Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
IL DIRITTO PENALE
2. Il fatto criminoso
Primo e lacerante problema delle scienze criminali è la definizione di
criminalità: la criminalità è una realtà ontologico-naturalista o una mera
creazione politico-sociale, una entità giusnaturalistica o un semplice dato
giuspositivistico?2 Il diritto penale presenta, accanto ad un largo coefficiente di
1
La crescente considerazione della personalità del soggetto differenzia ed allontana sempre più
il diritto penale dagli altri rami del diritto, per i quali ciò che rileva è il fatto, spersonalizzato, più
che l'autore del fatto stesso.
2
Scuole di filosofia del diritto. Le principali scuole di filosofia del diritto sono la scuola del
diritto naturale, la scuola analitica, la scuola storica, la scuola comparativa e la scuola
sociologica. Per il giusnaturalista il diritto preesiste allo stato; per il giurista analitico esso è
creazione dello stato; per il giurista della scuola storica il diritto e lo stato sono prodotti della
società e si sviluppano parallelamente. Per il giusnaturalista le leggi sono dettate dalla ragione
pura; per il giurista analitico dal comando del sovrano; per il giurista della scuola storica, dalla
sapienza degli uomini. Per il giusnaturalista il diritto è etica applicata e il diritto ingiusto non ha
valore di diritto. Per il giurista analitico invece una norma che ordini un atto moralmente illecito
2 Diritto Penale
o che vieti un atto eticamente giusto è comunque giuridica se emanata da un potere legittimo. Il
giurista della scuola storica accetta quest'ultima posizione, ma sottolinea la necessità che le
leggi siano conformi al comune sentimento della giustizia. La scuola storica del diritto differisce
principalmente dalla scuola analitica per il valore che attribuisce alla consuetudine nella
formazione dell'ordinamento giuridico. Per il giurista analitico, un codice scritto di leggi
dovrebbe sostituire interamente il diritto consuetudinario e il diritto giurisprudenziale. Il
giusnaturalismo affonda le proprie radici nella filosofia di Aristotele e nella giurisprudenza del
diritto romano e si impose in Europa dalla Riforma alla fine del XVIII secolo. La più chiara
formulazione della teoria analitica del diritto risale al filosofo inglese Thomas Hobbes nell'opera
Leviathan (1651). Le origini della teoria analitica non sono, tuttavia, inglesi. La tendenza a
esaltare la figura del legislatore risale al pensiero continentale europeo della fine del Medioevo,
il periodo di formazione degli stati nazionali, e si collega alla necessità di superare la
frammentazione degli ordinamenti giuridici locali mediante l'adozione di legislazioni statali. Nel
XX secolo la teoria analitica del diritto ha trovato espressione nel positivismo giuridico, teoria
secondo la quale gli ordinamenti giuridici possono essere adeguatamente descritti senza alcun
riferimento al loro contenuto etico. Tra gli esponenti di questa dottrina vi sono Herbert Hart e
Hans Kelsen. La scuola storica risale al XIX secolo, quale reazione alle idee del giusnaturalismo.
Il manifesto della scuola fu pubblicato nel 1814 dal giurista tedesco Friedrich Karl von Savigny.
La scuola comparativa, i cui esponenti principali furono Rudolf Jhering e Albert Hermann Post,
introdusse il metodo dell'analisi comparativa degli ordinamenti giuridici. Tra i maggiori
comparatisti si ricordano: James Barr Ames, Oliver Wendell Holmes, Henry Maine, Frederick
William Maitland e Frederick Pollock. La scuola sociologica nasce nel XX secolo, con un approccio
al diritto radicalmente nuovo. Non più l'indagine sulla natura e sull'origine del diritto, ma lo
studio delle funzioni e dei fini che esso persegue. Figura di spicco della scuola sociologica fu il
giurista americano Roscoe Pound.
3
Le costanti sono rappresentate anzitutto dai cosiddetti delitti naturali (vita, integrità fisica,
libertà personale, onore eccetera) e dalle stesse categorie razionali del pensiero criminalistico
(soggetto attivo, condotta, evento offensivo, causalità eccetera).
4
Esse sono individuabili principalmente nel campo delle scriminanti, le quali, accanto ad un
nucleo costante (legittima difesa, stato di necessità), presentano una larga zona di variabili e nel
campo degli interessi tutelati, in quanto ogni sistema predisposto per la tutela, oltre che dei beni
esistenziali, di interessi non esistenziali, contingenti o addirittura arbitrari (es. tutela di una
determinata ideologia).
Diritto Penale 3
3. La personalità dell’autore
Il problema dominante in materia, se cioè chi delinque sia libero, determinato o
condizionato nelle proprie azioni, è invece più strettamente dipendente dalla
premessa filosofico-scientifica. Sotto questo profilo si possono storicamente
distinguere tre tipi fondamentali di diritto penale:
1) un diritto penale della responsabilità morale, che pone a proprio
fondamento il postulato della libertà assoluta indifferenziata del volere
dell'uomo come causa cosciente e libera (perciò irresponsabile), e del
proprio agire.
2) un diritto penale della pericolosità sociale, che muovendo dall'opposto
postulato deterministico per cui l'uomo è determinato al delitto da cause
inerenti alla sua struttura biologica o all'ambiente sociale in cui è vissuto, si
fondano non sulla responsabilità morale ma sulla pericolosità del soggetto.
3) un diritto penale misto, fondato sul dualismo responsabilità-pericolosità.
Con l'apertura del diritto penale moderno verso la personalità del soggetto si è
gettato un ponte tra il diritto penale e la criminologia. Pur nella loro autonomia
di scienze il diritto penale e la criminologia vivono in un rapporto di
complementarietà necessaria ed di interdipendenza.
4. Le conseguenze penali
Il problema delle misure penali adottabili per combattere la criminalità è
condizionato sia dalla premessa politico-ideologica sia dalla premessa
filosofico-scientifica. Quanto alla premessa filosofico scientifica troviamo tre
tipi di soluzioni fondamentali, rappresentate:
1) dal sistema classico della pena per il quale si punisce perché è stato
commesso un reato;
2) dal sistema positivistico delle misure di sicurezza, che rappresenta invece
l'espressione di un diritto penale della pericolosità sociale;
3) dal sistema dualistico o del doppio binario, caratterizzato dalla coesistenza
della pena e delle misure di sicurezza.
In sintesi, la scienza penale moderna abbraccia nel proprio campo di indagine
non solo il diritto penale ma anche le acquisizioni della criminologia e la
politica penale.
IL PRINCIPIO DI LEGALITA’
ARGOMENTO IN SINTESI. La genesi di tale principio risale alla
teoria del contratto sociale ed al pensiero illuministico proteso ad
6 Diritto Penale
eliminare gli arbitri e i soprusi dello stato assoluto nei confronti dei
cittadini. Il principio di legalità attualmente è statuito sia dall’art. 25/2
della Cost. che dall’art. 1 del c.p.. La norma costituzionale sancisce che
nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore
prima del fatto commesso, mentre la disposizione penale statuisce che
nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente
preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa
stabilite. Nonostante l’art. 25/2, diversamente dall’art. 1 c.p., non
menzioni l’avverbio espressamente e non faccia alcun riferimento alle
pene, è da ritenere che le due norme di legge abbiano la stessa ratio ed
un contenuto del tutto corrispondente. Il principio di legalità si
scompone in quattro sotto principi: la riserva di legge, la tassatività
della fattispecie penale, l’irretroattività della legge penale e il divieto di
analogia in materia penale. La riserva di legge vieta di sanzionare
penalmente un fatto in assenza di una legge preesistente che lo configuri
come reato. Il riservare esclusivamente al legislatore la potestà
normativa in materia penale risponde ad esigenze di garanzia sia
formali che sostanziali e tutela i diritti delle minoranze e delle forze
politiche dell’opposizione. La riserva di legge, nonostante alcune
sentenze in senso contrario della Cassazione, deve intendersi come
riserva assoluta; esistono tuttavia, in seno alla dottrina, delle divergenze
relativamente alla sua portata e ai suoi limiti. Il principio di tassatività
attiene invece alla tecnica di formulazione delle norme che mira
principalmente a salvaguardare i cittadini dagli abusi del potere
giudiziario imponendo che le norme siano formulate in modo chiaro e
preciso, di modo che sia dato al cittadino distinguere senza possibilità di
errore ciò che è lecito da ciò che non lo è . Gli strumenti di tecnica
legislativa che attengono alla redazione delle fattispecie penali si
distinguono in elementi descrittivi ed elementi normativi; questi ultimi a
loro volta si suddividono in giuridici ed extragiuridici. Gli elementi
descrittivi, detti anche elementi rigidi, sono quelli che meglio
salvaguardano il principio di tassatività : essi traggono il loro
significato direttamente dell’esperienza del mondo materiale ed
esprimono concetti chiari e univoci come uomo, casa, animale, morte
ecc.. Gli elementi normativi, invece, necessitano per la determinazione
del loro contenuto il rinvio a norme diverse rispetto a quella
incriminatrice: questa etero integrazione può riguardare, come
anticipato in precedenza, norme giuridiche, come nel caso dell’altruità
della cosa nel reato di furto, oppure norme extragiuridiche, sociali,
etiche e di costume, come la morale, il pudore e l’onore, concetti questi,
che, sfuggendo ad un’esatta definizione, lasciano al giudice larghi
margini di discrezionalità, con conseguente sacrificio del principio di
tassatività che viene in questo modo inevitabilmente eluso. Per quanto
riguarda il principio di irretroattività , bisogna sottolineare che esso,
nonostante sia previsto per tutte le leggi dall’art. 11 delle disposizioni
preliminari (la legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetto
Diritto Penale 7
Il principio di legalità sostanziale può assicurare senza dubbio una più efficace
difesa sociale. Ma in quanto si fonda su una nozione materiale di reato
ricavabile da fonti extralegali che troppo spesso sfuggono alla possibilità di
una conoscenza obiettiva, elide la certezza del diritto ed apre le porte
all'arbitrio e alle discriminazioni più gravi.
Mentre il principio di legalità sostanziale comporta un adeguamento pressoché
automatico del diritto penale al divenire della realtà sociale, per un tale
adeguamento il principio di legalità formale richiede continui e tempestivi
interventi legislativi.
Un diritto penale della libertà non può rinunciare alla conquista civile del
principio del “nullum crimen nulla poena sine lege”, che ha una funzione
insostituibile di garanzia del cittadino.
5
Il nostro sistema penale è incentrato sulla divisione dei reati in delitti e contravvenzioni. Molte
sono state, nel tempo, le teorie volte a differenziare ontologicamente queste due categorie di
reati; tuttavia nessuna delle teorie proposte è stata in grado di dare una risposta esauriente.
L’elemento di diversificazione, secondo il c.p. vigente che adotta a tal fine un criterio formale, è
basato sulla specie di pena comminata: mentre i delitti vengono puniti con la multa, la
reclusione e l’ergastolo, le contravvenzioni vengono sanzionate con le pene dell’arresto e
dell’ammenda. L’esistenza della categoria di reati in oggetto, in aggiunta ai delitti, ha alla sua
origine l’assorbimento nel diritto penale, a partire dal secolo XVIII, di fatti che costituivano in
precedenza illeciti amministrativi: tale assorbimento implicava la sottoposizione dei suddetti
illeciti alle garanzie del diritto e del processo penale. Venivano in considerazione norme attinenti
all’inosservanza di obblighi diretti a prevenire eventi pregiudizievoli per la comunità , la
regolamentazione di particolari attività , quali il vagabondaggio e la prostituzione, o di mestieri,
la disciplina di commerci e industrie, ecc.. A partire dal secolo scorso, accanto alle suddette
incriminazioni, si sono inserite nella categoria altri reati, caratterizzati esclusivamente dalla
modesta gravità , ossia incidenti su interessi ritenuti dal legislatore secondari rispetto a quelli
offesi dai delitti, con ciò creando un ostacolo ad una concezione unitaria delle contravvenzioni,
data la varietà di tali interessi. Si può semplificare il problema classificatorio riassumendo e
suddividendo le fattispecie contravvenzionali raggruppandole attorno a due poli: il primo
costituito dall’inosservanza di norme a carattere preventivo-cautelare, volte alla tutela
anticipata nelle forme del pericolo indiretto, di beni giuridici altrimenti tutelati sul piano della
lesione o del pericolo diretto; il secondo rappresentato dall’inosservanza di norme concernenti la
disciplina di attività soggette ad un potere amministrativo. (v. anche differenze in base
all’elemento soggettivo; tentativo; oblazione; misure di sicurezza; concorso colposo nel reato
doloso).
Diritto Penale 9
23. La consuetudine
Nell'ordinamento italiano la consuetudine occupa l'ultimo posto nella gerarchia
delle fonti e le è riconosciuta soltanto una funzione integratrice, non mai
abrogatrice. Per questo motivo è relegata ai margini del diritto penale, essendo
questo dominato dal principio della riserva di legge.
In particolare viene unanimemente negata in base a tale principio ogni efficacia
alla consuetudine che operi praeter legem a danno della libertà del soggetto nel
senso di dare vita a reati o sanzioni diversi da quelli previsti dalla legge. Viene
parimenti negata ogni efficacia alla consuetudine abrogatrice o desuetudine,
che operi contra legem a vantaggio del soggetto nel senso di abrogare norme
incriminatrici o comunque pregiudizievoli per il soggetto. Più controverso è il
problema se sia ammissibile una consuetudine contra legem, derogatrice, nel
senso cioè di creare nuovi tipi di scriminanti diversi da quelli previsti dalla
legge penale.
Di consuetudine secundum legem o integrativa sembra possa parlarsi a
proposito delle disposizioni penali che rinviano, esplicitamente o
implicitamente, a norme di rami dell'ordinamento giuridico in cui la
consuetudine può essere fonte di diritto. Concorde è, infine, la dottrina nel
riconoscere grande importanza alla consuetudine secundum legem cosiddetta
interpretativa. Essa non opera appunto nei limiti della norma o in opposizione
ad essa, ma agisce al suo interno in quanto serve per determinare, via via, il
12 Diritto Penale
IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA’
29. L’analogia
L'analogia è il procedimento attraverso cui vengono risolti casi non previsti
dalla legge, estendendo ad essi la disciplina prevista per i casi simili o,
altrimenti, desunto dai principi generali del diritto. Nel diritto penale italiano il
divieto di analogia è espressamente sancito dall'articolo 14 delle disposizioni
preliminari, per il quale " le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole
generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse
considerati "; nonché dagli articoli 1 e 199 c.p., per i quali i reati, pene e
misure di sicurezza sono soltanto quelli " espressamente " stabiliti dalla legge.
preludere che altre ipotesi extra legali siano riconducibili alla ratio della
scriminante.
IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’
IL REATO
ARGOMENTO IN SINTESI6. Secondo una tradizionale definizione è
reato ogni fatto umano cui la legge ricollega una sanzione penale. Tale
definizione rende conto tuttavia soltanto delle conseguenze giuridiche
che la legge prevede nel caso in cui venga posto in essere quel
determinato fatto umano. Il tentativo di dare contenuto sostanziale alla
nozione della presente voce è stato proprio delle principali scuole di
pensiero, che hanno affrontato l’analisi del reato. Secondo il
giusnaturalismo, scuola di pensiero che fonda i proprio principi
sull’esistenza di un diritto naturale, sarebbe reato ogni fatto che turba
l’ordine etico, l’ordine giuridico naturale, e per tale motivo è sanzionato
penalmente dallo Stato. La scuola positiva ha impostato l’analisi del
6
VARIE FORME DI REATO. Seguono le definizioni in sintesi delle principali forme di reato.
• Reato aberrante: l’aberratio si verifica qualora vi sia una divergenza tra voluto e realizzato.
Aberratio ictus: si realizza nell’ipotesi in cui per errore nell’uso di mezzi di esecuzione del
reato o per altra causa, l’offesa colpisce un soggetto diverso da quello cui l’offesa era
diretta. In tale fattispecie l’aberratio è detta monolesiva, o monoffensiva. L’agente risponde
come se avesse commesso il reato in danno alla persona che voleva offendere. L’aberratio
ictus può essere bioffensiva, allorché , oltre alla persona offesa, sia offesa anche la persona
alla quale l’offesa era diretta. Aberratio delicti: la divergenza tra il voluto e il realizzato è
relativa al tipo di evento realizzato con la propria condotta. Può essere monoffensiva; in tale
ipotesi, l’agente risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto, sempre che il fatto sia
previsto dalla legge come delitto colposo. Nella fattispecie di aberratio delicti bioffensiva,
che si realizza quando oltre all’evento non voluto si da luogo anche all’evento voluto, si
applicherà la disciplina del concorso di reati.
• Reato abituale: si realizza mediante la reiterazione nel tempo della condotta tipica,
caratterizzata da un unico elemento soggettivo, che consiste nella coscienza e volontà di
porre in essere abitualmente la condotta. Anche in questo caso il reato abituale è unico,
poiché unico è l’elemento soggettivo.
• Reato aggravato dall’evento: è tale il reato che subisce un aumento di pena se dalla
commissione dello stesso derivi un ulteriore evento, del quale risponde l’agente in quanto
conseguenza della sua azione criminosa, prescindendo dal dolo e dalla colpa.
• Reato circostanziato: è il reato caratterizzato dalla sussistenza di circostanze, aggravanti
ovvero attenuanti, e si distingue dal reato semplice. Le circostanze sono elementi accessori
che non incidono sulla struttura del reato, ma portano soltanto una modificazione
quantitativa o qualitativa della pena.
• Reato colposo: è tale il reato nel quale l’elemento soggettivo è costituito dalla colpa.
• Reato commissivo: è caratterizzato da una condotta che consiste in una attività del
soggetto agente, in una azione (uccidere, rubare).
• Reato complesso: è tale il reato nel quale un altro è assorbito nel primo quale elemento
costitutivo ovvero quale circostanza aggravante. Il delitto di rapina ha in sé la fattispecie di
furto e di violenza privata.
• Reato continuato: figura particolare di concorso materiale di reato che si realizza
allorquando l’agente ponga in essere più reati, espressione di un unico disegno criminoso,
mediante più azioni ad omissioni.
• Reato di attentato: o a consumazione anticipata. La condotta tipica consiste nel porre in
essere atti diretti a offendere il bene giuridico tutelato. Tale tipologia di reato ha la
medesima struttura del tentativo; tuttavia, per la intrinseca pericolosità di talune condotte,
e per la notevole importanza del bene tutelato, in determinate ipotesi, il legislatore ha
inteso elevare a reato perfetto siffatta condotta.
• Reato di azione: si configura allorquando è posta in essere la condotta sanzionata (c.d.
reato di mera condotta) a prescindere dalla verificazione di un evento.
• Reato di danno: è necessario che il bene giuridico della norma incriminatrice sia distrutto o
menomato. Nel reato di lesioni, l’integrità fisica deve risultare lesionata; nell’omicidio, la
vita distrutta.
• Reato di evento: affinché tale tipo di reato possa realizzarsi, è necessario che la condotta
abbia prodotto un effetto esterno (la morte di un uomo, una malattia), legato causalmente
alla condotta stessa. Talora la norma incriminatrice prevede espressamente le modalità
mediante le quali l’evento deve essere realizzato (reato a forma vincolata): in altri casi, la
norma fa esclusivo riferimento alla dipendenza causale dell’evento rispetto alla condotta
dell’agente, qualunque essa sia (reato a forma libera).
• Reato di pericolo: il bene giuridico deve essere oggetto di minaccia. Il pericolo consiste nella
probabilità di distruggere o menomare il bene tutelato. Si distingue tra reato di pericolo
concreto e reato di pericolo astratto o presunto. Per la configurabilità del primo è
Diritto Penale 21
reato attraverso lo studio della struttura della società in cui l’uomo opera.
Di qui la ricerca ha portato a considerare reato ogni fatto tale da recare
danno o porre in pericolo la società; ovvero da essere in contrasto con la
moralità media di un popolo, considerata in un determinato contesto
storico e sociale. Tali definizioni, non soddisfacenti, hanno indotto ad
elaborare una concezione formale-sostanziale del reato. E’ evidente che
qualsiasi definizione di reato non può non fondarsi su di un sistema di
valori da tutelare. La questione riguarda l’individuazione di tale sistema,
e soprattutto da parte di quale soggetto tale individuazione deve
provenire. Nell’ambito della concezione formale-sostanziale, assume
rilevanza il sistema di valori contenuto nella Carta costituzionale, che
costituisce già un criterio selettivo dei fatti che meritino una sanzione
necessaria la sussistenza di un effettivo pericolo per il bene tutelato, derivante dalla
condotta dell’agente, che dovrà essere di volta in volta accertato. In ordine al secondo il
pericolo è ritenuto dal legislatore insito nella condotta sanzionata, in base alla comune
esperienza, e come tale presunto in modo assoluto.
• Reato di scopo: mediante tale tipo di reato sono sanzionati penalmente comportamenti che
in sé e per sé non determinano l’offesa di alcun bene giuridico, ma che il legislatore ha
interesse ad evitarne la realizzazione.
• Reato di sospetto: tale tipologia di reato incrimina comportamenti che lasciano presumere
l’avvento o il futuro compimento di reati più gravi.
• Reato doloso: è il reato commesso con dolo.
• Reato impossibile: è configurabile quando per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza
dell’oggetto, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso. Per azione inidonea deve
intendersi l’intera azione tipica prevista dalla norma, la quale, in virtù di caratteristiche
concrete e oggettive, è inidonea a realizzare l’offesa.
• Reato istantaneo: è tale il reato nel quale l’offesa è istantanea, ossia si realizza nel tempo
stesso in cui si pone in essere il fatto tipico (es. omicidio).
• Reato omissivo: la condotta è rappresentata da una omissione, un non fare, giuridicamente
rilevante dell’agente (non soccorrere il ferito, non controllare il bilancio di una società
commerciale). L’omissione è penalmente rilevante allorché il soggetto agente, pur
avendone la possibilità , ha omesso di compiere l’azione doverosa. Si distingue tra reato
omissivo proprio ed improprio. Il primo è configurabile nel caso in cui il soggetto omette di
compiere l’azione comandata; il secondo qualora si ometta di impedire la verificazione di un
evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare.
• Reato ostativo: figura che tende ad incriminare determinati comportamenti che
costituiscono soltanto il presupposto dell’aggressione al bene tutelato.
• Reato permanente: per la configurabilità di tale reato è necessario che l’offesa al bene
giuridico tutelata sia protratta nel tempo ad opera della condotta volontaria dell’agente
(sequestro di persona). E’ un reato unico. Si perfeziona nel momento in cui la lesione
dell’interesse è protratta per quel minimo periodo di tempo, da rendere apprezzabile
l’offesa tipica e si consuma allorché la condotta dell’agente cessi, e così si esaurisca l’offesa
stessa.
• Reato plurisoggettivo: è necessaria la partecipazione di più persone (associazione a
delinquere; millantato credito).
• Reato plurisussistente: si oppone al reato unisussistente; la condotta tipica è scomponibile
in una pluralità di atti.
• Reato preterintenzionale: è caratterizzato da un particolare elemento soggettivo, la
preterintenzione, che si concreta quando dall’azione all’omissione deriva un evento
dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente.
• Reato progressivo: o progressione criminosa. si verifica quando l’agente, per realizzare una
determinata attività criminosa, non può evitare di realizzarne un’altra meno grave.
Caratteristica di tale reato è l’offesa crescente. Ineriscono alla progressione criminosa
anche le figure dell’antefatto e del postfatto non punibili. Il primo si configura nel caso in cui
il reato meno grave è il mezzo per la commissione del reato più grave. Il secondo consiste in
una condotta susseguente al reato più grave commesso in precedenza, il cui disvalore
rimane assorbito nel reato più grave.
• Reato proprio: può essere commesso soltanto da un soggetto dotato di una particolare
qualifica soggettiva, tale da porlo in una particolare relazione con il bene tutelato dalla
norma penale (pubblico ufficiale rispetto ai delitti di peculato, corruzione; imprenditore
rispetto al delitto di bancarotta). Esso si distingue dal reato comune, che può essere
commesso da chiunque.
• Reato putativo: figura che si realizza qualora l’agente commetta un fatto non costituente
reato, nella erronea supposizione che esso costituisca reato. L’erronea supposizione può
22 Diritto Penale
dipendere da: errore di diritto penale o sul divieto (l’agente crede nell’esistenza di una
norma che vieti un comportamento del tutto lecito); errore su legge extrapenale (chi,
credendosi imprenditore, ritiene di commettere fatti di bancarotta); errori di fatto (l’agente
che sottrae una cosa mobile ritenuta altrui ed invece propria). In siffatta ipotesi, l’agente
non è punibile, salvo che nel fatto concorrano gli elementi costitutivi di un reato diverso, del
quale l’agente è determinato a rispondere.
• Reato tentato: si configura qualora l’agente ponga in essere atti idonei diretti in modo non
equivoco a commettere un delitto. Il trattamento sanzionatorio è più mite rispetto al delitto
consumato.
• Reato unisussistente: si realizza con un solo atto, ossia la condotta tipica consiste nel
compimento di un solo atto, e non è frazionabile. Non ammette il tentativo.
Diritto Penale 23
IL PRINCIPIO DI MATERIALITA’
LA CONDOTTA
ARGOMENTO IN SINTESI. La condotta è un elemento costitutivo del
reato. Essa indica il comportamento del soggetto che pone in essere un
crimine e che è considerato tipico della norma per la realizzazione della
fattispecie penale. Per il diritto penale la condotta non può esaurirsi in
un mero movimento corporeo, ma è necessario che questo sia correlato e
valutato anche alla luce della psiche e della consapevolezza dell’agire
del reo. A tal fine la condotta è stata variamente definita come: volontà
che si realizza, movimento corporeo cagionato dalla volontà, attività
finalisticamente rivolta alla realizzazione dell’evento tipico. Tali
definizioni non sono però comprensive di tutti i possibili moduli di
comportamento e si riferiscono unicamente ad una condotta
intenzionalmente cagionata, ossia dolosa, ed estrinsecantesi in
un’attività positiva del soggetto. Per comprendere anche i
comportamenti colposi e quelli negativi, c’è chi ha definito la condotta
come ogni comportamento socialmente rilevante, non evitare l’evitabile,
26 Diritto Penale
47. L’azione
La condotta può consistere in una azione o in una omissione:
• sono reati di azione o commissivi quelli che si pongono in essere con una
condotta attiva;
• reati di omissione o omissivi quelli che si pongono in essere con una
condotta omissiva;
• reati a condotta mista quelli che esigono sia una azione che una omissione.
Sotto il profilo materiale l'azione è il movimento del corpo idoneo ad offendere
l'interesse protetto dalla norma o un interesse statale perseguito dal legislatore
attraverso l'incriminazione. Si dicono reati a forma vincolata quelli in cui la
legge richiede che l'azione tipica si articoli attraverso determinate modalità o,
addirittura, attraverso determinati mezzi.
Un problema può sorgere quando l'agente pone in essere comportamenti tutti
tipici, ciascuno dei quali già di per se idoneo ad offendere il bene protetto. Per
capire se in tal caso siamo di fronte ad un'unica azione o ad una pluralità di
azioni occorre considerare: a) l'idoneità dei diversi atti tipici ad offendere lo
stesso interesse protetto; b) la loro contestualità.
7
Ai fini della sussistenza di un reato non è sufficiente che vi sia una condotta, anche se non vi
può essere reato senza una condotta.
28 Diritto Penale
48. L’omissione
Superati i tentativi di individuare una dimensione fisica dell'omissione, la
dottrina in atto dominante tende ad individuare l'essenza dell'omissione in
chiave negativa, come mancato compimento, da parte di un soggetto, di una
azione che doveva essere compiuta.
In ossequio ai principi costituzionali della materialità e della offensività del
fatto occorre procedere ad una interpretazione o ad una riformulazione in
termini di offesa delle attuali fattispecie omissive, che sono in genere
formulate in termini di mera disubbidienza.
Nell'ambito dei reati omissivi fondamentale, per la diversità di strutture di
problematiche, è la bipartizione tra:
1) reati omissivi propri o di pura omissione, che consistono nel mancato
compimento dell'azione comandata e per la sussistenza dei quali non occorre,
pertanto, il verificarsi di alcun evento materiale8. Qui la legge attribuisce
rilevanza penale a specifiche tipologie di omissione come tali. Pertanto si tratta
di reati che sono espressamente e specificamente previsti da norme di parte
sociale.
2) reati omissivi impropri o di non impedimento, che consistono nel mancato
impedimento di un evento materiale e per l'esistenza dei quali occorre,
pertanto, il verificarsi di un tale evento9. Qui la legge attribuisce rilevanza
penale non alla omissione come tale, ma al non impedimento dell'evento.
L’EVENTO
ARGOMENTO IN SINTESI. Sul significato del termine evento inteso,
secondo la definizione codicistica, come il risultato dell’azione od
omissione, si sono scontrate nella dottrina penalistica due opposte
teorie: secondo la c.d. concezione naturalistica l’evento consisterebbe
nel risultato naturale della condotta umana, nella modificazione
esteriore della realtà fenomenica prodotta dall’azione od omissione del
soggetto agente. In una simile costruzione teorica l’evento è separato dal
punto di vista spazio-temporale dalla condotta, e ad essa risulta legato
da un nesso di causalità. E’ evidente che intendendo il termine evento in
questa accezione naturalistica si deve dedurne l’assenza in tutti i c.d.
reati di pura condotta (o formali), nei quali si richiede appunto la
semplice condotta di un soggetto, senza la necessità di una
modificazione della realtà esterna. Al contrario, l’evento sarebbe
chiaramente rinvenibile nei reati di evento (o materiali) nei quali risulta
8
Es. omissione di atti di ufficio, di denuncia di reato, di referto, di soccorso.
9
Es. omicidio del neonato per mancato allattamento da parte della madre; disastro ferroviario
per omesso azionamento dello scambio da parte dell’addetto.
10
Es. lo stato di gravidanza nel procurato aborto o un precedente matrimonio nel reato di
bigamia.
Diritto Penale 29
IL RAPPORTO DI CAUSALITA’
ARGOMENTO IN SINTESI. In base all’art. 40/1 c.p., nessuno può
essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione. Occorre premettere che si
ritiene sussistente il rapporto di causalità tra condotta ed evento per i
soli reati con evento inteso in senso naturalistico: infatti, in omaggio al
principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), non
può considerarsi conseguenza dell’operato di un uomo una modifica del
mondo esterno che non sia causalmente collegata con una sua condotta.
Ma quando un evento può dirsi per certo conseguenza di una condotta?
La dottrina tradizionale ha spiegato la causalità ricorrendo a tre diverse
soluzioni:
1. teoria della condicio sine qua non, o dell’equivalenza delle cause,
secondo la quale basta, a collegare condotta ed evento, l’aver posto in
essere una qualunque delle cause dell’evento stesso, senza considerazione
alcuna per la diversa importanza delle diverse cause, che quindi sono viste
come tutte equivalenti nella causazione dell’evento. Tale teoria presenta
11
Un terzo orientamento sostiene invece che legislatore avrebbe accolto entrambi i concetti:
all'evento in senso naturalistico dovrebbe farsi riferimento in relazione al rapporto di causalità
materiale, all'evento in senso giuridico, invece, dovrebbe farsi riferimento in relazione
all'elemento soggettivo del reato. La disputa è tuttora aperta.
Diritto Penale 31
IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITA’
2. i reati di pericolo, per i quali basta, invece, che il bene sia stato minacciato.
Può parlarsi di pericolo quando l'evento lesivo, secondo in giudizio ex ante
sulla base delle circostanze al momento verosimilmente esistenti, era
prevedibile come verosimile secondo la migliore scienza e esperienza. Il
pericolo è, pertanto, la probabilità del verificarsi dell'evento di danno.
• Circa il momento del giudizio, la moderna dottrina resta ferma al giudizio
prognostico ex ante. Lo retrocede, però, in conformità alla funzione
preventiva dei reati di pericolo:
1. al momento della condotta rispetto ai reati di condotta
pericolosa o equivalenti, nei quali cioè il pericolo qualifica la condotta
o il presupposto o l'oggetto materiale di essa. E se la condotta è
plurisussistente o il reato è a condotta plurima, si guarderà, nell'arco dei
vari atti o condotte, al momento che consente la prognosi più
favorevole di pericolo;
2. al momento, tra la fine della condotta e la fine dell'evento tipico,
più favorevole alla prognosi di pericolo, se si tratta di reati di evento di
pericolo o di evento pericoloso, nei quali cioè il pericolo costituisce
l'evento stesso o un attributo di esso.
• Circa la base del giudizio, essa comprende le circostanze al momento
verosimilmente esistenti secondo la migliore scienza e esperienza umana.
• Circa i criteri del giudizio, la credibilità dell'evento va determinata secondo
la migliore scienza e esperienza del momento storico, utilizzandosi cioè le
leggi scientifiche universali.
Nell'ambito dei reati di pericolo alla bipartizione tradizionale (reati di pericolo
concreto e reati di pericolo astratto o presunto) va sostituita la tripartizione tra:
1. reati di pericolo concreto o effettivo, per la sussistenza dei quali il pericolo
deve effettivamente esistere, costituendo esso elemento tipico espresso e
dovendosi perciò accertarne in ciascun caso la concreta esistenza; i reati di
pericolo concreto vengono, poi, distinti in:
• reati di pericolo diretto, nei quali si punisce il provocato
pericolo di lesione del bene giuridico;
• reati di pericolo indiretto, nei quali si punisce il pericolo di un
evento pericoloso per il bene protetto.
2. reati di pericolo astratto, nel quale il pericolo è implicito nella stessa
condotta, ritenuta per comune esperienza pericolosa, e il giudice si limita a
riscontrare la conformità di essa al tipo (es. i reati, ora decriminalizzati, di
sorpasso su dosso o in curva);
3. reati di pericolo presunto, nei quali il pericolo non è implicito nella stessa
condotta, poiché al momento di essa è possibile controllare la esistenza o
meno delle condizioni per il verificarsi dell'evento lesivo, ma viene
presunto juris e de jure, per cui non è ammessa neppure prova contraria
della sua concreta inesistenza (es. il reato, ora decriminalizzato, di
passaggio con semaforo rosso).
Sotto il profilo della offesa occorre, altresì, distinguere:
1. i reati monoffensivi, per l'esistenza dei quali è necessaria e sufficiente
l'offesa di un sono bene giuridico;
42 Diritto Penale
72. La nozione
Soggetto passivo del reato è il titolare del bene che costituisce l'oggetto
giuridico del reato. Tale non è pertanto qualunque persona che subisca
eventualmente un danno dal reato, ma solo il titolare del bene protetto dalla
norma e, quindi, colui che subisce l'offesa essenziale per la sussistenza del
reato13. Data la correlazione tra soggetto passivo ed oggetto giuridico, vi sono:
• reati a soggetto passivo determinato, in cui l'interesse offeso appartiene a
soggetti ben individuabili;
• reati a soggetto passivo indeterminato, in cui l'interesse offeso appartiene
genericamente ad una collettività indeterminata;
• reati senza soggetto passivo, in cui il fatto è incriminato dal legislatore in
vista di uno scopo assunto come proprio e rilevante dallo stato, senza che
sia offeso alcun interesse specifico di alcuno.
Soggetto passivo possono essere non solo le persone fisiche, pur se incapaci
(minori, infermi di mente) ma anche le persone giuridiche quando la natura del
reato lo consenta (es. reati patrimoniali). Può aversi anche una pluralità di
soggetti passivi, allorché più siano i titolari del bene offeso.
13
Benché l'omicidio possa danneggiare i familiari dell'ucciso o un furto i creditori del derubato,
soggetto passivo di tali reati è, rispettivamente, il titolare del bene della vita soppressa e della
costa sottratta.
Diritto Penale 45
L'attività del soggetto passivo può infine rilevare, dopo la consumazione del
reato, ai fini della possibilità della concreta punibilità del fatto, come nei non
pochi casi di reati perseguiti a querela o ad istanza di parte.
LE SCRIMINANTI
14
Classici esempi sono quelli del naufrago che, aggrappato al relitto, respinge in mare un altro
naufrago per salvarsi, o dell'alpinista che fa precipitare il compagno recidendo la corda che sta
per spezzarsi, o dei superstiti di un disastro aereo che sopravvivono nutrendosi dei cadaveri di
passeggeri periti.
Diritto Penale 51
L'articolo 54/3 estende, infine, l'ambito della scriminante anche l'ipotesi del
costringimento psichico, che si ha allorché un soggetto commette un reato
perché indotto dalla altrui minaccia.
15
Il trattamento medico-chirurgico. Il fondamento di limiti tale attività sono diversi, a
seconda che vengono in rilievo:
• Trattamenti medici non necessari o estetici: in essi la non punibilità per eventuali reati
commessi dal medico in danno del paziente è frutto della combinazione tra l'esercizio del
diritto ed il consenso dell'avente diritto;
• Interventi necessari, pur se comportano notevoli rischi per il paziente: in essi la non
punibilità per eventuali reati commessi in danno del paziente, è frutto della combinazione
tra lo stato di necessità e l'adempimento del dovere.
In entrambi i casi, l'esonero da responsabilità per il medico dipende sempre dal rispetto delle
regole dell'arte medica.
L'attività sportiva violenta. La non punibilità per le eventuali lesioni subite da un atleta
durante lo svolgimento del gioco, deriva dalla combinazione tra la scriminante dell'esercizio del
diritto, ed il consenso dell'avente diritto, che risulta per il solo fatto di aver partecipato
all'attività violenta, fermo restando il limite del rispetto delle regole del gioco.
Informazioni commerciali. Consistono nella facoltà di chiedere o di fornire informazioni
riservate o, altresì, lesive dell'altrui reputazione. Parte della dottrina ritiene in tal caso
configurabile la scriminante dell'esercizio del diritto, la cui fonte andrebbe rinvenuta negli usi
sociali. Secondo altri autori, tale facoltà sarebbe volta prevenire i rischi dell'inaffidabilità dei
propri partner commerciali, che troverebbe pertanto, implicitamente, rilievo costituzionale.
Diritto Penale 53
volontà oppure per colpa o senza colpa alcuna. L'eccesso doloso da luogo a
responsabilità per il reato doloso; l'eccesso colposo da luogo a
responsabilità colposa, se il fatto è previsto dalla legge come reato colposo.
IL PRINCIPIO DI SOGGETTIVITA’
LA COLPEVOLEZZA
17
L'ignoranza colposa è tale se ricorrono i tre requisiti della colpa: la mancanza della
volontarietà dell'ignorantia legis; l'inosservanza delle regole cautelari di condotta; l'attribuibilità
della ignorantia o error legis all'agente.
56 Diritto Penale
91. L’inesigibilità
La dottrina germanica, seguita da parte della dottrina italiana, ha ritenuto che
per la colpevolezza, normativamente intesa, occorre anche la cosiddetta
esigibilità del comportamento conforme al dovere. La inesigibilità del
comportamento, dovuto al fatto che il soggetto ha agito in circostanze tali da
non potersi umanamente pretende un comportamento diverso, esclude la
colpevolezza.
IL DOLO
95. La nozione
Il dolo è la forma fondamentale, generale ed originaria di colpevolezza. Per il
nostro codice il dolo è rappresentazione e volontà del fatto materiale tipico,
cioè di tutti gli elementi oggettivi della fattispecie del reato.
E tra gli elementi del fatto alcuni possono essere solo rappresentati mentre altri
possono e debbono essere anche voluti.
Costituiscono soltanto oggetto di rappresentazione:
1. tutti gli elementi positivi naturalistici, precedenti e concomitanti, alla
condotta;
2. gli elementi negativi del fatto, cioè l'assenza di situazioni previste dalla
legge come scriminanti, generali o speciali.
Costituiscono invece oggetto di rappresentazione e volizione:
1. la condotta;
2. l'evento naturale quale conseguenza della condotta.
Nei reati omissivi propri il dolo è costituito dalla rappresentazione del
presupposto del dovere di agire e dalla volontà di non compiere l'azione
doverosa.
Nei reati omissivi impropri dalla rappresentazione dell'obbligo giuridico extra-
penale di garanzia e dei presupposti di esso oltre che dalla volontà di non
tenere l'ultima azione impeditiva e dall'evento materiale quale conseguenza di
tale omissione.
Ma il perenne problema del dolo è se esso abbracci anche la consapevolezza
del disvalore del fatto, non essendosi mai acquietata la dottrina sulla
sufficienza della mera conoscenza e volontà del solo fatto materiale, che
ridurrebbe il dolo a categoria esangue e asignificativa. Di fronte alla
irrinunciabile esigenza di una più intima partecipazione psichica nel soggetto al
fatto, una più recente dottrina richiede la coscienza di offendere l'interesse
protetto dalla norma, cercando di fondare l'assunto sulla base del diritto
positivo.
Occorre distinguere tra:
1. il dolo dei reati di offesa, che richiede anche la coscienza e volontà della
offensività, e la conoscibilità della illiceità penale;
2. Il dolo dei reati di scopo o di mera creazione legislativa, che richiede la
coscienza e volontà del mero fatto materiale tipico, ma non dell'offensività
e la conoscibilità della illiceità penale del fatto.
• dolo generico, proprio della maggior parte dei reati, quando la legge
richiede la semplice coscienza e volontà del fatto materiale, essendo
indifferente per l'esistenza del reato il fine per cui si agisce;
• dolo specifico, tipico di particolari figure criminose, quando la stessa legge
esige, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale, che il soggetto
agisca per un fine particolare, che è appunto previsto come elemento
soggettivo costitutivo della fattispecie legale, ma che sta oltre il fatto
materiale tipico, onde il conseguimento di tale fine non è necessario per la
consumazione del reato.
Altra distinzione, assai ricorrente, è tra:
• dolo di danno, quando il soggetto vuole ledere il bene protetto;
• dolo di pericolo, quando il soggetto vuole soltanto minacciarlo.
LA COLPA
101. La nozione
Per l'articolo 43/1 il delitto "è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento,
anche se previsto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o
imprudenza o imperizia, ovvero per l'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini
o discipline”. Trattasi, però, di nozione incompleta, che esprime l'ipotesi
comune di colpa, ma non comprende anche la colpa nei reati di mera condotta
e la cosiddetta colpa impropria. Essa si completa con il contenuto degli articoli
47, 55, 59, 83.
Ma in che cosa consiste la colpa? Le vecchie teorie soggettive sull'essenza
della colpa, pur accogliendo aspetti di verità, non sono esaurienti 18 così come –
18
La teoria tradizionale e di antica origine della prevedibilità, per cui la colpa consiste nella
mancata previsione di un evento prevedibile, il quale proprio in quanto tale sarebbe imputabile
al soggetto, non tiene conto a) che la colpa può sussistere nonostante la previsione dell'evento,
60 Diritto Penale
del resto - le teorie soggettive19. Più esauriente è la moderna teoria mista, che
ha evidenziato una duplice dimensione e funzione della colpa:
• oggettiva, consistendo il primo elemento essenziale nella condotta
violatrice della regola cautelare obiettiva, volta a salvaguardare i beni
giuridici;
• soggettiva, consistente il secondo elemento essenziale nella capacità
soggettiva del singolo agente di osservare tale regola.
Riteniamo, perciò, che l'essenza unitaria della responsabilità colposa debba
ravvisarsi nel rimprovero al soggetto per avere realizzato, involontariamente
ma pur sempre attraverso la violazione di regole doverose di condotta, un fatto
di reato, che egli poteva evitare mediante l'osservanza, esigibile, di tali regole.
Tre sono, pertanto, gli elementi costitutivi e caratteristici della colpa:
1. l'elemento negativo della mancanza della volontà del fatto materiale tipico;
2. l'elemento oggettivo della inosservanza delle regole di condotta, dirette a
prevenire danni a beni giuridicamente protetti;
3. l'elemento soggettivo della attribuibilità di tale inosservanza al soggetto
agente, dovendo avere egli la capacità di adeguarsi a tali regole e
potendosi, pertanto, pretenderne da lui l’osservanza.
come appunto nella cosiddetta colpa cosciente; b) rispetto alle attività rischiose, ma
giuridicamente autorizzate, la indubbia prevedibilità dell'evento non basta affatto a legittimare
una responsabilità colposa.
Analoghi rilievi possono muoversi alla teoria della evitabilità, per cui la colpa consiste nel non
avere evitato l'evento evitabile: non sempre il verificarsi di un evento evitabile basta di per sé a
dar luogo ad una responsabilità per colpa. Allo stesso modo non può accogliersi la tesi
dell'errore, per cui la colpa trae sempre origine da un errore nella valutazione o nella
esecuzione.
19
Non può condividersi la tesi che ravvisa l'essenza della colpa nella violazione di un dovere di
attenzione, poiché può sussistere colpa anche senza alcun difetto di attenzione, come appunto
nella colpa per imperizia. Stessa sorte per la tesi che individua l'essenza della colpa nella
inosservanza di regole doverose di condotta, volte a prevenire eventi dannosi, per l'opposta
ragione che una tale inosservanza, da un lato, ben può essere comune anche al dolo e,
dall'altro, non da luogo di per se a colpa, ma solo nei casi in cui l'osservanza della regola poteva
pretendersi dal soggetto, quando cioè l'inosservanza sia inescusabile.
20
Darebbero luogo ad una colpa impropria i tre casi eccezionali contemplati dal nostro
ordinamento:1) l'eccesso colposo nella causa di giustificazione; 2) la supposizione colposa di una
causa di giustificazione inesistente; 3) l'errore sul fatto determinato da colpa.
Diritto Penale 61
avere osservato certe regole precauzionali per non aver previsto l'evento,
prevedibile.
Quanto alla cosiddetta colpa generica, insostituibile è il criterio, anche ai fini
dell'accertamento, della prevedibilità dell'evento e della prevenibilità o
evitabilità del medesimo che vanno determinante, innanzitutto, tenendo
presente tutte le circostanze in cui soggetto si trova ad operare in base al
parametro relativistico dell'agente modello, cioè dell'uomo giudizioso ejusdem
professionis et condicionis.
Ne discende:
• che è individuabile una pluralità di agenti modello in corrispondenza dei
diversi tipi di attività e condizioni;
• che lo stesso soggetto può essere ricondotto a più agenti modello in
rapporto alla specifica attività svolta;
• che il giudizio sulla colpa è relativo in quanto l'evento può essere
prevedibile e evitabile per un'agente modello e non per un altro;
• che pertanto, quando l'evento poteva ritenersi prevedibile ed evitabile dal
modello di soggetto cui l'agente appartiene, questi non solo ha posto in
essere una condotta obiettivamente pericolosa ma è altresì rimproverabile
per essere stato imprudente, negligente, imperito22.
Quanto alla cosiddetta colpa specifica, non vi è, rispetto alla dimensione
oggettiva, differenza con la colpa generica: entrambe richiedono l'inosservanza
della regola cautelare. Circa la dimensione soggettiva, mentre per la colpa
generica occorre accertare caso per caso la prevedibilità ed evitabilità da parte
dell'uomo ejusdem professionis et condicionis, per la colpa specifica è
controverso se occorra analogo accertamento concreto oppure se basti accertare
la inosservanza della regola cautelare scritta e la riconducibilità dell'evento
cagionato al tipo di evento che tale regola intende prevenire.
L'inosservanza delle norme cautelari scritte comporta responsabilità colposa
non per tutti gli eventi cagionati, ma solo per quelli del tipo che esse mirano a
prevenire, cioè evitabili con la loro osservanza. D'altro canto l'osservanza delle
norme cautelari scritte fa venire meno la responsabilità colposa quando esse
siano esaustive delle regole prudenziali realisticamente esigibili rispetto a
quella specifica attività o situazione pericolosa. Può residuare, invece, una
colpa generica, quando tali norme siano non esaustive delle regole prudenziali
adottabili e, perciò, l'agente debba rispettare anche regole cautelari non scritte.
Di maggiore rilevanza pratica è la distinzione tra:
• colpa comune - che riguarda le attività lecite perché non proibite -
caratterizzata dalla inosservanza di regole di condotta finalizzate alla
prevenzione di qualsiasi misura di rischio e dalla prevedibilità dell'evento;
• colpa speciale o professionale - che riguarda le attività giuridicamente
autorizzate perché socialmente utili, anche se per natura rischiose -
caratterizzata dalla inosservanza di regole di condotta finalizzate alla
prevenzione non del rischio dall'ordinamento consentito ma di un ulteriore
rischio non consentito e dalla prevedibilità, non adottando tali misure,
dell'evento.
22
La evitabilità è esclusa nei casi di inutilità del comportamento alternativo corretto.
Diritto Penale 63
LA PRETERINTENZIONE
23
Un errore di diritto extrapenale può tradursi in un errore sul fatto quando la legge extrapenale
è richiamata dalla stessa norma penale per il tramite degli elementi normativi
Diritto Penale 67
114. L’aberratio
Anche nell’aberratio si ha una divergenza fra il voluto e il realizzato, dovuta
però a cause non incidenti sulla fase formativa, ma sulla fase esecutiva della
volontà: cioè ad un errore inabilità o ad altri fattori. Si distingue fra:
24
v. anche pagg. 378-379 Mantovani.
68 Diritto Penale
LA RESPONSABILITà OGGETTIVA
115. La nozione
La responsabilità oggettiva consiste nel porre a carico dell’agente un evento
sulla base del solo rapporto di causalità, indipendentemente dal concorso del
dolo o della colpa. L’agente è, pertanto, chiamato a rispondere dei risultati
della sua condotta, anche se rispetto ad essi nessun rimprovero può essergli
mosso, neppure di semplice leggerezza.
La responsabilità oggettiva espressa è costituita dalle ipotesi espressamente
previste in non poche legislazioni penali, comprese la nostra. L’art. 42 dopo
aver stabilito che nessuno può essere punito per un fatto previsto come delitto
se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o
colposo espressamente previsti dalla legge, aggiunge che la legge determina i
casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come
conseguenza della sua azione od omissione.
La responsabilità oggettiva occulta riguarda quelle ipotesi, o quei coefficienti,
di responsabilità oggettiva, che si annidano nello stesso concetto di
colpevolezza e nelle sue specifiche forme del dolo e della colpa, quando non
siano non solo concepiti ma anche concretamente applicati in termini di
autentica responsabilità colpevole.
IL REATO CIRCOSTANZIATO
118. Le circostanze
Il reato può assumere aspetti particolari, che pur se non essenziali per la sua
esistenza danno luogo, però, a conseguenze giuridiche diverse. Tali differenti
modi di atteggiarsi vengono trattati in quel capitolo della teoria generale del
reato che ormai va sotto il nome di forme di manifestazione del reato. Fra tali
forme eventuali vengono comunemente comprese: il reato circostanziato; il
reato tentato; il concorso di reati; il concorso di persone nel reato.
Le circostanze sono elementi accidentali, accessori, del reato. Come tali non
sono necessari per la sua esistenza ma incidono sulla sua gravità o rilevano
come indice della capacità a delinquere del soggetto, comportante una
Diritto Penale 71
IL DELITTO TENTATO
a) secondo la tesi della univocità assoluta, che gli atti devono rivelare, in se e
per se considerati, cioè nella loro oggettività, la loro direzione finalistica
verso lo specifico reato, la specifica intenzione criminosa del soggetto;
b) secondo la tesi della univocità relativa, che gli atti debbono rivelare, in
rapporto al piano criminoso previamente individuato in base tutte le
risultanze probatorie, la loro direzione finalistica allo specifico reato voluto
dall’agente.
Sennonché la prima tesi non limita, ma elimina il tentativo punibile; la seconda
tesi, viceversa, non limita, ma dilata incontenibilmente il tentativo punibile.
stabilita per il delitto tentato. Se per recedere l'agente compie un altro reato,
risponderà anche di questo.
2. il cumulo giuridico, per il quale si applica la pena del reato più grave,
aumentata proporzionalmente alla gravità delle pene concorrenti, ma in
modo complessivamente inferiore al loro cumulo materiale;
3. l'assorbimento, per il quale si applica soltanto la pena del reato più grave,
intendendosi in questo assorbite le pene minori.
Una particolare ipotesi di concorso di reati è costituita dai cosiddetti reati
connessi, cioè fra loro collegati:
1. da connessione teleologica, quando cioè un reato è commesso allo scopo di
eseguire un altro reato;
2. da connessione consequenziale, allorché un reato viene commesso per
conseguire o assicurare a sé o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto,
ovvero l'impunità di un altro reato oppure per occultarlo. Fuori di queste
ipotesi è improprio parlare di concorso di reati come categoria sostanziale.
azione o più azioni, un unico evento o più eventi, un'unica volontà o più
volontà.
• Per la concezione normativa, che è la più condivisa, l'unità o pluralità di
reati va desunta esclusivamente dalla norma penale, che è l'unico metro per
decidere se il fatto storico sia valutato dal diritto penale come un solo
illecito o come più illeciti.
• Per la concezione normativa a base ontologica, pur affermandosì che la
norma costituisce il prius logico per la valutazione del fatto storico come
unico o plurimo e che il legislatore non è rigidamente vincolato al dato
pregiuridico, tuttavia si riconosce che determinati schemi ontologici
fondamentali, determinati sistemi di valori e le correlative tipologie di
aggressione, non possono non costituire l’ossatura concettuale, la struttura
portante, di ogni sistema penale razionale e progredito.
Ciò premesso, in base alla interpretazione delle norme singolarmente prese o
considerate nei loro reciproci rapporti vanno risolti i due problemi, che anche
la pratica giudiziaria quotidianamente pone. Quand’è che il soggetto con il suo
comportamento viola:
1. una sola volta o più volte la stessa norma penale;
2. oppure una sola norma o più norme diverse?
Il primo problema si pone nei cosiddetti casi di ripetizione o moltiplicazione
della stessa fattispecie legale nello stesso contesto di tempo. Se tra le singole
condotte ripetitive intercorresse, infatti, un apprezzabile lasso di tempo, si
avrebbe sicuramente una pluralità di reati. Il secondo problema si pone, oltre
che nel cosiddetto concorso di norme, anche rispetto alle norme penali miste.
In tutti i casi di realizzazione congiunta di più previsioni si pone il problema se
la norma penale mista debba applicarsi tante volte quante sono le ipotesi
concretamente realizzate o invece una sola volta. La soluzione più corretta è
distinguere tra:
1. disposizioni a più norme che contengono tante norme incriminatrici quante
sono le fattispecie ivi previste, la violazione di ognuna delle quali da perciò
luogo ad altrettanti reati;
2. norme a più fattispecie, che viceversa sono costituite da un'unica norma
incriminatrice e che, perciò, sono applicabili una sola volta in caso di
realizzazione sia di una soltanto sia di tutte le fattispecie ivi previste,
trattandosi di semplici modalità di previsione di un unico tipo di reato.
un solo reato, perché‚ solo a prima vista il fatto appare riconducibile sotto più
norme, ma in realtà una soltanto è ad esso applicabile?
Il fenomeno del concorso di norme pone tre ordini di indagini riguardanti:
1. i presupposti della sua esistenza;
2. il principio giuridico per stabilire l'apparenza o la realtà del medesimo.
3. i criteri per individuare, nell'ambito del preaccertato concorso apparente, la
norma prevalente.
I presupposti sono:
a) la pluralità di norme, non essendo concepibile il concorso di una norma con
se stessa;
b) la identità del fatto, che appare contemplato da più nome. Il che è possibile
se ed in quanto intercorrano tra le fattispecie le relazioni di specialità
(unilaterale) o di specialità reciproca (o bilaterale).
Si ha specialità quando una norma, speciale, presenta tutti gli elementi di altra
norma, generale, con almeno un elemento in più. Tipico esempio è l'art. 341
rispetto all' art. 594, poiché‚ l'oltraggio presenta tutti gli elementi dell’ingiuria
ed inoltre il quid pluris della qualifica di “pubblico ufficiale” nell'offeso.
Si ha specialità reciproca allorché nessuna norma è speciale o generale, ma
ciascuna è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano,
accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici e elementi generici
rispetto ai corrispondenti elementi dell’altra.
Al di là della specialità, unilaterale e reciproca, non è più configurabile
concorso di norme, poiché le norme già prima facie appaiono applicabili a fatti
diversi, in quanto nessuna ipotesi, integrante l’una, integra anche l’altra e
viceversa.
Infine, un fenomeno di concorso di norme non si pone quando la legge già
espressamente esclude l’applicazione di una di esse, attraverso clausole di
riserva determinate (cioè del tipo “fuori del caso indicato nell’art. xx”).
28
Così, ad es., le ipotesi della truffa e del millantato credito o del falso in scrittura privata, del
favoreggiamento personale e dell'omissione di denuncia da parte del pubblico ufficiale, della
manifestazione sediziosa e della radunata sediziosa.
88 Diritto Penale
30
In luogo della ambigua denominazione di reati abituali meglio si addice quella di reati a
condotta reiterata.
92 Diritto Penale
32
Si fa l’esempio di chi istiga taluno, che versa in errore inescusabile sulla natura tossica di una
sostanza, ad immetterla in acque o sostanze destinate alla alimentazione; al qual proposito
nessuno dubita che l’istigatore risponda del delitto doloso dell’art. 439 e l’esecutore di quello
colposo dell’art. 452.
Diritto Penale 97
34
L’intraneo deve realizzare egli stesso la condotta tipica del reato proprio solo nei casi di “reati
esclusivi”, che per loro natura sono reati c.d. di mano propria o di attuazione personale e,
pertanto, non possono essere realizzati “per interposta persona” (es. falso in giuramento,
incesto). Non così, invece, per i reati propri “non esclusivi”, che ammettono la realizzazione per
mano di terzi.
Diritto Penale 99
35
Così si capovolge, però, tutta la logica del dolo restando da un lato impuniti non solo i
concorrenti del reato esclusivo ma anche i concorrenti nel reato proprio sub c); e dall’altro
punendo i concorrenti del reato sub b).
36
Si tratta di una circostanza attenuante indefinita ma non facoltativa.
37
Poiché la legge parla non di “istigazione”, ma di “determinazione”, non basta che venga
rafforzato nella mente altrui il proposito criminoso, ma occorre che si faccia sorgere un
proposito criminoso prima inesistente.
38
L’attenuante non può essere concessa quando ricorrano le aggravanti dell’art. 112.
100 Diritto Penale
39
In verità, pena la incostituzionalità, il “può” dell'art. 114 deve essere inteso nel senso che è
affidato alla discrezionalità del giudice valutare se, data la minima importanza della
partecipazione, ecc., sia altresì ravvisabile nella situazione concreta, valutata ex art. 133, il
valore di una circostanza attenuante; che il giudice ha però l'obbligo, contrariamente a quanto si
ritiene in giurisprudenza, di applicare una volta che l'abbia considerata sussistente.
Diritto Penale 101
LA PERSONALITA’ DELL’AUTORE
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
40
Così nel caso di chi istiga l’amico a risolvere una contesa mediante il duello, poi verificatosi.
102 Diritto Penale
1. il dogma del reo come essere morale assolutamente libero nella scelta delle
proprie azioni, che come tale venne elevato a Uomo astratto ed irreale;
2. il dogma del delinquente come essere assolutamente determinato che come
tale viene degradato ad entità naturalistica, bio-psico-sociologica,
rimbalzato tra costituzione ed ambiente e privo di ogni spontaneità ed
autodeterminazione;
3. l’acquisizione critica dell’autore del reato come concreta individualità
umana, né tutta libertà né tutta necessità ma con una libertà condizionata,
motivata, la cui sfera di spontaneità e di autodeterminazione varia,
ampliandosi o riducendosi fino ad annullarsi, nella concretezza dei fattori
condizionanti.
44
si distingue ulteriormente tra: a) le teorie classiste marxiste; b) le teorie classiste non
marxiste.
45
Anomia = assenza di norma.
108 Diritto Penale
IL DELINQUENTE RESPONSABILE
libertà e la necessità, del pensiero umano, il quale, non potendo mai uscire da
se stesso e giudicare, con i suoi stessi strumenti, della sua validità e pervenire
ad una totale introspezione, riprodurrà sempre, attraverso siffatta conoscenza,
tale intima e irresolubile antinomia.
Sta di fatto però che l’idea della libertà morale e della responsabilità
individuale, pur con tutti i ridimensionamenti, ha sempre retto a tutti gli
attacchi.
177. L’imputabilità
Data l’impossibilità di accertare la capacità individuale di agire altrimenti nella
situazione concreta, tale libertà è presunta come presente nel soggetto agente in
assenza delle cause che valgono ad escluderla.
Contro le variabili estremistiche dei delinquenti tutti responsabili o tutti
irresponsabili resta la costante realistica che, accanto ai molti responsabili,
residua pur sempre un nucleo di pochi irresponsabili. L’imputabilità è appunto
il presupposto della responsabilità per la pena e varie sono state in passato le
teorie tese a definirne la natura:
• per la teoria della normalità l’imputabilità è concepita come normale
facoltà di determinarsi, per cui imputabile è solo chi reagisce normalmente
ai motivi, e quindi, l’uomo psichicamente sano e maturo;
• per la teoria dell’identità personale l’imputabilità consiste nella
appartenenza dell’atto all’autore e sussiste quando il fatto è espressione
della personalità dell’agente, mentre manca quando viene meno nel
soggetto il potere di manifestarsi secondo il proprio Io;
• per la teoria dell’intimidibilità l’imputabilità è la capacità di sentire
l’efficacia intimidatrice della pena, onde non sono imputabili gli immaturi,
gli infermi di mente ed assimilati perché incapaci di subire la coazione
psicologica della pena.
Manifesti sono i vizi e i limiti di tali teorie. Si è perciò cercato di fondare
l’imputabilità sulla concezione comune della responsabilità umana, essendo
opinione radicata nella coscienza collettiva che un uomo, per poter essere
chiamato a rispondere dei propri atti di fronte alla legge penale, deve avere
raggiunto un certo sviluppo intellettuale e non essere infermo di mente.
L’imputabilità non è soltanto capacità alla pena ma è anche e ancor prima
capacità alla colpevolezza, costituendo essa il presupposto di essa: senza
imputabilità non vi è colpevolezza e senza colpevolezza non vi è pena.
182. La recidiva
La recidiva è la condizione personale di chi, dopo essere stato condannato per
un reato con sentenza passata in giudicato, ne commette un altro: essa
costituisce uno dei c.d. effetti penali della condanna e va inquadrata tra le
circostanze inerenti alla persona del colpevole. La recidiva comporta la
possibilità di una aumento di pena.
Si distinguono tre tipi di recidive:
a) semplice: consiste nel semplice fatto di commettere un reato dopo aver
subito una condanna irrevocabile per un altro reato, e può comportare un
aumento fino ad un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato;
b) aggravata: si ha quando viene commesso un nuovo reato:
• della stessa indole del precedente (recidiva specifica);
• oppure nei cinque anni dalla condanna precedente
(infraquinquennale);
• oppure durante o dopo l’esecuzione della pena, o durante il
tempo in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione
della pena;
comporta un aumento di pena fino ad un terzo se concorre una sola delle
tre circostanze che la determinano e fino alla metà se ne concorre più di
una;
c) reiterata: si ha allorché il reato è commesso da chi è già recidivo; comporta
un aumento di pena fino alla metà se la preesistente recidiva è semplice,
fino a due terzi se aggravata specifica o infraquinquennale e da un terzo a
due terzi se è aggravata ex art. 99, n. 3.
Con la riforma del D.L. 99/’74 sono stati introdotti due principi:
1. l’aumento di pena non può mai superare il cumulo delle pene risultanti
dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato;
2. l’aumento di pena è facoltativo e non più obbligatorio.
Per quanto riguarda la natura giuridica della recidiva, il problema consiste
nell’inquadrare la stessa come circostanza in senso tecnico o elemento di
commisurazione della pena del tipo di quelli di cui all’art. 133. Sulla tesi della
circostanza resta ferma la giurisprudenza, per la quale è obbligatoria la
contestazione processuale della recidiva e possibile il bilanciamento con altre
circostanze. Per altra più corretta opinione, la riforma ha ulteriormente
rafforzato la tesi per cui la recidiva non può costituire circostanza, nonostante
la classificazione in questo senso del codice, che d’altronde non è vincolante.
Sotto il profilo processuale sono pacifiche:
a) la obbligatorietà della contestazione;
b) la non incidenza della stessa sul regime della procedibilità.
IL DELINQUENTE IRRESPONSABILE
185. Il sordomutismo
Il sordomutismo è previsto tra le cause che escludono o diminuiscono
l’imputabilità, in quanto l’udito e il linguaggio sono essenziali per lo sviluppo
del patrimonio psichico dell’uomo. Nel vigente codice il sordomutismo non
comporta alcuna presunzione di imputabilità, ma deve caso per caso accertarsi
se esso incida o meno sulla capacità del soggetto. Per questo motivo:
• quando si riconosce che la capacità di intendere e di volere era piena, il
sordomuto viene penalmente considerato come una persona normale e
ritenuto imputabile;
• se, invece, si accerta che la capacità non sussisteva, egli è parificato alla
persona affetta da vizio totale di mente e ritenuto non imputabile;
• se si accerta, infine, che la capacità era grandemente scemata, è parificato
alla persona affetta da vizio parziale di mente, e quindi, è ritenuto
imputabile, ma la pena è diminuita.
a) vizio di mente totale (art. 88), per cui non è imputabile chi, nel momento in
cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da
escludere la capacità di intendere e di volere. L’imputato dichiarato non
imputabile è prosciolto ma se pericoloso è sottoposto alla misura di
sicurezza dell’ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222);
b) vizio di mente parziale (art. 89 ) che si ha quando la capacità di intendere e
di volere, senza essere esclusa, è grandemente scemata (seminfermità): in
tal caso si opera una diminuzione della pena cui si cumula, di regola, una
misura di sicurezza. Gli stati emotivi e passionali, invece, non escludono né
diminuiscono l’imputabilità (art. 90) sempre che non siano manifestazione
di uno stato patologico.
46
Se non si vuole ritenerlo incostituzionale, l’art. 92/1 va interpretato secondo il principio della
responsabilità personale, che richiede sia la imputabilità sia la colpevolezza. Non c’è nessuna
fictio juris di imputabilità, ma soltanto una deroga alla regola della capacità al momento del
fatto, quando la ubriachezza volontaria o colposa rientra nella colpevolezza per il fatto
commesso.
Diritto Penale 115
IL DELINQUENTE PERICOLOSO
47
Circa i rapporti tra capacità a delinquere e pericolosità sociale, mentre la prima rappresenta il
genus (in quanto “possibilità di commettere un reato), la seconda rappresenta la species (in
quanto “probabilità di commettere un reato”).
116 Diritto Penale
Il codice del ’30 prevedeva sia ipotesi di pericolosità accertata dal giudice, sia
ipotesi di pericolosità presunta dalla legge. L’art. 31 della L. 663/86,
abrogando l’art. 204, ha disposto invece che “tutte le misure di sicurezza
personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il
fatto è persona socialmente pericolosa”. In altre parole la pericolosità deve
essere accertata di volta in volta dal giudice. Il giudizio sulla pericolosità si
articola in due momenti:
1. l’accertamento delle qualità indizianti, che consente di desumere la
probabile commissione di nuovi reati;
2. la c.d. prognosi criminale, cioè il giudizio sul futuro criminale del soggetto,
effettuato sulla base delle qualità indizianti.
Il giudizio di pericolosità si fonda sulla personalità del soggetto nel suo
complesso, sicché il reato commesso viene in rilievo non come tale, ma
insieme a tutti gli elementi dell’art. 133/2.
LA PENA
ARGOMENTO IN SINTESI. Elemento costitutivo della norma
incriminatrice che si affianca al precetto. E’ la sanzione prevista
dall’ordinamento per la violazione del precetto, e consiste, in prima
analisi, in una limitazione dei diritti del soggetto colpevole. La pena è
una sanzione di carattere afflittivo. La pena è stata interpretata come
castigo divino, come ricompensa del male compiuto, come esigenza della
coscienza umana, riaffermazione dello Stato (teorie retributive); ovvero
come mezzo per distogliere i consociati dal compiere atti criminosi, o
per evitare che il reo commetta nuovamente un reato (teorie preventive).
La pena è infatti retribuzione, in quanto il carattere afflittivo comporta il
rendere male per male; è prevenzione in quanto è volta a riadattare il
soggetto colpevole alla vita sociale.
Diritto Penale 121
militari (L. 224/44, D.Lgs. 21/48) sia per i reati previsti dal codice penale
militare di guerra (L. 589/94);
b) l’ergastolo, ovvero la privazione perpetua della libertà personale.
Perpetuità, tuttavia, non assoluta in quanto l’ergastolano può essere
ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26
anni di pena;
c) la reclusione, ovvero la privazione temporanea della libertà personale, per
un tempo che va da 15 giorni a 24 anni (massimo che può essere elevato
fino a 30 anni in caso di concorso di aggravanti o di reati);
d) la multa, consistente nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore
a L. 10.000 né superiore a L. 10.000.000;
per le contravvenzioni:
a) l’arresto, che si estende da 5 giorni a 3 anni (massimo elevabile a 5 anni
nel concorso di aggravanti e fino a 6 anni nel concorso di reati);
b) l’ammenda, consistente nel pagamento di una somma non inferiore a L.
4.000 né superiore a L. 2.000.000.
La commisurazione della pena in concreto avviene secondo il sistema della
somma complessiva, in cui si tiene conto della gravità del reato e della capacità
a delinquere, ma altresì delle condizioni economiche del reo.
L’ordinamento prevede anche la possibilità di convertire in pena detentiva le
pene pecuniarie per insolvibilità del condannato. A tal proposito la L. 689/81
prevede:
a) la conversione della multa e dell’ammenda, non eseguite per insolvibilità,
colpevole o incolpevole, del condannato, nella pena della libertà controllata
per un periodo massimo rispettivamente di un anno e di sei mesi; o la
convertibilità, a richiesta del condannato, nella pena del lavoro sostitutivo
qualora non superino 1.000.000 di lire;
b) il ragguaglio tra le suddette pene, calcolando 25.000 lire (o frazione) per
ogni giorno di lavoro sostitutivo, data la maggiore gravosità e capacità
stimolante di questa sanzione;
c) la facoltà di fare cessare la pena sostitutiva pagando la pena pecuniaria,
dedotte le somme corrispondenti alla durata della pena sostitutiva scontata;
d) il limite massimo, in caso di concorso di pene pecuniarie da convertire,
della durata complessiva della libertà controllata, che non può superare i 18
e i 9 mesi a seconda che la pena convertita sia la multa o l’ammenda, e del
lavoro sotitutivo, che non può superare i 60 giorni;
e) la conversione ulteriore della restante parte della libertà controllata e del
lavoro sostitutivo in egual periodo di reclusione o di arresto, quando il
condannato violi anche una sola delle prescrizioni inerenti alla pena
sostitutiva.
Una svolta verso un sistema sanzionatorio differenziato ha avuto inizio con le
L. 354/75 (sull’ordinamento penitenziario – misure alternative) e 689/81
(modifiche al sistema penale – misure sostitutive)49.
Le misure alternative introdotte, incidenti solo sulla fase esecutiva della pena
detentiva, sono:
49
Ricordare che pene alternative e pene sostitutive sono cose ben diverse. Le prime sono quelle
previste dalla L. 354/75, le seconde dalla L. 689/81).
Diritto Penale 125
d) la estinzione, ad opera della causa più favorevole, del reato o della pena, in
caso di concorso contemporaneo di più cause estintive, valendo per gli
effetti residui la regola precedente;
e) la non estinzione delle obbligazioni civili;
f) l’immediatezza della dichiarazione della causa estintiva, in qualsiasi stato e
grado del procedimento, anche il caso di dubbio sulla loro esistenza.
Regole esclusive sono previste per le sole cause di estinzione del reato e per le
sole cause di estinzione della pena, cioè per quelle cause previste,
rispettivamente, negli artt. 150-160 e negli artt. 171-181 e in tutti gli altri casi
in cui la legge parli di «estinzione del reato» o di «estinzione della pena».
L'estinzione del reato:
a) ha come effetto minimo comune, a tutte le cause, di impedire l'applicazione
della pena principale e delle misure di sicurezza e di farne cessare
l'esecuzione (art. 210/1);
b) non si estende né al reato principale (es.: ricettazione), qualora il reato
estinto ne sia presupposto (es.: il delitto, da cui proviene la cosa ricettata);
né al reato complesso (es.: rapina), qualora il reato estinto ne sia elemento
costitutivo o circostanza aggravante (es.: furto);
c) non esclude l'aggravamento della pena derivante dalla connessione per i
reati non estinti, qualora si estingua taluno tra più reati connessi (es.: per
l'omicidio, commesso per compiere un furto, se questo è poi amnistiato).
Le cause di estinzione della pena operano sulla pena di volta in volta
considerata (principale o accessoria) ed impediscono, altresì, l'applicazione
delle misure di sicurezza, eccetto però quelle per le quali la legge stabilisce che
possono essere ordinate in ogni tempo, ma non impediscono l'esecuzione delle
misure di sicurezza già ordinate dal giudice come misure accessorie di una
condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni. Nondimeno alla
colonia agricola e alla casa di lavoro è sostituita la libertà vigilata.
Fra le cause generali di estinzione del reato il codice comprende:
a) la morte dell'imputato prima della condanna definitiva;
b) l'amnistia propria;
c) la remissione della querela;
d) la prescrizione;
e) la oblazione nelle contravvenzioni;
f) la sospensione condizionale della pena;
g) il perdono giudiziale.
Sono invece considerate cause generali di estinzione della pena:
a) la morte del reo dopo la condanna definitiva;
b) l'amnistia impropria;
c) l'estinzione della pena per decorso del tempo;
d) l'indulto;
e) la grazia;
f) la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale;
g) la liberazione condizionale;
h) la riabilitazione.
Diritto Penale 133
215. L’amnistia
L’amnistia è un atto con cui lo Stato rinuncia all’applicazione della pena. La
titolarità del potere di clemenza è assegnata dalla Costituzione al Presidente
della Repubblica, che lo esercita su legge di delegazione delle Camere.
Si distingue tra:
a) amnistia propria: riguarda i reati il cui accertamento giurisdizionale è
ancora in corso ed estingue del tutto il reato;
b) amnistia impropria: interviene dopo una sentenza irrevocabile di condanna.
Fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie, ma lascia
sussistere quegli effetti penali che non rientrano tra le pene accessorie
(recidiva, abitualità, professionalità). Ai fini dell’amnistia si deve considerare
la pena astrattamente comminata per i reati contemplati nel provvedimento
(c.d. pena edittale). L’amnistia può essere sottoposta a condizioni ed obblighi.
Non si applica a delinquenti abituali, professionali e per tendenza ai recidivi
aggravati e reiterati, salvo che il decreto disponga diversamente. E’ possibile
rinunciare all’amnistia in quanto la legge deve consentire all’imputato che lo
chiede di dimostrare la propria innocenza.
216. L’indulto
Al pari dell’amnistia, è un provvedimento di carattere generale, ma ne
differisce perché opera esclusivamente sulla pena principale, la quale viene in
tutto o in parte condonata oppure commutata in altra specie di pena, fra quelle
consentite dalla legge. Non estingue, pertanto, le pene accessorie, salvo che il
decreto disponga in modo diverso (il che è avvenuto nei più recenti
provvedimenti di clemenza), e a maggior ragione lascia sussistere gli altri
effetti penali della condanna. L’indulto non presuppone una condanna
irrevocabile, potendo essere applicato in previsione del passaggio in giudicato
della sentenza. Come per l’amnistia, la sua efficacia è di regola circoscritta ai
reati commessi a tutto il giorno precedente alla data del decreto; può essere
sottoposto a condizioni od obblighi e, salvo particolari disposizioni, non si
applica nei casi di recidiva aggravata o reiterata, di abitualità e professionalità
Diritto Penale 135
nel reato, nonché di tendenza a delinquere. Nel concorso di più reati l’indulto
si applica una sola volta, dopo cumulate le pene.
217. La grazia
E’ un provvedimento rimesso dalla Costituzione alla competenza esclusiva del
Presidente della Repubblica con il quale viene condonata in tutto o in parte la
pena principale inflitta per uno o più reati nei confronti di una persona. Il
provvedimento è adottato con decreto su proposta del Ministro di grazia e
giustizia. Trattasi pertanto di un provvedimento a carattere singolare, avente
cioè per destinatario un singolo individuo, e, in ciò differisce dall’amnistia e
dall’indulto che sono contenuti in un provvedimento legislativo avente
carattere generale e cioè indirizzato alla generalità dei cittadini. Quanto alla
forma la domanda di grazia, non soggetta a particolari vincoli di forma o di
bollo deve essere diretta al Presidente della Repubblica e deve essere
sottoscritta dal condannato da un suo prossimo congiunto, o dalla persona che
esercita sul condannato la tutela o la cura, ovvero da un avvocato o da un
procuratore legale. La grazia, al pari dell’indulto intervenendo solo sulla pena
principale lascia sussistere le pene accessorie e gli altri effetti penali della
condanna. In tema di grazia sottoposta a condizioni si è rilevato che non è
incostituzionale la sottoposizione della grazia alla condizione di pagare una
determinata somma alla cassa delle ammende.
anni. Il suddetto limite è elevato ai tre anni se si tratta di minori degli anni
diciotto e ai due anni e sei mesi se si tratta di giovani di età compresa tra i
diciotto ed i ventuno anni o di ultrasettantenni;
b) precedenti condanne. La sospensione condizionale non può essere concessa
a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto,
anche se è intervenuta riabilitazione, ne sia delinquente o contravventore
abituale o professionale. In questo caso è lo stesso legislatore ad operare
una prognosi negativa per colui che, avendo una precedente condanna alla
reclusione, riporti un’altra condanna;
c) non ripetibilità del beneficio. Occorre che il colpevole non abbia già
usufruito della sospensione condizionale per un altro reato, non potendo
essere concessa più di una volta. Tuttavia il giudice può concedere
nuovamente la sospensione condizionale quando la pena da infliggere con
la nuova condanna, cumulata con quella precedentemente irrogata, non sia
comunque superiore al limite dei due anni;
d) che alla pena inflitta non debba essere aggiunta una misura di sicurezza
personale.
La concessione del beneficio comporta la sospensione della pena principale e
delle pene accessorie per un periodo di cinque anni, nel caso di delitti, e di due
anni nel caso di contravvenzioni. Se durante questo periodo il condannato non
commette un altro delitto o un’altra contravvenzione della stessa indole ed
adempie agli obblighi imposti, il reato è estinto. Restano, invece in vita gli altri
effetti penali e le obbligazioni civili. La sospensione condizionale è revocata
di diritto nei seguenti casi:
a) se nei termini anzidetti il condannato commetta un nuovo delitto o una
nuova contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena
detentiva;
b) se non adempie agli obblighi impostigli;
c) se riporta un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena
che, cumulata con quella precedentemente sospesa, superi i limiti stabiliti
dall’art. 163 c.p.. Se tali limiti non sono superati, il giudice, tenuto conto
dell’indole e della gravità del reato, può revocare la sospensione.
221. L’oblazione
E’ una delle cause di estinzione del reato più frequentemente applicate
riguardante le sole contravvenzioni; il c.p. contempla due tipi di oblazione, una
ex art. 162 c.p. (c.d. oblazione comune), e l’altra, introdotta dalla l. n. 689 del
1981 con l’art. 162 bis (c.d. oblazione speciale).
• Oblazione comune: bisogna innanzitutto precisare che questo tipo di
oblazione non va confusa né con l’oblazione in via amministrativa (che si
esegue presso l’Autorità amministrativa), né con l’oblazione in via breve
contemplata dal codice della strada e da alcune leggi finanziarie.
L’oblazione comune (detta anche giudiziale) può applicarsi, in base all’art.
162 c.p. a condizione che:
a) si tratti di una contravvenzione per la quale sia prevista la sola pena
dell’ammenda (di qualunque importo);
b) che il contravventore presenti domanda di ammissione all’oblazione
prima dell’apertura del dibattimento o del decreto penale di condanna;
c) che il contravventore adempia all’obbligo.
138 Diritto Penale
222. La riabilitazione
La funzione di tale istituto consiste nella reintegrazione del condannato, che
abbia già scontato la pena principale, in tutte le facoltà e diritti, preclusi per
effetto dalla condanna (art. 178 c.p.). Importa l’estinzione della pena
accessoria e di ogni altro effetto penale della condanna. Ha lo scopo,
specialpreventivo, di sottrarre il condannato, che si sia ravveduto, a quegli
effetti penali che possono pregiudicare il reinserimento sociale. Condizione per
la sua concessione sono:
a) che siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena principale è stata
eseguita o si è in altro modo estinta;
b) che il condannato abbia dato “prove effettive e costanti di buona condotta”
per i suddetti periodi;
c) che egli non sia stato sottoposto a misura di sicurezza o, se sottoposto, il
provvedimento sia stato revocato;
d) che abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che
dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
Verificatesi le suddette condizioni, la riabilitazione costituisce un vero e
proprio diritto del condannato e non un semplice interesse. Ed il giudice ha il
dovere di concederla non potendo escluderla a propria discrezione.
LE MISURE DI SICUREZZA
ARGOMENTO IN SINTESI. L’introduzione delle misure di sicurezza
rappresenta sicuramente una delle innovazioni più importanti del codice
Rocco del 1930. Con la creazione di tali misure è nato quello che viene
52
V. paragrafo “I tipi di pena nel nostro diritto”.
140 Diritto Penale
definito il sistema del doppio binario che pone, accanto ad una pena
detentiva che ricomprende in sé funzioni di carattere retributivo e
general-preventivo, una misura di carattere special-preventivo volta alla
rieducazione e alla cura del soggetto socialmente pericoloso.
Inizialmente alle misure di sicurezza veniva attribuita natura
amministrativa ma, nell’attuale momento storico, quasi tutta la dottrina
respinge tale tesi e le considera sanzioni criminali di competenza del
diritto penale, tanto più che esse vengono applicate mediante un
procedimento giurisdizionale. Destinatari delle misure di sicurezza sono
sia i soggetti imputabili che i soggetti semi-imputabili e non imputabili;
alle prime due categorie di individui le misure di sicurezza si applicano
cumulativamente alla pena, dando così vita al sistema del doppio
binario, alla terza si applicano in modo esclusivo. Presupposti di
applicazione sono la pericolosità sociale del soggetto, desunta dai
parametri previsti dall’art. 133 c.p. e la commissione di un reato.
Tuttavia, quest’ultimo requisito subisce due eccezioni tassativamente
previste dalla legge: il giudice infatti può, nelle ipotesi di quasi-reato ex
art. 115 c.p. (accordo criminoso non eseguito o istigazione a commettere
un delitto non accolta, o accolta, ma non seguita dalla commissione del
delitto) e di delitto impossibile ex art. 49 c.p., comminare l’applicazione
di una misura di sicurezza a prescindere dalla commissione di un vero e
proprio reato. Ai sensi dell’art. 203 c.p. deve ritenersi socialmente
pericolosa la persona che è probabile che commetta nuovi fatti previsti
dalla legge come reato. A tal proposito, la l. n. 663 del 1986 (legge
Gozzini) ha provveduto ad abolire ogni forma di presunzione legale di
pericolosità, abrogando l’art. 204 c.p. e statuendo che tutte le misure di
sicurezza personali possono essere applicate solo previo accertamento
che colui che ha commesso il reato sia una persona socialmente
pericolosa. Le misure di sicurezza vengono applicate dopo l’esecuzione
della pena e sono indeterminate nel massimo essendo la loro durata
collegata al protrarsi o alla cessazione della pericolosità sociale; ne è
però fissata dalla legge un durata minima, ma il Tribunale di
sorveglianza può, ricorrendone i presupposti, revocare la misura anche
prima che sia decorso il tempo corrispondente a tale durata. Il c.p.
distingue le misure di sicurezza in due categorie: personali e
patrimoniali. Le misure di sicurezza personali si distinguono, poi, in
detentive e non detentive. Sono misure di sicurezza detentive: 1)
l’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro. Le
misure di sicurezza in questione si applicano ai soggetti imputabili e
pericolosi, generalmente a coloro che sono stati dichiarati delinquenti
abituali professionali o per tendenza, oltre a chi si trova nelle situazioni
descritte dall’art. 216 c.p.. La distinzione tra queste due misure di
sicurezza dovrebbe essere colta in relazione al tipo di attività che vi si
svolge: agricolo nella prima, artigianale o industriale nella seconda, ma
tale differenziazione non ha trovato riscontro pratico. 2) Il ricovero in
una casa di cura e di custodia. Questa misura ricomprende in sé sia
Diritto Penale 141
225. La nozione
A seconda che la prevenzione sia rivolta ad impedire che il soggetto pericoloso
commetta o ricommetta reati, occorre distinguere rispettivamente fra misure di
prevenzione e misure di sicurezza. Quest’ultime hanno una finalità terapeutica,
rieducativo-risocializzatrice , e sono applicabili ai soggetti pericolosi che
hanno già commesso un fatto penalmente rilevante.
Le misure di sicurezza si differenziano dalle pene, poiché sono la conseguenza
di un giudizio non di riprovazione per la violazione di un comando, ma di
pericolosità, non di responsabilità, ma di probabilità di futura recidiva. Non
hanno perciò carattere punitivo, ma tendono a modificare i fattori predisposti
all’atto criminale.
56
La libertà vigilata può essere:
• facoltativa: nei casi in cui la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la
specie, nel caso di reclusione superiore ad un anno, negli altri casi previsti dalla legge;
• obbligatoria: nel caso di reclusione non inferiore a 10 anni, se il condannato è ammesso alla
liberazione condizionale, se il contravventore abituale o professionale, non più sottoposto a
misura di sicurezza, commette un nuovo reato che sia nuova manifestazione di abitualità o
professionalità.
57
Di tre anni se è inflitta la reclusione per non meno di dieci anni.
146 Diritto Penale
LE MISURE DI PREVENZIONE
ARGOMENTO IN SINTESI. Le misure di prevenzione, alle quali viene
generalmente attribuita natura amministrativa, sono dirette ad evitare la
commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti
considerati socialmente pericolosi. La loro peculiarità è che esse
vengono applicate a prescindere dalla commissione di un fatto previsto
dalla legge come reato: per questo motivo vengono anche definite
misure “ante delictum”. Per questa caratteristica esse si distinguono
dalle misure di sicurezza le quali, invece, sono applicabili ai soggetti
pericolosi che abbiano già commesso un reato. Tuttavia, proprio a causa
del fatto che le misure di prevenzione possono essere applicate a
prescindere dalla commissione di un reato, sussistono notevoli dubbi e
contrasti sulla loro legittimità nell’ambito di uno Stato di diritto; si
ritiene infatti da più parti che tali misure, poiché comminate solo sulla
base di indizi o sospetti di pericolosità, come la compagnia di
58
Le misure provvisorie sono, sovente, le uniche misure utili ed applicabili, data la lentezza del
processo e per il fatto che la pericolosità spesso sorge e perdura per brevi periodi di tempo.
Diritto Penale 147
LE CONSEGUENZE CIVILI
ARGOMENTO IN SINTESI. Oltre che alla pena e alla misura di
sicurezza, dal reato derivano anche conseguenze di ordine civile: tra
queste, il c.p. prevede:
1. obbligazioni verso lo Stato;
2. obbligazioni verso le vittime del reato.
Rientra nel primo gruppo l’obbligo del condannato a rimborsare
all’Erario le spese per il suo mantenimento in carcere, obbligo del quale
risponde con tutti i suoi beni, in base alle leggi civili (art. 188 c.p.).
Del secondo gruppo fanno parte:
1. l’obbligo delle restituzioni ex art. 185 c.p., consistente nel ripristino
della situazione di fatto preesistente rispetto alla commissione del reato: è
chiaro che tale ripristino deve essere possibile sia sotto l’aspetto giuridico
che sotto l’aspetto naturalistico;
2. l’obbligo del risarcimento del danno, che grava sul colpevole e sulle
persone che, in base alle leggi civili, devono rispondere per il fatto di lui
(art. 185 c.p.).
Il danno patrimoniale è costituito dai tradizionali elementi del danno
emergente e del lucro cessante; il danno non patrimoniale è il
turbamento morale derivato dalla commissione del reato (offesa,
angoscia ecc.). In base all’art. 1223 c.c., il danno (patrimoniale e non)
per essere risarcibile deve porsi in rapporto di immediatezza col reato;
inoltre nelle posizione di debitore si trova non solo il colpevole, ma
anche il responsabile civile, nel caso che ci sia; d’altro canto nella
posizione di creditore si trova il danneggiato, che può essere persona
diversa dal soggetto passivo del reato. Gli artt. 186 e 187 c.p.
contemplano inoltre la possibilità che il colpevole sia tenuto alla
pubblicazione a sue spese della sentenza di condanna, qualora la
pubblicazione costituisca mezzo ritenuto adeguato a riparare il danno
non patrimoniale determinato dal reato (tale pubblicazione va distinta
da quella prevista dall’art. 19 c.p., che costituisce una pena accessoria).
Nel caso che il condannato alla pena pecuniaria sia insolvibile, l’art.
196 c.p. prevede l’obbligazione sussidiaria al pagamento, a carico della
Diritto Penale 149
59
Quale altra forma di riparazione del danno morale il codice prevede, altresì, la pubblicazione
della sentenza di condanna.
150 Diritto Penale
236. La nozione
Il diritto penale internazionale sta ad indicare il complesso di norme di diritto
interno con cui ogni Stato risolve i problemi che ad esso si pongono per il fatto
di coesistere con altri Stati sovrani nella superiore comunità internazionale.
Esso abbraccia fondamentalmente le norme che regolano il campo di
applicazione della legge penale nazionale nello spazio e le norme che regolano
l’attività di collaborazione dello Stato con gli altri Stati in materia penale.
243. L’estradizione
E’ la consegna di un individuo da parte di uno Stato ad altro Stato, al fine della
sottoposizione di esso alla giurisdizione penale dello Stato richiedente. E’
prevista esclusivamente da norme convenzionali, quali la Convenzione europea
di Parigi del 13 dicembre 1957 e disciplinata nell’ambito dei singoli
ordinamenti interni. Lo Stato italiano la distingue in attiva (quando esso è il
richiedente) e passiva (quando il richiedente è uno Stato estero), ponendo la
condizione per quest’ultima che il fatto che forma oggetto della domanda sia
previsto come reato sia dalla legge straniera che da quella italiana. Per quanto
concerne la disciplina codicistica dell’estradizione verso l’estero (passiva) si
può affermare che essa contempla le ipotesi della condanna irrevocabile o del
provvedimento cautelare comportanti limitazioni o privazioni della libertà
personale: in base a ciò appare evidente la non applicabilità delle garanzie per
procedimenti o provvedimenti non incidenti sulla libertà personale, adottati da
autorità estere nei riguardi di persone, cittadini o stranieri che siano, presenti in
Italia. In dottrina si registra comunemente l’affermazione secondo cui la
procedura di estradizione passiva avrebbe carattere misto: amministrativo e
giurisdizionale. La fase di carattere più strettamente amministrativo è di
competenza del Ministro di grazia e giustizia: è a questo soggetto, infatti, che
spetta l’iniziale potere di impulso, costituito dalla presentazione della domanda
estera di estradizione al procuratore generale presso la Corte di appello,
individuato in base alla residenza, dimora o domicilio del condannato da
sottoporre a estradizione. Il procuratore generale, compiuti i necessari
accertamenti preliminari sulla base del fascicolo pervenuto dall’estero, presenta
la sua requisitoria alla corte (art. 703 c.p.p.). Da questo momento in avanti ha
inizio la fase giurisdizionale nella quale saranno pienamente tutelati i diritti
della difesa (art. 701 c.p.p.). Infatti, compito della corte è in primo luogo
verificare se all’attività di estradizione sono di ostacolo principi fondamentali
in materia di reati politici o lesioni di diritti fondamentali della persona. A
questo scopo si procederà ad un’apposita udienza, in camera di consiglio, con
la presenza necessaria di un difensore (eventualmente d’ufficio) e del p.m.,
dello stesso estradando e del rappresentante dello Stato richiedente (la presenza
di questi ultimi due soggetti non è però obbligatoria). La corte emetterà
sentenza favorevole o contraria all’estradizione e contro di essa potrà
154 Diritto Penale
presentarsi ricorso per Cassazione (art. 706 c.p.p.). C’è da rilevare come la
decisione favorevole possa comportare anche l’immediata riduzione in vinculis
dell’estradando. Per quanto concerne il procedimento di estradizione passiva è
necessario sottolineare che la sentenza favorevole del giudice ha valore di
condizione necessaria ma non sufficiente per l’estradizione, costituendo in
pratica una semplice autorizzazione per il Ministro: infatti spetterà poi a costui
adottare la decisione finale entro un limite temporale prefissato, ed
eventualmente curare la consegna dell’interessato allo Stato estero. C’è da
notare infine che la estradizione concessa risulta vincolata al c.d. principio di
specialità: essa infatti vale solo per il fatto per cui è stata concessa ed è ostativa
a restrizioni di libertà (cautelari o definitive) per altra causa.
Passando ora ad analizzare la c.d. estradizione attiva o dall’estero, si può
ribadire che essa mira a conseguire la disponibilità fisica dell’estradato su
richiesta del nostro Stato, tramite un procedimento di tipo amministrativo: in
Italia non è infatti previsto un procedimento preventivo di garanzia
giurisdizionale a favore dell’estradando, dal momento che questi potrà
eventualmente valersi di un simile beneficio tramite le apposite garanzie estere.
Trattandosi di scelte che possono basarsi su valutazioni politiche attinenti a
rapporti internazionali spetterà al Ministro per la giustizia formulare la
richiesta di estradizione o differirne la presentazione, anche se richiesto
dall’autorità giudiziaria, e accettare o meno le condizioni eventualmente
apposte dallo Stato estero. Anche per l’estradizione in Italia dall’estero vige il
limite dell’esperibilità in correlazione all’espiazione di pena detentiva in forza
di sentenza irrevocabile o all’esecuzione di una misura di custodia cautelare
detentiva. Infine c’è da rilevare che anche per l’estradizione attiva vige il c.d.
principio di specialità con il conseguente divieto di riduzione in vinculis per
ipotesi di reato differenti da quelle previste nella estradizione conseguita.
degli individui per quei fatti che turbano l’ordine pubblico internazionale e
costituiscono crimini contro il diritto delle genti. Tali crimini internazionali
sono:
a) i crimini contro la pace;
b) i crimini di guerra (sia per quanto riguarda le regole da seguirsi in
combattimento, sia per la protezione delle popolazioni civili);
c) i crimini contro l’umanità.
246. La nozione
Il sistema del diritto punitivo si sta sempre più articolando sul doppio binario
dei due sottosistemi del diritto penale in senso stretto e del diritto penale
amministrativo. Fonte di questa nuova branca del diritto è costituita dalla L.
689/81 che prevede appunto gli illeciti perseguiti con la “sanzione
amministrativa del pagamento di una somma di denaro”, siano essi o meno
illeciti amministrativi da decriminalizzazione.
249. L’autore
Il diritto penale amministrativo si incentra non sul sistema del doppio binario,
ma sul solo principio della responsabilità personale. Rinviando a quanto già
esposto per la imputabilità penale, va qui precisato:
1. che la minore età prevista come causa di esclusione della imputabilità è
elevata a 18 anni;
2. che la assoggettabilità alla pena amministrativa non è esclusa dalla
incapacità preordinata o dovuta a colpa;
3. che per l’illecito amministrativo commesso dal non imputabile risponde chi
era tenuto alla sorveglianza del medesimo, salvo che provi di non avere
potuto impedire il fatto.
250. La sanzione
Nel disciplinare l’aspetto sanzionatorio dell’illecito amministrativo, la legge
del 1981 ha previsto due tipi di sanzioni:
1. la pena amministrativa pecuniaria quale sanzione principale, consistente
nel pagamento di una somma di denaro che deve essere contenuta entro
limiti edittali minimi e massimi, non potendo essere inferiore a L. 4.000 né
superiore a L. 20.000.000.
2. le sanzioni amministrative accessorie, costituite:
a) dalle originarie sanzioni penali accessorie;
b) dalla confisca amministrativa;
c) dalle sanzioni amministrative accessorie previste per specifici illeciti,
consistenti nella confisca del veicolo o natante e nella sospensione della
licenza.
Quanto ai criteri per la commisurazione della pena amministrativa pecuniaria e
per l’applicazione delle pene accessorie facoltative, la legge del 1981 ha
disposto che bisogna avere riguardo:
a) alla gravità dell’illecito;
b) all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle
conseguenze dell’illecito;
c) alla personalità dello stesso;
d) alle sue condizioni economiche.
La morte del trasgressore comporta l’estinzione della sanzione amministrativa
con la relativa intrasmissibilità agli eredi di pagare la pena pecuniaria. Circa la
prescrizione del diritto a riscuotere la somma dovuta per le violazioni
commesse, il termine è di 5 anni dal giorno della commissione delle medesime.
Diritto Penale 157
APPENDICE
INDICE GENERALE
INTRODUZIONE.......................................................................................................................1
IL DIRITTO PENALE.......................................................................................................1
1. I tre aspetti del diritto penale moderno.....................................................................................1
2. Il fatto criminoso.......................................................................................................................1
3. La personalità dell’autore..........................................................................................................3
4. Le conseguenze penali...............................................................................................................3
I DIVERSI TIPI DI DIRITTO PENALE............................................................................3
5. Il diritto penale dell’oppressione..............................................................................................3
6. Il diritto penale del privilegio...................................................................................................3
7. Il diritto penale della libertà. Il principio di frammentarietà....................................................4
8. La costituzione e il nuovo diritto penale...................................................................................4
9. Gli aspetti autoritari del codice penale.....................................................................................5
10. Gli aspetti anacronistici del codice penale..............................................................................5
11. Le riforme effettuate e preannunciate.....................................................................................5
IL PRINCIPIO DI LEGALITA’...............................................................................................5
IL PROBLEMA DELLA LEGALITA’..............................................................................7
12. La legalità formale..................................................................................................................7
13. La legalità sostanziale.............................................................................................................7
14. I vantaggi e gli inconvenienti..................................................................................................7
15. La concezione formale del reato.............................................................................................8
16. La concezione sostanziale del reato........................................................................................9
17. La concezione sostanziale-formale adottata dalla Costituzione.............................................9
IL PROBLEMA DELLA SCIENZA PENALE...................................................................9
18. Cenni storici............................................................................................................................9
19. Gli indirizzi formalistici e sostanzialistici..............................................................................9
20. La situazione attuale della scienza penale.............................................................................10
IL PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE................................................................10
21. Il problema delle fonti, formali e sostanziali........................................................................11
22. La funzione della riserva di legge.........................................................................................11
23. La consuetudine.....................................................................................................................11
24. La riserva relativa e assoluta.................................................................................................12
25. Le fonti del diritto penale italiano.........................................................................................13
26. I principali testi legislativi....................................................................................................14
IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA’.................................................................................14
27. La funzione della tassatività..................................................................................................14
28. La determinatezza della fattispecie.......................................................................................15
29. L’analogia..............................................................................................................................16
30. L’analogia a sfavore del reo..................................................................................................16
31. L’analogia a favore del reo...................................................................................................16
IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’........................................................................17
32. Il problema della validità nel tempo della legge penale.......................................................17
33. L’irretroattività ex art. 25 Cost.............................................................................................17
34. La disciplina dell’art. 2 c.p...................................................................................................17
35. Le leggi temporanee, eccezionali e finanziarie.....................................................................18
36. I decreti-legge non convertiti e le leggi dichiarate incostituzionali.....................................18
37. Il tempo del commesso reato................................................................................................19
IL REATO.................................................................................................................................20
L’ANALISI DEL REATO................................................................................................22
38. Sistemi penali oggettivi, soggettivi, misti.............................................................................22
39. La concezione analitica e la concezione unitaria del reato...................................................23
40. La tripartizione e la bipartizione del reato............................................................................23
41. L’antigiuridicità formale e l’antigiuridicità sostanziale.......................................................24
42. Il soggetto attivo del reato.....................................................................................................24
43. Il problema delle persone giuridiche.....................................................................................25
44. I responsabili negli enti e imprese........................................................................................25
IL PRINCIPIO DI MATERIALITA’................................................................................25
160 Diritto Penale
LA CONDOTTA..................................................................................................................25
45. Il principio di materialità e il principio di soggettività.........................................................26
46. La condotta in generale.........................................................................................................27
47. L’azione.................................................................................................................................27
48. L’omissione...........................................................................................................................28
49. I presupposti e l’oggetto materiale della condotta................................................................28
L’EVENTO.........................................................................................................................28
50. La concezione naturalistica...................................................................................................29
51. La concezione giuridica........................................................................................................30
IL RAPPORTO DI CAUSALITA’.......................................................................................30
52. Il problema della causalità....................................................................................................33
53. Le teorie della causalità naturale, adeguata, umana..............................................................33
54. La causalità scientifica..........................................................................................................34
55. La causalità nel codice..........................................................................................................35
56. Il caso fortuito e la forza maggiore.......................................................................................35
57. La causalità dell’omissione...................................................................................................36
58. L’obbligo di impedire l’evento.............................................................................................36
59. Gli obblighi di protezione e di controllo...............................................................................36
IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITA’..................................................................................37
L’OGGETTO GIURIDICO E L’OFFESA.........................................................................37
60. Il reato come offesa o come disubbidienza...........................................................................37
61. Il reato come “fatto offensivo tipico” secondo la Costituzione............................................37
62. La necessaria offensività del reato secondo l’art. 49/2 c.p...................................................38
63. L’oggetto giuridico del reato.................................................................................................38
64. La funzione politico-garantista dell’oggetto giuridico.........................................................38
65. I valori costituzionali come oggettività giuridica primaria..................................................38
66. La funzione dogmatico-interpretativa dell’oggetto giuridico...............................................39
67. L’offesa del bene giuridico...................................................................................................40
68. La funzione politico-garantista dell’offesa...........................................................................42
69. I reati senza bene giuridico...................................................................................................42
70. I reati senza offesa.................................................................................................................43
71. Il momento consumativo del reato........................................................................................44
IL SOGGETTO PASSIVO DEL REATO............................................................................44
72. La nozione.............................................................................................................................44
73. La rilevanza del soggetto passivo nella politica criminale...................................................45
74. La rilevanza criminologica del soggetto passivo. La vittimologia.......................................45
75. La rilevanza giuridico-penale del soggetto passivo..............................................................46
LE SCRIMINANTI..............................................................................................................47
76. La definizione e il fondamento.............................................................................................47
77. L’adempimento del dovere....................................................................................................47
78. L’esercizio del diritto............................................................................................................48
79. Il consenso dell’avente diritto...............................................................................................48
80. La legittima difesa.................................................................................................................49
81. Lo stato di necessità..............................................................................................................50
82. L’uso legittimo delle armi.....................................................................................................51
83. Il problema delle scriminanti tacite......................................................................................52
84. La disciplina delle scriminanti..............................................................................................52
IL PRINCIPIO DI SOGGETTIVITA’..............................................................................53
LA COLPEVOLEZZA.........................................................................................................53
85. L’evoluzione della responsabilità penale..............................................................................53
86. La colpevolezza in senso psicologico e in senso normativo.................................................53
87. La colpevolezza in senso personale......................................................................................53
88. Il principio costituzionale della responsabilità personale.....................................................54
89. Colpevolezza e imputabilità..................................................................................................54
90. Colpevolezza e conoscenza del disvalore del fatto...............................................................55
91. L’inesigibilità........................................................................................................................56
LA “SUITAS” DELLA CONDOTTA..................................................................................56
92. La coscienza e volontà della condotta...................................................................................56
93. L’impedibilità della condotta................................................................................................56
94. La esclusione della “suitas” della condotta...........................................................................56
IL DOLO.............................................................................................................................57
Diritto Penale 161
95. La nozione.............................................................................................................................57
96. La struttura del dolo..............................................................................................................57
97. L’oggetto del dolo.................................................................................................................57
98. L’accertamento del dolo........................................................................................................58
99. Le forme del dolo..................................................................................................................58
100. L’intensità del dolo.............................................................................................................59
LA COLPA..........................................................................................................................59
101. La nozione...........................................................................................................................59
102. La mancanza di volontà del fatto........................................................................................60
103. L’inosservanza delle regole di condotta..............................................................................61
104. L’attribuibilità dell’inosservanza all’agente.......................................................................61
105. Le forme e il grado della colpa...........................................................................................63
LA PRETERINTENZIONE.................................................................................................63
106. La definizione e la struttura................................................................................................63
L’ELEMENTO SOGGETTIVO NELLE CONTRAVVENZIONI........................................64
107. La particolare disciplina dell’art. 42/4 c.p..........................................................................64
LE CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA................................................64
108. L’errore in generale.............................................................................................................64
109. Il problema dell’errore........................................................................................................65
110. L’errore sul precetto dovuto ad errore su legge penale o extrapenale................................65
111. L’errore sul fatto dovuto ad errore di fatto.........................................................................65
112. L’errore sul fatto dovuto ad errore su legge extrapenale....................................................66
113. Il reato putativo...................................................................................................................67
114. L’aberratio...........................................................................................................................67
LA RESPONSABILITà OGGETTIVA................................................................................68
115. La nozione...........................................................................................................................68
116. I reati qualificati dall’evento...............................................................................................68
117. I reati di stampa...................................................................................................................70
LE FORME DI MANIFESTAZIONE DEL REATO.........................................................70
IL REATO CIRCOSTANZIATO.........................................................................................70
118. Le circostanze......................................................................................................................70
119. L’individuazione delle circostanze.....................................................................................71
120. La classificazione delle circostanze....................................................................................72
121. Le aggravanti comuni..........................................................................................................72
122. Le attenuanti comuni...........................................................................................................73
123. Le c.d. attenuanti generiche................................................................................................74
124. L’imputazione delle circostanze.........................................................................................74
125. Il concorso di circostanze....................................................................................................74
IL DELITTO TENTATO.....................................................................................................75
126. L’iter criminis......................................................................................................................75
127. Il problema della punibilità del tentativo............................................................................76
128. Il problema dell’inizio del tentativo punibile.....................................................................76
129. La soluzione del nostro codice............................................................................................76
130. L’elemento soggettivo.........................................................................................................77
131. L’elemento oggettivo..........................................................................................................77
132. La necessaria pericolosità del tentativo..............................................................................78
133. La idoneità degli atti............................................................................................................78
134. La univocità degli atti..........................................................................................................79
135. Il tentativo nei singoli delitti...............................................................................................79
136. Il delitto tentato circostanziato e circostanziato tentato......................................................80
137. Le desistenza e il recesso volontari.....................................................................................81
138. Il reato impossibile..............................................................................................................82
L’UNITà E LA PLURALITà DI REATI..............................................................................82
139. Il concorso di reati...............................................................................................................82
140. Il concorso materiale e il concorso formale........................................................................83
141. Il problema della unità e pluralità di reati...........................................................................83
142. Il concorso apparente di norme...........................................................................................84
143. Le teorie monistiche e pluralistiche....................................................................................85
144. Il principio del ne bis in idem.............................................................................................86
145. La norma prevalente............................................................................................................88
146. I reati a struttura complessa................................................................................................88
162 Diritto Penale