa e pubblica la sua rivista. Questa era una rivista penale religiosa, la quale
ospitava anche articoli di Lombroso e dei suoi amici. Selezione degli argomenti per raggiungere l’interesse
del pubblico. Penalità in Italia fase rappresentativa con uno scontro tra scuole ma anche attraverso la
creazione di una nuova figura di giurista penalista non specializzati sempre in materia penale. Mario
Sbriccoli chiama questa fase del penale penalistica civile ovvero una scienza di diritto penale aperta alla
società civile. Ma durante il fascismo a partire dagli anni 20 del 900 cambierà ancora la struttura della figura
penalistica (civilistica penale). La pena deve essere proporzionata, nel senso di commisurare, stabilire la
misura di danno alla società, privare della libertà per un tempo proporzionato al danno sociale. Il
presupposto per l'imputabilità è il libero arbitrio, la funzione delle pene è ristabilire l'ordine giuridico
violato dal reato; L'assoluta contrarietà verso la pena di morte. La giustizia penale deve agire al disopra
delle parti, bisogna seguire il giusto processo (Origini giurisdizionali parziali e indipendenti).

24/11/21

I principali esponenti della scuola positiva di diritto penale furono:

 Cesare Lombroso (Verona 1835, Torino 1909)


 Raffaele Garofalo (Napoli 1851, Napoli 1934)
 Enrico Ferri (San Benedetto Po 1856, Roma 1929)

Questi 3 personaggi appaiono essere molto diversi tra di loro ma si trovano d’accordo su alcune idee
fondamentali. Lombroso è un medico psichiatra, di origine ebraica. La psichiatria è una scienza che nasce
nell’800 partendo proprio dall’affermarsi del pensiero positivista.
Garofalo e Ferri sono giuristi. Garofalo ricopre per tutta la sua vita il ruolo di e per un breve periodo anche il
ruolo di senatore, ciò poiché era comune che chi facesse il giurista di punta fosse una persona facoltosa e
benestante e quindi facilitata nell’accesso alla vita politica. Garofalo era tradizionalista e aderì al fascismo
negli anni del regime. Fermi avrà a che fare con il fascismo ma secondo linee di pensiero diverse poiché
mosso da una visione della società progressista che lo porteranno ad assumere un ruolo importante nella
dirigenza del partito socialista italiano.

• La scuola positiva propose, a partire dalla dimostrazione dell'insufficienza teorica del concetto di
responsabilità morale come fondamento della penalità:

1. La negazione del libero arbitrio come presupposto dell'imputabilità in quanto ogni attività umana
dipende da un insieme di fattori antropologici, biologici e sociali (nuovo determinismo).

2. Lo studio antropologico dei delinquenti e la classificazione di essi in "tipi criminali"

3. La fondazione del diritto di punire nella funzione di eliminazione, temporanea o perpetua, dal corpo
sociale degli elementi criminosi o anti sociali. Scopo della pena era quindi quello di difendere la società,

4, Un sistema penale basato sul duplice binario di repressione (anche attraverso la pena capitale) e
prevenzione (riforme sociali e politiche per combattere efficacemente la spinta criminosa).

5, L'indeterminatezza delle pene comminate dal giudice, la cui durata avrebbe dovuto essere stabilita da
soggetti preposti all'osservazione dei delinquenti reclusi.

6. Un processo penale costruito per l'individuazione del ,tipo criminale" e la relativa pericolosità sociale.

7, La differenziazione delle strutture in cui i diversi tipi criminali" avrebbero scontato la pena, Forte spinta à
favore della costruzione di manicomi giudiziari e della revisione del sistema carcerario.

•La scuola positiva si presentò unitariamente come un elemento innovativo del sistema penale insistendo
sulla vocazione della scienza penale ad essere integrata attraverso altre discipline come la psicologia,
'antropologia e la sociologia. Le nuove scienze, orientate positivisticamente, potevano dunque essere
utilizzate nel discorso sulla delinquenza. L'aggiunta di nuovi saperi che potessero avere voce in capitolo sul
sistema della pena e sulla creazione di istituzioni atte a disinnescare la pericolosità sociale dei delinquenti,
avrebbe rappresentato una soluzione all'emergenza criminale che in quel tempo il paese viveva e che i
positivisti utilizzavano come prova della insufficienza delle risposte dei classici

•"A partire dagli studi medico-antropologici di Lombroso sui criminali e dalle raffinate analisi sociologiche di
Ferri, la scuola positiva cercò di modificare l'intero assetto del sistema penale liberale italiano fondandolo
sulla negazione del presupposto del libero arbitrio per 'imputabilità, l'analisi antropologica e sociologica
delle ragioni della delinquenza e la funzione della pena come ,difesa sociale"

Lombroso animato da un forte senso civico parte come medico militare durante il fenomeno del
brigantaggio, e racconterà al suo ritorno i termini di una scoperta fatta grazie all’osservazione del cranio di
un brigante (lo racconta in un diario che poi verrà reso libro dalla figlia) e osserva che tale cranio presenta
una distinzione rispetto agli altri crani. Il cranio del brigante presenta una mancata saldatura e soprattutto
studiandolo e comparandolo con altri si rese conto che molti briganti riportavano la medesima
caratteristica morfologica, inizia quindi a capire che i comportamenti criminali sono spiegati da una scienza
medica e quindi antropologica e inizia a pensare che i criminali siano biologicamente diversi dagli altri, e
considerati quindi soggetti anormali.

Quando tale pensiero non riusciva più a reggere le sue considerazioni introdusse l’idea di degenerazione
della condizione umana. Nega cosi all’uomo il libero arbitrio limitando l’azione del bene e del male
effettuata dall’uomo su una base puramente biologica. Parliamo quindi di antropologia criminale.

25/11/21

Lombroso pur non essendo un grande genio, fu capace più di altri di mettere insieme pezzi di nuove teorie
che avevano preso piede in Europa, queste sono: Darwin con la teoria dell’evoluzione, la frenologia
francese (medici ma anche chirurghi che iniziarono a scoprire diverse cose fino a quel momento non
conosciute sul cervello). Queste idee insieme ad una terza influenza, rappresentata dalla scienza positivista,
comportò la nascita di un’antropologia criminale. Attraverso l’antropologia criminale Lombroso fa risalire il
comportamento dei criminali al cervello, che rappresenta la sede della verità/decisione. Da Lombroso fu
inoltre individuata tra la categoria dell’imputabilità e la non imputabilità, anche quella della semi
imputabilità, in cui si vanno ad analizzare i comportamenti del soggetto.
L’idea che sia la conformazione fisica dell’uomo a condannarlo facendolo essere anormale, scuote ogni
convinzione di diritto penale.

In ambito penale fu applicata la teoria del determinismo che comportò per gli uomini una maggior libertà di
agire, ma era necessario che tali soggetti fossero messi in condizione di non delinquere non nuocendo così
alla società. Senza riconduzione a una problematica precisa però il soggetto veniva punito preventivamente
per non fargli arrecare danni alla società.

In tal periodo venne anche coniato il termine “delinquente nato”, che andava ad indicare un soggetto che
dalla nascita presentava delle caratteristiche peculiari, pertanto diverse dagli altri soggetti, che lo
rendessero anormale e perciò destinato a delinquere per tutta la sua vita. Non poteva essere incolpato
degli atti da lui svolti poiché tali atti erano atti mossi dalla ‘natura’, quindi anche incarcerarlo si dimostrava
non essere educativo poiché tali elementi non erano recuperabili e quindi non si potevano reinserire
all’interno della società, per questo motivo Lombroso di fronte a tale categoria di soggetti propose
l’ergastolo o la pena di morte.

I criminali però non manifestano intenzioni uguali tra loro ma diverse, per questo motivo appariva
necessaria una gradazione della pene.

Lombroso diventa famoso scrivendo nel 1876 L’uomo delinquente.


 L'Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell'uomo
alienato e delinquente fu fondato da Cesare Lombroso e dal barone Raffaele Garofalo nel 1880 e
rappresento efficacemente le combattive proposte della scuola positiva.
 Occorre avvertire che nel campo dell'antropologia criminale, pur essendo senz'altro l'Archivio
l'unico periodico ,di scuola", questo non rimase da solo a rappresentare le idee e le proposte che
alienisti, psicologi e medici legali avanzavano in ambito giuridico, Sembra, anzi, che anche sul
versante delle strategie comunicative la scuola positiva riuscisse a presentarsi spinta verso il
rinnovamento. Da un lato 'eclettismo dei vari Lombroso e Ferri e dall'altro la loro capacità di
coinvolgere e di organizzare un movimento, condussero al risultato di una sproporzione tra le
pubblicazioni periodiche dei classici e dei positivisti.

Lombroso analizzò il rapporto tra pazzi e criminali, all’inizio vi fu trovata una certa correlazione che portava
alla considerazione di dover trattare le ambedue categorie allo stesso modo. Successivamente iniziò a
distinguere questi due fatti, proprio in considerazione di un evento che ebbe luogo a Napoli, dove un
apprendista soldato calabrese impazzi e con l’utilizzo del fucile di ordinanza ammazzò 8 persone e ne ferì 7,
in tal caso Lombroso fu chiamato a pronunciarsi come perito. In questo caso Lombroso, e un altro
personaggio importante per tale vicenda, Leonardo Bianchi, individuarono un elemento che scaturiva una
non conformità dell’individuo che proveniva oltre che da un origine biologica anche da una morbosa che
poteva essere ricollegata all’epilessia. L’epilessia è la malattia che comporta gesti inconsulti e rende
manifesta una specie di tilt del cervello. Lombroso quindi associa tale malattia ad una malattia che non è in
grado di far ragionare i soggetti. Attraverso il connubio tra epilessia e malattia mentale (il diventare
criminali) si aprì la strada per una riforma del processo penale che doveva modificarsi in relazione a tali
soggetti; alla base di tale processo vi è la presunzione di colpevolezza, non si giudica l’entità del danno fatto
ma la pericolosità sociale del soggetto, per tale motivo la pena deve essere attribuita in relazione a
quest’ultimo elemento.

Il processo secondo Carrara e Beccaria si basa sul fatto commesso e sulla ricerca della pena da attribuirgli
mentre in tal tipo di nuovo processo il compito del magistrato è analizzare il comportamento, e quindi la
pericolosità che ha all’interno della società, in relazione alla vita e ai fatti avvenuti nel corso di essa. Ancora
oggi in un certo senso durante il processo si osserva la pericolosità e non l’atto in se.

Per quanto riguarda la sanzione, la prigione, l’esilio e la pena di morte andavano bene per il grado maggiore
di imputabilità, il soggetto che esprimeva un livello basso di imputabilità doveva invece essere rieducato dai
medici. Foucalt attribuisce a tale momento storico l’espressione ‘medicalizzazione della legalità’, poiché il
sistema identificativo del criminale (permette di vedere ogni irregolarità del soggetto sia dal punto di vista
medico che conseguentemente giuridico, possiamo dire che la regolarità dell’uomo si percepisce dal suo
corpo.

La medicina muoveva il pensiero penale del tempo, ciò comportò la nascita di nuove scoperte mediche, e la
possibilità di prevedere dei comportamenti criminali anche prima che essi potessero essere commessi (ciò
attraverso l’osservazione fisica del soggetto). I soggetti ritenuti irregolari andavano quindi segregati ancor
prima che essi compissero crimini.

Tra le varie categorie di criminali Lombroso trova anche il ‘criminale d’occasione’, che compie
comportamenti che di rado vanno a nuocere la società, ma che di fronte ad una scelta tra bene e male essi
sceglierebbero senza indugi il male. Queste categorie di criminali non sono incarcerati ma indotti nelle
braccia di medici che trattano i loro comportamenti in senso puramente medico.

Del Lombrosismo è rimasta la domanda ‘chi è il delinquente?’, l’attenzione alle cause della criminalità, e
una certa versione di sociologia criminale (eliminare tutte le cause che sociologicamente comporterebbero
la delinquenza). I caratteri che invece erano stati individuati che accomunavano i delinquenti andarono a
sparire con l’avvento del

IL CODICE ROCCO
La disciplina e catalogazione dei reati, prima dell’avvento del fascismo, era contenuta nel c.d.
Codice Zanardelli. Questo codice fu introdotto nel Regno d’Italia nel 1890 e costituì il riferimento e
la fonte giuridica per la censura delle condotte ritenute penalmente rilevanti.
Innovazione principale del codice Zanardelli fu quella di abolire la pena di morte, che in molti altri
stati era ancora in vigore.
Questo codice restò in vigore fino al 1930 per poi essere sostituito da quello attuale.
Mentre il codice previgente si ispirava a una scuola pensiero classica, l’attuale codice penale
italiano ha voluto aggiungere anche dei tratti della scuola positiva formatasi in quegli anni.
L’attuale codice penale viene anche definito codice Rocco poiché la sua redazione è stata in gran
parte curata da Arturo Rocco (1), noto giurista italiano nonché fratello di Alfredo Rocco (2),
all’epoca dell’emanazione Ministro della Giustizia.
Dal medesimo giurista è stato anche divulgato il codice di procedura penale.

2. Struttura del codice penale

Sebbene il contenuto e i riferimenti penali del codice abbiano subito delle importanti modificazioni
nel corso degli anni, la struttura ha mantenuto la sua originaria concezione, ovvero una
suddivisione interna in tre libri, intitolati:

 Dei reati in generale (da art. 1 ad art. 240);


 Dei delitti in particolare (da art. 241 ad art. 649);
 Delle contravvenzioni  in particolare (da art. 650 ad art. 734 bis).

3. Modifica sostanziale del codice penale

Il sistema penale italiano, sin dalla sua introduzione, ha subito importanti processi di riforma e
modifica. Pensandoci in chiave socio-culturale, i profondi processi di modifica del diritto penale
devono essere ritenuti quasi dei passaggi dovuti se si pensa all’evoluzione della società negli ultimi
100 anni.
Il codice Rocco è nato in piena epoca fascista ed ispirato a principi di forte autorità. Il legislatore,
negli anni, ha pian piano smussato tutti quei principi ritenuti ormai obsoleti con l’evolversi
della società e di riflesso dei principi morali.

4. Effetti dell’entrata in vigore della Costituzione Italiana

L’entrata in vigore della Costituzione Italiana ha portato alla “costituzionalizzazione” dei seguenti
principi su cui si basa l’attuale normativa penale, ovvero:

 Il principio di legalità;
 Il principio di riserva di legge;
 Il principio di tassatività:
 Il principio di irretroattività;
 Il principio di materialità ed offensività del reato;
 Il principio di personalità della responsabilità penale;
 Il principio di rieducazione della pena.

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