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DIRITTO PENALE

MANUALE PER CONCORSI PUBBLICI


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Introduzione
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Manuale di Diritto Penale Introduzione

Capitolo 1°
Introduzione
1.1. Il diritto penale.
1.1.1. Nozione.
Il d i r i t t o p e n a l e è costituito dall’insieme delle norme dell’ordinamento che
prevedono e disciplinano quei particolari fatti illeciti (c.d. r e a t i ) alla commissione dei quali
si ricollega l’applicazione di una sanzione di carattere giuridico-penale (c.d. p e n a
c r i m i n a l e ); oppure una conseguenza diversa, affine alla pena criminale, vale a dire una
m i s u r a d i s i c u r e z z a 1 o d i p r e v e n z i o n e 2.
1.1.2. Funzione.
La f u n z i o n e p r i n c i p a l e del diritto penale è quella di assicurare, le condizioni
essenziali della c o n v i v e n z a e del reciproco r i s p e t t o umano, predisponendo di volta in
volta la sanzione ritenuta più idonea per la difesa di quei valori e di quei beni giuridici ritenuti
nelle diverse epoche socialmente rilevanti.
Inoltre il diritto penale, svolge una funzione di o r i e n t a m e n t o c u l t u r a l e d e i
c o n s o c i a t i , nella misura in cui induce, attraverso la posizione e la generale consuetudine
di osservanza delle sue norme, processi di interiorizzazione dei relativi precetti.
1.1.3. Caratteri.
Come complesso organico di norme il diritto penale presenta i seguenti caratteri:
 è diritto p o s i t i v o : è diritto penale solo quello previsto da norme
giuridiche;
 è d i r i t t o s t a t u a l e : norme di diritto penale possono essere emanato soltanto
dallo Stato, e non da altri enti (Regioni, Università etc.);
 è d i r i t t o p u b b l i c o : il diritto penale vigente si contrassegna, da ogni punto
di vista, come diritto pubblico3: e ciò per l’essenziale ragione che esso non regola
rapporti e conflitti di carattere privato, ma attiene in ogni caso ai rapporti fra la

1
L’ordinamento italiano vigente, prevede e disciplina la possibilità di applicare, come conseguenza della
commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato (o di fatti che, sotto questo profilo, sono equiparati al
reato) determinate m i s u r e d i s i c u r e z z a , come mezzo per prevenire l’ulteriore commissione di reati da
parte del soggetto.
2
Denominate anche m i s u r e d i p o l i z i a sono adottate in base a meri indizi o sospetti. A differenza delle
misure di sicurezza non presuppongono la commissione di un reato ma hanno lo scopo di prevenirlo, arginando
la pericolosità sociale di determinate categorie di individui.
3
Ciò non è contraddetto dal fatto che vi siano casi nei quali la legge penale lascia un certo spazio all’autonomia
del privato: come avviene nei reati perseguibili solo su querela della persona offesa. Una volta, infatti, che sia
stato rimosso, con la presentazione della querela, l’eventuale ostacolo all’applicazione delle norme di diritto
penale, è sempre la potestà punitiva dello Stato ad esplicarsi, e non già una sorta di potestà punitiva “privata”.

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

comunità giuridica statuale e l’individuo4 che ne infrange determinate regole, che la


legge ha assunto fra i comandi e i divieti penalmente sanzionati5;
 è d i r i t t o a u t o n o m o : il diritto penale non si limita semplicemente a
sanzionare condotte già vietate da altri rami dell’ordinamento, ma tutela, in modo
autonomo determinati beni e/o interessi6;
La dottrina più recente ha individuato altre caratteristiche intrinseche del diritto penale:
 s u s s i d i a r i e t à : nel diritto penale l’inosservanza delle regole di condotta
viene perseguita mediante l’applicazione di una sanzione afflittiva, che incide,
immediatamente o potenzialmente, su quel bene fondamentale che è la libertà
personale. Perciò l’applicazione del diritto penale deve costituire l’e x t r e m a
r a t i o , cioè essere limitata alle sole ipotesi in cui il ricorso ad altre sanzioni (civili,
amministrative o di altra natura), non appaia adeguato allo scopo di ripristinare la
situazione preesistente e/o di dissuadere i consociati dalla violazione della norma7;
 f r a m m e n t a r i o : ciò significa che il diritto penale nel provvedere alla
protezione di determinati interessi ritaglia tra le possibili forme di aggressione solo
le più significative, in modo che tra l’una e l’altra figura di reato restano spazi più
o meno ampi che corrispondono a comportamenti giuridicamente leciti o
indifferenti per il diritto penale8. Ad es. l’inadempimento di un’obbligazione è
sanzionata in sede civile, mentre è irrilevante da un punto di vista penale.
1.2. Norme di diritto penale.
1.2.1. Nozione.
Sono n o r m e d i d i r i t t o p e n a l e sia quelle che stabiliscono a quali comportamenti
umani debba conseguire l’applicazione di una sanzione criminale, sia quelle che stabiliscono
la specie e l’entità delle sanzioni applicabili; sia, infine, quelle che stabiliscono le condizioni
necessarie e sufficienti per l’applicabilità della sanzione e le regole in base alle quali essa
dovrà applicarsi a un determinato soggetto e non ad altri.
Ciò che definisce la pertinenza di una norma giuridica all’ambito del diritto penale, è
insomma, il fatto che, in uno dei modi descritti, la norma concorra a s t a b i l i r e u n
collegamento fra un comportamento umano e l ’applicabilità di
una sanzione criminale.

4
L’interesse alla prevenzione e repressione dei reati costituisce sempre un interesse pubblico anche quando il
reato lede un interesse strettamente individuale (ad es. la proprietà, come nel furto), perché esso viola,
comunque, l’interesse generale ad una pacifica e ordinata convivenza sociale.
5
Pur dovendosi le norme di diritto penale, come detto, considerarsi pertinenti all’ambito più generale del diritto
pubblico, e pur costituendo l’amministrazione della giustizia penale, in particolare, un settore della pubblica
amministrazione, non per questo il diritto penale può essere confuso o ricompreso nel diritto amministrativo
(inteso come il complesso delle regole giuridiche che concernono la pubblica amministrazione nel suo momento
organizzativo. Vero è invece, che l’evoluzione storica attesta una certa fluidità di confini fra i due settori.
6
Ciò che caratterizza il diritto penale rispetto agli altri rami dell’ordinamento giuridico è la previsione del
ricorso a l l ’ u s o d e l l a f o r z a per garantire l’osservanza dei precetti.
7
Ciò porta gli Autori più moderni a sostenere la legittimità dell’intervento punitivo solo per la tutela di beni di
diretta rilevanza costituzionale o socialmente considerati tali.
8
Da questo punto di vista, oltre che “frammentario”, i1 diritto penale si presenta anche necessariamente
“l a c u n o s o ” nelle sue previsioni.

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

1.2.2. Caratteri.
La norma penale presenta i seguenti caratteri:
 i m p e r a t i v i t à : in quanto la norma, una volta posta in essere, è obbligatoria per
tutti coloro che si trovano nel territorio dello stato;
 s t a t u a l i t à : in quanto la norma penale deriva solo dallo Stato. Non devono
perciò essere considerate norme penali quelli previste negli Statuti degli enti
(pubblici o privati) dello Stato, né quelle contenute nelle leggi regionali ; così pure
non sono fonte di diritto penale le norme di diritto internazionale tuttavia gli atti
comunitari, in conseguenza della prevalenza del diritto comunitario sul diritto
interno, possono escludere o restringere l’applicazione di norme penali interne.
1.2.3. Elementi.
La norma penale consta:
 di un p r e c e t t o : comando o divieto di compiere una determinata azione;
 e di una s a n z i o n e : conseguenza giuridica che deriva dalla violazione del
precetto.
Esempio: la norma penale che prevede il delitto di omicidio dispone che “chiunque cagioni
la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”; la prima parte
della norma, che prevede il divieto implicito di uccidere, è il “precetto”, mentre la seconda
parte di essa, che prevede la pena che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza del
divieto costituisce, invece, la sanzione.
1.2.3.1. Classificazione
delle norme penali, in relazione ai loro elementi costituitivi.
Le norme penali possono essere classificate, in relazione ai loro elementi costituivi, in:
 n o r m e p e r f e t t e : contengono precetto e sanzione ben determinati;
 n o r m e i m p e r f e t t e : contengono solo il precetto o solo la sanzione;
 n o r m e p e n a l i i n b i a n c o o c i e c h e : sono quelle che contengono una
sanzione ben determinata, mentre il precetto ha carattere generico, dovendo essere
specificato da atti normativi di grado inferiore (regolamenti, provvedimenti
amministrativi)9;
 n o r m e i n t e g r a t i c i di disposizioni penali: non contengono né un precetto né
una sanzione, ma si limitano a precisare o limitare la portata di altre norme o a
disciplinarne l’applicabilità e sono destinate ad integrare o disciplinare
l’applicabilità delle norme.
1.3. Le fonti normative del diritto penale italiano.
1.3.1. Codice penale
La principale fonte normativa del diritto penale italiano è costituita dal Codice penale
(d’ora in poi indicato come c.p.), approvato con il r.d. 19 ottobre 1930, n° 1398, e in vigore

9
Esempi di norme penale in bianco contenuto nel c.p.: art. 329 (rifiuto o ritardo di obbedienza da un militare o
da un agente della forza pubblica); art. 650 (inosservanza di un provvedimento dell’autorità emanato legalmente
per ragioni di sicurezza, di giustizia di ordine pubblico,di igiene).

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Manuale di Diritto Penale Introduzione

dal 1° luglio 1931 (c o d i c e R o c c o ). Esso ha preso il posto del primo codice penale del
Regno d’Italia entrato in vigore il 30 1889 (c o d i c e Z a n a r d e l l i ).
1.3.1.1. Struttura.
Il codice è diviso in t r e l i b r i :
 dei r e a t i i n g e n e r a l e (artt. 1-240);
 dei d e l i t t i i n p a r t i c o l a r e (artt. 241-649);
 della c o n t r a v v e n z i o n i i n p a r t i c o l a r e (artt. 650-734bis).
1.3.1.2. Ambito
di applicazione: l’art. 16 c.p.
La preminenza del c.p. nel sistema delle fonti del diritto penale vigente è segnata, fra
l’altro, dal fatto che le norme in esso contenute “ si applicano anche alle materie regolate da
altre leggi penali, in quanto non sia da queste stabilito altrimenti” (art. 16 c.p.)10.
1.3.2. Disposizioni costituzionali.
Tra le fonti normative del diritto penale un posto del tutto particolare spetta alle
d i s p o s i z i o n i c o s t i t u z i o n a l i che al diritto penale fanno, direttamente o
indirettamente, riferimento, nella misura in cui enunciano principi regolativi fondamentali del
diritto penale vigente.
1.3.3. Codici penali militari di pace e di guerra.
Nel vigente ordinamento positivo, esistono altri due organici testi di legge in forma di
codice penale. Si tratta dei C o d i c i p e n a l i m i l i t a r i d i p a c e e d i g u e r r a ,
approvati con il r.d. 20 febbraio 1941, n° 303, e in vigore dal 1° ottobre 1941. Le norme in
essi contenute si applicano rispettivamente “ai militari appartenenti ad armi, corpi, navi,
aeromobili o servizi in generale, destinati ad operazioni di guerra” (art. 6 c.p. mil. g.).
1.3.4. Diritto penale complementare
Il d i r i t t o p e n a l e c o m p l e m e n t a r e è, invece, contenuto nelle varie legge
speciali (ossia leggi penali diversi del Codice penale), che prevedono autonomo figure di
reati11.

10
Proprio questa disposizione, d’altra parte, conferma in modo esplicito che non tutto il diritto penale è
contenuto nel codice penale. In realtà, come si è già detto, la pertinenza di una disposizione di legge all’ambito
normativo del diritto penale non dipende affatto da una sua specifica collocazione nel sistema delle fonti
positive, ma è definita in via esclusiva dal collegamento che attraverso di essa si stabilisce fra un determinato
comportamento individuale e l’applicazione di una misura sanzionatoria di carattere giuridico–penale.
11
Il diritto penale complementare è andato assumendo via via crescente importanza, tanto da porre con forza il
problema di una organica ricomposizione del diritto penale in sede di riforma legislativa.

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

Capitolo 2°
Il principio di legalità
2.1. Nozione.
Negli ordinamenti giuridici moderni, la funzione di garanzia delle legge, in materia penale,
si riassume nel c.d. p r i n c i p i o d i l e g a l i t à d e i r e a t i e d e l l e p e n e : sia il fatto
costituente reato, sia la corrispondente sanzione, nonché la natura, specie ed entità di questa
devono essere previsti dalla legge (nullam crimen nullam poena sine lege).
2.2. Il principio di legalità nell’ordinamento italiano.
Già accolto dallo Statuto Albertino, il principio di legalità in Italia è stato ribadito dal
vigente codice penale ed ha ricevuto definitiva consacrazione nella Costituzione repubblicana
del 1948, che ne ha fatto il principio fondamentale del sistema vigente.
Esso è contenuto innanzitutto nel codice penale agli artt. 1 e 199:
 l’art. 1 del c.p. vigente stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r
un fatto che non sia espressamente preveduto come
reato dalla legge, né con pene che non siano da
e s s a s t a b i l i t e ”;
 l’art. 199 c.p. afferma che: “N e s s u n o p u ò e s s e r e s o t t o p o s t o a
misure di sicurezza che non siano espressamente
stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge
s t e s s a p r e v e d u t i ”.
Assume inoltre rango di precetto costituzionale, per il tramite dell’art. 25 nei commi 2° e
3° della Costituzione:
 art. 25, 2° co., Cost.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o s e n o n i n
forza di una legge che sia entrata in vigore prima
d e l f a t t o c o m m e s s o ”;
 art. 25, 3° co., Cost.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e s o t t o p o s t o a
misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla
l e g g e ”.
Come si vede, sia la Costituzione che il codice penale hanno riferito il principio,
accogliendo il s i s t e m a c d . d o p p i o b i n a r i o , sia alla pena che alle misure di
sicurezza.
2.2.1. Principio di legalità formale.
Da quanto esposto, risulta che sia il costituente sia il legislatore penale hanno accolto un
p r i n c i p i o d i l e g a l i t à f o r m a l e , inteso come “divieto di punire qualsiasi fatto che,
al momento della sua commissione, non sia espressamente previsto come reato dalla legge e
con pene che non siano dalla legge espressamente stabilite”.
Di conseguenza, non ha trovato cittadinanza, nel nostro ordinamento, la “c o n c e z i o n e
s o s t a n z i a l e d e l p r i n c i p i o d i l e g a l i t à ”, secondo cui deve considerarsi

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

reato ogni fatto socialmente pericoloso, anche se non espressamente previsto dalla legge, cui
deve quindi applicarsi la pena adeguata allo scopo1.
2.2.1.1. Definizioneformale del reato.
Essendo inteso in senso formale, il principio di legalità implica una d e f i n i z i o n e
f o r m a l e d e l r e a t o , nel senso che si definisce “r e a t o ” , il fatto dell’uomo per la cui
realizzazione la legge prevede come conseguenza giuridica l’applicazione di una pena
criminale2.
2.3. Determinazioni giuridiche.
La portata del principio di legalità, nell’ordinamento vigente, viene generalmente articolata
nella enunciazione di quattro regole fondamentali, che sono:
 la posizione di un comando o di un divieto penalmente sanzionato non può che
derivare dalla legge (la c.d. riserva di legge);
 le leggi devono essere formulate in modo tale che il contenuto del divieto e le
relative conseguenze di carattere sanzionatorio risultino in maniera chiara dalla
norma di legge che li prevede (regola della tassatività e determinatezza della
fattispecie penale);
 i reati sono tipici e nominati (principio della tipicità);
 la legge penale non può avere efficacia retroattiva (irretroattività della legge
penale)
L’analisi di queste essenziali determinazioni del principio di legalità costituisce un
passaggio obbligato per la comprensione del suo significato e della sua reale portata nel diritto
vigente.
2.3.1. La riserva di legge in materia penale.
Il p r i n c i p i o d e l l a r i s e r v a d i l e g g e - il principio, cioè, secondo cui reati, pene
e misure di sicurezza non possono avere altra fonte che non sia la legge - è la determinazione
più ovvia (e in un certo senso omnicomprensiva) del principio di legalità, considerato nel suo
aspetto formale.
2.3.1.1. Ratio.
Il moderno principio della riserva di legge soddisfa esigenze di certezza giuridica e di
garanzia, in particolare:
 sottrae la competenza penale al potere esecutivo evitandone l’arbitrio;
 attribuisce esclusivamente al Parlamento il potere di scelta sulla politica criminale;
 subordina il giudice alla legge evitando la possibilità di arbitri del potere
giudiziario.

1
Secondo i suoi sostenitori il principio di legalità sostanziale consente una più efficacia difesa della società ed
una giustizia più elastica e conforme alla coscienza sociale, in quanto da un lato, tende a colpire le condotte
effettivamente contrarie agli interessi della società, e, dall’altro permette di adeguare il diritto penale alla realtà
sociale in continuo mutamento, evitando fratture tra il diritto penale codificato e le sempre mutevoli esigenze di
difesa sociale.
2
Lo stesso Costituente e lo stesso legislatore esplicitamente accolgono la concezione formale del reato, usando il
primo l’espressione «in forza di una legge» e parlando li secondo di facto «preveduto come reato dalla legge».

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

2.3.1.2. Significato tecnico-giuridico che il termine “legge” assume nell’art. 25, 2° co., Cost.
Una volta così stabilita la ratio della riserva di legge in materia penale, risulta più agevole
definirne i l i m i t i e l’esatta p o r t a t a . La prima questione da risolvere concerne il
significato tecnico-giuridico che il termine “legge” assume
n e l l ’ a r t . 2 5 , 2 ° c o . , C o s t . (e, di conseguenza, nell’art. 1 c.p.).
Si tratta, più precisamente, di stabilire:
 se nella sua nozione rientrino solo le leggi dello Stato, ovvero anche le leggi
regionali;
 se, nel riferirsi alla legge, l’art. 25, 2°co., Cost., intenda solo la legge in senso
formale,e cioè quella formata e promulgata secondo i procedimenti di cui agli artt.
70-74 Cost., o anche le leggi delegate (art. 76 Cost.) e gli altri atti aventi forza di
legge, (in particolare i decreti-legge emanati dal Governo a norma dell’art. 77
Cost.);
 se rientrano in tale ambito, anche gli atti della Comunità Europea;
 infine se la consuetudine possa essere considerata fonte di diritto penale;
2.3.1.2.1. Esclusione della potestà legislativa delle Regioni in materia penale.
La questione della e v e n t u a l e p o t e s t à l e g i s l a t i v a d e l l e R e g i o n i i n
m a t e r i a p e n a l e si può ormai ritenere r i s o l t a i n s e n s o n e g a t i v o , nel senso che
le Regioni, tanto ordinarie che a statuto speciale, e le province di Trento e Bolzano, non
possono emanare norme penali, ne tanto meno modificarle o rimuoverle dall’ordinamento.
2.3.1.2.2. Leggi
delegate e decreti legge.
L e g g i d e l e g a t e e d e c r e t i l e g g e in quanto fonti normative alle quali, sia pure
con particolari limitazioni, la Costituzione riconosce efficacia pari agli atti normativi a cui
compete la qualifica di legge in senso formale, sono ritenute f o n t e l e g i t t i m a d i
p r o d u z i o n e d i n o r m e p e n a l i 3.
2.3.1.2.3. Gli
atti della comunità europea.
Quanto, poi, alle d i s p o s i z i o n i normative emanate dalla
C o m u n i t à E u r o p e a , va riconosciuto che essa possano sia contribuire alla
specificazione (ma non all’intera configurazione) del precetto penale, sia condizionare
l’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice del diritto interno, in virtù del primato
del diritto comunitario, per cui la norma comunitaria deve sempre prevalere sulla norme
penale interna.
2.3.1.2.4. Consuetudinee diritto penale.
La c o n s u e t u d i n e - correttamente intesa quale il fenomeno della ripetizione
generalizzata, uniforme e costante di un determinato comportamento, sorretta e accompagnata
dalla convinzione del suo valore come norma giuridica - n o n p u ò e s s e r e i n n e s s u n

3
Si ritiene tuttavia, che il g i u d i c e n o n p o s s a f o n d a r e u n a c o n d a n n a s u l l a b a s e d i
u n d e c r e t o – l e g g e n o n a n c o r a c o n v e r t i t o i n l e g g e e che, quindi, rimane ancora atto
normativo del Potere Esecutivo, violando, in caso contrario, il principio sancito dal secondo comma dell’art. 25
Cost. (necessità della previsione espressa di legge) ma anche quello sancito dal secondo comma dell’art. 101
Cost. (sottoposizione dei giudici alla legge).

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

c a s o f o n t e p r i m a r i a d i u n p r e c e t t o p e n a l e , né determinare la cessazione
dell’efficacia di un precetto penale contenuto nella legge positiva4.
2.3.1.3. Il
problema delle c.d. norme penali “in bianco”.
Con l’espressione n o r m a p e n a l e i n b i a n c o si designa l’ipotesi di una norma
penale contrassegnata dalla scissione del binomio precetto-sanzione, nel senso che essa
stabilisce sì la sanzione, ma rimette interamente ad una fonte subordinata la determinazione
del precetto.
Le norme penale in bianco sono state oggetto d’attenzione da parte della dottrina che ne ha
contestato la legittimità costituzionale in quanto lesivo del principio di riserva di legge.
Secondo questa dottrina, la riserva di legge in materia penale è assoluta, e dunque non
permette che norme secondarie possano concorrere alla creazione di una fattispecie penale.
La Corte Costituzionale è intervenuta sull’argomento, con due sentenze specificando che,
pur essendo la riserva di legge penale assoluta, è possibile che norme secondarie integrino
norme penali. La Corte Costituzionale ha stabilito che il rinvio è costituzionalmente legittimo
se si tratta di:
 r i n v i o t e c n i c o : si ha nei casi in cui la norma di legge rinvia per la
determinazione o la maggiore specificazione della condotta vietata, ad una fonte
secondaria preesistente e ben definita. In questo caso il principio di legalità non
soffre alcuna lesione, perché, in realtà, la legge predetermina interamente il
precetto, sia pure mediante il rinvio ad un testo normativo, di carattere non
legislativo, di cui semplicemente evita, per economia di formulazione, di recepire
materialmente il contenuto;
 r i n v i o p e r p r e s u p p o s i z i o n e : si ha nell’ipotesi in cui la legge
predetermina in via generale la condotta vietata (per esempio, la detenzione di
sostanze stupefacenti, o l’uso di additivi chimici non consentiti nella preparazione
di alimenti, ecc.), demandando però ad altra fonte (decreto ministeriale,
regolamento di esecuzione) di specificare, su un piano strettamente tecnico, i
presupposti per il suo verificarsi (di stabilire, per esempio, quali siano gli additivi
non consentiti, ovvero le sostanze stupefacenti). L’integrazione normativa può
risultare ammissibile, a condizione però che la legge predetermini almeno i criteri
in base ai quali la fonte secondaria concorrerà alla specificazione del precetto.
È in ogni caso illegittima, la norma penale che rinvii ad
un regolamento o ad un atto amministrativo la totale
d e t e r m i n a z i o n e d ’ e l e m e n t i e s s e n z i a l i d e l l a f a t t i s p e c i e 5.

4
Efficacia giuridica si riconosce invece alla c o n s u e t u d i n e i n t e r p r e t a t i v a che nel rispetto della
norma penale preesistente si limita ad enucleare il significato mutevole nel tempo e nello spazio di elementi di
una fattispecie (es. morale pubblica buon costume) ed alla c o n s u e t u d i n e i n t e g r a t i v a che concorre a
definire il contenuto dei precetti delle norme penali che rinviano a norme giuridiche preesistenti di rami
dell’ordinamento generale in cui la consuetudine può essere fonte del diritto (es. art. 51 c.p., per il diritto o
dovere che scrimina).
5
Tale modello è sicuramente incostituzionale, anche nell’ipotesi in cui il regolamento o l’atto amministrativo
siano preesistenti, in tal modo escludendo che la tecnica del rinvio formale sia compatibile con il principio della
riserva di legge. Tuttavia la Corte Costituzionale, rigettando le censure di incostituzionalità relative all’art. 650

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Manuale di Diritto Penale Il principio di legalità

2.3.2. Il principio di “tassatività e determinatezza” della fattispecie legale.


Il principio di legalità è comunque sostanzialmente eluso quando la previsione legislativa
sia così generica ed ambigua da non consentire la ricostruzione della condotta vietata.
Pertanto la norma penale deve fornire una descrizione, più o meno dettagliata del fatto
punibile: è cioè necessario che la fattispecie legale del reato sia delineata secondo i c r i t e r i
d i t a s s a t i v i t à e d e t e r m i n a t e z z a che agevolino la riconduzione del fatto storico al
modello astratto approntato dal legislatore (c.d. p r o c e d i m e n t i d i s u s s u n z i o n e )6.
In altri termini secondo il principio della tassatività le norme penali devono essere
formulate, in modo chiaro e determinato; deve essere tassativamente stabilito cosa è
penalmente rilevante e cosa è penalmente irrilevante.7
2.3.2.1. Ambito
di applicazione.
Essendo un corollario del principio di legalità, il p r i n c i p i o di
determinatezza si riferisce non solo al precetto ma anche
alla sanzione.
In particolare il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza costituzionale
è nel senso che non solo la pena debba essere legislativamente predeterminata e che la
predeterminazione riguardi sia le p e n e p r i n c i p a l i , le p e n e a c c e s s o r i e e i c.d.
e f f e t t i p e n a l i d e l l a c o n d a n n a ; ma altresì nel senso che la sanzione debba essere
prestabilita in forma non generica, e articolata e n t r o l i m i t i m i n i m i e m a s s i m i
r a g i o n e v o l i 8.
2.3.2.2. Funzioni.
Il principio di determinatezza svolge una serie di funzioni:
 obbliga il legislatore all’esatta precisazione del fatto che costituisce il reato;
 evita che il giudice possa determinare da solo quali comportamenti costituiscono
reati;
 funge da guida al comportamento del cittadino, che è posto in grado di discernere
con esattezza il lecito dall’illecito;
 garantisce lo stesso diritto di difesa dell’imputato, che risulterebbe menomato dalla
mancanza di una puntuale descrizione legale del fatto contestato.

cpc, ha affermato che il principio di legalità non può ritenersi violato quando sia una legge dello Stato a
predeterminare i caratteri, i presupposti, il contenuto e i limiti della fonte subordinata che concorre
all’integrazione del precetto, così che questa si ponga come mero svolgimento di una disciplina già tracciata
dalla legge penale.
6
Il principio di tassatività non impedisce l’impiego, nella formulazione delle leggi penali, dei c.d. e l e m e n t i
n o r m a t i v i (elementi definibili in base a norme giuridiche diverse da quella incriminatrice) o degli
e l e m e n t i d e s c r i t t i v i della fattispecie penale (definibili in base a dati di comune esperienza). Per i
primi non si pone alcun problema di determinatezza della fattispecie poiché, ad esempio, il concetto di altruità
della cosa, di cui al reato di furto, si ricava facilmente dalle norme civili in materia di proprietà e possesso; i
secondi rinviano, invece, a dei concetti (ad es. il comune senso del pudore) assai più incerti e mutevoli. In tal
caso il principio di tassatività può dirsi rispettato solo ove essi non risultino vaghi o indeterminati.
7
La legge, non può limitarsi ad esempio a dichiarare che il furto è reato, ma deve fornire il modello dell’azione
furtiva.
8
Da ciò si fa conseguire l ’ i l l e g i t t i m i t à c o s t i t u z i o n a l e d e l l e n o r m e p e n a l i c o n
sanzione indeterminata, anche soltanto nel massimo .

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2.3.3. Il principio di tipicità.


Dalla riserva di legge e dalla necessaria determinatezza della fattispecie penale deriva il
p r i n c i p i o d e l l a t i p i c i t à . Poiché è reato solo quel fatto che il legislatore ha
espressamente e tassativamente considerato come tale, i reati sono t i p i c i e n o m i n a t i è
costituiscono, dunque, un “numero chiuso” 9. Logico sviluppo del principio di tipicità il
divieto di analogia nel campo penale.
2.3.3.1. Il
divieto di analogia nel campo penale.
L’a n a l o g i a , è quel p r o c e d i m e n t o i n t e r p r e t a t i v o che consente di desumere
la regolamentazione dei casi non espressamente previsti dalla legge dalla disciplina dettata per
i casi simili (analogia l e g i s ) ovvero dai principi generali dell’ordinamento giuridico
(analogia i u r i s ). Esso costituisce pertanto uno degli strumenti attraverso cui l’ordinamento
giuridico provvede a colmare le eventuali lacune legislative.
Questo particolare procedimento di produzione normativa non è ammesso nel diritto
penale, come si evince dall’a r t . 1 4 d e l l e D i s p o s i z i o n i s u l l a l e g g e i n
g e n e r a l e , che stabilisce: “L e l e g g i p e n a l i e q u e l l e c h e f a n n o
eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano
o l t r e i c a s i e i t e m p i i n e s s e c o n s i d e r a t i ”.
Tuttavia la dottrina ha chiarito che t a l e d i v i e t o o p e r a s o l o p e r n o r m e
p e n a l i “ i n c r i m i n a t i c i ” (analogia in malam partem), quelle cioè che prevedono la
figura base del reato, nei suoi elementi costitutivi essenziali, le relative sanzioni principali e
accessorie, gli effetti penali della condanna, le eventuali circostanze aggravanti, le condizioni
di punibilità ecc10.
Restano infatti e s c l u s i d a l d i v i e t o , sempre secondo la dottrina, le n o r m e
“ s c r i m i n a n t i ” , ossia le norme che tolgono illiceità al fatto penalmente sanzionato, e
quelle che prevedono ipotesi di attenuazione della pena (analogia in bonam partem11), sempre
che non si tratti di norme eccezionali.
2.3.3.2. L’interpretazione
estensiva.
Dalla interpretazione o integrazione analogica, va tenuta distinta l’i n t e r p r e t a z i o n e
estensiva:
 l’interpretazione analogica, infatti pur implicando un attività interpretativa della
legge, ha un accentuato carattere creativo; essa, infatti,consiste nel dare una
regolamentazione ad un caso non disciplinato, né espressamente né implicitamente,
dalla legge attraverso l’applicazione della disciplina prevista per un caso simile;

9
Il “furto” è quello, e soltanto quello, descritto dall’art. 624 c.p. per cui qualsiasi impossessamento di una cosa
mobile e non altrui, non potrà mai essere ricondotto a tale fattispecie tipica.
10
Per quanto attiene l’a n a l o g i a i n m a l a m p a r t e è pacifico che il divieto di applicazione analogica
concerna non solo le norme penali “incriminatrici”, ma si estenda anche a quelle disposizioni che concorrono, in
via generale a definire i presupposti della punibilità.
11
Tra le principali applicazioni della a n a l o g i a i n b o n a m p a r t e m ricordiamo: I) l’estensione del
difetto di imputabilità oltre i casi previsti dagli artt. 85 e ss. c.p., ad esempio si ritengono non imputabili il
selvaggio, il soggetto che ha vissuto in stato di segregazione sin dalla nascita e gli argati; II) l’estensione delle
scriminanti oltre il ristretto ambito previsto dalla legge; III) l’estensione anche alle cause concomitanti o
antecedenti della disciplina delle concause stabilita dal secondo comma dell’art. 41.

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 l’interpretazione estensiva, per contro, opera sempre nell’ambito di una norma ma


comporta la riconduzione sotto la disciplina della stessa norma di una ipotesi
apparentemente fuori dalla sua sfera. Quest’ultima interpretazione n o n
incontra le limitazione dell’art. 14 delle preleggi.
2.4. Le singole fonti del diritto penale.
Dopo aver esaminato il senso è la portata del “principio di legalità” è ora possibile
esaminare in concreto quali sono le f o n t i d e l d i r i t t o p e n a l e i t a l i a n o . Esse
sono:
 le leggi costituzionali;
 le leggi formali ordinarie;
 le leggi delegate, tra cui rientrano anche i c.d. testi unici delegati (si ricordi che lo
stesso codice penale è un testo unico delegato);
 i decreti legge;
 i provvedimenti presidenziali di concessione e amnistia e di indulto;
 i decreti governativi in tempo di guerra e i bandi militari (artt. 17-20 cod. pen. mil.
guerra), purché sussista la situazione prevista dall’art. 78 Cost. (dichiarazione dello
stato di guerra e attribuzione dei relativi poteri al governo da parte del parlamento);
 i regolamenti e le direttive CE;
Non possono invece essere annoverate tre le fonti del diritto penale;
 le leggi regionali;
 le leggi provinciali di Trento e Bolzano;
 le ordinanze di urgenza;
 i regolamenti (nei limiti precisati);
 le circolari;
 la consuetudine

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Capitolo 3°
La legge penale nel tempo e nello spazio
3.1. Successioni di legge penali nel tempo.
Si ha s u c c e s s i o n e d i l e g g i quando una norma si estingue ed un’altra le subentra. Il
fenomeno successorio delle leggi penali è regolato, nel codice penale, dall’a r t . 2 il quale
distingue t r e d i s t i n t i c a s i .
3.1.1. La nuova norma configura come reato un fatto che in precedenza non era previsto
come tale.
Quando la legge configura come reato un fatto che in
p r e c e d e n z a n o n e r a p r e v i s t o c o m e t a l e , si applica il principio della
irretroattività delle leggi penali incriminatrici.
3.1.1.1. Il
principio di irretroattività.
Per il p r i n c i p i o d i i r r e t r o a t t i v i t à della legge penale è vietata l’applicazione di
norme penali incriminatici a fatti commessi prima della loro entrata in vigore1.
Il principio di irretroattività, nel nostro ordinamento, riguarda in generale, la legge2; per la
materia penale esso è sancito
 all’art. 2, co. 1°, c.p.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r u n f a t t o
c h e , s e c o n d o l a l e g g e d e l t e m p o i n c u i f u c o m m e s s o 3,
n o n c o s t i t u i v a r e a t o ”;
 ed è assurta al rango di principio costituzionale, attraverso la formulazione dell’art.
25, co. 2°, Cost.: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o s e n o n i n f o r z a
di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
c o m m e s s o ”.
3.1.2. La nuova norma non prevede più come reato un fatto che in precedenza era
considerato tale.
Se invece, l a n u o v a n o r m a n o n p r e v e d e p i ù c o m e r e a t o u n f a t t o
c h e i n p r e c e d e n z a e r a c o n s i d e r a t o t a l e , si applica, il principio di non
ultrattività.
3.1.2.1. Il
principio di non ultrattività.
Secondo il p r i n c i p i o d i n o n u l t r a t t i v i t à d e l l a n o r m a p e n a l e , essa non
si applica ai fatti commessi dopo la sua abrogazione, e i suoi effetti cessano anche rispetto ai

1
Vige l’irretroattività sia nell’ipotesi in cui la legge istituisca un nuovo titolo di reato, sia quando il mutamento
degli elementi costitutivi di preesistenti fattispecie criminose rende punibili fatti che prima non lo erano.
2
Art. 11 delle disposizione di legge in generale: “la legge non dispone che per l’avvenire: esso non ha effetto
retroattivo”.
3
Il t e m p o i n c u i f u c o m m e s s o i l f a t t o dev’essere stabilito, per i fini che qui interessano,
avendo riguardo al tempo in cui si è r e a l i z z a t a n e l m o n d o e s t e r n o l a c o n d o t t a che la norma
sopravvenuta qualifica come reato. Se, infatti, ci si riferisse all’evento (cioè il risultato lesivo, casualmente
connesso all’azione, e di regola necessario per il configurarsi dell’illecito penale) si potrebbe incorrere proprio in
un’applicazione della legge penale, in flagrante contrasto con la ratio del divieto di irretroattività.

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fatti, commessi durante la sua vigenza e per i quali sia intervenuta una sentenza di condanna,
passata in cosa giudicata (a b o l i t i o c r i m i n i s ).
Queste conseguenze della c.d. abolitio criminis sono disciplinati dall’a r t . 2 , c o . 2 ,
c . p . che stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r u n f a t t o c h e ,
s e c o n d o u n a l e g g e p o s t e r i o r e , n o n c o s t i t u i s c e r e a t o 4; e , s e v i è
s t a t a c o n d a n n a , n e c e s s a n o l ’ e s e c u z i o n e e g l i e f f e t t i p e n a l i ”.
La norma viene spiegata sul rilievo che l’abolizione della incriminazione di un fatto
significa che questo non è più ritenuto contrastante con gli interessi della comunità:
l’applicazione della pena, in conseguenza della sua realizzazione, viene allora a mancare di
fondamento.
3.1.3. La nuova norma senza introdurre nuove reati o abolire reati preesistenti, si limita a
modificare il trattamento penale del fatto.
Un’ultima ipotesi è quella di s u c c e s s i o n e d i l e g g i m o d i f i c a t i v e , cioè di
leggi che senza introdurre nuove reati o abolire reati preesistenti, s i l i m i t a n o a
m o d i f i c a r e i l t r a t t a m e n t o p e n a l e d e l f a t t o , che conserva inalterato il suo
carattere di illecito penale.
3.1.3.1. Il principio del favore rei.
Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 2, comma 3, il quale stabilisce che “s e l a l e g g e
del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono
d i v e r s e 5, s i a p p l i c a q u e l l a l e c u i d i s p o s i z i o n i s o n o p i ù
favorevoli6 al reo salvo che sia stata pronunciata sentenza
i r r e v o c a b i l e 7” (c.d. p r i n c i p i o d e l f a v o r r e i ).

4
Secondo l’opinione dominante ricade nel fenomeno in esame anche l’abolizione della norma (non penale)
integratrice di una norma penale in bianco, mentre è controverso se si abbia abolitio criminis anche nel caso in
cui muti un elemento normativo della fattispecie (si pensi al delitto di calunnia, che consiste nell’incolpare
falsamente qualcuno di un reato, ove il fatto costituente il reato falsamente attribuito cessi di essere considerato
tale) o una norma integrativa extragiuridica (si pensi al venir meno, nella coscienza sociale, del carattere di
oscenità di taluni comportamenti). Va in ogni caso ricordato che l’abrogazione di una norma di portata più
specifica può far riespandere altre norme di portata più generale che incriminano comunque il comportamento
oggetto della norma abrogata (es.: la condotta dell’abrogata procurata impotenza può ricadere nel reato di lesione
personale).
5
A volte non è facile discernere se la legge successiva abroghi quella precedente, ai sensi del comma 2 (facendo
divenire lecito il comportamento prima vietato), oppure la modifichi semplicemente, ai sensi del comma 3
(continuando a prevedere come reato il comportamento precedente salva l’applicazione della norma più
favorevole). Secondo un primo criterio di natura sostanziale elaborato dalla dottrina tedesca, il problema può
essere risolto verificando se tra la norma anteriore e quella successiva esista una «continuità del tipo di illecito»
ossia un’identità del bene protetto e delle modalità di aggressione dello stesso: dove si ravvisi una tale continuità
dovrà identificarsi un fenomeno di successione di leggi modificative con applicazione della legge più favorevole
al reo. Più rigoroso e, dunque, più rispettoso del principio di irretroattività della legge penale incriminatrice, è il
criterio di natura formale che fa leva sull’esistenza o meno di un rapporto di continenza. Fra le due fattispecie si
ha modificazione quando la nuova legge penale contempla una fattispecie di portata più specifica rispetto a
quella precedente, sicché, in mancanza della norma successiva, quel fatto sarebbe rientrato nella norma
precedente. Secondo autorevole dottrina è possibile riscontrare una modificazione anche nell’ipotesi inversa, che
ricorre quando una fattispecie di portata generale succede ad una fattispecie di portata più specifica: in tal caso il
fenomeno successorio-modificativo si instaura esclusivamente con riferimento alle ipotesi già contemplate dalla
norma precedente ed inglobate in quella successiva.
6
Per stabilire tra due l e g g i quale sia la p i ù f a v o r e v o l e al reo, occorre porre a confronto i risultati che
deriverebbero dall’applicazione di ciascuna delle due norme alla fattispecie concreta: più favorevole sarà quella
che, applicata al fatto oggetto dell’esame del giudice, condurrà a conseguenze meno gravose per il reo. Una volta

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Possono allora aversi due ipotesi:


 la nuova legge apporti modificazioni sfavorevoli al reo: in questo caso si applicherà
la legge precedente;
 la nuova legge apporti, invece, modificazioni favorevoli al reo: in tal caso si
applicherà la nuova legge, la quale avrà, quindi, efficacia retroattiva.
La ratio della norma risiede nel “principio superiore che al cittadino è assicurato il
trattamento penale più mite tra quelli stabiliti dalla legge a partire dal momento della
commissione del fatto fino alla sentenza irrevocabile”.
3.1.4. Successione di leggi temporanee, eccezionali.
L’a r t . 2 , c o m m a 4 , esclude l’operatività del principio di retroattività in favore del
reo riguardo a leggi temporanee8 ed eccezionali9. In questi casi si applica solo e sempre la
disposizione in vigore nel tempo in cui è stato commesso il fatto10.
La ratio della differente applicazione è che, se per le leggi temporanee ed eccezionali non
trovasse rigorosa applicazione il principio «tempus regit actum», gli autori dei reati ivi
descritti avrebbero la possibilità di eludere le corrispondenti sanzioni, specialmente per i fatti
commessi nell’imminenza dello scadere del termine o verso la fine dello stato eccezionale11.
3.1.5. Trattamento da riservare ai decreti legge non convertiti.
Fino alla sentenza costituzionale n. 51/85 C. Cost. era fortemente controversa in dottrina la
questione del trattamento da riservare, nel quadro della disciplina della successione di leggi
penali, alle norme penali contenute in un decreto legge non convertito in legge dalle Camere,

individuata la legge più favorevole, essa dovrà essere applicata in toto, non essendo possibile disciplinare alcuni
aspetti mediante l’applicazione di una legge ed altri applicando una disposizione legislativa diversa. La
determinazione del carattere più o meno favorevole di una norma nei confronti di un’altra va fatta tenendo conto
non solo delle rispettive pene edittali, ma del trattamento sanzionatorio che in concreto deriverebbe
dall’applicazione dell’una o dell’altra. Ad esempio, se la nuova legge prevede, rispetto alla precedente, una pena
più ridotta nel massimo ma più elevata nel minimo, si applicherà la legge precedente o successiva, a seconda,
rispettivamente, che il giudice intenda applicare al caso concreto la pena edittale minima o massima. Va infine
sottolineato che la regola della applicabilità della legge più favorevole non concerne soltanto i rapporti fra norme
incriminatrici speciali, ma altresì le variazioni intervenute in norme di parte generale da cui scaturisca un regime
più favorevole al reo. Un esempio può essere costituito dall’elevazione del limite di pena suscettibile di essere
sospesa condizionalmente (art. 163 e segg. c.p.) e dalla contestuale modificazione delle condizioni che ostano
alla sospensione stessa (cfr. art. 11 D. 1. 11 aprile 1974, n. 99 e art. 1041. 24 novembre 1981, n. 689).
7
S e n t e n z a i r r e v o c a b i l e : è la sentenza passata in giudicato immodificabile, in quanto tutti i mezzi
di impugnazione sono stati esperiti (per cui non è più ammessa impugnazione diversa dalla revisione), o non
sono più proponibili per il decorso dei termini per impugnare.
8
Sono, invece, t e m p o r a n e e quelle che hanno vigore entro un limite di tempo da esse determinato.
9
Le l e g g i e c c e z i o n a l i sono emanate in situazioni anormali (guerre, epidemie, terremoti) e non vanno
confuse con le leggi eccezionali di cui all’art. 14 preleggi che contengono eccezioni a regole generali.
10
In caso di successioni di leggi temporanee o eccezionali tra di loro, si ritiene applicabile il 3°– o il 4– comma
dell’art. 2, a seconda che la legge temporanea o eccezionale posteriore presenti la stessa o una diversa ratio di
disciplina rispetto all’anteriore.
11
La deroga al principio della retroattività della legge più favorevole fino a tempi recenti, interessava anche le
leggi finanziarie a norma dell’art. 20 L. 7 gennaio 1929, n. 4 per il quale «le disposizioni penali delle leggi
finanziarie si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni
medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione». Quindi anche nel caso in cui la legge
finanziaria fosse seguita da altra più favorevole essa continuava ad applicarsi ai fatti commessi sotto la sua
vigenza. Tuttavia, t a l e d e r o g a è s t a t a e l i m i n a t a dall’art. 24 del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n.
507, recante «Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della
L. 25 giugno 1999, n. 205» che ha espressamente abrogato l’art. 20 L. 7 gennaio 1929, n. 4.

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oppure convertito in legge, ma con emendamenti eliminativi di norme penali in esso


contenute.
La difformità di opinioni aveva origine dall’evidente discrasia fra la disciplina
costituzionale della materia e la norma contenuta nell’art. 2, co. 5 c.p.. Quest’ultima
disposizione estendeva infatti la disciplina generale della successione di leggi penali ai casi di
“decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge e nel caso di un decreto legge convertito
in legge con emendamenti”. L’art. 77, co. 3, Cost. stabilisce, però, che i decreti “perdono
efficacia sia dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro
pubblicazione”.
La perdita di efficacia ex tunc sembrava, dunque, inibire lo stesso ingresso di un
meccanismo di successione fra leggi, in quanto il fenomeno della successione presuppone per
definizione una sia pur temporanea validità della legge preesistente, che l’art. 77 co. 3, Cost.,
viceversa, esclude.
3.1.5.1. La sentente n.
51/85.
Con la ricordata s e n t e n z a n . 5 1 / 9 8 , la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo
il co. 5 dell’art. 2 c.p., “nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste la
disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dello stesso art. 2”.
Facendo salvo il riferimento al co. 1 dell’art. 2, la sentenza n. 51 ha quindi attribuito al
decreto legge non convertito la sola efficacia ricollegabile alla regola della irretroattività della
norma penale incriminatrice, per l’evidente prevalenza dell’irriducibile principio fissato
nell’art. 25, co. 2 Cost., anche rispetto alla previsione dell’art. 77; mentre ha escluso la
rilevanza del decreto legge non convertito, rispetto al fenomeno della successione di leggi
penali, così come regolato dai co. 2 e 3 dell’art. 2 c.p.
In altre parole, se con il d.l. è abrogata una incriminazione preesistente, la sua
“reviviscenza” a seguito della caducazione del d.1. non potrà spiegare effetti rispetto alle
condotte realizzate nel periodo di provvisoria vigenza della norma contenuta nel decreto, che
resteranno non punibili, in quanto non costituenti reato “secondo la legge del tempo” in cui
furono commesse (art. 2, co. 1 c.p.).
Ma né l’abolitio criminis, né la modificazione in senso più favorevole al reo potranno,
invece, spiegare effetto nei confronti delle condotte antecedenti all’emanazione del decreto, la
cui qualificazione giuridica resterà affidata alla legge previgente, o a quella posteriore al d.l.
non convertito, se più favorevole.
3.2. L’efficacia della legge penale nello spazio.
3.2.1. I reati commessi nel territorio italiano: il principio di territorialità.
Secondo il p r i n c i p i o d e l l a t e r r i t o r i a l i t à , tutti gli atti dello Stato, compresi
quelli legislativi, incontrano nel territorio12 il loro limite spaziale di efficacia. Il nostro
legislatore ha accolto, per il diritto penale, il principio della territorialità, sancendo:

12
Ai sensi dell’art. 2° co.: Agli effetti della legge penale, è territorio dello Stato il territorio della Repubblica e
ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come
territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge
territoriale straniera”.

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 al primo comma dell’art. 3 c.p. : “L a l e g g e i t a l i a n a o b b l i g a t u t t i


c o l o r o c h e , c i t t a d i n i 13 o s t r a n i e r i , s i t r o v a n o n e l
territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite
dal diritto pubblico interno o dal diritto
i n t e r n a z i o n a l e ” (principio di obbligatorietà della legge penale);
 al primo comma dell’art. 6 c.p.: “C h i u n q u e c o m m e t t e u n r e a t o
nel territorio dello Stato è punito secondo la legge
i t a l i a n a ”.
3.2.1.1. Le immunità.
Le “eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”, di cui parla
l’art. 3 1° co. c.p., sono qualificate come i m m u n i t à p e n a l i e si identificano con un
complesso di situazioni tra loro diverse il cui effetto comune è la sottrazione di un soggetto
all’applicazione della sanzione penale.
3.2.1.1.1. Nozione.
Le i m m u n i t à sono particolari prerogative riconosciute a determinate persone (o classi
di persone) che adempiono funzioni o ricoprono uffici di particolare importanza; esse si
sostanziano nella esenzione di questi soggetti da ogni conseguenza penale, in ragione della
loro q u a l i f i c a p e r s o n a l e .
La ratio delle varie ipotesi di immunità va individuata nell’esigenza di tutela di particolari
funzioni costituzionali o delle relazioni internazionali, che richiedono determinate limitazioni
della potestà punitiva dello Stato, essenzialmente nei confronti di rappresentanti ed agenti di
Stati esteri.
3.2.1.1.2. Tipologia.
In r e l a z i o n e a l l ’ o g g e t t o di tale immunità si suole distinguere tra quelle a
c a r a t t e r e a s s o l u t o che comprendono qualunque reato commesso dal titolare, senza
distinzione tra attività compiuta nell’esercizio della funzione e attività extrafunzionale (è tale,
ad es., l’immunità del Pontefice)14 e quelle a c a r a t t e r e r e l a t i v o che operano per i
soli reati commessi in costanza di carica.
In r e l a z i o n e a l l ’ e f f i c a c i a si suole, invece, distinguere tra i m m u n i t à
s o s t a n z i a l i (o funzionali) e p r o c e s s u a l i : le prime riguardano, di regola, l’attività
funzionale ed escludono definitivamente la punibilità per atti compiuti, le opinioni espresse e i
voti dati nell’esercizio di funzioni (di diritto pubblico interno o internazionale); le seconde
attengono all’attività extrafunzionale e consistono nella frapposizione di ostacoli (es.:
l’autorizzazione a procedere) o di limiti all’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti
dei soggetti immuni.

13
Il 1° co. dell’art. 4 c.p. fornisce la n o z i o n e d i c i t t a d i n o i t a l i a n o , ai fini della obbligatorietà
della legge penale, ricomprendendovi “gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità
dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato”.
14
Le immunità assolute, inoltre, impediscono l’applicazione della pena e di ogni altra conseguenza penale anche
dopo il cessato esercizio della funzione.

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Infine in r e l a z i o n e a l l a f o n t e si distinguono le immunità derivanti dal


diritto pubblico interno e le immunità derivanti dal d i r i t t o
internazionale.
3.2.1.1.3. Le
immunità derivanti dal diritto pubblico interno
Tali immunità hanno carattere funzionale, essendo legate alla titolarità di una pubblica
funzione; esse riguardano:
 il C a p o d e l l o S t a t o (e il P r e s i d e n t e d e l S e n a t o quando svolge
funzioni di supplenza): secondo l’art. 90 Cost., questi «non è responsabile degli atti
compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per
attentato alla Costituzione»;
 i m e m b r i d e l P a r l a m e n t o e i C o n s i g l i e r i r e g i o n a l i : costoro
non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni, in base rispettivamente agli artt. 68 e 122 Cost.;
 i g i u d i c i d e l l a C o r t e C o s t i t u z i o n a l e ed i c o m p o n e n t i d e l
C o n s i g l i o S u p e r i o r e d e l l a M a g i s t r a t u r a (anch’essi per le opinioni
espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni).
3.2.1.1.4. Le
immunità derivanti di diritto internazionale.
Tali immunità trovano generale fondamento nel diritto internazionale, hanno
c a r a t t e r e p e r s o n a l e , e sono giustificate da ragioni di opportunità politica; tra esse,
per il loro rilievo, occorre ricordare quelle riguardanti:
I Capi di Stato esteri ed i Reggenti che si trovano in tempo di pace, nel territorio della
Repubblica;
 il Sommo Pontefice (art. 8 del Trattato Lateranese);
 i Ministri degli affari Esteri e i Membri stranieri dei Tribunali Arbitrali;
 gli Agenti diplomatici esteri accreditati presso il Capo dello Stato;
 i Consoli, i Vice consoli e gli Agenti consolari;
 i reparti di truppe straniere che si trovano nel territorio dello Stato con
autorizzazione di quest’ultimo;
 i diplomatici stranieri accreditati presso la Santa Sede;
 i Membri del Parlamento Europeo;
 i giudice della Corte dell’Aja e, in misura minore, i membri della Corte Europea dei
diritto dell’uomo;
 norme particolari regola infine al giurisdizione penale rispetto ai militari stranieri
appartenenti della forze NATO di stanza in Italia.
Occorre tener presente che un soggetto, pur beneficiario di una delle indicate immunità di
diritto internazionale, può ben esser considerato penalmente responsabile delle azioni
compiute secondo la legislazione vigente nello Stato di appartenenza.

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3.2.1.2. Illuogo del commesso reato.


L’art. 6 c.p., precisa, al co. 2 : “I l r e a t o s i c o n s i d e r a c o m m e s s o n e l
territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che
lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero
si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza
d e l l ’ a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.
Ciò significa che si applicherà la legge penale italiana, ad esempio, sia all’ipotesi
dell’omicidio compiuto da chi, al di qua del confine di Stato, spara e uccide una persona che
si trova al di là del confine, sia all’ipotesi inversa; e che dovrà considerarsi “commesso nel
territorio dello Stato” anche quel reato, di cui solo un segmento si sia ivi realizzato: si pensi al
transito in Italia di un pacco postale contenente droga, proveniente da uno Stato estero e
destinato a persona residente in altro Stato estero.
3.2.2. I reati commessi all’estero: deroghe al principio di territorialità.
Il secondo comma del ricordato art. 3 stabilisce che: “L a l e g g e p e n a l e
italiana obbliga altresì tutti coloro che cittadini o
stranieri si trovano all’estero, ma limitatamente ai casi
stabiliti della legge medesima o dal diritto
i n t e r n a z i o n a l e ”;
Il capoverso dell’art. 3 prevede quindi la possibilità d i d e r o g h e a l p r i n c i p i o d i
t e r r i t o r i a l i t à : ciò si verifica allorquando sono puniti dallo Stato italiano e secondo leggi
italiane i reati commesso all’estero.
3.2.2.1. Reati commessi all’estero, sia dal cittadino che dallo straniero, incondizionatamente
punibili.
L’a r t . 7 c . p . sancisce l’applicabilità della legge penale italiana ad alcune categorie di
reati, ancorché c o m m e s s i i n t e r a m e n t e i n t e r r i t o r i o e s t e r o , s i a d a l
c i t t a d i n o c h e d a l l o s t r a n i e r o . Si tratta, in particolare:
 dei delitti contro la personalità dello Stato;
 dei delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo
contraffatto;
 dei delitti di falsità in monete aventi corso legale nello Stato e di falsità in valori di
bollo o in carte di pubblico credito italiane;
 dei delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri
o violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni;
 di ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni
internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.
3.2.2.2. Delitti
politici commessi all’estero, commessi sia dal cittadino che dallo straniero,
punibili a richiesta dal Ministro della Giustizia.
L’art. 8 1° e 2° co. c.p. afferma che: “I l c i t t a d i n o o l o s t r a n i e r o , c h e
c o m m e t t e i n t e r r i t o r i o e s t e r o u n d e l i t t o p o l i t i c o non compreso
tra quelli indicato nel numero 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a
richiesta del Ministro della Giustizia.

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Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta
anche la querela”.
nozione di “delitto politico” ai sensi dell’art. 8 c.p.
3.2.2.2.1. La
Il c o . 3 d e l l ’ a r t . 8 , stabilisce: “Agli effetti della legge penale, è d e l i t t o
p o l i t i c o ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto
politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in
tutto o in parte, da motivi politici”.
Come si vede, la definizione che del delitto politico fornisce l’art. 8, co. 3, è molto ampia.
Da essa si ricavano, tradizionalmente, due distinte categorie di delitti politici:
 il d e l i t t o o g g e t t i v a m e n t e p o l i t i c o : che è quello che offende un
interesse politico dello Stato, nella sua nozione comprensiva di popolo, territorio,
sovranità, forma di governo, ecc.; si ritiene generalmente che non rientrino, invece,
nella categoria dei delitti oggettivamente politici quelli che offendono lo Stato-
amministrazione o il potere giudiziario. Sono altresì delitti oggettivamente politici -
per espressa statuizione dell’art. 8, co. 2 - q u e l l i c h e o f f e n d o n o u n
d i r i t t o p o l i t i c o d e l c i t t a d i n o , inteso come diritto di partecipare
alla formazione della volontà dello Stato: elezione delle rappresentanze politiche,
associazione in partiti politici, ecc.15;
 il d e l i t t o s o g g e t t i v a m e n t e p o l i t i c o è invece il delitto comune che sia
“determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”16.
3.2.2.3. Delitti
comune commesso all’estero dal cittadino italiano.
L’art. 9 c.p. afferma che: “I l c i t t a d i n o , che, fuori dei casi indicati nei due articoli
precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce
l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge
medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato.
Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di
minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia ovvero a istanza o a
querela della persona offesa.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a
danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro
della giustizia, sempre che l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata
accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto”

15
Una fattispecie generale esemplificativa è costituita al riguardo dall’art. 294 c.p. («Attentati contro i diritti
politici del cittadino») stabilisce: «Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte
l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni».
16
Secondo la giurisprudenza prevalente perché un reato comune possa essere ritenuto soggettivamente politico è
necessario che sia qualificato da un movente strettamente ed esclusivamente politico; è necessario, cioè, che il
reo sia stato spinto a delinquere al fine di potere, a mezzo della sua azione, incidere sulla esistenza, costituzione
o funzionamento dello Stato, oppure favorire o contrastare idee, tendenze politiche, sociali o religiose, al
precipuo scopo di realizzare una precisa idea politica. Rientrano in questa categoria il cd. delitto anarchico e
quello commesso per finalità di terrorismo.

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3.2.2.4. Delitto
comune commesso all’estero da uno straniero.
L’art. 10 afferma che: “L o s t r a n i e r o , che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8,
commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la
legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è
punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia
richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.
Se il delitto è commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è
punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che:
 si trovi nel territorio dello Stato;
 si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo ovvero della
reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;
 l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal
Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui
egli appartiene.”
3.2.3. Rinnovamento del giudizio.
3.2.3.1. Per i
reati commessi nel territorio italiano.
In relazione ai reati commessi nel territorio italiano il comma 1 dell’art. 11 afferma che:
“Nel caso indicato nell’articolo 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se
sia stato giudicato all’estero”.
Il comma 1 della norma risponde all’esigenza di garantire in ogni caso l’applicazione della
legge italiana con riferimento ai reati realizzati nel territorio della Repubblica, conformemente
al principio di territorialità sancito nell’art. 617.
In riferimento all’ipotesi in esame, l’art. 138 c.p. afferma che “Quando il giudizio seguito
all’estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all’estero è sempre computata, tenendo
conto della specie di essa; e, se vi è stata all’estero custodia cautelare18, si applicano le
disposizioni dell’articolo precedente”19.
3.2.3.2. Per
i reati commessi fuori dal territorio dello Stato.
Mentre p e r i r e a t i c o m m e s s i f u o r i d a l t e r r i t o r i o d e l l o S t a t o
l’art. 11 2° co. afferma che “Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10 il cittadino o lo
straniero, che sia stato giudicato all’estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il
Ministro della giustizia ne faccia richiesta”.
Dunque per i fatti commessi fuori dal territorio dello Stato (comma 2) l’esigenza di
garantire l’applicazione della legge italiana è meno imperiosa ed è perciò sottoposta ad una

17
Sul punto è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 10, c. 1, Cost. La
Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione in base alla considerazione che il principio del ne bis in
idem (divieto del doppio giudizio per il medesimo fatto) non può essere considerato norma di diritto
internazionale generalmente riconosciuta (sentenza 18-4-1967, n. 48).
18
C u s t o d i a c a u t e l a r e : tra le misure cautelari personali, di tipo coercitivo, rappresenta la forma piena
di privazione della libertà. Essa ha luogo in un istituto penitenziario, sicché è detraibile dalla carcerazione
definitiva eventualmente da espiare.
19
Art. 137. “La custodia sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile si detrae dalla durata
complessiva della pena temporanea detentiva o dall’ammontare della pena pecuniaria. La custodia cautelare è
considerata, agli effetti della detrazione, come reclusione od arresto.

Ver.12-10-2016 21
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preventiva valutazione politica che si estrinseca nella richiesta del Ministro della giustizia. In
ogni caso, la pena scontata all’estero è sempre computata e detratta da quella irrogata in Italia
(art. 138 c.p.).
Inoltre in riferimento all’ipotesi in esame l’art. 201 c.p. 1° co. afferma che “Quando, per un
fatto commesso all’estero, si procede o si rinnova il giudizio nello Stato, è applicabile la legge
italiana anche riguardo alle misure di sicurezza.”
3.2.4. Riconoscimento delle sentenze penali straniere.
Il principio di territorialità del diritto penale importerebbe la inapplicabilità e ineseguibilità
in Italia delle sentenze dei tribunali stranieri; tuttavia in alcuni casi è ammesso
eccezionalmente i l r i c o n o s c i m e n t o d e l l e s e n t e n z e s t r a n i e r e .
In particolare l’art. 12 1° co. c.p. prevede che Alla sentenza20 penale straniera pronunciata
per un delitto può essere dato riconoscimento:
 per stabilire la r e c i d i v a 21 o un altro effetto penale della condanna, ovvero per
dichiarare l’a b i t u a l i t à 22 o la p r o f e s s i o n a l i t à 23 nel reato o la
t e n d e n z a a d e l i n q u e r e 24;
 quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una p e n a
a c c e s s o r i a 25;

20
S e n t e n z a : è il provvedimento del giudice contenente la decisione che esaurisce il processo penale o
quanto meno una sua fase (es.: il primo grado di giudizio). Essa può avere un contenuto meramente processuale,
ad esempio quando dichiara l’incompetenza; ovvero un contenuto di merito allorché si pronuncia sulla
fondatezza o meno della pretesa punitiva, affermando o negando la colpevolezza dell’imputato. Nel primo caso
la sentenza è di condanna, nel secondo caso di assoluzione.
21
R e c i d i v a : rientra tra circostanze inerenti alla persona del colpevole e, comporta la possibilità di
infliggere un aumento di pena a chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro. È uno
degli effetti penali della condanna.
22
A b i t u a l i t à n e l r e a t o : è la condizione personale di chi con la sua persistente attività criminosa
dimostra di aver acquistato una materiale attitudine a commettere reati. Si tratta di una forma specifica di
pericolosità sociale. Rispetto alle contravvenzioni poi, l’abitualità non è mai presunta, ma deve essere dichiarata
dal giudice, allorché un soggetto, dopo essere stato condannato alla pena dell’arresto per tre contravvenzioni
della stessa indole, riporti condanne per un’altra contravvenzione, anche della stessa indole e venga, perciò,
considerato dedito al reato. In seguito alla dichiarazione di abitualità nel reato il soggetto può essere sottoposta a
misura di sicurezza; è interdetto in via perpetua dai pubblici uffici; non può usufruire del beneficio della
sospensione condizionale della pena.
23
P r o f e s s i o n a l i t à n e l r e a t o : è una forma specifica di pericolosità sociale. Per l’esistenza della
professionalità nel reato la legge richiede che il reo riporti una condanna, trovandosi già nelle condizioni
richieste per la dichiarazione di abitualità; che avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta del reo e delle
altre circostanze previste dal capoverso dell’art. 133, si debba ritenere che il reo viva abitualmente anche in
parte, soltanto dei proventi del reato, c.d. sistema di vita. Tale requisito deve essere accertato, di volta in volta,
non esistendo professionalità presunta. Essa comporta la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia o
casa agricola per la durata minima di tre anni. La dichiarazione di professionalità nel reato si estingue per effetto
della riabilitazione.
24
T e n d e n z a a d e l i n q u e r e : è uno dei tre aspetti, assieme all’abitualità e professionalità nel reato,
della pericolosità sociale. La tendenza può essere dichiarata soltanto con la sentenza di condanna. Alla
dichiarazione consegue, come effetto, la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o casa di
lavoro, nonché gli altri effetti che conseguono alla dichiarazione di abitualità e professionalità. La tendenza a
delinquere non può essere dichiarata se l’inclinazione al delitto, è originata da vizio totale o parziale di mente.
25
P e n e a c c e s s o r i e : sono tali quelle che comportano una limitazione di capacità, attività o funzioni
oppure rendono maggiormente afflittiva la pena principale (la cui irrogazione è presupposto necessario per
l’applicazione delle pene accessorie). Esse conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa tanto
che, qualora siano state omesse dal giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna, possono essere applicate

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Manuale di Diritto Penale La legge penale nel tempo e nello spazio

 quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o


prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a m i s u r e d i s i c u r e z z a
p e r s o n a l i . In questo caso l’art. 201 2° c.p. afferma che “l’applicazione delle
misure di sicurezza stabilite dalla legge italiana è sempre subordinata
all’accertamento che la persona sia socialmente pericolosa”.
 quando la sentenza straniera porta condanna alle r e s t i t u z i o n i 26 o a l
r i s a r c i m e n t o d e l d a n n o 27, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in
giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento
del danno, o ad altri effetti civili.
Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall’autorità
giudiziaria di uno Stato estero col quale e s i s t e t r a t t a t o d i e s t r a d i z i o n e . Se
questo non esiste, la sentenza estera può essere egualmente ammessa a riconoscimento nello
Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta 28.”(tale richiesta non occorre se
viene fatta istanza per il riconoscimento agli effetti indicati nell’ultimo punto dell’elenco).
3.2.5. L’estradizione.
3.2.5.1. Nozione di estradizione.
L’e s t r a d i z i o n e è un istituto del diritto internazionale, consistente nella consegna di un
individuo, da parte dello Stato, ad un altro Stato, perché sia da questo giudicato
(e s t r a d i z i o n e p r o c e s s u a l e ) o sottoposto all’esecuzione della pena, se già
condannato (e s t r a d i z i o n e e s e c u t i v a ).
3.2.5.2. Tipi.
L’estradizione può essere:
 a t t i v a , quando è lo Stato italiano che richiede ad uno Stato estero la consegna di
un individuo imputato o condannato in Italia;
 p a s s i v a , quando è lo Stato italiano che riceve da uno Stato estero, la richiesta di
consegna.
3.2.5.3. Estradizione passiva.
3.2.5.3.1. Condizioni.
Per l’estradizione passiva, il codice penale (art. 13) pone le seguenti condizioni:

d’ufficio in sede esecutiva, purché siano determinate dalla legge nella loro specie e durata. Esse, inoltre,
soggiacciono al principio di riserva di legge, per cui la loro indicazione è tassativa, essendo espressamente
previste dal codice penale e dalle leggi speciali. Nel loro computo non si tiene conto del tempo in cui il soggetto
sconta la pena o è sottoposto a misura di sicurezza. La l. 19/90 ha sancito che la sospensione condizionale della
pena si estende alle pene accessorie.
26
R e s t i t u z i o n e : consiste nel ripristino della situazione di fatto preesistente al reato e da esso modificata
(c.d. restitutio in integrum).
27
R i s a r c i m e n t o d e l d a n n o : rappresenta la riparazione del pregiudizio arrecato dal reato per
equivalente, cioè mediante la corresponsione di una somma di denaro; esso opera nei n casi in cui non sia più
possibile o non sia soddisfacente la restituzione.
28
R i c h i e s t a : consiste, al pari della querela e dell’istanza, in una manifestazione di volontà punitiva.
Formulata dalla pubblica autorità competente per legge, è condizione di sola promuovibilità (e non anche di
proseguibilità) dell’azione penale.

Ver.12-10-2016 23
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 il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione deve essere preveduto
come reato sia dalla legge italiana che da quella straniera (c.d. requisito della
d o p p i a i n c r i m i n a b i l i t à )29;
 non si deve trattare di reato per il quale le convenzioni internazionali facciano
espresso divieto di estradizione;
 l’estradando deve essere straniero; se la domanda di estradizione riguarda, al
contrario, un cittadino italiano, l’estradizione è ammessa solo nei casi
espressamente previsti dalle convenzioni internazionali.
3.2.5.3.2. Casi
in cui non è ammessa.
In ogni caso, comunque, l’estradizione non può essere concessa:
 per reati politici (artt. 10 4° co.30 e 26 Cost.31)32, dal novero dei quali è escluso il
delitto di genocidio;
 per motivi di razza, religione o nazionalità (L. n. 300/1963);
 per reati puniti all’estero con la pena di morte (ve sent. Cort. Cost. 27 giugno 1996,
n. 223);
3.2.5.4. Il
c.d. “principio di specialità” in tema di estradizione.
Per un principio generale dell’ordinamento internazione (principio che la dottrina chiama
“d i s p e c i a l i t à ” la richiesta di estradizione per determinati reati importa la preventiva
accettazione da parte dello Stato richiedente:
 dell’obbligo di n o n p r o c e s s a r e l’estradato per u n f a t t o a n t e r i o r e
e d i v e r s o da quello per il quale è stato chiesto l’estradizione;
 del dovere di n o n a s s o g g e t t a r e lo stesso ad p e n a d i v e r s a da quella
relativa al fatto per cui è stata concessa l’estradizione.
Il principio di specialità opera tanta nella estradizione attiva (art. 722 c.p.p.) quanto in
quella passiva (art. 699 c.p.p.).

29
Il c.p. non fa espressa menzione, invece, del c.d. p r i n c i p i o d i r e c i p r o c i t à – a cui si ispirano
diverse legislazioni che consiste nel subordinare la concessione dell’estradizione alla condizione di analogo
trattamento da parte dello Stato estero richiedente.
30
Art. 10 4° co. Cost.: “Non è ammessa l’estradizione per reati politici.”
31
Art. 26 Cost.: “L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle
convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per i reati politici”.
32
Ora il problema che si pone a riguardo è di stabilire se la nozione costituzionale del reato politico sia la stessa
che di esso fornisce l’art. 8, co. 2 c.p., e se, in tal caso le norme costituzionali contengano un mero rinvio (non
recettizio) alla formula della legge ordinaria o senz’altro la sua “costituzionalizzazione” (con la conseguente
necessità, in quest’ultimo caso, che si provveda con legge costituzionale alla ratifica di quelle convenzioni che
deroghino al divieto degli artt. 10 e 26 Cost.); o se, viceversa, dalla Carta costituzionale debba desumersi un
concetto diverso e autonomo del delitto politico. Nella opinione della dottrina più recente ai fini della
estradizione per reati politici (art. 10 e 26 Cost.) il concetto di delitto politico non coincide con quello delineato
dall’art. 8 co. 3 c.p.: la nozione costituzionale del delitto politico deve considerarsi autonoma. Nelle norme
costituzionali, infatti, il reato politico è posto a garanzia della persona umana, contro il pericolo di persecuzioni
politiche o processi discriminatori. Questa é la ratio del divieto costituzionale, in relazione allo scopo per cui é
stato posto. In tal senso l’art. 638 del nuovo c.p.p. ha ribadito il divieto di estradizione per i reati politici, in tutti
casi in cui ci sia fondato motivo di temere che l’imputato verrà sottoposto ad atti discriminatori per motivi di
razza, religione, nazionalità, lingua, opinioni politiche ovvero a pene o trattamenti disumani.

Ver.12-10-2016 24
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L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIO

Reati commessi sul territorio italiano Reati commessi sul territorio straniero

Da un cittadino Da uno Viene applicata la legge italiana in


italiano straniero queste ipotesi e a queste condizioni:

Viene applicata le legge


penale italiana, sempre che
non sussista una immunità

Reati indicati dall’art. 7 c.p. Reati politici previsti dall’art. 8 Delitti comuni, non
commessi sia dal cittadino c.p., commessi sia dal cittadino rientranti tra quelli
straniero che italiano. Si straniero che italiano. Si applica la previsti dagli artt. 7- 8
applica la legge italiana legge italiana a richiesta del
incondizionatamente Ministro della Giustizia

Commessi da un
cittadino (art. 9 c.p.)

Delitto per il quale la Delitto per il quale è Delitto commesso a


legge italiana stabilisce stabilita una pena danno delle Comunità
l’ergastolo, o la restrittiva della europee, di uno Stato
reclusione non inferiore libertà personale di straniero o di un
nel minimo a tre anni minore durata. cittadino straniero

Nel momento in cui


Nel momento in cui Nel momento in cui viene trovarsi sul
viene a trovarsi sul viene a trovarsi sul territorio italiano, è
territorio italiano, è territorio italiano, è punito con la legge
punito con la legge punito con la legge italiana, a richiesta del
italiana italiana, a richiesta Ministro della
del Ministro della Giustizia, a condizione
giustizia ovvero a che, l’estradizione di
istanza o a querela lui, non sia stata
della persona offesa concessa o accettata
dal Governo dello
Stato in cui ha
commesso il delitto

Ver.12-10-2016 25
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Commessi da uno straniero


(art. 10 c.p.)

Delitto a danno dello Stato o di un Delitto commesso a danno di uno Stato


cittadino, per il quale la legge estero o di uno straniero, per il quale
italiana stabilisce l’ergastolo, o la legge italiana stabilisce la pena
reclusione non inferiore nel dell’ergastolo ovvero della reclusione
minimo a un anno. non inferiore nel minimo a tre anni.

Nel momento in cui viene a trovarsi sul


Nel momento in cui viene a
territorio italiano, è punito con la legge
trovarsi nel territorio italiano, è
italiana, a richiesta del Ministro della
punito con la legge italiana,
giustizia, a condizione che l’estradizione
sempre che vi sia richiesta del
di lui non sia stata conceduta, ovvero non
Ministro della giustizia, ovvero
sia stata accettata dal Governo dello Stato
istanza o querela della persona
in cui egli ha commesso il delitto, o da
offesa.
quello dello Stato a cui egli appartiene.

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Manuale di Diritto Penale Introduzione alla dottrina del reato

Capitolo 4°
Introduzione alla dottrina del reato
4.1. Oggetto e funzione della teoria generale del reato.
La c.d. t e o r i a g e n e r a l e d e l r e a t o , o dottrina del reato, è quella parte della
scienza del diritto penale che mira ad individuare ed ordinare in forma sistematica gli
elementi che configurano, in via generale, la fisionomia del fatto penalmente rilevante.
Oggetto della teoria del reato è, in altre parole, il concetto giuridico del reato, inteso come
f a t t i s p e c i e a s t r a t t a e generale di esso: vale a dire quale enunciato logico che
scaturisce dal sistema normativo e che viene preliminarmente determinato, a livello teorico,
per indicare come deve essere definita la rilevanza giuridico-penale di un fatto (c o n c e t t o
d o m m a t i c o d e l r e a t o ).
4.2. Metodologie di costruzione del reato.
L’analisi del reato è stata storicamente condotta secondo metodologie differenti, a cui
corrisponde una differente prospettazione del concetto dommatico del reato. Attualmente, la
maggior parte della dottrina, si ispira a E. BEILING, la dove elabora un s c h e m a
tripartito del reato.
Il reato secondo il giurista tedesco è formato da tra elementi I) la tipicità; II)
l’antigiuridicità; III) e la colpevolezza. Ove manchi uno di essi, non si avrà reato.
4.2.1. Tipicità.
Per t i p i c i t à , si intende la c o n f o r m i t à d e l f a t t o a l l a f a t t i s p e c i e
a s t r a t t a d e l i n e a t a d a l l e g i s l a t o r e , all’interno da un norma incriminatrice di
parte speciale.
La conformità al tipo è il contrassegno caratteristico ed elementare del fatto penalmente
rilevante; essa, però, non esaurisce la struttura dell’illecito penale, poiché, da sola, non
implica necessariamente anche la contrarietà del fatto con l’ordinamento giuridico. Non
esistono, infatti, fattispecie “in sé” antigiuridiche, ma soltanto realizzazione antigiuridiche di
una fattispecie.
È possibile, ad esempio, che l’uccisione di un uomo (azione conforme a quella descritta
nell’art. 575 c.p.) sia avvenuta in condizioni tali da doverla considerare lecita, come avviene
per il fatto commesso in stato di legittima difesa (art. 52 c.p.).
Va inoltre rilevato che all’interno del fatto tipico si perviene ad una preliminare distinzione
tra f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a e f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a ; alla prima si
assegnano elementi di carattere materiale, alla seconda elementi di ordine psichico.
In ogni reato si riscontrano, infatti un fatto materiale costituti dal comportamento umano,
positivo o negativo, e dalle conseguenze da esso prodotto (elemento oggettivo) ed un
atteggiamento della volontà del soggetto che ha posto in essere il fatto materiale (elemento
soggettivo).

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Manuale di Diritto Penale Introduzione alla dottrina del reato

4.2.2. Antigiuridicità.
Pertanto, solo la verifica dell’assenza di particolari condizioni di liceità della condotta (c.d.
c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e ) , permette, in realtà, di affermarne la contrarietà con il
diritto oggettivo (a n t i g i u r i d i c i t à ), di cui la conformità al tipo costituisce soltanto un
indizio.
In altri termini l’esistenza dell’antigiuridicità, infatti è bensì “indiziata” dalla constatazione
del fatto tipico, ma può essere affermata solo quando sia accertata la mancanza di cause di
giustificazione. Da BEILING in poi, la moderna teoria del reato esprimerà l’idea
dell’antigiuridicità mediante il riferimento alla m a n c a n z a d i c a u s e d i
giustificazione.
In tale prospettiva si ha una separazione tra fatto tipico, inteso come o g g e t t o d e l l a
v a l u t a z i o n e , e antigiuridicità intesa come v a l u t a z i o n e d e l l ’ o g g e t t o . Ne deriva
una netta separazione tra elementi descrittivi della fattispecie e momenti valutativi della
stessa.
Tuttavia il concetto dell’antigiuridicità implica solo la presa d’atto che l’esistenza di una
lesione di beni che contrasti con il diritto obiettivo e, non ha nulla a che vedere con l’esistenza
dei presupposti per una incolpazione, vale a dire un giudizio di riprovevolezza nei confronti
dell’autore.
4.2.3. Colpevolezza
Infatti affinché si abbia reato è necessario la c o l p e v o l e z z a ossia la volontà
riprovevole del soggetto agente.
Il contenuto di quest’ultima categoria non appare, tuttavia, definito in modo uniforme,
nell’ambito della stessa concezione tripartita. Originariamente ad essa, infatti, si assegnava, il
contenuto psichico dell’azione (dolo, colpa); mentre nell’evoluzione della dottrina del reato,
ci si è andati progressivamente orientato verso il superamento di questa c o n c e z i o n e
“ p s i c o l o g i c a ” della colpevolezza, a favore di una c o n c e z i o n e n o r m a t i v a di
essa, nella cui prospettiva i l g i u d i z i o d i r i p r o v e v o l e z z a d e l l ’ a g e n t e
dipende essenzialmente dalla verifica dei presupposti di
m a t u r i t à e n o r m a l i t à p s i c h i c a (da cui la legge fa dipendere l’imputabilità del
soggetto: art. 85 ss. c.p.) e delle altre condizioni, normativamente richieste per la
rimproverabilità della condotta.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Capitolo 5°
La fattispecie oggettiva del fatto tipico
5.1. Gli elementi della fattispecie oggettiva.
Sono elementi della f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a : I) l’autore; II) il soggetto passivo;
III) l’oggetto materiale del reato; IV) la condotta; V) l’evento; VI) l’offesa; VII) nesso di
causalità tra la condotta e l’evento.
5.2. L’Autore o soggetto attivo del reato.
5.2.1. Generalità.
Ogni reato è frutto del comportamento umano, e quindi ogni reato presuppone
necessariamente un soggetto che lo compie detto appunto s o g g e t t o a t t i v o : esso nel
codice penale talvolta è denominato “reo”, altre “agente” o “colpevole”.
Tutte le persone fisiche possono essere soggetti attivi del reato: ogni persona cioè ha
c a p a c i t à p e n a l e , ossia l’attitudine a porre in essere comportamenti rilevanti, senza
distinzione di età, sesso o altre condizioni soggettive.
Ne consegue che l’età, le situazioni di anomalia psico-fisica e le immunità non escludono
l’illiceità penale, ma sono rilevanti solo ai fini della concreta applicabilità della pena1.
5.2.2. Le persone giuridiche come soggetti attivi di un reato.
Nel nostro ordinamento n o n è a m m e s s a l a r e s p o n s a b i l i t à p e n a l e
p e r s o n e g i u r i d i c h e : tale irresponsabilità penale viene desunta dal principio
costituzionale della personalità della responsabilità penale. Il principio trova conferma nella
previsione di una obbligazione civile di garanzia a carico della persona giuridica per i reati
commessi dagli organi dell’ente nell’esèrcizio delle loro funzioni.
Si pone, allora, il problema di individuare i soggetti penalmente responsabili per i reati
commessi nell’esercizio dell’attività di enti o imprese. La giurisprudenza ha elaborato vari
criteri individuando come soggetto obbligato all’osservanza della norma penale e quindi
penalmente responsabile:
 chi ha il potere o la rappresentanza dell’ente;
 l’amministratore o il soggetto preposto al singolo settore della organizzazione
aziendale su delega dell’imprenditore: la presenza di una persona delegata non
esclude però la responsabilità penale dell’imprenditore delegante che, nella sua
veste di capo dell’impresa, è sempre titolare di un dovere di controllo e di vigilanza
sul corretto funzionamento della organizzazione aziendale;
 chi è investito di funzioni che normalmente dipendono dalla qualità di
imprenditore.

1
In altri termini la qualità di “autore” è del tutto indipendente dal giudizio sulla colpevolezza del soggetto che
agisce e, in generale, dalla sua punibilità in concreto. Il minore non imputabile che sottrae un oggetto dal banco
di un supermercato o il figlio che ruba al padre (non punibile a norma dell’art. 649 c.p.) non per questo cessano
di essere “autori” del fatto tipico del furto; tanto è vero che tale loro qualità può rappresentare il punto di
riferimento per la punibilità o la maggiore punibilità di terzi che ne siano stati i complici e per l’esercizio di
un’azione civile per il risarcimento del danno.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.2.3. Distinzione dei reati in base al soggetto attivo.


Considerando come paramento di classificazione il soggetto attivo è possibile distinguere i
reati in comuni e propri.
5.2.3.1. Reati
comuni.
Sono r e a t i c o m u n i quelli che possono essere commessi da ogni persona,
indipendentemente da particolari caratteristiche soggettive. In tale ipotesi di regola la norma
fa riferimento a «chiunque»: es. “Chiunque cagiona la morte di un uomo” (omicidio: art. 575
c.p.).
5.2.3.2. Reati
propri.
In via generale sono r e a t i p r o p r i quei reati che possono essere commessi solo da
persone che rivestono particolari qualifiche giuridiche (pubblico ufficiale, imprenditore) o
particolare quali naturali (gestante). Tuttavia va specificati che i reati propri possono essere
“esclusivi” o “non esclusivi”.
5.2.3.2.1. Reati
propri esclusivi.
I r e a t i p r o p r i e s c l u s i v i sono quei reati che possono essere commessi solo ed
esclusivamente da una persona avente una determinata qualifica (il c.d. i n t r a n e u s ). La
stessa condotta posta in essere da un soggetto non avente quella determinata qualifica, è
penalmente irrilevante: si pensi alla falsa testimonianza (art. 372) il cui autore può essere solo
il testimone.
5.2.3.2.2. Reati
propri non esclusivi.
Sono r e a t i p r o p r i n o n e s c l u s i v i , i reati in cui il fatto è penalmente illecito
indipendentemente dalle qualità suo autore; tuttavia, quando a commetterli è un soggetto che
riveste una data qualifica, il reato stesso “muta titolo”, acquistando un nomen iuris ed una
gravità diversi dall’ipotesi comune2.
5.3. Il soggetto passivo del reato o persona offesa del reato.
Il s o g g e t t o p a s s i v o d e l r e a t o è la persona titolare del bene (o interesse) tutelato
dalla norma penale incriminatrice e leso dal reato3. Il codice parla di “p e r s o n a o f f e s a
d e l r e a t o ”4 (es.: soggetto passivo del delitto di furto è il proprietario della cosa rubata).

2
Si pensi al fatto di appropriarsi di denaro o cosa mobile altrui di cui già si abbia possesso: se a commetterlo è
un soggetto qualunque, il reato prende il nome di appropriazione indebita (art. 646); se a commetterlo è un
pubblico ufficiale o un incaricato do un pubblico servizio ed ha ad oggetto cose detenute per ragione dell’ufficio
o del servizio, il reato prende il nome di peculato (art. 314).
3
Soggetti passivi del reato possono essere sia persone fisiche, sia lo Stato (per es. nei delitti di cui agli artt. 241
ss. c.p.), la PA (artt. 315 ss. c.p.) o le persone giuridiche di diritto privato (ad es. società per azioni: art. 2621
c.c.); ma anche collettività non personificate (associazioni non riconosciute, fondazioni, partiti politici, ecc.).
4
La categoria del soggetto passivo concorre, come ogni altro elemento della fattispecie oggettivo–materiale, a
determinare il carattere tipico del fatto. Anche se, nella maggior parte dei reati, soggetto passivo può essere
“chiunque”, in non pochi casi le qualità personali del soggetto passivo sono determinanti, per stabilire l’esistenza
di un fatto tipico o per distinguere un fatto tipico dall’altro. La qualità di soggetto di età minore degli anni sedici,
non moralmente corrotto, è essenziale per il configurarsi della fattispecie oggettiva del reato di corruzione di
minorenne (art. 530 c.p.); quella di minore degli anni quattordici per la c.d. violenza carnale presunta (art. 519,
co. 2, n. 1); quella di donna minore degli anni diciotto per il fatto tipico della seduzione con promessa di
matrimonio (art. 526 c.p.); quella di donna non coniugata per il ratto a fine di matrimonio (art. 522 c.p.), ecc.; il
fatto tipico dell’oltraggio (art. 341 c.p.) si configura solo in quanto il soggetto passivo rivesta la qualità di
pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio; e così via.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.3.1. Distinzione con il soggetto passivo della condotta.


Occorre distinguere il soggetto passivo del reato dal s o g g e t t o p a s s i v o d e l l a
c o n d o t t a , cioè da colui su cui la condotta criminosa viene ad incidere immediatamente (e
che viene considerato, più propriamente, oggetto materiale della condotta, vedi infra).
Talvolta i due concetti coincidono: ad esempio, nell’omicidio il soggetto passivo è
l’ucciso, che è anche soggetto passivo della condotta. Invece, nel reato di automutilazione
fraudolenta per sottrarsi al servizio militare, soggetto passivo della condotta è lo stesso
soggetto attivo5, che si mutila, o si ferisce etc., per rendersi invalido alla leva, mentre soggetto
passivo del reato è lo Stato, titolare dell’interesse a che tutti i cittadini prestino il servizio
militare.
5.3.2. Distinzione con il danneggiato dal reato.
Occorre anche distinguere il soggetto passivo del reato dal d a n n e g g i a t o d a l
r e a t o 6, cioè da colui che dal reato ha subito un danno civilmente risarcibile, a n c h e
s e n z a e s s e r e t i t o l a r e d e l b e n e g i u r i d i c o p r o t e t t o 7.
Da parte sua il semplice danneggiato non ha alcun potere di querela, ma può solo esercitare
l’azione civile per ottenere il risarcimento dei danni. Ciò in quanto il diritto di querela (nei
casi di reati punibili a querela della persona offesa) spetta solo al soggetto passivo del reato.
5.3.3. Classificazione dei reati in base al soggetto passivo.
In base al soggetto passivo, i reati si distinguono in:
5.3.3.1. Reati
a soggetto passivo determinato.
Sono r e a t i a s o g g e t t o p a s s i v o d e t e r m i n a t o quei reati il cui interesse
offeso, appartiene a soggetti ben individuabili.
5.3.3.2. Reati
o soggetti passivo indeterminato o reati vaghi o vaganti.
Sono r e a t i o s o g g e t t i p a s s i v o i n d e t e r m i n a t o o r e a t i v a g h i
o v a g a n t i quei reati il cui interesse offeso appartiene ad una collettività indeterminata e
che pertanto offendono un numero indeterminato di individui (esempio: strage, naufragio,
etc.).
5.3.3.3. Reati
senza vittime.
Sono r e a t i s e n z a v i t t i m e , o s e n z a s o g g e t t o p a s s i v o quei reati nei quali
non è facile individuare un bene giuridico “afferrabile”. Ne sono esempio i reati contro la
“moralità pubblica” nonché i reati c.d. “o s t a t i v i ”, cioè quelli a pericolo presunto o
astratto, che incriminano atti che rappresentano solo il presupposto di una concreta
aggressione.

5
Ne risulta che il soggetto passivo della condotta può anche coincidere col soggetto attivo.
6
Si tenga presente che soggetto passivo e persona danneggiata dal reato possono coincidere (così nel delitto di
lesioni) o risultare distinte (ad esempio nel delitto di omicidio).
7
Es.: nell’omicidio, soggetto passivo è la vittima dell’azione omicida; danneggiati, invece sono gli stretti
congiunti.

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5.4. L’oggetto materiale dell’azione.


Concettualmente la nozione di soggetto passivo differisce da quella di o g g e t t o
m a t e r i a l e 8 del reato che indica la persona (e in questo caso si parla di soggetto passivo
della condotta) o la cosa su cui ricade materialmente l’azione delittuosa9.
5.4.1. Distinzione dall’oggetto giuridico del reato.
L’oggetto materiale dell’azione non va confuso con l’o g g e t t o g i u r i d i c o d e l
r e a t o . Quest’ultimo è il bene giuridico o l’interesse giuridico tutelato dalla norma che
prevede il reato stesso: ad esempio nel furto di un portafoglio oggetto materiale della condotta
è, appunto, il portafoglio, mentre oggetto giuridico è il patrimonio.
È opinione comune che, con l’entrata in vigore della Costituzione, l’individuazione dei
beni e degli interessi giuridici protetti dalle norme penali vada fatta con riferimento alla stessa
Costituzione. Avendo infatti il ricorso alla pena criminale natura di extrema ratio per il
legislatore, è necessario riservare tale ricorso solo ai fatti che offendono beni o interessi di
maggiore rilievo sociale, che sono solo quelli dotati di diretta rilevanza costituzionale o
socialmente considerati tali.
5.4.2. Distinzione dal corpo del reato
L’oggetto materiale del reato può coincidere con il c.d. “c o r p o d e l r e a t o ” nella cui
nozione legislativa rientrano “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso
nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”.
5.4.3. La classificazione dei reati in base all’oggetto giuridico.
In base all’oggetto giuridico si distingue tra reati monoffensivi e reati plurioffensivi.
5.4.3.1. Reati
monoffensivi.
Sono r e a t i m o n o f f e n s i v i , i reati che offendono un solo bene giuridico (ad esempio,
omicidio, lesioni, ingiuria, danneggiamento).
5.4.3.2. Reati
plurioffensivi.
Sono r e a t i p l u r i o f f e n s i v i , i reati che offendono contemporaneamente più beni
giuridici. Per esempio, l’autore della rapina (art. 628) aggredisce contemporaneamente il
patrimonio e la libertà morale del soggetto passivo.
5.5. La condotta.
Con il termine c o n d o t t a si indica il comportamento umano che costituisce reato, ossia a
quel comportamento che corrisponde, nelle sue esterne modalità di realizzazione, a quella
descritto da una norma incriminatrice speciale.

8
In concreto in taluni casi le due nozioni coincidono (nei delitti di omicidio e lesioni ad es), in altri rimangono
distinte (ad es. nella mutilazione fraudolenta della propria persona di cui all’art. 642 c.p., soggetto passivo è
l’ente assicuratore, mentre l’oggetto materiale è l’autore del reato).
9
L’utilità della nozione di oggetto materiale sta nel fatto che anche la natura e la qualità dell’oggetto concorre a
definire la tipicità del fatto, dal punto di vista oggettivo–materiale. Le fattispecie del furto (art. 624 c.p.) e
dell’appropriazione indebita (art. 646 c.p.) si realizzano solo se oggetto materiale dell’azione è il denaro o la
cosa mobile altrui; il danneggiamento (art. 635 c.p.) è invece una fattispecie che può avere per oggetto anche
cose immobili; i delitti di offesa alla religione mediante vilipendio di cose (artt. 404, 405 c.p.) sussistono solo se
il vilipendio cade su cose “che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate
necessariamente all’esercizio del culto”; e così via.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Perché via sia reato, come vedremo non è sufficiente che vi sia una condotta, ma non vi
può essere reato senza una condotta: il comportamento dell’uomo è cioè l’elemento
fondamentale, necessario, ma non sufficiente affinché ricorra l’ipotesi di reato.
La condotta tipica può consistere in un comportamento positivo, cioè in un “fare”
(a z i o n e i n s e n s o s t r e t t o ), ovvero in un comportamento negativo, cioè nel “non fare”
qualcosa (o m i s s i o n e ).
È bene evidenziare fin d’ora che affinché un’azione (omissiva o commissiva) possa
considerarsi come una condotta penalmente rilevante è necessario che la stessa sia retta da
coscienza e volontà (vedi par. 6.2.)
5.5.1. La classificazione dei reati in base alla condotta.
In base al tipo di condotta si operano diverse distinzioni.
5.5.1.1. Reato commissivo, omissivo e misto
5.5.1.1.1. Il reato commissivo o di azione.
I r e a t i c o m m i s s i v i o d i a z i o n e sono quei rati che richiedono per la loro
realizzazione una azione (es. furto, rapina).
Secondo l’opinione dominante in dottrina, perché vi sia azione occorre un movimento
corporeo dell’uomo (intendendosi per tale, anche la parola) che si concretizzi in atti
esternamente visibili e manifestati.
5.5.1.1.1.1. La
classificazione dei reati di azione in base al numero di atti in essi contenuti.
In base al numero di atti in essi contenuti in reati commissivi si distinguono in:
 r e a t i u n i s u s s i s t e n t i : sono reati nei quali la condotta tipica si esaurisce con
la realizzazione di un solo atto (es. omicidio con un colpo di pistola);
 r e a t i p l u r i s u s s i s t e n t i : reati in cui la condotta tipica per realizzarsi
abbisogna del compimento di una pluralità di atti (pensiamo alla preparazione ed
esecuzione di un attentato).
 r e a t i a c o n d o t t a p l u r i m a : sono quei reati caratterizzati dal fatto che la
norma incriminatrice prende in considerazione un ventaglio più o meno ampio di
comportamenti, ciascuno dei quali è ritenuto rilevante per il configurarsi della
fattispecie tipica. (es. art. 635 c.p.: “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o
rende, in tutto o in parte, ecc.”).
5.5.1.1.2. Il
reato omissivo.
Sono r e a t i o m i s s i v i quei reati che richiedono per la loro realizzazione
un’omissione (es. omissione di referto; omissione di atti di ufficio; omissione di soccorso
etc.).
I reati omissivi si distinguono in reati omissivi propri (o “di pura omissione”) e impropri (o
“commissivi mediante omissione”).
5.5.1.1.2.1. Nozione
ed essenza dell’omissione.
L’essenza del r e a t o o m i s s i v o , non è costituta dal semplice “non fare”, ma dal non
compiere un’azione (positiva) che si ci si attendeva.

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Questa precisazione segnala il c a r a t t e r e n o r m a t i v o d e l c o n c e t t o d i


o m i s s i o n e p e n a l m e n t e r i l e v a n t e : essa non può essere concepita e descritta se
non in relazione ad un comportamento attivo che l’autore era tenuto a realizzare (es.: colui
che investe il pedone e, successivamente, omette di soccorrerlo è responsabile del reato di
omissione di soccorso proprio perché la legge stabilisce l’obbligo per chi ha investito una
persona di fermarsi e prestare a questa l’assistenza necessaria; se mancasse la norma che
prevede tale obbligo, l’omissione di soccorso non costituirebbe reato).
In questo senza deve essere considerata tuttora valida la tradizionale connotazione del reato
omissione quale t r a s g r e s s i o n e d i u n c o m a n d o , piuttosto che di un divieto (com’è,
invece, caratteristico del reato commissivo).
5.5.1.1.2.2. Condizioni
affinché possa esserci una omissione penalmente rilevante.
Il giudizio sulla rilevanza penale di una condotta omissiva comporta la verifica di alcuni
presupposti essenziali.
 l a p o s s i b i l i t à d i c o m p i e r e l ’ a z i o n e o m e s s a : per affermare
l’esistenza di un’omissione penalmente rilevante deve potersi affermare,
innanzitutto, la possibilità di compiere l’azione omessa: sia in generale, cioè da
parte di chiunque si trovasse nella condizione dell’autore, sia individualmente, da
parte dello specifico autore dell’omissione10;
 e s i g i b i l i t à d e l l ’ a z i o n e : l’azione positiva che ci si attendeva
dall’autore deve poter essere concretamente pretesa; essa, quindi non deve essere
tale da esporre l’autore stesso, o altri, a rischi e pregiudizi non esigibili
(e s i g i b i l i t à d e l l ’ a z i o n e ).
I requisiti generali, appena descritti, di un’omissione penalmente rilevante devono,
naturalmente, essere inerenti a una c o n d o t t a d i o m i s s i o n e che sia t i p i c a : o per
essere conforme alla previsione espressa di un reato di omissione (proprio o improprio); o
perché tale da rientrare nello schema dell’equivalenza causale, di cui all’art. 40 c.p.
5.5.1.1.2.3. Reati
omissivi propri.
Nei r e a t i o m i s s i v i p r o p r i , a integrare la fattispecie legale del reato basta il
mancato compimento dell’azione doverosa, senza necessità che si realizzi un qualsiasi evento
naturalistico - vale a dire una modificazione del mondo esterno - come conseguenza della
condotta omissiva.
Perché sussista il reato, è sufficiente che, in presenza di determinati presupposti oggettivi
e/o soggettivi, l’autore obbligato ad agire si astenga dal compiere l’azione che era tenuto a
compiere.
Classici delitti di pura omissione, contenuti nel c.p., sono, fra gli altri, l’omissione di
soccorso (artt. 593 c.p.), l’omessa denuncia di reato (artt. 361-364 c.p.), l’omissione di referto

10
Omettere di lanciarsi in acqua per trarre in salvo un bagnante in pericolo non costituisce omissione di
soccorso, se per le condizioni del mare o per la distanza del bagnante dalla riva, manca ogni chance di effettuare
il salvataggio. D’altra parte, chi non sa nuotare, non può salvare una persona che rischia di annegare in alto mare.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

(art. 365 c.p.), l’omesso collocamento di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire
disastri o infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.)11.
5.5.1.1.2.4. Reati
omissivi impropri.
Sono r e a t i o m i s s i v i i m p r o p r i (o commissivi mediante omissione), invece, quelli
nei quali il soggetto ha causato, con la propria omissione, un dato evento (e per questo sono
reati di evento): tale è, ad esempio, il caso del cantoniere il quale, omettendo di manovrare
uno scambio, causa un disastro ferroviario (art. 430 e 449)
La norma che contiene la previsione generale dei r e a t i o m i s s i v i i m p r o p r i , è
l’a r t . 4 0 c o . 2 ° del codice penale che dispone: “non impedire un evento, che si ha
l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Dunque, il secondo comma dell’art. 40 pone una c l a u s o l a d i e q u i v a l e n z a t r a
i l n o n i m p e d i r e e d i l c a g i o n a r e , addossando un evento, posto in essere da altri o
da cause naturali, a quel soggetto cui la legge comandava di impedirlo.
In altri termini introduce un u l t e r i o r e criterio normativo di
i m p u t a z i o n e o g g e t t i v a , fondato (“per equivalenza”) sull’obbligo giuridico di
impedire l’evento.
Il secondo comma dell’articolo 40 svolge, in tale prospettiva, una f u n z i o n e
e s t e n s i v a , nel senso che, combinandosi con le norme di parte speciale che prevedono
ipotesi di reato commissivo, estende la punibilità al caso in cui l’evento sia stato cagionato
con una omissione12.
Una volta accertato che l’art. 40, 2° co., opera un’estensione della punibilità, sorge il
problema di stabilire se tale estensione costituisca regola generale o trova limiti.
In particolare non sono convertibili in reati omissivi impropri:
 i cd. r e a t i d i m a n o p r o p r i a (che presuppongono una condotta attiva a
carattere personale: es. incesto), nei quali i reo deve porre in essere positivamente il
comportamento che integra gli estremi del reato a mezzo della sua persona;
 i cd. r e a t i a b i t u a l i che presuppongono una certa condotta di vita sia frutto di
reiterazione di comportamenti positivi (es. maltrattamenti).
In generale la dottrina ritiene che non possono essere convertiti in fattispecie omissive
improprie quelle fattispecie la cui condotta è caratterizzata da note descrittive necessariamente
attinenti ad un comportamento positivo (es. furto con rapina)
Sono invece s u s c e t t i b i l i d i c o n v e r s i o n e i r e a t i c a u s a l m e n t e
o r i e n t a t i o a forma libera (vedi infra), per la cui consistenza basta che una condotta sia
causale, cioè idonea a cagionare l’evento tipico.

11
Dal punto di vista della struttura del fatto, i reati omissivi propri sono, per definizione, reati c.d. di p u r a
c o n d o t t a (cioè senza evento materiale); dal punto di vista dell’offesa, vanno inquadrati nella categoria dei
reati di pericolo presunto.
12
Cosi, ad esempio, dal combinato disposto dell’art. 515 con l’art. 40 2° co., deriva che risponde di omicidio non
solo chi con una azione cagioni la morte di una persona, ma anche chi, avendo l’obbligo di impedire che quella
data persona morisse, non l’ha fatto (esempio: l’infermiere che doveva praticare un’iniezione e non l’ha fatto,
facendo così morire il paziente affidato alle sue cure).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.5.1.1.2.5. Le
fonti dell’obbligo giuridico di impedire l’evento ed i soggetti obbligati.
Il presupposto fondamentale della responsabilità omissiva (sia propria che impropria)
risiede nel fatto che l’ordinamento pone a carico di un soggetto una “f u n z i o n e d i
g a r a n z i a 13” del bene oggetto di tutela, funzione da cui discende l’obbligo di agire che resta
inadempiuto.
Posto che nel reato omissivo proprio fonte del dovere di agire è solo la legge penale che
consente, quindi, di individuare agevolmente i soggetti tenuti, il problema assume pratica
rilevanza nel reato omissivo improprio.
Al proposito la dottrina tradizionale individuava quali fonti dell’obbligo giuridico di
impedire l’evento: I) la legge; II) il contratto; III) un ordine dell’autorità giudiziaria (sentenza,
ordinanza); IV) una precedente attività, pericolosa ma lecita, svolta dal soggetto (uso di
macchine pericolose. Attività lavorativa pericolosa etc.); V) la consuetudine; VI) la volontaria
assunzione (c.d. negotorium gestio).
5.5.1.1.3. Il reato misto o a condotta mista.
Sono r e a t i m i s t i o a c o n d o t t a m i s t a quei reati che richiedono per la loro
realizzazione, cumulativamente, sia un azione che un’omissione (es. reato di insolvenza
fraudolenta).
5.5.1.2. Reati
a forma vincolata e a forma aperta.
Pur nel rispetto del principio di tassatività si distingue tra fattispecie a forma vincolata e
fattispecie a forma aperta.
Sono r e a t i a f o r m a a p e r t a o l i b e r a ( o casualmente orientati), quelli in cui la
condotta è incriminata indipendentemente dalle specifiche modalità in cui essa è compiuta ad
es.: l’art. 575 c.p. punisce chiunque cagiona la morte di un uomo.
Sono r e a t i a f o r m a v i n c o l a t a , quelli in cui la condotta è incriminata solo in
presenza di determinate modalità ad es: l’art. 438 c.p. incrimina chiunque cagiona
un’epidemia mediante diffusione di germi patogeni.
5.5.1.3. Reati
abituali.
I r e a t i a b i t u a l i ( o a c o n d o t t a p l u r i m a ) sono reati generati dall’insieme di
più condotte reiterate nel tempo, le quali prese singolarmente, o non costituiscono reato (c.d.
reati abituali p r o p r i ) o costituiscono un reato diverso (c.d. reati abituali i m p r o p r i ). Un
esempio tipico è il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572).
5.6. L’evento.
Un ulteriore elemento della fattispecie oggettiva, è l’e v e n t o . Nella maggior parte dei
casi, infatti, la legge penale non si limita a descrivere l’azione o l’omissione vietata; ma
contiene, altresì, il riferimento espresso ad un accadimento, configurato come modificazione
della realtà esterna preesistente, che consegue alla condotta dell’autore.

13
Le posizioni di garanzia possono essere: I) or i g i n a r i e : nascono in capo al garante in virtù di una sua
particolare qualità (ad esempio i genitori hanno l’obbligo di garantire l’incolumità dei figli minori): II)
de r i v a t e : nascono in capo al garante a seguito di un trasferimento per contratto da parte del garante originale
(la baby setter subentra per contratto nella posizione di garanzia che era dei genitori).

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A riguardo bisogna operare una distinzione tra “offesa” e “evento”: per offesa si dovrebbe
intendere la lesione o messa in pericolo del bene protetto, quale requisito essenziale del fatto,
sostanzialmente coincidente con l’intero suo contenuto di disvalore; mentre alla nozione di
evento dovrebbe riservarsi un significato più ristretto, sostanzialmente coincidente con quella
dell’evento in senso naturalistico.
L’offesa, quindi, sarebbe presente in qualsiasi reato, ivi compresi quelle c.d. di pura
condotta,; l’evento, invece, sarebbe presente solo in quelle fattispecie in cui esso appare
isolabile dalla condotta, in quanto modificazione del mondo esterno sensibile.
5.6.1. Classificazione dei reati in base all’evento.
A secondo se l’evento sia previsto o meno come elemento costitutivo della fattispecie
legale, sia parla di reati di evento e reati di condotta.
5.6.1.1. I reati
di evento (cd. reati eventi materiali).
I reati in rapporto ai quali la legge penale descrive, quale elemento costitutivo della
fattispecie legale, un determinato accadimento naturalistico (corrispondente, cioè, ad una
modificazione della c.d. “realtà sensibile”), ben distinto dalla condotta, anche se individuabile
come sua conseguenza, si dicono comunemente r e a t i d i e v e n t o (rectius: reati con
evento naturalistico o, più genericamente, con evento in senso materiale). Caratteristico reato
con evento naturalistico è l’omicidio.
5.6.1.2. I reati
di pura condotta (cd. reati formali).
I reati la cui fattispecie legale si esaurisce nella descrizione del comportamento
incriminato, così da non consentire l’identificazione di un accadimento di tipo naturalistico,
che si possa isolare dalla condotta e distinguere da essa, come sua conseguenza, vengono
invece tradizionalmente definiti r e a t i d i p u r a c o n d o t t a ; e vengono distinti in r e a t i
d i p u r a a z i o n e e r e a t i d i p u r a o m i s s i o n e , a seconda che la condotta
incriminata consista in un fare o in un non fare (omettere).
Reato di pura azione, nel senso accennato è, il falso giuramento in giudizio civile (art. 371
c.p.). Reato di pura omissione è l’omissione di denuncia di reato (artt. 361 e 362 c.p.) da parte
di un p.u. o di un incaricato di p.s.
5.7. Il danno penale o offesa.
5.7.1. Generalità.
Il “d a n n o p e n a l e 14” prodotto dal reato consiste nell’o f f e s a d e l b e n e
g i u r i d i c o t u t e l a t o . Tale offesa costituisce per così dire l’”e v e n t o g i u r i d i c o ”
(che si distingue dall’evento materiale che proprio dei soli reati di evento), che come
evidenziato in precedenza e proprio di ogni reato anche di quelli di pura condotta.
L’offesa arrecata dal reato può assumere due forme: l e s i o n e o m e s s a i n
p e r i c o l o , a seconda che sia realmente leso il bene tutelato (es. omicidio consumato: la

14
Dal danno penale va distinto il d a n n o c i v i l e (materiale o morale) cioè il danno risarcibile secondo le
disposizioni degli artt. 2043 e ss. cod. civ. Mentre può esservi reato senza danno civilmente risarcibile (ad es.
coloro che formano un’associazione a delinquere, commettono il reato ex art. 416 c.p., ma non recano alcun
danno civilmente risarcibile ad alcuno), viceversa non può esistere un reato senza danno penale (o criminale),
cioè senza offesa ad un bene giuridico.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

persona è stata uccisa e il bene «vita» é stato distrutto), oppure sia stato solo minacciato (es.
omicidio tentato: si è cercato di uccidere una persona senza riuscirvi; il bene «vita» è stato
messo solo in pericolo, ma non è stato leso).
5.7.2. Classificazione dei reati in base al danno.
A secondo se il danno sia previsto o meno come elemento costitutivo della fattispecie
legale, sia parla di reati di danno e reati di pericolo15.
5.7.2.1. Reati
di danno.
Sono r e a t i d i d a n n o quei reati che richiedono per il loro perfezionarsi l’effettiva
lesione o distruzione del bene giuridico protetto (ad es, l’omicidio).
5.7.2.2. Reati
di pericolo.
Sono r e a t i d i p e r i c o l o quei reati che per il loro perfezionarsi richiedono la
semplice messa in pericolo del bene tutelato. L’effettiva lesione del bene è in questa ipotesi
solo potenziale.
Nell’ambito dei reati di pericolo si distingue tradizionalmente fra reati di pericolo concreto
e reati di pericolo astratto.
5.7.2.2.1. I
reati di pericolo concreto od offensivo.
Sono r e a t i d i p e r i c o l o c o n c r e t o o d o f f e n s i v o , quei reati nei quali i l
pericolo é elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice ,
ed il giudice deve accertarne di volta in volta l’esistenza in concreto.
Ad esempio la circostanza che siano posti dei grossi massi sui binari di una linea
ferroviaria pochi minuti prima del passaggio di un convoglio, può costituire, la base di fatto
per il giudizio di pericolo richiesto dall’art. 432 c.p., che punisce la condotta di chi “pone in
pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti, per terra, per acqua e per aria”.
5.7.2.2.2. I
reati di pericolo astratto o presunto o anche ostativi.
Sono r e a t i d i p e r i c o l o a s t r a t t o o p r e s u n t o , nei quali il legislatore
incrimina atti che rappresentano solo il p r e s u p p o s t o d i u n a c o n c r e t a
aggressione.
In altri termini con i reati di pericolo astratto il legislatore incrimina un condotta
presumendone la pericolosità non essendo necessaria, per l’esistenza del reato, la sua concreta
sussistenza (es.; l’associazione per delinquere ex art. 416).
5.8. Il nesso di causalità fra condotta ed evento.
L’a r t . 4 0 , c o . 1 ° , c . p . , stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r
un fatto preveduto come reato dalla legge, se l ’evento dannoso
o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è
c o n s e g u e n z a d e l l a s u a a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.
Da ciò si evince, che affinché l’evento - e l’offesa che vi si connette - possa essere
attribuito sul piano oggettivo a un determinato autore, è necessario che fra la condotta e
l’evento sussista un r a p p o r t o d i c a u s a a d e f f e t t o 16.
15
Più precisamente in coerenza con l’assunto che la lesione o la messa in pericolo del bene protetto dalla norma
sia un requisito immancabile al fatto tipico (e che quindi sotto questo profilo, non esistono reati senza evento) si
dovrebbe parlare di r e a t i c o n e v e n t o d i d a n n o e di r e a t i c o n e v e n t o d i p e r i c o l o .

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Per “r a p p o r t o d i c a u s a l i t à ” si intende quindi il nucleo dei principi essenziali,


sulla cui base si decide dell’attribuzione di un determinato evento a un determinata condotta
(c.d. i m p u t a z i o n e o g g e t t i v a ).
Ma quando una condotta è causa di un evento? Per rispondere a tale domanda la dottrina ha
elaborate diverse dottrine, delle quali quelle più screditata risulta essere la t e o r i a d e l l a
sussunzione del rapporto causale sotto leggi scientifiche.
Secondo tale teoria, il nesso da causalità tra un data condotta e un dato evento si accerta
stabilendo che.
 in base al procedimento logico controfattuale quella condotta non possa essere
eliminata senza che l’evento venga meno; essa è cioè, condicio sine qua non”
dell’evento stesso;
 l’evento costituisca conseguenza di quella condotta secondo una legge scientifica, e
cioè secondo la migliore scienza ed esperienza del momento, che può coincidere
anche con le conoscenze di un solo uomo17.

16
Il nesso di causalità fra condotta ed evento può atteggiarsi non solo nei termini propri di un processo della
realtà naturale, o comunque percepibile con i sensi, e verificabile in via sperimentale; ma altresì come rapporto
di conseguenzialità fra una determinata condotta (che possiamo genericamente definire come antecedente
causale) e un determinato evento lesivo, la cui qualificazione come conseguenza può essere stabilita soltanto
sulla base di un carattere di “regolarità”, desunto da massime di esperienza che poco hanno a che vedere con le
leggi scientifiche che presiedono all’evoluzione della c.d. realtà naturale (imputazione oggettiva del reato). Ad es
il reato della truffa (art. 640) si realizza in presenza di “artifizi e raggiri” posti in essere con il fine di “indurre in
errore” taluno, e con l’effetti di “procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”.
17
Il riferimento all’evento verificatosi «hic et nunc» consente di risolvere adeguatamente casi particolari, come
quelli della cd. causalità alternativa ipotetica e della cd. causalità addizionale che, se risolti alla stregua della
teoria della equivalenza, porterebbero a soluzioni inaccettabili. Esaminiamo un caso di causalità alternativa
ipotetica: Tizio spara a Caio, uccidendolo, un istante prima che un fulmine lo colpisca; applicando la teoria della
«conditio sine qua non», se noi eliminiamo mentalmente il colpo di pistola di Tizio, Caio muore lo stesso, perché
di lì ad un istante lo incenerirà un fulmine: Tizio, dunque, non è causa della morte di Caio. In realtà, ciò che
rileva è l’evento concreto, così come si è verificato «hic et nunc» e, quindi, non già «morte di Caio», bensì,
«morte di Caio per colpo di pistola» e rispetto a tale evento è innegabile la causalità della condotta di Tizio. Ai
fini dell’accertamento del nesso causale, quindi, non hanno alcun rilievo le cd. cause alternative ipotetiche le
quali, appunto perché ipotetiche, non hanno mai operato e, quindi, non vanno prese in considerazione. Per
quanto riguarda il caso delle cause addizionali sono possibili due ipotesi, e cioè che le due cause hanno agito
cumulandosi (cd. causalità cumulativa) o che le due cause hanno agito insieme ma ciascuna era idonea a
cagionare l’evento (cd. doppia causalità). Costituisce ipotesi di causalità cumulativa il caso di Tizio e Caio che,
l’uno, all’insaputa dell’altro, propinano a Sempronio ciascuno dieci gocce di un veleno che è letale quando si
raggiunge la dose di venti gocce; morto Sempronio, potranno Tizio e Caio esser ritenuti causa dell’evento? Qui
la soluzione è semplice: in realtà in questo caso l’eliminazione mentale va operata con riferimento ad entrambe
le condizioni, perché le stesse hanno operato sommandosi, per cui entrambe hanno efficacia causale. Vediamo
invece l’ipotesi della cd. doppia causalità: Tizio e Caio, sempre all’insaputa l’uno dell’altro, propinano a
Sempronio ciascuno venti gocce di veleno, per cui ognuno compie un’azione di per sé idonea a cagionare la
morte di Sempronio. Applicando la teoria condizionalistica nella sua formulazione originaria si arriverebbe a
risultati paradossali: Tizio e Caio, infatti, ben potrebbero scagionarsi l’un l’altro, sostenendo ciascuno che la
propria condotta non è causale in quanto l’evento si sarebbe verificato ugualmente, per cui della morte di
Sempronio nessuno risponderebbe. In realtà, in questo caso, se si è esclusa l’ipotesi che una della due dosi ha
agito prima (in tal caso, infatti, solo essa avrebbe efficacia causale, ponendosi l’altra come causa alternativa
ipotetica e, perciò, irrilevante), tutte e due devono rispondere della morte di Sempronio: l’evento da considerare
verificatosi «hic et nunc», infatti, è «morte di Sempronio per l’effetto di quaranta gocce di veleno» e rispetto a
tale evento la condotta di Tizio e quella di Caio non possono non essere pensate cumulativamente senza che
l’evento venga a mancare.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.8.1.1. Il
rapporto di causalità nei reati omissivi propri.
L’omissione, non essendo un elemento della realtà empirica, impedisce l’applicazione
delle normali regole inerenti alla verifica del nesso causale tra condotta ed evento proprio dei
reati di azione.
Ciò che va tenuto presente, allora, è l’azione dovuta che non è stata tenuta dall’agente; più
in particolare, occorre formulare un giudizio i p o t e t i c o o p r o g n o s t i c o teso a
verificare se in presenza dell’azione doverosa l’evento non si sarebbe verificato. Così
ragionando, l’omissione sarà causa dell’evento quando non può essere mentalmente sostituita
con l’azione dovuta senza che l’evento venga meno.
Trattandosi di un giudizio ipotetico la formula della “condicio sine qua non” non potrà
fornire certezze. In sostanza, nei reati omissivi improprio il nesso di causalità finisce col
configurarsi come una s t r u t t u r a p r o b a b i l i s t i c a .
5.8.2. Il concorso di cause colpose indipendenti.
5.8.2.1. Nozione.
Si ha c o n c o r s o d i c a u s e c o l p o s e (dette anche fattori colposi)
i n d i p e n d e n t i ogni qualvolta un determinato evento si verifica per effetto di più cause
dovute al comportamento di due o più soggetti, le quali, ancorché materialmente collegate,
sono tuttavia indipendenti l’una dall’altra e possiedono tutte efficienza causale rispetto
l’evento.
5.8.2.2. La disciplina
prevista dall’art. 41.
5.8.2.2.1. Prima comma.: principio di equivalenza delle cause.
L’art. 41 c.p. stabilisce al primo comma “I l c o n c o r s o d i c a u s e
preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se
indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non
esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione
e l’evento”
Il comma 1 sancisce il principio dell’equivalenza delle cause, sicché quando l’agente ha
posto in essere una condotta che ha efficacia causale per produrre un evento, l’imputazione a
lui del fatto non è esclusa dall’intervento dell’operatività di altri fattori causali (antecedenti,
concomitanti, successivi).
Sicché, ad esempio, nel caso di morte di un pedone conseguente ad un investimento
automobilistico, la responsabilità del conducente del veicolo non è esclusa dal fatto che la
vittima era di salute malferma (causa preesistente) e che i sanitari hanno commesso errori
nella cura successiva all’investimento (causa sopravvenuta).
5.8.2.2.2. Secondo
comma.
Il principio per il quale il concorso di cause estranee all’operato dell’agente (siano esse
antecedenti, concomitanti o successive) non esclude il rapporto di causalità trova
temperamento nel comma 2 dell’art. 41, il quale afferma che “L e c a u s e
sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando
sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”

Ver.12-10-2016 40
Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Quando la causa sopravvenuta18 (ed estranea) rispetto al fatto dell’agente è idonea da sola a
determinare l’evento, il soggetto non ne risponderà in quanto, in caso contrario, verrebbe leso
il principio della personalità della responsabilità penale sancita dall’art. 27 Cost.
Così, ad esempio, nel caso in cui il conducente di un veicolo investa un pedone
cagionandogli la frattura di un piede, e questi, accompagnato all’ospedale a bordo del veicolo
di un amico, patisce un grave incidente a seguito del quale decede, l’evento letale non potrà
ritenersi collegato casualmente alla condotta del primo conducente, in quanto il secondo
sinistro (causa sopravvenuta) è stato da solo idoneo a produrre la morte.
Sicché, in tal caso, può dirsi che il primo investimento non è causa della morte, bensì
occasione per lo svilupparsi di un altro separato e diverso processo causale dell’evento.
La dottrina e la giurisprudenza dominanti hanno precisato, pertanto, che in tema di
rapporto di causalità, la causa da sola sufficiente a determinare l’evento è quella che, non
soltanto appartiene ad una serie causale completamente autonoma rispetto a quella posta in
essere con la condotta dell’agente, ma anche quella che, pur inserendosi nella serie causale
dipendente dalla condotta dell’agente, opera per esclusiva forza propria nella determinazione
dell’evento, sicché la condotta dell’agente, pur costituendo un precedente necessario per
l’efficacia della causa sopravvenuta, assume rispetto all’evento stesso non il ruolo di fattore
causale, ma di semplice occasione.
Sempre il secondo comma dell’art. 41 afferma che “I n t a l c a s o , s e l ’ a z i o n e
od omissione precedentemente commessa costituisce per
s é u n r e a t o , s i a p p l i c a l a p e n a p e r q u e s t o s t a b i l i t a ”.
Dunque, tornando all’esempio esposto in precedenza, il conducente pur non rispondendo di
omicidio colposo per l’operatività della prima parte del comma 2 dell’art. 41, ben potrà essere
chiamato a rispondere di lesioni colpose (nell’esempio: per la frattura provocata al piede).
5.8.2.2.3. Terzo
comma.
Il terzo comma dell’art. 41 afferma che “Le disposizioni precedenti si applicano anche
quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
Tale comma chiarisce che le regole dettate dall’art. 41 (principio di eguaglianza delle
cause: comma 1; limite di operatività del principio: comma 2) trovano applicazione non solo
quando le cause antecedenti, concomitanti o sopravvenute siano circostanze naturali o
fortuite, ma anche quando si tratti di comportamenti illeciti di altri soggetti.
Nell’esempio riportato nel primo esempio, la precedente malattia della vittima è un fatto
antecedente naturale, mentre l’errore terapeutico dei medici è un fatto illecito altrui
sopravvenuto.

18
La disciplina del comma 2 è dettata espressamente solo con riferimento alle «cause sopravvenute». Secondo
taluni, in via analogica, gli stessi principi dovrebbero applicarsi per l’ipotesi di cause concomitanti od
antecedenti.

Ver.12-10-2016 41
Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

5.9. Classificazioni di reati.


5.9.1. Delitti e contravvenzioni.
L’art. 39 del c.p. vigente distingue i reati in delitti e contravvenzioni. Sono “d e l i t t i ” i
fatti costituenti reato, per i quali la legge stabilisce le pene dell’ergastolo, della reclusione o
della multa.
Sono “c o n t r a v v e n z i o n i ” quei fatti costituenti reato, per i quali è dalla legge
comminata la pena dell’arresto ovvero quella dell’ammenda (art. 17 c.p.).
5.9.1.1. Criteriodi distinzione.
Non esiste altro criterio, che non sia quello del riferimento alla pena prevista dalla legge,
per stabilire se ci si trovi di fronte a un delitto o a una contravvenzione.
In linea meramente tendenziale, si può dire, tuttavia, che la scelta dell’incriminazione a
titolo contravvenzionale sia riservata agli illeciti caratterizzati: a) dall’inosservanza di norme a
carattere prevenzionistico cautelare; b) dall’inosservanza di norme concernenti la disciplina di
attività soggette ad un potere amministrativo.
5.9.1.2. Alcune differenze didisciplina.
La distinzione tra delitti e contravvenzioni, da farse in base alla pena stabilita, comporta
varie differenze di disciplina stabilite dalla legge stessa:
 quanto all’elemento psicologico, salvo che la legge espressamente preveda una
contravvenzione dolosa (es.: art. 660 molestia o disturbo delle persone), tutte le
contravvenzioni sono punibili, sia se commesse con dolo, sia se commesse con
colpa (artt. 42- 43 ult. comma. c.p.);
 il tentativo (art. 56) è ammesso solo per i delitti;
 alcune circostanze del reato sono previste soltanto per i delitti (es. art. 61 n. 3, 7,
8,);
 i reati commesso all’estero e punibili nel territorio dello Stato, salva l’eccezione
dell’art. 7 n. 5, sono soltanto delitti;
 il reato politico e solo sempre un delitto (art. 8).
5.9.2. Distinzione dei reati in base al momento della consumazione.
In base al “m o m e n t o c o n s u m a t i v i d e l r e a t o ” , cioè in base al momento in cui
il reato si perfezione, si distingue tra reati istantanei e reati permanenti.
5.9.2.1. Concettodi consumazione del reato.
Un reato si dice “c o n s u m a t o ” quando sono stati realizzati tutti gli estremi descritti
dalla norma incriminatrice che lo prevede, compreso l’evento che incorpora, per così dire, la
lesione del bene protetto; e, quando si tratti di reati c.d. di mera condotta (cioè privi di evento
in senso naturalistico), quando si stata realizzata la condotta per intero la condotta incriminata.
5.9.2.2. Reati
istantanei.
Sono r e a t i i s t a n t a n e i quei reati, la cui realizzazione del fatto tipico, integra ed
esaurisce l’offesa, in quanto la lesione del bene protetto non può persistere nel tempo (es. art.
575 omicidio).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie oggettiva del fatto tipico

Pertanto tutto ciò che avviene dopo la consumazione del rato può avere rilevanza solo ai
fini della sua punibilità in concreto, o nella sfera degli effetti giuridici di natura extrapenale,
ma non altera la fisionomia, ormai compiuta, della fattispecie oggettiva.
5.9.2.3. Reati
permanenti.
Si parla di r e a t i p e r m a n e n t i quando il momento del perfezionamento del reato non
segna l’esaurimento della fattispecie, ma solo l’inizio di una fase di consumazione del reato
stesso, destinata a protrarsi per un certo tempo (es. art. 605 sequestro di persona).
In altri termini il reato permanente è contrassegnato dal perdurare nel tempo della lesione
di un bene giuridico, per effetto di una corrispondente condotta dell’autore.
Tale tipi di reati sono ipotizzabili solo in relazione a quei beni che è possibile comprimere
(ad es. libertà individuale).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

Capitolo 6°
L a f a tt is p e ci e so g ge t ti v a de l re a t o
6.1. Nozione.
Alla f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a del fatto tipico appartiene l’intero c o n t e n u t o
p s i c h i c o dell’azione od omissione che presenti i requisiti oggettivi di una condotta tipica.
6.1.1. Disciplina codicistica.
La disciplina codicistica della fattispecie soggettiva e contenuta negli artt. 42 e 43 cp.
6.1.1.1. L’art.
42.
In particolare l’art. 42 c.p. enuncia le regole generali, in base a cui un fatto “preveduto
dalla legge come reato” (rectius: oggettivamente tipico) può essere attribuito a un determinato
soggetto quale autore.
Questa disposizione definisce, cioè, i c r i t e r i p e r l a i m p u t a z i o n e
s o g g e t t i v a del fatto tipico: vale a dire i criteri, alla cui stregua si decide dell’attribuibilità
di un fatto penalmente rilevante a un determinato autore, al quale esso possa già attribuirsi,
dal punto di vista dei criteri della imputazione oggettiva.
6.1.1.2. L’art.
43
L’art. 43 c.p. contiene la nozione di delitto doloso, preterintenzionale e colposo. In altri
termini l’art. 43 stabilisce quali specie di atteggiamento psichico siano rilevanti per il
configurarsi della condotta tipica e ne descrive separatamente la struttura e il rapporto con gli
elementi della fattispecie oggettiva.
6.2. La coscienza e volontà dell’azione e dell’omissione come requisito generale della
condotta rilevante.
Il primo requisito di ordine psichico, che la legge richiede per il configurarsi di un fatto
penalmente rilevante è costituito dalla c.d. “ c o s c i e n z a e v o l o n t à ” dell’azione e
dell’omissione (c.d. s u i t a s ).
L’art. 42, co. 1°, c.p., infatti, stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o p e r
un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se
n o n l ’ h a c o m m e s s a c o n c o s c i e n z a e v o l o n t à ”.
Secondo la nostra legge, in altre parole, è suscettibile di una valutazione in termini di
tipicità, antigiuridicità, colpevolezza, soltanto la condotta (oggettivamente tipica) che sia
sorretta dalla volontà e assistita dalla consapevolezza del proprio operare nel mondo esterno.
Non sono “azione”, dunque, nel senso del diritto penale, i movimenti che si compiono
durante il sonno, le parole pronunciate sotto l’effetto della narcosi durante un intervento
chirurgico ecc1.

1
È ora possibile comprendere la d i f f e r e n z a c h e i n t e r c o r r e f r a l a c o s c i e n z a e l a
v o l o n t à d e l l ’ a z i o n e e d e l l ’ o m i s s i o n e prevista dall’art. 42, comma 1, e l a
c a p a c i t à d i i n t e n d e r e e d i v o l e r e di cui all’art. 85 c.p.. Secondo la prevalente dottrina,
l’art. 42 prevede un requisito essenziale dell’azione perché possa considerarsi come condotta, mentre l’art. 85 si
riferisce alla capacità di intendere e di volere del soggetto, inteso come capacità del soggetto di valutare le azioni

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

A riguardo va precisato che in relazione al reato omissivo, ovviamente, la coscienza e la


volontà non va riferita all’omissione, ma al comportamento che il soggetto ha tenuto nel
momento in cui doveva adempiere all’obbligo: se tale comportamento è cosciente e
volontario, lo sarà anche l’omissione; analogamente accadrà se il comportamento è
incosciente e involontario.
Non può pertanto ritenersi cosciente e volontaria l’omissione di chi era svenuto o in coma:
non risponderà di omissione di soccorso la persona cha alla vista del ferito insanguinato, sia
svenuta e sia rimasta in stato di incoscienza fino all’arrivo di un nuovo soccorritore.
6.3. La fattispecie de reati dolosi.
6.3.1. Il dolo come forma tipica della volontà colpevole.
Il dolo costituisce la f o r m a t i p i c a d e l l a v o l o n t à c o l p e v o l e , in quanto nel
silenzio del legislatore, i delitti previsti e puniti nella parte speciale del c.p. sono dolosi.
Tanto è vero che il 2°co. dell’art. 42 c.p. stabilisce: “N e s s u n o p u ò e s s e r e p u n i t o
per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l ’ha
commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o
c o l p o s o e s p r e s s a m e n t e p r e v e d u t i d a l l a l e g g e ”.
Da qui ricaviamo la regola secondo la quale generalmente i l f a t t o t i p i c o v i e n e
s e m p r e i n t e s o c o m e d o l o s o dalla legge, mentre può essere preterintenzionale o
colposo solo quando detto esplicitamente.
6.3.2. Nozione di delitto doloso (art. 43 1° co. c.p.).
Del dolo nel nostro ordinamento si occupa in particolare l’a r t . 4 3 c . p . 1 ° c o . per il
quale “I l d e l i t t o è d o l o s o , o s e c o n d o l ’ i n t e n z i o n e , q u a n d o
l’evento dannoso o pericoloso che è il risultato dell’azione o
dell’omissione da cui la legge fa dipendere l’esistenza del
delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza
d e l l a p r o p r i a a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.
6.3.3. Ratio.
Con l’incriminazione del reato doloso di azione, la legge vieta la realizzazione finalistica,
con determinate modalità, di eventi socialmente indesiderati, corrispondenti alla lesione di
beni giuridici penalmente tutelati: la legge vieta, cioè, di volere (nel senso dell’art. 43 c.p.)
determinate condotte, in quanto antecedenti causali di determinate lesioni di beni.
6.3.4. Struttura
Dalla definizione del dolo contenuta nel 1° comma dell’art. 43 c.p. si evince la natura
complessa della sua struttura nell’ambito della quale si riscontrano:
 un m o m e n t o i n t e l l e t t i v o : in quanto è necessario che l’autore si sia
prefigurato anticipatamente un determinato evento (corrispondente a quello
tipizzato nella norma incriminatrice) quale possibile conseguenza di una
determinata condotta;

che compie: capacità che manca alla persona inferma di mente, si essa sveglia o dormiente, mentre non manca
alla persona sana di mente anche se dorme.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

 un m o m e n t o v o l i t i v o : in quanto è necessario che l’autore abbia


consapevolmente agito sulla base delle sue personali conoscenze ed esperienze, in
modo tale che dalla condotta posta in azione scaturisse appunto, come
conseguenza, l’evento previsto dalla norma incriminatrice speciale.
Momento intellettivo e momento volitivo sono egualmente imprescindibili nella nozione
del dolo, poiché non può darsi un atto di volontà, se esso non è fondato su una preventiva
rappresentazione delle conseguenze dei propri atti nel mondo esterno; né, d’altra parte, può
assumere alcuna rilevanza per il diritto una mera rappresentazione di possibili eventi, se ad
essa non segua un atto di volontà che metta in moto energie causali, dirette alla modificazione
della realtà preesistente.
In definitiva il dolo può definirsi, quindi, sia pure in maniera generica e necessaria di
ulteriori precisazioni, come r a p p r e s e n t a z i o n e e v o l o n t à d i r e a l i z z a r e i l
fatto costituente reato.
6.3.4.1. Oggetto.
La dottrina dominate ritiene che il dolo, implica la conoscenza di tutti gli elementi che
sono necessari e sufficienti a realizzare la fattispecie obiettiva di un reato. Rientrano pertanto
nell’oggetto del dolo:
 la c o n d o t t a t i p i c a : è cioè l’azione che costituisce il fato di reato, che deve
tanto preveduta che voluta (ad esempio, nel delitto di furto l’agente deve prevedere
e volere la sottrazione e l’impossessamento di cosa che sa di essere di altri: non è
richiesto sviamento, che si sappia che la cosa è di Tizio o d Caio, bastando la
consapevolezza dell’altruità);
 t u t t i g l i a l t r i e l e m e n t i c h e i l r e a t o : ad es. le caratteristiche del
soggetto passivo (es. stato di gravidanza nel procurato aborto);
 g l i e l e m e n t i n o r m a t i v i ( o v a l u t a t i v i ) d l f a t t o , cioè
quegli elementi che devono essere valutati in base ad altre regole (giuridiche e
non): ad es. l’altruità della cosa nel reato di furto deriva dalla orma civilista che
attribuisce la proprietà della cosa;
 g l i e l e m e n t i n e g a t i v i d e l f a t t o (cioè e cause di giustificazione).
Nell’oggetto del dolo rientra anche a mancanza di cause di giustificazione. In
proposito non occorre che il soggetto sappia che non vi è alcuna causa di
giustificazione (c.d. rappresentazione positiva): è sufficiente ce egli non creda che
vi sia una causa di giustificazione (c.d. rappresentazione negativa);
 l ’ e v e n t o n a t u r a l i s t i c o (ovviamente nei reati di evento), che deve
essere preveduto e voluto. Deve trattarsi d p revisione concreta: basta, cioè, che
l’agente abbia effettivamente previsto quell’evento, anche se esso appariva
imprevedibile per gli altri;
 l ’ e v e n t o g i u r i d i c o , cioè la lesione o messa in pericolo del bene interesse
protetto: è anche esso oggetto della rappresentazione e volizione del soggetto
agente;

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

 il n e s s o d i c a u s a l i t à fra la condotta e l’evento: è sufficiente che l’agente


si rappresenti il decorso causale nei sui tratti essenziali, rilevanti per la
configurazione del reato (ad es.: se taluno spinge una persona sotto un’auto per
ucciderla, risponde di omicidio anche se la vittima muore battendo la testa in terra e
non perché travolto dall’auto)2.
6.3.4.2. Il
dolo nei reati omissivi.
Gli elementi costitutivi del dolo nei reati omissivi sono gli stessi che contrassegnano la
struttura del dolo nei reati di azione: anche nel reato omissivo l’autore deve rappresentarsi le
circostanze in cui la sua condotta si inserisce e deve volere la condotta omissiva, nonché (nei
reati omissivi impropri) l’evento ad essa ricollegabile secondo la regola dell’art. 40 cpv.
Naturalmente, essendo diversa la struttura della fattispecie oggettiva dei reati omissivi,
rispetto a quella dei reati di azione, non può non risultare parzialmente diverso l’oggetto del
dolo e diversa, correlativamente, la sua struttura.
Nell’essenziale il dolo dei reati omissivi è costituito dalla volontà di non compiere l’azione
dovuta, unito alla consapevolezza di poter agire nel senso richiesto dall’ordinamento.
Considerato analiticamente, questo secondo elemento del dolo include:
 la c o n o s c e n z a d e l l e c i r c o s t a n z e d a c u i d e r i v a l ’ o b b l i g o d i
a g i r e ; ad esempio, a fini del dolo dell’omissione di soccorso, è necessaria la
percezione che taluno versa in una delle situazioni di pericolo, descritte dall’art.
593 c.p.;
 la r a p p r e s e n t a z i o n e d e l l e c i r c o s t a n z e che abbiamo indicate come
presupposti generali dell’omissione penalmente rilevante; e cioè la possibilità
(generale e individuale) di compiere l’azione dovuta e la sua esigibilità in
concreto3.
Nei reati omissivi impropri, è inoltre necessario che l’autore percepisca il valore “causale”
della propria omissione: egli deve cioè rappresentarsi il fatto che l’intrapresa dell’azione
doverosa avrebbe, con alto grado di probabilità, evitato il verificarsi dell’evento. È infine
richiesta, da parte dell’autore, la consapevolezza dei presupposti, giuridici o di fatto, su cui si
radica la posizione di garante nei confronti del bene tutelato4.

2
Non rientrano, invece, nell’oggetto del dolo, perché non sono elementi essenziali del fatto: I) le circostanze; II)
le condizioni obiettive di punibilità.
3
Si dovrà, ad esempio, escludere il dolo dell’omissione di soccorso nel fatto di chi, trovandosi in una delle
situazioni descritte dal 1° co. dell’art. 593, ometta di darne avviso all’Autorità perché ignora l’esistenza di un
posto telefonico pubblico che potrebbe agevolmente raggiungere e crede, invece, che l’azione dovuta sia
realizzabile solo a patto di affrontare il guado di un torrente in piena.
4
Al proposito, c’è da osservare che la consapevolezza dei presupposti relativi alla posizione di garanzia non va
confusa con quella avente ad oggetto l’obbligo di agire che, nell’omissione, equivale alla consapevolezza del
dovere di non compiere l’azione vietata nei reati d’azione. Quanto detto rileva in materia di errore.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.3.5. Classificazioni e partizioni del dolo.


6.3.5.1. Dolo diretto e indiretto.
6.3.5.1.1. Dolo diretto.
6.3.5.1.1.1. Intenzionale o di primo grado.
Si ha d o l o d i r e t t o i n t e n z i o n a l e o d i p r i m o g r a d o ogni qualvolta l’evento
conseguito: I) è rispondente a quello voluto e rappresentato dell’agente, II) quando costituisce
il mezzo necessario per raggiungere quella finalità5; II) quando scaturisce, come conseguenza
che l’autore ritiene non evitabile, dall’uso dei mezzi prescelti per la realizzazione dello scopo.
In tutti e tre casi, all’autore può imputarsi, a titolo di dolo, la causazione dell’evento,
perché in tutti e tre i casi egli ha voluto quell’evento, come conseguenza della sua azione od
omissione.
6.3.5.1.1.2. Di
secondo grado.
Si parla, invece, di d o l o d i r e t t o d i s e c o n d o g r a d o , in rapporto a quegli eventi
che rientrano nella volontà di azione dell’autore, in quanto costituiscono effetti secondari
altamente probabili (e comunque non sicuramente evitabili) delle concrete e specifiche
modalità della condotta posta in essere.
Alla rappresentazione dell’evento che l’autore si propone di realizzare non può infatti non
collegarsi la rappresentazione di altri eventi, quando essi costituiscano un effetto certo
(altamente probabile) della condotta prescelta: in questi casi, il soggetto che agisce è
consapevole che alla realizzazione del suo disegno si collegano ulteriori effetti, cioè altre
“conseguenze” nel senso dell’art. 43 c.p.
Quello che l’autore si rappresenta come conseguenza della sua azione, è in ogni caso da lui
voluto. Gli effetti secondari dell’azione, che l’agente si rappresenta come conseguenza di
essa, appartengono infatti alla sua volontà finalistica di azione, anche se per lui non rivestono
alcun interesse6.
indiretto (o “eventuale”).
6.3.5.1.2. Dolo
Si ha d o l o i n d i r e t t o o e v e n t u a l e quando il risultato conseguente alla propria
azione, pur rappresentato, non è stato dell’agente direttamente ed intenzionalmente voluto.
Presupposto essenziale del dolo eventuale è che l’autore si sia rappresentato come
possibile l’accadimento.
Per altro, la previsione dell’evento semplicemente come possibile, integra tuttavia una
ipotesi di dolo diretto, tutte le volte che l’agente si è impegnato proprio in vista di quel
risultato, anche se lo riteneva poco probabile.

5
Si ha dolo diretto di omicidio, ad esempio non solo quando si agisce allo scopo di uccidere qualcuno, ma anche
quando l’uccisione di un uomo è il mezzo prescelto per realizzare un evento di natura diversa, per esempio
uccidere una sentinella, allo scopo di penetrare in una istallazione militare.
6
Chi incendia uno stabile, o provoca l’affondamento di un battello, allo scopo di riscuotere un’assicurazione, pur
sapendo che in questo modo cagionerà, con ogni probabilità, la morte di un uomo che si trova nello stabile o a
bordo del battello, avrà agito dolosamente, non solo con riguardo alla fattispecie dell’incendio, ma anche rispetto
alla fattispecie dell’omicidio; anche se avrebbe volentieri fatto a meno di pagare un tale prezzo per raggiungere il
proprio scopo!

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

Es. chi spara contro taluno allo scopo di ucciderlo, è in dolo diretto, anche se ha agito con
la consapevolezza che a causa della notevole distanza il verificarsi dell’evento era assai poco
verosimile.
Ciò indica che i confini tra dolo diretto e dolo eventuale non sono poi così netti come
potrebbe sembrare. Riguardo al punto di vista dell’agente, lo spazio occupato dal dolo
indiretto o eventuale si può dire corrispondente a quello del dubbio (circa la possibilità che un
certo evento si verifichi).
La problematica del dolo eventuale sta dunque tutta nell’interrogativo: quando si può dire
voluto l’evento che l’autore si è rappresentato solo come possibile (ma dubbia) conseguenza
della propria condotta?
Per dare risposta a questa domanda, nella dottrina del dolo sono state proposte diverse
teorie. La formula più accreditata nella dottrina contemporanea è quella che identifica il dolo
eventuale con l’atteggiamento psicologico di chi, pur ritenendo in concreto la realizzazione
dell’evento una possibile conseguenza della propria azione, tuttavia non se ne astiene,
accettando quindi consapevolmente il rischio del suo verificarsi (t e o r i a
d e l l ’ a c c e t t a z i o n e d e l r i s c h i o ).
6.3.5.2. Dolo generico e dolo specifico.
6.3.5.2.1. Dolo generico.
Si ha d o l o g e n e r i c o quando è richiesta dalla legge la semplice coscienza e volontà
del fatto materiale, essendo indifferente per l’esistenza del reato il fine per cui si agisce.
6.3.5.2.2. Dolo
specifico.
Si ha d o l o s p e c i f i c o , nei casi in cui ai fini dell’esistenza del reato si richiede che il
soggetto abbia agito per una particolare finalità, che tuttavia non deve necessariamente
realizzarsi perché il reato sia consumato, es. l’art. 624 richiede per la configurazione del furto
che il soggetto abbia agito “al fine di trarne profitto”.
6.3.5.3. Dolo
generale.
Da non confondere con il dolo generico è il c.d. d o l o g e n e r a l e , che si quando
l’evento che pur costituendo l’originario oggetto del dolo, è tuttavia prodotto da una condotta
non più dolosa dell’agente7.
Es.: Tizio, agendo allo scopo di uccidere Caio, lo tramortisce, e, successivamente,
credendo di averlo ucciso, ne getta il corpo in un fiume, ove in realtà Caio muore per
annegamento.
6.3.5.4. Dolo
di danno e dolo di pericolo.
Sa ha d o l o d i d a n n o quando il soggetto ha voluto effettivamente ledere il bene
protetto dalla norma (es. lesioni volontarie).
Si ha d o l o d i p e r i c o l o quando il soggetto ha voluto soltanto minacciare il bene
protetto (es. delitti di attentato)8.

7
La dottrina ritiene che in questo caso si configuri un concorso fra un mero tentativo di omicidio e un omicidio
colposo, la cui fattispecie corrisponde alla serie causale innescata dalla condotta dell’agente successiva
all’evento.

Ver.12-10-2016 49
Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.3.5.5. Dolo iniziale e dolo concomitante.


Con riguardo al momento in cui il dolo si manifesta, si usa distinguere fra d o l o
i n i z i a l e , c o n c o m i t a n t e e s u c c e s s i v o , a seconda che il dolo: 1) sia presente
solo nel momento iniziale del processo causativo, che tuttavia si sviluppa in seguito, fino
all’evento, in assenza di dolo; 2) lo accompagni durante tutto il suo svolgersi; ovvero 3) sorga
solo dopo che l’agente ha realizzato, senza dolo, la fattispecie oggettiva di reato9.
Dovrebbe essere evidente che il dolo c.d. iniziale e il dolo c.d. successivo non
costituiscono in alcun modo ipotesi di dolo penalmente rilevante: in nessuna delle due ipotesi,
infatti, l’agente ha consapevolmente messo in moto le energie causali idonee a cagionare
l’evento (tutt’altra questione è se questo potrà essergli addebitato a titolo di colpa o se la
condotta successiva sia assistita o meno da un autonomo dolo concomitante). Nell’uno e
nell’altro caso, si tratta, in realtà, di figure, la cui residua utilità consiste nel concorrere a
delimitare l’ambito del dolo.
6.3.5.6. Doloalternativo e dolo indeterminato.
Si ha d o l o a l t e r n a t i v o , quando l’agente vuole indifferentemente uno o più, fra gli
eventi che la sua azione può cagionare: come può essere il caso di chi spara contro un gruppo
di persone, prospettandosi come conseguenza della sua azione, indifferentemente, la morte o
il ferimento di una, due o più fra esse.
Si ha d o l o i n d e t e r m i n a t o 10, quando l’agente vuole, alternativamente o
cumulativamente, più eventi fra loro non compatibili, dei quali, però, uno solo può verificarsi;
e vuole, indifferentemente l’uno o l’altro di essi11.
6.3.5.7. Dolo d’impeto e dolo di proposito e dolo di premeditazione.
Il d o l o d ’ i m p e t o : ricorre quando il delitto è risultato di una d e c i s i o n e
i m p r o v v i s a e viene subito eseguito, senza nessun intervallo tra momento conoscitivo e
momento volitivo (es. colluttazione che segue immediatamente alla provocazione).
Il d o l o d i p r o p o s i t o : si ha allorché trascorre un considerevole lasso di tempo tra il
sorgere dell’idea criminosa e la sua attenzione concreta.
Nei casi in cui l’intervallo temporale è utilizzato per la preordinazione dei mezzi e delle
modalità dell’azione criminosa si ha d o l o d i p r e m e d i t a z i o n e .

8
La contrapposizione fra dolo di danno e dolo di pericolo costituisce, in sostanza, un riflesso della differente
struttura delle corrispondenti fattispecie oggettive, dal punto di vista delle tipologie dell’offesa. Si deve però
sottolineare che una fattispecie di danno può ben essere realizzata con dolo di pericolo, e viceversa. Es. : Tizio,
che intende danneggiare una chiusa (dolo di danno), risponde ai sensi dell’art. 427 c.p., del pericolo di
inondazione derivato dal fatto; se l’inondazione si verifica (reato di danno), ne risponde a titolo di dolo, anche se,
rispetto a tale disastro, ha inizialmente agito con mero dolo di pericolo.
9
Dolo soltanto iniziale si avrebbe, ad esempio, nel caso di Tizio che spiani un’arma contro Caio con l’intenzione
di uccidere, ma desista poi dallo sparargli: si chiede se a Tizio possa attribuirsi la morte di Caio conseguente
all’accidentale esplosione di un colpo dell’arma impugnata da Tizio. L’esempio usuale del dolo successivo è
quello del medico o dell’infermiere che, avendo somministrato accidentalmente ad un paziente una sostanza
letale in luogo del medicinale prescritto, avvedutosi di ciò, decida tuttavia di lasciar morire il paziente.
10
Sia il dolo alternativo che il dolo indeterminato sono forme particolari di dolo diretto di secondo grado.
11
È il caso di chi si configura come conseguenza alternativa della propria azione la morte, o il semplice
ferimento del soggetto passivo; si è fatto anche l’esempio di chi distribuisce a più persone, a scopo omicida, dei
confetti, dei quali uno solo è avvelenato.

Ver.12-10-2016 50
Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.3.6. L’accertamento del dolo


L’esistenza del dolo trattandosi di un processo psicologico interiore, non può essere
direttamente provata; può solo essere ragionevolmente desunta da circostanze oggettive.
L’accertamento del dolo si fonda dunque interamente sulla utilizzazione di “r e g o l e d i
e s p e r i e n z a ” che tuttavia circostanze del singolo caso possono far disattendere .
In tutti i casi il dolo deve costituire oggetto di specifico e reale accertamento, dovendosi
considerare inammissibile il ricorso a qualsiasi presunzione dell’elemento psicologico.
Ovviamente la prova del dolo può risultare più o meno agevole, ma in nessun caso il dolo
può essere ritenuto implicitamente sussistente (d o l u s i n r e i p s a ). Tale idea deve essere
pertanto respinta in linea di principio, anche se può essere comprensibile che modalità di
azione del tutto univoche rendano superflua una specifica dimostrazione dell’esistenza del
dolo.
6.3.7. L’intensità del dolo.
Il dolo può presentare un’intensità diversa in relazione al grado di consistenza della
componente della rappresentazione e/o della volontà. L’intensità del dolo dipende da una serie
di fattori quali:
 la durata del proposito criminoso: dunque il dolo di proposito sarà più intenso del
dolo d’impeto;
 la consapevolezza maggiore o minore da parte del reo del carattere antisociale della
condotta;
 il diverso atteggiarsi del momento volitivo (cosi il dolo diretto è più intenso del
dolo eventuale).
L ’ i n t e n s i t à d e l d o l o i n f l u i s c e s u l l a g r a v i t à d e l r e a t o e il
giudice deve tenerne conto nella determinazione e quantificazione della pena (art. 133 comma
1 n. 3).
6.4. La fattispecie dei reati colposi.
6.4.1. Nozione di delitto colposo.
L ’ a r t 4 3 , 1 c o m m a c . p . stabilisce che: “Il delitto è colposo o contro l’intenzione
quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa della
negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline”12.
6.4.2. Ratio.
Nell’incriminazione del reato colposo la legge punisce, i comportamenti che, per
definizione, sono indirizzati alla realizzazione di finalità penalmente indifferenti, quando da
essi scaturiscono eventi socialmente indesiderati (lesione di beni), rispetto ai quali
l’imprudenza, la negligenza, ecc., si presentano come antecedenti causali.
Si può dire, quindi, che dietro ogni norma incriminatrice che prevede una ipotesi di reato
colposo, si celi una norma generale che comanda di tenere costantemente sotto controllo i

12
In realtà la definizione codicistica è incompleta perché non tiene conto dei reati di pura condotta.

Ver.12-10-2016 51
Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

decorsi causali connessi alla propria condotta, così da evitare che ne derivino eventi
socialmente indesiderati.
6.4.3. La struttura del tipo di fatto del reato colposo.
Dalla disposizione si evince che il t i p o d i f a t t o d e l r e a t o c o l p o s o (tipicità) si
compone di:
 una f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a costituita dall’inosservanza di una regola
precauzionale (o regola di diligenza) e (nei reati colposi di evento) dalla
l’e s i s t e n z a d i u n n e s s o c a u s a l e f r a c o n d o t t a e d v i o l a z i o n e
d e l l a r e g o l a p r e c a u z i o n a l e , secondo le regole dell’imputazione
oggettiva.
 e di una f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a costituita dalla mancata previsione del
danno o del pericolo per i beni protetti, come possibile conseguenza della propria
azione od omissione, e nei reati colposi di mera condotta, dalla mancata previsione
del rischio oggettivamente prevedibile.
La concreta esigibilità dell’osservanza delle regole di diligenza da parte del singolo autore
appartiene invece al piano della colpevolezza.
6.4.4. La fattispecie oggettiva.
Affinché si abbia l’esistenza della f a t t i s p e c i e o g g e t t i v a del tipo di reato colposo,
non è necessario come avviene per i delitti dolosi accertare un nesso di causalità materiale tra
condotta ed evento, ma è necessario accertare che una r e g o l a d i d i l i g e n z a è stata
violata.
In altri termini la tipicità del fatto colposo si ricava, dal raffronto con un condotta
(ipotetica) caratterizzata dall’osservanza della diligenza oggettiva: qualsiasi condotta che resti
al di sotto della misura della diligenza richiesta integra la fattispecie oggettiva di un reato
colposo.
Ad esempio se due veicoli che precedono in opposte direzioni si scontrano in una curva,
provocando la morte di uno o più persone trasportate, si può ben dire che entrambi i
conducenti hanno cagionato tale evento, ma la fattispecie oggettiva dell’omicidio colposo sarà
stata realizzata solo da quello di essi che l’avrà cagionato in violazione di una regola di
condotta inerente alla circolazione stradale (per esempio, aver tagliato la curva).
6.4.4.1. Nei
reati colposi di mera condotta.
Tuttavia va detto che l’accertamento di una condotta obiettivamente contraria alla regola
precauzionale, è sufficiente a definire la fattispecie oggettiva solo nei r e a t i c o l p o s i d i
m e r a c o n d o t t a , nei quali non è richiesta la verificazione di evento naturalistico13 come
effetto della condotta14.

13
Si tratta dunque, di fattispecie di pericolo astratto, in relazione alle quali la con stazione di un concerto
pericolo, eventualmente corso dai beni protetti, non è rilevante per la punibilità ma, al più per la determinazione
della gravità del fatto.
14
Le fattispecie colpose di mera condotta sono per lo più di carattere contravvenzionale (punibili perciò
alternativamente a titolo di dolo o colpa) e abbondano soprattutto nel diritto penale complementare, in specie
nella materia della prevenzione degli infortuni, della tutela dell’ambiente, della circolazione stradale, ecc.

Ver.12-10-2016 52
Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.4.4.2. Nei
reati colposi di evento.
Tanto è vero che nei r e a t i c o l p o s i d i e v e n t o 15 (per i quali è viceversa richiesta,
per la perfezione dell’illecito, il verificarsi di un accadimento naturalistico come conseguenza
della condotta vietata), è necessario che si accerti anche l’e s i s t e n z a d i u n n e s s o
causale fra condotta e violazione della regola precauzionale,
come suo specifico (ed ineliminabile) antecedente; si deve cioè rappresentare la
concretizzazione del danno o del pericolo che la prescrizione della regola di diligenza violata
mirava appunto ad impedire.
Ad esempio chi procede a velocità eccessiva risponderà dei fatti connessi con la violazione
della specifica regola di diligenza che gli imponeva un’andatura più moderata (risponderà, da
esempio, dell’investimento di un pedone, reso inevitabile dalla necessità di un più ampio
spazio di frenatura richiesto dalla velocità); ma non certo per essersi trovato – avendo
marciato ad elevata velocità – esattamente nel luogo e nel momento in cui un incauto pedone
abbia intrapreso all’improvviso e senza alcuna cautela l’attraversamento della carreggiata!16.
6.4.4.2.1. In
sintesi.
In sintesi, si può dire che la rilevanza del rapporto causale dipenda qui da una triplice
constatazione: 1) che l’evento si è prodotto in conseguenza di una condotta obiettivamente
contraria a una regola precauzionale; 2) che l’osservanza della regola avrebbe con ogni
probabilità evitato il prodursi dell’evento; 3) che la norma precauzionale trasgredita aveva
come scopo proprio quello di evitare la produzione dell’evento.
6.4.4.3. L’individuazione
della regola diligenza (limiti).
Si è gia detto che la tipicità del fatto colposo si ricava, sempre dal raffronto con una
condotta (ipotetica), caratterizzata dall’osservanza della diligenza oggettiva; qualsiasi
condotta che resti al di sotto della misura di diligenza richiesta integra la fattispecie oggettiva
di un reato colposo (ovviamente di mera condotta).
In altri termini bisogna individuare quale era, la misura di diligenza oggettiva, che
l’ordinamento richiedeva, per la tutela dei beni tutelati
A tale scopo deve farsi riferimento al tipo di danno o pericolo che si mirava ad evitare
rispetto a dati beni–interessi; tuttavia, la misura di diligenza non può essere talmente elevata
da impedire la realizzazione di qualsiasi attività che si presenti anche minimamente
rischiosa. Vanno allora tenuti presenti due ordini di limiti:

15
Quanto ai reati colposi di evento, va detto innanzi tutto che in essi l’evento, al pari che nei reati dolosi, può
configurarsi si come evento di danno, sia come evento di pericolo (concreto).
16
La rilevanza del rapporto causale deve essere parimenti esclusa quando si stabilisca, con elevato grado di
certezza, che una condotta conforme alla regola precauzionale non sarebbe valsa ad evitare l’evento. Così, ad
esempio, l’oltrepassamento di una linea spartitraffico continua, in occasione di un sorpasso, non può giocare
alcun ruolo per un’ipotesi di colpa penalmente rilevante, in rapporto alla collisione che eventualmente si
verifichi a seguito di sbandamento verso sinistra del veicolo di cui si effettuava il sorpasso. E, invero, la
violazione della norma di comportamento che impone di non invadere la opposta corsia di marcia, non solo non
ha creato il rischio di una collisione con l’altro veicolo, ma – nello specifico esempio – l’ha addirittura
diminuito, poiché ha accresciuto la possibilità di evitare la collisione. Determinante è comunque la presa d’atto
che una condotta conforme alla diligenza obiettiva (sorpasso effettuato mantenendo il veicolo all’interno della
propria carreggiata di marcia) non sarebbe valso ad evitarne l’evento.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.4.4.3.1. Agente
modello.
Innanzitutto l’agente sarà responsabile delle sole conseguenze oggettivamente
prevedibili, cioè tali per un uomo di media diligenza che ipoteticamente si trovi nella stessa
situazione incriminata (c . d . a g e n t e m o d e l l o ); nonché di quelle conseguenze che,
sebbene imprevedibili per l’agente modello, tali non siano per l’agente concreto dotato di
particolari conoscenze.
6.4.4.3.2. Rischio
consentito.
Un secondo limite si ricava dal concetto del c . d . “ r i s c h i o c o n s e n t i t o ” (o
rischio socialmente adeguato), espressione con cui ci si riferisce a quella misura di rischio,
praticamente ineliminabile in molte attività (voli spaziali, traffico aereo, o anche
circolazione stradale), nel cui ambito una certa misura di rischio per i beni protetti è
irriducibile e intrinsecamente connessa allo svolgimento di questa attività.
Solo i comportamenti pericolosi che presentino un rischio ulteriore rispetto a quello
consentito rilevano ai fini del reato colposo, posto che il confine tra rischio tollerato e non,
va individuato caso per caso.
6.4.5. Fonti dell’obbligo di diligenza.
Va osservato che le norme incriminatici di reati colposi non presentano un aspetto
meramente descrittivo bensì normativo, esse dunque esigono ai fini della propria
specificazione, l’i n d i v i d u a z i o n e d e l l a r e g o l a d i d i l i g e n z a i n c o n c r e t o
violata.
La norma incriminatrice fornisce, in altre parole, solo una sorta di “cornice”, che deve esse
di volta in volta riempita, mediante il riferimento ad altre norme, in cui l’obbligo di diligenza
si concretizza in modo più o meno accentuato.
In particolare l’ a r t . 4 3 c . p . oltre alla negligenza, imprudenza e imperizia, fa
riferimento alla “inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”; si tratta dei casi in
cui la condotta si presenta violativi di specifiche regole a carattere precauzionale contenute in
norme giuridiche, tecniche o di provenienza privata.
6.4.5.1. Negligenza,
imprudenza e imperizia.
Perché sussista la colpa è necessario che l’evento sia prodotto da una particolare forma di
manifestazione della condotta, rientrante fra quelle tassativamente stabiliti dall’art. 43, cioè:
 la n e g l i g e n z a è la mancanza di attenzione nel compimento di un attività.
 l’i m p r u d e n z a è l’operare senza le dovute cautele (o nel mancato uso dei freni
inibitori), generando ovvero aumentando il rischio di un danno o pericolo;
 l’i m p e r i z i a è un ipotesi di imprudenza qualificata, consistente nell’inettitudine
o incapacità professionale, generica o specifica, nota all’agente e di cui egli non
vuole tener conto.
6.4.5.2. La distinzione fra colpa generica e colpa specifica
Sulla distinzione operata dalla norma si basa la bipartizione della colpa in “g e n e r i c a ” e
“s p e c i f i c a ” : la prima consiste nella violazione di norme cautelari dettate dal comune
senso di esperienza (negligenza, imprudenza, imperizia); la seconda invece, discende dalla
trasgressione di specifiche regole di comportamento (regolamenti, leggi, ordini o discipline).

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

La colpa specifica presenta rispetto a quella generica, il vantaggio di una più agevole
individuazione della regola di diligenza violata, difatti come dice l’art. 43 può trattarsi di una
norma di legge, anche penale, norma regolamentare, cioè contenuta in un atto normativo
promanato dall’autorità amministrativa e contenente regole generali per disciplinare lo
svolgimento di determinate attività.
6.4.6. La struttura psicologica della condotta colposa.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, due sono, le ipotesi di colpa penalmente
rilevante, riflesse nella definizione dell’art. 43 c.p.. Ad esse corrisponde la tradizionale
distinzione tra colpa cosciente e colpa incosciente.
6.4.6.1. Colpa
cosciente.
Si ha c o l p a c o s c i e n t e quando l’autore, nell’atto in cui realizza una condotta
obiettivamente contraria ad un obbligo di diligenza, si rappresenta bensì come possibile
conseguenza della sua azione od omissione il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso
per il bene protetto, ma ritiene che l’evento stesso non si verificherà.
Esempio: A, mentre percorre in auto un luogo abitato a velocità sostenuta, si avvede che, a
breve distanza, un gruppo di ragazzi gioca a rincorrersi sul margine della strada, ma,
ciononostante, non diminuisce la velocità della vettura, ritenendo che potrà egualmente
evitare di investirli.
La struttura psicologica della colpa cosciente è, dunque, contrassegnata da un elemento
negativo, costituito dalla non-volizione dell’evento, e da un elemento positivo, costituito dalla
rappresentazione (previsione) dell’evento stesso, come possibile conseguenza dell’azione od
omissione, accoppiata alla convinzione (evidentemente fondata su una valutazione erronea)
che esso non si verificherà.
Sarà il caso di sottolineare che l’addebito di colpa cosciente non può che riguardare i soli
reati di evento, poiché, nei reati cd. di mera condotta, la consapevole violazione della regola
precauzionale presidiata dalla norma incriminatrice realizza senz’altro una ipotesi di
comportamento doloso.
Nell’ambito dei reati di evento, i casi di colpa cosciente pongono, d’altro canto, il
problema di una puntuale distinzione dalle ipotesi di dolo eventuale.
6.4.6.1.1. Il
criterio discretivo tra colpa cosciente e dolo eventuale
Il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente rimane tracciato - almeno a livello teorico -
in base a un criterio che assegna all’ambito dell’uno i casi in cui l’autore agisce sulla base di
una ragionevole previsione che l’evento oltre ad essere possibile sia anche probabile (cioè
possa effettivamente verificarsi) accettandone consapevolmente il rischio; e assegna, invece,
all’ambito della colpa cosciente i casi in cui l’autore ritiene possibile ma non probabile il
verificarsi dell’evento.
Nell’applicazione pratica, naturalmente, queste formule costituiscono solo un punto di
orientamento per la soluzione dei casi controversi; ma in nessun modo possono riflettere le
infinite sfumature con cui l’elemento psicologico del fatto si presenta nella realtà.

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

6.4.6.2. Colpa
incosciente.
Si ha, invece, c o l p a i n c o s c i e n t e quando l’agente, non solo non si rappresenta la
possibile verificazione dell’evento, ma trasgredisce la regola di diligenza in via del tutto
inconsapevole. (es. l’automobilista che imbocca una strada in contro senso, senza essersi
avveduto del segnale).
6.4.6.2.1. In
sintesi il concetto di fattispecie soggettiva.
In sintesi alla f a t t i s p e c i e s o g g e t t i v a del reato colposo, appartiene, in primo
luogo, la non–volizione dell’evento, che nella colpa cosciente si organizza nella sua
previsione (accoppiata all’erronea convinzione che l’evento, in concreto non si verificherà); e,
nella colpa incosciente, si radica sulla mancata erronea rappresentazione delle circostanze –
oggettivamente conoscibili – da cui scaturisce l’obbligo di osservare una particolare regola di
diligenza.
In altri termini sussiste responsabilità colposa, non solo quando il soggetto abbia previsto
come possibile (e poco probabile) l’evento dannoso o pericoloso e ciò nonostante abbia agito
(colpa cosciente), ma anche quando tale previsione non si sia avuta per non avere l’agente
azionato i propri poteri di controllo, che gli avrebbero consentito di prevederlo e
conseguentemente evitarlo (colpa incosciente).
6.4.6.2.2. La misura soggettiva della colpa.
Una volta registrata l’esistenza di una condotta, cosciente e volontaria, che contrasti con
una regola oggettiva di diligenza (m i s u r a o g g e t t i v a d e l l a c o l p a ) e si presenti
con la caratteristica struttura psicologica della colpa (cosciente o incosciente), è però ancora
necessario – perché si possa muovere al soggetto un addebito di colpa—stabilire la concreta
e s i g i b i l i t à della regola di condotta violata, da parte del singolo e specifico autore
(m i s u r a s o g g e t t i v a d e l l a c o l p a ).
In realtà, la tematica della misura soggettiva della colpa, a stretto rigore, non appartiene al
piano del fatto tipico, ma concerne piuttosto il giudizio sulla colpevolezza dell’autore; e ciò
soprattutto quando alla categoria della colpevolezza ci si riferisca nell’accezione normativa di
essa.
È tuttavia opportuno anticipare qui la trattazione dell’argomento, su cui torneremo anche in
seguito, per la sua rilevanza ai fini di una compiuta intelligenza dei limiti della responsabilità
a titolo colposo.
L’accertamento della concreta esigibilità da parte del singolo autore costituisce, infatti, un
ulteriore presupposto dell’imputazione soggettiva a titolo di colpa, in quanto introduce
l’eventualità di uno scarto fra i limiti oggettivi della diligenza richiesta – riferibile al cd.
agente modello – e i limiti entro i quali l’osservanza della regola poteva essere pretesa da un
determinato autore.
In pratica, ciò significa che, una volta stabilito quale condotta era oggettivamente dovuta,
(in quanto idonea a scongiurare, in una determinata situazione, il rischio di una lesione di

Ver.12-10-2016 56
Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

beni), si deve stabilire anche se quel determinato autore, alla stregua delle sue personali
capacità ed attitudini, era in grado di tenere la condotta richiesta17.
Da ciascun autore può essere preteso, infatti di esprimere, in
una situazione data, il massimo delle sue capacità, e non oltre .
Al medico condotto che si trovi ad operare d’urgenza, con attrezzature di fortuna, non
potrà certo richiedersi lo stesso grado di perfezione tecnica che si pretende da un chirurgo
altamente qualificato, che agisca in condizioni ottimali dal punto di vista dell’igiene,
dell’assistenza e della strumentazione.
Da questi esempi, come si vede, emerge un importante criterio di valutazione della c.d.
m i s u r a s o g g e t t i v a d e l l a c o l p a , che si connette all’anormalità delle circostanze in
cui si agisce, quando esse determinano la non esigibilità dell’osservanza dei doveri di
diligenza, che può essere pretesa in condizioni normali.
6.4.6.2.3. Il
grado della colpa
Anche la colpa è graduabile al pari del dolo; al variare del grado della colpa varia la gravità
del reato e di conseguenza la commisurazione della pena.
La dottrina ha proposto vari criteri per determinare il grado della colpa, in particolare può
essere utile valutare: I) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e la
condotta dovuta; la maggiore o minore prevedibilità dell’evento nella colpa incosciente; II) il
quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari; la colpa sarà tanto più grave
quanto più si poteva pretendere dall’agente l’osservanza della norma; III) i motivi che hanno
spinto l’agente ad agire in modo diverso da quello previsto dalla norma.
6.4.6.2.4. Colpa
impropria.
Un particolare tipo di colpa è quella i m p r o p r i a che ricorre in casi eccezionali in cui
l’evento è voluto ma l’agente risponde di reato colposo e in particolare: I) eccesso colposo
nelle cause di giustificazione; II) errata supposizione di un causa di giustificazione; III) errore
determinato da colpa.
6.5. La fattispecie dei reati preterintenzionali.
L’art. 43 c.p. stabilisce che “i l d e l i t t o è p r e t e r i n t e n z i o n a l e , o o l t r e
l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento
dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall ’agente”.
La “p r e t e r i n t e n z i o n e ” è, dunque, un c r i t e r i o n o r m a t i v o p e r
l’imputazione soggettiva di un evento non voluto
dall’autore . 18

17
È evidente, ad esempio, che all’allievo conducente che stia esercitandosi alla guida, nel rispetto di tutte le
regole precauzionali del caso, difficilmente potrà essere mosso un addebito di colpa, nell’ipotesi in cui non abbia
compiuto, di fronte aduna situazione di emergenza, una manovre, oggettivamente possibile, e idonea a
scongiurare un sinistro, qualora la manovre richiesta fosse, però, così spericolata, da richiedere una esperienza
nella guida, estranea per definizione all’allievo conducente.
18
Casi di delitto preterintenzionale sono l’omicidio preterintenzionale (art. 584) e l’aborto preterintenzionale
(art. 18, comma 2 L. 22-5-1978, n. 194).

Ver.12-10-2016 57
Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

Nel delitto preterintenzionale si individua la volontà di un evento minore (percosse o


lesioni), che ne rappresenta la base dolosa, e la «non volontà» di un evento più grave (morte o
aborto), che è pur sempre conseguenza della condotta dell’agente.
Secondo un autorevole orientamento il delitto preterintenzionale è caratterizzato dalla
c o m b i n a z i o n e d i d o l o e c o l p a . Infatti ai fini della attribuibilità del fatto al
soggetto agente, è necessario che l’evento più grave, benché non voluto, sia frutto della
violazione di una regola cautelare.
6.6. La fattispecie dei reati contravvenzionali.
6.6.1. Forme dell’elemento psicologico delle contravvenzioni..
Il 4° co. dell’articolo 42, stabilisce che, nelle c o n t r a v v e n z i o n i , “c i a s c u n o
risponde della propria azione od omissione cosciente e
v o l o n t a r i a , s i a e s s a d o l o s a o c o l p o s a ”.
Per le contravvenzioni, pertanto, vale la regola dell’indifferenza dell’atteggiamento
psicologico, con cui il fatto viene commesso: dolo e colpa, cioè, sono ad egual titolo, e senza
bisogno di espressa previsione, validi criteri di imputazione soggettiva per questa specie di
illecito.
Se per la punibilità delle contravvenzioni è indifferente che vi sia dolo o colpa, occorrendo
almeno la colpa, tuttavia l’a r t . 4 3 c o m m a 4 precisa che «l a d i s t i n z i o n e t r a
r e a t o d o l o s o e r e a t o c o l p o s o s t a b i l i t a .... p e r i d e l i t t i , s i a p p l i c a
altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge
faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto
g i u r i d i c o ».
La dottrina ne ha dedotto che il giudice dovrà accertare, comunque, la natura dolosa o
colposa delle contravvenzioni ai fini della: I) commisurazione della pena, che ai sensi dell’art.
133 presuppone l’accertamento dell’intensità del dolo e del grado della colpa; II)
continuazione, ammessa solo fra i reati dolosi; - dichiarazione di abitualità nel reato; III)
applicazione dell’amnistia, se questa è prevista solo per i reati colposi.
6.7. La responsabilità oggettiva.
L’art. 42, co. 3°, afferma che “L a l e g g e d e t e r m i n a i c a s i n e i q u a l i
l’evento è posto altrimenti a carico dell ’agente, come
c o n s e g u e n z a d e l l a s u a a z i o n e o d o m i s s i o n e ”.
Tale comma disciplina la c.d. r e s p o n s a b i l i t à o g g e t t i v a , che si realizza
allorché un soggetto è chiamato a rispondere dei risultati prodotti dalla propria condotta, in
base al mero rapporto di causalità, materiale, senza necessità che sia provata la sussistenza
della colpevolezza (dolo o colpa).
In sintesi, per i f a t t i a t t r i b u i t i a t i t o l o d i r e s p o n s a b i l i t à
oggettiva, occorre che sussista il fatto, l’evento, il nesso

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Manuale di Diritto Penale La fattispecie soggettiva del reato

di causalità, non necessita, invece, l’accertamento del


d o l o o d e l l a c o l p a 19.
A riguardo la d o t t r i n a rileva l’evidente contrasto tra le ipotesi di responsabilità
oggettiva con il principio di personalità della responsabilità penale dell’art. 27 Cost., che non
si limita solo ad imporre che nessuno venga punito per un fatto commesso da altri, ma
prevede anche che nessuno venga punito per un fatto non colpevole, cioè a lui non attribuibile
almeno a titolo di colpa.
La Corte Costituzionale in una celebra sentenza (n. 368/88) ha accolto le considerazione
della dottrina stabilendo “che il fatto imputato purché sia legittimamente punibile, deve
necessariamente includere almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più
significativi”.
Conseguenza di tale affermazione è un tendenziale ripudio delle ipotesi di responsabilità
oggettiva (per le quali vi è punibilità anche senza dolo o colpa). Benché alcune ipotesi, come
visto, permangano nel nostro codice, il legislatore si è attivato per limitarne i casi, come
recentemente ha fatto a proposito della riforma delle «circostanze» del reato

19
Per l’orientamento giurisprudenziale prevalente, la responsabilità oggettiva è prevista solo eccezionalmente
dal comma 3 dell’art. 42, il quale, inoltre, sembra riferirsi soltanto alle ipotesi delittuose. Concrete ipotesi di
responsabilità oggettiva, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, si configurano nell’ipotesi di
preterintenzione, reati commessi a mezzo della stampa, condizioni obiettive di punibilità (art. 44), aberratio
delicti, aberratio ictus bioffensiva, reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, concorso nel reato
proprio, delitti aggravati dall’evento.

Ver.12-10-2016 59
Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

Capitolo 7°
Le cause generali di esclusione del fatto tipico
7.1. Le ipotesi normative di esclusione del fatto penalmente rilevante.
Fatto tipico penalmente rilevante è solo quello che presenta tutti gli elementi oggettivi e
psicologici descritti dalla norma incriminatrice.
Si configurano, pertanto, c a u s e g e n e r a l i d i e s c l u s i o n e d e l l a
t i p i c i t à (o cause soggettive di esclusione del reato) in tutte quelle ipotesi in cui si deve
escludere la sussistenza di un requisito essenziale del fatto tipico. In particolare sono cause
soggettive di esclusione del reato quelle che eliminano il reato:
 escludendo il nesso psichico richiesto dal comma 1 dell’art. 42 (“suitas”); in cui
rientrano i casi di forza maggiore e costringimento fisico;
 escludendo l’elemento soggettivo del reato, cioè il dolo o la colpa: in cui rientrano
le ipotesi di caso fortuito ed errore.
7.2. Ipotesi normative di esclusione della suitas.
7.2.1. Forza maggiore
L ’ a r t . 4 5 c . p . stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per f o r z a
m a g g i o r e . Per forza maggiore si intende un’energia fisica proveniente dall’esterno, e non
riconducibile alla condotta di un terzo, che determina il movimento corporeo di un soggetto
escludendo da parte sua qualsiasi possibilità di padroneggiarne le conseguenze.
Es. colpo di vento che sospinga la persona investita, così da farla rovinare addosso ad altri
che conseguentemente riportano lesioni. Tale evento per il diritto penale viene espresso col
dire che il soggetto, non agisce ma viene agito dalla forza naturale che lo travolge (non agit,
sed agitur).
In tali casi il processo causativo dell’evento non appartiene al soggetto, e
conseguentemente la sua non è un’azione nel senso normativo descritto dall’art. 42 in quanto
priva della coscienza e volontà che costituiscono i presupposti minimi del comportamento
penalmente rilevante.
7.2.2. Costringimento fisico (art. 46 c.p.)
L’art. 46 c.p. stabilisce che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da
altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.
In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della violenza.”
È il caso della sentinella che non potuto dare l’allarme in quanto legata ed imbavagliata da
un gruppo di sediziosi, o chi abbai ucciso perché un altro soggetto ha guidato la sua ano a
vibrare i colpo.
In queste ipotesi l’autore materiale del reato rappresenta solo un mezzo, una longa manus,
di un altro soggetto che la legge considera responsabile del reato (c.d. a u t o r e m d i a t o ) :
il c o s t r i n g i m e n t o f i s i c o costituisce in fondo, una figura specifica di forza
maggiore ed esclude quindi, anch’esso la coscienza e la volontà del soggetto costretto.

Ver.12-10-2016 60
Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

7.3. Le ipotesi normative di esclusione dell’elemento psicologico del reato (dolo o colpa):
7.3.1. Caso fortuito.
L’art. 45 prevede che non è punibile chi ha commesso il fatto per c a s o f o r t u i t o . Per
caso fortuito si intende un avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce
d’improvviso nell’azione del soggetto indirizzandola verso esiti anormali. Es. il disco lanciato
da un discobolo, per effetto di un improvviso colpo di vento, devia il suo percorso e colpisce
una persona.
È chiaro che l’evento che si produce a causa del causo fortuito, non può in alcun modo,
nemmeno a titolo di colpa, essere ricondotto all’attività psichica dell’agente. In altri termini il
caso fortuito esclude l’elemento psicologico del reato (dolo o colpa), sicché il fatto commesso
non costituisce illecito penale.
7.3.2. L’errore in generale.
7.3.2.1. Nozione.
Per la teoria generale del diritto, l’e r r o r e può essere definito come “una falsa
rappresentazione della realtà” (fenomenica o giuridica).
7.3.2.2. Classificazioni.
In relazione alle c o n s e g u e n z e che l’errore produce, si distingue tra:
 e r r o r e p r o p r i o : è quello che fa ritenere il soggetto di agire, nel rispetto
della legge, mentre in realtà la viola;
 e r r o r e i m p r o p r i o : viceversa, fa ritenere al soggetto di commettere un
illecito, mentre, in realtà il suo comportamento non viola nessuna norma penale
(esso da luogo al reato putativo, vedi in seguito).
A secondo del m o m e n t o in cui l’errore interviene, si distingue tra:
 e r r o r e m o t i v o : è quello che interviene nella fase ideativa del reato,
incidendo in tal modo nel processo formativo della volontà;
 e r r o r e i n a b i l i t à ; invece, è quello che interviene nella fase di esecuzione
del reato (dando luogo all’ipotesi di reato aberrate, vedi in seguito).
L’errore motivo, a sua volta si distingue in relazione all’aspetto sui cui cade in:
 e r r o r e s u l f a t t o : che ha ad oggetto una situazione di fatto, una realtà
fenomenica. In altri termini il soggetto che cade in errore sul fatto crede di
realizzare un fatto diverso da quello vietato;
 e r r o r e d i d i r i t t o (o errore sull’antigiuridicità) ha invece ad oggetto il
valore antigiuridico del fatto. In altri termini il soggetto che cade in errore di diritto
realizza un fatto identico a quello vietato dalla norma penale, credendo per errore
che non costituisca reato.
In questa sede tratteremo per ragioni sistematiche entrambi i tipi di errore, anche se l’errore
sull’antigiuridicità, non è affatto una causa di esclusione de fatto tipico, in quanto esclude,
solo il giudizio di riprovevolezza, e non anche la conformità del fatto concreto all’ipotesi
contemplata dalla norma incriminatrice (tipicità).
Quanto, infine, alla causa che lo ha determinato, si distingue in:

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

 e r r o r e d i f a t t o : è quello in cui la rappresentazione della realtà, fenomenica


o giuridica, trova la sua causa in una falsa rappresentazione (o ignoranza) di una
situazione di fatto;
 e r r o r e d i d i r i t t o : invece, è quello in cui la falsa rappresentazione della
realtà, fenomenica o giuridica, trova la sua causa in una falsa rappresentazione (o
ignoranza) di una norma giuridica.
7.3.3. L’errore sul fatto.
Si ha e r r o r e s u l f a t t o quando l’agente crede di realizzare un fatto diverso da quello
vietato.
L’errore sul fatto può essere sia di diritto che di fatto; avremo dunque:
 e r r o r e d i f a t t o s u l f a t t o , quando la falsa rappresentazione della realtà
fenomenica dipende da falsa rappresentazione di una situazione di fatto;
 e r r o r e d i d i r i t t o s u l f a t t o , quando la falsa rappresentazione della
realtà fenomenica dipende da falsa rappresentazione (o ignoranza) di una norma
giuridica.
7.3.3.1. L’errore di
fatto sul fatto.
I l p r i m o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 7 c . p . stabilisce che: “L ’ e r r o r e s u l f a t t o
che costituisce il reato esclude la punibilità dell ’agente”.
L’errore di fatto che esclude la punibilità è quello cd. e s s e n z i a l e , quello cioè che cade
su uno degli elementi essenziali per la sussistenza del reato; così, chi per errore asporta una
cosa altrui credendola propria, non sarà punibile, in quanto per la sussistenza del furto occorre
al conoscenza dell’altruità della cosa.
Tuttavia va specificato che l’esecutore materiale del fatto non sfuggirà alla responsabilità
per delitto colposo qualora nell’indursi ad agire abbia violato elementari misure di cautela.
Tanto è vero che, l’art. 47 1° co. secondo capoverso afferma che “Nondimeno, se si tratta di
errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge
come delitto colposo”.
Ricapitolando la disciplina di tale tipo di e r r o r e è la seguente:
 esso esclude sempre il dolo1 e, se s c u s a b i l e (cioè non dovuto a negligenza,
imprudenza e imperizia), esclude anche la colpa;
 • viceversa, se i n e s c u s a b i l e , e cioè frutto di negligenza imprudenza e
imperizia, ossia di colpa, lascia sussistere la responsabilità a titolo di colpa
(ovviamente a condizione che il fatto sia punito come reato colposo).
Chiariamo con qualche esempio:

1
Dolo ed errore sul fatto si condiziono a vicenda, in un logica di r e c i p r o c a e s c l u s i o n e , dove c’errore
sul fatto non può esservi dolo, perché l’erronea rappresentazione della realtà inibisce anche una volizione
rilevante per l’elemento psicologico del reato. Se Caio, a cagione dell’erronea rappresentazione in base a cui
agisce, non era in condizioni di “prevedere” la morte di un uomo come conseguenza della propria azione, non
può neppure averla “voluta”, nel senso rilevante per l’art. 43 c.p.

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

 Tizio apre una lettere che gli è stata consegnata per errore, in quando diretta ad un
suo omonimo: in tal caso è innegabile che ci troviamo di errore scusabile e, quindi,
Tizio non dovrà rispondere dei reati di cui agli artt. 616-620;
 Caio spara contro un ombra ed ammazza un uomo: è innegabile che in tal caso
l’errore è inescusabile in quanto dovuto a negligenza di Caio, che pertanto
risponderà di omicidio colposo;
7.3.3.1.1. L’errore
sugli elementi specializzanti della fattispecie.
Il 2 ° c o m m a d e l l ’ a r t . 4 7 dispone che “l ’ e r r o r e s u l f a t t o c h e
costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per
u n r e a t o d i v e r s o ”.
Ciò vuol dire che quando l’agente realizza la fattispecie oggettiva di un determinato reato,
rispetto al quale però per effetto dell’errore, manca il dolo, egli non cesserà per questo di
essere punibile per quel reato diverso, rispetto al quale egli era in dolo.
Chi ad esempio trattiene presso di se un minore contro la sua volontà, ma ritenendo per
errore che egli sia consenziente, non dovrà rispondere dei reati di sequestro di persona o di
violenza privata - di cui eventualmente ricorra la fattispecie oggettiva - ma dovrà, tuttavia
rispondere del delitto di “sottrazione consensuale di minorenni”, i cui estremi egli si
rappresentava compitamente e che, in realtà voleva commettere.
Tale disposizione trova applicazione in tutti i casi in cui l’errore dell’agente cada su un
requisito del fatto che abbia il ruolo di e l e m e n t o s p e c i a l i z z a n t e rispetto ad una
figura più generale (così ad es. risponderà di ingiuria, e non di oltraggio, il soggetto che
offende l’onore di un pubblico ufficiale ignorando tale qualità).
7.3.3.2. Errore di
diritto sul fatto: l’errore sulla legge extrapenale.
L’art. 47 3° co. afferma che: “L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la
punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”.
La dottrina dominante, escludendo la rilevanza dell’errore su norma penale e quindi sul
precetto, salvo le ipotesi di errore inescusabile, con riguardo all’errore su norme extrapenali,
distingue tra n o r m e i n t e g r a t r i c i del precetto penale (per cui non vi sarebbe
l’efficacia scusante dell’errore) e n o r m e n o n i n t e g r a t r i c i (per le quali l’errore su
di esse avrebbe effetto di esclusione della colpevolezza: art. 47, c. 3).
Premesso che non ogni norma che si trovi al di fuori del codice penale è extrapenale, ben
potendo individuarsi norme penali in altri rami del diritto, si ritiene che siano integratrici
quelle che danno maggiore concretezza al precetto penale precisandolo (es.: il presupposto di
pubblico ufficiale nel reato di peculato), ovvero quelle integranti le norme penali in bianco
(es.: l’elenco delle sostanze stupefacenti, contenute in un decreto ministeriale, il cui traffico
costituisce reato).
Sono norme non integratrici tutte le altre norme extrapenali (es.: le norme sulla proprietà
che consentono di identificare il concetto di «altruità» della cosa nel reato di furto).
Sicché l’errore che verta sulle norme integratrici sarebbe irrilevante ai sensi dell’art. 5, in
quanto errore su legge penale, come tale inescusabile salve le ipotesi di scusabilità; l’errore su

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Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

norma non integratrice sarebbe invece rilevante per escludere la colpevolezza ai sensi del
presente comma dell’art. 47.
Per fare un esempio, se Tizio si impossessa di una cosa altrui scambiandola per propria a
seguito di erronea interpretazione del contenuto di una sentenza civile intervenuta
sull’argomento, cade in un errore di diritto che gli impedisce di riconoscere la «qualità»
dell’altruità della cosa, percezione necessaria per configurare il dolo del reato di furto.
7.3.3.3. L’errore sul fatto determinato dall’altrui inganno.
L ’ a r t . 4 8 c . p . stabilisce: “L e d i s p o s i z i o n i d e l l ’ a r t i c o l o p r e c e d e n t e
si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce il reato
è determinato dall’altrui inganno, ma in tal caso, del fatto
commesso dalla persone ingannata risponde chi l ’ha determinato
a c o m m e t t e r l o ”.
Anche qui, come nell’ipotesi di costringimento fisico, la legge prevede il
trasferimento della responsabilità penale dall ’autore materiale
del fatto, all’autore mediato di esso.
Es. il caso in cui un cacciatore indica un compagno di battuta a sparare in direzione di un
cespuglio, dietro cui si intraveda una sagoma in movimento, assicurandogli che si tratti di un
cinghiale mentre sa benissimo che è un suo nemico.
Beninteso, l’esecutore materiale del fatto non sfuggirà alla responsabilità per delitto
colposo qualora nell’indursi ad agire sia pure per effetto dell’inganno perpetrato ai suoi danni,
abbia tuttavia violato elementari misure di cautela (come chiarito in precedenza).
7.3.4. L’errore sul diritto.
Si ha e r r o r e s u l d i r i t t o ( o sull’antigiuridicità) quando il soggetto vuole e realizza
un fatto identico a quello vietato dalla norma penale, credendo per errore che non costituisca
reato.
L’errore sul diritto può essere sia di diritto che di fatto; avremo dunque:
 e r r o r e d i f a t t o s u l d i r i t t o , quando la falsa rappresentazione della
realtà giuridica dipende da falsa rappresentazione di una situazione di fatto;
 e r r o r e d i d i r i t t o s u l d i r i t t o , quando la falsa rappresentazione della
realtà giuridica dipende da falsa rappresentazione (o ignoranza) di una norma
giuridica.
7.3.4.1. L’errore di diritto sul diritto: l’errore sulla legge penale o errore sul divieto.
L ’ e r r o r e s u l l a l e g g e p e n a l e o e r r o r e s u l d i v i e t o è disciplinato
dell’a r t i c o l o 5 che, con la regola per cui «n e s s u n o p u ò i n v o c a r e a p r o p r i a
s c u s a l ’ i g n o r a n z a d e l l a l e g g e p e n a l e » traspone, nel nostro ordinamento,
l’antico principio che si esprime col noto brocardo: «errorvel ignorantia iuris non excusat».
L’errore sulla legge penale, sia che si tratti di ignoranza della legge, sia di inesatta
interpretazione di essa, non esclude la responsabilità.
L’inflessibile disciplina di cui all’art. 5 è stata mitigata dalla s e n t e n z a 2 4 m a r z o
1988 n. 364 della Corte Costituzionale che ha dichiarato

Ver.12-10-2016 64
Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

l’illegittimità costituzionale dell ’art. 5 c.p. nella parte in cui


«non si esclude dalla inescusabilità della ignoranza della legge
f o r m a l e l ’ i g n o r a n z a i n e v i t a b i l e »: la Corte Costituzionale, quindi, ha dichiarato
scusabile, cioè penalmente rilevante e scriminante, l’e r r o r e i n e v i t a b i l e .
A tali conclusioni la Corte è giunta attraverso un’interpretazione combinata dei commi 1 e
3 dell’art. 27 Cost. Dal principio di «personalità» della responsabilità penale, nonché dalla
funzione rieducativa della pena, infatti, deve desumersi che l’ordinamento non ha ragione di
punire un soggetto il quale, pur avendo posto in essere un fatto di per sé rispondente ad una
fattispecie tipica di reato, non possa però essere rimproverato, neppure di leggerezza.
7.3.4.2. L’errore di fatto sul diritto.
7.3.4.2.1. L’erronea supposizione di un esimente..
L’art. 59 4° co. prevede che “Se l ’ a g e n t e r i t i e n e p e r e r r o r e c h e e s i s t a n o
c i r c o s t a n z e (qui “circostanze, si noti è utilizzato in senso atecnico) d i e s c l u s i o n e
della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui”.
significato dell’espressione “circostanze di esclusione della pena”
7.3.4.2.1.1. Il
Con le espressione “c i r c o s t a n z e d i e s c l u s i o n e d e l l a p e n a ”, il codice ha
inteso designare tutte quelle i p o t e s i d i n o n p u n i b i l i t à che, da un lato,
presuppongono, la realizzazione di un fatto tipico e, dall’altro, non si riferiscono
all’imputabilità o ad altre condizione o qualità personali del soggetto, rilevanti per il giudizio
di colpevolezza, che non possono essere confuse per definizione, con quelle che appartengono
al piano dell’antigiuridicità.
Su piano terminologico, per questa categoria normativa è stata proposta - come equivalente
della locuzione “circostanze di esclusione della pena” - la denominazione di e s i m e n t i . Più
precisamente, le esimenti possono essere distinte in 3 sottogruppi: I) cause di giustificazione2
(vedi in seguito); II) scusanti3; III) limiti istituzionali di punibilità4.

2
Le c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e sono circostanze particolari in presenza delle quali un fatto - che di
regola costituisce reato - non è considerato tale, in quanto è la legge stesso che lo autorizza.
3
Mentre, alla categoria delle s c u s a n t i , appartengono quelle ipotesi di non punibilità, contenute nella parte
speciale del codice che appaiono informate al p r i n c i p i o d i n o n e s i g i b i l i t à della pretesa
normativa. L’idea della inesigibilità del comando, è alla base della punibilità delle azioni, commesse in una
situazione di necessità, rispetto alle quali non appaia però praticabile la logica della giustificazione, connessa alla
sostanziale prevalenza del bene che l’azione mira a proteggere, rispetto a quello che viene sacrificato. Un ipotesi
di “scusante”, è l’esimente prevista dall’art. 384 c.p. a favore di chi commetta favoreggiamento, falsa
testimonianza e altri reati contro l’amministrazione della giustizia, per salvare se stesso o un prossimo congiunto
da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. Le scusanti si differenziano dalle cause di
giustificazione, in quanto in quest’ultime c’è sempre la prevalenza di un interesse giuridicamente tutelato; nelle
scusanti viceversa l’interesse che la legge prende in considerazione per l’esclusione della pena è solo
soggettivamente prevalente. Inoltre le scusanti, non vanno confuse con le cause di esclusione della colpevolezza,
o cause di esclusione della imputabilità, in quanto la rilevanza delle scusanti, precede, e non segue,
l’accertamento dell’imputabilità, e non può costituire la base per l’accertamento di una pericolosità sociale
dell’autore.
4
Mentre alla categoria dei l i m i t i i s t i t u z i o n a l i d e l l a p u n i b i l i t à , attengono quelle situazione in
cui il legislatore pur in presenza di un fatto antigiuridico e colpevole, p e r u n c r i t e r i o p o l i t i c o -
c r i m i n a l e d i o p p o r t u n i t à p r e f e r i s c e n o n a p p l i c a r e l a p e n a . Un esempio di limite
istituzionale di punibilità, ci è dato dall’art. 649 il dichiara non punibili i delitti non violenti contro il patrimonio
commessi in danno del coniuge non legalmente separato.

Ver.12-10-2016 65
Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

In realtà alle sole cause di giustificazione compete, in realtà, di essere qualificate come
v e r e e p r o p r i e c a u s e d i e s c l u s i o n e d e l l ’ a n t i g i u r i d i c i t à , in quanto, dal
punto di vista della sistematica del reato, le esimenti diverse dalle cause di giustificazione
devono essere collocate in uno spazio intermedio fra l’antigiuridicità e la colpevolezza, poiché
da un lato, non escludono l’illiceità del fatto alla stregua dell’intero ordinamento giuridico; e
dall’altro, non hanno ancora alcun rapporto con i giudizi individualizzanti che contrassegnano
il momento della colpevolezza.
7.3.4.2.1.2. Ambito
di applicazione.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione è pacifico, innanzi tutto che l’errore
contemplato dall’art. 59 ult. co. non riguarda i casi in cui l’agente s u p p o n g a c o m e
esistente una “circostanza di esclusione della pena” che in
r e a l t à n o n è a f f a t t o p r e v i s t a d a l l a l e g g e , ovvero attribuisca ad una
esimente, effettivamente prevista, limiti di applicabilità diversi o più ampi (come nel caso di
chi ritenesse, ad esempio, lo stato di necessità riferibile anche alla salvaguardia di beni
patrimoniali).
In entrambe queste ipotesi l’errore sull’esimente configura, infatti, un errore (indiretto) sul
divieto, che non scusa (se non nei limiti oggi apposti all’art. 5c.p.) e non ricade, pertanto,
nell’ambito di applicazione dell’art. 59, ult. co.
Questa norma, in realtà, si riferisce alle ipotesi in cui il soggetto s u p p o n e
(erroneamente) l’esistenza dei presupposti di fatto di una
e s i m e n t e : si rappresenta, cioè, per errore, una situazione di fatto tale che, se effettivamente
sussistente, renderebbe il fatto da lui commesso inquadrabile in una ipotesi esimente.
In tutte queste situazioni, al pari che nell’ipotesi di errore su una causa di giustificazione,
deve essere e s c l u s a l a c o l p e v o l e z z a d e l l ’ a g e n t e .
Esempi: Caio, in una strada buia, scambia l’amico, che scherzosamente gli si avvicina
agitando un bastone, per un aggressore, e lo ferisce; Sempronio porta via con se una cosa
altrui, equivocando sul significato di un gesto o di una parola del proprietario, che ha
scambiato per consenso all’impossessamento della cosa; Mevio, per salvarsi dal pericolo di un
incendio, danneggia gravemente l’altrui proprietà, ad es. svellendo un infisso, mentre esisteva
una diversa e agevole via di scampo. In questi casi, si parla di legittima difesa putativa, di
consenso putativo, di stato di necessità putativo, e così via.
7.3.4.2.1.3. L’erronea
supposizione di un esimente determinata da colpa.
Tuttavia l’ultimo capoverso dell’art. 59 4° co afferma che: “T u t t a v i a , s e s i
tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è
esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come
d e l i t t o c o l p o s o ”.
In altri termini per dar luogo alla non punibilità, l’errore deve essere invincibile; in caso
contrario non esclusa la responsabilità a titolo di colpa. Esempio: Tizio, che credendo di
trovarsi in una situazione di difesa, ha reagito impulsivamente senza fare affatto attenzione
alla situazione concreta, in caso di uccisione del presunto aggressore risponderà di omicidio
colposo.

Ver.12-10-2016 66
Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

7.3.4.2.2. L’errore
sulle circostanze.
A seguito della riforma attuata con la legge 7-2-1990, n. 19 sul regime delle circostanze,
l’errore ha un rilievo diverso a seconda che cada su circostanze attenuanti o su circostanze
aggravanti; in particolare:
7.3.4.2.2.1. Errore
sulla inesistenza di circostanze attenuanti: irrilevante.
L’e r r o r e s u l l a i n e s i s t e n z a d i c i r c o s t a n z e a t t e n u a n t i è irrilevante, per
cui tali circostanze si applicano anche se, per errore, l’agente le ha ritenuto inesistenti (art. 59
1° co. c.p. 5).
7.3.4.2.2.2. Errore
scusabile sulla inesistenza di circostanze aggravanti: rilevante
L’e r r o r e s c u s a b i l e s u l l a i n e s i s t e n z a d i c i r c o s t a n z e a g g r a v a n t i
è, invece, rilevante, per cui se l’agente ha, per errore scusabile, ritenuto inesistenti una o più
circostanze aggravanti, le stesse non si applicano; se, invece, l’errore è stato determinato da
colpa, le circostanze aggravanti si applicano6 (art. 59 2° co. c.p.7).
7.3.4.2.2.3. Errore
sulla esistenza di circostanze aggravanti o attenuanti: irrilevante.
Nessun rilievo ha, invece, l ’ e r r o r e s u l l a e s i s t e n z a d i c i r c o s t a n z e ,
a g g r a v a n t i o a t t e n u a n t i , che invece non esistono: tali circostanze, infatti, non si
applicheranno in nessun caso (art. 59 3° co. c.p.8).
7.3.4.2.2.4. Errore
sulla persona offesa dal reato.
Una disciplina particolare in relazione alle circostanze, è prevista dall’art. 60 si evince che
in caso di e r r o r e s u l l a p e r s o n a o f f e s a d a l r e a t o :
 non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che riguardano la
condizione o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole (1° co.)9;
 devono, invece, essere valutate a favore dell’agente le circostanze attenuanti,
erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti
(2° co.)10;
 nel caso in cui ineriscano al reato circostanze differenti dalle predette, troverà
applicazione l’ordinario regime di imputazione previsto dall’articolo 59 (3° co.)11.

5
A r t . 5 9 1 ° c o : “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente
anche se da lui non conosciute, o da lui ritenuti inesistenti”.
6
Quindi chi si impossessa di cose di ingente valore, risponderà di furto aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 7 solo se
conosceva il reale valore della cosa o era quanto meno, in condizioni di conoscerlo secondo i criteri di una
doverosa diligenza.
7
Art. 59 2° co.: “Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui
conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenuti inesistenti per errore determinato da colpa”.
8
Art. 59 3° co. c.p.: “Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non
sono valutate contro o favore di lui”.
9
Alla stregua di questa disposizione, non risponde, quindi, dell’aggravante di cui all’art. 577, n. 1 c.p. chi uccida
il proprio padre, scambiandolo però per un’altra persona, o chi commetta un reato in danno di un pubblico
ufficiale nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni (cfr. art. 61, n. 10 c.p.), ignorandone però la
qualifica.
10
Ciò significa, ad esempio, che l’attenuante della «provocazione» compete anche a chi uccide o ferisce taluno,
nella erronea convinzione di aver a che fare con la persona che ha commesso ai suoi danni un fatto ingiusto (cfr.
art. 62, n. 2 c.p.)
11
Il riesame dell’attuale portata dell’ari. 60 va completato con il riferimento al suo co. 3, che stabilisce: «Le
disposizioni di questo articolo non si applicano, se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni
o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa». Con questa disposizione, motivata dal fine di apprestare una

Ver.12-10-2016 67
Manuale di Diritto Penale Le cause generali di esclusione del fatto tipico

7.4. Ulteriori cause di esclusione della tipicità.


7.4.1. Il reato putativo (art. 49 1° co,).
Il cd. r e a t o p u t a t i v o è disciplinato dal p r i m o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 9 , per cui
“n o n è p u n i b i l e c h i c o m m e t t e u n f a t t o c o s t i t u e n t e r e a t o , n e l l a
supposizione erronea che esso costituisca reato”.
Come appare evidente dalla lettura della legge, il cd. «reato putativo» non costituisce reato
e, quindi, il soggetto che lo compie non è punibile.
La convinzione che un fatto (lecito) costituisca reato può dipendere da un errore di diritto 12
o da un errore di fatto13.
Il t e r z o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 9 fa salvo il caso in cui concorrano nel fatto gli
elementi costitutivi di un reato diverso: in tale ipotesi, quindi, il soggetto risponderà di questo
diverso reato.
7.4.2. Il reato impossibile (art. 49 2° co.)
Il s e c o n d o c o m m a d e l l ’ a r t . 4 9 stabilisce che «l a p u n i b i l i t à è e s c l u s a
quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza
dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o
p e r i c o l o s o ».
È, questa, la figura del cd. r e a t o i m p o s s i b i l e , che, si verifica in due ipotesi: I) nel
caso di inidoneità dell’azione (esempio: Tizio intende uccidere Caio con una pistola
giocattolo); II) nell’ipotesi in cui manchi l’oggetto dell’azione e cioè l’oggetto materiale del
reato (la persona o la cosa su cui cade l’attività materiale del reato).
Per comprendere la figura del reato impossibile, occorre far riferimento al principio di
offensività. L’offensività è requisito essenziale per la configurazione e punibilità di un fatto
come reato, per cui, se l’esito di una certa azione non si sostanzia nella lesione (o messa in
pericolo) di un dato bene giuridico, l’azione stessa non è offensiva e, quindi, non può
costituire reato: ecco, pertanto, che il «reato impossibile» è tale proprio perché è impossibile
che si verifichi l’evento dannoso o pericolo (art. 49 comma 2).

rafforzata tutela ai soggetti più deboli (minori, infermi di mente, incapaci) il legislatore, circoscrivendo
l’efficacia dell’art. 60, ripristinava, dunque, la regola generale della rilevanza oggettiva delle circostanze. Nel
contesto dell’attuale normativa, però, il rinvio alla disciplina generale implica come conseguenza che, anche in
relazione alle circostanze concernenti l’età o altre condizioni e qualità fisico–psichiche della persona offesa,
debba valere la regola per cui l’agente può rispondere della circostanza aggravante solo se questa era da lui
conosciuta, o conoscibile con l’ordinaria diligenza. Non sarà dunque imputabile l’aggravante di cui all’art. 4,
legge n. 75/58 a colui che agevoli la prostituzione di una minorenne, credendola maggiorenne per errore
scusabile o di chi determini al suicidio un minore degli anni diciotto, ignorandone incolpevolmente la minore età
(cfr. art. 580, in rel. all’art. 579, n. 1 c.p.).
12
Reato putativo per errore di diritto è quello di chi crede erroneamente che il fatto da lui commesso è punito da
una norma penale.
13
Si ha invece reato putativo per errore di fatto in una delle seguenti ipotesi: a) il soggetto crede di commettere
un reato, mentre in realtà manca uno degli elementi essenziali richiesti per la sua sussistenza: è il caso di chi
asporta una cosa propria credendola altrui; b) il soggetto crede di commettere un reato, mentre agisce in presenza
di una causa di giustificazione: è il caso di chi crede di rubare mentre in realtà sussiste il consenso dell’avente
diritto; e) il soggetto crede erroneamente di avere uno dei requisiti richiesti per commettere un reato proprio: è il
caso di chi, ritenendosi imprenditore, crede di commettere bancarotta.

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

Capitolo 8°
L’antigiuridicità e le cause di giustificazione
8.1. Premessa.
L’a n t i g i u r i d i c i t à consiste nel contrasto tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico.
Perché un determinato fatto possa considerarsi antigiuridico (e quindi costituire “reato”),
non è sufficiente la corrispondenza tra il fatto e la fattispecie legale; in alcuni casi, infatti,
determinate condotte — che di regola costituiscono «reato» — non sono considerate tali, in
quanto è la legge stessa che le autorizza o addirittura le impone: tali situazioni particolari sono
comunemente indicate come c a u s e o g g e t t i v e d i e s c l u s i o n e d e l r e a t o ,
cause di giustificazione o scriminanti.
Nella struttura del reato, l’antigiuridicità si sostanzia dunque nella mancanza delle
c.d.”cause di giustificazione”. In dottrina vengono definite c a u s e di
g i u s t i f i c a z i o n e (o cause di oggettive di esclusione dal reato) quelle situazioni
normativamente previste, in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme
ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico. Pertanto, in presenza di tali
situazioni, un fatto che sarebbe altrimenti reato, tale non è perché norma permissiva lo
consente o lo impone.
Le scriminanti vengono inquadrate nella più ampia categoria delle c i r c o s t a n z e d i
e s c l u s i o n e d e l l a p e n a o e s i m e n t i che a loro volta, vengono suddivise in:
 c a u s e d i g i u s t i f i c a z i o n e , vere e proprie cause di esclusione
dell’antigiuridicità (ad es.: il consenso dell’avente diritto, la legittima difesa, lo
stato di necessità);
 s c u s a n t i , fondate sull’inesigibilità della pretesa normativa (si pensi
all’esclusione della punibilità in caso di assistenza ai partecipi di banda armata o
associazione per delinquere, se il fatto è commesso «in favore di un prossimo
congiunto», prevista dagli artt. 307 e 418)
 e l i m i t i i s t i t u z i o n a l i d e l l a p u n i b i l i t à , in base ai quali lo stato
rinuncia alla pretesa di obbedienza per ragioni di opportunità politico-criminale (si
pensi al caso di non punibilità per i delitti non violenti contro il patrimonio
commessi in danno del soggetto appartenente all’ambito familiare, caso previsto
dall’art. 649).
8.1.1. La fonte delle singole fattispecie permissive.
La norma permissiva può essere r i n v e n u t a n o n s o l o n e l d i r i t t o p e n a l e ,
m a a n c h e i n a l t r i r a m i d e l l ’ o r d i n a m e n t o g i u r i d i c o . Ne deriva
l’impossibilità di fornire un catalogo esaustivo delle cause di giustificazione che al contrario
corrispondono ad un elenco aperto suscettivo di essere arricchito per via interpretativa.
8.1.1.1. La mancanza del di divieto di analogia.
In tale prospettiva va evidenziato che in materia di cause di giustificazione infatti n o n
v i g e i l d i v i e t o d i a n a l o g i a , e ciò per almeno due buone ragioni: I) in primo luogo

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

le disposizioni che contemplano ipotesi di non punibilità non sono propriamente norme penali
(quand’anche contenute nel codice penale); II) inoltre il divieto di analogia opera in malam
parte (cioè quando si tratti della creazione di nuova forma incriminatrice) e non in bonam
partem, quindi non impedisce l’estensione del principio ispiratore di una norma limitativa
della responsabilità penale.
8.2. Il consenso dell’avente diritto.
8.2.1. L’art. 50 c.p.
L’a r t . 5 0 c . p . stabilisce che: “N o n è p u n i b i l e c h i l e d e o p o n e i n
pericolo un diritto col consenso della persona che può
v a l i d a m e n t e d i s p o r n e ”.
Esempi: Tizio presta il suo consenso alla distruzione di un piccolo manufatto di sua
proprietà, perché Caio possa raggiungere con un escavatore il suo fondo allo scopo di
eseguirvi dei lavori; Sempronio consente a un ricercatore di inoculargli il virus del raffreddore
per poter studiare le capacità immunizzanti di tale procedimento.
8.2.2. La ratio.
Il fondamento specifico di questa ipotesi di non punibilità viene generalmente indicato nel
venir meno dell’interesse, da parte dell’ordinamento, alla tutela di un bene giuridico, alla cui
integrità lo stesso titolare del bene non mostra di avere interesse (ovvero subordina tale
interesse al raggiungimento di un diverso scopo, il cui conseguimento è per lui di prevalente
importanza).
8.2.3. Distinzione dall’ipotesi in cui il consenso esclude la stessa tipicità del fatto
Presupposto per l’applicabilità della causa di giustificazione in esame è che né il dissenso
né il consenso assurgano ad elementi costitutivi del reato; in tal caso, infatti, il consenso fa
venir meno non solo l’antigiuridicità bensì lo stesso fatto tipico.
Così, ad esempio, se io mi introduco nella casa di Tizio perché da lui invitato (e, quindi col
suo consenso), non sarò scriminato dal delitto di violazione di domicilio per aver commesso il
fatto col consenso del titolare dello ius excludendi ma perché non ho commesso alcuna
violazione di domicilio.
8.2.4. La natura giuridica e la revoca.
Secondo la dottrina, il consenso andrete qualificato come un a t t o g i u r i d i c o i n
s e n s o s t r e t t o , e cioè come permesso col quale si attribuisce al destinatario un potere di
agire che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell’avente diritto e non trasferisce
alcun diritto in capo all’agente; da tale natura del consenso deriverebbe la sua
r e v o c a b i l i t à i n o g n i t e m p o , a meno che l’attività consentita, per le sue
caratteristiche, non possa essere interrotta se ad non ad avvenuto esaurimento.
Dunque il consenso è per sua natura revocabile e la revoca produce l’effetto di farlo venir
meno appena esteriorizzata; ovviamente se l’agente non era a conoscenza della revoca potrà
sempre invocare il consenso putativo ex art. 59 3° co. (vedi infra).

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

8.2.5. L’oggetto del consenso.


Oggetto del consenso deve essere un diritto disponibile:
per individuare quali, tra i beni giuridici tutelati dalle norme penali, possono ritenersi
disponibili e quali indisponibili, ci si avvale di un criterio guida secondo il quale sono
indisponibili quei diritti che soddisfano, oltre all’interesse individuale del titolare, anche
interessi superindividuali appartenenti alla collettività. In particolare:
 sono, d i s p o n i b i l i : i diritti patrimoniali (salvi i casi in cui la legge ne limita la
disponibilità); alcuni diritti inerenti alla personalità morale (es.: l’onore; al riguardo
si è affermato che il consenso è valido soltanto se riferito ad offese episodiche);
parzialmente disponibile, nei limiti posti dall’art. 5 c.c., è il bene dell’integrità
fisica;
 sono invece d i r i t t i i n d i s p o n i b i l i : gli interessi che fanno capo allo Stato,
alla collettività non personificata (ordine pubblico, incolumità pubblica, economia
pubblica, fede pubblica), agli enti pubblici, alla famiglia; il diritto alla vita della
singola persona ed il diritto alla libertà personale (in particolare la libertà psico-
motoria).
8.2.6. I requisiti di validità del consenso.
Il consenso è un mero atto giuridico sempre revocabile; ed è valido se presenta i seguenti
requisiti:
 p r e s t a t o d a l t i t o l a r e d e l l ’ i n t e r e s s e p r o t e t t o : legittimato a
prestare il consenso è il titolare dell’interesse protetto dalla norma e cioè colui che,
altrimenti, sarebbe il soggetto passivo del reato; se più sono i titolari del diritto il
consenso è valido solo se prestato da tutti;
 il titolare del diritto, per poter validamente esprimere il proprio consenso ne deve
avere la capacità: la teoria maggioritaria ritiene che tale capacità di agire si risolva
in una c a p a c i t à d i i n t e n d e r e e d i v o l e r e d a a c c e r t a r e
c a s o p e r c a s o : occorre, quindi che il giudice verifichi di volta in volta che il
consenziente possegga una maturità sufficiente a comprendere il significato del
consenso prestato.
 per essere efficace, ovviamente il consenso deve essere p r e s t a t o
l i b e r a m e n t e : un “consenso” prestato per effetto di minaccia o violenza non è,
evidentemente, un vero consenso;
 deve essere i m m u n e d a e r r o r e e d o l o : non deve, cioè, essere stato
prestato per effetto di un inganno, perpetrato dall’autore del fatto o da terzi; né deve
comunque essere viziato da un errore di chi presta il consenso1;

1
Da ciò deriva la necessità (particolarmente rilevante in casi delicati come nel trattamento medico-chirurgico)
che chi presta il consenso sia perfettamente informato e consapevole di ciò cui consente, dovendo infatti
riguardare tutti gli aspetti dell’azione che il destinatario andrà a compiere (così, ad esempio, nel caso di consenso
ad un’operazione medico-chirurgica è necessario che il paziente sia a conoscenza della diagnosi e sia al corrente
degli eventuali pericoli che l’operazione può comportare).

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

 f o r m a : il consenso, poi, d e v e e s s e r e m a n i f e s t a t o a l l ’ e s t e r n o
s e n z a v i n c o l i d i f o r m a , essendo sufficiente che la volontà sia comunque
riconoscibile; esso può anche essere desunto dal comportamento oggettivamente
univoco dell’avente diritto (c.d. c o n s e n s o t a c i t o );
 il consenso deve essere infine a t t u a l e , cioè deve sussistere al momento in cui il
fatto viene compiuto: se prestato anteriormente, quindi è necessario che non sia
stato revocato, mentre se successivo non scrimina (almeno che non si tratti di
consenso putativo o presunto: vedi infra).
8.2.7. Consenso putativo e il consenso presunto.
Si ha c o n s e n s o p u t a t i v o quando l’agente suppone erroneamente esistente il
consenso della persona titolare del diritto; in tal caso chi agisce non è punibile in base all’art.
59 3° co. c.p.
Si ha, invece, c o n s e n s o p r e s u n t o quando l’agente sa che non vi è il consenso, ma
compie ugualmente l’azione perché essa appare vantaggiosa per l’avente diritto (si pensi a chi
si introduce nell’abitazione del vicino allo scopo di spegnere l’incendio).
Si ritiene pertanto che, per attribuire efficacia giustificante a un consenso solamente
presunto, ma in realtà non esistente, sia necessario che l’erronea convinzione dell’autore sia
fondata su circostanze tali, da lasciar desumere con elevato grado di probabilità l’esistenza del
consenso, o da giustificare la ragionevole presunzione che esso sarebbe stato dato, se il
titolare del bene fosse stato a conoscenza delle circostanze che hanno indotto l’autore a
compiere il fatto.
In particolare il consenso presunto giustifica sia:
 un’azione intrapresa nell’interesse del titolare che configura un’ipotesi di
negotiorum gestio (oltre l’esempio già proposto di chi si introduca nell’abitazione
altrui per spegnere un incendio, si menziona di solito quella dell’intervento
chirurgico di pronto soccorso su soggetto in stato di incoscienza);
 un’azione rispetto alla quale pare manchi un interesse del soggetto passivo alla
tutela del bene (si pensi alla moglie che regali gli abiti smessi del marito ad un
mendicante o chi si impossessi di qualche frutto caduto da un albero ed
abitualmente non raccolto dal proprietario).
8.3. L’esercizio di un diritto.
8.3.1. Nozione.
Ai sensi dell’a r t . 5 1 non è p u n i b i l e c h i h a c o m m e s s o i l f a t t o p e r
esercitare un proprio diritto.
8.3.2. Ratio.
La ratio di tale disposizione risiede nel p r i n c i p i o d i n o n c o n t r a d d i z i o n e : se
l’ordinamento ha attribuito ad un soggetto un diritto e la conseguente facoltà di agire l’azione
riconosciuta non può integrare un fatto penalmente rilevante.

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8.3.3. La nozione e fonte del diritto ai sensi dell’art. 51.


Ai sensi dell’art. 51 per d i r i t t o si intende q u a l s i a s i p o t e r e g i u r i d i c o d i
a g i r e (diritti soggettivi, diritti potestativi, facoltà giuridiche).
F o n t e d e l d i r i t t o scriminante può essere una legge in senso stretto, un regolamento,
un atto amministrativo, un provvedimento giurisdizionale (sentenze, ordinanze, decreto), un
contratto di diritto privato, la consuetudine, una fonte comunitaria.
8.3.4. I limiti dell’esercizio del diritto.
L’’esistenza e l’esercizio del diritto non sono sufficienti ad escludere automaticamente la
punibilità del fatto commesso; occorre, altresì, che la stessa norma che riconosce il diritto
consenta, almeno implicitamente, di esercitarlo mediante quella determinata azione che di
regola costituisce reato. Ciò posto, possiamo distinguere due ordini di limiti
 l i m i t i i n t r i n s e c i : sono desumibili dalla ratio e dal contenuto astratto della
norma da cui promana il diritto (così, ad esempio, il potere di distruggere la cosa
propria incontra come limiti intrinseci quelli fissati dall’art. 423, c. 2, secondo cui
è punito chi incendia la cosa propria se dal fatto deriva pericolo per la incolumità
pubblica);
 l i m i t i e s t r i n s e c i : si ricavano dal complesso dell’ordinamento giuridico,
compreso quello penale, e sono volti alla salvaguardia di quei diritti o interessi che
risultano, sulla base di un giudizio di bilanciamento, di valore uguale o maggiore
di quello del cui esercizio si discute. Così ad es. il diritto di cronaca giornalistica,
riconosciuto dell’art. 21 Cost., trova un limite nell’esigenza di tutelare l’onore e la
dignità della persona quali valori di pari rango costituzionale. Ecco che il diritto di
cronaca é correttamente esercitato se riguardi notizie veritiere, sia esercitato con
adeguate modalità e sussista un interesse pubblico alla loro conoscenza.
8.4. L’adempimento del dovere.
8.4.1. Nozione.
Sempre ai sensi dell’art. 51 n o n è p u n i b i l e c h i h a c o m m e s s o i l f a t t o
per adempiere un dovere imposto da un norma giuridica o in un
ordine legittimo dell’autorità.
Esempio classico di adempimento di un dovere è quello dell’agente di polizia che procede
a un arresto in flagranza privando così taluno della libertà personale.
8.4.2. Ratio.
La ratio di tale disposizione va individuata nel p r i n c i p i o d i n o n
c o n t r a d d i z i o n e : l’ordinamento non può, ad un tempo, imporre un certo
comportamento e vietarlo.
Questa esimente ha in comune con quella dell’esercizio del diritto il fatto di consistere in
un comportamento ammesso dalla legge. Tuttavia mentre l’esercizio del diritto presuppone
una possibilità di scelta se agire o meno, l’adempimento del dovere presuppone che il
comportamento sia imposto al soggetto.

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

8.4.3. Fonti del dovere.


Il dovere può scaturire da un “norma giuridica” o da “un ordine legittimo della pubblica
autorità”.
8.4.3.1. Dovere determinateda una norma giuridica.
Per n o r m a g i u r i d i c a s’intende qualsiasi regola di diritto, scritta o consuetudinaria,
sia del potere legislativo che del potere esecutivo (regolamento) (esempi: agente di polizia
giudiziaria il quale compie una perquisizione domiciliare; ufficiale giudiziario che procede a
un pignoramento etc.).
8.4.3.2. Dovere derivante da ordine dell’Autorità.
Per o r d i n e si intende ogni manifestazione di volontà che un superiore rivolge ad un
inferiore perché questi tenga un determinato comportamento. L’ordine, per essere vincolante,
deve essere l e g i t t i m o sia dal punto di vista formale che sostanziale.
Dal p u n t o d i v i s t a s o s t a n z i a l e devono ricorro tutti i presupposti della legge per
l’emanazione dell’ordine.
Dal p u n t o d i v i s t a f o r m a l e :
 deve essere emanato nella forma e secondo la procedura prescritta dalla legge;
 tra colui che da l’ordine e colui che lo riceve deve esserci un rapporto di
supremazia-subordinazione di diritto pubblico;
 il superiore deve essere competente ad emanarlo;
 l’inferiore deve competente ad eseguirlo.
8.4.3.2.1. L’ipotesi
di ordine illegittimo: la responsabilità.
Se l’ordine è illegittimo, la responsabilità del reato
ricade sempre sul pubblico ufficiale che lo ha impartito
(art. 51 2° co. c.p.2) .
Tuttavia va specificato che il requisito della legittimità dell’ordine comporta che il
subordinato abbia il diritto e il dovere di sindacare se esso sia legittimo; tale sindacato investe
non solo la legittimità formale, ma anche la legittimità sostanziale dell’ordine. Ciò comporta
che l’esecutore dell’ordine risponde in concorso con chi ha dato l’ordine a meno che:
 per errore di fatto abbai ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo3 (art. 51 3° co.4);
 la legge non gli consenta alcun sindacato sulla legittimità dell’atto (art. 51 4° co.
c.p.5). Si fa riferimento a rapporti di subordinazione di natura militare o assimilati

2
Il comma 2 dell’art. 51 afferma che “S e u n f a t t o c o s t i t u e n t e r e a t o è c o m m e s s o p e r
ordine dell’Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che
h a d a t o l ’ o r d i n e ”.
3
Se, ad esempio, un soldato, credendo che sussista ancora lo stato di assedio in una città, obbedisce all’ordine di
un suo ufficiale di sparare contro alcuni passanti, non risponderà del reato a causa dell’errore sul fatto in cui
versa. In tal caso, l’impunità deriva dalla considerazione che l’errore di fatto esclude il dolo.
4
Art. 51 3° co.: “Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto
di obbedire ad un ordine legittimo”.
5
Il comma 4 dell’art. 51 afferma che: “Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli
consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”.

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Manuale di Diritto Penale L’antigiuridicità e le cause di giustificazione

(es.: agenti di polizia, pompieri etc.); in tali casi la legge impone l’obbligo della più
stretta e pronta obbedienza6.
8.5. La difesa legittima.
8.5.1. L’art. 52 c.p.
La l e g i t t i m a d i f e s a è prevista dall’art. 52 che afferma: “N o n è p u n i b i l e c h i
ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità
di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo
attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
p r o p o r z i o n a t a a l l ’ o f f e s a ”.
8.5.2. Ratio.
Alla base della non punibilità dell’azione commessa in stato di legittima difesa vi è il
diritto di autotutela del singolo e le esigenze di difesa del diritto contro l’illecito.
8.5.3. Elementi.
Affinché si abbia legittima difesa vi deve essere quindi un’aggressione accompagnata da
una reazione.
8.5.3.1. Aggressione.
L’a g g r e s s i o n e deve presentare i seguenti caratteri:
 o g g e t t o d e l l ’ a g g r e s s i o n e d e v e e s s e r e u n d i r i t t o : la
dottrina intende il termine diritto in un’accezione ampia comprensiva di qualsiasi
d i r i t t o s o g g e t t i v o d e l l a p e r s o n a , alla vita, alla integrità fisica,
delle personalità, dignità personale, riservatezza, immagine, nonché del patrimonio,
attribuito a tutela di un interesse individuale (la legittima difesa implica infatti una
facoltà di autotutela non è esercizio da parte dei privati di funzioni di polizia).
Inoltre si ricorsi che è legittima, è anche la difesa di un diritto altrui (intendendosi
per «altrui» anche uno sconosciuto), la c.d. d i f e s a a l t r u i s t i c a o
soccorso difensivo;
 i n g i u s t i z i a d e l l ’ a g g r e s s i o n e : l’offesa può consistere anche in una
minaccia o in una omissione (è il caso di Tizio che, ponendosi davanti alla porta,
impedisce a Caio di entrarvi). L’ingiustizia si verifica allorquando l’offesa sia
c o n t r a i u s (cioè contraria a precetti dell’ordinamento giuridico) o n o n i u r e ,
cioè non deve essere espressamente autorizzata dall’ordinamento giuridico, per cui
non può invocare tale scriminante il ladro che reagisce contro il pubblico ufficiale,
il quale tenti nell’adempimento dei propri doveri funzionali, di trarlo in arresto;
 deve dar luogo ad un pericolo attuale e
i n v o l o n t a r i o : si ritiene che affinché l’aggressione possa legittimare una
difesa, è necessario che la prima dia luogo ad un pericolo attuale7 e involontario8.
6
L’insindacabilità, però, è solo sostanziale mai formale, p e r c u i s a r à s e m p r e p o s s i b i l e
per il subordinato verificare: la forma dell’ordine; l’attinenza
d e l l ’ o r d i n e a l s e r v i z i o ; l a c o m p e t e n z a d e l l ’ a u t o r i t à o r d i n a n t e . In
particolare, secondo la dottrina, nell’ipotesi di manifesta criminosità dell’ordine l’inferiore non è più vincolato
alla pronta obbedienza ma ha il diritto-dovere di opporre un rifiuto; è il caso dell’ufficiale di polizia, ubriaco o
impazzito che ordina di sparare su una pacifica folla.

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8.5.3.2. Reazione.
La reazione consta di tre elementi:
 c o s t r i z i o n e : sebbene discusso, generalmente si ammette che la costrizione
sia elemento essenziale della legittima difesa, distinto dalla necessità (l’art. 52
dispone, infatti: “... costretto dalla necessità ...”). La costrizione implica un conflitto
di interessi nell’ aggredito, il quale deve trovarsi nell’alternativa “bloccata” di
reagire o di essere offeso: non ricorre, quindi, quando l’ agente ha intenzionalmente
provocato o ha consapevolmente accettato o non evitato il pericolo9;
 n e c e s s i t à d i d i f e n d e r s i : la “necessità di difendersi” importa che la
reazione rappresenti la soluzione inevitabile per sottrarsi alla offesa e sia
obiettivamente idonea il neutralizzarla. Sia l’inevitabilità che l’idoneità vanno
valutate in concreto.
 p r o p o r z i o n e c o n l ’ o f f e s a : la proporzionalità sussiste ove il male
provocato dall’aggredito all’aggressore risulta essere inferiore, uguale o
tollerabilmente superiore a quello subito; pertanto, non vi è proporzione quando
con un bastone o con altro corpo contundente si uccida chi, con lo stesso, si
limitava a percuotere. La sussistenza del rapporto di proporzione tra offesa e
reazione, è normalmente, oggetto di accertamento da parte del giudice. Tuttavia, a
seguito dei correttivi effettuati sul testo dell’art. 52 c.p. ad opera della L. 13
febbraio 2006, n. 59, tale proporzione è presunta per legge ove l’aggressione
avvenga nel domicilio dell’aggredito o nel suo luogo di lavoro, nei limiti e nelle
condizioni di cui ai neointrodotti commi 2 e 3 dell’articolo 52.
8.6. L’uso legittimo delle armi.
8.6.1. L’art. 53 c.p..
L’art. 53 afferma che: “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è
punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso
ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è
costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e
comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione,

7
Attualità del pericolo è ovviamente, esclusa, quando il pericolo di offesa è stato altrimenti scongiurato, e quindi
non è più esistente, al momento dell’azione; ma anche quando l’offesa è stata ormai irrimedibilmente consumata:
in tal caso, infatti, non di azione “difensiva” si tratterebbe, bensì una azione “punitiva”, e cioè di mera ritorsione.
Si pensi a chi percuota o ferisca taluno, incontrandolo casualmente in strada, avendolo riconosciuto come colui il
quale più volte, in precedenza, si é introdotto abusivamente nel suo fondo.
8
Anche se l’art. 52, a differenza dell’art. 54 (vedi infra), non richiede espressamente l’estremo della
involontarietà del pericolo, la giurisprudenza costante afferma l’inapplicabilità dell’esimente a favore di chi sia
messo volontariamente nella situazione di pericolo, conoscenza il rischio cui andava incontro.
9
È in questa chiave che va affrontata la problematica del c.d. c o m m o d u s d i s c e s s u s : espressione con
cui ci si riferisce alle ipotesi in cui il soggetto poteva, senza rischio alcuno, sottrarsi al pericolo con la fuga,
cosicché non si potrebbe dire che egli si trovava “costretto” a reagire. In questo caso la reazione difensiva resta
del tutto legittima, se la fuga - pur costituendo una reale alternativa - esporrebbe tuttavia l’aggredito a rischi
analoghi, o addirittura maggiori di quelli creati dall’aggressione; o a rischi diversi, ma egualmente gravi (si pensi
al pericolo di un infarto), per lui o per i terzi (ad es., i passanti che potrebbero essere investiti nel caso di una
precipitosa fuga in macchina).

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disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro
di persona.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico
ufficiale, gli presti assistenza.
La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo
di coazione fisica.”
8.6.2. Ratio
Tale norma trova il suo fondamento giuridico nella necessità di consentire al pubblico
ufficiale l’uso delle armi al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio.
8.6.3. Soggetti che possono invocare l’esimente.
Quella prevista dall’art. 53 è una e s i m e n t e p r o p r i a , nel senso che possono
invocarla solo i soggetti da essa indicati (in pratica possono invocarla solo quei p u b b l i c i
ufficiali che, per motivi di ufficio, possono portare armi
s e n z a l i c e n z a , è cioè soltanto gli appartenenti alla forza pubblica: polizia, carabinieri,
guardia di finanza etc.).
L’esimente in esame è applicabile inoltre a t u t t i i s o g g e t t i , c h e s u l e g a l e
richiesta del pubblico ufficiale, gli prestino assistenza.
La richiesta del p.u. al privato è “legale”, quando è stata fatta nei limiti e nei casi previsti
dagli artt. 652 c.p. e 380 c.p.p. In ogni caso la richiesta deve essere formulata espressamente
dal pubblico ufficiale e deve intervenire prima dell’uso delle armi, non essendo sufficiente un
consenso a posteriori.
8.6.4. Condizioni per l’applicazione.
8.6.4.1. L’impossibilità di invocare la legittima difesa e l’adempimento del dovere.
L’art 53 esordisce con l’affermare “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli
precedenti…”. Da tale clausola di riserva si evince che la causa di giustificazione in esame ha
n a t u r a s u s s i d i a r i a , essendo invocabile solo qualora difettino i presupposti della
legittima difesa e dell’adempimento del dovere.
8.6.4.2. Il
fine di adempiere un dovere di ufficio.
Il pubblico ufficiale deve essere indotto ad agire al fine di adempiere un dovere del proprio
ufficio: vengono esclusi pertanto dalla previsione legislativa non solo i casi in cui il soggetto
abbia di mira un fine privato (es.: uno scopo di vendetta), ma anche i casi in cui abbia per fine
l’adempimento di una facoltà e non un dovere del proprio ufficio.
8.6.4.3. Lanecessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza o di impedire la
consumazione dei delitti di strage, etc.
Il pubblico ufficiale deve essere costretto ad usare le armi in situazioni di assoluta
necessità; il ricorso alle armi deve essere una e x t r e m a r a t i o cui si può fare ricorso
soltanto quando il fine non può raggiungersi in altro modo, salvaguardando sempre l’integrità
fisica degli individui (es.: ricorrendo all’uso di idranti, lacrimogeni etc.). Tra l’interesse offeso
e quello tutelato dall’adempimento del dovere deve esserci proporzione.
Tale necessità deve essere quella di:

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 r e s p i n g e r e u n a v i o l e n z a : con il termine “v i o l e n z a ” si intende


qualsiasi impiego di forza fisica posto in essere nei confronti del pubblico ufficiale.
Non è richiesto che essa configuri il reato previsto dall’art. 336 (violenza o
minaccia a pubblico ufficiale), essendo sufficiente una qualsiasi violenza purché si
concretizzi in un atteggiamento minaccioso;
 v i n c e r e u n a r e s i s t e n z a : la dottrina ritiene che nel concetto di
resistenza a cui fa riferimento l’art. 53 va fatta rientrare tanto la r e s i s t e n z a
a t t i v a , che si concreta nell’effettiva opposizione di una forza illegittima, quanto
quella p a s s i v a , quale l’inerzia o la fuga per impedire al pubblico ufficiale di
adempiere un dovere di ufficio10. Perché si configuri la resistenza non è necessaria
che ricorrano gli estremi per il reato di cui all’art. 337 (resistenza a un pubblico
ufficiale);
 i m p e d i r e l a c o n s u m a z i o n e d e i d e l i t t i di: I) strage; II)
naufragio; III) sommersione; IV) disastro aviatorio; V) omicidio volontario; VI)
rapina a mano armata; VII) sequestro di persona11.
8.7. Lo stato di necessità.
8.7.1. L’art. 54 c.p.
Ai sensi dell’art. 54 c.p. “N o n è p u n i b i l e c h i h a c o m m e s s o i l f a t t o p e r
esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona da lui
non volontariamente causato né altrimenti evitabile sempre che
i l f a t t o s i a p r o p o r z i o n a t o a l p e r i c o l o ”.
8.7.2. La differenza rispetto alle altre cause di giustificazione.
Ciò che contrassegna lo stato di necessità, rispetto ad altre cause di giustificazione in
particolare la legittima difesa e l’uso legittimo delle armi - non è l’esistenza di un conflitto di
interessi, in quanto tale; né la necessità di agire per la salvaguardia di un bene giuridico (dati,
questi, comuni anche ad altre ipotesi), ma l’impossibilità di inserire il conflitto di interessi in
uno schema di contrapposizione fra “diritto” e “illecito”.
Nella legittima difesa, ad esempio, all’origine del pericolo per il bene, c’è, per definizione,
la condotta ingiusta di un aggressore; e la reazione difensiva, in presenza degli altri requisiti,
si “giustifica” appunto in quanto si dirige contro un interesse dell’aggressore.
Vi sono, però, innumerevoli situazioni, in cui la necessità di agire con prontezza per
scongiurare un pericolo incombente non può essere ricondotta a questo schema. Può accadere,

10
Esempi di resistenza passiva sono quella opposta dagli scioperanti che si distendono sui binari per impedire il
passaggio dei treni, oppure la fuga per sfuggire alla cattura.
11
L’ultimo comma dell’art. 53 richiama gli altri casi in cui la legge consente l’uso della armi. Rientrano tra essi:
I) l’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica da parte della forza pubblica per l’esecuzione dei
provvedimenti di pubblica sicurezza, quando gli interessati non vi ottemperino (art. 5 T.U.L.P.S.); II) l’uso di
armi da parte degli agenti di polizia per impedire i passaggi abusivi delle frontiere dello Stato o per arrestare
persone in attitudine di contrabbando (l. 4-3-1958, n. 100); III) l’uso di armi per impedire le evasioni dei detenuti
o violenza tra i medesimi (art. 41, l. 26-7-1975, n. 354). In tali casi, naturalmente l’uso delle armi è legittimo
quando ricorrono le condizioni indicate nelle stesse norme che lo prevedono, senza che siano richieste anche le
condizioni di cui all’art. 53 c.p.

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innanzi tutto, che la situazione di pericolo non sia in alcun modo riconducibile a una condotta
umana, ma sia l’effetto di eventi naturali - e perciò giuridicamente del tutto neutri - come
l’incendio causato da un fulmine, o il naufragio di una imbarcazione a seguito di una
improvvisa tempesta.
Ma, soprattutto, quale che sia la fonte del pericolo, può comunque accadere che l’azione
diretta a scongiurarlo implichi il pregiudizio dell’interesse di un terzo, perfettamente estraneo
al determinarsi della situazione pericolosa.
Si pensi, da un lato, a chi sia costretto a sfondare l’uscio di una casa altrui, per cercare
riparo da una bufera di neve che l’ha colto durante una escursione in alta montagna; dall’altro,
a chi si impossessi di un’autovettura, per sfuggire all’inseguimento di un malvivente che lo
minaccia con una pistola; o, infine, al naufrago che impedisca a un compagno dì sventura di
aggrapparsi alla provvidenziale tavola di ponte, a cui egli si è afferrato, e che non potrebbe
sostenere il peso di entrambi.
In tutti questi casi - pur così diversificati sotto molti profili - l’insorgere della situazione di
pericolo, da cui ha origine la necessità, non può essere ricondotta a un comportamento del
soggetto, la cui sfera giuridica viene ad essere intaccata dall’azione “necessitata”. Ciò
nonostante , si opera una distinzione tra:
 stato di necessità “d i f e n s i v o ”: allorché la fonte del pericolo è in qualche modo
riconducibile alla sfera del titolare dell’interesse che viene sacrificato: come nel
caso di chi provveda a demolire un manufatto del vicino, che minaccia di crollare
rovinosamente, con pericolo per l’incolumità delle persone;
 stato di necessità “a g g r e s s i v o ”: quando il terzo colpito nei suoi interessi è
completamente estraneo rispetto alla situazione pericolosa da cui nasce la necessità
di agire: come nell’esempio dei due naufraghi, o di chi trovi rifugio dalla bufera in
un’abitazione altrui.
8.7.3. Gli elementi.
Affinché si configuri la fattispecie dello stato di necessità vi deve essere quindi un pericolo
accompagnato ad una azione lesiva.
8.7.3.1. Il
pericolo.
La situazione di pericolo si sostanza nel “pericolo attuale di una danno grave alla persona”;
indifferente è la fonte di tale situazione (forze naturali o animali, aggressione di un uomo)
purché:
 i l p e r i c o l o s i a a t t u a l e : analogamente alla legittima difesa, il pericolo,
nella stato di necessità deve essere attuale: attualità non vuol dire solo imminenza
del danno bensì anche probabilità che esso si verifichi senza implicare che il danno
sia incombente;
 il danno sia idoneo a minacciare un danno grave
a l l a p e r s o n a : mentre la legittima difesa è riconosciuta all’individuo per la
tutela di qualsiasi “diritto”, l’azione commessa in stato di necessità va esente da

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pena, solo quando si sia trattato di scongiurare un “danno grave12 alla persona”13.
È chiaro dunque che lo stato di necessità n o n r i c o r r e m a i q u a n d o
l’evento temuto sia di natura patrimoniale;
 per l’applicabilità dell’esimente dello stato di necessità, l’art. 54 richiede anche,
esplicitamente, che il pericolo n o n s i a s t a t o v o l o n t a r i a m e n t e
c a u s a t o d a l l ’ a g e n t e . Nella situazione di pericolo da cui ha origine la
necessità il soggetto deve essere capitato involontariamente: se egli non ha subito
l’alternativa, ma l’ha, viceversa, creata, o ha contribuito a crearla14, la sua azione
non può essere scusata (né tanto meno giustificata), poiché non sussistono i
presupposti su cui si fonda l’irriducibilità della scelta e la conseguente costrizione
ad agire15.
8.7.3.2. L’azionelesiva.
L’a z i o n e l e s i v a di chi reagisce deve essere:
 i n e v i t a b i l e (o costretta): nel senso che il soggetto deve trovarsi nella
alternativa di agire o subire un danno grave alla persona. Non è ritenuta sufficiente
una semplice necessità, ma occorre che la stessa sia imperiosa e cogente, tale da
non lasciare altra scelta che quella di ledere il diritto di un terzo. Pertanto quando la
commissione del reato è evitabile, ad es. con la fuga, l’azione dell’agente non è mai
giustificabile;
 p r o p o r z i o n a t a a l p e r i c o l o : l’orientamento tradizionale fonda tale
giudizio di proporzione sul rapporto di valore tra i beni confliggenti, di modo che
sussiste la proporzione tra fatto e pericolo quando il bene minacciato (es.: vita)
prevalga o, almeno equivalga a quello sacrificato (es.: integrità fisica).
8.7.4. Il c.d. soccorso di necessità.
L’art. 54 legittima la reazione oltre che per salvare un proprio diritto anche per salvare un
diritto altrui; si tratta del cd. s o c c o r s o d i n e c e s s i t à , figura particolare e
controversa tra le cause di giustificazione.
Per effetto di tale figura, infatti, è consentito a chiunque di interferire nell’ordine naturale
delle cose, mutando a proprio arbitrio situazioni di fatto a favore o a sfavore di un soggetto
piuttosto che di un altro: così, ad esempio, nel caso della zattera in grado di reggere un solo
naufrago, chi, avendo visto un naufrago già vicino alla zattera ed avendo visto nel contempo
avvicinarsi a nuoto un suo amico, può, per favorire quest’ultimo, annegare il primo per

12
Per quanto attiene la g r a v i t à del danno essa va determinata sia da un punto di vista q u a l