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Riassunto diritto amministrativo Clarich

Diritto amministrativo (Sapienza - Università di Roma)

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INTRODUZIONE

Il diritto amministrativo è la branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto l’organizzazione e
l’attività della pubblica amministrazione. Esso riguarda i rapporti che la p.a. instaura con i privati
nell’esercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura di interessi della collettività. Secondo la
definizione di vittorio emanuele orlando (nei principi di diritto amministrativo) (1891), il diritto
amministrativo è il sistema di principi giuridici che regolano l’attività dello Stato per il raggiungimento dei
suoi fini.

Ricordiamo che il diritto pubblico si ricollega al dibattito settecentesco sul fondamento e la legittimità del
potere del sovrano.

Modelli di stato e nascita del diritto amministrativo.

Stato amministrativo. La presenza di apparati burocratici organizzati secondo criteri razionali è una costante
nella storia: pensiamo all’impero romano che è stato l’esempio più sviluppato di organizzazione burocratica
volta a dare ordine e uniformità alle strutture portanti del sistema di governo. Ad ogni modo è opportuno
prendere le mosse dalla formazione degli Stati nazionali in europa a partire dal sedicesimo secolo e dal
superamento dell’ordinamento feudale.

Nascita dello Stato moderno. Considerando esemplare il caso francese, la nascita dello Stato moderno con
l’unificazione del potere politico in capo al re (Stato assoluto), andò di pari passo con la formazione di
apparati amministrativi stabili, posti alle dipendenze del sovrano, o meglio degli intendenti del re. Nel
diciottesimo secolo poi lo Stato assoluto assunse i caratteri dell’assolutismo illuminato, come nel caso
dell’Austria o della Prussia ed emerse il cd stato di polizia (politeia).

Funzione amministrativa. A questo punto l’espansione dei compiti dello stato e anche l’attribuzione di
poteri amministrativi ai funzionari delegati del sovrano e ad apparati burocratici stabili fecero emergere la
funzione amministrativa come autonoma, non più inglobata in quella giudiziaria. Comunque il potere
esecutivo acquistò un profilo più autonomo solo in seguito alla formulazione del principio di separazione dei
poteri; per molto tempo la dottrina fece fatica a porre una definizione di attività amministrativa: la si
individuava quindi in via negativa e residuale. Secondo uno dei padri del d.a., Otto Mayer, l’amministrazione
è l’attività dello Stato che non è legislazione o giustizia. Il modello dello stato assoluto entrò in crisi la
rivoluzione francese del 1789 e con le cost liberali approvate nei decenni successivi nell’Europa continentale
che segnarono la nascita del modello dello stato di diritto, o stato costituzionale.

Stato di diritto e stato a regime di d.a. Lo stato di diritto è oggi uno dei principi fondanti dell’ue, (assieme a
quelli della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, e del rispetto dei diritti umani).
(Il preambolo della carta dei diritti fondamentali dell’ue proclamata a Nizza nel 2000 richiama il principio
dello stato di diritto, insieme a quello della democrazia). Lo stato di diritto si regge su alcuni elementi
strutturali ben definiti.

Elementi strutturali dello stato di diritto. 1) lo stato di diritto presuppone il trasferimento della titolarità
della sovranità dal rex legibus solutus legittimato in base al principio dinastico, a un parlamento eletto da un
corpo elettorale, sempre più esteso (suffragio universale). 2) si fonda sul principio della separazione dei
poteri unito ad un sistema di pesi e contrappesi, checks and balances, volto a evitare abusi a danno dei
cittadini ai quali le cost riconoscono e garantiscono alcuni diritti fondamentali come la libertà personale.
Secondo la tripartizione dei poteri teorizzata per la prima volta nel diciottesimo sec da Montesquieu, il
potere legislativo spetta a un parlamento elettivo, quello esecutivo al re e agli apparati burocratici ad esso
dipendenti, il potere giudiziario a una magistratura indipendente. 3) un terzo elemento strutturale dello
stato di diritto è l’inserimento nelle cost di riserve di legge; le riserve di legge escludono (in caso di riserva di
legge assoluta come quella in materia penale) oppure limitano (riserva di legge relativa come quella in

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materia tributaria) il potere normativo del governo. Il potere regolamentare dell’esecutivo infatti è
ammesso esclusivamente nelle materie non sottoposte a riserva di legge assoluta. Nelle materie coperte da
riserva di legge relativa il potere dell’esecutivo si può esplicare solo nel rispetto di limiti e principi stabiliti
dalla legge (regolamenti esecutivi). Anche i poteri dell’amministrazione che si concretizzano in
provvedimenti volti a incidere sui diritti dei cittadini (espropriazioni, ordini, sanzioni, licenze, autorizzazioni)
devono trovare un fondamento nella legge, infatti il principio di legalità può essere considerato il fulcro
dell’intera costruzione del diritto amministrativo. 4) nello stato di diritto occorre che al cittadino sia
riconosciuta la possibilità di ottenere la tutela delle proprie ragioni nei confronti della p.a. davanti a un
giudice che sia imparziale, indipendente dal potere esecutivo. Ex art 100 cost consiglio di stato (2 grado)
funzione consultiva e funzione di giudice di tutela della giustizia nell’amm. (1 grado tar). Ricordiamo la legge
istitutiva del cons di st. Consiglio di stato organo ausiliario del governo, quindi è molto vicino al governo,
ecco perché è diviso in sezioni (consultive e giudicanti). (tar giudici puri).

Lo stato a regime di diritto amministrativo. In francia e in altri paesi dell’Europa continentale, la giustizia
nell’amministrazione venne realizzata tramite l’istituzione verso la fine del diciannovesimo sec di un giudice
speciale, separato da un giudice ordinario, che favorì la nascita del diritto amministrativo. Il conseil d’etàt in
francia e il consiglio di stato in italia elaborarono un corpo di principi, autonomo rispetto al diritto comune,
che regolava l’organizzazione e l’attività amministrativa. Lo stato di diritto divenne quindi il cd stato di diritto
a regime di diritto amministrativo. Nei Paesi di common law il principio della Rule of law implicava invece
che all’amministrazione non fosse riconosciuto alcun privilegio e ciò rallentò la nascita di un diritto
amministrativo che si è sviluppato solo negli ultimi decenni. Nel 2016, sotto gli auspici del consiglio
d’Europa, una commissione di esperti (commissione di Venezia) ha approvato un rapporto che individua gli
elementi essenziali dello stato di diritto e i modi per garantirlo: legalità, inclusa la democraticità del
procedimento legislativo, certezza del diritto, divieto di arbitrio, rispetto dei diritti, eguaglianza di fronte al
diritto, accesso alla giurisdizione davanti a un giudice imparziale.

2.3. stato guardiano notturno, stato sociale, stato imprenditore, stato legislatore.

Con la Rivoluzione francese si svilupparono le ideologie di impronta liberista in campo economico (laissez-
faire) tendenti a ridurre al minimo le ingerenze dirette dello stato nei rapporti economici e sociali.

Lo stato guardiano notturno. Emerse il cd stato guardiano notturno, che dominò per gran parte del 19 sec:
un modello di stato che si occupa della tutela dell’ordine pubblico interno e la difesa del territorio da nemici
esterni; venivano considerate con sfavore le aggregazioni sociali e i corpi intermedi tra stato e individuo
quali associazioni, corporazioni, autonomie territoriali e così via. Lo stato monoclasse che rispecchiava gli
interessi della borghesia, si trasformò in pluriclasse assumendo su di sé l’obiettivo di rappresentare gli
interessi di tutti gli strati sociali.

Stato interventista. Queste trasformazioni segnarono il passaggio a un modello di stato detto interventista o
stato sociale o stato del benessere (welfare state); furono promossi vari interventi di legislazione sociale
(previdenza, assistenza) per es nella germania bismarckiana. Successivamente la crisi economica degli anni
’30, provocata dal crollo del mercato borsistico del 1929, richiese interventi di salvataggio da parte dei
pubblici poteri; si accrebbe la presenza diretta dello stato nell’economia.

Lo stato pianificatore. Esso si caratterizza per la predisposizione a livello centrale di programmi settoriali in
materia di trasporti, sanità, energia elettrica, rete commerciale. Nel lungo periodo ciò provocò una crisi
finanziaria dello stato, a causa della impossibilità di aumentare oltre certi limiti la pressione fiscale e a causa
dell’indebitamento; la ripresa di ideologie antistataliste come il neoliberismo o il mercatismo, a partire dagli
anni ’80 minò le fondamenta dello stato interventista.

Politiche di liberalizzazione e di privatizzazione. Prese corpo così, dapprima in gran bretagna (col governo
di Margaret thatcher) e negli stati uniti (sotto la previdenza di Ronald reagan) e poi in altri paesi europei, un

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movimento nella direzione della riduzione del campo d’azione dei pubblici poteri; un processo di questo
tipo venne promosso in europa anche da numerose direttive europee di liberalizzazione in settori come le
telecomunicazioni, l’energia elettrica, gas, servizi postali volte a favorire l’apertura dei mercati alla
concorrenza transfrontaliera all’interno del mercato unico.

Stato regolatore. Lo stato imprenditore si trasformò in stato regolatore. I compiti di regolazione sono stati
affidati ad autorità o agenzie indipendenti (o semi indipendenti) dal governo cioè dall’indirizzo politico in
modo da sottolineare il ruolo tecnico, neutrale e non dirigista del regolatore pubblico. Il modello dello stato
regolatore ha costituito il paradigma di riferimento per un trentennio. La crisi finanziaria che ha colpito nel
2008 gli stati uniti, che poi si è propagata negli altri continenti, ha messo in luce le carenze strutturali delle
concezioni economiche sottostanti a questo modello.

2.4. cenni agli ordinamenti anglosassoni: l’inghilterra e gli stati uniti.

Parzialmente diverso fu il percorso degli ordinamenti anglosassoni: innanzitutto per es l’Inghilterra non
conobbe storicamente il fenomeno dell’accentramento amministrativo che aveva connotato l’esperienza
francese, perciò i poteri locali mantennero ampi spazi di autonomia. Rimase viva la tradizione della common
law, cioè di un diritto non codificato di derivazione giurisprudenziale: era previsto un solo diritto, l’ordinary
law of the land, che governava i rapporti di tutti i soggetti dell’ordinamento, a prescindere dalla loro natura
pubblica o privata.

La nascita ritardata del diritto amministrativo. In realtà anche in inghilterra, verso la fine del 19 sec fu
varata una legislazione di stampo sociale che portò all’istituzione di apparati burocratici come le
commissions e le authorities, per la gestione dei programmi di intervento; i poteri dell’esecutivo furono
rafforzati e vennero istituiti settore per settore, i cd Tribunals. Solo a partire dalla seconda metà del
ventesimo sec, con l’ulteriore sviluppo del welfare state teorizzato da w. Beveridge e l’abbandono del
principio dell’immunità della Corona (nel 1949) le corti inglesi presero conoscenza della distinzione tra
diritto pubblico e diritto privato e iniziarono a operare un sindacato giurisdizionale più intenso sull’attività
dell’esecutivo. All’avanzata del welfare state fece seguito una fase di ritirata dello stato dall’intervento
nell’economia con le politiche di liberalizzazione e di privatizzazione avviate sotto il governo di Margaret
Thatcher. L’organizzazione dei dipartimenti ministeriali iniziò a prevedere delle agenzie (agencies), cioè una
serie di unità operative e autonome o semiautonome dagli apparati centrali. Anche negli stati uniti lo
sviluppo dello stato regolatore e del diritto amministrativo avvennero in epoca relativamente recente.
(Quanto allo stato regolatore esso rappresentò una variante di intervento pubblico che si sviluppò proprio
negli stati uniti, un paese che respinse sempre interventi diretti dei pubblici poteri nella gestione o nella
socializzazione o collettivizzazione di imprese).

Le agenzie federali. La prima agenzia federale venne istituita nel 1887 per regolare le tariffe praticate dai
gestori privati delle linee ferroviarie che operando in una situazione di monopolio di fatto, praticavano
prezzi esosi. Nel 1890 per combattere i cartelli e monopoli, venne approvato lo Sherman Act, primo
esempio di legge antitrust, alla quale seguì l'istituzione di un'apposita agenzia. Negli anni '30 (all’epoca del
new deal) vennero istituite numerose autorità di regolazione sulla borsa e sulle società quotate. In realtà
questo tipo di evoluzione era una forzatura della cost americana; quest’ultima infatti non prevede che il
congresso possa delegare poteri normativi e amministrativi così ampi ad apparati amministrativi e
indipendenti dal presidente (non delegation doctrine). Nel periodo del new deal la corte suprema degli stati
uniti dichiarò incostituzionali alcune leggi di stampo interventista, come per es quella che istituiva la
National Recovery Administration con funzioni di pianificazione economica e di fissazione autoritativa dei
prezzi, provocando uno scontro con il presidente degli usa, il quale invece riteneva indispensabili gli
interventi pubblici per stimolare la crescita economica.

Legge sul procedimento amministrativo del 1946. Un compromesso fu raggiunto nel 1946 con
l’approvazione dell’Administrative Procedure Act che è uno dei modelli principali di legge sul procedimento

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amministrativo. Questa legge da una parte consolidò e regolò il modello delle agenzie di regolazione,
dall’altra sottopose la loro attività a regole procedurali stringenti e al controllo giurisdizionale. Essa
costituisce l’ossatura del d.a. negli usa.

La deregulation. A partire dagli anni ’80 del XX sec, il modello di stato regolatore fu oggetto di un
ripensamento: furono introdotte misure per limitare l’attività delle agenzie, per operare una riduzione della
intrusività della regolazione esistente, fu avviata la semplificazione delle procedure burocratiche e
promosso il ritiro dello stato dalle politiche interventiste. A partire dal 1981, le agenzie vennero sottoposte a
un controllo finanziario centralizzato. (I processi di liberalizzazione e privatizzazione non produssero sempre
i risultati attesi in termini di efficienza e qualità delle prestazioni e dei servizi, anche la privatizzazione dei
trasporti ferroviari in Gran Bretagna non si è tradotta in un miglioramento significativo del servizio).

Fallimenti dello stato. Per simmetria ai cd fallimenti del mercato, si parla anche di fallimenti dello stato
soprattutto in seguito alle carenze nel sistema dei controlli pubblici sul sistema bancario e finanziario. Per
rimediare alla crisi del 2008, negli usa si è rafforzato il sistema della vigilanza sulle attività finanziarie e
ponendo regole più restrittive all’attività delle banche (Dodd-Frank Act del 2010).

2.5. L’evoluzione della p.a. in Italia.

Anche in italia l’organizzazione e le funzioni della p.a. hanno subito profonde mutazioni a partire
dall’unificazione nazionale.

Modello cavouriano. In epoca cavouriana fu adottato il modello dell’amministrazione per ministeri, con la
concentrazione di poche funzioni pubbliche in capo a un nucleo ristretto di apparati organizzati in base al
principio gerarchico e rappresentati al vertice da un ministro politicamente responsabile dell’attività
complessiva nei confronti del parlamento. Sul finire del diciannovesimo secolo il governo Crispi varò un
primo programma riformatore che portò nel 1890 alla pubblicizzazione delle cd Opere pie, cioè di tutti
quegli enti e strutture private sorti spontaneamente dalla società civile. Le opere pie furono trasformate in
enti pubblici (le cd IPAB: istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza, oggi privatizzate), e sottoposti a
controlli da parte del ministero dell’Interno e a livello locale, delle prefetture.

L’amministrazione per enti. In epoca giolittiana furono istituite le prime aziende ed enti pubblici nazionali
quali: l’INA: istituto nazionale delle assicurazioni, INPS: istituto nazionale per la previdenza sociale. (A livello
locale molti comuni costituirono aziende per la gestione di numerose attività come trasporti, illuminazione
pubblica, farmacie ecc).

La svolta autoritaria negli anni Venti e l’ideologia statalista affermatasi negli anni Trenta innescarono un
processo di pubblicizzazione di molte attività economiche e sociali con l’istituzione di numerosi enti pubblici
come il CONI: organizzazioni professionali e sindacali. Nel 1927 venne emanata la carta del lavoro che
affermava la dottrina del corporativismo e superava il modello dell’economia liberale.

La Grande Crisi determinò l’estensione della mano pubblica in numerosi settori economici; nel 1933 venne
istituito l’IRI: l’istituto per la ricostruzione industriale, ente pubblico economico (epe) a cui venne attribuita
la titolarità delle azioni di numerose imprese oggetto di interventi di salvataggio. Nel 1936 venne approvata
una legge bancaria che riorganizzò il sistema bancario secondo una visione pubblicistica e pianificatoria
dell’attività creditizia. Vennero attribuiti alla Banca d’Italia funzioni di controllo monetario e di vigilanza sugli
istituti di credito. Nel 1942 venne emanata una legge urbanistica per disciplinare l’assetto del territorio
attraverso il rilascio di titoli abilitativi per l’attività di edificazione.

La Costituzione e gli sviluppi successivi. La cost del 1948, che rifondò su basi democratiche e secondo il
principio dello stato di diritto l’ordinamento italiano, incorporò una matrice interventista nei rapporti tra
stato, società ed economia, ponendo l’accento non solo sui diritti di libertà e di proprietà di stampo liberale,
ma anche sui diritti sociali.

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Pur in vigenza di una cost ispirata ai principi di pluralismo e del decentramento, con l’istituzione delle
regioni e il rafforzamento delle autonomie locali, il 2 dopoguerra fu improntato a un forte centralismo. Sul
versante dei rapporti tra stato ed economia, le imprese di proprietà pubblica vennero riordinate nel sistema
degli enti di gestione delle partecipazioni statali come l’IRI, l’ENI e l’EFIM. Questi ultimi svolgevano una
funzione di “cerniera” tra la galassia delle spa operanti in vari settori che avevano la maggioranza dei
pacchetti azionari, e l’autorità del governo. (Gli enti di gestione erano soggetti ai poteri di direttiva e di
indirizzo espressi dal Comitato interministeriale per la programmazione economica e dal ministero delle
Partecipazioni statali). Nel 1962 venne nazionalizzato il settore dell’energia elettrica e istituito un epe (ENEL)
per la gestione in regime di monopolio di tutte le attività della filiera (produzione, trasmissione ecc). Nel
1978 venne istituito il Servizio sanitario nazionale ispirato ad una logica di gestione prevalentemente
pubblica dell’assistenza sanitaria.

Il regionalismo. Negli anni Settanta, con l’attuazione del disegno cost del regionalismo, vennero istituiti
nuovi apparati a livello locale articolati, (secondo il modello ministeriale), in assessorati competenti nelle
varie materie di spettanza regionale. (Nel 1986 venne poi istituito il ministero dell’Ambiente e negli anni
successivi la legislazione ambientale, in gran parte di derivazione europea, acquistò un peso crescente). A
partire dagli anni Novanta del sec scorso anche in Italia lo stato imprenditore entrò in crisi a causa dei suoi
costi sempre meno sostenibili in una fase di squilibrio della finanza pubblica. Vennero avviati processi di
liberalizzazione imposti da direttive europee e di privatizzazione di imprese ritenute non strategiche (società
autostrade, Telecom). Si fece strada lo Stato regolatore; quasi tutti gli epe furono trasformati in spa; si attuò
la cd privatizzazione “fredda” cioè della forma giuridica, propedeutica alla cd privatizzazione “calda”: che
implicò la dismissione totale o parziale dei pacchetti azionari in mano pubblica. Altri enti pubblici non
economici (musei) furono trasformati in fondazioni private. I processi di liberalizzazione portarono
all’istituzione di autorità di regolazione indipendenti dal potere esecutivo e dotate di ampi poteri di
regolazione, di vigilanza e sanzionatori (Autorità garante della concorrenza e del mercato).

Riforme negli anni Novanta. Le regioni e gli enti locali acquisirono nuove funzioni e spazi di autonomia
statutaria, organizzativa e finanziaria e fu operata una riforma dei ministeri (leggi Bassanini 1997). Il
processo culminò con la legge cost 2001 n.3 che ridisegnò l’assetto delle competenze legislative dello stato e
delle regioni e delle funzioni amministrative dei vari livelli di governo in base al principio di sussidiarietà
verticale; quest’ultimo privilegia nell’allocazione delle funzioni, le unità organizzative più vicine ai cittadini.
Iniziò a essere visto con favore, superando la visione statalista dominante per decenni, anche il
coinvolgimento della società civile nello svolgimento di attività di interesse pubblico, secondo il modello
della sussidiarietà orizzontale, recepito nella legge cost n.3/2001 (art 118, ultimo comma, cost) e dal Codice
del Terzo settore.

Riforme recenti. Ricordiamo che a fine 2012 è stata approvata la legge anticorruzione che impone alle
amministrazioni l’adozione di misure di prevenzione e obblighi di pubblicità e trasparenza. Nel 2015 è stata
approvata la legge delega (legge Madia) per una riforma sulla p.a. (Con la legge dell’11 febbraio del 2011 il
parlamento ha approvato la semplificazione, in tema di “deburocratizzazione delle imprese” (art 3-quater)).
Inoltre il parlamento ha approvato la legge 2019, n56 , in materia di “interventi per la concretezza delle
azioni delle p.a. e la prevenzione dell’assenteismo”. Sul piano dei rapporti tra stato ed economia, si tende a
valorizzare nuovamente il ruolo dell’impresa pubblica, ripubblicizzare settori di attività come il servizio
idrico e il sistema autostradale. Sul piano sociale sono state promosse misure volte a contrastare la povertà
(reddito di cittadinanza introdotto dalla legge 28 marzo 2019 n 26).

2.6. Cenni conclusivi. Dialettica autorità-libertà: principio dello stato di diritto: conciliare l’esigenza di curare
i molteplici interessi della collettività (interessi pubblici) con quella di garantire la libertà dei singoli. La
dialettica autorità-libertà, teorizzata da Massimo Severo Giannini verso la metà del sec scorso, rappresenta il
fulcro della struttura del diritto amministrativo.

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3. Diritto amministrativo e scienze sociali: la scienza del d.a.

3.2. La sociologia

La sociologia analizza le relazioni di potere interne ed esterne agli apparati burocratici e la varietà dei
bisogni e degli interessi della collettività. Il potere, prima di essere un fenomeno giuridico, è un fenomeno
sociale, presente in ogni collettività.

Modello weberiano. Secondo l’analisi di Max Weber il potere va classificato in base a 3 criteri di
legittimazione: il potere tradizionale fondato sul carattere sacro delle tradizioni (monarchie ereditarie), il
potere fondato sulla forza eroica o sul valore esemplare di una persona (cesarismo, dispotismo), il potere
razionale fondato sulla legalità di ordinamenti statuiti (stato di diritto). Il modello dello stato di diritto si
connota per la presenza di un’amministrazione burocratica impersonale. Questo modello è funzionale
all’economia del capitalismo per cui la stabilità delle regole, la certezza del diritto e la prevedibilità
dell’azione dell’amministrazione sono un elemento fondamentale per le imprese in riferimento alla
convenienza delle scelte di investimento. La sociologia studia anche le caratteristiche degli apparati
burocratici e del personale che opera in essi.

3.3 Le scienze politiche ed economiche. Fallimenti del mercato e “regulation”.

Le scienze politiche ed economiche dedicano una crescente importanza alle istituzioni, distinguendo tra
istituzioni “estrattive” che accentrano le risorse a favore di una élite ristretta, e le istituzioni “inclusive”,
tipiche di ordinamenti pluralisti, democratici, rispettosi della Rule of law, aperti alla crescita economica. (Le
scienze politiche analizzano il ruolo degli apparati burocratici all’interno del circuito politico rappresentativo,
come strumenti per inquadrare i rapporti tra classe politica, burocrazia e potere economico).

Nozione di regolazione. Le scienze politiche ed economiche individuano le situazioni in cui è giustificato


l’intervento dei pubblici poteri sottoforma di regolazione. Soprattutto nel mondo anglosassone ha avuto
impulso la teoria della regolazione pubblica (regulation) che studia le ragioni e le modalità di intervento dei
poteri pubblici in campo sociale ed economico. (Selznick ha definito la regulation come “un controllo
prolungato e focalizzato, esercitato da un'agenzia pubblica su un'attività cui una comunità attribuisce una
rilevanza sociale”, oppure Mitnick l’ha definita come “una guida, con mezzi amministrativi pubblici, di
un’attività privata secondo una regola statuita nell’interesse pubblico”).

Regolazione sociale ed economica. Generalmente si distinguono 2 modelli di regolazione pubblica: la social


regulation: indirizzata a promuovere scopi sociali quali la tutela della salute o delle provvidenze e le misure
di inclusione sociale a favore delle fasce più deboli della popolazione; e la economic regulation indirizzata a
massimizzare l’efficienza economica e il benessere dei consumatori. Quest’ultima mira a correggere i cd
“fallimenti del mercato” con misure correttive di tipo autoritativo. Quando si parla di fallimenti del
mercato, si tratta di situazioni in cui il mercato deregolamentato, cioè retto esclusivamente dal diritto
privato, non è in grado di tutelare in modo adeguato gli interessi della collettività. Per es i danni di
inquinamento ambientale non possono essere contrastati in modo efficace facendo affidamento solo sulla
responsabilità civile dell’inquinatore. Pensiamo ancora allo squilibrio, tra un’impresa monopolistica in un
determinato mercato e i consumatori.

Principali fallimenti del mercato. I principali fallimenti del mercato che giustificano l’intervento dei pubblici
poteri sono: 1) i monopoli naturali, come le infrastrutture non facilmente duplicabili come per es, le reti di
trasporto ferroviario, porti e aeroporti, reti di distribuzione dell’energia elettrica e del gas. Esse pongono chi
le gestisce in una situazione di “potere di mercato” che altera lo sviluppo del mercato concorrenziale. I
rimedi previsti consistono nel sottoporre l’impresa monopolista a una serie di vincoli tra i quali, per es, il
controllo dei prezzi e delle tariffe, oppure l’obbligo di consentire l’accesso delle proprie strutture ad altri
operatori concorrenti in base a criteri di non discriminazione. 2) i cd beni pubblici, come la difesa o l’ordine

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pubblico, dei quali beneficia l’intera collettività, anche i “freeriders” cioè coloro che non sarebbero disposti
a farsi carico di una quota proporzionale di costi, essendo troppo costoso escluderli dal godimento. Perciò
gli Stati si sono fatti carico di produrre questi beni traendo dalla tassazione le risorse necessarie. 3) le
esternalità negative dovute per es a produzioni industriali inquinanti i cui benefici vanno a vantaggio
dell’impresa, ma i cui costi gravano sull’intera collettività. Ne è conseguita l’imposizione di limiti massimi per
le emissioni inquinanti, la previsione di standard qualitativi minimi per gli impianti industriali, l’erogazione di
sanzioni in caso di violazione delle prescrizioni. 4) le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni
e servizi circa le loro caratteristiche qualitative essenziali, come nei rapporti tra istituzioni finanziarie o
imprese quotate in borsa e piccoli risparmiatori non in grado di valutare i rischi degli investimenti proposti.
A tutela di questi ultimi sono istituiti sistemi di vigilanza sulle imprese con l’attribuzione ad autorità
pubbliche di poteri di regolazione, ispettivi, sanzionatori ecc. 5) le esigenze di coordinamento per es relative
al sistema dei pesi e misure o al traffico stradale che richiedono la fissazione di standard uniformi e di regole
di comportamento al cui rispetto sono preposte autorità pubbliche.

Misure correttive e principio di proporzionalità. Le misure autoritative volte a prevenire e correggere i


fallimenti del mercato sono classificate secondo il criterio che muove dalla maggiore alla minore intrusività
rispetto alla dinamica del mercato. Il principio che dovrebbe guidare il regolatore nella scelta degli
strumenti correttivi è quello secondo il quale, tra gli strumenti idonei a tutelare l’interesse pubblico, vanno
preferiti quelli meno restrittivi della libertà di impresa (in base al principio di proporzionalità emerso nel
diritto UE). Per es, se per tutelare un certo interesse pubblico è sufficiente obbligare chi voglia intraprendere
un’attività a comunicarlo a un’amministrazione che esercita un controllo ex post, va evitata l’introduzione di
un regime di controllo ex ante, sottoforma di autorizzazione preventiva.

3.4. Cenni agli indirizzi della “public choice” e al modello “principal-agent”.

Sempre nell’ambito delle scienze sociali, va menzionato l’indirizzo della cd public choice affermatosi negli
stati uniti nella seconda metà del secolo scorso. Per spiegare il funzionamento effettivo degli apparati
pubblici occorre muovere dall’ipotesi che anche il loro comportamento è guidato, come quello degli attori
privati, dal self-interest (potere, livello retributivo, reputazione).

La cd cattura del regolatore. Questo tipo di approccio tende a porre in evidenza situazioni di government
failures, cioè insufficienze strutturali ed effetti negativi dell’azione dei pubblici poteri. È sempre incombente,
per es, il rischio della “cattura” del regolatore da parte dei soggetti regolati. Anche gli apparati
amministrativi, come gli agenti politici (parlamento e governo) tendono ad essere influenzati nelle loro
decisioni da interessi soprattutto economici (lobby) deviando dal loro obiettivo di cura dell’interesse
generale. Ne deriva la necessità di un disegno istituzionale atto a prevenire o limitare questo rischio.

Il modello principal-agent. La teoria del principal-agent (principale-agente) (elaborata dalla microeconomia)


studia i meccanismi per far sì che l’attività dell’agente, delegato dal principale a compiere una determinata
attività, venga posta in essere nell’interesse di quest’ultimo. In molti casi l’agente ha a disposizione una
quantità di informazioni superiore a quella del principale riguardo le caratteristiche concrete dell’attività da
svolgere (asimmetria informativa), quindi è tentato di assumere atteggiamenti opportunistici sui quali il
principale non è in grado di esercitare un controllo efficace.

Rapporti di agenzia interni ed esterni agli apparati burocratici. Anche gli apparati burocratici possono
essere considerati come agenti del parlamento, il quale, nella veste di principale, attribuisce ad essi per
legge, funzioni e risorse per la cura di interessi pubblici. Spesso però gli apparati burocratici perseguono fini
propri. All’interno dei singoli apparati pubblici, poi, i dirigenti possono essere considerati come agenti
incaricati di svolgere la propria attività in funzione degli obiettivi individuati dai loro principali, cioè vertici
politici. Gli interessi e gli incentivi dei dirigenti pubblici non coincidono sempre con quelli dei vertici politici:
ne deriva una tensione tra politica e amministrazione. A loro volta, i vertici politici (ministri, sindaci, ecc),
sono agenti dei cittadini elettori. Un problema di agenzia si pone anche nei rapporti tra dirigenti degli uffici e

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i loro sottoposti che potrebbero essere tentati ad accettare compensi non dovuti dai privati con cui
intrattengono rapporti in relazione ad atti amministrativi (commettendo reati di corruzione, concussione,
ecc.). La regolazione pubblica dovrebbe individuare gli strumenti per allineare gli interessi dell’agente a
quelli del principale.

(La macroeconomia. La macroeconomia considera lo stato come un meccanismo di gestione e


redistribuzione delle risorse alternativo al mercato. La regolazione pubblica con l’imposizione ai privati di
obblighi comportamentali in funzione del raggiungimento di interessi pubblici, è uno strumento alternativo
alla tassazione per la realizzazione di obiettivi di interesse pubblico.)

3.5. La scienza dell’amministrazione.

La scienza dell’amministrazione ha una tradizione che risale al XIX sec, in Italia (Romagnosi) e in Germania
(Stein). La scienza dell’amministrazione, non ha mai assunto uno statuto ben definito all’interno delle
scienze non giuridiche che studiano la pubblica amministrazione. È stato affermato che i principi della
scienza dell’amministrazione non costituiscono “un ramo autonomo di conoscenza”. Si tratta di una scienza
in declino.

3.6. La scienza del diritto amministrativo.

(Compito del giurista è operare una ricognizione delle fonti normative che disciplinano una determinata
materia. Il materiale normativo deve essere riordinato e organizzato in modo sistematico tramite
l’elaborazione di categorie e concetti giuridici.)*

Il metodo giuridico. Storicamente l’applicazione rigorosa del metodo giuridico al diritto amministrativo
risale in Italia alla fine del XIX sec seguendo l’esempio tedesco (Otto Mayer). Vittorio Emanuele Orlando,
curatore del primo monumentale trattato di diritto amministrativo, pose le basi della scienza del diritto
pubblico, all’interno del quale è ricompreso anche il diritto amministrativo. Il metodo proposto fu quello, da
un lato, di eliminare ogni elemento filosofico, storico e politico dall’analisi giuridica, dall’altro, di costruire,
attraverso classificazioni e processi di astrazione, i concetti giuridici. L’elaborazione di Orlando, contribuì alla
costruzione di un diritto amministrativo coerente con una concezione liberale, statalistica e con venature
autoritarie dei rapporti Stato-cittadino. In questa prima fase, il d.a. concentrò la sua attenzione sull’attività
amministrativa, attraverso la teoria dell’atto amministrativo come espressione del potere unilaterale
attribuito dalla legge agli apparati pubblici. L’atto amministrativo venne inquadrato inizialmente entro gli
schemi del negozio giuridico di derivazione privatistica.

L’ampliamento delle prospettive. Con l’espandersi della legislazione amministrativa specie a partire dagli
anni Trenta del XX sec, la scienza del diritto amministrativo estese il proprio campo di indagine a fenomeni
emergenti come gli enti pubblici, l’impresa pubblica ecc. Anche la Cost repubblicana del ’48 e le leggi di
riforma dei decenni successivi (come per es il decentramento, l’introduzione del SSN) indussero la dottrina a
un ripensamento dell’impianto del d.a.

Il diritto amministrativo paritario. Emerse anche una prospettiva (il d.a. paritario elaborato da F. Benvenuti)
tesa a operare un riequilibrio nel rapporto tra stato e cittadino attraverso il potenziamento delle garanzie
formali (procedimento amministrativo) e sostanziali a favore del cittadino stesso. La legge 7 agosto 1990,
n.241 sul procedimento amministrativo costituisce idealmente una cesura rispetto alla concezione
autoritaria del d.a. La legge valorizza la posizione del cittadino, titolare ormai di un’ampia gamma di diritti e
garanzie nei rapporti con la p.a. Il d.a. resta pur sempre, il diritto dell’autorità del potere pubblico per la cura
degli interessi della collettività, ma sta perdendo progressivamente i connotati di un diritto autoritario.

4. Diritto amministrativo e i suoi rapporti con altre branche del diritto.

4.1. Il diritto costituzionale.

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I “rami alti” e i “rami bassi” dell’ordinamento. Il diritto costituzionale riguarda i “rami alti” dell’ordinamento
(corpo elettorale, parlamento, governo, corte cost, ecc.), i diritti dei privati e le fonti del diritto. Il diritto
amministrativo riguarda i “rami bassi”, cioè il complesso di apparati pubblici che si è sviluppato soprattutto
nel corso del XX secolo. Il diritto cost trova fondamento e una disciplina positiva nelle cost scritte; esso
affonda le sue radici nella teoria contrattualistica dello Stato elaborata dai filosofi politici dei sec 17 e 18
(Locke, Rousseau) e nella considerazione delle cost come fonte suprema dell’ordinamento giuridico. Il diritto
amministrativo è regolato prevalentemente da fonti normative subcostituzionali (leggi, regolamenti, statuti)
e dai principi di elaborazione giurisprudenziale. Il diritto cost e il d.a. sono strettamente legati. Il d.a.,
riprendendo l’espressione del presidente della Corte amministrativa federale tedesca verso la 2 metà del sec
scorso, Fritz Werner, è “il diritto costituzionale reso concreto”, cioè colto nella sua effettiva realizzazione
nella legislazione e nella vita dell’ordinamento. Così, per es, il grado di tutela dei diritti di libertà e dei diritti
sociali si misura non solo sulla cost, quanto piuttosto sulle leggi amministrative che attuano il disegno cost
ad opera degli apparati amministrativi. Il diritto alla salute, ex art 32 cost, trova attuazione pratica nel SSN e
più in generale nella legislazione sanitaria. Il livello delle prestazioni garantite dipende anche dalle risorse
finanziarie messe a disposizione in una determinata fase storica. A questo riguardo si è parlato anche di
“diritti finanziariamente condizionati”. Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione sancito dall’art 21 cost, è condizionato dalla legislazione
amministrativa sul sistema radiotelevisivo e sulla stampa. La libertà di iniziativa economica privata (art 41
cost) è stata subordinata al rilascio di concessioni o di altre limitazioni previste dalle leggi di settore. (Solo a
partire dagli anni ’90 del sec scorso essa ha trovato un’attuazione più completa in molti settori (quali le
telecomunicazioni, energia elettrica e gas, ecc.) per effetto del recepimento di direttive europee di
liberalizzazione e dell’apertura dei mercati alla concorrenza). (L’effettività della tutela giurisdizionale,
garantita in astratto dall’art 24 cost, è minata da carenze organizzative degli apparati giudiziari che non
consentono la conclusione dei processi in tempi ragionevolmente contenuti). Un 2 nesso tra diritto cost e
d.a. è riassunto dall’affermazione di uno dei maggiori giuristi tedeschi del primo Novecento (Otto Mayer)
secondo il quale, il diritto cost passa, il diritto amministrativo resta. Proprio perché i mutamenti
costituzionali incidono solo sui “rami alti” dell’ordinamento, essi possono verificarsi anche in modo
repentino in seguito a moti rivoluzionari, sconfitte militari, rotture della cost: in francia, dalla rivoluzione del
1789 ad oggi, si sono succedute numerose cost. Le riforme amministrative, invece, mirano a modificare,
l’organizzazione e il modo di operare di apparati burocratici formati per stratificazioni successive e quindi
poco permeabili al cambiamento. (L’istituzione delle regioni nel 1970 e il trasferimento di funzioni
amministrative e di risorse finanziarie fu un processo lungo e tormentato, non ancora concluso. Il
riconoscimento di una maggiore autonomia agli enti locali avvenne solo a partire dagli anni Novanta del sec
scorso. La piena applicazione da parte della p.a. di leggi di riforma fondamentali come la l.n. 241/1990 ha
richiesto molti anni e probabilmente non è ancora completata).

4.2. Il diritto europeo.

(Il d.a. italiano ha acquistato una dimensione europea sotto vari profili principali: la legislazione
amministrativa, l'attività, l’organizzazione, la finanza, la tutela giurisdizionale).

La legislazione amministrativa. 1) L’art 117, comma 1, cost. stabilisce che la potestà legislativa dello stato e
delle regioni deve essere esercitata nel rispetto, oltre che della cost, “dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario”. Questo vincolo condiziona la legislazione amministrativa statale e regionale che in molte
materie è semplicemente la trasposizione, con adattamenti e integrazioni necessarie, di direttive europee.
Sono regolati prevalentemente da fonti europee: i settori delle comunicazioni elettroniche o dell’energia
elettrica e del gas, quelli della tutela dell’ambiente, e anche il codice dei contratti pubblici che disciplina le
procedure per l’aggiudicazione di appalti di lavori, forniture e servizi, recepisce tre direttive europee che
pongono una regolamentazione quasi esaustiva. (Da menzionare è anche la direttiva 2006/123/CE, recepita
nell’ordinamento italiano dal d.lgs. 2010 n59, pone una serie di prescrizioni sui regimi autorizzatori per

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evitare che essi siano di ostacolo alla libera circolazione dei servizi a livello europeo). Oppure ricordiamo
nella materia antitrust, la legge del 1990, n 287, che ha istituito l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato e ha posto una disciplina organica a tutela della concorrenza.

L’attività amministrativa. 2) L’art 1, comma 1, l.n. 241/1990 include tra i principi generali dell’attività
amministrativa (economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza) anche i “principi generali
dell’ordinamento comunitario”. Questi ultimi sono ricavabili sia dai Trattati e dalle altre fonti del diritto ue,
sia dalla giurisprudenza della Cdg dell’UE. L’art 5 del TUE enuncia, per es, tra i criteri di allocazione delle
funzioni tra Unione e gli Sm, il principio di sussidiarietà e richiama anche quello di proporzionalità. La p.a. è
menzionata anche nella Carta europea dei diritti fondamentali dell’UE, (ora incorporata come protocollo
allegato al Trattato di Lisbona e avente valore giuridico equiparato a quello del Trattato). L’art 41 garantisce a
ogni individuo nei rapporti con le istituzioni europee il diritto di essere trattato in modo imparziale ed equo,
di accedere ai documenti del fascicolo che lo riguarda, di ottenere una decisione motivata adottata entro un
termine ragionevole ecc. L’art 42 garantisce inoltre il diritto di accesso di documenti delle istituzioni
dell’Unione.

L’organizzazione. 3) il diritto europeo condiziona l’assetto organizzativo degli apparati pubblici. Numerose
agenzie e autorità indipendenti sono state istituite in italia in attuazione di direttive europee. Si pensi per es,
al Sistema europeo delle banche centrali nazionali. Ma anche nel settore dei servizi pubblici, le autorità di
regolazione nazionali operano sotto il coordinamento di agenzie europee. A livello governativo è istituito il
dipartimento per le Politiche europee incardinato presso la presidenza del Consiglio dei ministri. La legge
del 2012, n.234 prevede un Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE). (Inoltre i procedimenti
amministrativi vedono sempre più spesso coinvolte amministrazioni nazionali ed europee: per es nella
gestione dei fondi strutturali, cioè di risorse europee destinate ad aree e settori economici particolari).

La finanza pubblica. 4) Il diritto europeo impone agli Sm vincoli sempre più stringenti alla finanza pubblica
che condizionano l’operatività delle p.a. e l’attuazione dei loro programmi di intervento. Un salto di qualità
si è avuto in seguito alla crisi finanziaria esplosa nel 2008 che ha messo anche a repentaglio la stessa
moneta unica europea. Nel 2012 gran parte degli Stati europei hanno sottoscritto il Trattato sulla stabilità,
sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (Fiscal compact) e il Trattato
istitutivo del meccanismo europeo di stabilità (Trattato MES). È stato riscritto l’art 81 cost, introducendo il
principio del pareggio del bilancio.

Tutela giurisdizionale. 5) Il diritto europeo esercita un’influenza sul diritto processuale amministrativo. Il
Codice del processo amministrativo stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena
ed effettiva secondo i principi della Cost e del “diritto europeo”. Inoltre, nel settore dei contratti pubblici,
sono intervenute direttive europee che hanno anticipato, per es, gli sviluppi del diritto nazionale in tema di
tutela risarcitoria e di possibilità di esperire particolari tipi di rimedi. La direttiva 2007/66/CE del Pe e del
Consiglio dell’11 dicembre 2007, in materia di procedure di ricorso negli appalti pubblici, ha imposto al
legislatore italiano di prevedere un rito speciale in materia di contratti pubblici.

(Il diritto amministrativo globale. Il d.a. sta assumendo una dimensione ultrastatale (o globale). Essa è
collegata allo sviluppo a livello mondiale di un numero elevato di organizzazioni internazionali (Banca
mondiale) che producono standard che condizionano i diritti nazionali. La loro attività è sottoposta a principi
tipici del d.a., come per es, quelli della partecipazione al procedimento e della motivazione degli atti. È
emersa a livello globale anche una funzione giustiziale volta a garantire nei rapporti internazionali
l’applicazione delle regole poste dai vari organismi).*

4.3. Il diritto privato.

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Il diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato; non esaurisce tutta la disciplina
dell’attività e dell’organizzazione della p.a.; ha una capacità espansiva in quanto si applica, a certe
condizioni, anche a soggetti privati.

L’autonomia del d.a. L’autonomia del d.a. dal diritto privato emerge da un istituto della l.n. 241/1990 e cioè
dagli accordi stipulati tra amministrazione e soggetti privati “al fine di determinare il contenuto
discrezionale del provvedimento finale, ovvero in sostituzione di questo” (art. 11, comma 1, l. 241/1990). A
questo tipo di accordi di natura pubblicistica “si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del cc in
materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili” (comma 2).

Il regime privatistico degli accordi amministrativi. Il rinvio al regime del cc è indiretto e selettivo: indiretto
perché il rinvio è operato non alle disposizioni del cc, ma ai principi da esse desumibili in via di
interpretazione; selettivo perché l’applicazione dei principi così ricavati è subordinata a un giudizio di
compatibilità con i principi del d.a. che prevalgono su quelli del diritto civile. Inoltre, l’applicazione del diritto
privato può essere esclusa da norme speciali (“ove non diversamente previsto”). Il diritto amministrativo e il
diritto privato si collocano in una relazione di giustapposizione e di autonomia reciproca; ciascuno dei due
diritti è in sé completo e autosufficiente, eventuali lacune devono essere colmate facendo applicazione
analogica anzitutto di istituti e principi propri di ciascuna disciplina. Negli ordinamenti anglosassoni, invece,
nei quali il diritto amministrativo è meno completo, esso si pone rispetto alla common law in termini di
deroga o eccezione.

L’arret Blanco. Per tradizione la nascita del d.a. come disciplina autonoma si fa risalire in Francia al celebre
arret Blanco del 1873. Il Tribunal des Conflits in una causa danni proposta da un privato, anziché applicare le
regole civilistiche, statuì che la responsabilità civile dell’amministrazione non è né generale né assoluta, ma
è sottoposta a “sue regole speciali che variano in base alla necessità di conciliare i diritti dello Stato con i
diritti dei privati”. In materia di responsabilità civile, anche nel nostro ordinamento l’applicazione delle
regole del cc (artt 2043 ss.) è stata oggetto, di deroghe ed eccezioni poste dal legislatore e giustificate
dall’esigenza di salvaguardare le prerogative dell’amministrazione. Ancora oggi le autorità di regolazione
istituite nel settore finanziario sono responsabili solo per gli atti e i comportamenti posti in essere con dolo
o colpa grave. I principi della responsabilità civile applicati per lesione di interessi legittimi si discostano in
alcuni punti da quelli del diritto comune. L’autonomia del d.a. sostanziale trova un parallelo nell’autonomia
del d.a. processuale rispetto al diritto processuale civile. Il Codice del processo amministrativo contiene
numerosi rinvii al cpc . Tuttavia le disposizioni del cpc si applicano solo “in quanto compatibili o espressione
di principi generali”.

I moduli privatistici dell’attività e dell’organizzazione delle p.a. L’attività delle p.a. è regolata in parte da
leggi amministrative e in parte dal diritto privato. Le p.a. sono dotate di soggettività piena nell’ordinamento
giuridico; esse godono, al pari delle persone giuridiche private, di una capacità giuridica generale, cioè di
un’attitudine ad assumere la titolarità di diritti e obblighi in conformità alle norme del cc e delle leggi
speciali. Le p.a. possono instaurare relazioni giuridiche con altri soggetti dell’ordinamento regolate dal
diritto comune. L’art. 1, comma 1-bis, l.n. 241/1990 enuncia il principio secondo il quale la p.a.,
“nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge
non disponga diversamente”. Il solo limite generale che sussiste per le p.a. è costituito dal fatto che la
capacità giuridica generale è attribuita ad esse, per realizzare finalità di interesse pubblico; pertanto le p.a.
non possono stipulare, per es, contratti aleatori. La capacità di diritto privato delle p.a. viene integrata da
una sorta di capacità speciale, attraverso l’attribuzione per legge di poteri amministrativi necessari per la
cura di interessi pubblici. (Ricordiamo che l’art 11 cc riconosce che le persone giuridiche pubbliche “godono
dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”).

Gli atti autoritativi. L’esercizio dei poteri amministrativi, ex art 1, comma 1-bis, si sostanzia nell’adozione di
atti aventi natura autoritativa, cioè caratterizzati dall’unilateralità nella produzione degli effetti e dalla loro

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sottoposizione al principio di legalità e agli altri principi di d.a. L’amministrazione è tenuta a curare
l’interesse pubblico privilegiando l’esercizio dei poteri amministrativi ad essa conferiti. L’utilizzo della
capacità di diritto privato da parte della p.a. può dare luogo a intersezioni tra regimi giuridici: per es, in
materia di contratti della p.a. per la fornitura di beni e servizi e per l’esecuzione di lavori convivono regole
pubblicistiche e privatistiche; le prime riguardano soprattutto la formazione della volontà della p.a., e la
scelta del contraente che avviene attivando un procedimento amministrativo. Le regole privatistiche
riguardano la fase dell’esecuzione degli obblighi contrattuali.

Le società pubbliche. La capacità di diritto privato consente, alle p.a. di ricorrere al modello della società di
capitali di diritto comune per l’esercizio di servizi pubblici e di altre attività di rilevanza pubblicistica. Ciò in
luogo di moduli organizzativi pubblicistici tradizionali come l’epe e l’azienda-organo. Per alcuni tipi di società
(a controllo pubblico, in house) le norme vigenti operano deroghe alla disciplina del cc e introducono
numerose regole pubblicistiche. Si è parlato di società di diritto speciale (per es la RAI) e di “quasi-
amministrazioni”, con riguardo alle quali la forma giuridica privatistica non fa venir meno la sostanza
pubblicistica. In seguito alla privatizzazione, molti enti pubblici sono stati trasformati in enti privati non
profit anch’essi ricondotti al diritto comune, salvo deroghe previste dalle leggi speciali (fondazioni liriche,
universitarie ecc). Il diritto privato penetra anche all’interno dell’organizzazione pubblica. Innanzitutto non
tutta l’organizzazione delle p.a. è disciplinata da fonti giuridiche pubblicistiche e dai principi di diritto
pubblico. Il d.lgs. n 165/2001 opera una distinzione tra “macro-organizzazione” e “micro-organizzazione”. La
macro-organizzazione, cioè le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l’individuazione degli uffici di
maggiore rilevanza ecc, è definita con atti organizzativi di tipo pubblicistico adottati da ciascun ente secondo
il proprio ordinamento (art 2, comma 1). La micro-organizzazione, invece, che riguarda l’articolazione degli
uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, è determinata dagli organi preposti alla
gestione “con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (art 5, comma 2), cioè con atti organizzativi
di diritto privato. L’applicazione delle regole di diritto privato è quasi integrale nel caso delle aziende
sanitarie locali (ASL) che costituiscono la struttura organizzativa di base del SSN. (Le ASL sono “aziende con
personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”. La loro organizzazione e il loro funzionamento
sono disciplinati “con atto aziendale di diritto privato”, approvato dal direttore generale (art 3, comma 1-bis,
d.lgs. 30 dicembre 1992, n.502)).

Il pubblico impiego privatizzato. In secondo luogo, negli anni Novanta del secolo scorso il rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici, in precedenza sottoposto a un regime pubblicistico, è stato ricondotto in parte al
diritto comune. (Il d.lgs. n 165/2001 prevede che “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle p.a. sono
disciplinati dalle disposizioni del Capo I, Titolo II, del Libro V del cc e dalla legge sui rapporti di lavoro
subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto che
costituiscono disposizioni a carattere imperativo” (art 2, comma 2)). A valle della normativa di rango
primario, i rapporti individuali di lavoro sono regolati da contratti collettivi e contratti individuali. (art. 2,
comma 3).

Tendenza espansiva del diritto amministrativo. In presenza di determinate condizioni, anche soggetti
formalmente privati sono sottoposti, almeno in parte, a un regime di d.a. Ciò accade per i soggetti privati
che (in base a criteri posti dalla normativa europea e nazionale in materia di contratti pubblici) sono
qualificati come “organismi di diritto pubblico” o “imprese pubbliche”. L’art 1, comma 1-ter, l.n.241/1990
stabilisce che “i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei
criteri e dei principi di cui al comma 1 con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le
pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge” (in particolare quelli di
imparzialità, pubblicità e trasparenza). Inoltre, l’art 29, comma 1, l.n. 241/1990 stabilisce che essa si applica
anche “alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni
amministrative”. (Alcuni atti di soggetti privati hanno natura di provvedimenti e sono sottoposti al controllo
giurisdizionale da parte del giudice amministrativo). Anche la normativa sul diritto di accesso ai documenti

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amministrativi ha un campo di applicazione che va al di là delle amministrazioni pubbliche in senso stretto.


Infatti, l’art 22, comma 1, lett. e), l.n. 241/1990 include nella definizione di p.a. “i soggetti di diritto privato
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”, i quali,
nella loro attività, sono tenuti a rispettare gli obblighi in materia di trasparenza.

Le società per azioni-ente pubblico. Infine, la costituzione di società per azioni da parte di soggetti pubblici
regolate in linea di principio dal diritto privato non comporta che esse siano qualificabili come persone
giuridiche private. La giurisprudenza più recente, attribuisce ad alcune società in mano pubblica la natura
giuridica di enti pubblici (per es, Poste spa, ENEL spa, RAI). È stata così riscoperta la figura, della società per
azioni-ente pubblico, già emersa negli anni Trenta del secolo scorso (AGIP spa). In ogni caso, la
trasformazione in società di diritto privato degli enti pubblici (cd privatizzazione “fredda”), se non è
accompagnata dalla dismissione del controllo azionario da parte dello Stato o di enti pubblici (cd
privatizzazione “calda”), non altera la sostanza pubblicistica delle società.

La penetrazione del diritto privato. Il diritto privato in qualche caso incorpora principi propri del d.a. Così,
per es, nel diritto societario le società facenti parte di un gruppo possono assumere decisioni influenzate
dall’attività di direzione e coordinamento della società capogruppo anche sacrificando l’interesse della
società a favore di quella del gruppo. Tuttavia le decisioni di questo tipo, come gli atti amministrativi (art 3,
l.n. 241/1990), devono essere “analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli
interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione” (art 2497-ter cc). Anche nel diritto del lavoro privato la
comunicazione del licenziamento deve contenere una motivazione. Nei rapporti tra compagnie di
assicurazione private e sottoscrittori di polizze di assicurazione nel settore della responsabilità civile
obbligatoria, questi ultimi possono esercitare il diritto di accesso ai documenti detenuti dalle prime con
modalità e esiti analoghi a quelli previsti dalla l.n. 241/1990 per i rapporti tra cittadini e p.a.

4.4. Il diritto penale. Il d.a. ha numerose connessioni con il diritto penale. Innanzitutto, il codice penale
dedica l’intero Titolo II del Libro II ai delitti contro la p.a. distinguendo i reati commessi dai pubblici ufficiali e
dagli incaricati di pubblici servizi (peculato, abuso d’ufficio, ecc) e i reati commessi dai privati contro la p.a.
(violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, l’oltraggio). Dalle definizioni, tratte dal codice penale, di
pubblico ufficiale preposto a una pubblica funzione e di incaricato di pubblico servizio, si possono ricavare
elementi utili anche per la ricostruzione delle nozioni generali del d.a. Peraltro, le definizioni ricavabili dai 2
ambiti disciplinari non coincidono in tutto e per tutto, tant’è che secondo la giurisprudenza penale a
proposito della nozione di procedimento amministrativo, “le indicazioni del d.a. sono utili […] ma non
esaustive o vincolanti” per il giudice penale. In secondo luogo, il diritto penale rafforza l’effettività di molte
discipline amministrative di settore, punendo comportamenti di singoli individui o di imprese che ne violino
i precetti. Si pensi ai numerosi reati previsti dal Codice dell’ambiente o quelli che tendono a colpire gli abusi
edilizi.

5. I caratteri generali del d.a.

5.1. La natura giurisprudenziale del d.a. La nascita del d.a. in Francia e in Italia è legata all’istituzione di un
giudice speciale per le controversie tra cittadino e p.a. Il primo tratto distintivo originario del d.a. è quello di
essere un diritto avente natura giurisprudenziale.

L’esperienza francese. In Francia la giustizia amministrativa si sviluppò dal sistema del contenzioso
amministrativo all’istituzione nel 1872 di un giudice speciale. (Il contenzioso amministrativo era dato da un
sistema di ricorsi amministrativi interni al potere esecutivo già presenti in epoca antecedente la Rivoluzione
del 1789). Nel 1872 venne attribuita in via permanente al Conseil d’Ètat la funzione di giudice del
contenzioso amministrativo. Nel 1873, il Tribunals des Conflits emanò la pronuncia sull’arret Blanco che
segna convenzionalmente la nascita del d.a. In seguito, fu proprio il Conseil d’etat a elaborare i principi
fondamentali di questo diritto.

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L’esperienza italiana. Lo sbocco naturale del sistema del contenzioso amministrativo, nell’istituzione di un
giudice speciale subì una cesura in occasione della riunificazione nazionale. La legge del 1865, n. 2248 abolì
il contenzioso amministrativo, ritenuto non compatibile con una visione liberale dello Stato, e attribuì al
giudice ordinario tutte le controversie tra privati e p.a. relative alla tutela di diritti soggettivi.

La funzione “pretoria” del giudice amministrativo. Nel 1889 venne istituito un giudice amministrativo e un
sistema il cui nucleo fu costituito dalla IV Sezione del Consiglio di Stato. Quest’ultima si auto attribuì la
qualifica di giudice in senso proprio e intraprese l’opera di costruzione dei principi generali del d.a. Per es, in
assenza di una definizione legislativa dell’eccesso di potere, la IV Sez chiarì che esso doveva essere inteso
come vizio del provvedimento relativo alla legalità intrinseca (da contrapporre alla legalità estrinseca, cioè
quella legata agli aspetti formali e procedurali dell’azione amministrativa) della funzione amministrativa.
Progressivamente poi, individuò una categoria aperta di figure sintomatiche dell’eccesso di potere. Il
Consiglio di Stato elaborò i principi generali dell’azione amministrativa (il principio del contraddittorio nei
procedimenti di tipo sanzionatorio, il principio di ragionevolezza), dell’atto amministrativo (obbligo di
motivazione, revoca e annullamento d’ufficio) e dell’organizzazione (prorogatio degli organi scaduti
giustificata dall’esigenza di continuità dell’azione amministrativa). Il consiglio di Stato colmò anche lacune
della disciplina legislativa del processo amministrativo. Elaborò l’atto definitivo impugnabile, l’interesse
legittimo, il principio della domanda. (In seguito a un “concordato giurisprudenziale” informale tra il
presidente della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, vennero fissati criteri di riparto di giurisdizione
tra giudice ordinario e giudice amministrativo).

Il ruolo nomofilattico dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Per dirimere i contrasti
giurisprudenziali del d.a., interviene l’adunanza plenaria del cds, collegio allargato composto da giudici
provenienti da tutte le sezioni giudicanti. Essa svolge una funzione nomofilattica, cioè di promozione di
un’applicazione del diritto uniforme. Nel caso in cui una sez giudicante ritenga preferibile un’interpretazione
diversa da quella dell’adunanza plenaria deve rimettere il caso alla decisione di quest’ultima e poi
conformarvisi. (Nell’enunciare il principio di diritto l’adunanza plenaria può stabilire, in casi eccezionali, che
esso si applichi solo per il futuro e non anche al caso concreto).

La legificazione dei principi del d.a. La l.n. 241/1990 offre una base legislativa solida agli istituti
fondamentali del d.a. Tuttavia nemmeno essa supera totalmente la natura giurisprudenziale del d.a. Essa in
alcuni casi ha solo legificato principi e istituti già elaborati dalla giurisprudenza e non ha realizzato una
disciplina organica e di dettaglio come quella di altre leggi generali sul procedimento amministrativo (per es
quella della Germania del 1976). Altra caratteristica del d.a. è l’elasticità e l’adattabilità al variare delle
situazioni e all’emergere di nuove esigenze: (ciò per certi versi è un vantaggio, perché consente al sistema di
rinnovarsi anche quando il parlamento ritarda a fornire risposte legislative a problemi emergenti; per altri, è
uno svantaggio, perché i concetti specifici della materia hanno contorni più sfuggenti di quelli propri di altre
discipline giuridiche).

5.2. Il d.a. generale e speciale. L’ampiezza del materiale normativo e delle materie incluse nel campo di
indagine del d.a. ha fatto emergere la distinzione tra d.a. speciale e generale. Il d.a. speciale è costituito dai
filoni legislativi che disciplinano i vari campi di intervento delle p.a. (urbanistica, sanità, ambiente), da un
corpo della legislazione di settore di fonte statale, regionale e di derivazione europea; vi si aggiungono
anche nuovi settori di legislazione speciale come quelli sull’amministrazione digitale e sulla prevenzione
della corruzione nelle p.a. Il d.a. generale ha natura trasversale ed è opera soprattutto della scienza
giuridica; essa procede alla rielaborazione delle norme vigenti e delle sentenze dei giudici, attraverso
un’attività di classificazione e di elaborazione dei concetti giuridici che costituiscono il nucleo essenziale del
d.a. D.a. speciale e d.a. generale si condizionano reciprocamente e si evolvono di pari passo. (Il d.a. generale
traccia le coordinate principali e le costanti volte a inquadrare nel modo più preciso i fenomeni analizzati;
esso è il nucleo costitutivo della materia, in gran parte codificato nella l.n. 241/1990. Il d.a. speciale è talora

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incorporato in codici di settore, o in partizioni interne a trattati di d.a. che mirano alla completezza
dell’esposizione).

CAPITOLO 2. LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO.

Premessa. La funzione regolatrice della p.a. ha assunto un ruolo crescente negli ultimi decenni in
conseguenza della crisi della legge come fonte di disciplina dei rapporti giuridici. In molti casi la legge si
limita a porre i principi fondamentali della disciplina di una determinata materia e delega agli apparati
amministrativi il compito di stabilire in via sublegislativa le regole di dettaglio volte a disciplinare anche i
comportamenti dei privati.

La funzione regolatrice della p.a. La funzione regolatrice della p.a. include tutti gli strumenti formali e
informali di condizionamento dell’attività dei privati; essa attenua almeno parzialmente il principio della
separazione dei poteri. In molti ambiti la p.a. ha sia il potere di porre le regole, sempre nei limiti stabiliti
dalla legge, sia di applicarle nei singoli casi. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel caso delle
autorità di regolazione istituite per la vigilanza su settori particolari di imprese (mercati finanziari) titolari di
poteri normativi particolarmente ampi. (Tuttavia non bisogna dimenticare che le p.a., sono anche soggetti
regolati sottoposti a un controllo più o meno esteso di norme).

Le fonti sull’amministrazione e dell’amministrazione. Particolarmente importante è la distinzione tra “fonti


sull’amministrazione” e “fonti dell’amministrazione”. Le fonti sull’amministrazione hanno come destinatarie
le p.a., e disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri di queste ultime e fungono da parametro per
sindacare la legittimità dei provvedimenti da esse emanati. Le fonti sull’amministrazione sono costituite, in
base al principio di riserva di legge relativa di cui all’art 97 cost, da fonti normative di rango primario e da
fonti normative di rango secondario (per es i regolamenti governativi). Le fonti dell’amministrazione invece
sono strumenti a disposizione delle p.a. sia per regolare comportamenti dei privati (regolamento
ministeriale) sia, sempre nei limiti in cui la legge riconosca ad esse un ambito di autonomia organizzativa,
per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento (provv amm). Le fonti dell’amministrazione
includono sia fonti normative in senso proprio (regolamenti, statuti) sia atti di regolazione aventi natura non
normativa (atti amministrativi generali, circolari, direttive).

2. La Costituzione. La cost del ’48 è la fonte giuridica di rango più elevato; essa è il parametro in base al
quale la corte cost esercita il sindacato sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. La revisione della cost e
delle altre leggi cost richiede un procedimento di approvazione da parte del parlamento con maggioranze
qualificate ex art 138 cost. La cost rientra tra le cost rigide, per le quali è previsto un procedimento di
modificazione aggravato rispetto a quello delle leggi ordinarie. Da un punto di vista contenutistico, la cost
del ’48 appartiene alle cd costituzioni lunghe, contrapposte a quelle brevi ottocentesche, (introdotte a
partire da quella di weimar del 1919). La cost individua anche un’ampia serie di compiti dei quali lo stato, e
la p.a., deve farsi carico nell’interesse della collettività (salute, istruzione scolastica e superiore, assistenza e
previdenza sociale, ecc).

Cost e p.a. La cost enuncia i principi essenziali in tema di organizzazione (imparzialità e buon andamento,
equilibrio di bilancio ex art 97), di raccordi tra politica e amministrazione (art 95 che pone il principio della
strumentalità dell’amministrazione rispetto alla politica generale del governo e il principio della
responsabilità politica dei ministri in relazione all’attività amministrativa), di assetto della giustizia
amministrativa (artt 103, 113, 125). La cost pone l’accento sul principio autonomistico (art 5), poi sviluppato
nell’articolazione “ascendente” dei livelli di governo, a partire dai comuni fino allo stato (art 114) ed enuncia
il principio di sussidiarietà (art 118). Sul versante finanziario, pone il principio del pareggio di bilancio(art 81,
ora rafforzato dalla legge cost 20 aprile 2012) che impegna tutti i livelli di governo ad osservare i vincoli
economici e finanziari derivanti dall’orientamento dell’ue.

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(Rapporti tra fonti statali e regionali. La riforma del Titolo V della Parte II della cost ad opera della legge
cost 2001, n. 3 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dei principi di equiordinazione
tra competenze legislative statali e regionali (che devono essere esercitate nel rispetto della cost e dei
“vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” ex art 117), dell’attribuzione
alle regioni di una competenza legislativa generale residuale, con indicazione tassativa delle materie
attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello Stato (art 117)).

3. Fonti dell’UE.

La disapplicazione del diritto nazionale contrastante con quello europeo. In base all’art 117 cost, le fonti
dell’ue si pongono su un livello gerarchicamente più elevato rispetto alle fonti primarie; le norme nazionali
contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate. Questo principio vale sia per i giudici
nazionali, (ai quali, nell’ambito di una controversia, spetta il compito di individuare la norma applicabile al
caso concreto (anche in base al principio jura novit curia)), sia per le p.a. quando esercitano un potere
amministrativo ed emanano un provvedimento. Inoltre sulla p.a. grava un vincolo ancora più stringente:
essa non può disapplicare leggi contrarie alla cost, e non ha il potere di sollevare in via incidentale la
questione alla corte cost. Il primato del diritto europeo vieta alle p.a. di dare esecuzione a un
provvedimento la cui legittimità sia stata affermata da una sent passata in giudicato, quando esso sia stato
ritenuto contrario al diritto europeo della corte di giustizia (sent Kuhne-Heitz 2004).

Trattati. Le fonti europee sono costituite anzitutto dai Trattati istitutivi delle Comunità, più volte modificati e
integrati: da ultimo con i trattati di amsterdam del 1997, di nizza del 2001 e di lisbona del 2007. Il trattato di
lisbona entrato in vigore nel 2009 si compone di 2 testi: il TUE e il TFUE. (Il TUE corrisponde all’incirca al TUE
approvato nel 1992 e integrato nel 2004; il TFUE corrisponde al precedente trattato CE). In base all’art 11
cost essi hanno consentito limitazioni della sovranità a favore delle istituzioni europee. I principi generali in
essi contenuti, (insieme a quelli che la cdg ha ricavato dai principi generali comuni agli ordinamenti giuridici
degli sm), sono di diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali. Vanno menzionate la carta dei diritti
fondamentali dell’ue e la cedu, richiamate espressamente dall’art 6 tue.

Regolamenti e direttive. I regolamenti, (disciplinati dagli artt 288 ss tfue), hanno portata generale e sono
direttamente vincolanti per gli sm e i loro cittadini; non richiedono alcuna forma di recepimento da parte
degli sm e non possono essere derogati da questi ultimi. A differenza degli atti normativi nazionali, i
regolamenti devono essere motivati; inoltre costituiscono un parametro diretto per sindacare la legittimità
degli atti amministrativi; (tra l’altro molti regolamenti vigenti disciplinano materie che fanno parte del d.a.
speciale). Le direttive emanate dal consiglio e dalla commissione hanno per destinatari gli stati e sono
vincolanti “per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi
nazionali in merito alla forma e ai mezzi” (art 288 tfue). Le direttive non sono immediatamente applicabili;
come i regolamenti, devono contenere una motivazione, e impongono agli sm solo un obbligo di risultato.
In base ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, le direttive devono essere preferite ai regolamenti e
le direttive quadro a quelle dettagliate. (Queste ultime, contengono anche prescrizioni puntuali
(autoapplicative); scaduto il termine previsto per il recepimento da parte degli sm, esse esplicano
un’efficacia diretta negli stati inottemperanti e possono essere un parametro che condiziona la legittimità
degli atti della p.a). (*direttive autoapplicative non ha mai efficacia nei rapporti orizzontali)

(Le decisioni. Tra gli atti dell’ue si collocano infine le decisioni che hanno un contenuto puntuale; esse si
applicano a fattispecie concrete norme generali e astratte previste da fonti europee. Sono vincolanti per gli
sm, ma non hanno un’efficacia diretta. (Il recepimento delle norme europee è disciplinato nel nostro
ordinamento dalla legge 2005 n.11 e dalla legge 2012 n.234. Lo strumento specifico è costituito da 2 leggi
annuali di iniziativa governativa: la legge europea che modifica o abroga le disposizioni statali vigenti
contrastanti con il diritto ue; la legge di delegazione europea, che attribuisce deleghe legislative al governo
per il recepimento delle direttive europee; quest’ultima prevede che nelle materie non coperte da riserva di

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legge il recepimento possa avvenire in via regolamentare e individua i principi fondamentali ai quali le
regioni si devono attenere per dare attuazione alle direttive europee nelle materie attribuite alla loro
competenza legislativa concorrente). Ricordiamo inoltre che il tue prevede che i parlamenti nazionali
vigilino sul rispetto del principio di sussidiarietà (art 5), e il protocollo n.1 allegato al tue precisa che i
progetti di atti legislativi indirizzati al pe e al consiglio devono essere trasmessi ai pn i quali possono
esprimere entro il termine di 8 settimane un parere motivato in ordine al rispetto del principio di
sussidiarietà. (Secondo la legge n. 234/2012 i progetti di atti dell’ue devono essere trasmessi alle camere dal
presidente del consiglio dei ministri o dal ministro per gli affari europei, accompagnati, per gli atti più
rilevanti, da una nota illustrativa.) (Gli organi parlamentari possono formulare al governo atti di indirizzo
relativi alla posizione che deve assumere l’Italia in sede di ue e inviare ai presidenti delle istituzioni europee
il parere motivato previsto dal protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità allegato al tue)).

4. Fonti normative statali, riserve di legge, principio di legalità.

(La cost pone una disciplina delle fonti statali di rango primario e cioè: la legge, approvata dalle 2 camere e
promulgata dal presidente della repubblica, il decreto legge che può essere adottato dal governo in casi
straordinari di necessità e urgenza e che deve essere convertito in legge dalle camere entro 60 gg; il decreto
lgs emanato dal governo sulla base di una legge di delegazione che definisce l’oggetto, determina principi e
criteri direttivi e il limite di tempo entro il quale la delega può essere esercitata. In seguito alle modifiche
introdotte dalla legge cost n.3/2001, la potestà legislativa statale può essere esercitata solo nelle materie
tassativamente indicate nell’art 117, commi 2 e 3 (potestà legislativa esclusiva e concorrente)).

Le riserve di legge. Esse definiscono i rapporti tra parlamento e potere esecutivo, esse sono uno degli
elementi costitutivi dello stato di diritto. La riserva di legge assoluta, come per es quella in materia penale,
richiede che la legge ponga una disciplina completa ed esaustiva della materia e esclude l’intervento di fonti
sublegislative. Essa ammette solo i regolamenti di stretta esecuzione, cioè di mero svolgimento di precetti
legislativi. La riserva di legge rinforzata aggiunge al carattere dell’assolutezza il fatto che la cost pone
direttamente alcuni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che costituiscono un
vincolo per il legislatore ordinario. Essa è prevista soprattutto in relazione al diritto di libertà: per es l’art 18
in tema di libertà di associazione esclude che possano essere istituiti regimi di autorizzazione
amministrativa. L’art 17 garantisce ai cittadini il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e prevede che le
autorità competenti possano vietare le riunioni in luogo pubblico solo “per comprovati motivi di sicurezza o
di incolumità pubblica”. La riserva di legge relativa, come per es quelle in materia tributaria (art 23) e di
organizzazione dei pubblici uffici (art 97) richiede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente
l’emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di dettaglio che completano la
disciplina della materia. La riserva di legge va distinta, con cui ha in comune la funzione di garanzia dei
soggetti privati nei confronti dell’amministrazione, dal principio di legalità.

Principio di legalità. Esso è richiamato dall’art 1 della legge n241/1990 secondo il quale l’attività
amministrativa persegue i fini determinati dalla legge. Il principio di legalità si ricava indirettamente anche
da disposizioni cost: in particolare l’art 113 cost in tema di giustiziabilità degli atti amministrativi presuppone
che il giudice trovi nella legge un parametro oggettivo rispetto al quale sindacare gli atti impugnati. Il
principio di legalità riceve un riconoscimento implicito anche nei trattati: è stato definito dalla
giurisprudenza europea come principio, comune a tutti gli sm, inerente al sistema europeo come “comunità
di diritto”.

Legalità-garanzia e legalità-indirizzo. Il principio di legalità assolve a una duplice funzione: di garanzia delle
situazioni giuridiche soggettive dei privati che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità-
garanzia); di ancoraggio dell’azione amministrativa al principio democratico e agli orientamenti che
emergono all’interno del circuito politico-amministrativo (legalità-indirizzo). La legge infatti, (in quanto

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manifestazione della sovranità popolare), funge da fattore di legittimazione e da guida dell’attività


amministrativa. Il principio di legalità può essere inteso in 2 accezioni. 1) accezione in negativo: in un primo
senso, esso va inteso come preferenza della legge: gli atti emanati dalla p.a. non possono porsi in contrasto
con la legge. La legge è un limite negativo all’attività dei poteri pubblici: ove travalicato, determina
l’illegittimità degli atti emanati (vizio di violazione della legge). Il principio della preferenza della legge risale
alla prima fase dello stato di diritto incorporato nelle cost liberali ottocentesche (come lo statuto albertino);
queste ultime erano improntate ad una concezione dualistica della sovranità, condivisa tra un parlamento
elettivo e il re; in questo modello il potere del re, cioè il potere dell’esecutivo (prerogativa regia) aveva una
legittimazione propria. Il principio della preferenza della legge si desume da varie disposizioni vigenti: l’art 4
delle disposizioni preliminari del cc prevede che “i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle
disposizioni di legge”; inoltre l’art 5 l.n. 2248/1856 di abolizione del contenzioso amministrativo impone al
giudice ordinario la disapplicazione di atti amministrativi e regolamenti generali e locali qualora questi siano
in contrasto con la legge. 2) in un 2 senso, come fondamento positivo di una norma di legge; il principio di
legalità richiede che il potere amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge;
quest’ultima costituisce il fondamento esclusivo (o limite positivo) dei poteri dell’amministrazione: la legge
deve attribuire in modo espresso alla p.a. la titolarità del potere, disciplinandone modalità e contenuti.
Questa concezione del principio di legalità emerse quando si affermò la concezione monistica della
sovranità oggi espressa all’art 1 cost. La p.a. non gode di una legittimazione propria, ma i poteri da essa
esercitati devono trovare un ancoraggio nel circuito politico-rappresentativo, cioè nella legge che diventa
fondamento e la misura del potere. In assenza di una norma di conferimento del potere, l’amministrazione
può fare uso solo della propria capacità di diritto privato. Il potere esercitato in assenza di una norma di
conferimento comporta la nullità dell’atto emanato per difetto assoluto di attribuzione.

Legalità formale e sostanziale. Il principio di legalità inteso nel 2 senso ha una duplice dimensione: legalità
formale (o debole) e legalità sostanziale (forte). Per soddisfare la legalità formale è sufficiente l’indicazione
nella legge (con una norma in bianco) dell’apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo
secondario o amministrativo che risulta indeterminato nei suoi contenuti. La legalità sostanziale invece
esige che la legge ponga, sia pure in termini generali, una disciplina materiale del potere amministrativo,
definendone i presupposti per l’esercizio, le modalità procedurali e le altre sue caratteristiche essenziali. Il
massimo di legalità sostanziale si raggiunge nel caso di poteri integralmente vincolanti. (La corte cost ha
fatto leva sul principio di legalità in senso sostanziale (oltre che sul principio della riserva di legge relativa)
per dichiarare illegittima per es, una disposizione che attribuiva al sindaco un potere assai ampio di
emanare ordinanze per prevenire ed eliminare gravi pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana;
secondo la corte infatti “non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di
un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo
da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa (sent n.
115/2011)).

Principio di legalità e riserva di legge. La riserva di legge relativa e il principio di legalità inteso in senso
sostanziale assolvono all’analoga funzione di delimitare il potere esecutivo. (La riserva di legge relativa
concorre a definire i rapporti interni al sistema delle fonti normative: stabilisce condizioni e limiti al potere
regolamentare del governo ed esige che la legge disciplini almeno in parte la materia. Da questo punto di
vista, anche per la riserva di legge si pone la questione di quanta parte della disciplina di una determinata
materia debba essere contenuta direttamente nella fonte primaria e quanto spazio di intervento possa
essere rimesso al potere esecutivo). Il principio di legalità prescrive che il potere dell’amministrazione,
anche quando si esplica nell’emanazione di norme secondarie, trova un fondamento nella legge e qui vi è
una sovrapposizione con il principio della riserva di legge relativa. Il fondamento legislativo generale dei
regolamenti governativi è costituito dall’art 17 della legge 1988 n. 400 che ne individua le principali
tipologie. (Tuttavia il principio di legalità si riferisce, oltre che ai poteri normativi, soprattutto ai poteri e ai

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provvedimenti amministrativi puntuali). Esso postula che il fondamento dei provvedimenti amministrativi
sia costituito anzitutto da norme di rango primario.

(Fonti primarie, secondarie e principi generali come parametri della legalità. Secondo la giurisprudenza
amministrativa, le esigenze sottostanti al principio di legalità possono essere soddisfatte anche da norme di
rango secondario (regolamenti): ciò vale per es per le sanzioni amministrative. Il carattere di generalità e
astrattezza delle norme regolamentari garantisce l’eguale trattamento dei destinatari dell’azione
amministrativa). Per essere legittimo l’atto amministrativo deve essere conforme anche alle norme
secondarie. (I parametri che integrano il principio di legalità sono costituiti anche dai principi generali del
diritto amministrativo desumibili dalla cost (es nell’art 97) o dal diritto europeo. (Il principio di legalità
richiede spesso all’amministrazione una valutazione articolata delle norme e dei principi generali riferibili al
caso concreto (la cd règle de droit); essa può richiedere alla p.a. di accertare la conformità delle disposizioni
nazionali con quelle europee o di interpretare delle disposizioni interne nel modo più conforme ai principi
cost)).

5. Le leggi provvedimento. Le leggi provvedimento sono il sintomo di una disfunzione nei rapporti tra
parlamento e potere esecutivo. Si tratta di leggi (statali ma anche regionali) prive dei caratteri della
generalità e dell’astrattezza dal punto di vista del contenuto, che regolano situazioni concrete e a volte
un’unica fattispecie. Come esempi ricordiamo le leggi che rilasciano, prorogano o revocano concessioni
amministrative riferite ad alcune imprese, costituiscono o disciplinano singole spa di interesse nazionale
introducendo deroghe al diritto comune (per es la RAI), erogano finanziamenti a una o più imprese ecc.

L’assenza di una riserva di amministrazione. (La cost non contiene un principio di riserva d’amministrazione
che metta al riparo il potere esecutivo da invasioni di campo ad opera del legislatore). Rientra nella
discrezionalità del parlamento la scelta se utilizzare lo strumento della legge invece che quello del
provvedimento amministrativo, oppure se attribuire all’amministrazione il potere corrispondente. La prassi
dell’amministrare per legge, alla quale il parlamento ricorre di frequente, è stata considerata come una
“legalità usurpata” perché il parlamento occupa spazi che in base al principio di separazione dei poteri
dovrebbero essere riservati al potere esecutivo. Infatti secondo il modello teorico che risale alle cost liberali
la fase della posizione delle norme che definiscono in astratto i poteri attribuiti all’amministrazione (previo
disporre) va tenuta distinta da quella dell’esercizio concreto del potere in applicazione delle norme
(concreto provvedere).

La tutela. La legge provvedimento elimina le garanzie offerte al privato dal regime dell’atto e del
procedimento (soprattutto in base alla l.n.241/1990) come in particolare, il diritto di partecipare al
procedimento, l’obbligo di motivazione e il diritto di proporre ricorso giurisdizionale innanzi al giudice
amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo. La legge provvedimento può essere
censurata solo sotto il profilo della costituzionalità con le forme, i limiti e i tempi propri di questo tipo di
giudizio davanti alla corte cost. Quest’ultima può dichiarare incostituzionali le leggi provvedimento solo nei
casi di arbitrarietà e manifesta irragionevolezza.

6. I regolamenti governativi.

Il principio del parallelismo tra competenza legislativa e regolamentare. La legge cost n.3/2001 ha
introdotto il principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza regolamentare dello stato.
Lo stato è titolare di un potere regolamentare esclusivamente nelle materie che l’art 117 cost attribuisce alla
sua competenza legislativa esclusiva. Tale potere può essere delegato alle regioni. Nelle altre materie la
potestà regolamentare spetta alle regioni. Lo stato può emanare regolamenti nelle materie devolute alla
potestà legislativa regionale concorrente o residuale solo con l’approvazione da parte delle regioni e in caso
di inerzia da parte di queste ultime; i regolamenti in questione hanno carattere cedevole, perdono efficacia
all’entrata in vigore della normativa da parte di ciascuna regione. Il potere regolamentare del governo è
richiamato nell’art 87 cost che attribuisce al presidente della repubblica il potere di emanare i regolamenti;

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una disciplina generale di rango primario è contenuta nell’art 17 l.n. 400/1988 che individua 5 tipi di
regolamenti governativi: esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti, di organizzazione, delegati o
autorizzati. 1) i regolamenti esecutivi pongono norme di dettaglio necessarie per l’applicazione concreta di
una legge (termini, adempimenti ecc); nelle materie coperte da riserva di legge assoluta, sono ammessi solo
regolamenti di stretta attuazione, che non operino alcuna integrazione o specificazione delle norme
materiali poste a livello di fonte primaria; essi possono essere emanati per dare esecuzione a regolamenti
europei e, nei casi in cui la legge di delegazione europea lo autorizzi, anche a direttive. 2) i regolamenti per
l’attuazione e l’integrazione possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta
nei casi in cui la legge si limiti a individuare i principi generali della materia e autorizzi espressamente il
governo a porre la disciplina di dettaglio. 3) i regolamenti indipendenti intervengono nelle materie non
soggette a riserva di legge quando manchi una disciplina di rango primario (rari). 4) i regolamenti di
organizzazione costituiscono una sottospecie di regolamenti esecutivi e di attuazione; essi disciplinano
l’organizzazione e il funzionamento delle p.a. “secondo le disposizioni dettate dalla legge”; anche l’art 97
pone una riserva di legge relativa in materia di organizzazione degli uffici e richiede una disciplina di fonte
primaria che ne delinei l’assetto in termini generali. Per l’organizzazione e la disciplina degli uffici dei
ministeri, l’art 17, l.n. 400/1988 opera una distinzione: gli uffici di stretta collaborazione con i ministri e
quelli di livello dirigenziale generale sono disciplinati con regolamenti di delegificazione; le unità dirigenziali
di livello inferiore agli uffici dirigenziali generali sono disciplinate con decreti ministeriali aventi natura non
regolamentare. 5) i regolamenti delegati sono previsti nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge
e attuano la delegificazione; sostituiscono la disciplina posta da una fonte primaria con una disciplina posta
da una fonte secondaria. La loro entrata in vigore determina l’abrogazione delle norme vigenti contenute in
fonti anche di rango primario. (L’art 17, comma2, l.n. 400/88 pone alcune condizioni: occorre una legge che
autorizzi il governo a emanarli; la stessa legge deve contenere le norme generali regolatrici della materia;
essa deve anche disporre l’abrogazione delle norme vigenti rinviando il prodursi dell’effetto abrogativo al
momento dell’entrata in vigore del regolamento. La delegificazione non esclude che leggi successive
possano rilegificare in tutto o in parte la materia). I regolamenti sin qui menzionati sono attribuiti alla
competenza del consiglio dei ministri. 6) i regolamenti ministeriali e interministeriali sono previsti nelle
materie attribuite alla competenza di uno o più ministri. Questi regolamenti possono essere emanati solo
nei casi espressamente previsti dalla legge e sono gerarchicamente sottordinati ai regolamenti governativi;
essi devono essere comunicati al presidente del consiglio dei ministri ai fini del coordinamento.

Profili procedurali. I regolamenti sono adottati previo il parere del consiglio di stato, sono sottoposti al
controllo preventivo di legittimità e alla registrazione della corte dei conti e vengono pubblicati nella
gazzetta ufficiale. (La partecipazione dei privati è esclusa nel procedimento di adozione dei regolamenti.
Non è richiesta nemmeno la motivazione). L’art 17 l.n.400/88 non esaurisce la tipologia dei regolamenti
governativi; una specie particolare di fonti secondarie emersa nella prassi legislativa consiste nei
regolamenti emanati con decreto del presidente del consiglio dei ministri; (questi tipi di decreti sono assunti
previa delibera del consiglio dei ministri e senza seguire l’iter procedurale previsto per gli altri tipi di
regolamento).

I decreti ministeriali “non aventi natura regolamentare”. In seguito alla legge cost n.3/2001, che ha limitato
l’ambito dei regolamenti governativi e ministeriali alle materie che rientrano nella competenza legislativa
esclusiva dello stato, molte leggi recenti tendono ad aggirare il divieto autorizzando l’emanazione di decreti
ministeriali non aventi valore regolamentare, che però contengono prescrizioni generali analoghe a quelle
proprie dei regolamenti. Il regime giuridico dei regolamenti, che sono atti formalmente amministrativi
anche se sostanzialmente normativi, è in parte quello proprio dei provvedimenti amministrativi (anche se
con le deroghe in tema di partecipazione dei privati e di obbligo di motivazione), in parte quello proprio
delle fonti del diritto (soggiace al canone di interpretazione ex art 12). Come tutti i provvedimenti
amministrativi, ove contengano disposizioni contrarie alla legge i regolamenti possono essere impugnati
innanzi al giudice amministrativo e annullati.

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La disapplicazione dei regolamenti. In base al principio della preferenza della legge, i regolamenti sono
suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario. Anche il giudice amministrativo può
disapplicare una norma regolamentare in almeno 2 ipotesi: quando il provvedimento impugnato viola un
regolamento che è difforme dalla legge, oppure quando il provvedimento impugnato è conforme a un
regolamento che contrasta con una legge. In entrambi i casi esercita il proprio sindacato valutando la
legittimità del provvedimento direttamente rispetto alla norma primaria: (esso risulta nella 1 ipotesi
legittimo (in malam partem); nella seconda illegittimo (in bonam partem)). Il giudice può disapplicare il
regolamento anche quando esso non sia stato espressamente impugnato (disapplicazione normativa).
Quanto fonti del diritto, ai regolamenti si applicano le norme generali sull’interpretazione contenute all’art
12 preleggi; inoltre la loro violazione può costituire motivo di ricorso per cassazione. A differenza delle fonti
primarie non possono essere oggetto di sindacato di cost davanti la corte cost.

7. I testi unici e i codici.

L’inflazione legislativa e la cattiva qualità delle leggi. (L’inflazione legislativa e il disordine normativo sono
dovuti al cattivo funzionamento del parlamento riconducibile a fattori collegati alla forma di governo, come
l’instabilità politica, la scarsa omogeneità e coesione delle maggioranze di governo, l’influenza degli interessi
particolari, la farraginosità del procedimento legislativo. Prevalgono gli interventi normativi estemporanei
limitati a modifiche puntuali di testi legislativi previgenti inseriti in leggi omnibus o in sede di conversione di
decreti legge). A partire dagli anni Novanta del secolo scorso è cresciuta la necessità di promuovere un
riordino della legislazione almeno nelle materie più rilevanti; lo strumento di riordino più tradizionale è
costituito dai testi unici che razionalizzano in un unico corpo normativo le disposizioni legislative vigenti che
disciplinano una determinata materia. Si distinguono i testi unici innovativi e quelli di mera compilazione. I
primi sono emanati sulla base di un’autorizzazione legislativa che stabilisce i criteri del riordino; essi sono
fonti del diritto in senso proprio (di rango primario o secondario a seconda del tipo di autorizzazione
legislativa) in quanto sono atti a innovare il diritto oggettivo e determinano l’abrogazione delle fonti
legislative precedenti. I secondi invece sono emanati su iniziativa autonoma del governo e hanno la
funzione di unificare in un unico testo le varie disposizioni vigenti, rendendo più semplice il loro
reperimento. I testi unici hanno interessato materie tra cui: enti locali, edilizia, espropriazione per pubblica
utilità, rapporto di lavoro nelle p.a. ecc.

Negli ultimi anni si è fatto ricorso soprattutto allo strumento del codice; esso si differenzia dal testo unico in
quanto il codice si propone anche di innovare in modo più esteso la disciplina e inoltre viene incorporato in
una fonte di rango primario (cioè in un decreto legislativo emanato sulla base di una legge di delega).

I codici di settore e la norma Taglia leggi. I codici hanno riordinato varie materie: contratti pubblici,
protezione civile, dati personali, beni culturali, Terzo settore. (Il parlamento poi ha approvato una serie di
disposizioni volte ad abrogare le leggi più risalenti; una disposizione come taglia leggi (legge n.133/2008) ha
abrogato circa 29.000 leggi che avevano già esaurito i loro effetti).

8. Cenni alle fonti normative regionali, degli enti locali e di altri enti pubblici.

La cost prevede 3 fonti normative regionali: gli statuti, le leggi e i regolamenti. Modifiche rilevanti sono
intervenute in seguito alle leggi cost n.1/1999 e n.3/2001.

Lo statuto delle regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento (art 123). (La sua approvazione avviene attraverso un procedimento aggravato che prevede
una duplice approvazione a maggioranza assoluta da parte del consiglio regionale e può essere sottoposto a
referendum popolare). Lo statuto delle regioni speciali è approvato con legge cost. Le leggi regionali sono
approvate dal consiglio regionale e promulgate dal presidente nelle materie attribuite dall’art 117 alla
competenza concorrente e residuale delle regioni.

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La chiamata in sussidiarietà. La giurisprudenza cost ha peraltro ritenuto che anche nelle materie di
competenza regionale lo stato possa legiferare entro certi limiti. Da un lato, infatti alcune materie attribuite
alla competenza legislativa esclusiva statale (in particolare la tutela della concorrenza) hanno natura
trasversale e consentono a leggi statali di introdurre disposizioni che non possono essere derogate dalle
regioni. Dall’altro lato, in base al principio di sussidiarietà verticale, ove una funzione richieda di essere
esercitata in modo unitario a livello statale, anche la funzione legislativa viene attratta nell’ambito della
competenza statale.

I regolamenti regionali sono adottati dalla giunta regionale e possono essere emanati nelle materie
attribuite alla competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni, secondo il principio del
parallelismo tra funzioni legislative e regolamentari.

(Agli statuti è rimessa una disciplina più puntuale dei rapporti tra leggi regionali e regolamenti).

Gli statuti e i regolamenti comunali. (L’art 6 testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali,
approvato con d.lgs.2000, n 267, prevede che lo statuto sia approvato dal consiglio dell’ente locale a
maggioranza di due terzi, oppure con delibera approvata 2 volte alla maggioranza assoluta dei consiglieri).
Lo statuto deve contenere le norme fondamentali sull’organizzazione dell’ente, le forme di garanzia e
partecipazione delle minoranze, le forme di partecipazione popolare, il decentramento, l’accesso ai cittadini
alle informazioni e ai procedimenti amministrativi. Sotto il profilo della gerarchia delle fonti, lo statuto ha un
rango subprimario poiché si pone al di sotto delle leggi statali di principio. I regolamenti degli enti locali
sono richiamati dall’art 117, 6 comma e disciplinati dall’art 7 testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali; essi sono emanati nelle materie di competenza degli enti locali nel rispetto dei principi fissati
dalla legge e dallo statuto e disciplinano l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e
l’esercizio delle funzioni. I regolamenti comunali, approvati dal consiglio comunale, intervengono in materie
importanti come l’urbanistica, l’edilizia, il traffico, il commercio, le pubbliche affissioni ecc

(Statuti e regolamenti degli enti pubblici. Sempre a partire dagli anni novanta del secolo scorso, molti altri
enti pubblici (università, camere di commercio, ecc) hanno acquistato una maggiore autonomia
organizzativa e funzionale e anche la potestà di dotarsi di un proprio statuto, nell’ambito di principi stabiliti
dalla legge.) Anche le autorità amministrative indipendenti sono titolari di poteri di autorganizzazione e
normativi molto estesi.

9. Gli atti di regolazione aventi natura non normativa.

La funzione di regolazione delle p.a. si esplica anche attraverso atti aventi natura non normativa. La
distinzione tra atti normativi e atti non normativi è fondata su criteri formali (per es la denominazione di
“regolamento”) e sostanziali.

I caratteri degli atti normativi. Gli atti normativi sarebbero i caratterizzati dalla generalità, dall’astrattezza e
dalla novità, vale a dire dell’attitudine della norma a sostituire, modificare o integrare norme preesistenti.
Secondo altre impostazioni sarebbero rilevanti la connotazione politica dell’atto normativo, oppure la
finalizzazione a regolare in astratto rapporti giuridici, la indeterminatezza dei destinatari sia a priori sia a
posteriori. La giurisprudenza è oscillante e tende a qualificare come atti normativi atipici (o extra ordinem)
molti atti che dettano regole di comportamento a soggetti esterni all’amministrazione (per es alcuni tipi di
circolari). Tuttavia nell’ambito del diritto amministrativo la distinzione tra atti normativi e non normativi,
riferita soprattutto agli amministrativi generali ha scarsa rilevanza poiché il loro regime giuridico è in
massima parte coincidente.

(L’irrilevanza pratica della distinzione tra atti normativi e non normativi. Si ritiene che dalla qualificazione
di un atto come normativo derivino determinate conseguenze: si applica il principio jura novit curia, e
quindi sotto il profilo probatorio la parte privata è sottratta all’onere di allegazione e di prova delle norme

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applicabili al caso concreto, onere che vale solo per i fatti; è consentito il ricorso in cassazione per
“violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, valgono i criteri interpretativi posti dall’art 12 delle
preleggi. Quanto al principio jura novit curia, nel processo amministrativo il ricorrente deve specificare
nell’atto introduttivo del giudizio i motivi di ricorso, cioè i profili specifici di vizio sottoposti all’esame del
giudice e deve indicare anche “gli articoli di legge o di regolamento che si ritengono violati”. Il giudice non
può dunque individuare d’ufficio il parametro normativo in base al quale operare il proprio sindacato.
Quanto alla ricorribilità in Cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, l’art 111 ultimo
comma, cost consente il ricorso per cassazione avverso le sent del giudice amministrativo “per i soli motivi
inerenti alla giurisdizione”. Pertanto non rileva a questi fini se il provvedimento impugnato sia illegittimo per
violazione di una norma giuridica in senso proprio o per violazione di una prescrizione contenuta in un atto
amministrativo generale o in una circolare. La tutela offerta è identica in entrambi i casi poiché è esclusa la
ricorribilità in cassazione avverso la sent del giudice amministrativo che offra un’interpretazione errata della
norma invocata come parametro di legittimità del provvedimento impugnato. La “violazione di legge” è
invece elencata, insieme all’eccesso di potere e all’incompetenza, tra i vizi del provvedimento
amministrativo indicati dall’art 21-octies l.n.241/1990. Ciascuno dei 3 vizi assume un’identica rilevanza ai
fini dell’annullabilità del provvedimento. Per es, il mancato rispetto di una disposizione contenuta in un
regolamento o di un bando di concorso (tipico atto amministrativo generale) determina in entrambi i casi
l’illegittimità del provvedimento applicativo. Quanto alle regole sull’interpretazione, per gli atti
amministrativi vale la disciplina prevista dal cc per i contratti (artt 1362 ss.), ma non tutte le disposizioni
codicistiche sono ritenute compatibili con il carattere unilaterale e autoritativo dei provvedimenti. Per es,
non si ritengono applicabili i principi dell’interpretazione delle clausole contro il loro autore (art 1370),
dell’interpretazione del contratto in modo meno gravoso per l’obbligato (art 1371) incompatibili con il ruolo
e la missione della p.a. Il regime dell’interpretazione degli atti amministrativi finisce per coincidere in gran
parte con quello delle fonti normative di cui alle preleggi.)

10. Gli atti amministrativi generali.

I provvedimenti amministrativi hanno un contenuto concreto e si rivolgono a uno o più destinatari (per es
una sanzione amministrativa irrogata al proprietario di un veicolo in divieto di sosta); (fissano
autoritativamente il modo di essere di un rapporto giuridico tra p.a. e privato in relazione alla situazione di
fatto e, nel caso in cui si tratti di un potere discrezionale, all’atteggiarsi degli interessi pubblici e privati in
gioco). Tuttavia spesso la p.a. ha il potere di emanare atti amministrativi aventi contenuto generale che sono
diretti alla cura concreta di interessi pubblici; essi sono propedeutici all’emanazione di provvedimenti
puntuali o trovano svolgimento in un’attività organizzativa degli uffici pubblici. Si rivolgono in modo
indifferenziato a categorie più o meno ampie di destinatari non necessariamente determinati nel
provvedimento, ma determinabili sulla base di esso. Talora sono suscettibili di essere applicati a una
ripetuta serie di casi e quindi hanno anche il carattere dell’astrattezza.

Tipologia. La tipologia degli atti amministrativi generali è variegata. Tra gli atti generali vengono fatti
rientrare i piani, i programmi, le direttive, gli atti di indirizzo, le linee guida, le autorizzazioni generali, i bandi
militari, i provvedimenti che fissano in modo autoritativo i prezzi e le tariffe ecc. In alcuni casi è controverso
se essi abbiano natura solo amministrativa o se abbiano un’efficacia anche normativa. Alcuni di questi atti
esprimono scelte attuative dell’indirizzo politico-amministrativo e per questo motivo sono ancorati in modo
più diretto al circuito rappresentativo. (A livello statale la competenza è attribuita al governo al quale spetta
il compito di mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo e di coordinare l’attività dei ministri
(art 95 cost) o ai ministri ai quali spetta definire i piani, i programmi e le direttive generali che trovano poi
svolgimento nell’attività dei dirigenti generali. A livello locale, i consigli comunali e provinciali approvano i
programmi (per es quello relativo ai lavori pubblici), i piani territoriali e urbanistici, gli indirizzi alle aziende
pubbliche e agli enti indipendenti).

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Le deroghe alla l.n.241/1990. Gli atti amministrativi generali sono soggetti a un regime giuridico che deroga
in parte a quello proprio dei provvedimenti amministrativi e che ricalca quello degli atti normativi. Come i
regolamenti, non richiedono una motivazione (art 3, comma 2 legge 241); il procedimento per la loro
adozione non prevede la partecipazione dei soggetti privati (art 13); l’attività dell’amministrazione diretta
alla loro emanazione è esclusa dal diritto di accesso (art. 24, comma 1 , lettera c). Per molti atti
amministrativi generali sono previsti obblighi di pubblicazione e ciò accentua la loro valenza regolatoria.
Analizziamo alcuni tipi di atti amministrativi generali.

11. a) I bandi di concorso e gli avvisi di gara. Tra gli atti amministrativi generali privi del carattere di
astrattezza, dei quali è certa quindi la natura non normativa, rientrano i bandi di concorso per l’assunzione
di dipendenti nella p.a., oppure gli avvisi di gara per la scelta del contraente nei contratti stipulati dalle p.a. I
bandi di concorso costituiscono l’atto di avvio del procedimento per la selezione di personale delle p.a. Essi
specificano i requisiti di partecipazione, le modalità e i termini per la presentazione delle domande di
partecipazione, lo svolgimento delle prove scritte e orali, i criteri per l’attribuzione dei punteggi. Hanno
contenuto concreto, esauriscono i loro effetti al completamento della procedura, che avviene con
l’approvazione della graduatoria finale. Analogamente, i bandi o avvisi di gara disciplinati nel Codice dei
contratti pubblici, individuano l’oggetto del contratto, il tipo di procedura ecc. Il bando (insieme agli altri
documenti di gara come la lettera d’invito ecc) costituisce la lex specialis della singola procedura di gara,
vincola la stazione appaltante e condiziona la legittimità degli atti adottati.

12. b) Gli atti di pianificazione e di programmazione. In molte materie, prima dell’emanazione di


provvedimenti puntuali o dell’erogazione di servizi, la legge prevede un’attività di pianificazione o
programmazione con la quale si prefigurano obiettivi, priorità, limiti e altri criteri che presiedono
all’esercizio dei poteri amministrativi e all’attività degli uffici pubblici. Per es, il rilascio dei permessi di
costruzione avviene nel rispetto dei piani regolatori comunali; (l’allocazione delle frequenze radiotelevisive
avviene sulla base del piano nazionale delle frequenze; i permessi per l’accesso al centro storico sono
rilasciati in base al piano urbano del traffico).

La pianificazione a cascata. L’attività di pianificazione e di programmazione serve anche a creare i raccordi


tra i diversi livelli di governo (stato, regioni, comuni) secondo il metodo della pianificazione a cascata. Per es
in materia sanitaria, l’attività di programmazione si articola nel piano sanitario nazionale e, a livello
regionale, nei piani sanitari regionali. La legge anticorruzione (l.n. 190 2012) prevede l’adozione da parte di
ciascuna p.a. di un piano per la prevenzione. Il piano è elaborato sulla base del piano nazionale approvato
dall’Autorità nazionale anticorruzione. (Alla verifica dell’attuazione del piano è preposto un responsabile
della prevenzione della corruzione che è nominato dall’organo di indirizzo politico di ciascuna
amministrazione e che risponde in sede disciplinare nel caso di ripetute violazioni delle misure previste dal
piano). Anche in materia ambientale sono numerosi gli atti di pianificazione e programmazione settoriale
statale (piano generale di difesa del mare) e soprattutto regionale.

Valenza interna e regolatoria dei piani. (Dal punto di vista della teoria della regolazione amministrativa), gli
atti di pianificazione introdotti nella legislazione della 2 metà del secolo scorso in materia economica sono
considerati tra gli strumenti di intervento pubblico più intrusivi della libertà di iniziativa privata. Proprio per
questo, con l’affermarsi del modello di stato regolatore e in seguito alle politiche di liberalizzazione, molti
atti di pianificazione sono stati soppressi. È accaduto che in occasione del trasferimento di numerose
funzioni dallo stato alle regioni in attuazione del modello del “federalismo amministrativo”, vari strumenti di
pianificazione sono stati soppressi.

In piano regolatore in materia urbanistica. Il piano regolatore è lo strumento principale di governo del
territorio da parte dei comuni; esso fu previsto in origine dalla legge urbanistica del 1942. Oggi è
disciplinato dalle leggi regionali. Il piano regolare suddivide il territorio comunale in zone omogenee con
l’indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili: attività edificatoria a fini abitativi, industriale,

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agricola, ecc. Il piano individua le aree destinate a edifici e a infrastrutture pubbliche o a uso pubblico. Se la
localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità di durata
quinquennale; il piano regolatore è corredato dalle norme tecniche di attuazione che specificano le
distanze, le altezze e le destinazioni d’uso degli edifici. (Il piano regolatore generale si inserisce in un sistema
articolato di strumenti di pianificazione; è condizionato dal piano territoriale di coordinamento provinciale,
dai piani paesistici e dai piani urbanistico-territoriali. Costituiscono strumenti attuativi del piano regolatore il
piano particolareggiato di iniziativa pubblica per la realizzazione di interventi di riqualificazione territoriale; i
piani di zona per l’edilizia residenziale).

Il procedimento di approvazione. Il piano regolatore generale è approvato all’esito di un procedimento


aperto alla partecipazione dei privati; il piano viene adottato dal comune e pubblicato per 30 gg per
consentire agli interessati di prendere visione e presentare osservazioni. (Viene poi sottoposto a una nuova
delibera del consiglio comunale che deve pronunciarsi sulle osservazioni presentate). Il piano adottato è
soggetto all’approvazione della regione. La regione può proporre modifiche al fine di una migliore tutela
degli interessi ambientali e paesaggistici. Le proposte di modifica sono comunicate al comune, quest’ultimo
con delibera del consiglio comunale può approvare controdeduzioni delle quali la regione tiene conto in
sede di approvazione definitiva. La notizia dell’approvazione del piano regolatore viene data nel bollettino
ufficiale della regione. Il piano regolatore è un atto complesso che prevede il coinvolgimento del comune e
della regione con poteri propri. (Il piano regolatore preclude il rilascio di permessi a costruire non
compatibili con le nuove prescrizioni (misure di salvaguardia)).

La natura giuridica del piano regolatore. Si discute se abbia natura essenzialmente normativa
(regolamentare) tale da condizionare soltanto l’adozione dei piani attuati, oppure di atto amministrativo
generale tale da produrre effetti giuridici immediati in capo a destinatari ben individuati (per es i proprietari
dei terreni soggetti ai vincoli). Prevale in giurisprudenza la tesi intermedia della natura mista dei piani
regolatori che, “da un lato, dispongono in via generale e astratta in ordine al governo e all’utilizzazione
dell’intero territorio comunale, e dall’altro contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta
definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano” (cons. st. ad. Plen. 1999,
n 24). Occorre valutare caso per caso i contenuti del piano per appurare se esso leda in via immediata
posizioni giuridiche di singoli proprietari e quindi sia necessario impugnarlo nel termine di 60 gg; oppure se
abbia una valenza solo programmatoria e che solo l’emanazione dei provvedimenti attuativi determini una
lesione delle situazioni giuridiche soggettive tale da rendere necessaria la proposizione di un ricorso
giurisdizionale.

Gli effetti conformativi. La disciplina legislativa dei piani regolatori e dei piani attuativi ha natura
procedimentale e rimette all’amministrazione ampi spazi di discrezionalità. I piani producono una pluralità
di effetti: di disciplina del potere di pianificazione a cascata; di conformazione del territorio, di
conformazione del diritto di proprietà correlato alle prescrizioni che limitano le possibilità di edificazione
riferite alle singole particelle immobiliari. Gli effetti conformativi possono sconfinare in effetti espropriativi e
ablatori nei casi in cui essi determinino un vincolo permanente incidente su beni determinati.

13. c) Le ordinanze contingibili e urgenti. A livello subcostituzionale, numerose disposizioni di legge


attribuiscono ad autorità amministrative il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti (nei settori
dell’ordine pubblico, dell’ambiente, della protezione civile) delle quali è discussa la natura amministrativa o
normativa.

Tipologie delle ordinanze. Ricordiamo il potere del prefetto “nel caso di urgenza o per grave necessità
pubblica (…) di adottare provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza
pubblica” (art 2 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Il sindaco, quale ufficiale del governo, può
adottare “provvedimenti contingibili e urgenti per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (art 54, comma 4, testo unico degli enti locali); può adottarli

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anche in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica in ambito locale, per ragioni di sicurezza urbana,
decoro, vivibilità, tranquillità e riposo dei residenti. Poteri analoghi sono attribuiti alle regioni e al ministro
della Salute nel caso di situazioni che interessino territori e comunità più ampie. Un potere di ordinanza è
previsto anche in caso di protezione civile nel caso in cui si verifichino calamità naturali che richiedono
interventi immediati con mezzi e poteri straordinari; in questo caso il consiglio dei ministri può deliberare lo
stato di emergenza fissandone la durata, l’estensione territoriale e disponendo anche circa l’esercizio del
potere di ordinanza. (Quest’ultimo è esercitato entro 30 gg dal capo del dipartimento della Protezione civile
nel rispetto dei criteri indicati nel decreto che dichiara lo stato di emergenza e dei principi generali
dell’ordinamento giuridico.) Le ordinanze sono immediatamente efficaci e vengono attuate a cura del capo
del dipartimento della Protezione civile. Le leggi attributive di questo tipo di poteri si limitano a individuare
l’autorità amministrativa competente ad adottarli e a specificare il fine pubblico da perseguire; esse lasciano
indeterminato il contenuto del potere e i destinatari del provvedimento. L’autorità competente è quindi
titolare di un’ampia discrezionalità. Le ordinanze in questione operano una deroga al principio della tipicità
degli atti amministrativi, in base al quale la norma attributiva del potere deve definirne in modo
sufficientemente preciso presupposti e contenuti e sollevano quindi un problema di compatibilità con il
principio di legalità inteso in senso sostanziale.

Regime giuridico: limiti costituzionali. La giurisprudenza, anche costituzionale ha chiarito già dalla sent
n.8/1956 che le ordinanze non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell’ordinamento
giuridico e con i principi fondamentali della cost; devono avere un’efficacia limitata nel tempo e devono
essere motivate e adeguatamente pubblicizzate. Un limite interno è dato dal principio di proporzionalità per
cui il contenuto delle ordinanze deve essere calibrato in funzione dell’emergenza che deve essere
fronteggiata in concreto. Ne deriva il carattere temporaneo e provvisorio delle misure introdotte.

Dato che si tratta di uno strumento extra ordinem, il potere di ordinanza ha carattere residuale perciò non
può essere esercitato in luogo di poteri tipici previsti dalle norme vigenti già idonei a far fronte a quel tipo di
situazione. (per far smantellare un’antenna per la telefonia mobile installa in modo non conforme alle
prescrizioni urbanistiche, il sindaco non può esercitare il potere di ordinanza). Le ordinanze hanno di regola
natura non normativa anche quando si rivolgono a categorie più o meno ampie di destinatari. Esse si
riferiscono ad accadimenti specifici (terremoto, epidemia) e hanno carattere concreto e un’efficacia
temporalmente circoscritta. Tuttavia, se la situazione di emergenza si protrae, le ordinanze acquistano
anche un carattere di astrattezza e perdono quello della temporaneità; in particolare, nel caso delle
ordinanze emanate dai sindaci in materia di sicurezza o decoro urbano (misure contro la prostituzione ecc)
esse assumono caratteristiche simili ai regolamenti comunali, intesi come atti normativi in senso proprio di
rango sublegislativo.

L’urgenza come presupposto di atti amministrativi. Le ordinanze contingibili e urgenti vanno distinte da
altri atti amministrativi che hanno come presupposto l’urgenza, ma il cui contenuto e i cui effetti sono
predefiniti in tutto e per tutto dalla norma attributiva del potere (i cd atti necessitati). Per es, nel caso in cui i
lavori relativi alla costruzione di un’opera pubblica siano dichiarati urgenti, l’autorità competente può
disporre l’occupazione d’urgenza dei terrenti interessati prima che sia concluso il procedimento di
espropriazione; (in materia di contratti pubblici, l’urgenza può legittimare la trattativa diretta con un solo
fornitore;) in altri casi, l’urgenza può giustificare l’emanazione di un atto da parte di un organo diverso da
quello competente in via ordinaria, che poi provvede alla ratifica: per es la giunta comunale può adottare in
via d’urgenza alcuni atti di competenza del consiglio comunale.

14. d) le direttive e gli atti di indirizzo. Affini agli atti di pianificazione, in quanto espressione della funzione
di indirizzo politico-amministrativo, sono le direttive amministrative. Caratteristica delle direttive è il loro
contenuto; esso si limita all’indicazione di fini e obiettivi da raggiungere, criteri di massima, mezzi per
raggiungere i fini. Esse attribuiscono ai loro destinatari spazi di valutazione e di decisione più o meno estesi;
ove giustificato, i destinatari possono anche disattendere in tutto o in parte le indicazioni contenute nella

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direttiva per ragioni che devono essere espresse nella motivazione. Si distinguono le direttive che si
inseriscono in rapporti interorganici e direttive che attengono a rapporti intersoggettivi: in quest’ultimo caso
esse possono assumere una rilevanza regolatoria ove siano indirizzate a una pluralità di destinatari.

Direttive interorganiche. Esse sono uno strumento attraverso il quale l’organo sovraordinato orienta
l’attività dell’organo o degli organi sottordinati. Laddove il rapporto interorganico ha un carattere
propriamente gerarchico (per es il ministro dell’interno nei confronti dei prefetti) la direttiva a volte può
essere utilizzata in luogo dell’atto che è più caratteristico di questo tipo di relazione e cioè l’ordine
gerarchico che un contenuto puntuale ed è riferito a una situazione concreta. Laddove invece l’organo
sottordinato è investito di una competenza autonoma e il rapporto non è propriamente gerarchico, la
direttiva connota un rapporto organico, detto rapporto di direzione.

Rapporto di direzione tra ministri e dirigenti. Un esempio tra i più rilevanti è il rapporto di direzione tra
ministro e dirigenti generali in base al principio della distinzione tra indirizzo politico amministrativo e
attività di gestione. Al ministro è preclusa ogni competenza gestionale e amministrativa diretta e può solo
formulare “direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione” (d.lgs. n. 165/2001) ed esercitare
un controllo ex post. I dirigenti generali sono titolari dei poteri di gestione e di emanazione degli atti e
provvedimenti, (curano l’attuazione delle direttive generali impartite dal ministro e a loro volta definiscono
gli obiettivi che i dirigenti a loro sottoposti devono perseguire).

Le direttive intersoggettive. Le direttive intersoggettive sono uno strumento attraverso il quale, per es, il
ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei confronti di enti pubblici strumentali,
la cui attività deve essere coerente con i fini istituzionali propri del ministero di settore o della regione.
Storicamente esse sono state previste dal legislatore nel campo del diritto dell’economia; interi settori di
imprese (aziende di credito) o particolari categorie di epe (gli enti di gestione delle partecipazioni statali
quali l’iri, l’eni, l’efim ecc) furono sottoposti a poteri di indirizzo (oltre che di vigilanza) molto penetranti.

Esempi recenti. (In anni più recenti, lo strumento della direttiva è stato utilizzato con minor frequenza).
All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso è stata smantellata la struttura di governo delle partecipazioni
statali (comitati ministeriali). Le autorità amministrative indipendenti, nuovi apparati di regolazione, non
sono destinatari di un potere di indirizzo da parte del governo. Nella legislazione sono emersi anche altri tipi
di direttive a valenza regolatoria: per es le autorità indipendenti preposte ai servizi di pubblica utilità
possono emanare direttive nei confronti delle imprese erogatrici dei servizi. La violazione di queste direttive
da parte delle imprese destinatarie comporta l’applicazione di sanzioni amministrative. (In occasione della
riforma del governo e dei ministeri operata con il d.lgs. n. 300/1999 la direttiva ha la funzione di creare un
raccordo tra il ministro di settore e le agenzie istituite per lo svolgimento di particolari attività a carattere
tecnico-operativo (per es agenzie fiscali) e dotate di ambiti di autonomia funzionale e finanziaria, oppure tra
ministro vigilante ed enti pubblici strumentali). Questione discussa, è quella della cogenza della direttiva e
delle conseguenze nel caso in cui il destinatario non si attenga alle indicazioni contenute in essa. (Le
direttive tendono a condizionare l’esercizio della discrezionalità dei destinatari i quali mantengono un
ambito di valutazione autonoma). I poteri di reazione in capo all’organo o al soggetto sovraordinato sono di
tipo indiretto e si possono manifestare in interventi sull’organo (scioglimento). Raramente essi includono
poteri che incidono sulla validità degli atti adottati (revoca, annullamento d’ufficio).

15. e) Le norme interne e le circolari.

Le organizzazioni complesse, anche quelle private, si dotano di regole interne per disciplinare il
funzionamento e i raccordi tra le varie unità operative; per es le grandi imprese approvano regolamenti
aziendali, manuali di procedura ecc

Gli ordinamenti giuridici sezionali. Nel diritto pubblico, il tema delle norme interne si ricollega alla
ricostruzione dell’ordinamento della p.a. come ordinamento giuridico particolare (sezionale o derivato), in

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qualche misura separato (e autonomo) dall’ordinamento generale statuale. All’interno dello Stato-
ordinamento, (che identifica una comunità di individui (popolo)), si colloca lo Stato-amministrazione, che
costituisce uno degli ordinamenti derivati dell’ordinamento statuale. In base alla teoria della pluralità degli
ordinamenti (Romano), ciò che avviene all’interno di ciascun ordinamento particolare non ha sempre una
rilevanza nell’ordinamento generale; sono ammesse anche norme derogatorie rispetto a quelle applicabili
alla generalità dei consociati. (Così per es, gli impiegati pubblici godono di uno status particolare. In passato
essi sottostavano a norme speciali che comportavano anche la limitazione di diritti fondamentali (iscrizione
a partiti politici) e l’imposizione di obblighi (fedeltà, decoro ecc) che si estendevano anche a comportamenti
assunti al di fuori delle attività di servizio. (Analogamente, i militari o i condannati a una pena detentiva
entravano a far parte di ordinamenti speciali ed erano soggetti a poteri punitivi e coercitivi particolarmente
gravosi)).

Gli elementi costitutivi degli ordinamenti giuridici sezionali. Tra gli elementi costitutivi degli ordinamenti
giuridici sezionali troviamo: la plurisoggettività, con la predeterminazione dei soggetti inseriti
nell’ordinamento settoriale sulla base di atti di ammissione, di iscrizione o di attribuzione di status;
un’organizzazione interna stabile con distribuzione di ruoli e competenze; la presenza di norme interne
emanate dagli organi preposti all’ordinamento speciale e rese effettive da un sistema di sanzioni interne;
l’istituzione di organi giustiziali speciali (commissioni di disciplina ecc). (Le norme interne possono assumere
la forma di regolamenti interni, di istruzioni o ordini di servizio, direttive generali ecc). La forma usuale di
comunicazione delle norme interne è la circolare.

L’ordinamento sportivo. Il modello degli ordinamenti giuridici sezionali è stato superato con l’entrata in
vigore della cost che non ammette, se non entro limiti ristretti, la rinuncia o la compressione dei diritti
fondamentali. Oggi esso è limitato a pochi settori tra cui quello dello sport: la sua normativa prevede
un’organizzazione pubblicistica che fa capo ad un ente pubblico: CONI: comitato olimpico nazionale italiano,
e alle federazioni sportive. Prevede anche un sistema di giustizia disciplinare interna davanti a organi
giustiziali dell’ordinamento sportivo. Le norme interne acquistano sempre più rilevanza nell’ordinamento
generale: per es l’illecito sportivo può comportare non solo l’applicazione delle sanzioni speciali previste
dalle norme interne all’ordinamento (es nel gioco del calcio, l’ammonizione) ma anche quelle previste
dall’ordinamento generale (per es sanzioni penali relative alle lesioni personali provocate a un giocatore).
L’organizzazione interna dell’amministrazione è stata oggetto di interventi legislativi che hanno superato la
separatezza dell’ordinamento amministrativo rispetto a quello generale. (Anche la giurisprudenza
amministrativa tende a valutare le norme interne sotto il profilo della loro attitudine ad incidere su
situazioni giuridiche individuali, ritenendo impugnabili una serie di atti organizzativi in precedenza sottratti
al sindacato giurisdizionale).

Il regime giuridico delle norme interne. La distinzione tra norme interne e norme esterne si è venuta
attenuando. (A ciò ha contribuito anche la l.n. 241/1990 che aveva già introdotto un obbligo generalizzato di
pubblicare, secondo modalità previste per le singole amministrazioni, “le direttive, i programmi, le
istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi,
sui procedimenti di una p.a. ovvero nel quale si determina l’interpretazione di norme giuridiche o si dettano
disposizioni per l’applicazione di esse” (art 26)). (Anche in materia di sovvenzioni, contributi e altri sussidi
finanziari, le amministrazioni competenti erano obbligate a predeterminare e rendere pubblici i criteri e le
modalità alle quali esse si devono attenere nell’individuare i singoli beneficiari (art 12)). Oggi gli obblighi di
pubblicità sono stati confermati ed estesi anche per finalità di prevenzione della corruzione (d.lgs. n
33/2013). (In molti casi le norme interne sono pubblicate anche nella g.u.) (Il testo unico delle disposizioni
sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del presidente della repubblica e sulle
pubblicazioni ufficiali della repubblica italiana prevede che i ministri competenti possano richiedere la
pubblicazione sulla g.u. delle circolari esplicative dei provvedimenti legislativi). Gli obblighi di pubblicazione
fanno assumere alle norme interne rilevanza esterna indiretta.

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Le conseguenze della violazione delle norme interne. Se l’amministrazione emana un provvedimento


amministrativo violando una norma interna, il giudice amministrativo può censurarlo sotto il profilo
dell’eccesso di potere; inoltre il dipendente che viola le norme interne può essere passibile di sanzioni
disciplinari.

La prassi amministrativa. Una specie sui generis di norme interne è quella della prassi amministrativa, cioè
della condotta uniforme assunta nel tempo dagli uffici in relazione alle decisioni prese in casi analoghi. Il
principio di coerenza che presiede all’esercizio dell’attività degli uffici fa sì che i precedenti, una volta
consolidati, acquistino una sorta di forza normativa; perciò devono essere tenuti in considerazione in
occasione di successivi casi di svolgimento dell’attività e diventano vincolanti se non sussistono ragioni per
discostarsene. La prassi amministrativa si può formare nel tempo spontaneamente in conseguenza del
continuo ripetersi di un determinato comportamento, unito al convincimento diffuso che esso sia conforme
a una regola operativa tacita. Non va confusa con la consuetudine, che è una vera e propria fonte del diritto
quando si forma un convincimento generalizzato della sua obbligatorietà (opinio iuris sive necessitatis). La
prassi può acquistare una normativa interna; una volta formatasi, viene talora recepita a titolo ricognitivo
ed è rafforzata dalla stessa amministrazione per mezzo di una circolare. (Secondo alcune ricostruzioni la
prassi potrebbe anche essere promossa da un atto dell’amministrazione in relazione all’applicazione di
normative nuove, creando un legittimo affidamento nei confronti dei soggetti esterni all’amministrazione).

Le circolari. Esse sono il principale mezzo di comunicazione delle norme interne; esse sono uno strumento
di orientamento e di guida degli uffici, che di fatto assumono per questi un grado di cogenza a volte anche
superiore alle norme giuridiche di grado primario. In origine, le circolari trovarono impiego nell’ambito
dell’organizzazione militare in cui i portaordini consegnavano i dispacci dei comandi alle unità impiegate in
operazioni militari. L’espressione trovò poi applicazione nell’ambito generale dell’organizzazione
amministrativa, anch’essa ordinata per molto tempo secondo un criterio gerarchico. Secondo una
definizione classica, le circolari sono “atti di un’autorità superiore che stabiliscono in via generale ed astratta
regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo degli affari d’ufficio” (Cammeo). Le circolari dunque sono
gli atti tipici aventi efficacia esclusivamente interna. Le ricostruzioni più recenti prendono atto
dell’evoluzione della p.a. e della proliferazione degli apparati amministrativi; le circolari acquistano così in
alcuni casi una dimensione intersoggettiva quando vengono indirizzate a enti e soggetti esterni all’apparato
che li emette. Il contenuto delle circolari può essere il più vario. Esse possono contenere ordini, direttive,
interpretazioni di leggi, informazioni di ogni genere. Le circolari perdono così il carattere di atto
amministrativo tipico e diventano solo uno strumento di comunicazione di atti ciascuno dei quali ha una
propria configurazione tipica.

Le circolari interpretative, normative e informative. Nella prassi sono emersi almeno 3 tipi di circolari:
interpretative, normative e informative. Le circolari interpretative mirano a rendere omogenea
l’applicazione di nuove normative da parte delle p.a.; queste hanno un maggior grado di vincolatività nel
momento in cui vengono emanate nell’ambito di apparati strutturati in modo gerarchico: l’inferiore
gerarchico si deve attenere all’interpretazione indicata dal superiore gerarchico. Al di fuori di questo ambito,
la circolare interpretativa vale solo come un’opinione più o meno autorevole (in ragione della collocazione
dell’organo che la emana e dei rapporti di dipendenza di chi la riceve) che però non è giuridicamente
vincolante. Per es, una circolare interpretativa del ministero dell’Interno che ha per oggetto norme applicate
da enti autonomi come gli enti locali non impedisce a questi ultimi di far propria una diversa
interpretazione, anche se questo accade raramente. Le circolari interpretative non vincolano
l’interpretazione dei giudici. Le circolari normative hanno la funzione di orientare l’esercizio del potere
discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi; esse hanno per oggetto gli spazi di valutazione
discrezionale rimessi dalla legge all’autorità amministrativa. Attraverso queste circolari l’organo
sovraordinato indirizza l’attività degli organi subordinati, specificando le finalità, indicando priorità,
fornendo criteri, ecc. Il destinatario deve tenerne conto in modo adeguato ma può anche disattenderle

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purché fornisca una congrua motivazione. Le circolari informative sono emanate per diffondere all’interno
dell’organizzazione notizie, informazioni e messaggi di varia natura. In dottrina si è anche individuato il
modello delle circolari-regolamento, atti atipici volti a porre regole generali e astratte aventi per destinatari
soggetti esterni all’amministrazione. Si tratta peraltro di una specie di circolare controversa quanto ad
ammissibilità e legittimità. (Le circolari non danno origine ad un fenomeno unitario. I contenuti, il grado di
cogenza e l’attitudine a produrre effetti giuridici nei rapporti interni ed esterni all’amministrazione vanno
verificati caso per caso in relazione al contesto organizzativo in cui ciascuna di essere si inserisce).

16. La soft law, le raccomandazioni e le linee guida. La funzione di regolazione a livello europeo e nazionale
si è evoluta lungo direttrici che mettono in crisi le classificazioni tradizionali in tema di fonti normative e di
atti amministrativi. La linea direttrice principale è quella della cd soft law: essa consiste nell’insieme di
strumenti, spesso informali come comunicazioni, inviti, segnalazioni, volti a influenzare i comportamenti
delle autorità amministrative e dei soggetti amministrati. La soft law mette in discussione il principio di
tipicità delle fonti e degli atti amministrativi con valenza regolatoria, che costituisce un’esplicazione del
principio di legalità e la nozione di vincolatività. Per es, nell’ambito del Sistema europeo di vigilanza
finanziaria (SEVIF) le 3 autorità europee di regolazione preposte ai settori bancario, finanziario e assicurativo
possono emanare “orientamenti e raccomandazioni” rivolti alle autorità nazionali per promuovere
un’applicazione uniforme della normativa europea e di offrire indicazioni alle imprese. (La European
Security Market Authority (ESMA) utilizza anche lo strumento delle “domande e risposte” per offrire alle
autorità nazionali e agli investitori privati chiarimenti sull’interpretazione della normativa di settore).

Linee guida, raccomandazioni, comunicazioni. In materia di privacy, il Comitato europeo per la protezione
dei dati personali, (organismo dell’ue dotato di personalità giuridica istituito con il regolamento (UE)
2016/679 ed entrato in vigore nel 2018,) al fine di promuovere l’applicazione della nuova normativa
pubblica può emanare “linee guida, raccomandazioni e migliori prassi” dirette alle autorità nazionali e ai
soggetti privati. (Anche il Garante per la protezione dei dati personali può adottare linee guida). Nella
materia degli aiuti di Stato la Commissione UE, in seguito alla crisi finanziaria del 2008, ha emanato delle
“Comunicazioni” volte ad offrire agli SM criteri interpretativi delle misure di sostegno alle banche in crisi
(ammissibili in base alle norme del TUE). La CdG dell’UE ha chiarito che questo tipo di comunicazioni
autovincola la discrezionalità della Commissione ma non obbliga in modo assoluto gli Sm. Gli sm hanno la
possibilità di discostarsi da essi (proponendo altri tipi di misure che la Commissione ha poi l’obbligo di
valutare caso per caso). A livello nazionale, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato
linee guida per la quantificazione delle sanzioni irrogate alle imprese nel caso di violazione della normativa
sulla concorrenza e ciò per assicurare agli operatori una maggiore prevedibilità dell’ammontare della
sanzione. La violazione delle linee guida può essere fatta valere innanzi al giudice amministrativo che in
tema di sanzioni antitrust ha il potere di sindacare nel merito il provvedimento dell’autorità. (Sempre a
livello nazionale, alcune autorità di regolazione (CONSOB, Banca d’Italia) pubblicano nei loro bollettini o nei
loro siti atti detti “avvisi” o “messaggi”, “comunicazioni” o “note amministrative”, “richiami di attenzione”,
“domande e risposte”; con essi vengono specificate modalità operative e applicative di norme, vengono
impartiti indirizzi operativi ecc. )(Anche il ministero dell’economia e delle finanze può impartire indicazioni
in tema di applicazione della normativa sulle società a partecipazione pubblica). È discussa invece la natura
di soft law delle linee guida dell’autorità nazione anticorruzione emanate in attuazione del codice dei
contratti pubblici, posto che in alcuni casi esse sono vincolanti e possono essere impugnate davanti al
giudice amministrativo, in altri sono non vincolanti. Il grado di effettività della soft law dipende
dall’autorevolezza dell’organo da cui essa promana.

Il modello comply or explain. In questo caso il regolatore, anziché imporre regole uguali per tutti, propone
una soluzione ottimale che il destinatario può seguire, oppure decidere di non seguire. In questo caso deve
rendere pubbliche le ragioni per cui ritiene di doversi discostare, assumendosene le responsabilità. Questo
sistema è applicato a livello europeo nei codici di corporate governance che individuano l’assetto

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organizzativo di vertice delle società incluso il sistema dei controlli interni; la singola società può anche
disattendere tali indicazioni illustrando però nella documentazione allegata al bilancio annuale le ragioni per
le quali sono state adottate soluzioni diverse. Questo sistema è stato introdotto nel nostro ordinamento in
relazione al monitoraggio sull’andamento della finanza pubblica.

17. La better regulation e altri modelli di regolazione. Negli ultimi anni molti stati si sono dotati di
strumenti che promuovono la qualità della regolazione (better regulation) e che perseguono una pluralità di
obiettivi: contenere l’iperregolazione (regulatory inflation); ridurre gli oneri (finanziari, organizzativi) che
gravano sulle stesse p.a. e sui privati per adeguarsi alle normative; evitare che un’eccessiva quantità di
regole comprometta la competitività del sistema economico e incrementi i costi sociali, ecc. Uno degli
strumenti, sperimentato nei paesi anglosassoni e a livello europeo, introdotto alla fine degli anni Novanta è
la analisi di impatto della regolazione.

L’analisi di impatto della regolazione. L’AIR obbliga le p.a., prima di approvare un atto di regolazione, a
individuare tutte le soluzioni astrattamente possibili (anche l’”opzione zero” cioè non introdurre alcuna
nuova norma) valutando i costi e i benefici di ciascuna di esse e a esplicitarle in un documento che correda
la proposta di atto normativo. Una volta approvate, le norme devono essere sottoposte anche a una verifica
ex post che accerti i loro costi, i risultati conseguiti rispetto alle attese ecc. A questo fine interviene la
verifica dell’impatto della regolazione (VIR); quest’ultima è una valutazione che può sfociare nella proposta
di perfezionare, modificare o abrogare le norme emanate. (A livello governativo, nell’ambito del
dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio dei ministri (DAGL) è stato
istituito un ufficio di livello dirigenziale generale per la verifica dell’impatto della regolamentazione (AVIR)).
(Entro il 30 aprile di ogni anno il presidente del consiglio dei ministri presenta al parlamento una relazione
sullo stato di applicazione dell’AIR.) Si tratta per ora di strumenti ancora in fase di sperimentazione. (In
alcuni ordinamenti, per rendere più cogente l’attività di valutazione delle norme vigenti, sono stati
sperimentati modelli di sunset legislation, cioè di leggi o di altri atti normativi a tempo, che perdono
efficacia se non vengono confermati da un nuovo atto normativo da emanarsi entro un termine prefissato.
Di recente sono stati sperimentati in vari paesi modelli di regolazione innovativi).

(Il paternalismo libertario. È una corrente di pensiero che mette a frutto i risultati delle scienze
comportamentali. Lo stato, anziché obbligare i soggetti privati a tenere determinati comportamenti magari
anche con la minaccia di sanzioni(per es obbligo per i motociclisti di indossare il casco: paternalismo
autoritario) individua l’opzione preferibile per tutelare i reali interessi dei privati, senza però eliminare la
loro libertà di scelta. L’opzione proposta dai pubblici poteri si applica di default, cioè in mancanza di una
diversa manifestazione di volontà esplicita del soggetto interessato (opt out). Per es lo Stato potrebbe
stabilire come regola generale una trattenuta dai salari dei lavoratori finalizzata a garantire prestazioni
previdenziali o sanitarie future, salva l’opzione espressa del singolo lavoratore di far versare subito le
somme in questione in busta paga (opt out). Gli esperimenti effettuati dimostrano che in generale i sistemi
opt out producono risultati migliori dal punto di vista degli interessi del privato e dell’interesse pubblico,
rispetto ai sistemi opt in.)

La regolazione “cogestita”. Un altro modello innovativo è quello della regolazione cogestita dal regolatore
pubblico e da soggetti privati. Esso supera in parte la contrapposizione tra eteroregolazione pubblica e
autoregolazione privata: (la prima include le fonti normative e gli atti di regolazione attribuiti alla
competenza di soggetti pubblici e che pongono una disciplina autoritativa e unilaterale dei comportamenti
privati; la 2 si riferisce alle manifestazioni dell’autonomia negoziale volte a porre una regolazione di attività
private su basi consensuali). Come misura di temperamento dell’unilateralità del potere di regolazione, leggi
recenti hanno reso obbligatorie per i poteri normativi sublegislativi attribuiti alle autorità amministrative
indipendenti forme di partecipazione al procedimento dei soggetti interessati. Il modello di riferimento è
quello dell’Administrative Procedure Act del 1946 (che prevede per gli atti normativi sublegislativi un

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procedimento articolato in una fase di pubblicazione di uno schema di atto normativo e in una seconda fase
di raccolta di osservazioni e proposte di modifiche da parte dei soggetti interessati).

(La Regulatory negotiation. Negli stati uniti dal 1946 è previsto un modello avanzato regulatory negotiation:
l’agenzia di regolazione competente può istituire un comitato consultivo che ha il compito di predisporre un
testo normativo condiviso.)

La self-regulation e i codici deontologici. Un ulteriore modello di regolazione cogestita emerso anche in


italia è quello della autoregolazione monitorata. Essa è prevista per es nel testo unico della finanza per
l’organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari che può essere svolta da
società di gestione del mercato, cioè soggetti privati; Questi hanno il compito di predisporre un regolamento
di disciplina del mercato. Il regolamento approvato dalla società di gestione è poi sottoposto a un controllo
pubblicistico da parte della consob. Essa deve accertare la conformità del regolamento alla disciplina
europea e ai criteri di trasparenza del mercato, della tutela degli investitori ecc. Le norme contenute nel
regolamento hanno natura privatistica e hanno come destinatari non solo gli operatori professionali ma
anche la generalità degli utenti. Momenti di autoregolazione e di eteroregolazione sono presenti anche nei
codici di deontologia e buona condotta in materia di tutela dei dati personali (privacy). (Il Codice in materia
di dati personali, prevede che il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti predisponga un codice
deontologico relativo a dati personali sensibili). (Il codice è promosso dal Garante per la protezione dei dati
personali, questo può prescrivere misure e accorgimenti che il Consiglio è tenuto a recepire. Il codice
deontologico viene pubblicato nella g.u. La violazione del codice legittima il Garante ad adottare
provvedimenti amministrativi che vietano il trattamento dei dati personali. Un altro es di regolazione
cogestita è dato dai codici di rete per la definizione delle condizioni tecniche di accesso alle reti elettriche e
del gas: l’autorità per energia, reti e ambiente definisce il modello, che deve essere specificato dai titolari di
rete, sottoponendo la proposta di codice all’esame dell’Autorità.)

Le autorizzazioni generali. L’autorizzazione, definita come atto amministrativo che consente l’esercizio di
un’attività rimuovendo un limite all’esercizio di un diritto e che è emanata su istanza della parte interessata,
acquista una dimensione regolatoria nei casi in cui la legge preveda l’emanazione da parte dell’autorità
amministrativa delle cd autorizzazioni generali. Nel settore delle comunicazioni elettroniche, la normativa
europea impone solo in pochi casi, a chi voglia offrire sul mercato i servizi in questione, di richiedere
un’autorizzazione individuale preventiva. Di regola è sufficiente l’autorizzazione generale definita come
“quadro normativo” che garantisce i diritti di fornitura di reti o di servizi che viene rilasciata ai privati in base
a una dichiarazione presentata al ministero competente.

Gli impegni. Anche i procedimenti di tipo sanzionatorio, volti ad accertare la sussistenza di un illecito
amministrativo e ad applicare una sanzione nei confronti di un soggetto determinato, si aprono in alcuni
casi ad una dimensione regolatoria. Così l’autorità garante della concorrenza e del mercato, quando avvia
procedimenti sanzionatori nei confronti di un’impresa può concluderli senza accertare l’illecito e irrogare la
sanzione, accettando impegni. Questi ultimi sono proposti dall’impresa stessa e sono degli obblighi
comportamentali volti a rimuovere anche per il futuro le ragioni sottostanti all’apertura del procedimento
sanzionatorio. In alcuni casi essi sono assunti a favore di soggetti terzi (per es le imprese concorrenti a cui
viene garantita la messa a disposizione di una infrastruttura) e perciò questi tipi di impegni, assumono una
dimensione regolatoria.

PARTE SECONDA.

CAPITOLO 3. IL RAPPORTO GIURIDICO AMMINISTRATIVO. (PAG 105).

1.Le funzioni e l’attività amministrativa.

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La definizione della funzione amministrativa attiva. La funzione amministrativa attiva consiste


nell’esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato
al fine di curare l’interesse pubblico (nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati.)

(I fini pubblici. La legge, quando istituisce un apparato amministrativo, ne delinea le funzioni correlate alle
finalità di interesse pubblico. I fini pubblici concorrono a definire, la “missione” affidata a un soggetto
pubblico che consiste nella cura di un determinato interesse pubblico individuato dalla legge. (L’esigenza di
tutelare un interesse pubblico (l’ambiente o la privacy) si afferma nella coscienza sociale e si traduce in
normative che prevedono anche l’istituzione di un apparato pubblico (ministero o autorità indipendente)
per lo svolgimento delle attività necessarie per curare tale interesse). Il termine “funzione” ha molti
significati, perciò si distingue tra funzione di regolazione, di amministrazione attiva e controllo.)

La definizione di funzione amministrativa. Per essa si intendono i compiti che la legge individua come
propri di un determinato apparato amministrativo, in coerenza con la finalità ad esso affidata; l’apparato è
tenuto ad esercitarle per la cura in concreto dell’interesse pubblico. A tal fine la legge conferisce agli
apparati amministrativi le risorse e i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità di questi ultimi
tra organi che compongono l’apparato (competenze). Le funzioni amministrative vengono elencate dalla
legge o al momento dell’istituzione di un apparato amministrativo, o in sede di modifica della legislazione di
settore e di riassetto complessivo degli apparati amministrativi. (Per es, la legge istitutiva delle autorità di
regolazione dei servizi per pubblica utilità, dopo aver individuato le finalità generali della normativa
(concorrenza ed efficienza ecc), elenca le funzioni attribuite alle autorità di regolazione: il controllo delle
condizioni e delle modalità di accesso all’attività per i gestori dei servizi, la definizione e l’aggiornamento
della tariffa base per i servizi erogati dai gestori ecc.)

Un es di legge di riordino è il d.lgs. 1998 n. 112 che ridefinì i rapporti tra centro (Stato) e periferia (regioni ed
enti locali) in una serie di materie (artigianato, industria, territorio, ambiente ecc). Per ciascuna di queste
materie venne individuato un elenco tassativo di funzioni attribuite allo stato (funzioni di indirizzo e
programmazione, di coordinamento, ecc). Tutte le funzioni residue, vennero trasferite alle regioni e agli enti
locali secondo il principio di sussidiarietà verticale (che postula che le funzioni siano allocate, per quanto
possibile, al livello amministrativo più vicino al cittadino e all’utente.)

L’attività amministrativa. Essa consiste nell’insieme dei comportamenti e decisioni (inclusi i singoli atti o
provvedimenti) riconducibili a una p.a. in relazione alle funzioni affidate ad essa da una legge.

Il principio di doverosità. L’attività amministrativa è rivolta alla cura di un interesse pubblico, perciò è dotata
del carattere della doverosità. Il mancato esercizio dell’attività può essere fonte di responsabilità. All’attività
amministrativa fa riferimento l’art 1 l.n. 241/1990 secondo il quale essa “persegue i fini determinati dalla
legge ed è retta da criteri di economicità, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza”. (La nozione di
attività amministrativa va tenuta distinta da quella di atto o provvedimento). (Alcuni organi di controllo
provvedono a valutare l’operato delle singole amministrazioni; la corte dei conti per es è preposta al
controllo successivo sull’attività degli enti pubblici). L’atto amministrativo, che è un singolo episodio
dell’attività posta in essere da un apparato, è valutato soprattutto sotto i profili della conformità o meno
all’ordinamento (legittimità) e dell’attitudine a soddisfare nel caso concreto l’interesse pubblico
(opportunità o merito amministrativo). (A proposito dell’attività rileva la cd “amministrazione di risultato”).

L’attività amministrativa in forma privatistica. È questione discussa riguardo la linea di confine tra attività
amministrativa e attività di diritto privato in senso proprio della p.a. (a cui si riferisce l’art 1, comma 1-bis,
legge 241). Infatti la giurisprudenza ritiene che un apparato pubblico svolge attività amministrativa “non
solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti
dall’ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte
dal diritto privato”. Si è precisato che, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso di cui all’art 22 , comma 1,
lett b della legge 241, la nozione di attività di interesse pubblico posta in essere da soggetti privati gestori di

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servizi pubblici o di pubbliche funzioni include l’attività “espressione sia di pubblici poteri, sia di autonomia
negoziale”. È emersa così la distinzione tra “attività amministrativa in forma privatistica” riferibile a soggetti
privati che operano per conto della p.a. e “attività d’impresa di enti pubblici”. (La tendenza ad attribuire una
connotazione pubblicistica ad attività svolte con moduli privatistici mira a colpire il fenomeno che vede le
amministrazioni ricorrere a forme organizzative privatistiche (per es società di capitali da essi controllate)
solo per sottrarsi al regime del d.a. (assunzioni del personale senza concorsi ecc)).

2. Il potere, il provvedimento, il procedimento. L’attività amministrativa si può esprimere, oltre che in


comportamenti materiali, nell’adozione di atti o provvedimenti amministrativi che sono la manifestazione
concreta dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico. (In relazione a ciascuna
funzione, la legge individua in modo puntuale i poteri (sanzionatori, autorizzativi, ablatori ecc) conferiti al
singolo apparato).

Il potere. La nozione di potere è una nozione di teoria generale. Essa può essere applicata, oltre che al
potere amministrativo, al potere legislativo, a quello giurisdizionale e anche al potere negoziale che consiste
nella possibilità di disporre autonomamente dei propri interessi.

Nozione sociologica. (Prima di essere una categoria giuridica, il potere è una categoria sociologica connessa
alle dinamiche dei gruppi organizzati. (Alcuni individui, per varie ragioni, sono in grado di esercitare
un’influenza dominante su altri individui). (Si parla anche di potere sociale che le collettività e i gruppi
esercitano sui singoli individui)). I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la
titolarità una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si esprime nella possibilità di produrre, con
una manifestazione di volontà unilaterale, effetti giuridici nella sfera dei destinatari. Questa capacità
giuridica speciale, si integra alla capacità giuridica generale di diritto comune, cioè all’attitudine ad assumere
la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive previste dall’ordinamento. (Il linguaggio
ottocentesco usava l’espressione poteri “esorbitanti” rispetto al diritto comune.) (Il potere amministrativo
pone il suo titolare in una posizione di sovraordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica
ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio).

Il potere in astratto e in concreto. La legge definisce gli elementi costitutivi di ciascun potere (potere in
astratto). Ove l’amministrazione agisca in mancanza di una norma attributiva del potere, si configura un
difetto assoluto di attribuzione che determina la nullità del provvedimento. Il potere in astratto ha il
carattere della inesauribilità: fino a quando resta in vigore la norma attributiva, esso può essere esercitato in
una serie indeterminata di situazioni concrete. Ogni volta che si verifica una situazione di fatto conforme
alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, l’amministrazione è legittimata a esercitare
il potere (potere in concreto o atto di esercizio del potere) e a provvedere alla cura dell’interesse pubblico.
Oltre che legittimata, in virtù del principio di doverosità che connota l’intera attività amministrativa,
l’amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l’emanazione di un atto o
provvedimento (idoneo a incidere nella sfera giuridica del soggetto destinatario e a disciplinare il rapporto
con l’amministrazione). Emerge un elemento dinamico del potere, che dalla dimensione statica della norma
si traduce in un atto concreto produttivo di effetti giuridici nella sfera giuridica dei soggetti destinatari del
provvedimento. L’unilateralità del potere non è un elemento indefettibile di quest’ultimo poiché può essere
fatto oggetto, a certe condizioni, di un accordo con il destinatario dell’atto e può acquistare una
connotazione consensuale e bilaterale. Nemmeno l’inesauribilità del potere in concreto è un elemento
necessario (per nei termini perentori di conclusione del procedimento).

L’atto e il provvedimento. Nell’ordinamento italiano manca una definizione legislativa di atto o


provvedimento. La legge sul procedimento amministrativo tedesca, per es, lo definisce come “ogni
provvedimento, decisione o altra misura autoritativa che è emanata da un’autorità amministrativa per
regolare un singolo caso nel campo del diritto pubblico e che è volta a produrre un effetto giuridico diretto
verso l’esterno”. Nel nostro ordinamento invece l’atto amministrativo è una nozione elaborata dalla dottrina

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e dalla giurisprudenza. Tuttavia si possono ricavare alcune indicazioni sia dalla cost sia da alcune leggi
speciali. L’art 113 cost stabilisce che “contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale”
comma 1; la legge determina quali organi giurisdizionali abbiano il potere di “annullare gli atti della p.a. nei
casi e con gli effetti previsti dalla legge”. Queste disposizioni richiamano 2 aspetti del regime giuridico degli
atti amministrativi: la loro sottoposizione necessaria a un controllo giurisdizionale operato dal giudice
amministrativo e dal giudice ordinario; la loro annullabilità nei casi di accertata difformità degli stessi
rispetto alle norme giuridiche.

Gli atti impugnabili. Sul piano storico, la nozione di atto amministrativo emerse quando alla fine del 19 sec
venne istituito in italia un giudice speciale distinto da quello ordinario. La 4 sez del consiglio stato si pose il
problema di quali caratteristiche dovessero avere gli atti delle amministrazioni per poter essere sottoposti al
controllo giurisdizionale e contribuì con la dottrina ad elaborare la teoria dell’atto amministrativo. A tal
proposito l’art 26 testo unico delle leggi sul consiglio di stato, abrogato dal codice del processo
amministrativo definiva le condizioni minime per poter accedere alla tutela giurisdizionale amministrativa
(impugnabilità o giustiziabilità dell’atto amministrativo); si doveva trattare di un atto emanato da un’autorità
amministrativa, ritenuto illegittimo (per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge), che fosse
lesivo di una situazione giuridica soggettiva del privato (il cd interesse legittimo). (Anche il codice del
processo amministrativo menziona “l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato” tra gli elementi
che devono essere contenuti nel ricorso.) (Altre disposizioni legislative si trovano nella l. 241 che pone una
disciplina generale del procedimento amministrativo e dell’atto amministrativo.)

Gli atti aventi natura non autoritativa. L’art 1, comma 1-bis, legge 241, (introdotto dalla legge 15/2005)
stabilisce che la p.a. agisce di regola secondo le norme del diritto privato “nell’adozione di atti di natura non
autoritativa”. Per gli atti aventi natura autoritativa invece, vale il regime pubblicistico proprio degli atti
amministrativi. L’art 3 legge 241 chiarisce che ogni provvedimento deve essere motivato, indicando un
elemento formale tipico degli atti amministrativi che li differenzia dagli atti privati. L’art 7 legge 241 prevede
che l’avvio del procedimento deve essere comunicato “ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti diretti” e l’art 21-bis specifica che “il provvedimento limitativo della sfera
giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso
effettuata”.

L’autoritarietà. Queste disposizioni richiamano un’altra caratteristica dei provvedimenti cioè l’autoritarietà
intesa come l’attitudine a determinare in modo unilaterale la produzione degli effetti giuridici nei confronti
dei terzi. Viene inoltre posta la distinzione tra provvedimenti ampliativi e provvedimenti limitativi della sfera
giuridica dei destinatari privati. (Infine l’art 2, comma1 legge 241 pone in capo all’amministrazione il dovere
di concludere il procedimento “mediante l’adozione di un provvedimento espresso”). I termini “atto” e
“provvedimento amministrativo” vengono usati come sinonimi. In sede dottrinale però si è cercato di porre
una distinzione. L’atto amministrativo, secondo una definizione classica, include ogni “ogni dichiarazione di
volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio, compiuta da un soggetto dell’amministrazione pubblica
nell’esercizio di una potestà amministrativa”. Perciò costituiscono atti amministrativi per es quelli
endoprocedimentali come i pareri, le valutazioni tecniche, le proposte, le informazioni, le certificazioni che
hanno una funzione strumentale o accessoria rispetto al provvedimento.

Definizione di provvedimento amministrativo. Quest’ultimo è la subcategoria più importante degli atti


amministrativi, e può essere definito come una manifestazione di volontà, espressa dall’amministrazione
titolare del potere all’esito di un procedimento, (volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a
produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari del
provvedimento stesso) (per es un decreto di espropriazione, un’autorizzazione, una sanzione amministrativa
ecc).

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Il procedimento. La legge 241 richiama già nel titolo e poi in numerose disposizioni la nozione di
procedimento amministrativo. Essa è stata elaborata dalla dottrina giuspubblicista verso la metà del sec
scorso. L’esercizio del potere amministrativo avviene secondo il modulo del procedimento, cioè attraverso
una sequenza individuata dalla legge di operazioni e di atti (a partire dalla comunicazione di avvio del
procedimento ai soggetti interessati) strumentali all’emanazione di un provvedimento produttivo di effetti
giuridici tipici nei rapporti esterni. Il procedimento assolve a una pluralità di funzioni.

La definizione di procedimento. La legge 241 non fornisce una definizione di procedimento. (La legge
tedesca invece lo definisce come un’”attività di un’autorità amministrativa avente rilevanza esterna che è
rivolta all’accertamento delle condizioni, alla preparazione e all’emanazione di un atto amministrativo o alla
conclusione di un contratto di diritto pubblico”.)

Il procedimento legislativo e il processo. Il procedimento costituisce la modalità ordinaria di esercizio di


tutte le funzioni pubbliche corrispondenti ai 3 poteri dello stato (in considerazione delle esigenze di
accentuare la trasparenza e di garantire la tutela dei soggetti interessati di fronte ad atti che sono
espressione diretta dell’autorità dello stato.) La funzione legislativa assume la forma del procedimento
legislativo, disciplinato dalla cost e dai regolamenti parlamentari e finalizzato all’emanazione di atti con
“forza o valore di legge”; la funzione giurisdizionale assume la forma del processo, improntato al principio
del contraddittorio e disciplinato dai vari codici processuali e si conclude con una sent dotata dell’”autorità
del giudicato”; la funzione amministrativa si manifesta nel procedimento amministrativo che si conclude con
un provvedimento dotato di “autoritarietà” o “imperatività”. (Nel diritto privato invece l’attività che precede
l’adozione di atti negoziali è irrilevante per il diritto e resta relegata alla sfera interna del soggetto.)

3. Il rapporto giuridico amministrativo. La funzione di amministrazione attiva pone la p.a. titolare di un


potere in una situazione di tipo relazionale con i soggetti privati destinatari del provvedimento. Peraltro,
solo in epoca recente ha trovato un riconoscimento la nozione di rapporto giuridico amministrativo, cioè il
rapporto tra la p.a. che esercita un potere e il soggetto privato titolare di un interesse legittimo. (Nella
visione tradizionale, lo stato era concepito come un’entità sovraordinata istituzionalmente rispetto ai
soggetti privati relegati nella posizione di amministrati o di sottoposti). In una concezione moderna, più
conforme all’ideale dello stato di diritto e che tiene conto della natura sostanziale dell’interesse legittimo
(collegato a un bene della vita), potere amministrativo e interesse legittimo sono ricostruiti come i termini
dialettici di una relazione giuridica bilaterale. (Questa relazione si sviluppa anzitutto nel procedimento
amministrativo finalizzato all’adozione di un provvedimento e continua talora, una volta che viene emanato
il provvedimento, anche successivamente dando origine a una rapporto di durata (per es una concessione
pluriennale per la gestione di un servizio pubblico)).

La coppia diritto soggettivo-obbligo. I rapporti giuridici interprivati vengono ricostruiti partendo dalla
coppia diritto soggettivo-obbligo, dei quali sono titolari rispettivamente il soggetto attivo e passivo del
rapporto. Il diritto soggettivo consiste in un potere di agire riconosciuto e garantito dall’ordinamento
giuridico, per soddisfare un proprio interesse. (Il diritto soggettivo include in sé una serie di facoltà che ne
costituiscono l’estrinsecazione (godimento della cosa ecc)). Alla titolarità del diritto soggettivo corrisponde,
in capo al soggetto passivo del rapporto giuridico, a seconda dei casi: un dovere generico e negativo di
astensione, cioè di non interferire o turbare l’esercizio del diritto (diritti assoluti: reali e della personalità);
oppure un vero e proprio obbligo giuridico, cioè il dovere specifico e positivo di porre in essere un
determinato comportamento o attività (prestazione) a favore del titolare del diritto (diritti relativi: diritti di
credito). Ad esso corrisponde dal lato del soggetto attivo una pretesa, cioè il potere di esigere la
prestazione. Accanto alla coppia diritto soggettivo-obbligo, tipica dei rapporti di tipo paritario tra soggetti
che agiscono nell’esercizio della loro capacità negoziale, il diritto privato conosce altri tipi di situazioni
giuridiche che si avvicinano alla dinamica del rapporto amministrativo, caratterizzato invece dalla
sussistenza di una relazione non paritaria tra la p.a. che esercita il potere e il titolare dell’interesse legittimo.

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La potestà. È una situazione giuridica soggettiva attiva, che, a differenza del diritto soggettivo, è attribuita al
singolo soggetto per il soddisfacimento, anziché di un interesse proprio, di un interesse altrui. Si tratta di un
potere-dovere nel senso che il soggetto è tenuto a esercitarla secondo criteri di “prudente arbitrio” e nel
farlo deve perseguire la finalità della cura dell’interesse altrui (nel diritto di famiglia, la potestà genitoriale).
Anche il potere amministrativo è finalizzato al perseguimento di un fine pubblico eteroimposto dalla legge,
che è diverso da quello proprio del soggetto agente. Ne derivano i caratteri della doverosità e della non
arbitrarietà dell’esercizio del potere.

Il diritto potestativo. Una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo, che
consiste nel potere attribuito a un soggetto di produrre nella sfera giuridica altrui un effetto giuridico
(costitutivo, modificativo o estintivo) con una propria manifestazione unilaterale di volontà. (Ciò sul
presupposto di una prevalenza attribuita dalla norma all’interesse del titolare del potere rispetto a quello
del soggetto che subisce una modificazione nella propria sfera giuridica); quest’ultimo si trova in uno stato
di soggezione, ovvero nella posizione di colui sul quale ricadono indipendentemente dalla propria volontà e
senza che gli sia richiesta alcuna volontà, le conseguenze della dichiarazione di volontà altrui. I casi più tipici
di diritto potestativo nei rapporti interprivati sono il diritto di prelazione (art 732 cc nei rapporti tra coeredi),
il diritto di recesso (1373), il diritto di riscatto nella compravendita (art 1500), la revoca del mandato (1723)
ecc. Il diritto potestativo rappresenta una particolare modalità di produzione degli effetti giuridici che vale
anche per il potere amministrativo.

Lo schema norma-fatto-effetto giuridico. La produzione degli effetti giuridici segue lo schema norma-fatto-
effetto giuridico. La norma definisce in termini astratti gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico che
ad essa si ricollega. (Per es l’art 2043 cc individua gli elementi costitutivi del fatto illecito dal quale consegue
come effetto giuridico, il sorgere dell’obbligo di risarcire il danno).

Lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico. Il diritto conosce anche un’altra tecnica di produzione


degli effetti che segue lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico. Questa sequenza è diversa dalla
precedente poiché viene meno l’automatismo nella produzione dell’effetto giuridico. Infatti il verificarsi di
un fatto concreto conforme alla norma attributiva del potere determina in capo a un soggetto (il titolare del
potere) la possibilità di produrre l’effetto giuridico individuato a livello di fattispecie normativa attraverso
una propria dichiarazione di volontà. Tra il fatto e l’effetto giuridico si interpone un elemento aggiuntivo,
cioè il potere, e il titolare di questo potere è libero di decidere se provocare con una propria manifestazione
di volontà l’effetto giuridico tipizzato dalla norma. Questo è lo schema del diritto potestativo.

I diritti potestativi stragiudiziali e a necessario esercizio giudiziale. La dottrina processualcivilistica ha


elaborato il diritto potestativo per inquadrare la tutela giurisdizionale di tipo costitutivo che si distingue da
quella di accertamento e di condanna. Essa individua 2 tipologie di diritti potestativi: i diritti potestativi
stragiudiziali e i diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale. Nel 1 caso la produzione dell’effetto
giuridico deriva direttamente dalla manifestazione di volontà del titolare del potere, si tratta quindi di un
potere unilaterale e autosufficiente. Nel 2 il prodursi dell’effetto giuridico presuppone, oltre alla
dichiarazione di volontà del titolare del potere, un previo accertamento giudiziale che verifichi la sussistenza
nella fattispecie concreta degli elementi previsti in astratto a livello di fattispecie normativa. Un esempio di
diritto potestativo stragiudiziale è il potere del datore di lavoro di licenziare un dipendente per giusta causa
o giustificato motivo; esempio di diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale è la separazione
giudiziale tra i coniugi, l’annullamento del contratto, il disconoscimento della paternità. (A queste situazioni
si riferisce l’art 2908 cc dedicato alla tutela costitutiva, secondo il quale, nei casi tassativi previsti dalla legge,
l’autorità giudiziaria può emanare una sent volta a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con
effetto tra le parti). Anche per i diritti potestativi stragiudiziali è prevista una fase di verifica giurisdizionale
che però: a) è posticipata rispetto alla produzione dell’effetto giuridico, b) l’iniziativa processuale spetta a
colui nella cui sfera giuridica si è prodotto l’effetto giuridico. Questa seconda peculiarità determina
un’inversione tra posizione sostanziale e posizione processuale delle parti: il soggetto passivo nel rapporto

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sostanziale che si trova in uno stato di soggezione, diventa parte attiva nella veste di attore nel rapporto
processuale; viceversa il soggetto attivo nel rapporto sostanziale titolare del potere, diventa parte passiva
nel rapporto processuale. (Così per es il dipendente può impugnare il licenziamento entro 60 gg dalla
ricezione della comunicazione per far accertare l’assenza della giusta causa o del giustificato motivo e per
ottenere dal giudice ordinario una pronuncia di condanna del datore di lavoro alla sua riassunzione o al
risarcimento del danno). (artt 6 e 8 legge 604/1966). La 2 tipologia di diritti potestativi, grazie al preventivo
accertamento giurisdizionale in contraddittorio tra le parti, tutela meglio gli interessi di colui che subisce in
modo passivo il prodursi nella propria sfera giuridica di effetti tipici; ha però come controindicazione la
perdita di immediatezza nella produzione dell’effetto giuridico dovuta al tempo necessario per lo
svolgimento del processo. (Spetta al legislatore stabilire caso per caso quando prevalga l’uno o l’altro
interesse.)

Il potere amministrativo come diritto potestativo stragiudiziale. Il potere amministrativo può essere
ricondotto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale. Infatti, la produzione dell’effetto giuridico deriva
in modo immediato dalla dichiarazione di volontà dell’amministrazione che emana il provvedimento.
L’accertamento giurisdizionale può avvenire solo in via posticipata, cioè in seguito alla proposizione di un
ricorso innanzi a un giudice amministrativo su iniziativa del soggetto privato nella cui sfera giuridica l’atto
impugnato ha prodotto l’effetto. Nel caso del potere amministrativo questo schema si giustifica in virtù
dell’esigenza ritenuta prevalente, di garantire la realizzazione immediata dell’interesse pubblico la cui cura è
affidata all’amministrazione. Inoltre poiché l’amministrazione è tenuta a ispirare la propria attività a criteri di
correttezza, imparzialità e trasparenza e al principio di partecipazione, la posizione dei destinatari del
provvedimento trova già una tutela nella fase procedimentale. Tuttavia ci sono alcune specificità del potere
amministrativo rispetto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale.

I poteri privati. Innanzitutto nei rapporti interprivati, il diritto potestativo stragiudiziale trova un
fondamento consensuale di tipo pattizio. Per es nella vendita il diritto di riscatto può essere esercitato solo
se viene negozialmente convenuto (art 1500 cc). (Anche il potere di licenziamento trova un fondamento
consensuale nel contratto di lavoro). L’unilateralità e l’immediatezza nella produzione dell’effetto giuridico
trovano un temperamento nel fondamento consensuale del potere. Il potere e l’effetto giuridico sono
interamente vincolati. L’unico ambito di scelta riconosciuto al titolare del diritto attiene al se esercitarlo
(potere sull’an). (Quindi in presenza di una contestazione, il giudice potrà valutare se nella fattispecie
concreta si erano verificati tutti i fatti e le altre condizioni che la norma richiede affinchè il potere sorga e
possa essere legittimamente esercitato).

La specificità del potere amministrativo. Il potere amministrativo invece, per un verso, trova fondamento
diretto nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere, senza che sussista un rapporto giuridico
preesistente tra il soggetto privato e la p.a. (Per es potere di espropriazione o il potere di rilasciare una
concessione a titolo abitativo.) Per un altro verso, il potere conferito dalla legge alla p.a. non è sempre
integralmente vincolato. Anzi, all’amministrazione sono attribuiti margini più o meno ampi di
apprezzamento e valutazione discrezionale che possono determinare una modulazione del contenuto e
degli effetti del provvedimento emanato. (La disciplina degli interessi in conflitto in ordine ai beni non è
posta integralmente e direttamente dalla norma, ma la norma rimette ameno una parte della
determinazione dell’assetto finale degli interessi al soggetto titolare del potere). Ne segue, che in presenza
di una contestazione relativa all’atto di esercizio del potere, il giudice potrà operare un sindacato pieno solo
sugli aspetti vincolati del potere e non potrà sostituirsi al titolare del potere nell’operare la valutazione
discrezionale. (Accertato che il potere è stato esercitato in modo non corretto, esso dovrà limitarsi ad
annullare il provvedimento rimettendo all’amministrazione il compito di emanare un nuovo atto, esente dai
vizi riscontrati, che operi una corretta composizione degli interessi).

4. La norma attributiva del potere.

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Norme di azione e norme di relazione. Secondo una classificazione tradizionale le norme che si riferiscono
alla p.a. sono di 2 tipi: norme di azione e norme di relazione. Le norme di azione disciplinano il potere
amministrativo nell’interesse esclusivo della p.a., hanno lo scopo di assicurare che l’emanazione degli atti sia
conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell’interesse dei privati. Esse
seguono lo schema norma-fatto-potere-effetto. Le norme di relazione invece regolano i rapporti tra
amministrazione e soggetti privati, a garanzia anche di questi ultimi, (definendo l’assetto degli interessi e
dirimendo conflitti insorgenti tra cittadino e p.a). Esse seguono lo schema norma-fatto-effetto, tipico del
diritto soggettivo. La norma di azione segna i limiti interni al potere volti a guidare l’attività amministrativa,
mentre la norma di relazione segna i limiti esterni al potere tracciando i confini tra la sfera giuridica dei
soggetti privati rispetto a quella dell’amministrazione. Ne deriva che: sul piano delle situazioni giuridiche
soggettive, la distinzione tra interesse legittimo, legato alla prima, e diritto soggettivo collegato alla seconda;
sul piano delle qualificazioni giuridiche, l’applicazione della categoria dell’illegittimità (annullabilità) o della
illiceità (nullità) agli atti che violino questi 2 tipi di norme; sul piano della giurisdizione, l’attribuzione delle
controversie al giudice amministrativo o al giudice ordinario e la definizione dei rispettivi poteri
(annullamento o disapplicazione). Mentre il giudice ordinario è chiamato ad accertare la conformità o meno
del fatto rispetto alla norma di relazione (dir sogg), il giudice amministrativo è chiamato ad accertare la
conformità, non solo del fatto, ma anche e soprattutto dell’atto rispetto alla norma di azione. Questa
ricostruzione delle norme appare però ormai datata. In realtà anche le norme che disciplinano l’attività
amministrativa hanno una valenza relazionale e una funzione di tutela dell’interesse del soggetto privato al
mantenimento o conseguimento di un bene della vita, oltre che dell’interesse pubblico. È preferibile quindi
usare la formula generica di norma attributiva del potere.

Norma attributiva del potere. In attuazione del principio di legalità che costituisce il principio cardine nella
teoria dell’atto e del procedimento amministrativo, la norma attributiva del potere individua, in termini
astratti, gli elementi caratterizzanti il potere (potere in astratto) attribuito a un apparato pubblico: il
soggetto competente; il fine pubblico; i presupposti e i requisiti; le modalità di esercizio del potere e i
requisiti di forma; gli effetti giuridici.

1.Quanto al soggetto competente, ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico dalla
norma alla titolarità di uno e un solo soggetto e, ove l’organizzazione di questo prevede una pluralità di
organi, a uno e un solo organo. L’atto emanato da un soggetto o organo diverso da quello previsto è affetto
da vizio di incompetenza.

2.Il fine pubblico, (correlato all’interesse pubblico primario affidato alla cura dell’apparato amministrativo
titolare del potere), costituisce un elemento specificato in modo espresso dalla norma di conferimento del
potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina la particolare materia.
L’amministrazione non è libera di esercitare il potere per il perseguimento di qualunque finalità
autodeterminata. Il fine pubblico è etero imposto dalla norma e orienta le scelte effettuate in concreto
dall’amministrazione. La violazione del vincolo del fine, cioè il perseguimento da parte del provvedimento
emanato di un fine (pubblico o privato) diverso da quello previsto dalla norma, configura un vizio di eccesso
di potere per sviamento.

3.In presenza di presupposti e requisiti sostanziali il potere sorge e può essere esercitato. La loro sussistenza
in concreto è una delle condizioni per l’esercizio legittimo del potere. L’espressione “presupposti e requisiti
di legge” è utilizzata dall’art 19 legge 241 ed è riferita alle autorizzazioni cosiddette vincolate che sono
sostituite dalla segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), cioè da una semplice comunicazione
effettuata dal privato all’amministrazione. L’art 6, comma 1, lett a) analogamente prevede che il
responsabile del procedimento valuti a fini istruttori “le condizioni di ammissibilità, i requisiti di
legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento”.

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(Esempi. Per es il Testo unico in materia di edilizia, a proposito del permesso di costruire, indica come
presupposti la conformità del progetto alle previsioni degli strumenti urbanistici (il piano regolatore), dei
regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, l’esistenza delle opere di urbanizzazione
primaria o l’impegno a realizzarle. Inoltre, prevede come requisito soggettivo che il permesso possa essere
rilasciato a chi dimostri di essere proprietario dell’immobile o di avere un altro titolo giuridico, per un diritto
di superficie. Analogamente il Codice dei beni culturali e del paesaggio a proposito della dichiarazione
dell’interesse culturale di cose mobili o immobili appartenenti a privati dalla quale consegue un regime
vincolistico, elenca i tipi di beni (archivi, collezioni) e per ciascuno di essi individua le caratteristiche
necessarie. A proposito dei presupposti e dei requisiti sostanziali, la questione più delicata è data dal grado
di analiticità. Infatti a seconda delle espressioni linguistiche usate, il potere può risultare più o meno
ampiamente vincolato o più o meno ampiamente discrezionale.)

I poteri vincolati e i poteri discrezionali. Al 1 estremo si collocano i poteri integralmente vincolati; in


relazione ad essi l’amministrazione ha solo il compito di verificare se nella fattispecie concreta siano
rinvenibili tutti gli elementi indicati in modo univoco ed esaustivo dalla norma attributiva e nel caso positivo,
di emanare il provvedimento che produce gli effetti predeterminati dalla norma (per es l’iscrizione a un albo
professionale, oppure il rilascio di un permesso a costruire in conformità alle prescrizioni del piano
regolatore). (Si è dubitato in dottrina che gli atti emanati nell’esercizio di poteri integralmente vincolati
conservino la natura di atti autoritativi in senso proprio. Essi sarebbero inidonei a produrre effetti autonomi,
cioè che non siano già prodotti direttamente dalla norma applicata al fatto concreto). Al 2 estremo si
pongono i poteri “in bianco” (per es le ordinanze di necessità e di urgenza) che rimettono al soggetto
titolare del potere spazi ampi di apprezzamento, di valutazione delle fattispecie concrete e di
determinazione delle misure necessarie per tutelare un determinato interesse pubblico. La discrezionalità
emerge quando la norma autorizza ma non obbliga l’amministrazione a emanare un certo provvedimento.
Ciò accade quando il legislatore prevede che l’amministrazione “può” oppure “ha la facoltà di “emanare un
determinato atto (per es porto d’armi); oppure usa aggettivi come “opportuno”, “indispensabile”,
“conveniente” riferiti a una misura.

I concetti giuridici indeterminati. Più la norma fa ricorso ai cd “concetti giuridici indeterminati”, più gli spazi
di valutazione dei fatti costitutivi del potere saranno ampi. Come es (prendiamo alcune espressioni utilizzate
dal legislatore: un interesse storico-artistico “particolarmente importante” che legittima l’imposizione del
regime vincolistico); oppure un’intesa tra imprese che falsi il gioco della concorrenza “in maniera
consistente” il cui accertamento comporta una sanzione;

I concetti empirici e normativi. I concetti giuridici indeterminati possono essere di 2 categorie: i concetti
empirici o descrittivi, che si riferiscono al modo di essere di una situazione di fatto (come per es l’intralcio
alla circolazione, la pericolosità di un edificio lesionato, il carattere epidemico di una malattia ecc); i concetti
normativi o di valore che contengono un elemento di soggettività (come per es un film “adatto” al pubblico
dei minori, una condotta contraria “alla moralità pubblica”). I concetti empirici involgono giudizi a carattere
tecnico-scientifico e coprono l’area della discrezionalità amministrativa. Con riguardo ai concetti empirici
l’indeterminatezza rende problematica la sussunzione della fattispecie concreta nel parametro normativo;
con riguardo ai concetti normativi, è a monte, la stessa interpretazione del parametro normativo a
presentare margini di opinabilità elevati essendo legata alla sensibilità dell’interprete. (In generale si ritiene
che i concetti giuridici indeterminati abbiano un “nocciolo” di certezza, che include i casi che rientrano o
meno nel parametro normativo, e un “alone” di incertezza, con riferimento alle situazioni limite nelle quali
la sussunzione del caso concreto del parametro normativo è incerta e opinabile). Un esempio sul quale pose
attenzione Walter Jellinek, uno dei maggiori giuristi giuspubblicisti tedeschi dell’inizio del XX sec, è quello di
un regolamento di polizia del Baden che vietava agli zingari di viaggiare in “orde”, senza che la norma
ponesse alcun parametro numerico certo. (L’applicazione di una siffatta norma si scontra con la difficoltà di
individuare in concreto i casi che possono essere sussunti in essa).

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Certezza negativa e positiva: il doppio limite. Se è certo che un nucleo familiare di 3 o 4 persona non
integra mai la fattispecie (certezza negativa), è altrettanto certo che un gruppo di 50 o più persone la integra
sempre (certezza positiva). L’opinabilità si accresce man mano che ci si allontana dai casi più certi. Il
concetto giuridico indeterminato presenta quindi un doppio limite negativo e positivo. La difficoltà si pone
nel momento in cui si passa dal giudizio certo (di tipo assertorio) a quello problematico e opinabile (es un
gruppo di 15 persone).

(Il diritto di ultima decisione. Sorge il problema di chi abbia il “diritto di ultima decisione” e cioè fino a che
punto le valutazioni compiute dall’amministrazione in sede di interpretazione e di applicazione dei concetti
giuridici indeterminati possano essere sindacate dal giudice). La tecnica normativa dei concetti giuridici
indeterminati, (nei limiti in cui concedono all’amministrazione spazi di valutazione e di decisione non
sindacabili), comporta una caduta del valore della legalità sostanziale.

4.La norma attributiva del potere prescrive anche i requisiti formali degli atti (di regola la forma scritta) e le
modalità di esercizio del potere (individuando la sequenza degli atti e degli adempimenti necessari per
l’emanazione del provvedimento finale che danno origine al procedimento amministrativo). Ai sensi dell’art
21-octies legge 241 l’inosservanza delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non determina in
modo automatico l’annullabilità del provvedimento per violazione di legge, poiché è richiesto di valutare se
essa abbia influito o meno sul contenuto dispositivo del provvedimento adottato in concreto. Se
quest’ultimo, in assenza della violazione, non avrebbe potuto essere comunque diverso, il provvedimento
adottato non è annullabile.

5. La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l’elemento temporale dell’esercizio del
potere sotto più profili. In primo luogo può individuare un termine per l’avvio dei procedimenti d’ufficio.
(Così per es nei procedimenti sanzionatori, accertata la violazione, l’amministrazione entro 90 gg deve
notificare l’atto di contestazione e il mancato rispetto del termine determina l’estinzione dell’obbligazione di
pagare la somma dovuta). In 2 luogo deve specificare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il
procedimento, l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo. L’art 2 legge 241 pone un
sistema di regole completo volto a individuare per tutti i tipi di procedimenti il termine in questione,
attuando il principio di certezza del tempo dell’agire della p.a. In 3 luogo, le leggi amministrative
scandiscono talora anche i tempi per l’adozione degli atti endoprocedimentali. (Così per es la legge n 241
prevede che gli organi consultivi dell’amministrazione debbano rendere i pareri richiesti entro un termine di
20 gg e che gli organi tecnici debbano esprimere le valutazioni richieste entro 90 gg. Anche i tempi
endoprocedimentali della conferenza dei servizi sono scanditi con precisione). Gran parte dei termini in
questione ha natura ordinatoria poiché la loro violazione non inficia la legittimità degli atti adottati
tardivamente, ma può giustificare altre misure come per es un intervento sostitutivo o una sanzione
disciplinare. (L’art 17-bis legge 241 introdotto dall’art 3 legge n 124/ 2015 prevede un meccanismo inedito di
silenzio-assenso nei rapporti tra p.a. competenti a esprimere concerti, nulla osta, o altri atti di assenso.)

6. Infine la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti giuridici che l’atto
amministrativo può produrre una volta emanato all’esito del procedimento. (Così per es, il Testo unico
sull’espropriazione per pubblica utilità prevede che il decreto di esproprio “dispone il passaggio del diritto di
proprietà”.)

Gli effetti costitutivi, modificativi ed estintivi. I provvedimenti (in quanto manifestazione del potere) hanno
l’attitudine a produrre effetti costitutivi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche di cui sono titolari i
destinatari dei provvedimenti. Si tratta degli stessi tipi di effetti ex art 2908 cc che disciplina le sent
costitutive correlate ai diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale. Sono es di provvedimenti con
effetti costitutivi in senso stretto le concessioni amministrative per l’uso esclusivo di un bene demaniale che
attribuiscono in capo a un soggetto privato un diritto soggettivo a svolgere una certa attività (per es per la
gestione di uno stabilimento balneare). Sono es di provvedimenti con effetti modificativi la sanzione

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disciplinare di sospensione dall’iscrizione a un albo professionale che impedisce per un tempo determinato
lo svolgimento dell’attività; (oppure il provvedimento con cui la banca d’Italia, in quanto organo di vigilanza
degli istituti di credito, dispone la messa in liquidazione di una banca della quale sia stato accertato lo stato
di insolvenza). Es di provvedimento con effetti estintivi è il decreto di espropriazione che fa venire meno in
capo al proprietario del bene immobile il diritto di proprietà la cui titolarità viene trasferita alla p.a. o a un
altro soggetto in favore del quale il procedimento di espropriazione è stato attivato.

5. Il potere discrezionale.

La discrezionalità del giudice e del legislatore. La discrezionalità può essere riferita oltre che al potere,
anche all’attività e al provvedimento amministrativo. (Essa si rinviene anche in altri ambiti del diritto
pubblico; si parla infatti di discrezionalità del legislatore) (rilevante nell’ambito del giudizio di cost delle leggi
in base al parametro della ragionevolezza delle scelte legislative in relazione al principio di eguaglianza) e di
discrezionalità del giudice (con riguardo soprattutto ai cd poteri di giurisdizione volontaria e alla
determinazione della pena da parte del giudice penale).

La discrezionalità. La cura degli interessi pubblici presuppone che l’apparato titolare del potere abbia la
possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto.

Discrezionalità e legalità. Emerge una tensione con il principio di legalità inteso in senso sostanziale, (che
nella sua accezione più estrema porterebbe ad attribuire alla amministrazione soltanto poteri vincolanti. Ma
ciò sarebbe inopportuno). Le situazioni concrete nelle quali l’amministrazione deve intervenire hanno un
grado di contingenza e di imprevedibilità che richiede nel decisore un qualche spazio di adattabilità della
misura da disporre. Quando il potere è integralmente vincolato, anche i soggetti privati sono in grado di
valutare da soli se una certa attività o un certo comportamento sono ad essi consentiti. Ecco perché l’art 19
legge 241 ha introdotto per molte autorizzazioni vincolate un regime di liberalizzazione. La disposizione
infatti sostituisce il regime del controllo preventivo operato dall’amministrazione nell’ambito del
procedimento autorizzatorio avviato su istanza di parte con il regime della segnalazione certificata d’inizio
attività (SCIA): il privato autovaluta se ha titolo per svolgere una certa attività, la intraprende sulla base di
una semplice comunicazione all’amministrazione, mentre il controllo da parte di quest’ultima sulla
conformità dell’attività alla legge può avvenire solo a posteriori.

Poteri vincolati e natura meramente dichiarativa dell’atto. Se il potere è vincolato, cambia la funzione
dell’atto amministrativo; (infatti quando nella vita economica e sociale si verifica un accadimento che
integra gli estremi della norma di conferimento del potere vincolato, l’effetto giuridico sorge
autonomamente, senza l’intermediazione di un atto amministrativo che accerti la sussumibilità della
fattispecie concreta nella fattispecie normativa astratta e determini il prodursi dell’effetto giuridico). L’atto
amministrativo avrebbe natura meramente dichiarativa cioè ricognitiva di un effetto già prodottosi, e non
costitutiva. Questa ricostruzione è accolta nel settore tributario in cui si ritiene che l’obbligazione tributaria
sorge a prescindere dall’emanazione di un atto di accertamento del tributo da parte dell’amministrazione
finanziaria. (Anche con riferimento alle sanzioni amministrative pecuniarie la giurisprudenza della corte di
cass afferma che l’obbligazione al pagamento della somma di denaro non nasce per effetto del
provvedimento che irroga la sanzione e che il giudizio di opposizione ha per oggetto non la legittimità del
provvedimento del procedimento sanzionatorio ma direttamente il rapporto sanzionatorio e la pretesa
creditoria dell’amministrazione).

La differenza tra autonomia negoziale e potere discrezionale. (Nel diritto privato, (ove si mantengano nei
limiti del lecito), le scelte dei privati non sono sottoposte a regole particolari; basta che il soggetto privato
sia pienamente capace e che la sua volontà non sia affetta da vizi. Il fine concretamente perseguito dal
privato è relegato alla sfera interna di quest’ultimo ed è insindacabile. I casi di abuso del diritto previsti
normativamente sono limitati (es : l’abuso della potestà genitoriale)). L’amministrazione titolare di un potere
ha invece un ambito di libertà più ristretto, in quanto la scelta tra una pluralità di soluzioni deve avvenire,

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non solo nel rispetto dei limiti esterni posti dalla norma di conferimento del potere e dei principi generali
dell’azione amministrativa, ma anche nel rispetto di un vincolo interno consistente nel dovere di perseguire
il fine pubblico. Queste regole sono enunciate nell’art 1 legge 241 secondo il quale l’attività amministrativa
“persegue i fini determinati dalla legge” ed è retta dai criteri di “imparzialità, di pubblicità e trasparenza”. (Il
giudice ha sviluppato tecniche di sindacato (attraverso le figure dell’eccesso di potere) in applicazione di
principi quali la ragionevolezza, la proporzionalità, la par condicio, la tutela del legittimo affidamento). La
discrezionalità amministrativa non trova una definizione legislativa, ma è richiamata direttamente o
indirettamente in alcune disposizioni generali. Così l’art 11 legge 241 nel disciplinare gli accordi tra
l’amministrazione procedente e i privati, specifica che essi hanno per oggetto “il contenuto discrezionale del
provvedimento”. L’art 21-octies della legge 241 pone un limite all’annullabilità del provvedimento affetto da
vizi del procedimento o della forma quando esso abbia “natura vincolata” comma 2. Anche il Codice del
processo amministrativo, a proposito del giudizio avverso il silenzio della p.a. chiarisce che il giudice può
riconoscere la fondatezza della pretesa del ricorrente a ottenere un provvedimento favorevole richiesto
“solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio
della discrezionalità” (art 31). Nell’ambito del giudizio di legittimità il giudice non può mai sostituire le
proprie valutazioni di merito a quelle dell’amministrazione.

La definizione di discrezionalità e la ponderazione degli interessi. Volendo porre una definizione di


discrezionalità amministrativa essa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione
affinchè essa possa individuare la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La
scelta avviene attraverso una valutazione comparativa (ponderazione) degli interessi pubblici e privati
(rilevanti nella fattispecie acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale). Tra di essi c’è innanzitutto
l’interesse pubblico primario (fine pubblico) individuato dalla norma di conferimento del potere e affidato
alla cura dell’amministrazione titolare del potere. Il compito dell’amministrazione è massimizzare la
realizzazione dell’interesse primario. Tuttavia l’interesse primario deve essere confrontato e valutato alla
luce dei cd interessi secondari rilevanti. (In alcuni casi essi sono individuati direttamente dalle norme che
disciplinano il tipo di procedimento. Altri emergono nel corso dell’istruttoria). Tra gli interessi secondari si
annoverano non solo gli altri interessi pubblici incisi dal provvedimento, ma anche gli interessi dei privati. I
soggetti privati possono partecipare al procedimento proprio allo scopo di rappresentare il proprio punto di
vista con la presentazione di memorie e di documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare.

(Esempi. Così per es, per elaborare e approvare il progetto di un’autostrada l’amministrazione deve tenere
conto oltre che dell’interesse primario alla viabilità, anche di quello relativo alla tutela dell’ambiente
(attraverso la cd valutazione di impatto ambientale), agli oneri a carico della finanza pubblica ecc. Oppure
nel rilasciare una concessione per l’uso di un bene demaniale per l’installazione di uno stabilimento
balneare, l’amministrazione dovrà tener conto dell’interesse allo sviluppo del turismo, ma anche di quello
connesso ad altre attività come la pesca ecc. Nell’autorizzare un corteo il prefetto deve tenere conto, oltre
che del diritto di rango cost di chi promuove l’iniziativa, anche di interessi come l’ordine pubblico, la libertà
di circolazione di chi non partecipa ecc). Quindi la scelta operata dall’amministrazione deve contemperare
l’esigenza di massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minore sacrificio possibile
degli interessi secondari incisi dal provvedimento. L’amministrazione deve dar conto dell’attività di
ponderazione degli interessi nella motivazione del provvedimento, e ciò al fine di garantire la trasparenza
nel processo decisionale.

La discrezionalità sull’an, sul quid, sul quomodo, sul quando. La discrezionalità amministrativa incide su 4
elementi distinti: 1) sull’an: sul se esercitare il potere in una determinata situazione ed emanare il
provvedimento; (si pensi per es alla decisione se ordinare lo scioglimento di un assembramento di perone
che mette a rischio l’ordine pubblico o se annullare d’ufficio un provvedimento illegittimo ex art 21-nonies l
241.) 2) sul quid: cioè sul contenuto del provvedimento. Si pensi alle condizioni apposte a un’autorizzazione
ambientale volte a mitigare gli effetti negativi delle emissioni, imponendo prescrizioni specifiche; oppure nel

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caso di un’ordinanza contingibile ed urgente, alla misura più adatta per fronteggiare una situazione. 3)sul
quomodo: cioè sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento al di là delle sequenze di atti
imposti dalla legge che disciplina il provvedimento. Si pensi per es, alla scelta di acquisire un parere
facoltativo, oppure di procedere ad una determinata indagine istruttoria, pur sempre nel rispetto del
principio del divieto di aggravare il procedimento ex art 1 comma2 l 241. 4) sul quando: cioè sul momento
più opportuno per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento e, una volta aperto quest’ultimo,
per emanare il provvedimento, (pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del
procedimento) (art 2 legge 241). In base alla norma di conferimento, un potere può essere discrezionale o
vincolato in relazione a uno o più di questi elementi.

Discrezionalità in astratto e vincolatezza in concreto. All’esito dell’attività istruttoria operata


dall’amministrazione per accertare i fatti e all’esito della ponderazione di interessi può darsi che residui
un’unica scelta tra quelle consentite in astratto dalla legge. Nel corso del procedimento la discrezionalità
può ridursi fino ad annullarsi del tutto. In questo caso si parla di vincolatezza in concreto da contrapporre
alla vincolatezza in astratto che si verifica quando la norma già predefinisce in modo puntuale tutti gli
elementi che caratterizzano il potere. Questa distinzione è posta nel codice del processo amministrativo. La
disposizione prevista all’art 31, comma 3 precisa che il giudice può accertare la fondatezza della pretesa
dedotta in giudizio (cioè la spettanza o meno di un atto amministrativo richiesto dal privato) “solo quando si
tratti di attività vincolata” (vincolatezza in astratto) oppure “quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità” (vincolatezza in concreto, conseguente agli accertamenti compiuti
nell’ambito dell’istruttoria procedimentale e nel corso del giudizio.

L’autovincolo alla discrezionalità. Una riduzione dell’ambito della discrezionalità può avvenire anche
attraverso l’autovincolo alla discrezionalità. Spesso tra la norma di conferimento del potere che concede
all’amministrazione spazi di discrezionalità più o meno ampi e il provvedimento emanato si interpone la
predeterminazione da parte della stessa amministrazione di criteri e parametri che vincolano l’esercizio
della discrezionalità. Ciò accade per es nei giudizi valutativi espressi da commissioni di concorso le quali
sono tenute a specificare i parametri di giudizio indicati nella normativa di riferimento e nel bando. L’art 12
legge 241 prevede che la concessione di ogni forma di contributo o ausilio finanziario è subordinata “alla
predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti (…) dei criteri e delle modalità a cui le
amministrazioni stesse devono attenersi. I criteri devono essere resi pubblici e come prevede la normativa
anticorruzione, deve essere anche pubblicato l’elenco dei destinatari di contributi di importo superiore a
1000 euro. La pubblicazione è condizione di efficacia dell’atto amministrativo. Ciò accresce l’oggettività e la
trasparenza delle decisioni, perché tali criteri vincolano l’attività dell’amministrazione e la violazione degli
stessi è sindacabile allo stesso modo in cui lo è la violazione di norme giuridiche.

(L’esercizio della discrezionalità come attività volitiva. In dottrina si è discusso se l’esercizio della
discrezionalità amministrativa consista in un’attività meramente intellettiva e di giudizio (di interpretazione)
oppure in un’attività volitiva e creativa. In realtà rispetto all’attività di pura interpretazione, nella
discrezionalità sembra esserci anche un elemento aggiuntivo dato dall’individuazione e imposizione della
regola per il caso singolo che rappresenta un quid novi atto a integrare (sia pur on effetti imitati al singolo
rapporto giuridico amministrativo) la norma attributiva del potere.)

Il merito amministrativo. Il merito ha una dimensione negativa e residuale: esso si riferisce all’eventuale
ambito di valutazione e di scelta spettante all’amministrazione che si pone al di là dei limiti coperti dall’area
della legalità (cioè dei vincoli giuridici posti dalle norme e dai principi dell’azione amministrativa). Se il
potere è integralmente vincolato, lo spazio del merito è nullo. Rientrano nel merito, per es, la valutazione
espressa dalla commissione su un candidato che partecipa a un concorso pubblico, (la decisione di chiudere
al traffico veicolare una strada in occasione di una corsa ciclistica, la se scelta se consentire l’installazione di
stabilimenti balneari su un tratto di spiaggia.)

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L’insindacabilità del merito. Il merito connota l’attività dell’amministrazione da considerare libera. La scelta
tra una pluralità di soluzioni tutte legittime (ragionevoli, proporzionate, coerenti con il fine pubblico) può
essere apprezzata solo in termini di opportunità o inopportunità. Essa è insindacabile nell’ambito del
giudizio di legittimità nel senso che il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate
dall’amministrazione. In relazione al merito la giurisprudenza riconosce una “riserva di amministrazione”
(cons. st. sez. 4. N 601/99),

Gli ambiti di rilevanza della nozione di merito. La distinzione tra legittimità e merito rileva in più ambiti. Il 1
è quello dei controlli amministrativi che si articolano in controlli di legittimità e di merito, i primi sono
finalizzati ad annullare gli atti amministrativi illegittimi, i secondi a modificare o sostituire l’atto del controllo.
In 2 luogo, il codice del processo amministrativo contrappone la giurisdizione di legittimità, cioè quella di cui
è investito in via ordinaria il giudice amministrativo, alla giurisdizione “con cognizione estesa al merito”
nell’esercizio della quale “il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione” (art 7). Il giudice
amministrativo può rivalutare le scelte discrezionali dell’amministrazione e sostituire la propria valutazione.
(Può per es modificare l’ammonizione di una sanzione pecuniaria irrogata). (Proprio perché la giurisdizione
di merito rompe il diaframma tra giurisdizione e amministrazione, in deroga al principio di separazione dei
poteri, essa è limitata a pochi casi tassativi (previsti all’art 134 codice del processo amministrativo) ed è
tendenzialmente recessiva). In 3 luogo, i confini tra legittimità e merito rilevano anche in materia di
responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici in relazione al cd danno erariale, cioè al danno
provocato all’amministrazione e che rientra nella giurisdizione della corte dei conti. (La legge n 20 / 1994
che sancisce la responsabilità del funzionario per fatti e omissioni commessi con dolo o colpa grave che
arrecano un danno all’amministrazione, pone il limite “dell’insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali” (art 1)).

Le valutazioni tecniche. Esse si riferiscono ai casi in cui la norma attributiva del potere, nell’utilizzare
concetti giuridici indeterminati di tipo empirico, rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di
applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità. L’art 17 legge 241 regola le modalità
attraverso le quali il responsabile del procedimento procede ad acquisire le valutazioni tecniche.

(Esempi. Tra le valutazioni tecniche rientrano, in aggiunta agli es fatti a proposito dei concetti giuridici
indeterminati, i giudizi medici aventi per oggetto l’idoneità ad essere arruolati nelle forze militari o la
riconducibilità di una certa malattia alla causa di servizio; le valutazioni ingegneristiche volte ad appurare la
statiche di edifici lesionati in occasione di un terremoto. Mentre la discrezionalità amministrativa attiene al
piano della valutazione e comparazione degli interessi, le valutazioni tecniche attengono al piano
dell’accertamento e della qualificazione di fatti alla luce di criteri tecnico scientifici.)

La cd discrezionalità tecnica. È frequente l’espressione “discrezionalità tecnica” che però è impropria


perché nella discrezionalità tecnica manca l’elemento volitivo che caratterizza invece la discrezionalità
amministrativa.

Il sindacato del giudice amministrativo nelle valutazioni tecniche. (L’uso del medesimo sostantivo
(discrezionalità) si giustifica per il fatto che) in passato (in entrambi i casi) si riteneva precluso un sindacato
pieno che comportasse una valutazione autonoma in grado di sovrapporsi (e sostituirsi) a quella
dell’amministrazione. Il giudice può solo ripercorrere dall’esterno l’attività valutativa (sindacato estrinseco
non invasivo del merito) per verificare se la valutazione è affetta da vizi logici, incongruenze ecc utilizzando
le tecniche di rilevamento dell’eccesso di potere. Solo in epoca più recente il giudice amministrativo ha
intrapreso un’opera volta a rendere più intenso il proprio sindacato sulle valutazioni tecniche. Esso non è
più solo estrinseco e verifica anche l’attendibilità e la correttezza del criterio tecnico utilizzato. In caso di
valutazioni tecniche che presentino un oggettivo margine di opinabilità, il giudice può solo accertare che il
provvedimento non abbia esorbitato da essi. Nel caso dei provvedimenti dell’autorità garante della

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concorrenza e del mercato, il sindacato del giudice amministrativo si estende anche ai profili tecnici che non
presentano un oggettivo margine di opinabilità.

L’attendibilità della valutazione. L’attendibilità non coincide necessariamente con la condivisibilità: (il
giudice potrebbe ritenere una valutazione tecnica attendibile, formulata sulla base di argomentazioni
logiche e tecniche ben strutturate e dunque legittima, pur non condividendola pienamente). Nel sindacare
le valutazioni tecniche il giudice amministrativo può ricorrere alla consulenza tecnica d’ufficio nominando
un esperto (il quale fornisce una risposta a quesiti su questioni tecniche posti dal giudice). (Il giudice opera
un giudizio di maggiore o minore attendibilità della valutazione dell’amministrazione del perito).

L’ordinamento tedesco. Nell’ordinamento tedesco il giudice amministrativo ritiene pienamente sindacabile


l’applicazione nei casi concreti dei concetti indeterminati di tipo empirico, anche se con alcune eccezioni
come i giudizi su prove d’esame ecc. (Per prendere uno degli es giurisprudenziali più significativi, nel caso di
giudizio espresso da una commissione di esperti circa la presenza o meno di difetti relativi all’odore, sapore,
colore ed altri elementi qualitativi di un vino ai fini dell’attribuzione dell’etichetta di vino di qualità, il giudice
amministrativo ha ritenuto di non poter operare un sindacato pieno. Ciò perché la legge attribuisce alla
commissione di tecnici indipendente dall’amministrazione uno spazio di valutazione che l’amministrazione e
il giudice devono rispettare). La valutazione tecnica può essere sindacata solo se non è stata effettuata in
base a presupposti, metodi e procedimenti obiettivi o se siano stati commessi altri errori.

La deference doctrine negli Stati uniti. Negli usa la giurisprudenza mantiene un atteggiamento di maggior
deferenza nei confronti delle valutazioni tecniche dell’amministrazione limitandosi a un sindacato di
ragionevolezza. Questo principio è stato posto dalla corte suprema in un caso del 1984 nel quale la
environmental protection agency era chiamata a interpretare il concetto di “fonte fissa” di inquinamento
definita in modo ambiguo dalla normativa federale sui limiti di emissioni nell’atmosfera. La legge non
chiariva se il concetto di fonte fissa dovesse essere riferito a uno stabilimento industriale nel suo complesso
come ritenuto dall’agenzia, oppure a ciascuno dei dispositivi di emissione in atmosfera perché ciò avrebbe
comportato una riduzione dei livelli di inquinamento. La scelta tra le 2 interpretazioni entrambe compatibili
con la norma e ragionevoli, operata dall’agenzia è stata ritenuta non sindacabile dal giudice, in base al
principio che le p.a. rispetto ai giudici, hanno una maggiore esperienza tecnica e un collegamento più stretto
con il circuito politico-amministrativo.

La discrezionalità mista. Valutazioni tecniche ed esercizio della discrezionalità amministrativa proprio


perché riguardano momenti logici diversi (la 1 attiene al momento dell’accertamento del fatto, la 2 alla
valutazione degli interessi) possono coesistere in una medesima fattispecie. Come es ricordiamo
l’accertamento del carattere epidemico di una malattia e la successiva scelta dei rimedi alternativi per
contenere i rischi di propagazione; (oppure la fattibilità tecnica di un progetto di opera pubblica proposto di
propria iniziativa da un privato da realizzare tramite la tecnica della finanza di progetto e la valutazione di
conformità dell’opera all’interesse pubblico).

Gli accertamenti tecnici. Altro sono i meri accertamenti tecnici. Essi riguardano fatti la cui esistenza o
inesistenza è verificabile in modo univoco, anche se con l’impiego di strumenti tecnici. Non è rilevante che si
tratti di strumenti di uso comune (es termometro) o più sofisticati (per es gli strumenti per la rilevazione
della presenza di sostanze inquinanti in un terreno). A differenza delle valutazioni tecniche, i meri
accertamenti tecnici possono essere sindacati in modo pieno dal giudice nell’ambito del giudizio di
legittimità.

6.L’interesse legittimo. (Al pari del diritto soggettivo), l’interesse legittimo trova un riconoscimento cost
nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale ( artt 24, 103, 113).

Gli ambiti di rilevanza della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. La distinzione tra le 2
categorie ha assunto rilievo sotto 2 aspetti: è servita come criterio di riparto della giurisdizione tra giudice

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ordinario e giudice amministrativo, il 1 investito della giurisdizione sui diritti soggettivi, il 2 della
giurisdizione sugli interessi legittimi; e poi è servita a delimitare l’ambito della responsabilità civile della p.a.
Il 2 aspetto è stato superato dalla sent delle sez unite della cass n 500/1999 che ha aperto la strada alla
risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. (Il primo aspetto mantiene invece la sua attualità: la
corte cost nella sent n 204/2004 ha sconfessato il tentativo del legislatore della fine degli anni novanta del
sec scorso di superare la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi come criterio di riparto della
giurisdizione sostituito dal criterio oggettivo dei blocchi di materie). La corte ha ribadito che la giurisdizione
amministrativa ha per oggetto gli interessi legittimi; ad essa può essere devoluta in casi tassativi anche la
cognizione dei diritti soggettivi (cd giurisdizione esclusiva) solo quando questi ultimi siano connessi a un
rapporto in cui l’amministrazione si presenta in veste di autorità.

La nascita della nozione di interesse legittimo. La legge 20 marzo 1865 AA.E. di abolizione del contenzioso
amministrativo attribuì al giudice civile la giurisdizione in tutte le controversie tra il privato e la p.a. nelle
quali si facesse questione di un “diritto civile o politico” ossia di un diritto soggettivo. Nella prassi
interpretativa il giudice civile non sindacò gli atti della p.a. e fece fatica a qualificare la posizione del privato
in termini di diritto soggettivo. Si creò un vuoto di tutela di fronte a numerosi casi di illegittimità e abusi da
parte dell’amministrazione.

Il fondamento legislativo nella legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato. Da qui
l’origine della legge del 1889 istitutiva della iv sez cons st, che mirava a integrare la legge del 1865
introducendo un nuovo rimedio per tutelare tutte le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo. La iv
sez venne investita del potere di decidere sui ricorsi contro gli atti o provvedimenti illegittimi avente per
oggetto “un interesse d’individui o di enti morali giuridici” (art 26 testo unico delle leggi del cons di st del
1924). Problema fu quello di determinare il contenuto della formula generica di “interesse” posta come
requisito per poter proporre il ricorso alla iv sez e ottenere l’annullamento del provvedimento. Quindi la
nuova forma di tutela processuale precedette storicamente l’individuazione di questa situazione giuridica
soggettiva. Sono state offerte nel tempo varie ricostruzioni, ormai superate, di interesse legittimo, si
ricordano:

 Il diritto fatto valere come interesse. In quest’ottica si propose come criterio per incardinare la
competenza della iv sez quello del petitum, vale a dire della richiesta formulata dal ricorrente di
annullamento del provvedimento piuttosto che la richiesta del mero risarcimento del danno,
riservata al giudice ordinario. Questa concezione fu subito disattesa dalla giurisprudenza che invece
ancorò il riparto di giurisdizione al criterio più oggettivo della causa petendi, cioè della situazione g.
s. fatta valere in giudizio.
 L’interesse legittimo come interesse di mero fatto. (Per molto tempo all’interesse legittimo si
ascrisse un significato solamente processuale). L’interesse legittimo fu considerato come un
interesse di mero fatto, collegata alla norma d’azione volta a tutelare in modo esclusivo l’interesse
pubblico. (L’interesse di mero fatto fa però sorgere in capo al privato un interesse processuale ad
attivare la tutela innanzi al giudice amministrativo (interesse a ricorrere) nel momento in cui
l’amministrazione emana un atto amministrativo illegittimo.)
 Il diritto alla legittimità degli atti. Per molto tempo venne considerato un diritto soggettivo avente
per oggetto esclusivamente la pretesa formale a che l’azione amministrativa sia conforme alle
norme che regolano il potere esercitato.
 Il diritto affievolito. Secondo un’altra teoria l’interesse legittimo è considerato come un “diritto
affievolito”, cioè come la risultante dell’atto di esercizio del potere amministrativo che incide su un
diritto soggettivo. Il provvedimento autoritativo (o imperativo) anche se illegittimo, è idoneo a
intaccare (“degradare”) il diritto soggettivo trasformandolo in interesse legittimo. Tipico es di diritto
affievolito è il diritto di proprietà inciso dal potere espropriativo. La categoria dei diritti soggettivi
affievoliti fa coppia con quella simmetrica dei cd diritti soggettivi “in attesa di espansione”; si tratta

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di diritti, già attribuiti in astratto alla titolarità di un soggetto privato, il cui esercizio è però
condizionato all’esercizio di un potere dell’amministrazione, nei confronti del quale il titolare del
diritto vanta un interesse legittimo. (Tipico es è quello dell’autorizzazione ad aprire un esercizio
commerciale). Gli effetti di questa impostazione furono quelli di relegare a un ruolo marginale il
giudice ordinario il quale divenne quasi esclusivamente il giudice dei comportamenti della p.a. non
collegati all’esercizio del potere amministrativo (inadempimento contrattuali, illeciti
extracontrattuali).
 L’interesse occasionalmente protetto. Partendo dal presupposto che l’interesse privato è posto in
una posizione subalterna rispetto all’interesse pubblico. Solo in presenza di un diritto soggettivo,
l’interesse del privato correlato a un bene della vita è oggetto di una tutela diretta e immediata da
parte dell’ordinamento (cioè da parte di una norma di relazione); seguendo questa impostazione
l’interesse legittimo sarebbe un interesse occasionalmente (indirettamente) protetto da una norma
(la norma d’azione) volta a tutelare in modo indiretto l’interesse pubblico. L’interesse legittimo si
distingue dunque dal diritto soggettivo proprio per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di
un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela in
modo diretto solo l’interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo,
(senza che peraltro sussista alcuna garanzia in ordine alla sua acquisizione o conservazione). (Così
per es chi ha partecipato a un concorso pubblico svoltosi in modo regolare e tuttavia non è
collocato nella graduatoria tra i vincitori vede comunque soddisfatto il suo interesse legittimo. Il
bene della vita (o l’interesse materiale), nell’es l’assunzione nei ruoli dell’amministrazione è esterno
all’interesse legittimo e rileva alla stregua di un mero presupposto di fatto o come “substrato
economico”). L’interesse legittimo fonda in capo al suo titolare solo la pretesa a che
l’amministrazione eserciti il potere in modo legittimo, cioè in conformità con la norma d’azione. Il
titolare dell’interesse legittimo può cercare di influenzare l’esercizio del potere in senso a sé più
favorevole attraverso la partecipazione al procedimento, fornendo elementi che possono orientare
in tale senso la valutazione discrezionale. La norma attributiva del potere offre al titolare
dell’interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l’esercizio del potere, anziché
finale, come accade invece per il diritto soggettivo, nel quale la norma attribuisce al suo titolare in
modo diretto un certo bene della vita o utilità. Ove il potere sia esercitato in modo non conforme
alla norma attributiva del potere, il titolare dell’interesse legittimo può proporre ricorso al giudice
amministrativo al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento lesivo, cioè la rimozione con
efficacia ex tunc degli effetti da esso prodotti.
 Le ricostruzioni più recenti dell’interesse legittimo. La dottrina ha messo in luce la connotazione
ideologica delle definizioni tradizionali di interesse legittimo: una connotazione collegata a una
visione autoritaria dei rapporti tra stato e cittadino e fondata sulla sovraordinazione della p.a. Si è
iniziato ad attribuire all’interesse legittimo una connotazione sostanziale, sottolineando che
l’interesse protetto è comunque un interesse materiale. (L’impianto delineato è entrato in crisi in
seguito all’emergere di una nuova sensibilità, più in linea con i valori espressi dalla cost,
dell’ordinamento europeo e dalla legge 241). Si è sottolineato per es, che la cost attribuisce ai diritti
soggettivi e agli interessi legittimi una pari dignità e pertanto ad entrambi l’ordinamento deve
assicurare una tutela piena ed effettiva (art 24). (Con la sent delle sez unite della cassazione n
500/1999 la corte ha posto una linea di confine della risarcibilità tutta all’interno dell’interesse
legittimo in ragione della rilevabilità, nella situazione concreta, di una lesione a un bene della vita
già ascrivibile in qualche modo alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell’interesse
legittimo. La giurisprudenza si è posta la questione se il risarcimento del danno costituisca un diritto
soggettivo distinto dall’interesse legittimo, ancorché a questo collegato, nel senso che la lesione di
quest’ultimo ad opera del provvedimento illegittimo fa sorgere in capo al suo titolare un diritto al
risarcimento del danno). La corte cost nella sent 204/2004, ha inteso l’azione risarcitoria non come
volta a tutelare un diritto soggettivo autonomo, bensì in funzione “rimediale” cioè come tecnica di

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tutela dell’interesse legittimo che si affianca e integra la tecnica di tutela più tradizionale costituita
dall’annullamento. Se l’interesse legittimo incorpora anche una pretesa risarcitoria, esso ha
necessariamente per oggetto un bene della vita suscettibile di essere leso da un provvedimento
illegittimo. Il bene della vita, correlato all’interesse legittimo, trova tutela anche attraverso l’azione
di adempimento introdotta dal codice del processo amministrativo; il giudice può infatti condannare
l’amministrazione ove la pretesa risulti fondata, a emanare il provvedimento richiesto dal privato
attribuendogli così il bene della vita al quale egli aspira (per es un’autorizzazione che consente di
intraprendere un’attività economica). (Nella ricostruzione di interesse legittimo il baricentro si
sposta dal collegamento con l’interesse pubblico a quello con l’utilità finale o “bene della vita” che il
soggetto titolare dell’interesse legittimo mira a conservare o ad acquisire). L’interesse legittimo ha
quindi una connotazione sostanziale. (Per es la cort di cass ha sottolineato che l’interesse legittimo “
va perdendo la sua tradizionale funzione meramente ancillare rispetto all’interesse pubblico, per
assumere un più marcato connotato sostanziale”). La norma di conferimento del potere ha il
duplice scopo di tutelare l’interesse pubblico (così da consentirne la cura in concreto da parte
dell’amministrazione, anche a costo del sacrificio di interessi privati) e di tutelare l’interesse del
privato (che mira a conservare o ad acquisire una utilità finale o bene della vita). Nella dinamica del
rapporto giuridico amministrativo, da un lato, l’amministrazione titolare del potere cura in via
primaria l’interesse pubblico; dall’altro, il titolare dell’interesse legittimo mira esclusivamente al
proprio interesse individuale, con libertà di scegliere le forme di tutela da attivare nel processo e
prima ancora nell’ambito del procedimento amministrativo. Quindi l’interesse legittimo è una
situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della p.a. e tutelata in modo diretto dalla norma
di conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire
sull’esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita. I poteri e
le facoltà in questione si esplicano principalmente all’interno del procedimento attraverso l’istituto
della partecipazione (artt 7 ss. Legge 241). Il privato può rappresentare il proprio punto di vista
presentando memorie, documenti e può persino sottoporre all’amministrazione proposte che
possono sfociare, se accolte, in un accordo avente per oggetto il contenuto discrezionale del
provvedimento (art 11 legge 241). (Tali poteri tendono a riequilibrare la posizione di soggezione nei
confronti del titolare del potere). L’interesse legittimo- (che pur costituisce il termine passivo del
rapporto giuridico che intercorre con l’amministrazione se ci si pone dall’angolo di visione della
produzione degli effetti giuridici-) acquista così dimensione attiva. Ad essa corrispondono in capo
all’amministrazione una serie di doveri comportamentali nella fase procedimentale e nella fase
decisionale (buona fede, imparzialità, ragionevolezza, proporzionalità, esatta rappresentazione dei
fatti, acquisizione completa degli interessi rilevanti, ecc) che sono finalizzati anche alla tutela
dell’interesse del soggetto privato. Il titolare dell’interesse legittimo fa valere nei confronti
dell’amministrazione una pretesa a che il potere sia esercitato in modo legittimo e in senso
conforme all’interesse sostanziale del privato alla conservazione o all’acquisizione di un bene della
vita. (La “prestazione” che viene richiesta all’amministrazione ha natura infungibile, in quanto il
titolare dell’interesse legittimo può conservare o acquisire una certa utilità solo tramite l’esercizio o
il mancato esercizio del potere da parte dell’unica autorità competente in base alla norma
attributiva del potere).

La dissoluzione dell’interesse legittimo in diritto soggettivo. Sulla base di queste considerazioni nella
dottrina è emersa una visione che dissolve l’interesse legittimo nel diritto soggettivo. Infatti il diritto
soggettivo include anche figure di diritti diverse si pensi (al diritto di proprietà, al diritto di credito avente
per oggetto una somma di denaro, o) al diritto a un comportamento secondo bf nell’ambito delle trattative
finalizzate alla stipula di un contratto. Il titolare di questo genere di diritti fa valere nei confronti
dell’obbligato una pretesa a un comportamento conforme a certi standard, definiti dalla dottrina civilistica
“doveri di protezione” senza che sia alcuna garanzia di un risultato predeterminato. Questa categoria di

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diritti è strutturalmente analoga all’interesse legittimo, il quale può essere ricondotto a una figura
particolare di diritto avente per oggetto una prestazione-comportamento da parte dell’amministrazione a
favore del soggetto privato. L’interesse legittimo presenta sia una dimensione passiva (soggezione rispetto al
potere esercitato), sia una dimensione attiva (pretesa a un esercizio corretto del potere a cui corrispondono
poteri e facoltà nei confronti dell’amministrazione da far valere nel procedimento o anche in sede
giurisdizionale). A questa duplice dimensione corrisponde una duplice dimensione del potere: attiva, se
riferita alla produzione unilaterale dell’effetto giuridico; passiva, se correlata ai doveri di comportamento
che gravano sull’amministrazione.

7.Gli interessi legittimi oppositivi e pretensivi. Sotto il profilo funzionale gli interessi legittimi possono
essere oppositivi e pretensivi. Gli interessi legittimi oppositivi sono correlati a poteri amministrativi il cui
esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che restringe la sfera giuridica del destinatario e
che sacrifica l’interesse di quest’ultimo. (Si pensi ad es al potere di espropriazione, all’irrogazione di una
sanzione amministrativa, all’imposizione di un vincolo di inedificabilità). Gli interessi legittimi pretensivi
invece sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico
che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario. (Si pensi al potere di rilasciare una
concessione per l’uso di un bene demaniale o all’iscrizione a un albo professionale).

La diversa dinamica del rapporto giuridico amministrativo. Negli interessi legittimi oppositivi il rapporto
giuridico amministrativo che si sviluppa nel procedimento ha una dinamica di contrapposizione; (il suo
titolare cercherà di intraprendere tutte le iniziative volte a contrastare l’esercizio del potere che sacrifica un
bene della vita (una pretesa a un non facere da parte dell’amministrazione). Non rileva dal punto di vista del
soggetto privato (ma non dell’interesse pubblico), se l’omessa emanazione del provvedimento sia legittima
o illegittima). Negli interessi legittimi pretensivi il rapporto giuridico amministrativo ha una dinamica più
collaborativa: il titolare dell’interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a
stimolare l’esercizio del potere e a orientare la scelta dell’amministrazione in modo da poter conseguire il
bene della vita. I 2 tipi di dinamica si riflettono sia sulla struttura del procedimento, sia su quella del
processo amministrativo. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il procedimento si apre d’ufficio e la
comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. Nel caso degli
interessi legittimi pretensivi il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un’istanza o domanda di
parte che fa sorgere l’obbligo di procedere e di provvedere in capo all’amministrazione titolare del potere
(art 2 legge 241) e che instaura il rapporto giuridico amministrativo.

I bisogni di tutela e gli strumenti processuali per soddisfarli. (Il processo amministrativo e la tipologia di
azioni in esso esperibili presentano caratteri propri in funzione del diverso bisogno di tutela). Nel caso degli
interessi legittimi oppositivi l’annullamento dell’atto impugnato con efficacia ex tunc soddisfa il bisogno di
tutela legato all’interesse alla conservazione del bene della vita (fatti salvi gli obblighi restitutori e gli
eventuali profili risarcitori); il ricorrente viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima
dell’emanazione del provvedimento. (Se dalla sent di annullamento deriva poi un effetto preclusivo pieno,
tale da impedire l’emanazione, rebus sic stantibus, di un nuovo provvedimento sostitutivo di quello
annullato produttivo dei medesimi effetti, l’interesse legittimo oppositivo esce dalla vicenda procedimentale
e processuale addirittura rafforzato).

L’azione di adempimento. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è legato invece
all’interesse all’acquisizione del bene della vita. Rispetto a tale bisogno l’annullamento del provvedimento di
diniego o, nel caso di silenzio-inadempimento, l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di
concludere il procedimento nel termine stabilito ex art 2 legge 241 con un provvedimento espresso sono
insufficienti. Solo una sent che accerti la spettanza del bene della vita e che condanni l’amministrazione a
emanare il provvedimento richiesto risulta pienamente satisfattiva. L’azione che consente tale risultato è la
cd azione di adempimento, cioè l’azione di condanna a un facere specifico ora prevista dal codice del
processo amministrativo.

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La tutela risarcitoria. Anche la tutela risarcitoria, che può essere attivata per soddisfare i bisogni di tutela
non coperti dalla tutela specifica (di annullamento del provvedimento illegittimo e di adempimento), si
atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi.

Con riferimento agli interessi legittimi oppositivi essa riguarda i danni derivanti dalla limitazione e privazione
nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. La
sent. di annullamento con efficacia retroattiva pur eliminando l’atto e i suoi effetti, non può porre rimedio al
danno passato: (per es se dopo l’emanazione di un decreto di esproprio e l’apprensione materiale del
terreno, si è annullato il provvedimento, il proprietario deve essere risarcito del danno conseguente al
mancato godimento del bene nel periodo intercorrente tra l’esecuzione del provvedimento espropriativo e
la restituzione del bene stesso.) Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi la tutela risarcitoria
riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato
emanato un provvedimento di diniego o l’amministrazione sia rimasta inerte (per es il mancato/ritardato
avvio di un’attività commerciale sottoposta a un regime di autorizzazione). Il risarcimento è correlato nel
periodo intercorrente.

I provvedimenti a doppio effetto. La distinzione tra i 2 tipi di interessi legittimi consente di inquadrare i cd
provvedimenti “a doppio effetto” che producono nello stesso tempo un effetto ampliativo e un effetto
restrittivo nella sfera giuridica di 2 soggetti distinti e che danno origine a un rapporto giuridico trilaterale. Si
pensi per es al rilascio di un permesso a costruire un edificio che impedirebbe una vista panoramica al
proprietario del terreno confinante, oppure al rilascio di un’autorizzazione ad avviare un’attività
commerciale in concorrenza con un esercizio posto nelle vicinanze che subirebbe una contrazione del
proprio giro d’affari.

La dinamica procedimentale e processuale. In questi casi la dinamica dei rapporti tra l’amministrazione e i
soggetti privati titolari di un interesse legittimo pretensivo o oppositivo diventa ancora più articolata sia
nell’ambito del procedimento :il diritto alla partecipazione riguarda entrambi i soggetti; (le parti privati
indurranno l’amministrazione a provvedere in senso conforme al proprio interesse e contrario all’interesse
dell’altra parte privata), sia nell’ambito del processo (dove accanto alla parte ricorrente che impugna il
provvedimento chiedendone l’annullamento e all’amministrazione resistente, interviene anche il
controinteressato, cioè la parte che ha tratto un’utilità dall’emanazione del provvedimento e che affianca
l’amministrazione nella difesa della legittimità del provvedimento emanato; negli es: il titolare del permesso
a costruire o dell’autorizzazione commerciale).

8. Criteri di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Dottrina e giurisprudenza, specie quella
delle Sez Unite della Corte di cassazione, hanno individuato alcuni criteri interpretativi di distinzione tra
diritti soggettivi e interessi legittimi. 1) Un primo criterio si incentra sulla struttura della norma attributiva
del potere. Ricorre ancora nella giurisprudenza la distinzione tradizionale tra norma di relazione (volta a
regolare il rapporto giuridico tra p.a. e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche; ad essa è
correlato il diritto soggettivo) e norma d’azione (volta a disciplina l’attività dell’amministrazione ai fini di
tutela dell’interesse pubblico; ad essa è correlato l’interesse legittimo). Nella norma di relazione la
produzione dell’effetto giuridico avviene in modo automatico sulla base dello schema norma-fatto-effetto;
l’eventuale atto dell’amministrazione che accerta il prodursi dell’effetto giuridico e dei diritti e degli obblighi
posti in capo alle parti ha un carattere meramente ricognitivo.

Gli atti paritetici. Si pensi per es alla categoria dei cd “atti paritetici”, cioè atti attraverso i quali
l’amministrazione riconosce (o disconosce) al dipendente un’indennità di carica o un altro beneficio
attribuito direttamente da un norma di rango legislativo; gli atti in questione hanno un’efficacia meramente
ricognitiva (e non costitutiva) dei diritti e degli obblighi del dipendente pubblico. (Si pensi ancora agli atti
che accertano il carattere demaniale di un bene in base a criteri posti dal cc (art 822)).

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L’illiceità del comportamento. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione si qualifica
come illecito e lesivo del diritto soggettivo. L’accertamento della illiceità e dell’eventuale condanna spettano
di regola, al giudice ordinario.

Nella norma di azione la produzione dell’effetto giuridico avviene secondo lo schema norma-fatto-potere-
effetto. Il provvedimento emanato dall’amministrazione ha un carattere costitutivo dell’effetto giuridico
nella sfera giuridica del destinatario. Il provvedimento assunto in violazione della norma di azione, trattando
dei vizi dell’atto amministrativo, si qualifica come illegittimo e lesivo di un interesse legittimo.
L’annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al giudice amministrativo.

2) Un 2 criterio consiste nella distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale. In presenza di un
potere discrezionale la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre ed esclusivamente
l’interesse legittimo. Ciò perché la conservazione o l’acquisizione del bene della vita in capo al soggetto
privato, è rimessa alla valutazione dell’amministrazione titolare del potere. Di fronte al potere discrezionale
il sogg privato non è in grado di prevedere con certezza se la sua pretesa verrà soddisfatta
dall’amministrazione all’esito del procedimento. Manca la possibilità di ascrivere in modo immediato e
diretto il vantaggio o bene della vita alla sfera giuridica del soggetto privato, ciò che caratterizza invece la
struttura del diritto soggettivo. Invece, nel caso in cui il potere sia vincolato, il soggetto privato, valutando
autonomamente la situazione concreta in cui egli si trova, è in grado di prevedere con certezza se
l’amministrazione, ove agisca in modo conforme alle norme applicabili, riconoscerà o meno il vantaggio o
bene della vita. Il cd “giudizio di spettanza” ha cioè carattere univoco. La situazione in cui versa il privato è
assimilabile a quella in cui si trova il titolare di un diritto soggettivo.

La correlazione biunivoca tra potere vincolato e diritto soggettivo. In realtà mentre una parte della
dottrina instaura una correlazione biunivoca tra potere vincolato e titolarità di un diritto soggettivo, la
giurisprudenza amministrativa la spezza introducendo un’ulteriore variabile. Ammette cioè l’esistenza di un
diritto soggettivo solo nel caso in cui i vincoli ricavabili dalla norma che disciplina il potere abbiano una
funzione di garanzia e di tutela diretta del soggetto privato. Ove invece essi siano finalizzati principalmente
alla tutela dell’interesse pubblico va riconosciuta, anche a fronte di un potere vincolato, l’esistenza di un
interesse legittimo. Ad ogni modo questo criterio offre una soluzione certa solo quando il potere ha natura
discrezionale, che esclude la possibilità di ricostruire la situazione giuridica correlata in termini di diritto
soggettivo.

3) un 3 criterio, introdotto dalla Corte di cass (C.Cass. 4 luglio 1949, n.1657) si fonda sulla diversa natura del
vizio dedotto dal sogg privato nei confronti dell’atto emanato.

La carenza di potere in astratto. Ove venga contestata la cd carenza di potere, cioè l’assenza di un
fondamento legislativo del potere (la cd carenza di potere in astratto) o una deviazione abnorme dallo
schema normativo (cd straripamento di potere), l’atto emanato dall’amministrazione è in realtà una
parvenza di provvedimento, privo dell’idoneità a produrre l’effetto tipico nella sfera giuridica del
destinatario (provvedimento nullo o addirittura inesistente). La situazione giuridica soggettiva di cui il
destinatario è titolare, e in particolare il diritto soggettivo, resiste di fronte al potere e non subisce alcun
“affievolimento” tramutandosi in un interesse legittimo.

I diritti soggettivi non degradabili.

La giurisprudenza della corte di cass ha peraltro individuato alcuni diritti soggettivi, che ricevono una tutela
rafforzata nella cost (il diritto alla salute o all’integrità dell’ambiente) che di regola non possono essere incisi
dal potere amministrativo (cd diritti non comprimibili/non degradabili) e la cui tutela è rimessa in via
esclusiva al giudice ordinario. Ove invece il soggetto privato lamenti il cattivo esercizio del potere,
deducendo un vizio di legittimità del provvedimento (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge),

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la situazione giuridica fatta valere nei confronti dell’amministrazione ha la consistenza di un interesse


legittimo.

La carenza di potere in concreto. La giurisprudenza include nella carenza di potere anche la cd carenza di
potere in concreto, ipotesi che si verifica nei casi in cui la norma in astratto attribuisce il potere
all’amministrazione, ma manca nella fattispecie concreta un presupposto essenziale per poterlo esercitare
(per es nel caso in cui l’espropriazione non sia stata preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilità oppure
un atto sia stato emanato quando è già scaduto un termine perentorio previsto a pena di decadenza). La
carenza di potere in concreto è stata oggetto di contrasti tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo:
in epoca più recente è in corso un ripensamento alla luce dell’art 21-septies l 241/1990 che ha disciplinato
la categoria della nullità. Essa elenca le ipotesi tassative di nullità, tra le quali figura anche il difetto assoluto
di attribuzione che coincide con la carenza di potere in astratto. Di conseguenza la carenza di potere in
concreto sarebbe inquadrabile nella categoria generale della violazione di legge e determinerebbe ormai
solo l’annullabilità del provvedimento emanato. (Nel caso in cui la nullità di un provvedimento miri a
restringere la sfera giuridica del destinatario, la nullità priva il provvedimento della sua forza imperativa e
della sua idoneità a incidere sulle situazioni di diritto soggettivo di cui è titolare il privato). (Invece nel caso
in cui la nullità miri ad ampliare la sfera giuridica del destinatario, l’emanazione di un provvedimento di
diniego non influisce sulla configurazione della situazione giuridica soggettiva di base di cui il soggetto
privato è titolare). I 3 criteri seguiti dalla giurisprudenza per distinguere i diritti soggettivi dagli interessi
legittimi non risolvono tutti i problemi di qualificazione. In molte fattispecie la distinzione tra le 2 situazioni
giuridiche soggettive ha indotto il legislatore a risolvere in parte i problemi di individuazione del giudice
dotato di giurisdizione devolvendo un numero elevato di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (art 133 codice del processo amministrativo) nell’ambito della quale il giudice può conoscere
delle situazioni giuridiche sia di interesse legittimo, sia di diritto soggettivo (art 7, codice).

9. Il “diritto” di accesso ai documenti amministrativi. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è uno


degli strumenti principali volti ad accrescere la trasparenza dell’attività amministrativa e promuovere
l’imparzialità. L’accesso ai documenti amministrativi consiste nel “diritto degli interessati di prendere visione
e di estrarre copia di documenti amministrativi” (art 22 co 1, lett. A, legge 241/1990). Esso è incluso dalla
legge 241 (art 29, co 2-bis) tra i livelli essenziali delle prestazioni ai quali fa riferimento l’art 117 co 2 lett m)
Cost e rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. È inoltre definito come “principio generale
dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza”
(art 22, co 2).

Si distingue innanzitutto tra accesso procedimentale e non procedimentale.

L’accesso procedimentale e non procedimentale. Il diritto di accesso procedimentale rientra tra quelli
attribuiti ai soggetti che partecipano a un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire
ad essi di tutelare meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e documenti acquisiti al fascicolo
(art 10 legge 241). Si instaura un legame funzionale tra principio di trasparenza (accesso ai documenti) e
diritto di partecipazione, che ne esce così rafforzato (partecipazione informata). Quanto all’accesso non
procedimentale, il diritto di accesso può essere esercitato in via autonoma da chi ha interesse a esaminare
documenti detenuti stabilmente da una p.a. (accesso non procedimentale); ad esso la legge 241 dedica
l’intero Capo V (artt 22 ss.). In entrambe le fattispecie la legge 241 costruisce il diritto di accesso secondo lo
schema del diritto soggettivo. In particolare con riguardo all’accesso non procedimentale, esso sorge
quando il soggetto che richiede l’accesso dimostri “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art 22, lett
b)). L’accesso non è attribuito a chiunque: è necessario che la richiesta di accesso abbia alla base un
interesse differenziato e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante (non necessariamente un
diritto soggettivo o un interesse legittimo, ma anche una situazione giuridica soggettiva ancora allo stato
potenziale).

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I casi di esclusione del diritto di accesso. Sotto il profilo oggettivo, l’accesso non procedimentale è escluso
in una serie tassativa di casi e cioè in relazione ai documenti coperti dal segreto di Stato, a quelli relativi a
procedimenti tributari o a procedimenti per l’adozione di atti amministrativi generali, ai documenti
contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi (art 24 co 1 legge 241). Altri casi di esclusione
possono essere individuati tramite regolamento di delegificazione là dove sussista il rischio di una lesione di
interessi pubblici quali, per es, la sicurezza e difesa nazionale, la politica monetaria e valutaria, la
riservatezza di persone fisiche, gruppi, imprese e associazioni, ecc (elenco art 24, co 6, l 241).

Accesso e riservatezza. Quando sono presenti esigenze di tutela della riservatezza l’amministrazione deve
compiere una duplice operazione. Innanzitutto deve comparare l’interesse all’accesso e il contrapposto
interesse alla riservatezza di 3 (per es, l’interesse di un dipendente pubblico che vuole contestare la
promozione di un altro dipendente e che ritiene necessario acquisire una copia del libretto di servizio di
quest’ultimo che però potrebbe contenere dati riservati). Inoltre deve valutare se l’accesso ha il carattere
della “necessarietà” (diversa dalla utilità), poiché la legge 241 prescrive che deve essere comunque
garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare e difendere i
propri interessi giuridici” (art 24, co 7). Il criterio della necessarietà è ancora più stringente nel caso in cui i
documenti contengano dati definiti come sensibili dal Codice dei dati personali (soprattutto quelli relativi
alla salute e alla sfera sessuale) e a quelli giudiziari perché l’accesso è consentito solo “nei limiti in cui sia
strettamente indispensabile”(art 24, co 7: clausola di accesso difensivo). L’accoglimento dell’istanza di
accesso è subordinata, almeno nel caso in cui siano presenti esigenze di riservatezza, a valutazioni
dell’amministrazione che hanno natura in qualche misura discrezionale. Il bilanciamento tra esigenza di
pubblicità e tutela della riservatezza riguarda anche le informazioni che le p.a. sono tenute a pubblicare sui
siti istituzionali ai sensi del d.lgs. n. 33/2013 nei casi in cui si tratti di dati cd sensibili. A questo fine il Garante
della protezione dei dati personali ha pubblicato alcune linee guida (provvedimento 15 maggio 2014 n.243).
Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, è incluso tra le materie
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art 133, co 1, lett. a), n.6, Codice del
processo amministrativo). (In presenza di dati normativi contrastanti, si comprende come mai la
giurisprudenza sia stata incerta nel ricostruire la natura giuridica del diritto di accesso, tanto che è stata
persino avanzata l’ipotesi che si tratti di una situazione giuridica nuova non inquadrabile in nessuno dei 2
schemi tradizionali).

L’accesso come interesse legittimo. Più di recente sembra prevalere l’interpretazione che l’accesso vada
inquadrato nella categoria dell’interesse legittimo. Se ne è tratta la conseguenza che il diniego di accesso
costituisce un provvedimento impugnabile nel termine di decadenza di 30 gg, piuttosto che nel termine più
lungo di prescrizione applicabile in via ordinaria di diritti soggettivi (cons. st. ad. Plen. 18 aprile 2006, n 6 e
20 aprile 2066, n 7). Accanto a questa forma di accesso introdotta sin dall’inizio dalla l 241, sono state
aggiunte di recente altre fattispecie di accesso inquadrabili invece in termini di diritto soggettivo in senso
proprio. Anzitutto, in materia di tutela dell’ambiente l’accesso alle informazioni è consentito a chiunque ne
faccia richiesta senza la necessità di dichiarare un proprio interesse (art 3 d.lgs. n 195/2005 di attuazione
della direttiva 2003/4/CE). Inoltre, a livello di amministrazioni locali, i consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto a ottenere dagli uffici tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato e sono tenuti al
segreto d’ufficio (art 43, co 2, d. lgs. N 267/2000).

L’accesso civico come diritto soggettivo. È qualificabile come diritto soggettivo anche l’accesso civico
introdotto nell’ambito della normativa anticorruzione. La nuova disposizione si ispira al Freedom of
Information Act (FOIA), introdotto per la prima volta negli Stati Uniti nel 1966, secondo il quale il right to
know del cittadino persegue 3 obiettivi: il controllo diffuso sulle p.a., la partecipazione consapevole dei
cittadini alle decisioni pubbliche; la legittimazione delle p.a. dovuta alla massima trasparenza. Nel nostro
ordinamento, la nuova disposizione trova giustificazione negli artt 1, 2 e 118 della cost che delinea un
modello di “cittadinanza attiva”. L’art 5 del d.lgs. n 33/2013 prevede 2 ipotesi. La prima ipotesi (accesso cd

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semplice) riguarda le informazioni e i dati che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare sui propri siti
o con altre modalità. Se questo adempimento non è effettuato, chiunque può richiedere l’accesso (co 1).

L’accesso generalizzato. La 2 ipotesi (accesso generalizzato) tende a “favorire forme diffuse di controllo sul
perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la
partecipazione al dibattito pubblico”. La disposizione attribuisce a chiunque il diritto di accedere a dati
detenuti dalle p.a., anche di quelli per i quali non sussiste un obbligo di pubblicazione (co 2). In realtà,
questa forma di accesso generalizzato non riguarda tutti i documenti detenuti dalle p.a.; l’art 5-bis infatti
prevede una serie tassativa di esclusioni in relazione alla necessità di tutelare interessi pubblici e privati
quali la sicurezza nazionale, la difesa, le relazioni internazionali, la protezione dei dati personali, la libertà e
segretezza della corrispondenza e in generale tutti i casi di esclusione di cui all’art 24, co 1, l 241. Sotto il
profilo soggettivo, l’esercizio del diritto di accesso civico “non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla
legittimazione soggettiva del richiedente” (art 5, co3).

10. Interessi di fatto, diffusi e collettivi. Le norme che disciplinano l’organizzazione e l’attività della p.a.
possono imporre all’amministrazione doveri di comportamento finalizzati alla tutela di interessi pubblici.
Ciò, senza che a tali doveri corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa giuridicamente
tutelata in capo a soggetti esterni all’amministrazione. Ciò si verifica non solo nel caso delle norme interne,
ma anche nel caso di norme poste da fonti normative primarie o secondarie. (Si pensi alle norme che
impongono alle amministrazioni di adottare atti di pianificazione (urbanistici, del traffico, in materia
ambientale, ecc), di realizzare determinate opere infrastrutturali, di contenere livelli di spesa, di raggiungere
determinati standard qualitativi nell’erogazione dei servizi). Di recente, è stata qualificata come interesse di
mero fatto (anziché legittimo), la posizione di chi vuole contestare gli atti con cui un’azienda sanitaria locale
organizza al proprio interno l’attività di prevenzione e gestione dei rischi sanitari (risk management) (cons.
st. III sez. n 3263/2019). La violazione di siffatti doveri rileva solo all’interno dell’organizzazione degli
apparati pubblici e può dare origine, a seconda dei casi, a interventi di tipo propulsivo (diffide) o sostitutivo
da parte di organi dotati di poteri di vigilanza, all’irrogazione di sanzioni nei confronti dei dirigenti e
funzionari responsabili della violazione o ad altre forme di penalizzazione (finanziaria, divieto di assunzione
di personale, ecc). I sogg privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio indiretto da queste attività,
vantano un interesse di mero fatto (o interesse semplice) a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio di
tipo giurisdizionale, essi possono tutt’al più promuovere l’osservanza da parte delle amministrazioni dei
doveri, per es sollecitandole ad attivarsi con segnalazioni o petizioni o azioni di tipo politico.

I criteri di distinzione tra interessi di fatto e interessi legittimi. I criteri sono 2: il criterio della
differenziazione e il criterio della qualificazione. Quanto al 1 criterio, affinchè possa configurarsi un interesse
legittimo occorre che la posizione in cui si trova il sogg privato rispetto all’amministrazione gravata da un
dovere di agire sia differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell’ordinamento.

La differenziazione e la vicinitas. Può essere rilevante a tale riguardo l’elemento fisico-spaziale della
vicinanza (vicinitas): così per es: il proprietario di un terreno che confina con il terreno al cui proprietario è
stato rilasciato un permesso a costruire un edificio che impedisce una vista panoramica si trova in una
posizione differenziata rispetto al proprietario di aree non contigue poste a grande distanza; oppure se un
piano comunale del traffico che pone limiti restrittivi all’accesso al centro storico a veicoli privati, i residenti
delle zone interessate si trovato in una posizione differenziata, per es, rispetto ai residenti dei comuni
limitrofi.

La qualificazione giuridica dell’interesse. Successivamente occorre appurare se tale interesse rientri nel
perimetro della tutela offerta dalle norme attributive del potere (criterio della qualificazione giuridica
dell’interesse). I 2 criteri si sorreggono a vicenda e sono collegati.

Gli interessi di mero fatto possono avere una dimensione individuale o superindividuale. Così è emersa a
partire degli anni Settanta del secolo scorso in dottrina e giurisprudenza la nozione di interesse diffuso. Gli

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interessi diffusi sono stati definiti come interessi non personalizzati (o adespoti), senza struttura, riferibili
indistintamente alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti (consumatori,
utenti, risparmiatori, ecc).

Gli interessi diffusi come interessi riferiti a beni “non rivali” e “non escludibili”. Il carattere diffuso
dell’interesse deriva dalla caratteristica del bene materiale o immateriale ad esso correlato che non è
suscettibile di appropriazione e di godimento esclusivi (ambiente, patrimonio storico-artistico, sicurezza
stradale ecc). Con il linguaggio degli economisti, si tratta di beni pubblici “non rivali” e “non escludibili”: non
rivali perché il loro consumo o utilizzo da parte di uno non ne impedisce la fruizione da parte di un altro;
non escludibili perché, una volta fornito il bene, nessuno può essere escluso dalla fruizione. Gli interessi
diffusi superano la dimensione individuale in quanto sono riferibili agli individui non in sé, ma in relazione al
loro status di consumatore, utente ecc. Essi oscillano tra l’irrilevanza giuridica (e sono qualificati come
interessi di mero fatto) e la riconducibilità a una situazione giuridica soggettiva tipizzata (una sorta di
tertium genus rispetto al diritto soggettivo e all’interesse legittimo). L’ordinamento giuridico ha iniziato a
prendere in considerazione gli interessi diffusi attribuendo ad essi una certa rilevanza sia in sede
procedimentale, sia in sede processuale.

La tutela procedimentale. Quanto al 1 ambito, l’art 9 l 241, attribuisce la facoltà di intervenire nel
procedimento a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati nonché ai “portatori di interessi
diffusi costituiti in associazioni e comitati” ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. (Il
diritto di partecipazione consente di immettere nel procedimento interessi riferibili alla collettività) (ad es la
tutela dell’ambiente) (che non coincidono necessariamente con quello curato in via istituzionale e
dall’amministrazione titolare del potere (per es l’amministrazione preposta alla realizzazione di un’opera
pubblica). Quest’ultima dovrà tenerne conto in sede di valutazione e ponderazione degli interessi rilevanti e
di decisione finale.)

La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi. I criteri elaborati per la tutela giurisdizionale degli interessi
diffusi sono principalmente 3: il collegamento con la partecipazione procedimentale; l’elaborazione della
nozione di interesse collettivo, come specie particolare di interesse legittimo; la legittimazione ex lege.

La partecipazione al procedimento. 1) la prima strada proposta in dottrina, è stata quella di individuare


nella partecipazione al procedimento ai sensi della l 241 un elemento di differenziazione e qualificazione
tale da consentire l’impugnazione innanzi al giudice amministrativo del provvedimento conclusivo del
procedimento. Tuttavia, diritto di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale hanno
funzioni diverse. La partecipazione al procedimento assolve non solo alla funzione di tutela preventiva degli
interessi dei soggetti suscettibili di essere incisi dal provvedimento, ma anche quella di fornire
all’amministrazione una garanzia più ampia di informazioni utili per esercitare meglio il potere. Essa ha
dunque un ambito naturale più ampio della legittimazione processuale che può essere riconosciuta solo al
titolare di una situazione giuridica soggettiva in senso proprio che ha subito una lesione alla quale occorre
porre rimedio. 2) un’altra via è stata quella di ampliare le maglie dell’interesse legittimo fino a includervi
alcune situazioni nelle quali il ricorrente agisce in giudizio per tutelare in realtà un interesse
superindividuale. È stata posta in proposito la distinzione tra interessi propriamente diffusi e interessi
collettivi, cioè riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati (associazione sindacali dei lavoratori,
partiti politici, ordini professionali ecc). A questi organismi rappresentativi della categoria è stata
riconosciuta in giurisprudenza una legittimazione processuale autonoma, collegata a una situazione di
interesse legittimo, allo scopo di tutelare gli interessi non dei singoli appartenenti alla categoria, bensì della
categoria in quanto tale. (Per es un ordine professionale è legittimato a impugnare i provvedimenti
amministrativi che consentono a soggetti diversi dai propri iscritti di svolgere un’attività rientrante nelle
prerogative riservate alla categoria). (Nel 2010 per es, gli organismi rappresentativi degli avvocati
impugnarono un regolamento governativo in tema di mediazione delle controversie civili perché non
prevedeva l’obbligo delle parti di farsi assistere da un avvocato iscritto all’albo).

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La legittimazione ex lege. 3) in settori particolari il legislatore ha attribuito a determinati soggetti istituiti per
la cura di interessi diffusi una legittimazione speciale a ricorrere (legittimazione ex lege). Per es in materia
ambientale l’art 18 legge 1986, n 349 prevede che le associazioni che abbiano ottenuto un riconoscimento
dal ministero dell’Ambiente in base a certe caratteristiche minime (dimensione nazionale, finalità statutarie)
possano ricorrere al giudice amministrativo a tutela degli interessi ambientali. (Questa e altre analoghe
previsioni legislative non trasformano gli interessi diffusi in situazioni giuridiche soggettive di interesse
legittimo o di diritto soggettivo in senso proprio, ma hanno una rilevanza prettamente processuale.)

Gli interessi individuali “isomorfi”. Gli interessi individuali “omogenei” o “isomorfi” vanno distinti dagli
interessi diffusi e collettivi, che hanno una dimensione superindividuale in senso proprio. Essi infatti
mantengono il carattere di situazioni giuridiche soggettive individuali, e acquistano una dimensione
collettiva solo per il fatto di essere comuni a una pluralità di soggetti. (Si pensi per es agli utenti del servizio
elettrico di una città nella quale si verifica una situazione di interruzione della fornitura di energia elettrica
protratta nel tempo). In questi casi l’interesse leso resta un interesse individuale e l’elemento di omogeneità
e comunanza consiste nel fatto che la lesione deriva da un’attività illecita o illegittima plurioffensiva.
Ciascuno dei soggetti potrebbe dunque agire in giudizio autonomamente. Peraltro, spesso, come per es, nel
settore dei rapporti di utenza nei servizi pubblici, il danno individuale è di entità limitata, tale da
scoraggiare, l’esperimento di un’azione in sede giurisdizione. Per questi interessi l’ordinamento prevede
forme di tutela non giurisdizionale semplificate, meno formalizzate e costose, innanzi a organismi di
mediazione o conciliazione, oppure innanzi alle stesse autorità amministrative di regolazione (le cd ADR:
alternative dispute resolutions, che includono vari tipi di reclami, ricorsi ecc).

Vd *ad plen. 10/2020 sul diritto di accesso

(Le azioni di classe e il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni. Di recente, il legislatore ha introdotto
per essi rimedi processuali particolari definiti impropriamente “azioni di classe” ispirandosi a modelli invalsi
soprattutto negli Stati Uniti. In particolare, l’art 840-bis del codice di procedura civile indotto dalla legge 1
aprile 2019, n 31, “disposizioni in materia di azione di classe” prevede che “i diritti individuali omogenei”
possono essere azionati da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro. Inoltre è stato introdotto un
ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici da esperire innanzi al
giudice amministrativo. Quest’ultimo rimedio consente ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti e
omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” di adire il giudice amministrativo in caso di accertata
violazione di livelli e standard di qualità predefiniti, per es nelle carte dei servizi o di ritardo nell’adozione di
atti amministrativi generali. Il ricorso non consente una tutela risarcitoria, ma mira soltanto a ottenere una
pronuncia del giudice che ripristini il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un
servizio pubblico. Esso può essere proposto, oltre che dai singoli interessati, anche da associazioni o
comitati costituiti ad hoc. (Si pensi per es all’azione proposta da un’associazione dei consumatori per far
valere la pretesa di far rispettare all’organizzazione scolastica lo standard normativo rappresentato dal
numero massimo di alunni che possono comporre una classe.))

11. I principi generali. Vanno innanzitutto distinti, da un lato, i principi che presiedono alla distribuzione
delle funzioni tra i vari livelli di governo e che sono rivolti al legislatore (statale e regionale); dall’altro, i
principi che hanno come destinatarie dirette le amministrazioni.

La circolarità dei principi generali. Caratteristica di alcuni di questi ultimi principi è la loro interdipendenza e
circolarità, nel senso che pur essendo ciascuno dotato di un’autonomia concettuale, sul piano funzionale
essi operano in modo sinergico con un effetto di rafforzamento reciproco. Alcuni principi hanno una valenza
trasversale.

I principi si ricavano da più fonti: la Cost, che per es all’art 97 enuncia il principio di imparzialità e buon
andamento della p.a.; la carta dei diritti fondamentali dell’ue, che all’art 41 disciplina il diritto ad una buona
amministrazione; i Trattati europei, dai quali si ricavano i principi di sussidiarietà, di proporzionalità, di

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precauzione, la l 241 che pone i principi generali del procedimento e del provvedimento. I principi europei e
nazionali sono strettamente intrecciati in virtù dei richiami ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario
contenuti sia nell’art 117, co 1, cost, in tema di potestà legislativa statale e regionale, sia nell’art 1, co 1,
legge 241, in tema di attività amministrativa.

Trattiamo ora solo i principi relativi alle funzioni e al rapporto giuridico amministrativo.

I principi sulle funzioni. Il principio fondamentale che presiede all’allocazione delle funzioni è il principio di
sussidiarietà, menzionato nei Trattati europei e, in seguito alla legge cost n.3/2001, nella cost. L’art 5 TUE
enuncia il principio di sussidiarietà verticale con riguardo ai rapporti tra SM e istituzioni dell’Unione al fine
di contenere le spinte all’accentramento di funzioni in capo a queste ultime. Dal principio di sussidiarietà
deriva che l’UE agisce esclusivamente nei limiti delle competenze assegnate (tassatività delle competenze) e
che gli SM sono titolari della generalità delle competenze residue. Inoltre, le competenze attribuite all’ue
non devono eccede quelle necessarie per conseguire gli scopi dell’unione che non possono essere curati
meglio dagli sm, né a livello centrale né a livello locale. L’art 5 menziona anche il principio di proporzionalità
in base al quale il contenuto e la forma dell’azione dell’unione non devono eccedere quanto necessario per
il conseguimento degli obiettivi dei trattati (co 4). I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di
proporzionalità con le modalità stabilite in un Protocollo allegato al Trattato che prevede un coinvolgimento
preventivo degli sm nella fase preparatoria degli atti normativi europei. Nel diritto interno, l’art 118 cost
richiama i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che vanno a integrare e a rafforzare il
principio autonomistico posto dall’art 5. L’art 118 prevede che la generalità delle funzioni sia attribuita al
livello di governo più vicino al cittadino e cioè al comune. Le funzioni amministrative vanno dunque allocate
tra gli enti territoriali secondo il criterio della dimensione degli interessi (locale, regionale o nazionale: da
qui l’espressione di sussidiarietà verticale). (I principi posti dall’art 118 cost trovano svolgimento nelle
singole materie di legislazione amministrativa nel d.lgs. 1998, n.112 che ha operato un riordino organico
delle funzioni amministrative). Oltre a richiamare il principio di sussidiarietà, la l. n. 59/1997 definisce il
principio di adeguatezza, che attiene “all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente (le funzioni,
N.d.A)”, e il principio di differenziazione, che mira a tener conto “delle diverse caratteristiche, anche
associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi” (art 4). Questi 2 principi sono volti a
sollecitare l’attivazione di forme di collaborazione tra enti territoriali per l’esercizio in forma associata di
talune funzioni. La legge n 59/1997 menziona anche i principi di efficienza e di economicità, di
responsabilità e unicità dell’amministrazione (con l’attribuzione a un unico sogg delle funzioni), di
omogeneità, di copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l’esercizio delle funzioni, di autonomia
organizzativa e regolamentare (art 4). La cost richiama anche la cd sussidiarietà orizzontale che definisce i
rapporti tra poteri pubblici e società civile. L’art 118, co 4, stabilisce che lo stato e gli enti territoriali
“favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa disposizione ha valore simbolico, da un lato, di
escludere che i poteri pubblici detengano il monopolio nella cura degli interessi della collettività, e dall’altro,
di valorizzare le forme di autorganizzazione della società civile. Ispirato al principio di sussidiarietà
orizzontale è il Codice del Terzo settore che lo richiama sin dal primo articolo (d.lgs. 3 luglio 2017, n.117).
(Come ha chiarito la corte cost, il cod delinea il Terzo settore come il “complesso dei soggetti di diritto
privato che esercitano (…) una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro,
di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (…) in attuazione del principio di sussidiarietà” (sent 185
del 2018)). Ricordiamo che il principio di proporzionalità è richiamato anche nella direttiva 2006/123/CE
relativa al mercato interno dei servizi. Infatti, la scelta del legislatore se istituire o mantenere un regime di
autorizzazione preventiva piuttosto che di semplice comunicazione all’amministrazione dell’avvio di
un’attività deve avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità (art 14 d.lgs. 59/2010) valutando se
“l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva”. (Questi principi,
essendo rivolti al legislatore, sono fatti valere nelle sedi politiche).

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I principi sull’attività. Secondo l’art 1 legge 241/1990 “l’attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza (…)
nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”. Tali principi, sebbene riferiti testualmente all’attività,
possono valere anche per l’atto e il procedimento amministrativo. (Poiché l’attività amministrativa riguarda
il complesso delle operazioni e degli atti posti in essere da un apparato amministrativo, anche l’applicazione
dei criteri enunciati nell’art 1 consente di formulare un giudizio globale sull’operato dell’amministrazione.)
(Tale giudizio verte sia sulla coerenza dell’attività rispetto alla “missione” affidata dal legislatore e sulla sua
conformità alle norme giuridiche, sia sul buon andamento).

Il principio del buon andamento e l’amministrazione di risultato. A tal proposito è stata elaborata la
nozione di “amministrazione di risultato” che si aggancia al principio di buon andamento ex art 97 cost.
l’amministrazione di risultato richiama la nozione di performance degli apparati amministrativi di tipo
aziendalistico. (Nel contesto di una riforma tesa a promuovere l’efficienza della p.a., il legislatore ha
disciplinato il cd “ciclo delle performance” che si applica agli apparati amministrativi nel loro complesso
(d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150). Le fasi del ciclo delle performance sono: la definizione di obiettivi,
l’allocazione delle risorse, il monitoraggio in corso di esercizio, la misurazione e valutazione della
performance organizzativa e dei singoli dipendenti, l’utilizzo di sistemi premianti. La performance
organizzativa si riferisce al grado di soddisfazione dei cittadini e degli utenti, all’efficienza nell’impiego delle
risorse, alla quantità e qualità dei servizi erogati. Ad essa si collega poi la performance individuale dei
dipendenti pubblici.)

I principi di efficienza, efficacia ed economicità. Secondo le scienze aziendali, il principio di efficienza,


richiamato dall’art 1 legge 241 attraverso il riferimento all’economicità, mette in rapporto la quantità di
risorse impiegate con il risultato dell’azione amministrativa e focalizza l’attenzione sull’uso ottimale dei
fattori produttivi. È efficiente l’attività amministrativa che raggiunge un certo livello di performance
scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impiego di
mezzi. Si distingue tra efficienza tecnica o produttiva (che attiene al modo in cui i fattori sono usati nel
processo produttivo) ed efficienza allocativa o gestionale.

Il principio di efficacia invece misura i risultati effettivamente ottenuti rispetto agli obiettivi prefissati (livelli
qualitativi di un servizio, soddisfazione dell’utenza ecc) in un piano o un programma. I 2 principi operano in
modo indipendente: (può darsi il caso di un livello elevato di efficacia, raggiunto però con un impiego
inefficiente delle risorse, o inversamente può darsi il caso di un’azione efficiente, perché non dà luogo a
sprechi, ma inefficace perché non raggiunge gli obiettivi prefissati).

L’economicità si riferisce alla capacità di lungo periodo di un’organizzazione di utilizzare in modo efficiente le
proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi e quindi condensa gli altri 2 principi.

Il principio di pubblicità e trasparenza. Esso è enunciato a livello europeo: infatti il tfue precisa che “al fine
di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli
organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile” (art 15). (Viene anche stabilito che le
istituzioni, gli organi e organismi dell’unione si basano su “un’amministrazione europea aperta”, ispirandosi
al principio dell’open government in base al quale le determinazioni assunte devono essere accessibili a chi
vi ha interesse). La carta dei diritti fondamentali dell’ue attribuisce a ogni individuo il diritto “di accedere al
fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale”
(art 41, co 2). Il principio di pubblicità e trasparenza rileva in 2 ambiti.

La trasparenza come accessibilità totale dell’informazioni. Il 1 ambito si riferisce all’organizzazione e


all’attività della p.a. che è tenuta a mettere a disposizione della generalità degli interessati, (con modalità di
pubblicazione predeterminate da parte dell’amministrazione (albi, siti ecc)) un’ampia serie di informazioni. Il
principio generale di trasparenza è enunciato anche dalla normativa anticorruzione ex art 1 d.lgs. 33/2013
(che ha riordinato l’intera materia). (Il predetto decreto prevede obblighi di pubblicità per un’ampia serie di

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informazioni relative ai dati patrimoniali di chi ricopre cariche elettive e incarichi in enti pubblici e società
pubbliche, ai contratti pubblici, ai bandi di concorso, ecc.)

Il 2 ambito si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi che la legge 241 definisce “principio
generale dell’attività amministrativa al fine di favorire partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la
trasparenza” (art 22, co 2). Il diritto di accesso è stato ampliato con l’introduzione all’accesso civico. È stata
anche prevista la nomina all’interno di ogni p.a. di un responsabile per la trasparenza (che di norma
coincide con il responsabile per la prevenzione della corruzione). Quest’ultimo deve monitorare il rispetto
degli obblighi di pubblicazione segnalando le inadempienze all’organo di indirizzo politico, all’organismo
indipendente di valutazione e all’Autorità nazionale anticorruzione. (La pubblicità e la trasparenza si
ricollegano alla concezione dell’amministrazione come “casa di vetro” (turati), divenendo un fattore volto a
promuovere la verificabilità ex post dell’attività e l’imparzialità). Inoltre poiché consentono un controllo
diffuso dell’attività dal basso, esse fungono anche da fattore di legittimazione degli apparati amministrativi.

I principi sull’esercizio del potere discrezionale. I principi che presiedono all’esercizio del potere
discrezionale sono il principio di imparzialità, di proporzionalità, di ragionevolezza, di tutela del legittimo
affidamento, di precauzione. Il principio di imparzialità è richiamato dall’art 97 cost e dall’art 41 della carta
dei diritti fondamentali dell’ue. Esso consiste, con riferimento all’esercizio dell’discrezionalità, nel “divieto di
favoritismi”: l’amministrazione non può essere influenzata nelle sue decisioni da interessi politici, da gruppi
di pressione privati (lobby) o da singoli individui o imprese. Il principio di imparzialità è posto a garanzia
della parità di trattamento e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione. Il principio di
imparzialità permea l’attività e l’organizzazione della p.a. Ad essa sono funzionali altri principi tra cui: la
pubblicità e trasparenza, la motivazione e il principio di concorsualità nei contratti pubblici o nell’accesso
agli impieghi nelle p.a. Il principio di imparzialità può entrare in tensione con il principio della responsabilità
politica delle amministrazioni volto a inserirle nel circuito politico amministrativo (art 95 cost). I vertici delle
p.a. (ministri, presidenti di regioni, sindaci) che sono il punto di raccordo tra politica e amministrazione,
sono portati a perseguire obiettivi coerenti con le priorità della propria base elettorale. E poiché gli apparati
amministrativi sono i principali erogatori di risorse e altri benefici diretti o indiretti (atti autorizzativi,
assunzioni di dipendenti), i vertici politici sono tentati a ingerirsi nella gestione e a condizionare le scelte
amministrative. Un 2 principio che presiede all’esercizio della discrezionalità è il principio di proporzionalità.
Esso trae origine dalla giurisprudenza cost e amministrativa tedesca ed è stato fatto proprio dalla corte di
giustizia dell’ue soprattutto in materia di sanzioni, di aiuti di stato, di deroghe alle regole della concorrenza.
Esso assume rilievo particolare nel caso di poteri che incidono negativamente nella sfera giuridica del
destinatario e richiede all’amministrazione di applicare 3 criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza della
misura prescelta. L’idoneità mette in relazione il mezzo adoperato con l’obiettivo da perseguire: vanno
scartare tutte le misure che non sono in grado di raggiungere il fine. La necessarietà, detta anche “regola del
mezzo più mite”, mette a confronto le misure ritenute idonee e orienta la scelta su quella che comporta il
minor sacrificio possibile degli interessi incisi dal provvedimento. L’adeguatezza consiste nella valutazione
della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario
del provvedimento: gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti e se
essi superano un determinato livello è rimessa in discussione la scelta stessa. Il principio di proporzionalità
costituisce una specificazione di un principio ancora più generale che è quello di ragionevolezza. In base alla
teoria delle scelte razionali, anche la p.a., al pari degli operatori economici (cd homo economicus), è un
agente in grado di perseguire determinati obiettivi ponendo in essere azioni logiche e coerenti. Il principio
di ragionevolezza ha un’estensione più ampia rispetto a quello di proporzionalità e assume rilievo generale
nell’ambito del sindacato di legittimità dei provvedimenti amministrativi come figura sintomatica
dell’eccesso di potere. Il principio di proporzionalità, è anche un parametro che deve guidare il legislatore
nel momento in cui disciplina i poteri dei vari livelli di governo. Anche il principio di ragionevolezza vincola la
discrezionalità del legislatore. Un altro principio che presiede all’esercizio della discrezionalità è quello del
legittimo affidamento. Esso mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla p.a. con un suo atto o

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comportamento. Nel diritto europeo il principio ha trovato applicazione per es, nella materia degli aiuti di
Stato. Nel diritto interno il principio del legittimo affidamento interviene per es, a proposito del potere di
annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo, per l’esercizio del quale è richiesta all’amministrazione
una valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento (art 21-nonies legge 241). Il principio della
tutela del legittimo affidamento si correla al principio più generale di diritto europeo della certezza del
diritto, enunciato anch’esso dalla corte di giustizia, che mira a garantire un quadro giuridico stabile e chiaro.
Tale principio ha come destinatario anzitutto il legislatore ma implica che anche l’agire dell’amministrazione
deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. Inoltre va menzionato il principio di precauzione,
enunciato in materia ambientale nel tfue (art 191) ed elevato dalla giurisprudenza comunitaria a principio di
carattere generale applicabile nei campi di azione che involgono interessi pubblici come la salute e la
sicurezza dei consumatori. Tale principio comporta che quando sussistono incertezze circa l’esistenza di
rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover
attendere che sia dimostrata la gravità di tali rischi. Il principio di precauzione costituisce soprattutto un
principio guida per il legislatore: esso può trovare applicazione, entro certi limiti, anche come regola di
esercizio della discrezionalità.

I principi sul provvedimento. I principi che si riferiscono al provvedimento amministrativo, oltre al principio
di legalità, sono il principio della motivazione e il principio di sindacabilità degli atti. Il 1 è desumibile dalla
carta dei diritti fondamentali dell’ue laddove sancisce “l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie
decisioni” (art 41) e dalla legge 241 (art 3). Secondo la giurisprudenza amministrativa e cost, l’obbligo di
motivazione è “il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del
potere amministrativo e, per questo, un presidio di legalità sostanziale” (cons. st. sez. III 15 febbraio 2019, n.
1085). Il principio della motivazione si correla con quello di trasparenza e quello di imparzialità della
decisione poiché attraverso la motivazione il destinatario del provvedimento e il giudice amministrativo
sono messi in grado di ricostruire le ragioni poste a fondamento della decisione. Il principio di sindacabilità
degli atti amministrativi è sancito dagli artt 24 e 113 cost: gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi
e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice
amministrativo.

I principi sul procedimento. I principi relativi al procedimento amministrativo sono il principio del
contraddittorio, il principio di certezza dei temi, il principio di efficienza, il principio di correttezza e buona
fede. Il principio del contraddittorio non trova un fondamento diretto nella cost, ma è richiamato nella carta
dei diritti fondamentali dell’ue secondo la quale ogni individuo ha diritto “di esse ascoltato prima che nei
suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio” (art 41, co 2). Esso poi
è stato sviluppato nella l 241 che disciplina la partecipazione al procedimento amministrativo (artt 7 ss.). la
Corte di giustizia ha qualificato tale principio come “principio di diritto amministrativo ammesso in tutti gli
sm della comunità e che risponde alle esigenze della giustizia e della sana amministrazione” (C. giust. 4
luglio 1963, in causa C-32/62). Anche il cons. st. lo ha definito come un “principio di eterna giustizia”. Talora,
tale principio viene ancorato per analogia al principio del giusto processo elaborato negli ordinamento
anglosassoni e ora inserito nella cost (art 111). In realtà il principio del giusto procedimento non ha
fondamento costituzionale. Un altro principio è costituito dal principio di certezza del tempo dell’agire
amministrativo e di celerità. Esso trova fondamento sia nella carta dei diritti fondamentali (art 41, co 1) che
nella l 241 che lo rende concreto nella disciplina volta a individuare per ciascun tipo di procedimento un
termine massimo entro il quale l’amministrazione deve emanare il provvedimento finale che conclude il
procedimento amministrativo (art 2). La durata ragionevole del procedimento e il rispetto dei termini
massimi sono volti sia a tutelare gli interessi dei soggetti coinvolti sia a promuovere l’efficienza e l’efficacia
dell’azione amministrativa. La legge 241 richiama anche il principio di efficienza prevedendo che
l’amministrazione “non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte
dallo svolgimento dell’istruttoria” (art 1, co 2). In tempi recenti, la giurisprudenza amministrativa ha
valorizzato il principio di correttezza e buona fede applicandolo non solo ai procedimenti di aggiudicazione

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dei contratti pubblici, ma in generale a tutti i procedimenti amministrativi. Entrambe le parti del rapporto
giuridico amministrativo sono tenute al rispetto del principio in questione: la p.a. non deve disattendere gli
affidamenti incolpevoli ingenerati nei privati; i privati sono gravati da “oneri di diligenza e leale
collaborazione verso l’amministrazione” (cos st ad plen 2 aprile 2018, n 5). Per es il privato che partecipa al
procedimento non deve trarre in inganno l’amministrazione, per es omettendo informazioni o producendo
documentazione falsa.

CAPITOLO 4. IL PROVVEDIMENTO.

Premessa. Il provvedimento ammnistrativo è la manifestazione di volontà dell’amministrazione resa a


produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei confronti del sogg destinatario. (Per es per realizzare
un’infrastruttura pubblica, come una nuova tratta ferroviaria o autostradale, l’acquisizione dei terreni
potrebbe avvenire tramite contratti di compravendita, ma in mancanza del consenso dei proprietari lo stato
ha a disposizione lo strumento coattivo dell’espropriazione per pubblica utilità). (L’espropriazione,
l’autorizzazione, la sanzione pecuniaria, il piano regolatore, il permesso a costruire sono esempi di
provvedimenti per mezzo dei quali l’autorità amministrativa provvede alla cura in concreto dell’interesse
pubblico di cui essa è tenuta a farsi carico in base alla legge). Il provvedimento amministrativo costituisce
una manifestazione dell’autorità dello stato. Il provvedimento, espressione del potere esecutivo, si colloca a
fianco di 2 atti tipici riconducibili agli altri 2 poteri dello Stato: la legge, espressione del potere legislativo, e
la sentenza, espressione del potere giurisdizionale (che risolve la controversia imponendo alle parti
(l’autorità del giudicato) la regola concreta del rapporto giuridico intercorrente tra esse). La disciplina del
provvedimento è contenuto nella legge 241 (il capo iv-bis aggiunto dalla legge n.15/2005).

2. Il regime del provvedimento: a)la tipicità. Tra i caratteri del provvedimento amministrativo vi è la tipicità.
(Essa si contrappone all’atipicità dei negozi giuridici privati enunciata dall’art 1322 in base al quale
l’autonomia negoziale consente alle parti di concludere contratti non appartenenti ai tipi disciplinati dallo
stesso cc, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
L’atipicità riguarda sia i fini perseguiti correlati agli interessi delle parti, sia gli strumenti giuridici per
perseguirli). La p.a. invece è tenuta a perseguire esclusivamente il fine stabilito dalla norma di conferimento
del potere e può utilizzare solo lo strumento giuridico definito dalla norma stessa. La tipicità dei poteri e dei
provvedimenti amministrativi è un corollario del principio di legalità inteso in senso sostanziale. Sono
un’attenuazione del principio di tipicità le cd ordinanze contingibili e urgenti che possono essere emanate
nei casi e per i fini previsti dalla legge, ma che non sono tipizzate. (La legge rimette all’organo competente la
determinazione del contenuto e degli effetti del provvedimento). In omaggio al principio di legalità in senso
formale, si fa riferimento anche alla nominatività dei provvedimenti, per indicare che l’amministrazione può
emanare solo gli atti ai quali la legge fa espresso riferimento. Le ordinanze contingibili e urgenti, pur
essendo atipiche, sono nominate. Il principio di tipicità e la nominatività escludono che si possano
riconoscere in capo all’amministrazione poteri impliciti, cioè poteri non espressamente previsti dalla legge
ma ricavabili indirettamente da norme che definiscono altri poteri. Tuttavia, la giurisprudenza, specie nel
caso delle autorità amministrative indipendenti, tende ad offrire un’interpretazione estensiva ed elastica
delle norme attributive del potere, (anche nel tentativo di colmare lacune presenti nelle leggi di settore.)

3. b) Imperatività. L’atto amministrativo si differenzia dai negozi di diritto privato perché è dotato di una
particolare forza giuridica atta a far prevalere l’interesse pubblico sugli interessi dei soggetti privati. Il 2
carattere del provvedimento amministrativo è la cd imperatività o autoritarietà, secondo l’espressione
deducibile dall’art 1, co 1-bis, l 241. Essa consiste nel fatto che la p.a. titolare di un potere attribuito dalla
legge può imporre al sogg privato destinatario del provvedimento le proprie determinazioni operando in
modo unilaterale una modifica nella sua sfera giuridica. (Così nell’es dell’espropriazione, l’atto conclusivo del
procedimento produce lo stesso effetto traslativo del diritto di proprietà che potrebbe essere realizzato
attraverso il contratto di compravendita). Nella imperatività si manifesta la dimensione verticale (di
sovraordinazione) dei rapporti tra stato e cittadino che si contrappone a quella orizzontale (di

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equiordinazione) delle relazioni giuridiche privatistiche. La nozione di imperatività emerse in giurisprudenza


nella 2 metà del 19 sec per individuare l’ambito della giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della
p.a. Esso venne limitato cioè ai cd “atti di gestione” (espressione della capacità di diritto privato), distinti
appunto dagli “atti di imperio”. (L’imperatività servì anche a giustificare la “degradazione” del diritto
soggettivo in interesse legittimo ad opera del provvedimento radicando così la giurisdizione del giudice
amministrativo). In realtà, l’imperatività esprime la particolare modalità di produzione degli effetti nei
rapporti tra l’amministrazione titolare del potere e il soggetto privato titolare di un interesse legittimo. Il
provvedimento è imperativo nel senso che ha l’attitudine a modificare la sfera giuridica del sogg privato
destinatario senza che sia necessario acquisire il consenso. L’imperatività coincide con l’unilateralità nella
produzione di un effetto giuridico (che accomuna ogni atto di esercizio di un potere in senso proprio).
L’unilateralità non è un carattere indefettibile del provvedimento atteso che l’esercizio del potere può
prevedere un momento consensuale, allorché l’amministrazione proceda alla stipula di un accordo con il
soggetto privato avente per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento (art 11 legge 241).

Principio di equiparazione dell’atto invalido all’atto valido. L’efficacia del provvedimento non dipende dalla
validità del medesimo, cioè dalla sua conformità alla norma attributiva del potere. Anche l’atto illegittimo è
in grado di produrre gli effetti tipici al pari dell’atto valido. Tuttavia gli effetti possono essere rimossi con
efficacia retroattiva, insieme al provvedimento viziato, in seguito a una sentenza di annullamento
pronunciato dalla stessa amministrazione (per es, in sede di autotutela). Vale cioè il principio
dell’equiparazione dell’atto invalido all’atto valido. Solo il provvedimento affetto da nullità ai sensi dell’art
21- septies legge 241 non ha carattere imperativo e quindi le situazioni giuridiche soggettive di cui è titolare
il sogg privato destinatario non sono intaccate e “resistono” di fronte alla pretesa dell’amministrazione.
L’imperatività emerge con più evidenza negli atti amministrativi che determinano effetti ablatori o restrittivi
della sfera giuridica del destinatario. La volontà, eventualmente contraria del sogg privato non preclude il
prodursi dell’effetto giuridico. Il destinatario del provvedimento si trova in una situazione di soggezione. (La
relazione giuridica con l’amministrazione non è paritaria e consensuale neppure nel caso degli atti
amministrativi emanati su domanda o istanza dell’interessato e che determinano un effetto ampliativo della
sfera giuridica di quest’ultimo) (attribuendogli un diritto, una facoltà o un’altra utilità).

I provvedimenti su istanza di parte. La domanda o istanza del privato fa sorgere in capo all’amministrazione
(ex art 2 legge 241) un dovere di avviare il procedimento (dovere di procedere) e di emanare all’esito di
quest’ultimo, ove il privato risulti in possesso dei requisiti di legge, il provvedimento richiesto (dovere di
provvedere). La volontà del privato espressa nell’istanza costituisce il presupposto che legittima l’esercizio
del potere. Essa però non si fonde con quella dell’amministrazione che emana il provvedimento. L’effetto
giuridico ampliativo viene comunque prodotto in via unilaterale dal provvedimento emanato. In molte
fattispecie di provvedimenti ampliativi (per es le autorizzazioni in materia ambientale), l’amministrazione
può imporre discrezionalmente prescrizioni e condizioni volte a conformare l’esercizio del diritto
all’interesse pubblico che talvolta possono risultare molto gravose (per es le misure dell’impatto ambientale
imposte a un’impresa). Il sogg privato, che pur ha presentato la domanda di autorizzazione, non ha prestato
alcun consenso e anzi spesso ha interesse a contrastare l’imposizione. (Questo tipo di prescrizioni e di
condizioni, costituenti elementi accidentali del provvedimento, fa acquisire alle autorizzazioni discrezionali
anche una valenza prescrittiva autoritativa).

4. c) L’esecutorietà e l’efficacia. 3 caratteristica di molti provvedimenti è la esecutorietà (art 21-ter l 241). È


il potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento nel caso di mancata
cooperazione da parte del privato obbligato, senza doversi rivolgere preventivamente a un giudice per
ottenere l’esecuzione forzata. Mentre l’imperatività (intesa come unilateralità) introduce una deroga al
principio generale che collega, nei rapporti paritari, il prodursi dell’effetto giuridico negoziale al consenso
delle parti, l’esecutorietà deroga al principio civilistico del divieto di autotutela, cioè di farsi giustizia da sé.

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Il divieto di autotutela privata. Nei rapporti interprivati, l’autotutela è ammessa solo in casi eccezionali
(eccezione di inadempimento ex art 1460, diritto di ritenzione ex art 2756). La regola generale invece è che
chi vuole far valere le proprie ragioni deve rivolgersi al giudice civile che accerti l’inadempimento degli
obblighi nascenti dal negozio ed emani una sent di condanna, e che disponga le misure coattive (poste in
essere da un ufficiale giudiziario) necessarie per l’esecuzione della sent. (Per es se il venditore non consegna
il bene immobile oggetto della compravendita, l’acquirente non potrà impossessarsene, ma dovrà far valere
la sua pretesa esecutiva in sede giurisdizionale). La p.a. ha invece la possibilità di portare a esecuzione i
provvedimenti con propri uomini e mezzi. (Così, se il proprietario di un bene non coopera all’esecuzione del
provvedimento di esproprio con la consegna materiale spontanea del bene, l’amministrazione può
procedere direttamente ad apprendere il bene, necessario, anche con l’uso della forza). Un ulteriore es di
esecutorietà è l’ordine di abbattimento di un edificio abusivo. Il privato destinatario non è tenuto a
collaborare, ma non può opporsi alle attività esecutive, e il comportamento potrebbe rilevare addirittura in
sede penale. (Anche l’ordine di polizia volto a sciogliere una manifestazione non autorizzata in un luogo
pubblico può sfociare, nello sgombero coatto delle persone coinvolte).

Rapporto tra imperatività ed esecutorietà. Mentre l’imperatività opera sul piano della produzione degli
effetti giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiali necessarie per conformare la realtà di
fatto alla situazione di diritto così come modificata dal provvedimento. (Entrambe connotano il regime del
provvedimento in modo antitetico rispetto a quello dei negozi privati).

La presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo. Prima dell’introduzione dell’art 21-ter l


241, il fondamento dell’esecutorietà è stato rinvenuto nella presunzione di legittimità del provvedimento
amministrativo. La giustificazione teorica di quest’ultima venne individuata nella provenienza dell’atto
amministrativo da organi di espressione della sovranità; nell’esigenza di assicurare un andamento regolare
dell’attività dell’amministrazione; nelle garanzie offerte dai metodi concorsuali di selezione dei funzionari
pubblici e dal sistema dei controlli amministrativi. La presunzione di legittimità aveva una connotazione
ideologica e si ricollegava a una visione autoritaria dei rapporti tra stato e cittadino; la dottrina ha
dimostrato l’inconsistenza teorica di questo principio. Secondo l’art 21-ter l 241, l’esecutorietà non è una
caratteristica propria di tutti i provvedimenti amministrativi, ma deve essere prevista di volta in volta dalla
legge. Il 1 co precisa che il potere di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito
all’amministrazione solo “nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge”. (Quindi l’amministrazione ha anche
la facoltà di procedere in via amministrativa alla tutela dei beni demaniali (art 823 cc)). L’esecutorietà è
riferibile non solo agli obblighi nascenti dal provvedimento, ma anche aventi fonte negoziale. Infatti il co 1
dell’art 21-ter richiama l’adempimento coattivo degli obblighi nei confronti della p.a., includendo anche gli
obblighi che sorgono nell’ambito dei rapporti paritari. (In proposito, il r.d. 14 aprile 1910 n.639 sulla
riscossione delle entrate patrimoniali dello stato attribuisce all’amministrazione il potere di procedere
all’esecuzione forzata, previa ingiunzione al pagamento delle somme dovute, oltre che per i crediti di fonte
tributaria, anche per i crediti di diritto privato.)

Gli aspetti procedurali. Il provvedimento amministrativo deve indicare il termine e le modalità


dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, l’esecuzione coattiva può avvenire solo previa
adozione di un atto di diffida con il quale l’amministrazione intima al privato di porre in essere le attività di
esecuzione. In base al 1 co dell’art 21-ter, l’esecutorietà del provvedimento dà luogo a un procedimento
d’ufficio in contraddittorio con il sogg privato. Il co 2 menziona l’esecuzione delle obbligazioni aventi ad
oggetto somme di danaro, precisando che ad esse si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei
crediti dello stato. Anche questa disposizione opera un rinvio alla disciplina della riscossione esattoriale di
cui d.lgs. n.46/1999 il quale precisa che la riscossione mediante ruolo riguarda non solo le entrate dello
stato ma anche quelle di enti pubblici diversi dallo stato (art 17).

Efficacia ed esecutività. L’esecutorietà del provvedimento presuppone che il provvedimento emanato sia
efficace ed esecutivo.

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Gli atti recettizi. Secondo l’art 21-bis l 241 il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati ha
natura recettizia e acquista efficacia con la comunicazione al destinatario. Prima della legge 241 invece si
riteneva che anche i provvedimenti di questo tipo (revoca di una concessione) fossero in grado di produrre
immediatamente gli effetti. Tuttavia sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi
carattere “cautelare e urgente” che sono sempre immediatamente efficaci. Inoltre, l’art 21-bis stabilisce che
i provvedimenti limitativi non aventi carattere sanzionatorio possono contenere una clausola motivata di
immediata efficacia. (L’art 21-bis detta alcune disposizioni sulla modalità da seguire per la comunicazione
del provvedimento.)

L’esecutività. L’esecutività del provvedimento è disciplinata dall’art 21-quater, secondo il quale i


provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito
dalla legge o dal provvedimento amministrativo. All’efficacia del provvedimento segue la necessità che esso
venga portato subito ad esecuzione dalla stessa amministrazione che ha emanato l’atto e dal destinatario
medesimo ove il provvedimento faccia sorgere in capo allo stesso un obbligo di dare o fare. (Si pensi per es,
all’abbattimento di una costruzione abusiva, al pagamento di una sanzione pecuniaria, all’espulsione di uno
straniero clandestino). La tutela degli interessi pubblici richiede tempestività. In realtà, non tutti i
provvedimenti amministrativi pongono un problema di esecutività (o eseguibilità). Spesso infatti la
produzione dell’effetto giuridico realizza appieno l’interesse pubblico alla cui cura è finalizzato il
provvedimento emanato, senza bisogno di ulteriori attività di tipo esecutivo (provvedimenti autorizzatori o
di attribuzione di uno status, ecc). In base all’art 21-quater l’esecuzione del provvedimento può essere
differita o sospesa discrezionalmente dall’amministrazione.

5. d) L’inoppugnabilità. Ultima caratteristica del provvedimento amministrativo è la cd inoppugnabilità (o


meglio incontestabilità) che si ha quando decorrono i termini previsti per l’esperimento dei rimedi
giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo. L’azione di annullamento va proposta nel termine di
decadenza di 60 gg (ex art 29 codice del processo amministrativo); l’azione di nullità è soggetta a un termine
di 180 gg (art 31 co 4); l’azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma (senza la parallela azione di
annullamento) nel termine di 120 gg (art 30 co 3).

L’autotutela. L’inoppugnabilità non esclude che l’amministrazione possa esercitare il potere di autotutela
(annullamento d’ufficio ex art 21-nonies l 241 o revoca ex art 21-quinques). L’inoppugnabilità garantisce la
stabilità del rapporto giuridico amministrativo solo sul versante delle possibili contestazioni da parte del
sogg privato.

L’acquiescenza. L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche inseguito ad acquiescenza da


parte del destinatario, che consiste in una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal
provvedimento. (Si discute se l’acquiescenza abbia una rilevanza sostanziale, nel senso che provochi
l’estinzione della situazione giuridica di cui è titolare il destinatario del provvedimento, oppure se essa rilevi
solo sotto il profilo processuale, nel senso di precludere il ricorso giurisdizionale proposto.)

6. Gli elementi strutturali dell’atto amministrativo. L’obbligo di motivazione. Gli elementi strutturali
dell’atto amministrativo sono: il soggetto, la volontà, l’oggetto, il contenuto, i motivi, la motivazione e la
forma. 1) il soggetto si individua in base alle norme sulla competenza. Di regola, si tratta di p.a., ma in casi
particolari anche sogg privati sono titolari di poteri amministrativi e i loro atti sono qualificabili come
amministrativi. (Si pensi per es ad un’impresa privata concessionaria di un pubblico servizio che è tenuta a
esperire procedure a evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi). 2) il provvedimento è
manifestazione di volontà dell’amministrazione e va intesa non in senso psicologico, bensì in senso
oggettivato (volontà procedimentale). I vizi della volontà non determinano in via diretta l’annullabilità del
provvedimento, bensì rilevano tutt’al più in via indiretta (indiziaria) come figura sintomatica dell’eccesso di
potere. 3) Quanto all’oggetto del provvedimento, si tratta della cosa, attività o situazione soggettiva cui il
provvedimento si riferisce (per es il terreno espropriato). L’oggetto deve essere determinato o

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determinabile. 4) il contenuto si ricava dalla parte dispositiva dell’atto e consiste in ciò che con esso
l’autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare. Il contenuto del provvedimento può
essere vincolato o discrezionale.

Clausole accessorie e condizioni del provvedimento. Il contenuto dell’atto può essere integrato con
clausole accessorie che fissano condizioni e prescrizioni particolari (i cd elementi accidentali). Esse non
possono snaturare il contenuto tipico del provvedimento e devono essere coerenti con il fine pubblico
previsto dalla legge attributiva del potere. (Pensiamo alle autorizzazioni in materia ambientale che spesso
contengono prescrizioni per mitigare l’impatto delle attività che il privato intende svolgere). In alcuni casi,
(come in quello dei titoli autorizzatori in materia di comunicazioni elettroniche), la legge stessa individua in
modo tassativo le condizioni che possono essere apposte, sempre che esse siano giustificate, proporzionali
e non discriminatorie. Tra gli elementi dell’atto amministrativo non assume rilievo autonomo la causa, intesa
come funzione economico-sociale del negozio. Questo perché i poteri amministrativi sono tutti riconducibili
in schemi tipici individuati per legge. Con riferimento all’atto amministrativo ricorre più frequentemente la
nozione di motivi, cioè le ragioni di interesse pubblico poste alla base del provvedimento, che si deducono
dalla motivazione. 5)la motivazione è la parte del provvedimento che, secondo la definizione dell’art 3 l 241,
enuncia i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria. Nel caso in cui il provvedimento si fondi su
una pluralità di ragioni autonome esposte nella motivazione (per es, un permesso a costruire viene negato
sia perché chi ha presentato l’istanza non è legittimato, sia perché il progetto non conforme al regolamento
edilizio), è sufficiente che una sola sia legittima per escludere l’annullabilità dell’atto (prova di resistenza).
L’obbligo di motivazione, la cui violazione può essere una causa di annullabilità, costituisce uno dei principi
generali del regime degli atti amministrativi, che lo differenzia da quello sia degli atti legislativi, sia degli atti
negoziali. La motivazione tuttavia è prevista per gli atti normativi dell’ue. La motivazione avvicina il regime
del provvedimento a quello degli atti giudiziari per i quali vi è una garanzia cost (art 111, co 6 cost ripreso
anche dall’art 3 c.p.a.). Le p.a. soffrono di un deficit di legittimazione democratica che deve essere
compensato con un onere di giustificazione. (La motivazione concorre a promuovere l’accettabilità
dell’attività amministrativa da parte dei soggetti amministrati).

Le funzioni della motivazione. La motivazione ha 3 funzioni principali: promuovere la trasparenza


dell’azione amm. Perché rende palesi le ragioni sottostanti le scelte amministrative; agevola
l’interpretazione del provvedimento; costituisce una garanzia per il sogg privato che subisce dal
provvedimento un pregiudizio perché consente un controllo giurisdizionale più incisivo sull’operato
dell’amministrazione. La motivazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti, acquisiti nel corso
dell’istruttoria procedimentale, che hanno indotto l’amm. a operare una determinata scelta. Nella
motivazione devono emergere le valutazioni operate dall’amm. sugli apporti partecipativi dei privati (art 10
lett. b) l 241). Dalla motivazione deve essere possibile riscostruire in modo puntuale l’iter logico seguito
dall’amministrazione per pervenire a una certa determinazione.

Motivazione per relationem. La motivazione può essere anche per relationem, cioè con un rinvio ad altro
atto acquisito al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni (art 3, co 3 l 241). (La motivazione può
anche essere sintetica nel caso di domande presentate all’amministrazione volte al rilascio di un
provvedimento che risultino manifestamente inammissibili o infondate (art 2 l 241).)

Quanto più è ampio l’ambito della discrezionalità del provvedimento tanto più sarà stringente l’obbligo di
motivazione. La motivazione è lo strumento principale per sindacare la legittimità, in particolare in termini
di ragionevolezza e di proporzionalità, delle scelte operate dall’amministrazione. L’art 3, co 2 l 241, esclude
dall’obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Tuttavia la legislazione recente,
in particolare con riferimento alle AAI preposte alla vigilanza sui mercati finanziari, ha previsto un obbligo di
motivazione con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza.

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Tendenze legislative recenti: rafforzamento e dequotazione. Sulla motivazione del provvedimento si è


riacceso il dibattito in seguito ad alcune disposizioni contenute nella legge n 15/2005 di riforma della l 241 e
nella legge n 190/2012, che sembrano indicare direttrici contrastanti: l’una tesa a rafforzarla, l’altra a
dequotarla. Quanto alla prima, l’art 10-bis sulla comunicazione dei motivi ostativi dell’accoglimento
dell’istanza valorizza l’istituto della motivazione; nella stessa direzione l’art 6 co 1 lett c) l 241, prevede che
l’organo competente ad adottare un provvedimento, ove ritenga di discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria
condotta dal responsabile del procedimento, deve indicare nella motivazione le ragioni. Infine un obbligo di
motivazione è stato introdotto anche per gli accordi tra amministrazione e privati aventi per oggetto il
contenuto discrezionale del procedimento (art 11 co 2 l 241 come integrato dall’art 1 legge 190/2012).
Quanto alla 2 direttrice, l’art 21-octies co 2 legge 241, esclude che il provvedimento possa essere annullato
per vizi formali o procedurali ove il contenuto dispositivo del medesimo non avrebbe in ogni caso potuto
essere diverso. Si discute se la motivazione abbia perso in parte la sua rilevanza e possa essere “dequotata”
a vizio meramente formale. (Si pone così la questione del se e entro quali limiti sia superato il divieto
tradizionale dell’integrazione della motivazione nel corso del giudizio, enunciato dalla giurisprudenza
amministrativa e dell’ammissibilità della motivazione successiva).

6)l’atto amministrativo richiede di regola la forma scritta (per gli atti degli organi collegiali è prevista la
verbalizzazione). In alcuni casi l’atto può essere esternato oralmente (l’ordine di polizia o la proclamazione
del risultato di una votazione). In seguito al processo di informatizzazione in corso negli ultimi anni, l’atto
può essere sottoscritto con la firma digitale e comunicato utilizzando le tecnologie informatiche, in base alle
regole poste dal codice dell’amministrazione digitale. L’art 11 l 241 prevede a pena di nullità la forma scritta.

Il provvedimento implicito. Questo costituisce sul piano logico il presupposto necessario di un


provvedimento espresso o di un comportamento concludente. Così per es può essere ritenuto implicito il
provvedimento di nomina di un dipendente pubblico che venga inserito nell’organizzazione e che riceva in
modo regolare la retribuzione senza l’adozione di un atto formale.

Gli elementi essenziali del provvedimento. L’art 21-septies l 241 contiene un richiamo agli “elementi
essenziali” del provvedimento, la mancanza dei quali costituisce una delle cause di nullità, analogamente a
quanto prevede per il contratto l’art 1418. Gli elementi essenziali dell’atto amm non sono elencati in modo
puntuale dalla legge e vanno individuati in via di interpretazione. Per identificare il contenuto dispositivo del
provvedimento soccorrono le regole di interpretazione previste in via generale dal cc (artt 1362 ss.) tuttavia
alcune di queste norme non possono essere applicate: per es l’art 1370 sull’interpretazione contro l’autore
della clausola, che finirebbe per penalizzare sempre l’amministrazione che emana in modo unilaterale l’atto,
e nemmeno l’art 1371 secondo il quale in caso di oscurità l’atto deve essere inteso nel senso meno gravoso
per l’obbligato, poiché prevale l’esigenza di garantire il perseguimento dell’interesse pubblico.

(L’atto amm inoltre indica nell’intestazione l’autorità emanante, contiene nel preambolo i riferimenti alle
norme legislative e regolamentari che fondano il potere esercitato, richiama gli atti endoprocedimentali e
altri atti ritenuti rilevanti e la motivazione, ed enuncia nel dispositivo la determinazione o statuizione finale.
Reca anche la data e la sottoscrizione e menziona i destinatari e l’organo giurisdizionale cui è possibile
ricorrere contro l’atto e il termine entro cui il ricorso va proposto).

7. I provvedimenti ablatori reali, i provvedimenti ordinatori e le sanzioni amministrative.

Le principali subcategorie dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari sono i
provvedimenti ablatori reali e personali, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori.

I provvedimenti ablatori reali. Tra i provvedimenti ablatori (che determina un sacrificio di un interesse
diretto) reali c’è soprattutto l’espropriazione per pubblica utilità, nella quale si manifesta al massimo grado il
conflitto tra l’interesse pubblico e gli interessi privati. Esso trova un punto di composizione, da un lato, nel
consentire alla p.a., all’esito di un procedimento in contraddittorio di trasferire coattivamente il diritto di

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proprietà dal privato all’amministrazione o al soggetto beneficiario dell’espropriazione; dall’altro


attribuendo al privato il diritto a un indennizzo (art 42, co 3). (La disciplina sostanziale e procedimentale in
materia è contenuta nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità). L’indennizzo non coincide necessariamente con il valore di mercato ma
non deve essere nemmeno irrisorio, ma è commisurato ad un “serio ristoro” per la corte cost, l’indennità di
espropriazione di un’area edificabile è determinata di regola, nella misura pari al valore venale del bene. Tra
i provvedimenti ablatori reali si annoverano anche l’occupazione temporanea preordinata all’espropriazione
di opere dichiarate indifferibili e urgenti, che consente l’avvio immediato dei lavori nelle more della
conclusione del procedimento espropriativo; la requisizione in uso di beni mobili e immobili per periodi di
tempo limitati, che può essere disposta per gravi e urgenti necessità pubbliche militari o civili (per es in
occasione di un terremoto la requisizione di strutture alberghiere per ospitare temporaneamente gli
sfollati); le servitù pubbliche (militari, di acquedotto) disciplinate da leggi speciali e dal cc.

I provvedimenti ordinatori. Tra i provvedimenti ablatori personali rientrano gli ordini amministrativi e i
provvedimenti che impongono ai destinatari obblighi di fare o di non fare (divieti) puntuali. L’ordine è un
provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione determinata. Nelle
organizzazioni improntate al principio gerarchico (l’esercito e le forza di polizia) esso è lo strumento in base
al quale il titolare dell’organo o dell’ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida l’attività
dell’organo sottordinato. Il Testo unico degli impiegati civili dello stato precisa che l’impiegato deve eseguire
gli ordini impartiti dal superiore gerarchico. Se l’ordine appare palesemente illegittimo, l’impiegato è tenuto
a farne rimostranza motivata al superiore, il quale ha sempre il potere di rinnovarlo per iscritto. In questo
caso, l’impiegato deve darvi esecuzione, a meno che non si tratti di un atto vietato dalla legge penale. La
mancata osservanza dell’ordine impartito può comportare l’adozione di sanzioni disciplinari in capo al
titolare dell’organo o dell’ufficio sottordinato e può indurre il superiore gerarchico ad avocare a sé la
competenza. Gli ordini amministrativi possono anche riguardare rapporti intersoggettivi tra
amministrazione titolare del potere e i sogg privati destinatari. Gli ordini di polizia sono emanati dalle
autorità di pubblica sicurezza; tra di essi vi è l’invito a comparire dinnanzi all’autorità di pubblica sicurezza
entro un termine assegnato, la cui inosservanza è sanzionata anche penalmente, oppure l’ordine di
sciogliere una riunione o un assembramento che metta in pericolo l’ordine pubblico preceduto da un invito
e da 3 intimazioni formali (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Esempi di ordini aventi contenuto
negativo (divieti) sono il divieto di svolgimento di riunioni per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di
sanità pubblica, o di detenzione di armi, munizioni impartito a persone ritenute capaci di abusarne. Gli
ordini di polizia, al pari degli altri provvedimenti dell’autorità di pubblica sicurezza, sono dotati di
esecutorietà, cioè possono essere eseguiti in via amministrativa. (L’effettività di questo genere di
provvedimenti è rafforzata, sotto il profilo penale, da una figura di reato che punisce chiunque non osservi
un provvedimento legalmente dato da un’autorità amm per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine
pubblico (art 650 cp)).

(Altri es di provvedimenti ordinatori. L’imposizione di obblighi comportamentali hanno contenuto


prescrittivo ordinatorio: in materia bancaria e creditizia, la banca d’Italia può emanare nei confronti delle
banche vigilate provvedimenti specifici riguardanti l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento dei rischi.
Nel settore delle comunicazioni elettroniche, le imprese detentrici di un significativo potere di mercato
possono essere destinatarie di un provvedimento dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni volto a
imporre obblighi necessari per garantire un equilibrio concorrenziale. Per es l’autorità può prescrivere di
applicare tariffe agevolate ai consumatori a basso reddito. In base al codice del consumo, l’autorità garante
della concorrenza e del mercato può vietare, d’ufficio o su istanza di chi abbia interesse, la continuazione di
pratiche commerciali scorrette eliminandone gli effetti. Nei casi di provvedimenti autorizzatori sostituiti
dalla segnalazione certificata di inizio di attività (per es in materia edilizia), l’autorità competente, ove
accerti che l’attività avviata non è conforme ai requisiti di legge, adotta provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti).

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La diffida. È una sottospecie di provvedimenti ordinatori. Essa consiste nell’ordine di cessare da un


determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la fissazione
di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione. La diffida può comportare, in caso di inottemperanza,
l’applicazione di sanzioni di tipo amministrativo. (Un es di diffida è il potere attribuito all’autorità
competente al controllo degli scarichi di acque inquinanti di ordinare al titolare dell’autorizzazione che non
rispetta le condizioni in essa contenute di cessare dal comportamento entro un termine determinato; nel
caso in cui si manifesti una situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente, la medesima
autorità può sospendere l’autorizzazione). Con riguardo agli abusi di informazioni privilegiate e di
manipolazione del mercato, la CONSOB può ordinare in via cautelare di porre termine a condotte che
facciano presumere l’esistenza di violazioni della normativa. In alcuni casi, la diffida può essere preceduta da
un invito informale a desistere dalla condotta illecita. Così in materia di tutela del consumatore, l’autorità
garante della concorrenza e del mercato, può invitare il professionista che abbia probabilmente posto in
essere una pratica commerciale scorretta a rimuovere i profili illeciti di tale condotta e in questo caso la
pratica viene archiviata.

Le sanzioni amministrative. Esse sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo, hanno una funzione
afflittiva e una valenza dissuasiva. In base alla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, le sanzioni
amministrative garantiscono l’effettività e l’autosufficienza degli ordinamenti settoriali rispetto
all’ordinamento generale. Esse fungono, insieme agli strumenti di giustizia “domestica” (reclami e ricorsi
amministrativi), da elemento di chiusura dell’ordinamento sezionale.

Le sanzioni per violazione di leggi o di provvedimenti. Le sanzioni amministrative sono previste dalle leggi
amm sia in caso di violazione dei precetti in esse contenuti, sia in caso di violazione dei provvedimenti
emanati sulla base di tali leggi. Casi di sanzioni per violazioni di legge sono disciplinati nel codice della strada
che contiene una serie di regole comportamentali soggette a un’ampia gamma di sanzioni pecuniarie e non
pecuniarie qualificate direttamente dalla legge. Sanzioni amministrative per la violazione di provvedimenti
amministrativi sono previste dal testo unico degli enti locali nel caso di violazione di regolamenti degli enti
locali o delle ordinanze contingibili e urgenti emanate dal sindaco o dal presidente della provincia. (Anche le
autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità possono irrogare sanzioni pecuniarie nel caso di
inottemperanza ai provvedimenti regolatori e di tipo individuale da esse emanati). In molti casi, la
deterrenza delle sanzioni amministrative è accresciuta dalla previsione in parallelo, per gli stessi
comportamenti, da sanzioni di tipo penale. (Per es nel settore del mercato mobiliare, l’abuso di informazioni
privilegiate costituisce un illecito penale o un illecito amministrativo).

La fungibilità tra sanzioni amministrative e penali. In realtà sussiste un grado di fungibilità tra sanzioni
penali e sanzioni amministrative e la dottrina ha dibattuto su quale possa essere il criterio di distinzione.
Entrambi i tipi di sanzione hanno la funzione di prevenzione di illeciti e questo spiega una certa affinità di
regime. Il legislatore italiano ha impostato la distinzione sulla base di criteri formali con libertà di scegliere il
tipo di sanzione da applicare a seconda dei mutevoli indirizzi della politica legislativa volti a criminalizzare o
depenalizzare gli illeciti. La legge 689/1981 (di depenalizzazione) detta una disciplina delle sanzioni amm,
richiamando dei principi penalistici. Tra di essi vi è il principio di legalità, in base al quale nessuno può essere
sottoposto a sanz di tipo amm se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della
violazione e secondo il quale leggi che prevedono sanz amm si applicano solo nei casi e per i tempi in esse
considerati (art 1). Un altro principio penalistico è quello della personalità che si manifesta nelle regole
relative alla capacità di intendere e di volere, al concorso di persone, alla non trasmissibilità agli eredi, alla
quantificazione in base a criteri che fanno riferimento anche alla personalità del trasgressore. Da qualche
anno la distinzione tra sanzioni amm e sanz penali è stata messa in dubbio dalla corte europea dei diritti
dell’uomo secondo la quale, ai sensi dell’art 6 cedu sul diritto a un equo processo e ai fini dell’applicazione
delle garanzie previste da tale disposizione, le sanz amm hanno natura sostanzialmente penale nei casi in
cui, per il tipo e la gravità della sanz irrogata, abbiano un carattere particolarmente afflittivo.

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I criteri Engel. Il diritto europeo attribuisce natura sostanzialmente penale anche a sanz amm sulla base dei
cd criteri engel (dal nome della sent capostipite). Anche la corte di giustizia dell’ue segue lo stesso approccio
in applicazione dell’art 50 della carta dei diritti fondamentali dell’ue che pone il principio del ne bis in idem
(in base al quale il giudice non può esprimersi 2 volte sulla stessa azione se si è già formata la cosa
giudicata). In realtà l’avvio di 2 procedimenti sanzionatori qualificati dal diritto interno, l’uno come penale e
l’altro come amministrativo, è stato ritenuto incompatibile con tale principio nel caso in cui la severità
dell’insieme delle sanzioni inflitte non ecceda la gravità del reato accertato. La materia è ancora in
evoluzione.

Tipi di sanzioni. Vi sono le sanzioni pecuniarie, che fanno sorgere l’obbligo di pagare una somma di denaro
determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma; le sanz interdittive, che incidono
sull’attività posta in essere dal sogg destinatario del provvedimento (ritiro dell patente, decadenza da una
concessione); le sanzioni disciplinari. A volte l’irrogazione di una sanz può comportare anche l’applicazione
di sanz accessorie come per es la confisca amministrativa di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o
alienazione costituisce un illecito amministrativo. Le sanz pecuniarie hanno alcune specificità. Anzitutto
l’obbligazione pecuniaria grava a titolo di solidarietà in capo a sogg diversi da colui che pone in essere il
comportamento illecito (per es l’ente del quale è dipendente l’autore dell’illecito). Inoltre la sua
obbligazione può essere estinta tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (oblazione) entro 60
gg dalla contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contraddittorio per
l’accertamento dell’illecito. L’oblazione evita che si arrivi a un accertamento definitivo dell’illecito.

Le sanzioni disciplinari. Queste si applicano ai sogg che intrattengono una relazione particolare con le p.a.
(dipendenti pubblici, professionisti iscritti ad albi ecc) e colpiscono comportamenti posti in violazione di
obblighi speciali collegati allo status particolare (codici deontologici, doveri di servizio). Esse consistono, a
seconda della gravità dell’illecito, nell’amonizione (censura), nella sospensione dal servizio o dall’albo per un
periodo di tempo determinato, nella radiazione da un albo o nella destituzione. Le sanzioni disciplinari sono
regolate da leggi speciali e sono escluse dal campo di applicazione della disciplina generale delle sanz amm
posta dalla legge n 689/1981.

Le sanzioni ripristinatorie. Vi è la distinzione tra sanzioni in senso proprio aventi la funzione repressiva e
punitiva del colpevole, e sanzioni ripristinatorie che hanno la funzione di reintegrare l’interesse pubblico
leso da un comportamento illecito. Le sanz ripristinatorie non vanno considerate come sanz amm in senso
stretto. Per es in materia edilizia, nel caso di esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire,
l’amm comunale ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione
assegnando un termine decorso il quale l’area è acquistata di diritto dal comune.

Le sanz amm sono applicate, di regola, solo nei confronti del trasgressore e ciò in coerenza con il carattere
personale delle responsabilità (l 869/81). La persona giuridica può essere chiamata a rispondere solo a
titolo di responsabilità solidale e in ogni caso l’ente che paghi la sanz può esercitare l’azione di regresso nei
confronti dell’autore dell’illecito. (In materia di vigilanza bancaria, nel 2010 sono state introdotte sanz
pecuniarie irrogabili direttamente in capo agli istituti di credito).

La responsabilità amministrativa degli enti. Una particolare forma di responsabilità amm è prevista a carico
delle imprese e degli enti per gli illeciti amm dipendenti da reato. Questa responsabilità sorge direttamente
in capo all’ente per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dagli amministratori e dipendenti.
Tra questi reati figurano per es, la truffa in danno dello stato, la concussione o il riciclaggio di danaro sporco.
La responsabilità amm degli enti comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive, come per es,
la sospensione e la revoca di autorizzazioni e licenza, il divieto di contrattare con la p.a. All’applicazione di
questo tipo di sanzione amm provvede il giudice penale competente a conoscere dei reati corrispondenti.
L’ente può sottrarsi alla responsabilità amm solo se dimostra di aver adottato modelli di organizzazione,

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gestione e controllo idonei a prevenire la commissione da parte di amministratori e dipendenti dei reati,
introducendo regole interne (obblighi informativi, sanzioni interne).

8. Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva. La segnalazione certificata d’inizio


attività. I provvedimenti amministrativi con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono quelli
di tipo autorizzativo.

Premessa. Negli ordinamenti giuridici che si ispirano al modello dello stato di matrice liberal-democratica
l’attività dei privati è libera, nel senso che essa è sottoposta solo al diritto comune. Vale la regola che è
permesso tutto ciò che non è espressamente vietato, salvi i limiti generali posti dall’ordinamento civile e da
principi come quello del neminem laedere. Tuttavia, nei casi in cui l’attività dei privati interferisce o mette a
rischio un interesse della collettività, si giustificano regole speciali volte a porre prescrizioni e vincoli
particolari. Nel conformare le attività dei privati all’interesse pubblico le leggi amministrative, come
prescrive anche la direttiva 2006/123/CE, devono rispettare il principio di proporzionalità che impone un
onere di giustificare la misura introdotta la quale deve comportare il minor sacrificio possibile dell’interesse
privato.

Le attività libere sottoposte a vigilanza. Il rispetto delle leggi amm è assicurato in un primo gruppo di casi
attraverso un semplice regime di vigilanza, che può portare all’esercizio di poteri repressivi e sanzionatori
nei casi in cui vengono accertate le violazioni. Si pensi, per es, al pedone o al ciclista che non rispettino le
regole poste dal codice della strada, oppure a un residente che deposita i rifiuti domestici in luoghi non
consentiti, ai quali può essere irrogata una sanzione pecuniaria. In questi casi l’attività non richiede alcuna
interlocuzione preventiva con una p.a. e può essere considerata come libera, anche se entro i margini più
ristretti segnati dalle norme di tipo amministrativo.

L’obbligo di comunicazione preventiva. Per agevolare i controlli effettuati dall’amministrazione, in un


secondo gruppo di casi di attività libere, la legge grava i privati di un obbligo di comunicare preventivamente
a una p.a. l’intenzione di intraprendere un’attività. Talvolta la comunicazione è contestuale all’avvio
dell’attività; altre volte tra la comunicazione e l’avvio dell’attività è previsto un termine minimo. Così per es
l’agricoltore che voglia vendere direttamente al dettaglio i propri prodotti deve darne comunicazione al
comune. Anche chi intraprende un’attività di affittacamere deve comunicarlo al comune, in base alle
normative regionali. I promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico devono darne avviso
al questore almeno 3 giorni prima.

La segnalazione certificata d’inizio attività. La fattispecie delle attività regolate e sottoposte a un regime di
comunicazione preventiva è disciplinata in termini generali dall’art 19 l 241. Quest’art prevede l’istituto
della segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA). Le attività sottoposte al regime della SCIA sono libere,
anche se conformate da un regime amministrativo. Il decreto legislativo di recepimento della direttiva
servizi (2006/123/CE) specifica che la SCIA “non costituisce regime autorizzatorio”. La scia riconduce una
serie di attività, per le quali in precedenza era previsto un regime di controllo preventivo (ex ante) sotto
forma di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta comunque
denominato”, a un regime meno intrusivo di controllo successivo (ex post), effettuato dall’amministrazione
una volta ricevuta la comunicazione di avvio di attività. La scia non è qualificabile come istanza ex art 2 l 241
che dà avvio a un procedimento amministrativo volto al rilascio di un titolo abilitativo. Essa ha solo la
funzione di consentire all’amministrazione di verificare se l’attività in questione è conforme alle norme
amministrative. (L’avvio dell’attività può essere contestuale alla presentazione della scia allo sportello unico
indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione). Il privato deve corredare la segnalazione con
un’autocertificazione del possesso dei presupposti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In
caso di dichiarazioni mendaci scattano sanz amm e penali. (L’attività viene intrapresa sulla base di
un’autovalutazione della conformità dell’attività alla legge).

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Il divieto di prosecuzione dell’attività. In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti previsti
dalla legge per lo svolgimento dell’attività, l’amministrazione, (nel termine perentorio di 60 gg), emana un
provvedimento motivato di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti. In alternativa,
può invitare il privato a conformare l’attività alla normativa vigente entro un termine non inferiore di 30 gg
prescrivendo le misure necessarie. Nel caso della scia quindi l’amministrazione esercita un potere d’ufficio
di verifica che può sfociare in un provvedimento di tipo ordinatorio. Il rapporto giuridico amm si struttura
quindi secondo lo schema del potere e dell’interesse legittimo oppositivo. Ciò a differenza del regime
autorizzatorio tradizionale in cui il rapporto giuridico amm segue lo schema del potere e dell’interesse
legittimo pretensivo.

I poteri esercitabili dopo la scadenza del termine di 60 gg. Tuttavia anche dopo la scadenza del termine di
60 gg per l’attività di controllo, l’amm può esercitare i poteri di vigilanza, prevenzione e controllo (ex art 21
co 2-bis). Può anche attivare il potere interdittivo ove sussistano i presupposti previsti dalla l 241 per
l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi (art 19 co 4) che richiede una serie di apprezzamenti
discrezionali e un termine di 18 mesi nel caso di provvedimenti autorizzativi. Il rinvio alla disciplina
dell’annullamento d’ufficio introduce però un elemento di ambiguità perché questo potere ha per oggetto
provvedimenti in senso proprio, mentre nel modello della scia non c’è alcun atto di assenso esplicito da
parte dell’amministrazione e l’attività resta libera.

Il campo di applicazione della scia. Il campo di applicazione della scia è definito dall’art 19 l 241. Esso pone
un criterio generale in base al quale la scia sostituisce di diritto ogni atto di tipo autorizzativo “il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge”, cioè ogni atto di
tipo vincolato. (In presenza di discrezionalità infatti non è concepibile che il sogg privato possa farsi carico in
luogo dell’amm, di una valutazione e ponderazione degli interessi in gioco). Un 2 criterio è che deve trattarsi
di atti autorizzativi per i quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o altri strumenti di
programmazione di settore. (In questi casi occorre infatti individuare qualche parametro per attivare un
procedimento comparativo incompatibile con l’avvio della attività sulla base di una semplice
comunicazione). L’art 19 prevede alcune esclusioni quando entrino in gioco interessi pubblici
particolarmente rilevanti (ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza, giustizia, finanze ecc), oppure si
tratti di atti autorizzativi imposti dalla normativa europea. Per ridurre i margini di incertezza il d.lgs. n
222/2016 ha individuato un lungo elenco di casi sottoposti al regime della scia (e del silenzio-assenso).

La scia come amministrazione. Secondo alcune ricostruzioni ormai superate, la scia sarebbe una forma di
“autoamministrazione” dei privati, resa possibile dal fatto che lo svolgimento dell’attività è subordinato dalle
leggi amministrative alla presenza di presupposti e requisiti vincolati. La sussistenza di questi ultimi in una
fattispecie concreta può essere accertata dal sogg interessato che valuta autonomamente la propria
situazione e emana l’atto autorizzativo “in luogo” dell’amministrazione. Così ricostruita la dichiarazione
presentata dal privato avrebbe natura provvedimentale e come tale potrebbe essere impugnata innanzi al
giudice amm da un soggetto terzo che abbia interesse a contrastare l’avvio dell’attività (per es il titolare di
un esercizio commerciale contrario all’apertura nelle vicinanze di un altro esercizio in concorrenza).

Le ricostruzioni più recenti riconducono la scia all’ambito delle attività libere, anche se conformate da leggi
amministrative, sottoposte a vigilanza da parte delle autorità pubbliche.

La tutela del terzo. Un problema delicato è quello della tutela del terzo che affermi di subire una lesione
nella propria sfera giuridica per effetto dell’avvio dell’attività. Infatti, mentre l’autorizzazione espressa
costituisce un atto impugnabile da parte del 3 che vuole opporsi all’avvio dell’attività, nel caso della scia
manca un provvedimento che gli consenta il ricorso a un giudice amministrativo. Secondo una prima
interpretazione, il terzo potrebbe proporre innanzi al giudice amministrativo un’azione di accertamento
atipica volta a far dichiarare che l’attività avviata non è conforme alle norme amministrative e indurre l’amm
ad esercitare i poteri repressivi e interdittivi. Il legislatore ha precisato che la scia, la denuncia e la

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dichiarazione di inizio attività “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili” (art 19, co
6-ter aggiunto dal d.l. n 138/2011 modificato dalla legge di conversione n 148/2011). Il terzo che desideri
contrastare l’avvio dell’attività deve invitare l’amministrazione a emanare un provvedimento che vieti la
prosecuzione dell’attività e se l’amm non provvede può rivolgersi al giudice per far accertare l’obbligo di
provvedere. Tuttavia, secondo la corte cost (sent 45/2019), anche in presenza di siffatto invito, vale per
l’amm il termine perentorio di 60 gg e 18 mesi che tende a tutelare l’affidamento ingenerato da chi ha
presentato la scia. Dopo la scadenza di questo termine, secondo la corte cost, il terzo può solo attivare i
poteri di verifica di eventuali dichiarazioni mendaci o false, sollecitare i poteri generali di vigilanza e
repressivi, per far valere la responsabilità per i danni a carico dei funzionari che non hanno agito
tempestivamente (art 21 l 241).

9. Le autorizzazioni e le concessioni. Il regime della scia resta all’interno del modello dell’amm titolare di
poteri il cui esercizio determina effetti limitativi della sfera giuridica del destinatario (divieto di prosecuzione
dell’attività).

Con i regimi autorizzatori, che introducono un controllo ex ante, subordinando l’avvio dell’attività a un
provvedimento di assenso, si passa invece al modello dell’amm titolare di poteri il cui esercizio determina
effetti ampliativi della sfera giuridica del privato.

La scelta tra controllo ex ante ed ex post. La scelta da parte del legislatore tra i due modelli di controllo
richiede una valutazione caso per caso. In base al d.lgs. n 59/2010 di recepimento della direttiva servizi
2006/123/CE “i regimi autorizzativi possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi
imperativi di interesse generale” (art 14) indicati in un elenco tassativo. L’autorizzazione preventiva è
ammessa quando l’obiettivo della tutela dell’interesse pubblico “non può essere conseguito tramite una
misura meno restrittiva, in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale
efficacia” (art 9).

La cost per evitare limitazioni arbitrarie nell’esercizio di alcuni diritti fondamentali, pone il divieto di
introdurre regimi autorizzatori che condizionano il diritto di associazione e di stampa o prevede, nel caso
delle riunioni in luogo pubblico, che possa essere imposto solo un obbligo di preavviso.

Nell’ambito del modello del controllo ex ante sulle attività dei privati vanno considerate principalmente le
autorizzazioni e le concessioni.

L’autorizzazione come rimozione di un limite all’esercizio di un diritto. 1) secondo una definizione classica
(Ranelletti), l’autorizzazione è un atto con il quale l’amm rimuove un limite all’esercizio di un diritto
soggettivo del quale è già titolare il soggetto che presenta la domanda. Il suo rilascio presuppone una
verifica della conformità dell’attività ai parametri normativi posti a tutela dell’interesse pubblico (funzione di
controllo). Le autorizzazioni danno origine al fenomeno dei diritti soggettivi in attesa di espansione, il cui
esercizio è subordinato a una verifica preventiva da parte di una p.a. Rispetto a questo potere “conformati”
dell’amministrazione, il sogg privato vanta una posizione di interesse legittimo (pretensivo) che fa coppia
con il diritto soggettivo preesistente. (Per es si pensi all’autorizzazione all’apertura di un esercizio
commerciale).

La concessione come atto costitutivo o traslativo di un diritto. La concessione invece è l’atto con il quale
l’amm attribuisce ex novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo a un soggetto privato. Il
privato che presenta all’amm l’istanza di concessione, è titolare di un interesse legittimo (pretensivo) allo
stato puro. Solo in seguito all’emanazione del provvedimento concessorio sorge in capo al privato un diritto
soggettivo pieno (di utilizzo di un bene demaniale, esercizio in regime di monopolio di un’impresa, ecc) che
può essere fatto valere anche nei confronti dei terzi.

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Sul piano funzionale l’autorizzazione, è uno strumento di controllo da parte dell’amm sullo svolgimento
dell’attività allo scopo di verificare preventivamente che essa non si ponga in contrasto con le norme che
definiscono i presupposti e i requisiti. L’autorizzazione spesso si esaurisce senza che si instauri una relazione
con l’amm che vada al di là di una generica attività di vigilanza. La concessione instaura invece in molti casi
un rapporto di lunga durata con il concessionario. Tale rapporto è caratterizzato da diritti e obblighi reciproci
e poteri di vigilanza continuativi e a volte anche di indirizzo delle attività poste in essere in base alla
concessione (come nel caso della costruzione di opere pubbliche). La concessione costituisce uno
strumento attraverso il quale l’amm affida a soggetti privati la gestione di beni e servizi delle proprie
strutture (realizzando una esternalizzazione). La concessione può avere quindi una valenza di tipo
organizzativo e realizza una forma di partenariato pubblico privato. Il concessionario può essere tenuto a
certe condizioni, a rispettare regole pubblicistiche.

Le concessioni traslative e costitutive. Le concessioni si suddividono in 2 subcategorie: traslative costitutive.


Le concessioni traslative trasferiscono in capo a un sogg privato un diritto o un potere del quale è titolare
l’amministrazione. Si pensi alla concessione dell’uso di un bene demaniale per l’installazione di uno
stabilimento balneare o di un pontile per l’attracco di imbarcazioni da diporto, oppure alla concessione per
l’esercizio dell’attività di distribuzione dell’energia elettrica o del gas a livello comunale. Le concessioni
costitutive invece attribuiscono al sogg privato un nuovo diritto (per es un’onorificenza).

Quanto all’oggetto invece le concessioni sono di più specie.

La concessione di beni, di servizi pubblici, di lavori o servizi. Vi sono le concessioni di beni pubblici come i
beni demaniali sui quali possono essere attribuiti diritti d’uso esclusivo: (es sono l’installazione di un chiosco
di giornali sulla pubblica via, l’estrazione di cave, l’assegnazione di radiofrequenze, la derivazione di acque
pubbliche per alimentare una centrale elettrica). Poi ci sono le concessioni di servizi pubblici o di attività
ancora oggi sottoposte, ex art 43 cost, a un regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello
stato o di enti pubblici come per es la trasmissione e distribuzione di energia elettrica e del gas, i giochi e le
scommesse. Una 3 specie è quella delle concessioni di lavori (per es per costruire una tratta autostradale) o
di servizi assimilate dal codice dei contratti pubblici a normali contratti. Infatti l’unica differenza rispetto ai
contratti di appalto di lavori e di servizi, aggiudicati all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, consiste
nel fatto che nelle concessioni di questo tipo il corrispettivo non è a carico dell’amm appaltante. Esso è
costituito esclusivamente dal diritto a gestire l’opera o il servizio, applicando un prezzo o una tariffa agli
utenti (pedaggi autostradali, tariffe orarie o giornaliere per l’uso di un parcheggio comunale ecc) e
perseguono l’obiettivo di evitare esborsi diretti in capo all’amm committente. Infine rientrano nel fenomeno
concessorio alcuni tipi di sovvenzioni, sussidi e contributi di danaro pubblico erogati spesso con criteri
discrezionali, per il perseguimento di interessi pubblici (sociali, economici, culturali) alle quali fa riferimento
l’art 12 l 241. 2) in realtà la bipartizione delle autorizzazioni e concessioni apparve fin dall’inizio troppo
rigida rispetto a una realtà molto più variegata. Vennero individuate, all’interno di ciascuna categoria,
alcune fattispecie intermedie.

Figure intermedie di atti autorizzativi. Fu posta la distinzione tra autorizzazioni costitutive, alcune
connotate da un’ampia discrezionalità e in relazione alle quali è dubbia la preesistenza di un diritto sogg in
capo al privato (per es in passo le autorizzazioni previste per le banche, le assicurazioni); autorizzazioni
permissive che operano come fatti permissivi o ostativi all’esercizio di una determinata attività con funzione
a volte di mero controllo, e altre anche di programmazione e direzione delle attività (panifici, vendita di
alcolici e superalcolici); autorizzazioni ricognitive volte a valutare l’idoneità tecnica di persone o di cose (le
cd abilitazioni previste per i professionisti, gli insegnanti, i comandanti di nave ecc). Tra le categorie ibride ci
sono anche le licenze (caccia, pesca ecc) aventi 2 caratteristiche: riguardano attività nelle quali non sono
rinvenibili preesistenti diritti soggettivi dei sogg privati (come nelle autorizzazioni classiche), né settori “in
dominio” dell’amm (come nel caso delle concessioni); il loro rilascio è subordinato a valutazioni di tipo
tecnico e discrezionale o di coerenza con un quadro programmatico che ne comporti il contingentamento,

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previsto per es nei piani commerciali. Storicamente le autorizzazioni e le concessioni vennero inquadrate
come atti autoritativi.

Le concessioni come atti autoritativi. Nella 2 metà del 19 sec, le concessioni amministrative erano un
fenomeno in piena espansione (si pensi alle concessioni ferroviarie, di sfruttamento delle miniere, di
illuminazione pubblica) ed erano qualificate come normali contratti a prestazioni corrispettive disciplinati
dalle norme pubblicistiche. Qualche decennio dopo per effetto della svolta in direzione panpubblicistica, le
concessioni vennero considerate provvedimenti eminentemente discrezionali, modificabili e revocabili ad
nutum senza alcun obbligo di indennizzo. Alle autorizzazioni e alle concessioni venne quindi riconosciuto il
carattere unilaterale (pur in presenza di una volontà del privato espressa attraverso la presentazione di
un’istanza) e autoritativo (anche nei casi di autorizzazioni integralmente vincolate, nelle quali l’atto sembra
avere una valenza meramente ricognitiva di un effetto che scaturisce direttamente dalla legge).

Le concessioni contratto. Ben presto dottrina e giurisprudenza elaborarono la nozione di concessione-


contratto volta ad attenuare il carattere unilateral-pubblicistico dell’atto concessorio. Nella realtà i privati
concessionari pretendevano garanzie per investimenti di lunga durata e altri impegni da parte del
concedente incompatibili con la concezione autoritaria tipica del provvedimento amm discrezionale. Con la
concessione-contratto il fenomeno concessorio si sdoppia così in 2 componenti: un provvedimento (inteso
come atto di sovranità) volto ad attribuire al concessionario il diritto a svolgere una certa attività; un
contratto o una convenzione volti a regolare su base paritaria i diritti e gli obblighi delle parti nell’ambito di
un rapporto di durata. (Tra questi rientrano l’obbligo in capo al concessionario di corrispondere un canone
concessorio, effettuare investimenti, di assicurare agli utenti determinati livelli di prestazione, di
informazione. Tra i poteri in capo al concedente vi sono quelli di verifica sull’andamento della gestione, di
approvazione delle tariffe praticate dal concessionario agli utenti). Il contratto regola anche il diritto del
concedente di recesso e di riscatto subordinandoli a una serie di garanzie, incluso il pagamento di un
indennizzo secondo criteri predefiniti, e superando il principio della revocabilità ad nutum.

Gli atti autorizzativi nel diritto europeo. 3) la distinzione tra autorizzazioni e concessioni ha richiesto un
ripensamento complessivo sia alla luce del diritto europeo, che ignora la distinzione tra diritti soggettivi e
interessi legittimi e che considera in modo unitario gli atti che realizzano forme di controllo ex ante, sia alla
luce del diritto interno. Quello che conta sia per le autorizzazioni che per le concessioni, è che alla fine, in
mancanza di un atto di assenso preventivo dell’amm, l’attività non può essere intrapresa.

La definizione europea di autorizzazione. La direttiva servizi 2006/123/CE recepita con d.lgs. n 59/2010 dà
una definizione omnicomprensiva di “regime autorizzatorio” che include “qualsiasi procedura che obbliga
un prestatore o un destinatario a rivolgersi a un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione
formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”; inoltre il
regime di autorizzazione comprende tutte le procedure per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni
o concessioni. (Inoltre si tende a subordinare l’esercizio di un’attività imprenditoriale a una valutazione
discrezionale dell’amm per negare la possibilità di ricostruire la posizione giuridica soggettiva del privato o
dell’impresa in termini di diritto in senso proprio e ciò può costituire una “barriera all’entrata” in un
determinato mercato).

Le autorizzazioni conformi al diritto europeo. Proprio per questo molte direttive europee emanate
nell’ultima parte del sec scorso hanno trasformato i regimi di concessione discrezionale in regimi di
autorizzazione vincolata (o di autorizzazione conforme al diritto europeo). Uno dei primi casi riguardò il
sistema creditizio. La legge bancaria del 1936 subordinava l’apertura di un istituto di credito al rilascio di una
concessione discrezionale della Banca d’Italia. L’attività bancaria era definita come attività di interesse
pubblico ed era sottoposta a un sistema di regole speciali emanate dagli organi di vertice del sistema
(ministero del tesoro, banca d’Italia). Tali regole erano finalizzate a garantire stabilità contro il rischio di
fallimenti a catena e anche a orientare le scelte di investimento in funzione di obiettivi di politica economica

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e industriale. La concessione vale come atto di ammissione dell’istituto richiedente a un ordinamento


giuridico speciale. Negli anni Settanta del sec scorso, per aprire il mercato dei servizi bancari a un maggior
grado di concorrenza, una direttiva europea pose il divieto di subordinare l’avvio dell’attività bancaria a
valutazioni discrezionali e al criterio del cd bisogno di mercato. Il regime concessorio venne trasformato in
regime autorizzatorio. Oggi il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 385/1993), da una
parte precisa che l’attività bancaria ha carattere d’impresa; dall’altra, subordina il rilascio dell’autorizzazione
a una serie di condizioni oggettive (forma societaria, capitale sociale minimo, requisiti di professionalità) che
attribuiscono alla Banca d’Italia (e alla bce che dal 2014 è titolare anche di competenze in materia di
vigilanza) solo spazi di valutazione tecnica.

Le direttive europee di liberalizzazione. Le direttive di liberalizzazione emanate verso la fine del sec scorso,
volte a eliminare i regimi di monopolio legale segnando il passaggio allo stato regolatore, hanno interessato
i grandi servizi pubblici (energia elettrica e gas, poste, trasporti ferroviarie). Da qui la sostituzione dei regimi
concessori con regimi di autorizzazioni vincolate. (Per es, il codice delle comunicazioni elettroniche stabilisce
che l’attività di fornitura di reti o servizi è di preminente interesse generale e libera. Per l’avvio è previsto un
regime di autorizzazione generale che richiede all’impresa una semplice comunicazione preventiva al
ministero delle comunicazioni. Solo per l’utilizzo delle frequenze radio, il codice prevede un piano nazionale
di ripartizione in modo da ridurre il rischio di interferenze e la concessione dei diritti d’uso alle imprese
richiedenti). (Il d.lgs. n 59/2010 di recepimento della direttiva servizi, enuncia il principio che l’accesso e
l’esercizio delle attività di servizi “costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non
possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie” (art 10) e impone l’applicazione
del principio di proporzionalità).

I requisiti vietati e i requisiti ammessi. Il d.lgs. 59/2010 individua una serie di requisiti di accesso all’attività
vietati in modo assoluto perché non giustificati o discriminatori (art 11). Sono discriminatori, per es, i
requisiti che richiedono al prestatore di servizi la cittadinanza o la residenza italiana. Non giustificata è
invece “l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio del titolo
autorizzatorio alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla
valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza
dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti” (art 1). L’economia di mercato
aperta e in libera concorrenza che ispira i trattati europei è incompatibile con ogni logica dirigistica e
pianificatoria. Inoltre il d.lgs. 59/2010 enumera una serie di requisiti ammessi solo in presenza di un motivo
imperativo di interesse generale (ordine e sicurezza pubblica, sanità, tutela dei lavoratori, ambiente), e
previa notifica alla commissione europea. Tra questi rientra per es, la previsione di tariffe obbligatorie
minime o massime, di restrizioni quantitative o territoriali, o di un numero minimo di dipendenti.

Le procedure competitive per il rilascio delle autorizzazioni. Nei casi in cui il numero delle autorizzazioni
deve essere limitato “per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche
disponibili” o per altri motivi imperativi di interesse generale, il loro rilascio deve avvenire tramite una
procedura di selezione pubblica sulla base di criteri resi pubblici, atti ad assicurare l’imparzialità. Le
condizioni alle quali i regimi autorizzatori subordinano l’accesso e l’esercizio di un’attività di servizi, devono
essere, oltre che non discriminatorie e giustificate da un motivo di interesse generale, “chiare e
inequivocabili”, “oggettive”, “rese pubbliche preventivamente” (art 15).

L’evoluzione del diritto interno. In seguito alla sent delle sez unite della cass n 500/1999, la distinzione tra
diritti sogg e interessi leg non segna più la linea di confine della risarcibilità del danno conseguente a
un’attività amm illegittima. Ai fini risarcitori, perde di significato la distinzione tra concessioni e
autorizzazioni fondata sulla preesistenza o meno della titolarità in capo al sogg privato di una situazione
giuridica di diritto sogg. Ai fini della risarcibilità entra in gioco, solo il cd giudizio prognostico, in cui occorre
determinare se e quali margini di discrezionalità sussistano in capo all’amm.

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Autorizzazioni discrezionali e vincolate. La distinzione più rilevante è quella tra atti autorizzativi
discrezionali e vincolati, o tra “autorizzazioni discrezionali costitutive” e “autorizzazioni vincolate
ricognitive”. Secondo questa dottrina minoritaria, nelle prime l’atto amm è la fonte diretta dell’effetto
giuridico prodotto, secondo lo schema della norma attributiva del potere (norma-fatto-potere-effetto); nelle
seconde l’effetto giuridico si ricollega direttamente alla legge, cioè al verificarsi in concreto di un fatto
sussumibile nella norma. All’autorità che emana l’atto è riservato in via esclusiva il compito di accertare la
produzione dell’effetto giuridico (competenza esclusiva). L’avvio dell’attività nel 2 tipo di autorizzazioni è
precluso in assenza dell’atto amministrativo perché l’ordinamento riserva, almeno in prima battura, all’amm
il compito di verificare se sussistono in concreto i presupposti e i requisiti richiesti dalla norma per svolgerla.
Anche se non si voglia accogliere questa ricostruzione dottrinale, la presenza o meno della discrezionalità è
rilevante, (in caso di diniego illegittimo dell’atto illegittimo), ai fini della tutela giurisdizionale. La natura
vincolata o discrezionale del potere condiziona la possibilità di veder accolta da parte del giudice amm
l’azione di adempimento, cioè l’azione di condanna al rilascio del provvedimento richiesto.

10. Gli atti dichiarativi. Dottrina e giurisprudenza hanno elaborato anche altre tipologie di atti. Ci sono gli
atti amministrativi dichiarativi, in cui il movimento volitivo tipico dei provvedimenti è assente; essi hanno
una funzione meramente ricognitiva e dichiarativa tanto che le autorizzazioni vincolate ricognitive possono
essere incluse in questa categoria, (se si ammetta la tesi che l’effetto giuridico abilitativo discende
direttamente dalla legge).

Le certificazioni. Nella categoria degli atti dichiarativi rientrano le certificazioni che sono dichiarazioni di
scienza effettuate da una p.a. in relazione ad “atti, fatti, qualità e stati soggettivi” (art 18 l 241). L’amm
pubblica, organizza, elabora, verifica e detiene stabilmente una gran massa di dati e informazioni in registri,
albi ecc. Si pensi ai registri dello stato civile dei comuni contenenti dati anagrafici (data di nascita ecc), alle
liste elettorali, agli elenchi di acque pubbliche, ai registri giudiziari ecc. Le certificazioni relative a questo tipo
di dati sono espressione di una funzione propria dei pubblici poteri: cioè quella di certezza pubblica. (Si
pensi alla disciplina del computo del tempo o dei pesi e delle misure della moneta, indispensabili per lo
svolgimento delle relazioni giuridiche). La funzione di certezza pubblica si realizza con 2 modalità: 1) la
tenuta e l’aggiornamento di registri, albi, elenchi pubblici in cui alcune categorie di sogg o di beni possono
essere iscritti; 2) la messa a disposizione ai sogg interessati dei dati in essi contenuti attraverso attestazioni e
certificazioni per dimostrare il possesso dei presupposti e requisiti richiesti ai privati per poter svolgere
molte attività, esse vengono presentate nell’ambito dei procedimenti autorizzatori.

L’art 18 della l 241 e il testo unico sulla documentazione amministrativa prevedono però 2 modalità
alternative alle certificazioni: 1) le p.a. sono tenute a scambiarsi d’ufficio le info rilevanti senza gravare i sogg
privati dell’onere di ottenere il rilascio dei certificati; proprio per obbligare le amm a fornirsi reciprocamente
i dati di cui sono in possesso, è stato introdotto il principio secondo il quale i certificati non hanno alcun
valore giuridico nei rapporti con le p.a. 2) in molti casi le certificazioni possono essere sostituite con
l’autocertificazione, cioè una dichiarazione formale assunta sotto propria responsabilità dal sogg.

Le autocertificazioni. Le dichiarazioni sostitutive di certificazione possono avere a oggetto la data, il luogo di


nascita, la residenza, la cittadinanza, l’iscrizione in albi, la qualità di studente o pensionato. Per es, la
domanda di partecipazione a un concorso pubblico o l’istanza per ottenere un sussidio prevedono
l’autocertificazione del possesso dei requisiti richiesto dal bando e dalle norme vigenti. Le dichiarazioni
sostitutive di atti di notorietà sono relative invece a stati, qualità personali e fatti dei quali l’interessato sia a
conoscenza e che si riferiscono anche ad altri sogg. L’amm che utilizza il dato autocertificato nell’ambito di
un procedimento può verificarne, a campione, la correttezza e deve farlo nei casi in cui sorgono dubbi sulla
veridicità delle dichiarazioni. Se l’autocertificazione è falsa possono essere irrogate sanzioni anche di tipo
penale. In caso di dichiarazioni mendaci e di false attestazioni, all’interessato è negata la possibilità di
conformare l’attività alla legge sanando la propria posizione (art 21 l241). Viene anche disposta nei suoi
confronti la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti dal provvedimento emanato in base alla

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dichiarazione non veritiera. L’autocertificazione stenta a farsi strada nella pratica, perché lo scambio di info
tra p.a. a causa di carenze organizzative e della sporadicità dei controlli, è ancora difficoltoso.

Gli atti paritetici. Tra gli atti dichiarativi rientrano gli atti paritetici. È una categoria di atti elaborata dalla
giurisprudenza quando negli anni 30 del sec scorso il legislatore attribuì al giudice amm in particolari
materie (come il pubblico impiego) la cognizione di diritti sogg in aggiunta ai tradizionali interessi legittimi
(giurisdizione esclusiva). La figura dell’atto paritetico, un atto meramente ricognitivo di un assetto definito in
tutti i suoi elementi dalla norma attributiva di un diritto sogg, serviva a superare la regola della necessità di
impugnare l’atto nel termine di 60 gg, con la conseguenza che la pretesa del privato poteva essere fatta
valere in sede giudiziale nel normale termine di prescrizione. (Per es se l’amm nega un’indennità spettante a
un dipendente pubblico non privatizzato, la comunicazione formale dell’amm non vale come provvedimento
in senso proprio).

Le verbalizzazioni. Altra specie di atti dichiarativi è quella delle verbalizzazioni che consistono nella
narrazione storico giuridica da parte di un ufficio pubblico di atti, fatti e operazioni avvenuti in sua presenza.
(Per es, la polizia municipale, nell’ambito di attività di vigilanza in materia edilizia, può recarsi in un cantiere
e constatare in un processo verbale la difformità delle opere realizzate rispetto al permesso di costruire); o i
funzionati della banca d’Italia o dell’ivass, in occasione delle ispezioni periodiche presso le banche, fanno
constatare in un verbale le operazioni compiute, i fatti accertati e le eventuali dichiarazioni delle parti
interessate. Il processo verbale può essere poi incluso tra gli atti di un procedimento in senso proprio volto,
per es, a sanzionare il comportamento illecito sul piano amministrativo. La verbalizzazione è
particolarmente rilevante per le attività deliberative degli organi collegiali (consiglio o giunta comunale ecc).
Di regola essa è affidata a un segretario non componente del collegio che dà atto della presenza dei membri
del collegio al fine della verifica del quorum costitutivo, dell’andamento della discussione sui punti all’ordine
del giorno, riporta le dichiarazioni di voto e l’esito delle votazioni. Il verbale viene approvato dall’organo
collegiale nella seduta successiva. Ove redatto da un pubblico ufficiale il verbale fa fede delle operazioni
compiute e delle dichiarazioni ricevute (art 155 cpc) e i suoi contenuti possono essere contestati solo
attraverso la querela di falso.

I pareri e le valutazioni tecniche. Tra gli atti amm non provvedimentali rientrano i pareri e le valutazioni
tecniche. Esse sono manifestazioni di giudizio da parte di organi o enti pubblici contenenti valutazioni in
ordine a interessi pubblici secondari o a elementi di carattere tecnico (valutazioni tecniche) che l’amm,
titolare del potere amministrativo e competente a emanare un provvedimento amm, deve tenere in
considerazione durante il procedimento amm (artt 16 e 17 l 241).

11. Altre classificazioni: atti collegiali, atti collettivi, atti plurimi, atti di alta amministrazione.

I provvedimenti amministrativi possono essere qualificati in base a ulteriori criteri.

Gli atti complessi e gli atti collegiali. 1) un 1 criterio riguarda la provenienza soggettiva del provvedimento.
Ci sono casi in cui il provv è emanato da un organo di tipo monocratico (un decreto del ministro o
un’ordinanza del sindaco di un comune); e ci sono altri casi in cui il provv è espressione della volontà di più
organi o soggetti e ha natura di atto complesso. (Per es il decreto interministeriale, espressione della
volontà paritaria e convergente di più ministri, oppure un decreto del presidente della Repubblica che
controfirma l’atto del ministro proponente). Vanno menzionati anche gli atti collegiali in cui il
provvedimento è emanato da un organo composto da una pluralità di componenti designati con vari criteri
(elezione, nomina da parte di organi politici ecc). (Le delibere assunte dagli organi collegiali avvengono con
modalità procedurali definite negli statuti o nei regolamenti dei singoli enti e amministrazioni. La riunione
del collegio viene convocata dal presidente e a ciascuno dei componenti è comunicato in anticipo l’ordine
del giorno. Viene verificata la sussistenza del numero legale (quorum cost). La delibera è validamente
assunta ove sia approvata dalla maggioranza (sempl o qualificata) dei presenti (quorum del)). La delibera è
riferibile unitariamente all’organo collegiale, ma le eventuali responsabilità che possano sorgere non

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ricadono sui componenti dell’organo assenti o dissenzienti. Di tutte le operazioni, dà conto il verbale della
seduta.

Gli atti collettivi e gli atti plurimi. 2) un 2 criterio è quello dei destinatari del provvedimento che consente di
individuare la categoria degli atti amministrativi generali. Questi atti si rivolgono a classi omogenee più o
meno ampie di soggetti (determinabili in concreto solo in un momento successivo all’emanazione dell’atto).
Dagli atti generali vanno distinti gli atti collettivi e gli atti plurimi. Anche gli atti collettivi si indirizzano a
categorie, di solito ristrette, di sogg considerati in modo unitario, i quali però, a differenza degli atti generali,
sono già individuati singolarmente con precisione. Si pensi per es allo scioglimento di un consiglio comunale
che produce effetti nei confronti dei singoli componenti dell’organo collegiale. Anche gli atti plurimi sono
rivolti a una pluralità di soggetti, ma i loro effetti, a differenza di ciò che accade per gli atti collettivi, sono
scindibili in relazione a ciascun destinatario. Si pensi per es, al decreto che approva una graduatoria di
vincitori di concorso oppure a un decreto che dispone nei confronti di una pluralità di proprietari
l’espropriazione di una serie di terreni. La distinzione tra atti collettivi e plurimi rileva soprattutto in sede di
tutela giurisdizionale poiché l’impugnazione proposta da uno dei destinatari dell’atto plurimo, proprio in
virtù della scindibilità degli effetti, non può andare a beneficio né intaccare la situazione giuridica soggetti di
altri destinatari.

Gli atti di alta amministrazione. 3) un 3 criterio prende in considerazione la natura della funzione esercitata
e l’ampiezza della discrezionalità. In base ad esso è stata elaborata la nozione degli atti di alta
amministrazione, distinta da quella degli atti politici non sottoposti al regime del provvedimento
amministrativo. Infatti il codice del processo amministrativo esclude l’impugnabilità degli atti o
provvedimenti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico. La linea di confine tra atti politici e atti
amministrativi è sempre stata dibattuta. Il giudice amministrativo ha accolto una nozione oggettiva di atto
politico. In essa rientrano gli atti che, a differenza di quelli amministrativi, sono liberi nel fine e che sono
emanati da un organo cost (il governo) nell’esercizio di una funzione di governo. (Si pensi alle deliberazioni
del consiglio dei ministri che approvano un decreto legge o un decreto legislativo, degli atti che dispongono
l’invio di un contingente militare all’estero nell’ambito di una missione internazionale ecc.)

La discrezionalità e il sindacato del giudice. Altri atti del governo, definiti atti di alta amministrazione,
hanno invece natura amministrativa, anche se sono caratterizzati da un’amplissima discrezionalità. Tra di
essi rientrano i provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei ministeri (prefetti ecc) o dei
direttore generali delle aziende sanitarie locali, i decreti che autorizzano l’estradizione. Questi atti operano
un raccordo tra la funzione di indirizzo politico e la funzione amministrativa. Essi devono essere motivati e
sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo, il quale però esercita su di essi un sindacato meno
intenso, limitandosi a rilevare le violazioni più macroscopiche dei principi che presiedono all’esercizio del
potere discrezionale.

12. L’invalidità dell’atto amministrativo.

Nozione di invalidità. Non tutti i casi di difformità tra il provvedimento e le norme che lo disciplinano danno
origine a invalidità. Nei casi di imperfezioni minori, l’atto è semplicemente irregolare ed è suscettibile di
rettifica o regolarizzazione. Si ha invalidità quando la difformità tra atto e norme determina una lesione di
interessi tutelati dalle norme e incide sull’efficacia dell’atto in modo più o meno radicale, sotto forma di
nullità o annullabilità. L’invalidità trova una disciplina compiuta nella l 241 in seguito alle modifiche
introdotte dalla l n 15/2005 e per i risvolti processuali, nel codice del processo amministrativo. Occorre
tenere presente la distinzione tra norme che regolano una condotta e norme che conferiscono poteri. Le
prime impongono obblighi comportamentali o attribuiscono diritti; le seconde conferiscono poteri (come
quello di fare testamento, contrarre un matrimonio) e regolano le procedure, i presupposti e i limiti
all’esercizio di poteri (privati o amministrativi) volti alla produzione di effetti giuridici. (Esse sono state

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etichettate variamente come norme primarie e norme secondarie, norme di condotta e norme sulla
produzione giuridica, norme di relazione e norme di azione).

Illiceità e invalidità. I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come illeciti e
contro di essi l’ordinamento reagisce in vario modo (sanzioni penali, obbligo di risarcimento ecc). Gli atti
posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi e contro di essi
l’ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L’invalidità precisamente è la difformità di un negozio o
di un atto dal suo modello legale. L’invalidità può essere sanzionata, in funzione della gravità della
violazione, secondo 2 modalità; l’inidoneità dell’atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti
e obblighi o altre modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell’ordinamento (nullità); l’idoneità a
produrli in via precaria, cioè fin tanto che non intervenga un giudice (o un altro organo) che, accertata
l’invalidità, rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore (annullamento). Il regime
dell’invalidità del provvedimento amministrativo si ispira (ma non coincide con) a quello accolto al cc.

Nullità testuale e virtuale nel diritto civile. Nel diritto civile la nullità ha carattere atipico. Il cc del ’42 ha
abbandonato la logica della tassatività delle ipotesi nelle quali essa è comminata (cd nullità testuale:
limitata ai casi in cui essa è espressamente prevista da una norma). Delinea invece uno schema atipico
sanzionando con la nullità tutti i casi di contrarietà del contratto a norme imperative (art 1418). Questa
disposizione rimette all’interprete la valutazione caso per caso in ordine al carattere interpretativo o meno
della norma violata: nullità virtuale.

La tassatività dei casi di nullità del diritto amministrativo. La nullità del provvedimento amministrativo
invece è prevista solo in relazione a poche ipotesi tassative, mentre la violazione delle norme attributive del
potere viene attratta nel regime ordinario dell’annullabilità. Le norme in materia di contratti hanno di regola
carattere dispositivo, possono quindi essere regolate dalle parti. Nel diritto amministrativo invece, in
coerenza con la logica della legalità e della tipicità, le norme attributive del potere, in quanto finalizzate a
garantire i sogg destinatari del provvedimento e a tutelare un interesse pubblico, hanno di regola carattere
cogente (imperativo). Esse non possono essere derogate o disapplicate dall’amm. (Sanzionare con la nullità
ogni difformità tra provv e norma attributiva del potere costituirebbe una reazione sproporzionata da parte
dell’ordinamento).

L’equiparazione tra provvedimento invalido e quello valido. Questo spiega perché storicamente, si affermò
il principio che equipara il provv amm invalido a quello valido ai fini della produzione dell’effetto giuridico
tipico (salvo successivo annullamento). Questo principio è più rispettoso dell’esigenza della realizzazione
immediata della cura in concreto dell’interesse pubblico. Non venne accolto invece il principio della
inidoneità dell’atto non conforme al modello legale a produrre l’effetto (dottrina dell’ultra vires). Inoltre
mentre nel diritto privato l’annullabilità è riferita a ipotesi tassative (incapacità della parte e vizi del
consenso e altri casi previsti da leggi speciali), nel diritto amministrativo le figure sintomatiche dell’eccesso
di potere, (frutto dell’elaborazione giurisprudenziale), sono un catalogo aperto e non tipizzato. Il regime
dell’annullabilità costituisce il regime ordinario del provv amministrativo invalido, mentre la nullità è
“categoria residuale del diritto amm” (cons st sez III n 4364/2013).

Invalidità totale e parziale. Anche il provv amministrativo può essere colpito da invalidità totale (investe
l’intero atto) o parziale (investe parte dell’atto, lasciando inalterata la validità e l’efficacia della parte non
affetta da vizio). L’invalidità parziale del provv amm si può avere nel caso di provvedimenti con effetti
scindibili come in quello degli atti plurimi. Un es è l’atto di nomina di una pluralità di vincitori di un
concorso: l’esclusione dalla graduatoria di un partecipante per assenza di requisiti non comporta la
caducazione dell’intero atto di approvazione della stessa. (Ha effetti scindibili anche il piano regolatore con
riferimento alle destinazioni edificatorie delle singole aree: l’illegittimità delle prescrizioni che si riferiscono
a una determinata area non si estende alle prescrizioni riferite ad altre aree). Un es di nullità parziale è
l’inserimento in un bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto di casi di esclusione dei concorrenti

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ulteriori rispetto a quelle stabilite tassativamente dal codice dei contratti pubblici. Si ritiene applicabile al
provvedimento il principio ex art 159 cod proc civ per cui l’invalidità di una parte dell’atto si estende alle
altre parti solo ove esse siano strettamente dipendenti da quella viziata. Assume rilievo anche il principio
civilistico ex art 1419 cc. Nel caso degli atti amm il problema si può porre per es, per le clausole accessorie
apposte a un’autorizzazione o a una concessione.

Invalidità propria e derivata. L’invalidità di un provv può essere propria o derivata, originaria o
sopravvenuta. 1) nel caso di invalidità propria assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto. Nel
caso di invalidità derivata, l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto
presupposto. (Per es, l’illegittimità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di
aggiudicazione della graduatoria dei vincitori. Anche l’atto applicativo di un regolamento illegittimo è affetto
da invalidità derivata).

L’invalidità derivata a effetto caducante e invalidante. L’invalidità derivata può essere: a effetto caducante,
quando travolge in modo automatico l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; a effetto invalidante,
quando l’atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fino a
quando non viene annullato. L’effetto caducante si ha in presenza di un rapporto di stretta causalità o
consequenzialità diretta e necessaria tra i 2 atti: il secondo è una mera esecuzione del primo. Se invece l’atto
successivo non costituisce una conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori
apprezzamenti che segnano una discontinuità tra due atti, l’invalidità derivata ha solo effetto viziante, e
deve essere fatta valere tramite l’impugnazione autonoma di quest’ultimo. Così per es, l’invalidità dell’atto
di ammissione di un candidato a una prova concorsuale si propaga agli atti successivi della procedura fino
all’approvazione della graduatoria, ma quest’ultima è affetta da un’invalidità derivata viziante e non
caducante perché la formazione della graduatoria richiede valutazioni più ampie riferite anche agli altri
candidati.

Principio del tempus regit actum. 2) quanto all’invalidità originaria e l’invalidità sopravvenuta, in linea di
principio si applica anche nel diritto amm il principio del tempus regit actum per cui la validità di un provv si
determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Tuttavia, poiché l’esercizio del
potere avviene nella forma del procedimento, attraverso una pluralità di atti funzionalmente collegati e
strumentali all’adozione del provv finale, a volte si pone la questione delle conseguenze del mutamento
delle norme vigenti sui procedimenti avviati, ma non ancora conclusi. Per es, se successivamente alla
presentazione di una domanda di concessione e all’avvio dell’istruttoria interviene una normativa più
restrittiva, la concessione non può essere più rilasciata. In altri casi invece il mutamento normativo non
incide sulle procedure già avviate: per es, un concorso pubblico del quale sia stato già emanato il bando
(che costituisce una lex specialis del procedimento e non può essere disapplicato dall’amm).

Invalidità sopravvenuta. Si ha invalidità sopravvenuta dei provv amm nei casi di legge retroattiva, di legge di
interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità cost. Nelle prime 2 ipotesi, la retroattività della
nuova legge rende viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella 3 ipotesi, poiché le
sent di accoglimento della corte cost hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti
assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che
non si tratti di rapporti esauriti, cioè di fattispecie ormai interamente realizzate.

Il contributo della giurisprudenza. La l 241 ha razionalizzato le acquisizioni giurisprudenziali. La teoria dei


vizi dell’atto amm è il frutto dell’elaborazione della iv sez del cons st. Il giudice amm dovette riempire di
contenuto le scarne disposizioni della legge del 1889 che attribuivano alla sua competenza i ricorsi per
“incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge” (art 26 testo unico delle leggi del cons st).
La giurisprudenza interpretò subito la formula “eccesso di potere” non come “straripamento di potere”,
bensì come “sviamento di potere”. Il primo riguarda i casi di sconfinamento macroscopico dall’ambito di
competenza da parte di un’autorità amm (quella che poi venne chiamata carenza di potere o incompetenza

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assoluta e ora, nell’art 21-septies come “difetto assoluto di attribuzione”); il 2 riguarda i casi in cui il potere
viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere (deviazione dell’atto
dalla sua destination légale).

La legalità “intrinseca”. La iv sez del cons st ricorse all’eccesso di potere per sindacare la legalità “intrinseca”
dei provvedimenti discrezionali e non solo la legalità estrinseca, cioè la loro conformità formale a
disposizioni di legge. In una controversia circa un decreto governativo di scioglimento di un’opera pia, il cons
di st verificò che l’atto impugnato, pur rispettoso delle norme applicabili, non contenesse nulla di illogico e
d’irrazionale o di contrario allo spirito della legge. In seguito, il giudice amm, per accertare l’eccesso di
potere inteso in quest’accezione così ampia, elaborò le figure sintomatiche dell’eccesso di potere,
(rendendo più penetrante il sindacato sulla discrezionalità amministrativa).

La carenza di potere. Inoltre, (in silenzio della legge), la giurisprudenza individuò ipotesi in cui il provv è
affetto da deviazioni abnormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura emanato in assenza di una
base legislativa tanto da non poter essere inquadrato all’interno del regime dell’illegittimità. Emerse così
una categoria di vizi più gravi sussunti nella categoria della carenza di potere (sia in astratto che in concreto)
o anche della nullità (o talora inesistenza). In presenza di tali vizi, il provv perde il carattere imperativo e non
è in grado di travolgere (degradare) i diritti soggettivi. Gli atti assunti in carenza di potere vennero quindi
attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, mentre gli atti con riferimento ai quali veniva contestato solo
il cattivo esercizio del potere restarono affidati alla cognizione del giudice amm. La teoria dei vizi del provv
nel nostro ordinamento è stata condizionata dalla questione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario
e giudice amm fondato sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo.

In questo contesto è stata elaborata la distinzione tra 2 tipi di comportamenti patologici dell’amm.

I comportamenti senza potere. Vi sono i “meri comportamenti” (o comportamenti senza potere) assunti in
violazione di una norma di relazione, lesivi di un diritto soggettivo e ascrivibili alla categoria della illiceità.
Essi sono equiparabili a un qualsiasi comportamento posto in essere da un sogg privato non conforme alle
norme civilistiche (in particolare ex art 2043 cc). (Si pensi a un incidente stradale provocato da un mezzo
dell’amm, oppure al danno subito da un autoveicolo privato a causa della cattiva manutenzione di una
strada pubblica, oppure a un’operazione chirurgica mal riuscita per l’imperizia dell’operatore medico di una
struttura sanitaria pubblica). Poi ci sono i comportamenti in cui il collegamento funzionale tra
provvedimento invalido e l’attività materiale esecutiva posta in essere dall’amm integra una violazione della
norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo confluire, l’intera fattispecie nell’ambito
della giurisdizione del giudice amm.

Occupazione usurpativa e appropriativa. La questione è sorta a proposito dell’espropriazione per pubblica


utilità, dove è emersa la distinzione tra “occupazione usurpativa” e “occupazione appropriativa”; la prima si
ha quando il terreno viene occupato in carenza di qualsiasi titolo; la 2 quando l’occupazione avviene
nell’ambito di una procedura di espropriazione (a seguito della dichiarazione di pubblica utilità) anche se
illegittima. In quest’ultimo caso, secondo la corte cost, i comportamenti costituiscono esercizio, anche se
viziato da illegittimità, della funzione pubblica della p.a. e quindi sono inclusi nella giurisdizione del giudice
amm. Invece, i comportamenti che danno origine a un’occupazione usurpativa vanno qualificati come illeciti
e sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario. (La corte ha quindi dichiarato l’illegittimità cost
dell’art 53, co 1, testo unico sulle espropriazioni approvato con d.p.r. n 327/2001, che attribuisce alla
giurisdizione esclusiva del giudice amm le controversie in materia espropriativa, nella parte in cui vi
includeva anche le controversie relative a “comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente,
all’esercizio del potere”.) (Perciò l’art 7 codice del processo amm fa rientrare nel perimetro della
giurisdizione amministrativa, accanto ai provvedimenti, solo i “comportamenti riconducibili anche
mediatamente all’esercizio del potere”). La questione del riparto di giurisdizione ha sfumato la distinzione

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tra comportamento e atto di esercizio del potere amm, attraendo la fattispecie dei comportamenti
riconducibili all’esercizio del potere nella categoria della illegittimità piuttosto che in quella della illiceità.

Illegittimità dell’atto e illiceità ex art 2043 cc. Un nesso tra illiceità del comportamento dell’amm e
illegittimità del provvedimento è emerso in seguito alla sent delle sez unite della corte di cass n 500/1999
che ha affermato il principio della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. L’illegittimità del
provvedimento è uno degli elementi costitutivi (insieme al danno, al nesso di causalità e all’elemento
soggettivo) dell’illecito extracontrattuale ex art 2043 cc. Come ha chiarito anche la giurisprudenza amm, il
danno non è cagionato dal “provvedimento in sé stesso, ma da un fatto, ossia da un comportamento” e
assume rilievo non “una mera illegittimità del provvedimento in sé ma un’illiceità della condotta
complessiva” (cons st ad plen n 3/2011).

Le disposizioni legislative sull’annullabilità e sulla nullità. L’annullabilità è disciplinata dall’art 21-octies l


241 e dall’art 29 codice del processo amm. Entrambe le disposizioni riprendono la tripartizione dei vizi di
legittimità, cioè l’incompetenza, l’eccesso di potere e la violazione di legge. Rispetto al regime precedente
(testo unico delle leggi sul cons di st del 1924), il primo riduce l’area dell’annullabilità operando la
dequotazione dei vizi formali. Il secondo conferma l’impianto tradizionale dell’azione di annullamento. La
nullità invece è disciplinata dall’art 21-septies l 241, che individua 4 ipotesi tassative e dall’art 31, co 4, del
codice che disciplina l’azione di nullità. A livello europeo, l’art 263 tfue prevede che qualora il ricorso alla
corte di giustizia dell’ue sia fondato, il giudice dichiara nullo e non avvenuto l’atto. Tuttavia questa
disposizione è interpretata nel senso che l’atto è annullabile e l’azione promossa ha natura costitutiva e non
dichiarativa. Quanto alla disciplina dei vizi, l’art 263, co 2 tfue prevede 4 ipotesi: l’incompetenza, la
violazione delle forme sostanziali, la violazione dei trattati e di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro
applicazione, lo sviamento di potere. Anche nel diritto europeo il regime ordinario dell’invalidità è quello
dell’annullabilità.

13. L’annullabilità. Per tradizione, l’atto amm affetto da incompetenza, eccesso di potere e violazione di
legge viene qualificato come illegittimo (e pertanto suscettibile di annullamento). La l 241 ricalca invece la
distinzione civilistica tra nullità e annullabilità. L’art 21-octies fa riferimento solo all’annullabilità. L’art 21-
nonies usa ancora la terminologia “provvedimento amministrativo illegittimo” prevedendo che esso possa
essere annullato d’ufficio. (*è corrente anche l’espressione “vizi di legittimità” da contrapporre ai “vizi di
merito”, che vengono riferiti alla contrarietà dell’atto a norme o parametri non giuridici o a canoni più
generici di opportunità o di convenienza). In realtà, annullabilità e illegittimità sono sostantivi usati in modo
intercambiabile anche se, poiché il 2 co dell’art 21-octies opera una dequotazione dei vizi formali, non si
può ritenere che tutti gli atti illegittimi siano annullabili. Ricordiamo che la cost ha sancito che la tutela
giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti (art 113, co 2). (Sono state dichiarate incostituzionali le leggi amministrative, emanate
soprattutto nel ventennio autoritario, che sottraevano al sindacato del giudice amm alcune tipologie di vizi
(l’eccesso di potere) o alcuni tipi di provvedimenti). (Una limitazione alla deduzione di singoli vizi avveniva
per es in materia doganale e di leva militare).

Le conseguenze dell’annullamento, non cambiano in relazione al tipo di vizio accertato. Secondo la teoria
della eguale rilevanza dei vizi, l’annullamento elimina l’atto e i suoi effetti in modo retroattivo e l’amm ha
l’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui si
sarebbe trovato il destinatario dell’atto ove quest’ultimo non fosse stato emanato (effetto ripristinatorio).
Ciò che varia in funzione del tipo di vizio è il cd effetto conformativo dell’annullamento, cioè il vincolo che
sorge in capo all’amm nel momento in cui essa emana un nuovo provvedimento sostitutivo di quello
annullato. La distinzione più rilevante è tra vizi formali (non dequotabili) e vizi sostanziali.

Vizi formali e vizi sostanziali. Se il vizio accertato ha natura formale o procedurale, come la mancata
acquisizione di un parere obbligatorio o la rilevazione di un vizio di incompetenza, non si esclude che l’amm,

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acquisito il parere, possa emanare un nuovo atto dal contenuto identico rispetto a quello dell’atto annullato.
Se invece il vizio ha natura sostanziale, come la mancanza di un presupposto o di un requisito posto dalla
norma attributiva del potere o un eccesso di potere per travisamento dei fatti, l’amm non potrà reiterare
l’atto annullato.

La retroattività dell’annullamento. La retroattività dell’annullamento, è oggetto di un ripensamento nella


giurisprudenza. In una controversia circa la legittimità di un piano faunistico venatorio, il consiglio di stato,
nell’accogliere il ricorso proposto da un’associazione ambientalista, ha stabilito che l’atto viziato continui a
produrre i suoi effetti fino a quando l’amministrazione non provveda a modificarlo entro un termine
assegnato. Ciò per evitare la conseguenza che eliminati gli effetti del piano, ritenuto dalla sent illegittimo a
causa di un vizio procedurale, prendesse vigore il piano precedente ancora meno produttivo. Del resto,
l’ordinamento europeo già prevede che la corte di giustizia, “ove reputi necessario, precisa gli effetti
dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi” (art 264. Co 2 tfue). Sul versante processuale,
l’art 29 codice del processo amm conferma il regime tradizionale secondo cui contro il provvedimento
affetto da violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere può essere proposta l’azione di
annullamento innanzi al giudice amm nel termine di decadenza di 60gg. L’annullabilità non può essere
rilevata d’ufficio dal giudice, ma, in base al principio dispositivo, può essere pronunciata solo in seguito alla
domanda proposta nel ricorso il quale deve indicare anche in modo specifico i profili di vizio denunciati
(motivi di ricorso).

14. a) L’incompetenza. L’incompetenza è un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un sogg


diverso da quello indicato dalla norma attributiva del potere. È un vizio che attiene all’elemento sogg
dell’atto. L’incompetenza è una sottospecie della violazione di legge, poiché la distribuzione delle
competenze tra i sogg pubblici e tra gli organi interni è operata da leggi, regolamenti e altre fonti normative
pubblicistiche (statuti). Ecco perché l’incompetenza si connota tradizionalmente per un maggior disvalore
rispetto ad altri vizi formali o procedurali.

Incompetenza relativa e assoluta. Si distingue tra incompetenza relativa (si ha quando l’atto viene emanato
da un organo che appartiene alla stessa branca, settore o plesso organizzativo dell’organo titolare del
potere) e incompetenza assoluta (determina la nullità o carenza di potere: difetto di attribuzione, e si ha
quando sussiste un’assoluta estraneità sotto il profilo soggettivo e funzionale tra l’organo che ha emanato
l’atto e quello competente). La linea di confine tra le 2 figure è incerta. Il problema si è posto per es nel caso
del decreto di espropriazione emanato dal presidente della regione anziché dal prefetto. Comunque sia il
vizio usualmente viene qualificato come incompetenza relativa, mentre l’incompetenza assoluta è un
fenomeno raro.

L’incompetenza per materia, per grado, per territorio. Il vizio di incompetenza può essere per materia, per
grado, per territorio. L’incompetenza per materia attiene alla titolarità della funzione (per es, le materie
urbanistica e commerciale hanno ambiti di disciplina contigui); quella per grado riguarda l’articolazione
interna degli organi negli apparati organizzati secondo il criterio gerarchico (organizzazioni militari o di
polizia); quella per territorio agli ambiti in cui gli enti territoriali o le articolazioni periferiche degli apparati
statali possono operare (per es prefetture di 2 province contigue). La competenza per valore invece riguarda
l’interno di apparati pubblici in riferimento alla ripartizione tra i vari organi del potere di emanare
provvedimenti che comportino esborsi di spesa.

Il regime giuridico. La specificità del regime giuridico dell’incompetenza rispetto a quello della violazione di
legge sta venendo meno progressivamente. La giurisprudenza più recente ritiene applicabile anche al vizio
di incompetenza l’art 21-octies, co 2, cioè il principio della dequotazione dei vizi formali volto a limitare
l’annullabilità degli atti vincolati. Inoltre l’art 21-nonies, co l 241 prevede in via generale la possibilità della
convalida del provvedimento annullabile ed è quindi dubbio se sopravviva questa specificità del regime
dell’incompetenza. Tuttavia, il vizio di incompetenza assume una priorità rispetto ad altri motivi formulati

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nel ricorso, tanto che il giudice deve prenderlo in esame per primo e, nel caso in cui accerti il vizio, deve
annullare il provvedimento, senza esaminare ulteriori motivi di ricorso, rimettendo l’affare all’autorità
competente.

15. b) La violazione di legge. La violazione di legge è una categoria generale residuale, perché in essa
confluiscono i vizi che non sono qualificabili come incompetenza o eccesso di potere. Essa raggruppa tutte
le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di ragno primario o
secondario (leggi, regolamenti, statuti, ecc) che definiscono i profili vincolati, formali e sostanziali, del
potere.

La violazione dei principi generali. Si discute se la nozione di violazione di legge includa anche la violazione
dei principi generali dell’azione amm ai quali fa rinvio l’art 1 l 241 (imparzialità, proporzionalità,
irretroattività del provvedimento) in passato sussunti nella categoria dell’eccesso di potere. Per es, la
disparità di trattamento può essere concepita come una violazione degli artt 3 e 97 cost, oppure come una
figura sintomatica dell’eccesso di potere. Oppure il difetto di motivazione può essere considerato come una
violazione dell’art 3 l 241.

La dequotazione dei vizi formali. La principale distinzione interna alla violazione di legge è quella tra vizi
formali (errores in procedendo) e vizi sostanziali (errores in judicando). L’art 21-octies co 2, l 241 enuclea tra
le ipotesi di violazione di legge la “violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti” cioè una
subcategoria di vizi formali che, a certe condizioni, sono dequotati a vizi che non determinano l’annullabilità
del provvedimento. La disposizione pone 2 condizioni: 1) che il provvedimento abbia natura vincolata; 2)
che sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato.

Se si accerta che il potere è integralmente vincolato, ne deriva anche l’altra condizione, cioè che risulta
“palese” che anche in assenza del vizio formale o procedurale rilevato (per es mancanza di preavviso di
rigetto di una istanza o un vizio nella convocazione di un organo collegiale), il contenuto del provv sarebbe
rimasto invariato. In questo caso il provv non può essere annullato né dal giudice amm nell’ambito di un
giudizio di impugnazione, né dalla stessa amministrazione in sede di esercizio del potere di autotutela.
Infatti l’art 21-nonies l 241 prevede che l’amm può annullare il provv illegittimo ai sensi dell’art 21-octies
“esclusi i casi di cui al medesimo art 21-octies co 2”.

L’omessa comunicazione di avvio del procedimento. Il secondo periodo dell’art 21-octies, co 2 l 241,
individua una fattispecie dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento disciplinata dagli art 7 ss. L
241. L’operazione richiesta all’interprete è sempre la ricostruzione di quello che sarebbe stato l’esito del
procedimento ove tutte le norme sul procedimento e sulla forma fossero state rispettate. Se la conclusione
è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato,
l’atto non può essere annullato. La disposizione presenta però 2 specificità: 1)manca il riferimento alla
natura vincolata del potere; 2) si richiede all’amm che ha emanato l’atto di dimostrare “in giudizio” che il
vizio procedurale o formale accertato non ha avuto alcuna influenza sul contenuto del provvedimento.
Quanto al 1 aspetto, solo qualora risulti ex post che l’amm non aveva altra scelta legittima se non quella di
emanare un atto con quel contenuto, può operare il principio della non annullabilità per violazione delle
norme formali e procedurali.

La prova in giudizio. Quanto al 2 aspetto, l’onere della prova grava sull’amm nei confronti della quale sia
stato proposto un ricorso per l’annullamento del provvedimento viziato. Ciò comporta una deroga alle
regole processuali ordinarie che vietano all’amm di integrare la motivazione nel corso del giudizio. Infatti, in
questa fattispecie si ha un ampliamento dell’oggetto del giudizio agli elementi forniti dall’amm per
dimostrare che il vizio formale non ha inciso sul contenuto del provv impugnato. Poiché però la prova
richiesta dalla disposizione è una prova negativa, la giurisprudenza addossa sul ricorrente l’onere di allegare

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in giudizio gli elementi che sarebbero stati prodotti nell’ambito del procedimento ove la comunicazione di
avvio del procedimento fosse stata effettuata.

L’art 21-octies co 2 valorizza il principio di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (amministrazione


di risultato) a scapito di quello del rispetto della forma e della funzione di garanzia assolta dalle norme
relative al procedimento e alla forma. Il regime della legittimità degli atti amm si avvicina a quello degli atti
processuali per i quali vale il principio che “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto
lo scopo a cui è destinato” (art 156 co 3 cod proc civ).

L’esperienza di altri ordinamenti. L’art 21-octies co 2 si colloca nella scia di altri ordinamenti che hanno
introdotto da tempo disposizioni analoghe. Nell’ordinamento tedesco la legge sul procedimento amm non
consente l’annullamento di un atto assunto in violazione delle disposizioni sul procedimento, sulla forma e
sulla competenza territoriale “ove risulti in maniera palese che la violazione non abbia influito sul contenuto
della decisione”. Nell’ordinamento francese il conseil d’etat ha operato una distinzione tra formalités
substantielles e formalités non substantielles, emersa anche nel diritto europeo. L’art 263, co 3, tfue assegna
alla corte di giustizia il potere di pronunciarsi sui ricorsi per “violazione delle forme sostanziali”. È prevalente
l’orientamento secondo il quale il difetto di motivazione non può essere assimilato alla violazione di norme
procedimentali o ai vizi di forma e non può essere considerato un vizio non invalidante.

(Rilevanza sostanziale o processuale. È dubbio se la disposizione ex art 21-octies, co 2 abbia rilevanza


sostanziale, se cioè attenga al regime giuridico del provvedimento, o solo processuale perciò rileverebbe
solo ai fini dell’accertamento della sussistenza di uno dei presupposti processuali costituito dall’interesse a
ricorrere. Questa tesi però è smentita dalla modifica dell’art 21-nonies l 241 che esclude espressamente
l’annullamento d’ufficio in presenza di vizi formali ai sensi dell’art 21-octies co 2).

L’irregolarità. Secondo un’altra interpretazione, la disposizione avrebbe tipizzato in via legislativa una
fattispecie di irregolarità non invalidante del provvedimento. L’irregolarità del provv è un’imperfezione
minore del provv che non determina la lesione di interessi tutelati dalla norma d’azione. Danno origine a
irregolarità, per es, l’erronea indicazione di un testo di legge o di una data, la sottoscrizione illeggibile o la
mancanza di una firma ecc. L’irregolarità non rende invalido il provv che è suscettibile di regolarizzazione,
attraverso la rettifica del provvedimento.

In realtà è preferibile una 3 interpretazione che qualifica come illegittimi anche i provvedimenti non
annullabili ai sensi della disposizione (si è parlato di atto meramente illegittimo per distinguerlo da quello
anche annullabile). L’art 21-octies, co 2 ha stabilito che per alcuni atti illegittimi l’annullamento, che sia da
parte del giudice o d’ufficio, costituisce una reazione dell’ordinamento non proporzionata, visto che il provv
risulta sostanzialmente legittimo.

Altre conseguenze dei vizi formali e procedurali. Occorre individuare quali altre conseguenze possano
essere collegate ai vizi formali e procedurali. Escludendo la tutela risarcitoria per difficoltà di configurazione
di un danno derivante da un atto il cui contenuto non sarebbe stato comunque diverso, è ipotizzabile, a
certe condizioni, una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario al quale sia imputabile
la violazione formale o procedurale riscontrata. Potrebbe essere valutata l’opportunità di introdurre una
sanzione di tipo pecuniario a carico dell’amm, come già dispone il codice del processo amm in materia di
contratti pubblici: il giudice che accerta una violazione procedurale definita grave dal diritto europeo (per es
la mancata pubblicazione del bando di gara) non può sempre disporre anche l’inefficacia del contratto.
Questa possibilità gli è preclusa quando ci sono delle esigenze imperative connesse a un interesse generale
che rendono preferibile mantenere in vita il contratto aggiudicato illegittimamente. Il giudice però deve
irrogare alla stazione appaltante una sanzione pecuniaria (art 123). Anche nel caso di vizi formali non
invalidanti, al giudice amm potrebbe essere consentito di applicare un’analoga sanzione in luogo
dell’annullamento.

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16. c) L’eccesso di potere. L’eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali.
Esso mette in condizione il giudice di operare un sindacato che va oltre la verifica del rispetto dei vincoli
puntuali posti in modo esplicito dalla norma attributiva del potere (aspetti vincolati del potere) e che può
spingersi fino alle soglie del merito amministrativo.

L’eccesso di potere riguarda l’aspetto funzionale del potere, cioè la realizzazione in concreto dell’interesse
pubblico affidato alla cura dell’amm. Ecco perché è un vizio sconosciuto nel diritto privato. Salvi i casi
marginali di abuso di diritto, nei negozi privati i motivi ad essi sottostanti non hanno rilievo esterno al sogg
agente e sono giuridicamente irrilevanti.

L’eccesso di potere come vizio della funzione. L’elaborazione oggi prevalente definisce l’eccesso di potere
come vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che concretizza la norma astratta
attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. All’interno delle fasi del procedimento
(istruttoria, fase decisionale) possono emergere delle disfunzioni, delle incongruenze che danno origine
all’eccesso di potere.

Lo sviamento di potere. La figura primordiale dell’eccesso di potere è lo sviamento di potere: cioè la


violazione del vincolo del fine pubblico posto dalla norma attributiva del potere. Questa violazione si ha
quando il provv emanato persegue un fine diverso (pubblico o privato) da quello in relazione al quale il
potere è conferito dalla legge all’amm. A volte il fine pubblico non è posto espressamente dalla legge, ma va
ricavato in via interpretativa. Esempi di sviamento di potere sono: il trasferimento d’ufficio di un dipendente
pubblico non privatizzato, motivato da esigenze di servizio (riordino degli uffici) che in realtà hanno una
finalità punitiva; lo scioglimento governativo di un consiglio comunale per ripetute violazioni di legge che
sottende però una finalità politica; (il provvedimento comunale che nega l’installazione di un’antenna di
telefonia mobile per ragioni di tipo urbanistico-edilizio , che in realtà persegue il fine sanitario di
minimizzare l’esposizione dei residenti all’inquinamento elettromagnetico).

Figure sintomatiche dell’eccesso di potere. Nella pratica lo sviamento di potere è difficile da provare, in
quanto il provv, all’apparenza, è perfettamente conforme alle disposizioni normative che regolano quel
particolare potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza a rilevare il vizio attraverso le cd figure sintomatiche del
cattivo esercizio del potere discrezionale. Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere sono una categoria
aperta, non tipizzata dal legislatore. Esse possono riguardare la fase istruttoria del procedimento, o la fase
decisionale. Poi ci sono le figure sintomatiche intrinseche, che emergono direttamente dall’analisi del
provvedimento e degli atti procedimentali (per es la contraddittorietà della motivazione), e figure
sintomatiche estrinseche, che emergono dal confronto tra provvedimento ed elementi di contesto esterno
(altri atti emanati in situazioni analoghe, direttive, circolari, criteri fissati in sede di autovincolo della
discrezionalità).

Le principali figure sintomatiche. C1) Errore o travisamento dei fatti. Si ha quando il provv viene emanato
sul presupposto, richiamato nell’atto medesimo, dell’esistenza di un fatto o una circostanza che risulta
invece inesistente, o viceversa, della non esistenza di un fatto che invece risulta esistente. Si ha quindi in
questo caso la figura dell’eccesso di potere per errore di fatto (o travisamento dei fatti o falso presupposto
in fatto). (Si pensi per es, all’imposizione di un obbligo di bonifica ambientale di un terreno nel quale invece
si dimostra che non sono presenti sostanze inquinanti, o comunque che se non superano i valori massimi
consentiti dalle norme vigenti); al diniego di un permesso di costruire a causa di un vincolo paesaggistico
giustificato dalla natura boschiva del terreno che invece ormai da molti anni è in gran parte privo di alberi, o
a un piano regolatore che non indichi nelle planimetrie un edificio di cui è certa la preesistenza. L’errore di
fatto può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente, sia in
seguito all’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amm. (Quest’ultimo non incontra più alcun
limite giuridico a un accertamento pieno dei fatti autonomo rispetto a quello operato nel provvedimento
impugnato). Non rileva se l’errore è inconsapevole o volontario. Inoltre, l’errore di fatto riguarda solo la

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percezione oggettiva della realtà materiale e non anche il momento della valutazione dei fatti da parte
dell’amm rimessa al suo apprezzamento. C2) Difetto di istruttoria. Nella fase istruttoria del procedimento
l’amm deve accertare in modo completo i fatti, acquistare gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile
per operare una scelta consapevole e ponderata. Quando quest’attività svolta dal responsabile del
procedimento nominato ai sensi della l 241, manchi del tutto o sia effettuata in modo frettoloso, incompleto
o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di
istruttoria. Per es, è illegittima la decadenza da una concessione di uso di un bene demaniale ove non risulti
appurato che l’attività del concessionario sia posta in essere in violazione delle condizioni e dei limiti apposti
nel provv. Un piano urbano del traffico comunale non può porre limiti di accesso al centro storico ove i flussi
di traffico comunale non dimostrino una situazione di congestione. Non può essere imposto un vincolo
storico-artistico su un’area nella quale non sono state condotte indagini sufficienti che provino l’esistenza di
reperti archeologici significativi. A differenza dell’errore di fatto, nel caso del difetto di istruttoria, annullato
l’atto e posta in essere una nuova istruttoria, questa volta in modo corretto, l’amm potrebbe adottare un
atto con il medesimo contenuto. C3) Difetto di motivazione. Nella motivazione del provv, l’amm deve dar
conto, in sede di decisione, delle ragioni che sono alla base della scelta operata. Per quanto sintetica, essa
deve consentire una verifica dell’iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel
provvedimento, (traendo le fila degli elementi istruttori rilevanti e operando la ponderazione degli
interessi).

La motivazione insufficiente. Il difetto di motivazione ha varie sfaccettature. In 1 luogo, la motivazione può


essere insufficiente, incompleta o generica, se da essa non traspare in modo percepibile l’iter logico seguito
dall’amm e non emergono le ragioni sottostanti la scelta operata. Per es, per poter imporre un vincolo
paesaggistico su un bene l’amm deve illustrare perché esso abbia le caratteristiche che consentano
l’applicazione del regime protettivo e non si può limitare ad affermazioni generiche. L’amm è tenuta a
valutare gli apporti partecipativi di chi interviene nel procedimento (art 10 l 241) e a dare conto delle ragioni
per le quali non accoglie le osservazioni presentate dall’interessato al quale è comunicato il preavviso di
rigetto di un’istanza (art 10-bis). Inoltre l’organo competente ad adottare il provvedimento finale, ove
ritenga di discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, deve darne
conto nella motivazione (art 6 co 1 let e)). La motivazione può consistere solo in un “sintetico riferimento al
punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” nel caso in cui l’amm ritenga un’istanza manifestamente
inammissibile o infondata (art 1, co 2 l 241). (In realtà non esiste un criterio univoco per determinare se una
motivazione sia sufficiente; comunque quanto più è ampia la discrezionalità dell’amm e quanto più gravosi
sono gli effetti del provvedimento nella sfera sogg dei destinatari, tanto più elevato è lo standard
quantitativo e qualitativo imposto alla motivazione). Per prassi per es, i provv delle AAI, che spesso hanno
un impatto sui mercati regolati molto rilevante, sono emanati con una motivazione molto ampia.

Illogicità, contraddittorietà, perplessità della motivazione. La motivazione può essere illogica e


contraddittoria, quando contenga proposizioni o riferimenti a elementi incompatibili tra loro. Oppure può
essere perplessa quando non consente di individuare con precisione il potere che l’amm ha inteso
esercitare, per es quando enuncia motivi disparati, riconducibili a norme attributive di poteri diversi da
esercitare ciascuno per un proprio fine. Per es il provvedimento che ordina di abbattere una costruzione ove
non risulti chiaro se esso è emanato nell’esercizio del potere di sanzionare un abuso edilizio o del potere di
prevenire pericoli all’incolumità pubblica. Anche nel caso del difetto di motivazione, non si esclude che una
volta annullato il provvedimento, l’amm possa emanarne uno di contenuto identico, emendato dal vizio
rilevato. Tuttavia non è consentito all’amm integrare o emendare la motivazione del provv in sede di
giudizio. Nel caso in cui la motivazione manchi del tutto, il vizio può essere qualificato come violazione di
legge, perché l’obbligo di motivazione ora è previsto espressamente dall’art 3 l 241.

La motivazione in forma numerica. Una questione dibattuta è se nel caso dei concorsi o delle procedure di
aggiudicazione di contratti pubblici l’attribuzione dei punteggi assolva di per sé all’obbligo di motivazione

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oppure se essa debba essere ulteriormente sviluppata in forma discorsiva. La giurisprudenza ritiene
legittima la motivazione in forma numerica se sono stati definiti a monte parametri per l’attribuzione del
punteggio, suddivisi magari anche in subparametri molto analitici.

C4)Illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà. Emerge un vizio di eccesso di potere tutte le volte che il
contenuto del provvedimento e le statuizioni dello stesso (enunciate nel dispositivo) fanno emergere profili
di illogicità o irragionevolezza, apprezzabili in modo oggettivo in base a canoni di esperienza. Per es, un
provv di diffida a cessare e a porre rimedio a una violazione di una norma amm non può assegnare al
diffidato un termine così breve da non poter essere rispettato. Un bando di un concorso per l’assunzione di
dipendenti pubblici non può richiedere il possesso di titoli che non siano correlati alle mansioni che i
vincitori saranno chiamati a svolgere.

La contraddittorietà interna ed esterna. La contraddittorietà interna al provv è una sottospecie


dell’illogicità e irragionevolezza. Essa emerge se non vi è coerenza tra le premesse del provvedimento e le
conclusioni tratte nel dispositivo. Si pensi a un piano regolatore che prevede la destinazione a servizi
pubblici di un’area in cui insistono attività industriali, contraddicendo la relazione illustrativa che enuncia
l’obiettivo di difendere e incrementare le attività produttive. Tutti i passaggi dell’iter argomentativo seguito
dall’amm (ed esplicitato nella motivazione) devono essere legati da un rapporto di consequenzialità logica.
La contraddittorietà può essere anche esterna al provv, quando è rilevabile dal raffronto tra provv
impugnato e altri provvedimenti precedenti dell’amm che riguardano lo stesso soggetto. Si pensi al
provvedimento che esprime una valutazione non positiva ai fini dell’avanzamento di carriera di un militare
di alto grado che ha ottenuto una serie continua di giudizi encomiastici in relazione ai servizi prestati nel
corso della carriera. Se invece la contraddittorietà riguarda provvedimenti emanati nei confronti di sogg
diversi, si ha la fig sint della disparità di trattamento. La contraddittorietà interna o esterna è una violazione
del principio di coerenza che deve presiedere all’agire della p.a.

C5)Disparità di trattamento. Il principio di coerenza e eguaglianza impongono all’amm di trattare in modo


eguale casi eguali. Il vizio emerge sia quando casi eguali sono trattati in modo diseguale, sia quando casi
diseguali sono trattati in modo eguale. Per stabilire in concreto se le situazioni da confrontare siano
identiche o differenziate si utilizza il criterio di ragionevolezza. Questo vizio emerge spesso nei giudizi
comparativi, nel riconoscimento di benefici ai dipendenti pubblici o nelle progressioni di carriera. Affinchè
possa essere censurata la disparità di trattamento occorre che il provvedimento sia discrezionale (il vizio
non è deducibile nel caso di atti vincolati). La comparazione si deve riferire a provvedimenti legittimi.
L’emanazione di un atto illegittimo a favore di uno o più sogg non può fondare la pretesa di un altro sogg a
vedersi riconoscere sempre illegittimamente la stessa pretesa. (Per es, il fatto che una sanz amm non venga
irrogata per negligenza nei confronti di alcuni sogg in relazione a un divieto di sosta, non può essere
invocato a giustificazione da altri sogg a cui sia contestata un’analoga violazione).

C6) Violazione delle circolari e delle norme interne, della prassi amministrativa. L’attività della p.a. deve
essere posta in essere non solo in conformità con le disposizioni contenute in leggi, regolamenti e in altre
fonti normative (rispetto alle quali può insorgere il vizio di violazione di legge). Essa deve essere conforme
anche alle norme interne contenute in circolari, direttive, atti di pianificazione o altri atti contenenti criteri e
parametri di vario tipo (anche posti in sede di autovincolo alla discrezionalità) che hanno lo scopo di
orientare l’esercizio della discrezionalità da parte dell’organo competente a emanare il provv. (I principi di
coerenza e di rispetto dell’assetto organizzativo dell’amm richiedono che l’organo titolare di un potere
discrezionale, quando emana un provv, tenga conto delle norme interne). Se ciò non avviene emerge un
sintomo dell’eccesso di potere. Per evitare tale vizio il titolare del potere deve esplicitare nella motivazione
le ragioni per cui ha disatteso nel caso concreto le prescrizioni poste da norme interne. Una particolare
specie di norma interna è la prassi amministrativa che si forma all’interno delle amm attraverso una serie di
comportamenti e decisioni assunte in situazioni similari. Anch’essa crea un vincolo di coerenza e di parità di

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trattamento perciò se l’amm disattende la prassi seguita in precedenza senza motivare le ragioni che
giustificano tale deviazione, l’atto è affetto da eccesso di potere.

C7) Ingiustizia grave e manifesta. In qualche rara occasione la giurisprudenza per ragioni equitative, si
spinge fino al punto di censurare provvedimenti discrezionali il cui contenuto appaia manifestamente
ingiusto. Il caso da cui trae origine questa fig sint riguarda l’esonero dal servizio per scarso rendimento di un
dipendente delle ferrovie (cons. st. sez. iv, n 565/1925). Quest’ultimo aveva subito un incidente sul lavoro
con effetti disabilitanti permanenti, e ciò aveva indotto in un 1 momento l’amm ad adibirlo a mansioni meno
impegnative. A breve distanza di tempo il dipendente veniva però esonerato per scarso rendimento.
L’ingiustizia manifesta è un fig sint che si pone al confine tra il sindacato di legittimità e il sindacato di
merito. Affinchè non si debordi nel merito il carattere ingiusto del provv deve essere “manifesto”, cioè di
immediata evidenza per qualsiasi persona di sensibilità media.

Altre figure sintomatiche. (La violazione del principio di proporzionalità è sussunta nella categoria
dell’eccesso di potere). Anche il disconoscimento del legittimo affidamento ingenerato dall’amm può essere
visto come una violazione del principio di coerenza dell’azione amm. Questi principi però hanno ormai un
fondamento legislativo tramite il rinvio all’ordinamento europeo contenuto all’art 1 l 241 e quindi la loro
violazione è qualificata come violazione di legge. Non si esclude che possano emergere anche nuove figure,
come per es, sulla scia dell’ordinamento francese, per es, l’eccesso di potere in relazione all’errata analisi
costi-benefici della scelta operata nel provv, cioè a una scelta discrezionale onerosa per l’amm e il
destinatario del provv senza che essa porti risultati significativi per il conseguimento dell’interesse pubblico.

La giustificazione teorica delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere è controversa.

Le figure sintomatiche come presunzioni. 1) secondo alcune teorie esse rilevano come prove indirette dello
sviamento di potere e hanno una valenza processuale. Possono essere ricondotte allo schema civilistico
delle presunzioni. Queste secondo la definizione del cc sono le conseguenze (l’illegittimità dell’atto) che il
giudice ritrae da un fatto noto (la figura sint) per risalire a un fatto ignoto (l’eccesso di potere). Si discute se
l’amm possa dimostrare che, nonostante il sintomo, non sussiste uno sviamento. In realtà, questa prova
contraria non è compatibile con la struttura attuale del processo amm, che è ancora ispirato al principio del
divieto di integrazione della motivazione del provv in corso di giudizio.

Le figure sint come violazione di principi generali dell’azione amministrativa. 2) secondo altre teorie, le fig
sint hanno ormai una completa autonomia dallo sviamento di potere e una valenza sostanziale. Esse sono
riconducibili alla violazione dei principi che presiedono all’esercizio della discrezionalità: di logicità,
ragionevolezza (proporzionalità, coerenza, congruità), di completezza dell’istruttoria, di parità di
trattamento e imparzialità, di giustizia sostanziale, accettabilità, ecc. (In applicazione di questi canoni, il
giudice analizza tutte le fasi dell’esercizio del potere discrezionale ripercorrendo l’iter seguito e verificando
la ricostruzione della situazione di fatto e l’acquisizione di tutti gli elementi rilevanti per la decisione (nella
fase istruttoria), la valutazione e ponderazione degli interessi acquisiti espressa nella motivazione del provv,
la coerenza tra le premesse e il dispositivo del provv, gli altri elementi del contesto (norme interne, prassi
amm)). In questa verifica il giudice non entra nel merito delle scelte discrezionali sostituendo la propria
valutazione a quella effettuata dall’amm, ma “riesamina l’iter logico di formazione del provvedimento
amministrativo” cogliendone le incongruenze. Il sindacato sul provvedimento dell’amm può essere anche
molto penetrante, ma resta sempre esterno e indiretto e pertanto non deborda dal perimetro del sindacato
di legittimità.

Le figure sintomatiche come clausole generali. 3) di recente, le fig sintomatiche sono state ricondotte alle
clausole generali (buona fede, imparzialità) che fanno sorgere obblighi comportamentali nell’ambito del
rapporto giuridico amministrativo intercorrente tra la p.a. e il cittadino.

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17. La nullità. È una categoria introdotta in via giurisprudenziale che ha ormai un fondamento nel diritto
positivo.

Ipotesi tassative di nullità. L’art 21-septies l 241 individua 4 ipotesi tassative di nullità: 1) la mancanza degli
elementi essenziali: anche se la l241 non li elenca in modo preciso e rimette all’interprete il compito di
individuare le singole fattispecie; si pensi all’espropriazione di un edificio distrutto o di un bene demaniale.
2) il difetto assoluto di attribuzione, esso corrisponde alla figura dello straripamento di potere che avrebbe
potuto costituire l’archetipo dell’eccesso di potere; 3)la violazione o elusione del giudicato; essa si ha
quando l’amm, in sede di nuovo esercizio del potere in seguito all’annullamento pronunciato dal giudice con
sent passata in giudicato, emana un nuovo atto che si pone in contrasto con quest’ultimo quando la sent
ponga un vincolo puntuale e non lasci all’amm alcun spazio di valutazione. (Il nuovo atto “ignora e
palesemente trascura il sostanziale contenuto del giudicato (…) e manifesta il reale intendimento dell’amm
di sottrarsi al giudicato” (cons st sez IV n 4, 1964)).Uno dei casi emblematici di questo filone
giurisprudenziale riguarda un concorso pubblico: il giudice amm aveva riconosciuto a un partecipante il
diritto a ottenere un punteggio più alto e aveva annullato il provv dell’amm, che successivamente aveva
confermato in un nuovo provv lo stesso punteggio inferiore. In un primo periodo la giurisprudenza riteneva
che l’elusione del giudicato fosse causa di nullità e potesse essere dedotta nel giudizio di ottemperanza (cioè
in sede di giudizio di esecuzione). Al contrario, la semplice violazione del giudicato, che si ha quando il
nuovo atto è affetto da vizi non riconducibili in modo immediato al giudicato non si configura come un
intento elusivo, e rendeva l’atto annullabile e il vizio andava fatto valere in un normale giudizio di
impugnazione. Questa distinzione venne superata negli anni 90 del sec scorso dalla giurisprudenza che ha
ritenuto esperibile il giudizio di ottemperanza tutte le volte che il ricorrente faccia valere una difformità tra
atto emanato in sostituzione di quello annullato e accertamento contenuto nella sent da eseguire. Questa
soluzione è accolta all’art 21-septies; 4) gli altri casi espressamente previsti dalla legge: cioè i casi in cui la
legge qualifica espressamente come nullo un atto amm (nullità testuale). Per es, spesso leggi di
contenimento della spesa prevedono la nullità di atti di assunzione di dipendenti pubblici in violazione di
divieti in esse previsti. (Oppure il testo unico degli impiegati civili dello stato comminava la nullità delle
assunzioni senza concorso. Il codice dei contratti pubblici sancisce la nullità delle clausole dei bandi di gara
che introducono casi di esclusione dei concorrenti ulteriori rispetto a quelle contenute in un lungo elenco
stabilito dalla legge). A volte la nullità è disposta dalla legge con riguardo a termini di conclusione di
procedimenti amm qualificati espressamente come perentori. Un’ipotesi di nullità prevista dalla legge
riguarda gli atti adottati da organi collegiali scaduti, decorso il periodo di prorogatio di 45 gg durante il quale
possono essere posti in essere solo atti di ordinaria amm. (Altro è l’inesistenza che si ha quando mancano
gli elementi minimi per identificare l’atto come amministrativo).

Gli atti emanati in violazione del diritto europeo. Si è discusso se un’ipotesi di nullità sia costituita dagli atti
adottati dall’amm in applicazione di norme nazionali contrastanti con il diritto europeo. È prevalso
l’orientamento che qualifica tale atto solo come annullabile in ragione dell’esigenza di certezza dei rapporti
giuridici di diritto pubblico. Del resto, a livello europeo, gli atti emanati in violazione dei trattati o di altre
norme europee ricadono nel regime della annullabilità; il provvedimento però è considerato nullo quando
la norma attributiva del potere si pone in violazione del diritto europeo.

L’azione di nullità. L’art 31, co4 del codice del processo amm disciplina l’azione per la declaratoria della
nullità (azione di accertamento) che può essere proposta innanzi al giudice amm entro un termine di
decadenza breve di 180 gg. A differenza di ciò che accade per l’annullabilità, la nullità può essere rilevata
d’ufficio dal giudice o opposta dalla parte resistente (p.a.). Inoltre l’art 133, co 1, lett a), n 5 attribuisce alla
giurisdizione esclusiva del giudice amm le controversie relative alla nullità dell’atto adottato in violazione o
elusione del giudicato. Il vizio va fatto valere nella sede del giudizio dell’ottemperanza, cioè del rito speciale
previsto nel caso di mancata esecuzione da parte della p.a. delle sent del giudice amm e del giudice

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ordinario. Il ricorso può essere proposto nel termine di 10 anni dal passaggio in giudicato della sent e il
giudice ove accolga il ricorso emana una sent che dichiara la nullità del provv.

18. L’annullamento d’ufficio, la convalida, la ratifica, la sanatoria, la conferma, la conversione, la revoca, il


recesso.

Parliamo ora dei provvedimenti che l’amm può emanare per porre rimedio all’invalidità o alla non
conformità all’interesse pubblico di un provv amministrativo.

L’annullamento d’ufficio. L’annullamento del provv illegittimo può essere pronunciato dal giudice amm,
dalla stessa amm in sede di esame dei ricorsi amministrativi (ricorsi gerarchici), dagli organi amministrativi
preposti al controllo di legittimità di alcune categorie di provvedimenti. In queste ipotesi l’annullamento è
doveroso, cioè deve essere necessariamente pronunciato ove sia accertato un vizio. L’annullamento d’ufficio
invece ha carattere discrezionale; esso costituisce un potere di autotutela che può essere esercitato dallo
stesso organo che ha emanato l’atto (autoannullamento) o da altro organo al quale sia attribuito per legge
(per es annullamento gerarchico) o, a livello statale, dal ministro nei confronti degli atti adottati dai dirigenti.
Una specie particolare di annullamento d’ufficio è quello attribuito al consiglio dei ministri nei confronti di
tutti gli atti degli apparati statali e locali (ex l n 400/88 e art 138 d.lgs. n 267/2000). Si tratta del cd
annullamento straordinario del governo a “tutela dell’unità dell’ordinamento” e richiede l’acquisizione
preventiva di un parere del consiglio di stato. Per es si può ricordare l’annullamento dello statuto del
comune di Genova che attribuiva l’elettorato attivo agli stranieri residenti.

I presupposti dell’annullamento d’ufficio. Affinchè l’amm possa esercitare legittimamente il potere di


annullamento d’ufficio devono sussistere 4 presupposti esplicitati dall’art 21-nonies l 241. 1) occorre che il
provvedimento sia “illegittimo ai sensi dell’art 21-octies” e quindi sia affetto da un vizio di violazione di
legge, incompetenza o eccesso di potere, ma non si deve ricadere in una delle ipotesi di vizi formali di cui al
co 2 dell’art in questione. 2) devono sussistere “ragioni di interesse pubblico” rimesse alla valutazione
discrezionale dell’amm, che rendano preferibile la rimozione dell’atto e dei suoi effetti piuttosto che la loro
conservazione, pur in presenza dell’illegittimità accertata. Non è sufficiente l’interesse astratto al ripristino
della legalità violata, ma l’amm deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere
presente al momento in cui è disposto l’annullamento d’ufficio, (per es l’interesse alla concorrenza nel caso
di affidamento di un contratto pubblico senza esperire la procedura di gara). 3) L’annullamento d’ufficio
richiede una ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Devono essere
valutati, oltre all’interesse pubblico all’annullamento, quello del destinatario del provv, che per es, ha
ottenuto un provv favorevole tale da ingenerale una situazione di affidamento, e anche quello degli
eventuali controinteressati come per es, i proprietari di terreni confinanti con quello in relazione al quale è
stato rilasciato un permesso a costruire illegittimo. 4) l’annullamento può essere disposto “entro un termine
ragionevole”, principio espresso dalla giurisprudenza europea e previsto anche in altri ordinamenti. Se è
trascorso un lungo lasso di tempo dall’emanazione del provv illegittimo, prevale l’interesse a mantenere
inalterato lo status quo e a tutelare l’affidamento creato. Se invece l’amm rileva immediatamente
l’illegittimità del provv emanato, magari prima ancora che esso sia portato a esecuzione, essa può
procedere all’annullamento d’ufficio. Stabilire se il termine è “ragionevole” rientra nella discrezionalità
dell’amm. Tuttavia, l’art 6 l 124/2015, fissa per alcuni tipi di provv (di autorizzazione e di attribuzione di
vantaggi economici) il termine di 18 mesi decorso il quale l’amm decade dal potere. Nel caso di provv che
comportano esborsi di danaro da parte dell’amm, si ritiene che l’interesse pubblico all’annullamento
d’ufficio sussista in re ipsa, cioè non richiede una motivazione particolare. Il potere di annullamento d’ufficio
deve essere esercitato nel rispetto delle regole generali della l 241 in tema di comunicazione e avvio del
procedimento e di partecipazione dei sogg interessati. (Attesa la natura discrezionale dell’annullamento
d’ufficio, l’amm non è tenuta a prendere in esame e dar seguito a segnalazioni ed esposti da parte di sogg
privati che denunciano l’illegittimità di un atto amm).

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La convalida. In alternativa all’annullamento d’ufficio, l’art 21-nonies, co 2 prevede che l’amm possa
procedere alla convalida del provv illegittimo, sempre in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro
un termine ragionevole in linea con il principio di conservazione dei valori giuridici. A differenza di ciò che
avviene nei rapporti interprivati, nei quali la convalida del negozio è una facoltà del sogg leso al quale spetta
l’azione di annullamento, la convalida del provv amm è operata dalla stessa amm cui è imputabile il vizio
rilevato. Si tratta comunque di un istituto ha un ambito limitato anche in conseguenza del principio della
dequotazione dei vizi formali di cui all’art 21-octies l 241.

La ratifica. Ove la convalida riguardi il vizio di incompetenza è ricorrente l’espressione di ratifica. Tuttavia, la
ratifica si riferisce, propriamente, alle ipotesi in cui all’interno di un’amm pubblica un organo può, in base
alla legge, esercitare in caso d’urgenza una competenza attribuita in via ordinaria a un altro organo, che poi
è chiamato a far proprio l’atto emanato (come nella rappresentanza nel cc). Per es, negli enti locali, in caso
di urgenza molti atti attribuiti alla competenza del consiglio comunale, possono essere emanati dalla giunta,
salvo ratifica. Si tratta quindi di un fenomeno che non attiene alla patologia del provv.

La sanatoria. Si ha quando l’atto è emanato in carenza di un presupposto e quest’ultimo si materializza in un


momento successivo, oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere
dopo il provv conclusivo (per es un accertamento tecnico intervenuto dopo l’emanazione dell’atto).

La conferma e l’atto confermativo. All’esito di un procedimento di riesame aperto su sollecitazione di un


privato o d’ufficio, l’amm può pervenire alla conclusione che il provv, nonostante i dubbi iniziali, non è
affetto da nessun vizio. In questi casi l’amm emana un provv di conferma. In giurisprudenza si distingue tra
conferma (provvedimento autonomo dal contenuto identico rispetto a quello oggetto del riesame) e atto
meramente confermativo (con il quale l’amm si limita a comunicare al privato che chiede il riesame, che non
vi sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova valutazione). L’atto confermativo non è
un nuovo provv suscettibile di essere impugnato.

La conversione. (1424 cc). Ai provv affetti da nullità e da annullabilità si ritiene applicabile, anche in assenza
di una disposizione legislativa espressa, la conversione.

La revoca. Anche i provv validi sono suscettibili di un riesame avente per oggetto il merito (opportunità),
cioè la conformità all’interesse pubblico dell’assetto di interessi risultante dall’atto emanato, attraverso la
revoca.

Il diritto privato non ammette revoca relativa ad atti che abbiano già prodotto effetti nella sfera giuridica di 3
in relazione al principio di stabilità e certezza dei rapp giuridici. Un caso eccezionale è quello della revoca
della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli. Diversa invece è la revoca del testamento,
che si riferisce a un atto che non ha ancora prodotto effetti nella sfera g degli eredi e degli altri beneficati,
oppure quella della proposta contrattuale che è ammessa finché il contratto non è concluso. Ex art 1328.

Nel diritto amm invece, il potere di revoca è considerato come una manifestazione del potere di autotutela
della p.a. ed è sempre ammesso dalla giurisprudenza. Si pensi al caso delle concessioni di illuminazione a
gas rilasciate a livello comunale, revocate in seguito alla possibilità di impiego di lampade elettriche. Il
potere di revoca ha carattere discrezionale, ed è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la
conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provv amministrativo.

La revoca per sopravvenienza. L’art 21-quinquies, co 1, distingue 2 fattispecie: la revoca per sopravvenienza
e la revoca espressione dello jus poenitendi. La prima è la revoca per sopravvenuti motivi di pubblico
interesse che interviene quando l’amm opera una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di fattori
ed esigenze sopravvenute. Si pensi alla destinazione di un tratto di spiaggia non più a balneazione, ma a
riserva naturale, oppure al recesso dagli accordi integrativi o sostitutivi del provv previsto dall’art 11, co 4, l
241, (oppure al mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provv).

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La revoca jus poenitendi riguarda l’ipotesi di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario che si ha
quando l’amm si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi nel momento in cui
ha emanato il provv. Si tratta di un’ipotesi di dubbia compatibilità con il diritto europeo. Nel 2014 l’art 21-
quinques l 241 è stato modificato nel senso di vietare questo tipo di revoca in relazione ai provvedimenti di
autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici e ciò per attribuire almeno in alcuni ambiti maggiore
stabilità e certezza al rapp giuridico amm. La revoca può essere disposta dallo stesso organo che ha
emanato l’atto ovvero da altro organo previsto dalla legge. (Nell’equilibrio dei poteri spettanti al ministro e
ai dirigenti, il d.lgs. 165/2001 esclude che il primo possa revocare gli atti emanati dai 2, mentre prevede che
possa annullarli d’ufficio).

L’efficacia ex nunc della revoca. A differenza dell’annullamento d’ufficio che ha efficacia retroattiva (ex
nunc), la revoca determina l’inidoneità del provv revocato a produrre ulteriori effetti (ex nunc). La revoca ha
per oggetto provvedimenti a efficacia durevole, per es le concessioni di servizi pubblici. Tuttavia il co 1-bis
art 21 quinques, nel disciplinare l’indennizzo fa riferimento anche ad atti aventi efficacia istantanea nei casi
in cui incidano su rapporti negoziali. Tuttavia non sono suscettibili di revoca i provv che hanno già prodotto
gli effetti o siano stati interamente eseguiti. Non sono suscettibili di revoca nemmeno gli atti vincolati e le
certificazioni e le valutazioni tecniche. L’art 21-quinques prevede un obbligo generalizzato di indennizzo nei
casi in cui la revoca comporta pregiudizi in danno dei sogg direttamente interessati. Prima dell’introduzione
di questo art nel 2005, l’indennizzo era previsto dalla legge solo in rare fattispecie: per es in materia di
servizi pubblici locali era imposto l’obbligo di corrispondere al gestore un equo indennizzo e venivano dettati
alcuni criteri per la quantificazione in caso di revoca della concessione, o anche in materia di accordi
integrativi e sostitutivi del provv, l’art 11 l 241 stabilisce l’obbligo di indennizzo in caso di recesso.

I criteri di quantificazione. I commi 1-bis e 1-ter dell’art 21-quinquies pongono dei criteri per quantificare
l’indennizzo in caso di revoca di atti che incidono su rapporti negoziali nell’obiettivo di ridurne l’importo.
L’indennizzo è limitato al danno emergente, escludendo il lucro cessante, ed è suscettibile di un’ulteriore
riduzione in relazione alla “conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto
oggetto di revoca all’interesse pubblico”. Una riduzione è stabilita anche nel caso di concorso dei contraenti
o di altri sogg all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico. Le controversie
relative alla quantificazione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amm (art
133, co 1, lett, a), n 4, codice del processo amm). Dato che si tratta di un atto discrezionale, la revoca
richiede una motivazione. Sotto il profilo procedimentale, è un procedimento di 2 grado che si apre con la
comunicazione di avvio e che è aperto alla partecipazione dei sogg interessati.

La revoca sanzionatoria e il mero ritiro. La revoca ex art 21-quinquies è diversa dalla revoca sanzionatoria
(decadenza) e dal mero ritiro. La revoca sanzionatoria può essere disposta dall’amm nel caso in cui il privato,
destinatario di un provv amm favorevole, non rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti (per es il ritiro di
un porto d’armi in caso di abuso), oppure non intraprenda l’attività oggetto del provv entro il termine
previsto (per es nel caso dell’autorizzazione commerciale o del permesso a costruire). In alcuni casi la revoca
sanzionatoria costituisce un atto vincolato. Il mero ritiro ha per oggetto gli atti amm che non sono ancora
efficaci. Può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica
dell’interesse pubblico perché non ha ancora inciso direttamente su situazioni g s di sogg 3. Esso è
assimilabile alla revoca del testamento o della proposta contrattuale.

Il recesso dai contratti. L’art 21-sexies l 241 disciplina anche il recesso unilaterale dai contratti della p.a.
prevedendo che esso sia ammesso solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto. È una disposizione che
riguarda l’attività negoziale di diritto privato della p.a. Tra le disposizioni leg che disciplinano il recesso dai
contratti vi è quella in tema di comunicazioni e certificazioni antimafia che lo prevede nei casi in cui
emergano tentativi di infiltrazione mafiosa. Nel settore delle opere pubbliche, la stazione appaltante ha il
diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto previo pagamento dei lavori eseguiti, del valore dei

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materiali utili esistenti in un cantiere e di un utile di impresa determinato in modo forfettario nel 10% delle
opere non più eseguite.

CAPITOLO 5. IL PROCEDIMENTO.

1.Nozione e funzioni del procedimento. Il procedimento amm è la sequenza di atti e operazioni tra loro
collegati funzionalmente in vista e al servizio dell’atto principale cioè del provvedimento produttivo di effetti
nella sfera giuridica di un sogg privato.

Fatti semplici e fatti complessi. Il procedimento è una nozione di teoria generale collegata alle modalità di
produzione di un effetto giuridico. Nello schema norma-fatto-effetto, alcune volte l’effetto giuridico si
produce al verificarsi di un singolo accadimento (fatto giuridico semplice); altre volte al verificarsi di una
pluralità di accadimenti (fatti complessi). (Per es la conclusione di un contratto richiede una duplice
manifestazione di volontà (proposta e accettazione ex art 1326)). Nel caso di fatti complessi l’effetto
giuridico deriva da una combinazione di eventi, comportamenti o atti che devono verificarsi o essere posti in
sequenza (fattispecie a formazione successiva).

La fattispecie complessa a formazione successiva. Nella fattispecie a formazione successiva l’effetto


giuridico si produce solo quando la sequenza si è integralmente realizzata secondo l’ordine normativamente
dato. Prima di questo momento possono sorgere al massimo effetti prodromici. Per es nel contratto
sottoposto a condizione (sospensiva o risolutiva), già in pendenza della condizione sorge in capo alle parti il
dovere di comportarsi secondo buona fede in modo da conservare integre le ragioni dell’altra parte. (Nella
vendita di cosa futura, l’effetto giuridico traslativo si realizza quando la cosa viene ad esistenza (art 1472),
ma in capo al venditore sorge subito l’obbligo di non impedire che la cosa venga in essere).

I presupposti. Sono esterni alla fattispecie i cd presupposti: cioè i fatti che non concorrono direttamente alla
produzione dell’effetto giuridico, ma si collocano a monte della fattispecie. Per es la morte di una persona è
il presupposto perché possa aprirsi la successione.

La genesi storica della nozione. Nel diritto amm, dopo una fase in cui la nozione di procedimento fu
ignorata, a partire dalla 2 metà del sec scorso essa assunse rilievo crescente in dottrina e giurisprudenza.
(Con la l 241 il procedimento è assurto al rango di istituto cardine del sistema). In origine, dopo la legge del
1889 istitutiva della iv sez del cons di st, l’attenzione di dott e giuris si concentrò esclusivamente sull’atto
amm. Il problema più immediato fu quello di distinguere gli atti impugnabili da quelli non impugnabili (per
es un parere o una proposta). (Inoltre i tempi non erano maturi per far emergere la rilevanza giuridica degli
atti e delle operazioni prodromici all’emanazione del provvedimento. L’unico punto di contatto tra gli
apparati pubblici e la sfera giuridica dei sogg privati era dato dall’atto produttivo di effetti autoritativi).

L’atto complesso. Il procedimento trovò il suo ingresso nel diritto amm negli anni 30 del sec scorso; venne
elaborata la nozione di atto complesso, cioè del provv che è frutto della confluenza di manifestazioni di
volontà provenienti da più sogg, tutte necessarie per la produzione dell’effetto giuridico. Es classico era il
decreto reale assunto su proposta di un ministro. (Emersero poi distinzioni sempre più sofisticate (atto
composto, continuato ecc)).

Le principali ricostruzioni. Sono state offerte in dottrina varie ricostruzioni del procedimento amm. 1)la 1
elaborazione organica del procedimento amm risalente al 1940, operò un’analisi formale e strutturale degli
atti e delle operazioni della sequenza procedimentale e delle fasi in cui questa è articolata (fase
preparatoria, costitutiva, integrativa dell’efficacia). 2) un’altra ricostruzione collocò il procedimento
all’interno della dinamica del potere cioè come momento della concretizzazione del potere in un atto,
ovvero della trasformazione del potere (in astratto) in un atto produttivo di effetti nella sfera giuridica di un
determinato sogg (potere in concreto). 3) una 3 ricostruzione della dottrina era volta soprattutto a mettere
in luce la connessione con la discrezionalità amm. Per poter operare una scelta corretta, tutti i fatti e gli

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interessi rilevanti devono essere, prima che valutati e ponderati, acquisiti all’interno del procedimento
dell’organo decidente. La sequenza delle operazioni e degli atti (pareri, valutazioni tecniche, intese,
partecipazione ecc) previsti dalle singole leggi che disciplinano i poteri pubblici serve a immettere nel
processo decisionale gli interessi più rilevanti. Al di là delle sequenze normativamente prescritte, il
responsabile del procedimento può valutare caso per caso, nel corso dell’istruttoria, se sia necessario
acquisire qualche altro interesse inciso dall’atto da emanare (per es tramite la richiesta di un parere
facoltativo).

Le funzioni del procedimento. 1. Una prima funzione del procedimento è consentire un controllo
sull’esercizio del potere (soprattutto ad opera del giudice) tramite una verifica del rispetto della sequenza
degli atti e operazioni normativamente prescritta. Così la legalità assume una dimensione procedurale, oltre
che sostanziale. 2. Una 2 funzione è di far emergere gli interessi incisi direttamente o indirettamente dal
provv. Ciò sia nell’interesse dell’amm che può colmare le asimmetrie informative che spesso ci sono nei
rapporti con i sogg privati, sia nell’interesse dei privati che hanno la possibilità di rappresentare e difendere
il proprio pov. La partecipazione acquista una dimensione collaborativa. Questa dimensione è presente
soprattutto nei procedimenti di tipo individuale in cui il provv determina effetti ampliativi nella sfera
giuridica del destinatario.

La dimensione collaborativa e la “cattura” dei regolatori. La dimensione collaborativa è presente anche nei
procedimenti di regolazione. Ad essi non si applicano le disposizioni sulla partecipazione previste dalla l 241,
ma spesso la partecipazione è imposta dal diritto europeo specie con riguardo agli atti di regolazione delle
autorità indipendenti. (Per es per i procedimenti di regolazione di competenza delle autorità preposte ai
mercati finanziari, per es, la legge sul risparmio prevede che esse debbano consultare preventivamente gli
organismi rappresentativi dei sogg vigilati, dei prestatori di servizi finanziari e dei consumatori). L’amm deve
appurare che tutti gli interessi coinvolti siano rappresentati e deve vagliare gli apporti partecipativi dei
privati. Questi ultimi vanno confrontati con gli apporti partecipativi dei portatori di interessi di segno
contrario. La voce degli interessi più organizzati (lobby) tende a sovrastare le valutazioni dell’amm (la cd
“cattura” dei regolatori). 3. Una 3 funzione del procedimento è quella del contraddittorio; essa emerge
soprattutto nei procedimenti di tipo individuale, in cui la pa esercita un potere che determina effetti
restrittivi della sfera giuridica del destinatario e il rapporto giuridico si connota in termini di
contrapposizione, più che di collaborazione. (La iv sez cons st, nel silenzio della legge, applicò ai poteri di
tipo sanzionatorio la regola di diritto naturale audi et alteram partem).

Il contraddittorio verticale e orizzontale. Il contraddittorio connota in senso giustiziale il procedimento e


ricorre anche nella giuri l’espressione “giusto procedimento” che riecheggia quella di giusto processo. Il
contraddittorio può assumere una dimensione verticale o orizzontale. La dimensione verticale si riferisce ai
casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale e coinvolge l’amm titolare del potere e il destinatario
diretto dell’effetto giuridico restrittivo (provvedimenti sanzionatori, di imposizione di vincoli, ecc). Nel
contraddittorio verticale l’amm deve essere “parte imparziale”. Deve sia curare l’interesse pubblico di cui
essa è portatrice sia garantire la posizione della parte privata portatrice di un interesse contrapposto. Una
soluzione organizzativa per assicurare una maggiore terzietà dell’amm prevista per le autorità indipendenti
consiste, nell’attribuire le funzioni decisionali a un organo distinto dall’ufficio preposto all’attività istruttoria.
La dimensione orizzontale del contraddittorio emerge nei procedimenti in cui i privati sono portatori di
interessi contrapposti e in cui l’organo decidente è chiamato a garantire la parità delle armi.

Il contraddittorio paritario e non paritario. In alcuni casi il contraddittorio orizzontale è perfettamente


paritario, come per es nei procedimenti di tipo contenzioso attribuiti alla competenza delle autorità di
regolazione chiamate a risolvere controversie tra gli utenti e le imprese che erogano il servizio; oppure nei
procedimenti di tipo concorsuale (procedure di aggiudicazione di contratti pubblici) in cui gli aspiranti hanno
una eguale pretesa a conseguirli. Nel contraddittorio orizzontale di tipo paritario è più naturale per l’amm
mantenere una posizione di terzietà. In altri casi il contraddittorio orizzontale non è del tutto paritario,

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come per es nei procedimenti sanzionatori antitrust in cui all’impresa accusata di aver compiuto un illecito
anticoncorrenziale (abuso di pos domin) si contrappone l’impresa che lo ha segnalato all’Autorità gar della
conc e del merc. All’impresa denunciante sono riconosciuti alcuni poteri, ma prevale l’esigenza di assicurare
all’impresa oggetto del procedimento sanzionatorio la possibilità di tutelare pienamente la propria
posizione anzitutto nei confronti dell’autorità procedente (rispetto alla quale il contraddittorio mantiene la
sua dimensione verticale).

La democrazia procedimentale. 4. Una 4 funzione del procedimento è quella di costituire un fattore di


legittimazione del potere dell’amm e di promuovere la democraticità dell’ordinamento amm. La caduta della
legalità sostanziale, dovuta all’impossibilità del legislatore di prefigurare in modo preciso tutte le situazioni
che richiedono l’esercizio del potere, può essere compensata in parte dalla legalità procedurale. Il
procedimento, aperto alla partecipazione di tutti i sogg interessati, diventa la sede in cui si individua la
regola per il caso concreto dettata dal provvedimento. La democrazia procedimentale completa la
democrazia rappresentativa. Questa funzione del contraddittorio è essenziale nei procedimenti gestiti dalle
autorità indip che sono affette da un deficit di legittimazione democratica. 5. Una 5 funzione del
procedimento è di promuovere il coordinamento tra più amministrazioni nei casi in cui un provv amm incida
su una pluralità di interessi pubblici curati da ciascuna di esse.

Il coordinamento debole e forte. Accanto a modelli di coordinamento debole (parere obbligatorio, ma non
vincolante), la legislazione prevede modelli di coordinamento forte (parere vincolante, l’intesa, il concerto, il
decreto interministeriale ecc). Il procedimento assolve a più funzioni, spesso compresenti nella singola
fattispecie. A seconda del tipo di procedimento può prevalere l’una o l’altra funzione. Per es, nei
procedimenti di tipo regolatorio, nelle ipotesi in cui è ammessa la partecipazione al procedimento (la l 241
la esclude per i regolamenti e gli atti amm generali), ha un ruolo primario la funzione di rappresentanza
degli interessi e quella conoscitiva. Nei procedimenti di tipo individuale rileva soprattutto quella di garanzia
del sogg nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti del provv. Nei procedimenti di tipo contenzioso
(risoluzione stragiudiziale di controversie tra operatori economici o tra questi e i clienti) prevale la funzione
di garanzia del contraddittorio paritario. Nei procedimenti di tipo pianificatorio e programmatorio che
coinvolgono più livelli di governo (statale, ragionale, locale) prevale la funzione di coordinamento.

2. Le leggi generali sul procedimento e la l 241/1990.

Il procedimento amm in molti ordinamenti ha trovato una disciplina organica in leggi generali, dalle quali la
241 ha tratto ispirazione. In particolare 2 modelli di riferimento sono state la legge austriaca e statunitense.

L’esperienza austriaca. Nel 1875 la legge istitutiva del tribunale amm supremo attribuì a quest’ultimo il
potere di annullare gli atti dell’amm adottati all’esito di una procedura difettosa. In mancanza di
specificazioni legislative, la giuris stabilì i casi in cui può essere considerato difettoso un procedimento. Per
es quando l’amm pone in essere gli atti della sequenza senza rispettare l’ordine cronologico (parere
postumo la decisione). Nel 1925 venne emanata una legge generale sul procedimento, la prima degli
ordinamenti occidentali che sviluppava il modello processuale del procedimento. Quest’ultimo venne
concepito come uno strumento per tutelare la posizione del privato in un’ottica giustiziale (o
paragiurisdizionale) nei confronti della p.a. L’articolazione del procedimento in atti formali volti a garantire la
partecipazione e il contraddittorio mimava le forme processuali. Nell’ordinamento austriaco quanto più
completa ed efficace è la tutela degli interessi del privato nell’ambito del procedimento, tanto minore è la
necessità di un sistema articolato di garanzie giurisdizionali. In italia una discussione di questo tipo è sorta a
proposito delle autorità indipendenti che esercitano i propri poteri con modalità paragiurisdizionali
particolarmente garantiste e per le quali può essere non necessaria la previsione di un doppio grado di
giudizio (primo grado e appello) innanzi al giudice amm.

L’Administrative Procedure Act del 1946 negli stati uniti. Negli stati uniti, l’attribuzione di poteri regolatori e
amministrativi alle agenzie federali negli anni 30 determinò un conflitto istituzionale tra presidente e Corte

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Suprema. Quest’ultima dichiarò incostituzionali una serie di leggi interventiste emanate per superare la crisi
economica rilanciando gli investimenti. Il conflitto si ricompose in seguito all’emanazione nel 1946 dell’APA
che legittimò il ruolo delle agenzie federali ma le sottopose a regole e controlli stringenti. Il rispetto di
queste regole è assicurato dalle corti ordinarie che accertano se l’esercizio del potere sia avvenuto senza
l’osservanza della procedura richiesta dalla legge. La legge configura un procedimento aperto a un’ampia
partecipazione dei sogg interessati. Nei procedimenti di regolazione (rulemaking) la rappresentanza degli
interessi viene assicurata tramite il modello del notice and comment. Nei procedimenti di tipo individuale
(adjudication) per attuare il principio del giusto procedimento sono introdotte garanzie del contraddittorio
di tipo paraprocessuale (trial-type). La legge prescrive una netta distinzione all’interno delle agenzie tra i
funzionari che curano l’istruttoria e l’organo collegiale che assume la decisione. Così anche nei procedimenti
in cui il contraddittorio ha una dimensione verticale si creano le premesse per una decisione assunta da un
organo terzo rispetto agli uffici istruttori e le parti private.

Altre esperienze. Altri ordinamenti europei come quello tedesco e quello spagnolo si sono dotati di leggi
generali sul procedimento. Nell’ordinamento inglese le regole sullo svolgimento del procedimento
continuano a essere di derivazione prevalentemente giurisprudenziale.

La genesi della l n.241/1990. In Italia, un progetto di legge fu elaborato tra il 1944 e il 1947 da una
commissione presieduta da Ugo Forti, studioso di diritto amm, ma non venne approvato. All’inizio degli anni
80 del sec scorso fu intrapreso un nuovo tentativo ad opera di una commissione presieduta da Mario Nigro,
altro studioso di d.a. La commissione elaborò un testo che ispirò la legge 7 agosto 1990, n 241 (Nuove
norme in materia di procedimento amm e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Il testo è stato
più volte modificato, la modifica più importante è data dalla l n 15/2005 che ha inserito nel suo corpo una
disciplina del provvedimento amm (Capo IV-bis).

Rispetto a leggi omologhe, la l 241 è una legge soprattutto di principi, molti dei quali già affermati dalla giuri
amministrativa, senza la pretesa di porre una disciplina esaustiva di tutti gli istituti. La l 241 non contiene
una definizione generale di procedimento, essa disciplina alcuni istituti fondamentali come il termine del
procedimento, il responsabile del procedimento, la partecipazione, il diritto di accesso ecc. Essa fornisce
una cornice generale che integra tutte le leggi amm che disciplinano i singoli procedimenti, anche con
norme derogatorie o speciali.

Il campo di applicazione della l 241. Il campo di applicazione della l 241 è individuato sulla base di 2 criteri:
uno soggettivo e uno oggettivo. Sotto il profilo sogg essa si applica alle amministrazioni statali, agli enti
pubblici nazionali e anche alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente alle attività
che si sostanziano nell’esercizio delle funzioni amministrative (art 29). Le disposizioni sul diritto di accesso
hanno un campo di applicazione più esteso perché include anche i gestori di pubblici servizi (art 23). Inoltre,
le regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla base dei principi stabiliti dalla 241.
Tuttavia le disposizioni che regolano i principali istituti (partecipazione, responsabile del procedimento,
durata, accesso) sono attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art 117, co 2, lett. m) Cost,
rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello stato (art 29 commi 2-bis e 2-ter). Gli spazi per una
disciplina regionale difforme sono limitati e comunque questa deve prevedere garanzie non inferiori a
quelle assicurate ai privati dalle disposizioni statali, con espressa previsione della possibilità di “prevedere
livelli ulteriori di tutela” (co 2 quater). Una regione potrebbe per es introdurre ipotesi di contraddittorio
orale non previste dalla l 241. Sotto il profilo oggettivo la l 241 si applica nella sua interezza ai procedimenti
di tipo individuale. Invece le disposizioni sull’obbligo di motivazione (art 3 co 2), sulla partecipazione al
procedimento (art 13 co 1) e sul diritto di accesso (art 24, co 1, let c) non si applicano agli atti normativi e
agli atti amministrativi generali. Alcune categorie di procedimenti come quelli tributari non sono sottoposti
alla 241 ma alle regole di discipline speciali.

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Il nuovo modello di rapporto tra cittadino e amministrazione. 1) in 1 luogo, la 241 colma la distanza tra
amm e sogg privati, che avevano come unico punto di contatto il provv autoritativo emanato in modo
unilaterale. I sogg privati fanno ingresso nel procedimento tramite gli strumenti di partecipazione. La
partecipazione è utile anche alla p.a. in una visione di tipo collaborativo oltre che di garanzia del
contraddittorio. Inoltre l 241 favorisce il ricorso a strumenti consensuali in luogo dell'esercizio unilaterale
dall’alto di poteri autoritativi. Prevede che l’amm possa stipulare accordi con gli interessanti, anche su
proposta di questi ultimi, per la determinazione del contenuto discrezionale del provv (art 11). 2) in 2 luogo
viene attenuata la concezione individualistica e atomistica dei rapporti tra stato e cittadino propria della
concezione liberale ottocentesca. Al procedimento possono partecipare non solo i singoli individui incisi dal
provv, ma anche i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati (art 9 l 241). (Soprattutto
nei procedimenti di tipo pianificatorio e di programmazione ed esecuzione di grandi opere pubbliche che
impattano su interessi come quello ambientale, un confronto ampio promosso dall’amm è un fatto di
legittimazione e accettazione sociale delle scelte amministrative).

La residualità del segreto d’ufficio. 3) in 3 luogo, la 241 supera in gran parte il principio del segreto d’ufficio
sulle attività interne all’amm che rendeva imperscrutabile l’operato dell’amm. La l 241 enuncia il principio di
pubblicità e trasparenza (art 1) e pone una disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi
(capo vi) che tutela la riservatezza di sogg terzi ma non riconosce una riservatezza dell’amm. L’obbligo in
capo ai dipendenti pubblici di mantenere il segreto d’ufficio opera in via residuale, cioè “al di fuori delle
ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso” (art 28), le quali hanno priorità. Per
garantire l’accessibilità “totale” delle info concernenti l’organizzazione e l’attività dell’amm è previsto
l’obbligo di rendere pubblici tutti gli atti organizzativi interni ed è stato introdotto l’accesso civico. 4) in 4
luogo, la l 241, fa cadere il velo dell’anonimato tra il cittadino e gli apparati amministrativi visti dall’esterno
come un tutto indistinto spersonalizzato. La figura del responsabile del procedimento (art 5 ss) personalizza
il rapporto con i sogg privati e consente di attribuire in modo più certo le responsabilità interne a ciascun
apparato. 5) inoltre l 241 cerca anche di superare la tradizionale separatezza tra le stesse p.a., ciascuna
titolare di poteri autonomi, con scarsi canali di comunicazione reciproca. Sono privilegiati strumenti di
collaborazione paritaria per lo svolgimento di attività di interesse comune (accordi ex art 15) e di
coordinamento tra procedimenti paralleli (conferenza dei servizi ex arrt 14 ss.). Inoltre esse devono
scambiarsi reciprocamente gli atti e i documenti da acquistare ai procedimenti di loro pertinenza. Si sgrava il
privato dall’onere di procurarseli autonomamente e gli si richiede solo un’autocertificazione (art 18).

I diritti di cittadinanza amministrativa. La 241 supera il modello autoritario dei rapporti tra stato e cittadino
a favore di un modello che pone l’accento sui nuovi diritti di cittadinanza amministrativa, come quello a un
termine certo per il rilascio di un atto amministrativo, di interazione con il responsabile del procedimento, di
partecipazione, di accesso ai documenti amministrativi, di motivazione delle decisioni.

3. Le fasi del procedimento. Il procedimento si articola in 3 fasi: iniziativa, istruttoria, conclusione.

4.a)L’iniziativa. La 1 fase è quella dell’iniziativa, cioè dell’avvio del procedimento destinato a sfociare nel
provvedimento finale produttivo di effetti nella sfera giuridica del destinatario. Fondamentale è la
distinzione tra obbligo di procedere (in base al quale l’amm competente è tenuta ad aprire il procedimento
su istanza di parte o d’ufficio e a porre in essere le attività previste nella sequenza procedimentale) e
obbligo di provvedere (pone in capo all’amm il dovere di portarlo a conclusione tramite l’emanazione di un
provvedimento espresso). I 2 obblighi si deducono dall’art 2, l241. Nei procedimenti su istanza di parte,
l’atto di iniziativa consiste in una domanda o istanza formale presentata all’amm da un sogg privato
interessato al rilascio di un provvedimento favorevole (in relazione al quale vanta un inter legit pretensivo).
Tuttavia non ogni istanza del privato fa sorgere l’obbligo di procedere. Quest’ultimo sorge solo in relazione a
sequenze procedimentali tipiche che, cioè procedimenti amministrativi disciplinati nelle leggi
amministrative di settore. Per es i procedimenti autorizzativi previsti dalle leggi che regolano le attività
economiche. Al di fuori di essi le lettere, richieste, istanze dai privati possono rimanere senza alcun seguito.

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In alcuni casi il procedimento è aperto su impulso di p.a. che formano proposte all’amministrazione
competente. Per es l’amm straordinaria o la liquidazione coatta amministrativa di un istituto di credito viene
disposta dal ministero dell’economia e delle finanze su proposta della Banca d’italia. Nei procedimenti
d’ufficio, l’apertura del procedimento avviene su iniziativa della stessa amm competente a emanare il
provvedimento finale. I procedimenti d’ufficio riguardano per lo più poteri il cui esercizio determina un
effetto restrittivo nella sfera g del sogg privato destinatario (titolare di un inter leg oppositivo). Per es
procedimento espropriativo o irrogazione di una sanzione.

Nei procedimenti d’ufficio si pone il problema di individuare con precisione il momento in cui sorge l’obbligo
di procedere.

Le attività preistruttorie. In molte situazioni l’apertura formale del procedimento avviene all’esito di una
serie di attività preistruttorie, condotte sempre d’ufficio, (da cui esisti possono emergere situazioni di fatto
che rendono necessario l’esercizio di un potere).

Le ispezioni. Tra le attività preistruttorie ci sono le ispezioni. Il potere di ispezione attribuito dalla legge ad
autorità di vigilanza (come la banca d’italia, consob o l’ivass) è esercitato nei confronti dei sogg privati per
verificare il rispetto delle normative di settore. L’ispezione consiste in una serie di operazioni di verifica
effettuate presso un sogg privato, in contraddittorio con quest’ultimo delle quali si dà atto nel verbale.
L’ispezione si può concludere con la constatazione che l’attività è conforme alle norme, oppure far emergere
fatti suscettibili di integrare una o più violazioni. Solo in quest’ultimo caso, sorge in capo all’amm l’obbligo di
aprire un procedimento d’ufficio volto a contestare la violazione e che può concludersi con l’adozione di
provvedimenti ordinatori o sanzionatori. Le ispezioni possono essere condotte anche all’interno delle p.a.
Altre attività preistruttorie includono variamente leggi amministrative, accessi a luoghi, richieste di
documenti ecc. (Per es la legge 689/1981 in materia di sanzioni pecuniarie attribuisce agli organi addetti al
controllo sull’osservanza delle discipline di settore il potere di compiere atti di accertamento propedeutici
all’apertura del procedimento sanzionatorio con la contestazione dell’addebito al sogg che ha commesso
l’infrazione).

Le denunce e gli esposti. Lo svolgimento delle attività preistruttorie e l’avvio dei procedimenti d’ufficio
possono avvenire anche in seguito a denunce, istanze o esposti di sogg privati. Tuttavia rientra nella
discrezionalità dell’amm valutare la fondatezza di tali atti. Raramente la giurisprudenza riconosce una
pretesa giuridicamente rilevante qualificata in capo al sogg privato a che l’amm eserciti un potere d’ufficio
nei confronti di un terzo. Per es in materia di tutela del consumatore, riferita alla pubblicità ingannevole e
alle pratiche comm scorrette, i privati possono presentare all’autorità gar della conc e merc un’istanza di
intervento affinchè essa eserciti i poteri inibitori. L’autorità, prima di aprire il procedimento formale
contestando la violazione della normativa in materia, svolge indagini preistruttorie che si possono
concludere con provv preistruttori (irricevibilità, archiviazione dell’istanza) e l’eventuale comunicazione ai
sogg interessati.

(Nel diritto europeo della concorrenza trova una protezione particolare l’impresa che denuncia un illecito.
La commissione ue deve infatti valutare se aprire d’ufficio un procedimento sanzionatorio nei confronti
dell’impresa o delle imprese concorrenti e deve motivare nel caso in cui decida di non dare seguito
all’esposto).

La comunicazione di avvio del procedimento. L’amm deve dare comunicazione dell’avvio del procedimento
anzitutto al sogg o ai sogg destinatari diretti del provv, cioè a coloro “nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti diretti” ex art 7 l241. La comunicazione viene inviata anche a eventuali
altri sogg che per legge devono intervenire nel procedimento, e a soggetti che possono subire un
pregiudizio dal provv, sempre che non sussistano ragioni di impedimento. La comunicazione deve indicare
l’amm competente, l’oggetto del procedimento, il nome del responsabile del procedimento, il termine di
conclusione del procedimento, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti (art 8). Nei procedimenti

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d’ufficio la comunicazione di avvio del procedimento è funzionale a garantire il contraddittorio. L’omessa


comunicazione rende annullabile il provv finale, ma l’art 21-octies co 2 ha ristretto i casi in cui ciò può
avvenire.

5.b) L’istruttoria. L’istruttoria del procedimento ha lo scopo di accertare i fatti e acquisire gli interessi
rilevanti ai fini della determinazione finale. I fatti da accertare riguardano i presupposti e i requisiti richiesti
dalla norma di conferimento del potere, ovvero, secondo la 241, “le condizioni di ammissibilità, i requisiti di
legittimazione e i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento” valutati dal
responsabile del procedimento (art 6, co 1, lett.a)). Gli interessi da acquisire entrano in gioco
esclusivamente nei procedimenti relativi a poteri propriamente discrezionali, nei quali l’interesse pubblico
primario, desumibile dalla norma di conferimento del potere, deve essere valutato e ponderato assieme agli
interessi secondari, pubblici e privati.

Il principio inquisitorio. L’istruttoria è retta dal principio inquisitorio. Secondo l’art 6, co 1, lett b) l 241 il
responsabile del procedimento “accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo
necessari”. Egli effettua di propria iniziativa le indagini necessarie senza essere vincolato alle allegazioni dei
sogg privati. Al contrario di ciò che accade nell’istruttoria processuale, caratterizzata da una tipizzazione per
legge dei mezzi istruttori, nel procedimento amm l’amm può compiere tutti gli accertamenti necessari con
le modalità ritenute più idonee. L’art 6, co 1, lett b) menziona tra gli atti istruttori il rilascio di dichiarazioni,
l’esperimento di accertamenti tecnici, le ispezioni e l’ordine di esibizioni documentali. Nella scelta dei mezzi
istruttori l’amm deve attenersi ai principi di efficienza e di economicità evitando di aggravare il
procedimento al di là di quanto necessario (art 1, co 2). Tuttavia alcuni atti istruttori sono richiesti dalle leggi
che disciplinano i singoli procedimenti: per es nel caso dei pareri obbligatori (art 16) e delle valutazione
tecniche (art 17) di competenza di amministrazioni diverse da quella procedente.

I tipi di parere. I pareri sono espressione della funzione consultiva, e possono essere obbligatori o
facoltativi. I pareri obbligatori sono previsti dalla legge in relazioni a specifici procedimenti e l’omessa
acquisizione rende illegittimo il provv finale. L’amm competente a esprimere il parere deve rilasciarlo entro
un termine di 20 gg. In caso di ritardo, l’amm titolare della competenza decisionale può procedere
indipendentemente dall’espressione del parere (art 18, co 2, ma il co 3 prevede delle eccezioni). I pareri
facoltativi invece sono richiesti quando l’amm procedente ritiene che possano essere utili ai fini della
decisione. Raramente i pareri possono essere oltre che obbligatori, anche vincolanti: l’amm che li riceve non
può assumere una decisione difforme dal contenuto del parere, nemmeno motivando le ragioni in relazione
alle quali essa ritiene di discostarsi (come avviene in caso di pareri solo obbligatori). L’unico potere che
rimane all’amm procedente è di rinunciare a emanare l’atto. Le valutazioni tecniche richieste a organismi
dotati di particolari competenze non giuridiche sono soggette a un regime che ricalca in parte quello dei
pareri.

Il silenzio-assenso tra amministrazioni. L’art 17-bis l 241, (introdotto dall’art 3 della l 124/2015 per
accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti), introduce un meccanismo inedito di silenzio-assenso
tra amministrazioni. Stabilisce termini stringenti per il rilascio di assensi, concerti e nullaosta di
amministrazioni statali (di regola 30 gg), decorsi i quali l’atto “si intende acquisito” (co 3). Il termine può
essere interrotto nel caso in cui l’amm che deve rendere l’assenso, il concerto o nullaosta rappresenti
esigenze istruttorie o richieste di modifica motivate. Il termine è di 90 gg nel caso in cui l’amm sia preposta
alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini. In caso di
mancato accordo tra amministrazioni statali la questione è rimessa al presidente del cons dei ministri che
decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento ex co 2. Il silenzio-assenso tra
amministrazioni non vale nel caso in cui il diritto dell’ue richieda l’adozione di provvedimenti espressi. L’art
17-bis però non chiarisce se questo tipo di silenzio-assenso può essere annullato d’ufficio o revocato.

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L’acquisizione d’ufficio di atti e documenti. Si è imposto all’amm di acquisire d’ufficio i documenti attestanti
atti, fatti, qualità e stati soggettivi necessari per l’istruttoria (art 18, co 2). Ai privati può essere richiesta solo
l’autocertificazione. I certificati rilasciati da un’amm non hanno valore se prodotti presso altre
amministrazioni, ciò per costringerle allo scambio reciproco di info necessarie.

L’attività istruttoria può essere effettuata anche con modalità informali. L’art 11 l241 prevede per es, che
per favorire la conclusione di accordi integrativi o sostitutivi del provv può essere predisposto un calendario
di incontri ai quali sono invitati, separatamente o contestualmente, il destinatario del provv ed eventuali
controinteressati (co 1-bis). Qualora sia opportuno un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti
in un procedimento, l’amm procedente può indire una conferenza di servizi istruttoria (art 14, co 1) in cui
ciascuna amm interessata può esprimere le proprie valutazioni. Delle attività istruttorie compiute e delle
risultanze delle stesse viene dato conto tramite la redazione di un verbale. In quanto provenienti da
un’autorità amministrativa i verbali fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti che in essi risultino
menzionati.

La partecipazione. L’istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto di intervenire e
partecipare al procedimento (art 10). Questi ultimi sono i sogg ai quali l’amm è tenuta a comunicare l’avvio
del procedimento. Hanno la facoltà di intervenire anche i portatori di interessi pubblici o privati, nonché i
portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal
provv (art 9). La partecipazione è funzionale all’interesse sia dei privati, in quanto garantisce il
contraddittorio, sia dell’amm che può acquisire elementi utili per deliberare. La partecipazione e
l’intervento si sostanziano in 2 diritti. Il 1 è quello di prendere visione degli atti del procedimento (accesso
procedimentale) (art 10, co 1, lett. a). Il 2 consiste nella possibilità di presentare memorie scritte (cioè
documenti che illustrano il punto di vista del sogg interessato) e documenti (lett. b)). Insieme essi fondano il
diritto alla partecipazione informata. L’amm ha l’obbligo di valutare i documenti e le memorie presentate,
ove pertinenti all’oggetto del procedimento, e deve darne conto nella motivazione del provv.

Il responsabile del procedimento. L’istruttoria è affidata al responsabile del procedimento, assegnato di


volta in volta dal dirigente responsabile della struttura subito dopo l’apertura del procedimento. Il suo
nominativo viene comunicato o reso disponibile su richiesta a tutti i sogg interessati (art 5). I compiti del
responsabile del procedimento includono tutte le attività propedeutiche all’emanazione del provv finale e
l’adozione “di ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria” (art 6, lett b). Egli ha anche
il potere di chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete in linea con la visione
collaborativa dei rapporti tra amm e cittadino. Inoltre, per prevenire fenomeni di corruzione, il responsabile
del procedimento (così come i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli
atti endoprocedimentali e il provv finale) deve astenersi quando si trovi in conflitto di interessi anche
potenziale (art 6-bis).

Il preavviso di rigetto. Nei procedimenti a istanza di parte il responsabile del procedimento (o l’autorità
competente a emanare il provv) è tenuto ad attivare una fase istruttoria supplementare nei casi in cui, sulla
base degli elementi già acquisiti, sia orientato a proporre o ad adottare un provv di rigetto dell’istanza (art
10-bis. Al sogg che l’ha proposta, dando avviso al procedimento, deve essere data comunicazione dei motivi
ostativi all’accoglimento della domanda. Entro 10 gg l’interessato può presentare osservazioni scritte, anche
corredate da altri documenti eventualmente, nel tentativo di superare le obiezioni formulate dall’amm.
L’eventuale provv finale negativo che rigetta l’istanza deve dar conto delle ragioni del mancato accoglimento
delle osservazioni eventualmente presentate.

Gli esiti dell’istruttoria. Di norma il responsabile del procedimento non adotta il provv finale, ma trasmette
tutti gli atti, corredati da una relazione istruttoria, all’organo competente a emanare il provv finale.
Quest’ultimo si deve attenere alle risultanze dell’istruttoria. Può discostarsene eccezionalmente, ma deve
indicare le ragioni nel provv finale (art 6, co 1, lett. e)).

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6. c) La conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi.

Conclusa l’istruttoria, l’organo competente a emanare il provv assume la decisone all’esito di una
valutazione complessiva del materiale acquisito al procedimento. Se il potere esercitato ha natura
discrezionale, nella fase decisoria avviene la comparazione e ponderazione degli interessi propedeutica alla
scelta finale tra più soluzioni alternative. L’art 2 impone all’amm l’obbligo di concludere il procedimento
mediante l’adozione di un provv espresso. (Se il procedimento è una sorta di catena di montaggio, il provv è
il prodotto finito). Il cd arresto procedimentale è legittimo solo in casi eccezionali. Il provv può essere
emanato, dal titolare di un organo individuale (sindaco o ministro), oppure da un organo collegiale (giunta
comunale o provinciale).

Gli atti pluristrutturati: il concerto. Accanto ad atti semplici (o monostrutturati) è frequente nelle leggi
amministrative il ricorso ad atti complessi (o pluristrutturati). Per es, nei rapporti tra ministeri, il decreto
interministeriale nel quale converge la volontà paritaria di una pluralità di amministrazioni. Si ha il concerto
quando il ministero competente a emanare il provv (autorità concertata) deve prima inviare al ministero
concertante lo schema di provv per ottenere l’assenso o proposte di modifica. L’atto finale è sottoscritto da
entrambe le autorità.

L’intesa “debole” e “forte”. Un’altra decisione pluristrutturata è l’intesa nei rapporti tra stato e regioni. Essa
può essere di tipo debole, quando il dissenso regionale può essere motivatamente superato dallo stato
all’esito del confronto per evitare effetti paralizzanti, oppure in senso forte, nei casi in cui è indispensabile il
doppio consenso. La determinazione finale è assunta sulla base delle regole vigenti al momento in cui essa è
adottata. Al procedimento si applica il principio del tempus regit actum: le modifiche legislative intervenute
a procedimento avviato trovano immediata applicazione, a meno che non si sia in presenza di situazione
giuridiche ormai consolidate o di fasi procedimentali già del tutto esaurite.

Il termine del procedimento. C1)il provv deve essere emanato entro un termine stabilito per lo specifico
procedimento. L’art 2 pone una disciplina dei termini di conclusione dei procedimenti generale (si applica là
dove manchino disposizioni legislative speciali in tema di termini di conclusione del procedimento) e
completa (perché l’applicazione della medesima vale per tutte le fattispecie di procedimenti). L’art 2 rimette
a ciascuna pa, nei casi in cui i termini dei procedimenti da essa curati non siano già stabiliti per legge,
l’obbligo di individuarli per ciascun tipo di procedimento con propri atti di regolazione e di renderli pubblici.
Di regola la durata massima non deve superare i 90 gg. Le amministrazioni godono di una certa
discrezionalità. Se le amministrazioni non provvedono a porre una propria disciplina, si applica un termine
generale residuale di 30 gg (co 2).

Il principio di certezza del tempo dell’agire amministrativo. L’art 2 l 241 dà corpo al principio della certezza
del tempo dell’agire amministrativo. Tale principio risponde sia all’esigenza dell’amministrazione alla cura
dell’interesse pubblico di cui è portatrice, sia a quella dei sogg privati. Il termine può essere sospeso per un
periodo non superiore a 30 gg in caso di necessità di acquisire info e certificazioni. Occorre tenere distinti i
termini finali (relativi alla conclusione del procedimento individuati in base ai criteri posti dall’art 2 l 241),
dai termini endoprocedimentali (relativi ad adempimenti posti a carico dei sogg privati o relativi ad atti
attribuiti alla competenza di altre amministrazioni). Per es i termini per l’acquisizione di pareri e valutazioni
tecniche sono fissati in 20 e 90 gg dalla stessa l 241 agli artt 16 e 17.

Termini ordinari e perentori. I termini finali ed endoprocedimentali hanno di regola natura ordinatoria
perché la loro scadenza non fa venire meno il potere di provvedere, né rende illegittimo (o nullo) il provv
finale emanato in ritardo. Solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come perentorio
e a pena di decadenza il provv tardivo è considerato viziato. (Per es l’autorità gar della conc e del merc può
vietare un’operazione di concentrazione tra imprese entro un termine di 45 gg dalla comunicazione, definito
come perentorio. In materia di espropriazione la dichiarazione di pubblica utilità, che costituisce il
presupposto del decreto di espropriazione, indica un termine entro il quale esso deve essere emanato: il

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suo decorso determina l’inefficacia della dichiarazione con effetti caducanti su eventuali atti del
procedimento emanati successivamente). Tuttavia in alcune fattispecie di poteri che incidono
negativamente su diritti di sogg privati, la natura perentoria del termine si ricava in via interpretativa. Per es
in materia di beni culturali, il potere dello stato di esercitare la prelazione quando un privato intenda
vendere un bene culturale a un altro privato, questo potere deve essere esercitato entro 60 gg dalla
denuncia dell’atto di trasferimento del bene tra privati. I termini previsti per gli adempimenti a carico dei
sogg privati nell’ambito del procedimento hanno natura più cogente: il loro decorso fa decadere il sogg
privato dalla facoltà di porli in essere o in caso di adempimento tardivo consente all’amm di non tenerne
conto.

Le conseguenze del ritardo. Il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento provoca
conseguenze di vario tipo. Può far sorgere una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del
funzionario o una responsabilità di tipo dirigenziale nei confronti del vertice della struttura. Nei casi più
patologici il ritardo può essere fonte di responsabilità penale.

Il potere sostitutivo. Il mancato rispetto del termine può costituire motivo per l’esercizio del potere
sostitutivo da parte del dirigente sovraordinato. Il potere sostituivo è disciplinato anche dall’art 2 l241.
L’organo di governo di ciascuna amm individua il titolare del potere sostitutivo. Poi in caso di ritardo, il
privato può rivolgersi al titolare del potere sostitutivo che deve concludere il procedimento entro un
termine pari alla metà di quello originariamente previsto tramite le strutture competenti o nominando un
commissario ad acta. Inoltre entro il 30 gennaio di ogni anno il titolare del potere sostitutivo comunica
all’organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termine. I provv su istanza di parte
rilasciati in ritardo devono indicare sia il termine previsto dalla legge sia il termine effettivamente impiegato.

Il danno da ritardo e l’indennizzo. L’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento può anche far sorgere l’obbligo di risarcire il danno a favore del privato. Il danno da ritardo è
stato definito dalla giuri “comportamento che genera incertezza”. Il tempo dell’agire amm costituisce un
bene della vita autonomo da quello correlato all’esercizio del potere. (Per es, anche un’autorizzazione
legittima ma rilasciata in ritardo può provocare all’impresa un danno causato dal mancato utilizzo delle
attrezzature per il periodo di tempo intercorrente dalla data di scadenza del termine per l’emanazione
dell’atto a quella della sua effettiva emanazione). Il comma1-bis dell’art 2-bis prevede anche a prescindere
dalla sussistenza dei presupposti per il risarcimento, il riconoscimento di un indennizzo automatico per il
ritardo.

Il silenzio-inadempimento. La conclusione del procedimento con l’emanazione di un provv espresso è


l’evenienza fisiologica ex l 241. Tuttavia può accadere che l’amm non concluda il procedimento entro il
termine previsto e la situazione di inerzia si protragga nel tempo. Si pone la questione del silenzio della p.a.

Fino a poco tempo fa il regime ordinario del silenzio della pa di fronte a istanze o domande presentate da
sogg privati è stato quello del silenzio-inadempimento, per cui l’inerzia mantenuta oltre il termine assume il
significato giuridico di inadempimento dell’obbligo formale di provvedere posto dall’art 2 l 241, cioè di
concludere il procedimento con un provv di accoglimento o di rigetto dell’istanza. L’inadempimento di tale
obbligo non fa venire meno il potere-dovere di provvedere, data la natura ordinatoria dei termini. L’amm
può emanare il provv anche ritardo, ferma restando l’eventuale responsabilità per il danno cagionato al
privato che aveva confidato nel rispetto del termine. Nei casi di silenzio-inadempimento, il privato
interessato può proporre al giudice amm un’azione per accertare l’obbligo dell’amm di provvedere e la
fondatezza della pretesa e un’azione di adempimento volta a condannare l’amm al rilascio del provv
richiesto.

Il silenzio-diniego e il silenzio-assenso. La l 241 prevede 2 regimi di silenzio significativo: il silenzio-diniego


(o rigetto) e il silenzio-assenso (o accoglimento). Il decorso del termine di conclusione del procedimento
produce un effetto giuridico ex lege, nel primo caso di diniego dell’istanza, nel 2 di accoglimento della

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stessa. In entrambi i casi il procedimento si conclude con il provv tacito. Le rare fattispecie di silenzio avente
valore di diniego sono tassativamente stabilite dalla legge. Per es l’art 25, co 4 l 241 stabilisce che “decorsi
inutilmente 30 gg dalla richiesta, questa si intende respinta”. Contro questo atto di diniego tacito può essere
proposto ricorso secondo le regole vigenti per il processo amm.

Il campo di applicazione del silenzio-assenso. Le ipotesi legislative di silenzio assenso sono più numerose. Il
campo di applicazione del silenzio-assenso è definito dall’art 20, co 1 e 3, individuato in base ad alcuni
criteri di tipo negativo. Il regime non vale nei casi di provv autorizzatori (di tipo vincolato) sostituiti dalla scia
(segnalazione certificata d’inizio attività). Non vale nemmeno per i procedimenti che riguardano un elenco
di interessi pubblici: patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza
ecc. Non vale nemmeno nei casi in cui la normativa europea impone l’adozione di un provv formale. Non
vale nei casi tassativamente previsti per legge di silenzio-rigetto. Infine non vale per i procedimenti
individuati con decreto del presidente del consiglio dei ministri. È previsto un lungo elenco di casi di silenzio-
assenso nel d.lgs. n 222/2016. L’amm può evitare che si formi il silenzio-assenso non solo provvedendo nel
termine previsto, ma anche indicendo entro 30 gg dalla presentazione dell’istanza una conferenza di servizi
(co 2) per guadagnare tempo.

Il valore provvedimentale di silenzio assenso. Il silenzio-assenso ha valore provvedimentale. Ne deriva che:


il silenzio può essere oggetto di provvedimenti di autotutela sottoforma di revoca e di annullamento
d’ufficio (art 20 co 3); e che può essere impugnato davanti al giudice amm, per es da un sogg terzo che
vuole contrastare l’avvio dell’attività da parte del sogg che ha presentato l’istanza. Quest’ultimo deve
dichiarare sotto propria responsabilità la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge (art 21 che si
applica anche alla scia). In caso di dichiarazioni mendaci possono essere irrogate sanzioni anche penali. Il
regime del silenzio-assenso non fa venire meno l’obbligo di provvedere in capo all’amm, incide solo sulla
fase decisionale, introducendo un incentivo rispetto al termine. A differenza di ciò che accade con la scia,
resta fermo il modello del controllo ex ante sulle attività private.

I difetti del silenzio-assenso. Innanzitutto, poiché esso può applicarsi anche a provv discrezionali (quelli
vincolati sono sostituiti dalla scia), la valutazione di interessi pubblici, nei casi di inerzia assoluta dell’amm,
non viene di fatto operata, l’amm abdica al proprio ruolo di cura dell’interesse pubblico. Inoltre, formatosi il
silenzio-assenso, il privato non è in grado di sapere se dietro l’atteggiamento silenzioso dell’amm si celi
un’inerzia assoluta degli uffici, oppure se sia già stata compiuta una qualche istruttoria. Inoltre il silenzio
assenso è una scorciatoia non risolutiva del problema del mancato rispetto dei termini che non giova né
all’interesse pubblico né a quello privato.

Gli accordi integrativi e sostitutivi. Il provv espresso è l’esito formale e più frequente del procedimento
amm. Tuttavia c’è un’altra modalità di conclusione del proced prevista dalla l 241 cioè l’accordo integrativo o
sostitutivo del provv. Là dove occorre valutare e ponderare più interessi è preferibile la composizione
negoziata a quella imposta. Gli accordi pongono l’amm su un piano più paritario rispetto al sogg privato e
riducono il rischio di possibili contenziosi. Prima di essere disciplinati dalla 241, gli accordi erano emersi
nella prassi e poi nella legisl speciale. (Si pensi alle convenzioni urbanistiche in cui l’interesse perseguito
dall’amm all’ordinato assetto del territorio e quello dei privati che realizzano le lottizzazioni per
l’edificazione di parti significative del territorio, hanno molti punti di convergenza). In materia espropriativa
la normativa prevede in alternativa all’emanazione del provv unilaterale, l’accordo di cessione volontaria del
bene che garantisce al proprietario un corrispettivo di importo superiore all’indennità di esproprio.

L’oggetto dell’accordo. In base alla 241, l’accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provv ed è
finalizzato a ricercare un miglior contemperamento di interessi tra l’interesse pubblico perseguito dall’amm
procedente e l’interesse del privato spesso contrapposto al 1. I poteri vincolati invece non si prestano ad
essere oggetto di accordi in quanto in essi manca il presupposto per una negoziazione. L’accordo può essere
promosso dal sogg privato il quale può presentare a questo fine osservazioni e proposte in sede di

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partecipazione al procedimento. L’accordo fa salvi i diritti dei 3 che potrebbero contestarne i contenuti
proponendo un’azione di annullamento davanti al giudice amm. L’amm non è obbligata a concludere
accordi con i privati e può sempre decidere di preferire il provv unilaterale non negoziato. Quindi la
possibilità di stipulare accordi non elide del tutto il carattere asimmetrico del rapporto tra pa e sogg privati.
Gli accordi devono essere stipulati per atto scritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga altrimenti e
devono essere motivati. Ad essi si applicano i principi del cc in materia di obbligazioni e contratti in quanto
compatibili. Data la matrice pubblicistica degli accordi, le controversie relative alla loro conclusione ed
esecuzione rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amm.

Gli accordi integrativi o sostitutivi. Gli accordi possono essere integrativi o sostitutivi del provvedimento. Gli
accordi integrativi servono solo a concordare il contenuto del provv finale che viene emanato in attuazione
dell’accordo. Il provv mantiene la sua configurazione di atto unilaterale produttivo di effetti (secondo la
sequenza accordo-provv-effetti). Gli accordi integrativi pongono la questione se il mancato o parziale
recepimento dei suoi contenuti nel provv finale renda lo stesso illegittimo. Negli accordi sostitutivi gli effetti
giuridici si producono in via diretta con la conclusione dell’accordo, senza necessità di un atto formale di
recepimento. Tuttavia, a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amm, gli accordi
devono essere preceduti da una determinazione dell’organo competente per l’adozione del provv la quale
stabilisce i limiti della negoziazione.

Il recesso dell’accordo. Un altro momento di unilateralità, può emergere anche dopo la conclusione
dell’accordo. Infatti l’amm per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, può recedere dall’accordo e ciò
anche quando il recesso non sia espressamente previsto in quest’ultimo. Il recesso ha fonte legale ed è
espressione di un potere in senso proprio, non va confuso con il recesso dai contratti ex art 21-sexies. Il
potere di recesso è riconducibile alla revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico ex art 21-
quinques 241. Ad esso si accompagna l’obbligo di liquidare un indennizzo per gli eventuali danni subiti dal
privato. Si discute in dottrina se gli accordi possano essere qualificati, sulla scia dell’ordinamento tedesco,
come contratti di diritto pubblico. In realtà, il regime degli accordi è assimilabile a quello di un normale
provv amm.

7.Procedimenti semplici, complessi, collegati. Il subprocedimento

In base alle leggi che li disciplinano, i procedimenti possono avere una struttura semplice o complessa a
seconda del loro oggetto e del numero e della natura degli interessi pubblici e privati e della necessità di
coinvolgere una pluralità di amministrazioni. Si hanno i procedimenti autorizzatori semplici in cui la
sequenza procedimentale consiste solo in una domanda o istanza, in un’istruttoria limitata a poche verifiche
documentali e in una decisione affidata a un’unica autorità; poi si hanno i procedimenti complessi che
richiedono accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con
il coinvolgimento nella fase decisionale di una molteplicità di amm statali, regionali e locali (per es
l’approvazione di un progg di un’opera pubblica).

Il subprocedimento. I procedimenti a struttura complessa spesso sono articolarti all’interno in


subprocedimenti sequenziali, (ciascuno avente una unità funzionale autonoma). A volte i subprocedimenti
si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche sogg. Producono cioè
effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all’effetto giuridico primario riferibile al provv assunto a
conclusione del procedimento. Per es, il procedimento per la conclusione di un contratto pubblico prevede
nelle procedure cd ristrette, cioè su invito della stazione appaltante, un procedimento detto di prequalifica.
Inoltre, dopo la conclusione della fase di valutazione delle offerte vi è una fase di verifica delle eventuali
offerte anomale (troppo basse) che dà origine a un subprocedimento in contraddittorio che si può
concludere con l’esclusione dall’impresa. La non ammissione alla presentazione di un’offerta al termine
della prequalifica e l’esclusione dell’impresa sono atti endoprocedimentali (perché fanno parte della
sequenza che si sviluppa dal bando di gara fino al provv finale di aggiudicazione), o provv autonomi (perché

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producono effetti giuridici negativi nella sfera giuridica del loro destinatario) e sono suscettibili di
impugnazione immediata.

Gli impegni nel diritto antitrust. Nei procedimenti sanzionatori di competenza dell’Autorità gar della conc e
del mercato l’impresa inquisita può proporre all’autorità che ha avviato il procedimento impegni formali atti
a rimuovere l’illecito concorrenziale. Se l’autorità approva gli impegni, all’esito di un subprocedimento in
contraddittorio aperto anche ad altre imprese concorrenti e ai terzi interessati (cd market test), il
procedimento si conclude senza ulteriori accertamenti. Se l’autorità conclude il subprocedimento rigettando
gli impegni, il procedimento prosegue fino all’emanazione di un provv che accerta o meno l’esistenza
dell’illecito e irroga, se del caso la sanzione. Il provv di rigetto degli impegni ha una rilevanza interna perciò
non può essere impugnato autonomamente da parte dell’impresa che li ha presentati. Il provv di
accoglimento degli impegni è impugnabile da parte di imprese concorrenti che ritengono che le misure non
siano in grado di rimuovere la situazione anticoncorrenziale che le danneggia.

I procedimenti collegati in sequenza e in parallelo. Si hanno procedimenti collegati quando una pluralità di
procedimenti, da avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali a un risultato unitario. Un es di
procedimenti collegati avviati in sequenza, è l’espropriazione per pubblica utilità che si compone di una
pluralità di procedimenti connessi: apposizione del vincolo per l’esproprio, approvazione del piano
urbanistico, la dichiarazione di pubblica utilità, la determinazione dell’indennità di esproprio, l’emanazione
del decreto di esproprio. Un es di procedimenti collegati avviati in parallelo, sono la realizzazione o messa in
opera di un impianto industriale (impianto chimico o una centrale elettrica) che presuppone il rilascio di vari
atti autorizzativi previsti per la conformità alle norme urbanistiche, di sicurezza ecc. Il collegamento tra
questo tipo di procedimenti è funzionale, nel senso che la conclusione positiva di ciascuno di essi è
necessaria per l’avvio di una determinata attività.

Classificazioni dei procedimenti.

I procedimenti di primo e di secondo grado. I procedimenti di 1 grado sono finalizzati all’emanazione di


provv amm con effetti esterni e alla cura di un interesse pubblico (licenza, diffida, autorizzazione). I proc di 2
grado hanno per oggetto provv amm già emanati e come scopo la verifica della loro legittimità e
compatibilità con l’interesse pubblico (per es i procedimenti di autotutela: annullamento d’ufficio o revoca,
e i ricorsi amm: il ricorso gerarchico). Sono inclusi tra i procedimenti di 2 grado anche i controlli sugli atti
amm (di legittimità e di merito), affidati a organi esterni all’amm (corte dei conti).

Procedimenti finali e strumentali. I procedimenti finali sono funzionali alla cura immediata di interessi
pubblici nei rapporti esterni con i sogg privati. I proc strumentali hanno una funzione prevalentemente
organizzatoria e riguardano la gestione del personale e delle risorse finanziarie (per es i procedimenti di
programmazione o di pianificazione).

La procedura interna. Altra distinzione è tra procedimento in senso proprio e procedura interna
all’amministrazione. Il 1 si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina nella legge
o in una fonte normativa in senso proprio (regolamenti). La procedura interna riguarda invece gli atti e
adempimenti interni all’amm che sono previsti da regole di tipo amministrativo. Per es, le istanze e
domande presentate dai privati vanno registrate in un protocollo interno.

8. la conferenza di servizi e altre forme di coordinamento. La l 241 individua come strumento principale di
coordinamento e accelerazione dei tempi delle decisioni da parte degli uffici e delle amm, la conferenza di
servizi (capo iv). La conferenza di servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle
amm interessate che sono chiamate a confrontarsi e nel caso di conferenza decisoria, anche a deliberare.
Con la conferenza di servizi viene meno la sequenza lineare degli atti endoprocedimentali attribuiti alla
competenza di ciascuna amm. I rappresentanti delle amm valutano l’interesse pubblico affidato a ciascuna

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amm in connessione con gli altri interessi pubblici curati dalle amm che partecipano alla conf. La l 241
distingue 3 tipi di conferenza di servizi: istruttoria, decisoria e preliminare.

La conferenza di servizi istruttoria. È sempre facoltativa, ha la funzione di promuovere un esame


contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in uno o più proc amm connessi riguardanti medesime
attività o risultati (conferenza di servizi interprocedimentale: art 14). Nel caso di procedimento attribuito
alla competenza di una sola amm, la conferenza di servizi istruttoria serve a raccogliere in un unico contesto
gli elementi istruttori utili che saranno posti alla base della decisione finale adottata dall’organo competente
a emanare il provv finale. Nel caso di conferenza di servizi interprocedimentale la convocazione è operata
dall’amm che cura l’interesse pubblico prevalente.

La conferenza di servizi decisoria. Essa è volta a sostituire i singoli atti volitivi e valutativi delle amm
competenti a emanare “intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati” che devono essere
acquisiti per legge da parte dell’amm procedente (art 14). La conferenza è convocata dall’amm procedente,
anche su richiesta del sogg privato interessato, nei casi in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo
autorizzativo che condizionano l’avvio di un’attività. La conferenza di servizi si conclude con un verbale in cui
sono riportate le posizioni espresse da ciascuna amm partecipante. Sulla base del verbale, che è un atto a
rilevanza interna non impugnabile, l’amm procedente assume una determinazione motivata di conclusione
del procedimento che “sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione o nullaosta o atto di
assenso di competenza della amm partecipanti. Di regola, la conferenza si svolge in forma semplificata, cioè
in modalità asincrona; l’amm procedente acquisisce entro termini stabiliti (decorsi in quali opera il silenzio-
assenso tra le amm) le determinazioni motivate di competenza delle altre amministrazioni. La conferenza si
conclude con una determinazione motivata. Se gli atti di dissenso pervenuti non possono essere superati, la
conferenza si chiude nei procedimenti a istanza di parte con il rigetto della domanda. Nel caso di
determinazioni di particolare complessità, la conferenza di servizi è convocata in forma simultanea e con
modalità sincrona, convocando una riunione alla quale sono invitate tutte le amm interessate. Sono 2 gli
aspetti più rilevanti della disciplina della conferenza decisoria, che si deve concludere entro 45 gg dalla data
della riunione. Il 1 riguarda la partecipazione obbligatoria di tutte le amministrazioni invitate. L’assenza alla
conferenza dei servizi determina un effetto di silenzio assenso in relazione all’atto attribuito alla competenza
dell’amm non partecipante. Il 2 attiene al dissenso di una o più amm partecipanti alla conferenza di servizi.
La determinazione finale motivata all’esito della conferenza di servizi adottata dall’amm procedente è
formulata sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amm partecipanti. In caso di approvazione
unanime la determinazione è immediatamente efficace ex art 14 quater. L’efficacia della determinazione
finale è sospesa quando i rappresentanti di amm che curano interessi pubblici di rango primario
propongono opposizione al presidente del consiglio dei ministri il quale convoca una riunione per trovare
una soluzione condivisa. Se il dissenso non è superato la determinazione finale è rimessa al c.d.m. La
conferenza di servizi è uno strumento di coordinamento tra le p.a. ma in alcuni casi anche i privati possono
partecipare senza diritto di voto.

La conferenza di servizi preliminare. Il 3 tipo di conferenza di servizi è quella preliminare che può essere
convocata su richiesta motivata di sogg privati interessati a realizzare progetti di particolare complessità o di
insediamenti produttivi. Il privato sottopone uno studio di fattibilità alle amm competenti a rilasciare gli atti
autorizzativi, i pareri e le intese prima di presentare le istanze necessarie.

Altre forme di coordinamento.

1.Gli accordi tra amm. Il testo unico sull’ordinamento degli enti locali disciplina uno strumento di
coordinamento analogo alla conferenza di servizi decisoria costituito dall’accordo di programma promosso
dal presidente della regione, della provincia o dal sindaco. L’accordo è finalizzato alla definizione e
attuazione di opere, interventi che coinvolgono una pluralità di amm, ed è retto ancora dal principio del
consenso unanime dei partecipanti.

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2.La L 241 prevede in termini ancora più generali gli accordi tra p.a. come strumenti per disciplinare lo
svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. A questi accordi si applicano alcune delle
regole previste tra gli accordi tra privati e p.a. ex art 11 l 241. È stato introdotto l’obbligo di sottoscrizione
con firma digitale la cui violazione comporta la nullità dell’accordo. Molti tipi di accordi più specifici sono
previsti nella legislazione amm come strumento di coordinamento bilaterale o plurilaterale paritario. Per se
le autorità di regolazione nel settore finanziario (banca d’italia, consob) individuano forme di
coordinamento attraverso protocolli d’intesa, comitati di coordinamento stabili, riunione annuale di tutte le
autorità.

3.L’autorizzazione unica. Essa è un altro strumento per attuare un coordinamento; in essa confluiscono una
pluralità di atti di assenso attribuiti alla competenza di più amministrazioni. Un es è l’autorizzazione prevista
per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.
L’autorizzazione unica è attribuita alla competenza della regione la quale convoca una conferenza di servizi
entro 30 gg dal ricevimento della domanda di autorizzazione. Essa è rilasciata a seguito di un procedimento
unico a cui partecipano tutte le amm interessate. Un altro es è il provv unico statale o regionale in materia
ambientale assunto all’esito di una conferenza di servizi che include il provv di via e tutte le altre
autorizzazioni necessarie.

4.Lo sportello unico. È uno strumento organizzativo che rende più agevole il coordinamento e semplifica i
rapporti tra amm e sogg privati. Esso è un ufficio che fa da tramite tra i privati e i vari uffici e amm
competenti a emanare gli atti di assenso, pareri, valutazioni necessarie. Per es lo sportello unico per l’edilizia
si rapporta con tutti gli uffici comunali e con le altre amm competenti per l’intervento edilizio in relazione al
quale il privato ha presentato una scia. (Tale ufficio, istituito a livello comunale, provvede alla ricezione della
domanda del privato, esamina le istanze di accesso ai documenti amm, rilascia il certificato di agibilità,
convoca la conferenza di servizi ecc). Lo sportello unico è previsto anche dalla direttiva 2006/123/CE relativa
ai servizi nel mercato interno come punto di contatto con cui i prestatori di servizi possono presentare le
domande di autorizzazione e svolgere le altre formalità per potere intraprendere un’attività. Secondo la 241
presso lo sportello unico va presentata la scia.

9. Tipi di procedimento: a) espropriazione per pubblica utilità.

Iniziamo dai procedimenti relativi a provv che producono effetti restrittivi nella sfera giuridica del
destinatario.

Le fonti normative. Il procedimento espropriativo è stato oggetto inizialmente di una disciplina generale
posta nella legge n 2359 del 1865. L’espropriazione per motivi di interesse generale è richiamata anche
nell’art 42, co 3 cost. Oggi la materia è contenuta nel testo unico in materia di espropriazioni e prevede 4
fasi: l’apposizione del vincolo finalizzato all’esproprio che consegue all’approvazione del piano urbanistico
generale o a una variante; la dichiarazione di pubblica utilità; l’emanazione del decreto di esproprio; la
determinazione dell’indennità di esproprio. Il testo unico enuncia il principio di legalità precisando che
l’espropriazione può essere disposta nei soli casi previsti dalle leggi o dai regolamenti. Il potere
espropriativo è attribuito a tutte le amm (stato, regioni, comuni) competenti a realizzare un’opera pubblica.
Tale potere è diffuso e accessorio (funzionale alla realizzazione dell’opera pubblica). In alcuni casi l’iniziativa
può partire anche da un sogg privato a favore del quale è emesso il decreto di esproprio e che è tenuto al
pagamento dell’indennità.

1.Il vincolo preordinato all’esproprio. Esso instaura un raccordo tra l’attività di pianificazione del territorio e
il procedimento espropriativo. Il vincolo può essere posto all’esito delle procedure di pianificazione
urbanistica ordinarie o speciali (per es una variante) o in seguito all’approvazione di un progetto preliminare
o definitivo di un’opera pubblica. L’apposizione del vincolo prevede alcune garanzie. È prevista la
partecipazione dei proprietari ai quali deve essere inviato con un congruo anticipo un avviso di avvio del
procedimento affinchè essi possano formulare nei 30 gg successivi le proprie osservazioni. L’avviso deve

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essere comunicato personalmente agli interessati, o se il n dei destinatari è superiore a 50, la


comunicazione deve essere fatta tramite avviso pubblico affisso all’albo pretorio dei comuni e pubblicato su
uno o più quotidiani nazionali e locali. Il vincolo ha la durata di 5 anni ed entro questo termine deve
intervenire la dichiarazione di pubblica utilità (art 9). Esso costituisce un atto impugnabile innanzi al giudice
amm in quanto già produttivo di effetti giuridici nei confronti dei proprietari.

2.La dichiarazione di pubblica utilità. In passato era una fase fondamentale del procedimento di esproprio
perché accertava la conformità dell’opera all’interesse pubblico. Molte leggi speciali però hanno dequotato
questa fase ritendendola assorbita e implicita in altri atti (approvazione del progetto definitivo o di un piano
di lottizzazione). La dichiarazione di pubblica utilità ha un’efficacia temporalmente limitata (5 anni,
prorogabili, oppure il diverso termine apposto nella dichiarazione) e prima della scadenza del termine
perentorio deve intervenire il decreto di esproprio, altrimenti è prevista l’inefficacia della dichiarazione di
p.u.

3.Il decreto di esproprio. Esso determina il trasferimento del diritto di proprietà dal sogg espropriato al sogg
nel cui interesse il procedimento è stato avviato; ne deriva l’estinzione automatica dei diritti reali o personali
gravanti sul bene espropriato, salvo quelli compatibili con i fini a cui l’espropriazione è preordinata.
L’efficacia del provv è subordinata a 2 condizioni sospensive: l’effetto traslativo si produce in seguito alla
notifica e all’esecuzione del decreto, che deve avvenire nel termine perentorio di 2 anni mediante
all’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio (art 23).

4.L’indennità di esproprio provvisoria. Il decreto di esproprio deve indicare l’importo dell’indennità che è
quantificato all’esito di una fase in contraddittorio con gli interessati. Divenuta efficace la dichiarazione di
p.u., il promotore della procedura espropriativa formula un’offerta ai proprietari. I proprietari possono
indicare quale sia il valore da attribuire al bene per la determinazione dell’indennità. Valutate le
osservazioni, l’autorità procedente determina in via provvisoria la misura dell’indennità. Nei 30 gg successivi
i privati possono comunicare all’autorità espropriante una dichiarazione irrevocabile di assenso rispetto alla
proposta: il beneficiario dell’espropriazione e il proprietario possono stipulare la cessione volontaria del
bene, con il pagamento immediato dell’indennità concordata. Se il privato non accetta la proposta, o decorsi
inutilmente i 30 gg, l’autorità competente emana il decreto di esproprio e deposita l’indennità provvisoria
rifiutata presso la cassa depositi e prestiti.

L’indennità definitiva. Da questo momento in poi il procedimento per la determinazione definitiva


dell’indennità ha uno svolgimento autonomo, con un’altra fase di contraddittorio con il privato che può
nominare anche un tecnico di fiducia. Infine, il procedimento prevede l’intervento di una commissione
provinciale istituita presso l’ufficio tecnico erariale che procede alla determinazione definitiva dell’importo.
A questo punto il proprietario che intende contestarla può avviare un procedimento davanti alla corte
d’appello per ottenere una determinazione in via giudiziale dell’indennità. Il giudizio deve essere instaurato
entro 30 gg dalla notifica del decreto di esproprio o della stima peritale.

La cessione volontaria del bene. Il procedimento di esproprio è espressione di un potere tipicamente


unilaterale. Tuttavia l’ordinamento favorisce soluzioni consensuali tramite l’istituto della cessione volontaria
del bene. Essa è configurata come un diritto sogg dell’espropriando nei confronti del beneficiario che può
essere esercitato fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio. I vantaggi per l’espropriando sono di
tipo pecuniario, visto che il prezzo di cessione prevede alcune maggiorazioni rispetto all’indennità di
esproprio. L’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio.

La vicenda espropriativa può dare luogo al fenomeno dei procedimenti collegati in parallelo. Subito dopo
che sia intervenuta la dichiarazione di p.u. e prima dell’emanazione del decreto di esproprio, l’amm può
avviare il procedimento di occupazione d’urgenza per acquisire immediatamente la disponibilità materiale
del bene e di intraprendere i lavori per la realizzazione dell’opera pubblica.

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L’occupazione d’urgenza. Ciò può avvenire in 3 casi: quando l’amm ritiene che l’avvio dei lavori riveste
carattere di urgenza tale da non consentire il perfezionamento del procedimento ordinario; in relazione ai
progetti delle grandi opere pubbliche previste dalla legge obiettivo (n 443/2001); quando la procedura
espropriativa riguardi più di 50 proprietari. Anche il procedimento di occupazione d’urgenza si svolge in
contraddittorio con i proprietari interessati.

La retrocessione. La retrocessione dei beni espropriati prevista sin dalla l del 1865. Il fondamento
dell’istituto è che il diritto di proprietà può essere sacrificato solo nella misura strettamente necessaria per
conseguire le finalità di pubblico interesse (principio di proporzionalità). Essa consiste nel diritto del sogg
espropriato di riacquistare la proprietà del bene nei casi in cui l’’opera pubblica non viene realizzata o tutto
il bene non viene utilizzato. La retrocessione totale avviene nei casi in cui l’opera non sia stata realizzata nel
termine di 10 anni dall’esecuzione del decreto di espropriazione o anche prima quando risulti l’impossibilità
della sua esecuzione. L’espropriato può richiedere la restituzione integrale del bene e il pagamento di una
somma a titolo di indennità. La retrocessione parziale può essere richiesta per le parti del bene che non
siano state utilizzate una volta completata l’opera pubblica. Il comune tuttavia ha un diritto di prelazione
sull’area inutilizzata. Il corrispettivo a carico del sogg che chiede la retrocessione è determinato tra le parti e
in caso di mancato accordo può essere avviata la stessa procedura prevista per la determinazione di
indennità di esproprio davanti alla commissione provinciale.

L’acquisizione sanante. Tale istituto consente all’amm che ha occupato sine titulo un bene per scopi di
pubblica utilità, che ha visto annullati dal giudice amm o che abbia annullato d’ufficio in pendenza di
giudizio i provv emanati, di disporne l’acquisizione, non retroattiva, al suo patrimonio indisponibile. Il provv
deve prevedere un indennizzo corrispondente al valore venale del bene e un risarcimento del danno per il
periodo di occupazione senza titolo. Il provv di acquisizione richiede una motivazione puntuale in
riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate
comparativamente con i contrapposti interessi privati e evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla
sua adozione.

10. b) Le sanzioni pecuniarie e disciplinari.

Tra i provv restrittivi della sfera g dei destinatari ci sono i provv sanzionatori. Il procedimento per
l’irrogazione delle sanzioni, come quello espropriativo, è strutturato in modo da garantire il rispetto del
principio del contraddittorio. Il procedimento per l’irrogazione delle sanz di tipo pecuniario è disciplinato in
termini generali dalla l 689/1981 che distingue 3 fasi: l’accertamento; la contestazione degli addebiti;
l’ordinanza-ingiunzione (che può essere oggetto di un’opposizione: cioè fase di verifica giurisdizionale).

1.L’accertamento della violazione. Consiste in un’attività di raccolta e di prima valutazione di elementi di


fatto suscettibili di integrare una fattispecie di illecito amministrativo. L’attività preprocedimentale consiste
nell’assunzione di informazioni, di ispezioni di cose e luoghi (non dimora privata) e altre operazioni tecniche
effettuate dagli agenti accertatori individuati nelle normative di settore, come gli agenti e gli ufficiali di
polizia giudiziaria e gli organi amm addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione
è prevista una sanz pecuniaria. In alcuni casi le attività di accertamento avvengono in contraddittorio: per es
nel caso di analisi tecniche di campioni l’interessato può chiedere la revisione dell’analisi effettuata dal
dirigente del laboratorio indicando anche un proprio consulente tecnico. Le attività poste in essere e le
risultanze confluiscono in un processo verbale redatto dall’agente accertatore. Il verbale fa piena prova fino
a querela di falso.

2.La contestazione dell’illecito e l’oblazione. Se l’accertamento fa emergere la violazione di norme


amministrative, l’ufficio competente procede alla contestazione dell’illecito al trasgressore. Se possibile essa
deve essere immediata e in ogni caso notificata nel termine perentorio di 90 gg dall’accertamento
(altrimenti c’è l’estinzione dell’obbligazione del pagamento della somma dovuta). La contestazione deve
indicare con sufficiente precisione gli elementi suscettibili di essere sussunti in una fattispecie sanzionatoria.

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Entro 30 gg dalla contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono presentare scritti
difensivi e chiedere di essere sentiti personalmente dall’autorità amministrativa. La garanzia del
contraddittorio orale non è prevista in termini generali dalla 241. Entro 60 gg dalla notificazione della
contestazione l’interessato può procedere all’oblazione, cioè al pagamento di una somma ridotta, che
estingue l’obbligazione pecuniaria senza che si proceda a un accertamento definitivo dell’illecito.

3.L’ordinanza-ingiunzione. Se si ritiene provata la violazione all’esito della valutazione degli elementi


istruttori e dell’audizione orale eventuale, l’autorità procedente emana l’ordinanza-ingiunzione che
determina l’ammontare della sanz pecuniaria e ingiunge al trasgressore il pagamento della stessa, insieme
con le spese, entro un termine di 30gg. In caso contrario l’autorità dispone l’archiviazione con ordinanza
motivata comunicata all’organo che ha redatto il rapporto. L’ordinanza-ingiunzione può irrogare anche
sanzioni accessorie come la confisca di cose il cui uso, porto, detenzione costituisce violazione
amministrativa oppure la sospensione di una licenza. Il pagamento deve avvenire entro 30 gg dalla
notificazione del provv. L’ordinanza ingiunzione vale come titolo esecutivo.

4.Il giudizio di opposizione. Entro 30 gg dalla notificazione del provv, contro l’ordinanza-ingiunzione può
essere proposta opposizione davanti al giudice ordinario (perché la situazione g soggettiva del sogg è un
diritto soggettivo). La vicenda sanzionatoria, data la natura vincolata del potere, si sussume nella categoria
delle obbligazioni pubbliche ex lege secondo lo schema norma-fatto-effetto giuridico. L’oggetto del giudizio
innanzi al giudice ordinario consiste nell’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto della violazione e
della sussistenza della pretesa creditoria dell’amm e dell’obbligo di pagamento della somma di denaro in
capo al trasgressore. La 689/1981 si pone in una relazione di specialità rispetto alla 241; essa contiene un
sistema organico e compiuto di norme sostanziali e procedurali che è autosufficiente e non richiede
integrazioni da parte della 241.

Le discipline speciali. La 689/81 è la legge generale in tema di sanzioni amministrative. Essa subisce delle
deroghe nelle discipline di settore. Per es molte leggi amministrative modificano la durata dei termini o non
prevedono il contraddittorio orale, escludono l’istituto dell’oblazione, affidano le controversie alla
giurisdizione del giudice amm (per es per le sanz irrogate dalle AAI). Tra le norme speciali delle discipline di
settore, occorre menzionare la regola per cui le funzioni istruttorie devono essere affidate a uffici o organi
distinti dall’organo collegiale che assume la determinazione finale. Tale regola, introdotta per le aai operanti
in particolare nel settore finanziario (banca d’italia, consob, ivass, covip) si ispira al modello
dell’administrative procedure act statunitense.

Il contraddittorio rinforzato. Le discipline di settore riguardanti le aai rafforzano il principio del


contraddittorio. Per es per quanto riguarda la consob, il testo unico dell’intermediazione finanziaria
richiama i principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e delle verbalizzazioni. La consob
ha modificato il proprio regolamento sull’applicazione delle sanz prevedendo che il sogg nei cui confronti è
avviato il procedimento possa non solo esercitare il diritto di difesa nella fase istruttoria, ma anche
presentare controdeduzioni scritte in replica alla relazione finale inviata dall’ufficio sanzioni amm al collegio
che assume la decisione finale.

Gli impegni. Ci sono delle norme speciali relative ai procedimenti sanzionatori di competenza dell’autorità
gar della conc e del merc e di altre autorità di regolazione che prevedono che il procedimento sanzionatorio
si concluda, non con l’accertamento dell’illecito e l’irrogazione della sanz, ma con l’approvazione di impegni
proposti dall’impresa a cui è contestato l’illecito, volti a porre rimedio alle distorsioni concorrenziali. In caso
di mancata ottemperanza il procedimento sanzionatorio può essere riaperto. In caso di violazioni di scarsa
offensività, la banca d’italia e la consob possono decidere discrezionalmente di non applicare la sanz
pecuniaria, eliminando le infrazioni contestate. In molti casi i ricorsi contro i provv sanzionatori sono
devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amm che può sindacare nel merito (e quindi modificare)
l’entità della sanz pecuniaria irrogata.

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Le sanz disciplinari. Una specie di sanz amm è data dalle sanz disciplinari previste per i dipendenti della p.a.,
ma anche per altri sogg sottoposti a regimi speciali e poteri di vigilanza attribuiti ad apparati pubblici (per es
i promotori finanziari vigilati dalla consob, oppure i professionisti iscritti ad albi o registri pubblici). Secondo
il d.lgs. n 165/2001, il dirigente dell’ufficio, o per le sanz più gravi, l’ufficio competente per i procedimenti
disciplinari che vengono a conoscenza di comportamenti illeciti di un dipendente pubblico devono
contestare per iscritto l’addebito senza indugio e non oltre 20gg. Il dipendente è convocato con un
preavviso di 10 gg per esercitare il proprio diritto di difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore o di
un rappresentante di un’associazione sindacale. Il dipendente può decidere di non presentarsi e può
limitarsi a inviare una memoria scritta. L’amm procede se necessario a un’ulteriore attività istruttoria
assumendo info anche presso altre p.a. Il procedimento si conclude con l’archiviazione o con l’irrogazione
della sanz entro 60 gg dalla contestazione dell’addebito, altrimenti c’è la decadenza dall’azione disciplinare.
Le sanz disciplinari possono essere impugnate dal dipendente davanti al giudice ordinario previo
esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione presso un collegio di conciliazione istituito presso
la direzione provinciale del lavoro o attraverso altre procedure previste nei contratti collettivi nazionali. Nel
caso di sanz irrogate a dipendenti esclusi dal regime di privatizzazione, la giurisdizione è del giudice amm.

11. c)Le autorizzazioni. Il permesso a costruire e la valutazione di impatto ambientale.

Parliamo dei procedimenti che si concludono con provv che producono effetti ampliativi della sfera g del
destinatario. La disciplina generale delle autorizzazioni che ricadono nel campo di applicazione della
direttiva servizi 2006/123/ce enuncia principi analoghi a quelli posti dalla 241.

La disciplina europea. La direttiva pone in 1 luogo il principio per cui le procedure e le formalità per
l’accesso a un’attività di servizi devono essere sufficientemente semplici. Gli sm devono istituire sportelli
unici presso i quali gli interessati possono effettuare gli adempimenti a distanza e per via elettronica. Le
procedure e le formalità devono essere chiare, rese pubbliche preventivamente e garantire ai richiedenti
che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità. Gli oneri per i richiedenti devono essere
ragionevoli e commisurati ai costi delle procedure di autorizzazione. La domanda di autorizzazione deve
essere trattata con la massima sollecitudine ed entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso
pubblico preventivamente. La mancata risposta entro il termine stabilito fa scattare il silenzio-assenso. Solo
in presenza di un motivo imperativo di interesse generale, le leggi di settore possono escluderlo
introducendo un regime di silenzio-inadempimento. Ogni domanda di autorizzazione, deve essere
riscontrata con una ricevuta inviata al richiedente. Essa deve contenere info relative al termine di
conclusione del proced, ai mezzi di ricorso esperibili, all’eventuale applicazione della regola del silenzio-
assenso. Se una domanda è incompleta, i richiedenti sono informati della necessità di presentare ulteriori
documenti. Istanze, segnalazioni, comunicazioni devono essere protocollate e deve essere rilasciata una
ricevuta, anche in via telematica.

Il permesso a costruire. È un es di procedimento autorizzatorio disciplinato dal testo unico in materia


edilizia approvato con d.p.r. n 389/2001. Le leggi regionali contengono discipline particolari. Il procedimento
si apre con la presentazione allo sportello unico per l’edilizia del comune di una domanda sottoscritta dal
proprietario e corredata da un’attestazione del titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali e altre
documentazioni. Nel caso in cui si tratti di un intervento di edilizia residenziale è richiesta anche
un’autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie. Entro 10gg lo sportello
unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento il quale cura l’istruttoria
acquisendo i pareri interni degli uffici comunali e altri pareri necessari. Se sono richiesti altri atti di assenso a
cura di amm diverse, il respo del procedimento convoca una conferenza di servizi. Gli atti di assenso
includono l’autorizzazione e certificazione regionale per le costruzioni in zone sismiche, il parere
dell’autorità competente in materia di vincolo idrogeologico ecc. All’esito dell’istruttoria, entro 60 gg dalla
presentazione della domanda, il responsabile del procedimento, (valutata la conformità del progetto alla
normativa applicabile), formula una proposta al dirigente del servizio che nei successivi 15 gg rilascia il

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permesso a costruire. Della determinazione è dato avviso pubblico con affissione all’albo pretorio. Decorsi i
termini menzionati si intende formato il silenzio-rifiuto (inadempimento). L’interessato può proporre un
ricorso in sede giurisdizionale oppure richiedere con un’istanza formale che il dirigente si pronunci entro 15
gg. Decorso inutilmente anche questo termine, l’interessato può richiedere alla regione di esercitare il
potere sostitutivo con la nomina di un commissario ad acta che provvede entro 60 gg. In materia edilizia, gli
interventi di minor impatto sono sottoposti a regimi semplificati di scia.

La valutazione di impatto ambientale. La via è un procedimento a struttura complessa con effetti ampliativi.
Esso deve essere avviato da chi intende realizzare progetti con impatto elevato sul territorio. (La via è stata
introdotta nel nostro ord riprendendo modelli usa e di alcuni paesi europei che avevano già previsto
procedure environmental impact assessment). Il proced si apre con una 1 istanza all’autorità competente a
valutare uno studio preliminare ambientale che viene pubblicata sul sito web cosicché tutti gli interessati
possano presentare osservazioni. Di tali pubblicazioni devono essere informate tutte le amm e tutti gli enti
territoriali interessati. Successivamente l’autorità stabilisce con un provv pubblicato sul sito web se il
progetto debba essere assoggettato o meno alla via. A questo punto, il proponente presenta un’altra istanza
con tutta la documentazione necessaria richiesta tramite avviso sempre sul sito web. Entro 60 gg dalla
presentazione dell’istanza chiunque può prendere visione della documentazione e presentare
controdeduzioni. L’autorità competente può indire una consultazione nella forma di inchiesta pubblica e
richiedere al proponente modifiche e integrazioni progettuali. Entro 60 gg dalla conclusione della fase di
consultazione, nel caso di provv di competenza statale, l’autorità competente propone al ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio l’adozione del provv di via che deve essere motivato e mitigare gli
impatti ambientali tramite misure e condizioni. Una variante di questo procedimento prevede che il
proponente possa richiedere che il provv di via sia rilasciato nell’ambito di un procedimento unico che
includa ogni autorizzazione, nulla osta, intesa o altro atto di assenso e che preveda l’indizione di una
conferenza di servizi decisoria.

12. d) I procedimenti concorsuali. Spesso le p.a. sono enti erogatori di denaro e altre utilità a favore di sogg
privati. Tuttavia in molti casi le risorse dei bene attribuibili hanno il carattere della scarsità: coloro che
ambiscono ad acquisirli sono in misura superiore alle quantità disponibili. Si pensi all’assegnazione di alloggi
di edilizia economica popolare, alla concessione di uso esclusivo di un bene demaniale(una spiaggia su cui
costruire uno stabilimento balneare), all’attribuzione di bande di radiofrequenze, all’accesso agli impieghi
pubblici.

La disciplina cost ed europea. Per l’accesso agli impieghi nelle p.a. e agli uffici pubblici, gli artt 51, co 1 e 97
co 3, pongono rispettivamente il principio di eguaglianza e il principio del concorso pubblico (previsti già
dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’assemblea cost nel 1789). La direttiva
servizi 2006/123/ce dispone che quando il n di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia
limitato a causa della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli sm applicano una
procedura di selezione tra i potenziali candidati, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e
preveda un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
L’autorizzazione così rilasciata deve avere una durata limitata e deve escludere il rinnovo automatico,
affinchè possa essere avviata una nuova procedura selettiva. La 241 prevede che la concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici sono subordinate alla
predeterminazione e alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti dei criteri e delle
modalità cui esse devono attenersi (art 12).

I principi comuni alla procedure concorsuali. Nei proced di tipo competitivo o concorsuale per assegnare
una risorsa scarsa valgono alcuni principi generali: la pubblicità (che consente a tutti gli interessati di avere
notizia della procedura che sta per essere avviata), la parità di trattamento (che pone sullo stesso piano tutti
gli aspiranti), la trasparenza della procedura (che consente un controllo sulla corretta applicazione dei criteri
di selezione), l’oggettività dei criteri (che richiede parametri e criteri predeterminati che limitino la

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discrezionalità). Un es è il concorso per l’accesso agli impieghi pubblici la cui disciplina è prevista nell’art 35
d lgs 165/2001. Un 2 es di procedimenti di tipo concorsuali è quello dell’affidamento dei contratti pubblici.

13. e)L’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di accesso ex art 22 ss l 241 va rivolta a una pa e si
può riferire solo a documenti ben individuati (perché il diritto di accesso non è uno strumento di controllo
generalizzato dell’operato delle pa) e già formati (perché l’amm non è tenuta a elaborare dati in suo
possesso al fine di soddisfare le richieste).

L’accesso informale e formale. Il d.p.r. distingue 2 modalità di accesso: formale e informale. L’accesso
informale si può avere quando non ci sono sogg controinteressati per i quali si pone un problema di
riservatezza. La richiesta può essere anche verbale, è esaminata immediatamente e senza formalità ed è
accolta con l’esibizione del documento o l’estrazione di copia. L’accesso formale è necessario nei casi in cui
l’amm riscontri l’esistenza di potenziali controinteressati o quando sorgono dubbi sulla legittimazione del
richiedente sotto il profilo dell’interesse o sulla accessibilità di un documento in relazione alle norme di
esclusione. La richiesta va presentata per iscritto e deve indicare gli estremi del documento o gli elementi
che consentano di individuarlo. Essa deve essere motivata sotto il profilo dell’interesse diretto, concreto e
attuale connesso all’oggetto della richiesta che fa sorgere in capo al richiedente una situazione giuridica
sogg individualizzata. Il procedi prevede anche una fase di contraddittorio con i sogg controinteressati;
l’amm è tenuta a comunicare a questi la richiesta presentata con l’assegnazione di un termine di 10 gg per
l’eventuale presentazione di un’opposizione motivata. L’accesso è gratuito e consiste nell’esame dei
documenti presso l’ufficio con la presenza, se necessaria, di personale addetto. L’accesso è effettuato dal
richiedente o da persona da lui incaricata. È consentito prendere appunti o trascrivere i documenti presi in
visione. La copia dei documenti è rilasciata dietro pagamento del solo rimborso del costo di riproduzione. Il
procedimento di accesso si deve concludere entro 30 gg dalla richiesta, decorso il termine la richiesta si
intende respinta (silenzio-diniego). Il provv che rifiuta, limita o differisce l’accesso deve essere motivato.
L’atto di accoglimento della richiesta indica l’ufficio e il periodo di tempo concesso per prendere visione o
per ottenere copia dei documenti.

Il differimento dell’accesso. Il proced si può concludere anche con un provv che dispone il differimento
dell’accesso. L’accesso non può essere negato quando è sufficiente far ricorso al potere di differimento,
quando l’accesso possa compromettere il buon andamento dell’azione amm, fermo restando che una volta
concluso il procedimento non c’è ragione per non rendere disponibile agli interessati la documentazione.
Nella scelta tra diniego e differimento c’è spazio per valutazioni discrezionali. Un caso di differimento
previsto per legge riguarda l’accesso ai documenti nei procedimenti per l’affidamento di contratti pubblici.
Per non compromettere la regolarità della procedura di fronte al rischio di accordi collusivi, l’art 53 codice
dei contratti pubblici vieta l’accesso all’elenco di sogg che hanno presentato l’offerta fino alla scadenza del
termine per la presentazione delle offerte. Contro il diniego espresso o tacito e contro il differimento può
essere proposto un ricorso giurisdizionale entro 30 gg innanzi al giudice amm (investito di giurisdizione
esclusiva). Il processo segue un rito speciale accelerato che si può concludere con una sent di condanna che
ordina l’esibizione dei documenti richiesti.

I rimedi non giurisdizionali. In alternativa, la 241 prevede un ricorso di tipo amm esperibile innanzi al
difensore civico o alla commissione per l’accesso ai documenti amm istituita presso la presidenza del
consiglio dei ministri che si devono pronunciare entro 30 gg. Decorso questo termine il ricorso si intende
respinto e può essere proposto il ricorso in sede giurisdizionale. Se si ritengono illegittimi il diniego o il
differimento dell’accesso, il difensore civico o la commissione lo comunicano all’autorità amm. Se questa
non emana un provv confermativo motivato entro 30 gg l’accesso è consentito, si forma un silenzio assenso.

L’accesso civico. L’accesso civico disciplinato dal d.lgs. 33/2013 non richiede la titolarità di una situazione g
sogg in capo al richiedente. La richiesta di accesso civico non riguardante documenti la cui pubblicazione è
obbligatoria deve essere comunicata dall’amm a eventuali controinteressati che possono presentare

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opposizione motivata. Il proced si deve concludere con provv espresso e motivato nel termine di 30 gg. In
caso di diniego il richiedente può presentare una richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza.

CAPITOLO 6: I CONTROLLI

1.Premessa. La funzione di controllo, accessoria e strumentale rispetto alle funzioni principali, consiste nel
monitoraggio dell’attività posta in essere dalle strutture operative.

I controlli in ambito privatistico. Secondo il cc, la spa annovera tra gli organi essenziali, accanto
all’assemblea e al consiglio di amministrazione, un organo di controllo interno, cioè il collegio sindacale, che
vigila sull’osservanza della legge e dello statuto. Inoltre il controllo contabile sulla società è affidato a un
revisore contabile o a una società di revisione esterna iscritta nel registro presso il ministero della giustizia.
Un organo di controllo con funzioni di vigilanza sul rispetto delle norme di legge è previsto per gli enti del
terzo settore. Nel settore del non profit, l’amministrazione delle fondazioni è sottoposta al controllo e alla
vigilanza dell’autorità governativa che ha il potere di annullare le delibere contrarie a norme imperative,
buon costume o all’ordine pubblico e nominare un commissario straordinario. Gli enti del terzo settore ora
sono sottoposti alla vigilanza del ministero del lavoro e delle politiche sociali. Anche le p.a. sono sottoposte
a un sistema di controlli volti al perseguimento di interessi pubblici. Tuttavia le stesse p.a. oltre a essere
oggetto di controlli, sono titolari esse stesse, in base alle normative di settore, anche di funzioni di vigilanza
e di controllo nei confronti di sogg privati al fine di proteggere interessi pubblici. Si pensi alla polizia
municipale.

La definizione di controllo. In ambito giuridico il controllo può essere definito come una verificazione di
regolarità di una funzione propria o aliena o come un giudizio di conformità a regole, che comporta in caso
di difformità una misura repressiva o preventiva o rettificativa. I criteri principali per inquadrare le tipologie
di controlli sono: il sogg titolare del potere di controllo; il destinatario del controllo; l’oggetto del controllo; il
parametro o standard di valutazione; le misure che possono essere adottate all’esito del controllo.

1.Quanto al sogg titolare del potere di controllo, esso è posto in una posizione di indipendenza e terzietà
rispetto al destinatario del controllo. Spesso gli è richiesta una qualificazione tecnico-professionale in
funzione dello standard del controllo che in molti casi presuppone conoscenze specialistiche.

La corte dei conti. Secondo la cost la corte dei conti “esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti
del governo e anche quello preventivo sulla gestione del bilancio dello stato e partecipa al controllo sulla
gestione finanziaria degli enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria” (art 100, co 2 cost). La corte dei
conti, che esercita anche funzioni giurisdizionali nelle materie di contabilità pubblica (art 103, co 2), è
inserita dalla cost tra gli organi ausiliari del governo ed è composta da magistrati assunti in massima parte
per concorso. In anni recenti, è stato rafforzato il suo ruolo di controllore dei conti pubblici e del rispetto dei
vincoli finanziari derivanti dal patto di stabilità. La corte riferisce direttamente alle camere sul risultato del
riscontro eseguito. L’organo titolare della funzione di controllo si colloca al di fuori della catena di comando
ed è considerato, per alcuni tipi di controllo interno, titolare di una funzione di supporto ausiliaria all’organo
decisionale.

2. I destinatari del controllo possono fare parte della medesima organizzazione nella quale è incardinato
l’organo di controllo e si ha il controllo interno (collegio dei revisori di un ente pubblico), oppure possono
appartenere a un sogg diverso e in questo caso si parla di controllo esterno (la corte dei conti nei confronti
delle amm statali, la consob nei confronti delle società quotate in borsa). Destinatari dei controlli esterni di
tipo amm possono essere sia sogg pubblici sia sogg privati che svolgono determinate attività. In senso
generico si parla di funzione di vigilanza che è attribuita a organi e apparati istituiti appositamente (aziende
sanitarie locali, vigili del fuoco). La funzione di vigilanza include una serie di poteri istruttori (accessi,

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ispezioni ecc) e decisori (ordini, sanzioni, messa in liquidazione dell’ente). A volte alla funzione di controllo si
cumula anche quella di indirizzo e di direzione.

3.L’oggetto del controllo può essere costituito da singoli atti emanati dall’amm (controllo sugli atti), oppure
dal complesso delle attività poste in essere da un apparato e dai risultati conseguiti (controllo sull’attività).

4. Il parametro o standard di valutazione può avere natura tecnica (controlli tecnici) o natura giuridica
(controlli di legittimità). Es del 1 tipo possono essere il controllo sulle scritture contabili di un ente, oppure i
controlli sulla sicurezza di impianti produttivi. Nel diritto amm la distinzione rilevante è tra controllo di
legittimità (ha come riferimento norme e principi giuridici che presiedono all’attività delle amm pubbliche) e
controllo di merito (riguarda un apprezzamento diretto al grado di soddisfazione dell’interesse pubblico).

5.Le misure che possono essere emanate all’esito del controllo sono di vario tipo: ordini di adeguamento o
di ripristino dello standard violato, annullamento o riforma di atti, sanzioni, esercizio del potere sostitutivo,
scioglimento dell’organo ecc. Un es di potere sostitutivo è quello attribuito al p.d.c.m su proposta del
ministro competente, nel caso di violazione di obblighi derivanti dall’appartenenza all’ue o di grave
pregiudizio agli interessi nazionali, di assegnare alla regione o all’ente locale un termine, e decorso
inutilmente questo, di nominare un commissario che ponga in essere l’atto in luogo dell’ente inadempiente.
Un es di scioglimento e sospensione di organi è il potere attribuito al ministro dell’interno di rimuove e
sospendere il sindaco, il presidente della provincia e altri amministratori locali ove compiano atti contrari
alla cost o per gravi violazioni di legge.

2.I controlli sugli atti e sull’attività. Il controllo sugli atti costituisce una forma di verifica sull’operato di un
ente che limita molto l’autonomia dello stesso ente. Esso può essere preventivo o successivo a seconda che
venga esercitato prima o dopo che l’atto abbia prodotto i suoi effetti. Può essere di legittimità o di merito, a
seconda che l’organo di controllo faccia riferimento a parametri normativi e a principi giuridici, oppure a
canoni più generali di opportunità e convenienza. In passato il controllo di merito era previsto in modo
esteso a livello locale. Si pensi al controllo del prefetto, nei confronti delle opere pie (o istituzioni pubbliche
di assistenza e beneficienza, ipab). In caso di esito negativo il controllo di legittimità preclude all’atto di
produrre i suoi effetti, se si tratta di controllo preventivo; se si tratta di controllo successivo, determina
l’annullamento dell’atto con la rimozione degli effetti ex tunc. Se il controllo è esteso al merito l’autorità che
lo esercita può riformare direttamente l’atto oppure indirizzare all’autorità emanante una richiesta di
riesame. Per es, gli statuti approvati dalle università sono soggetti a un controllo del ministero competente il
quale può operare rilievi, oltre che di legittimità, di merito. Il controllo preventivo di legittimità sugli atti
delle amm statali e locali è stata in auge fino a poco tempo fa. La cost prevedeva un controllo di legittimità
sugli atti delle regioni esercitato in forma decentrata da un organo dello stato (art 125) e sugli atti delle
province e dei comuni attribuito a un organo regionale (art 130). Oggi si è affermata la cd amministrazione
di risultato nella quale è avvertita l’esigenza di assicurare i valori dell’efficienza, dell’efficacia e
dell’economicità. Con la riforma del titolo v della cost attuata con la l cost 3/2001, il controllo preventivo di
legittimità degli atti è stato in gran parte soppresso e ad esso sono subentrate altre forme di controllo di
tipo finanziario e gestionale. A livello statale, il controllo preventivo di legittimità attribuito alla corte dei
conti è limitato a un elenco tassativo di atti. Tra cui rientrano i provv emanati con delibera del consiglio dei
ministri, gli atti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare. Il procedimento di controllo si
deve concludere entro 60 gg dalla ricezione dell’atto. In caso di esito negativo del controllo (cioè diniego del
visto e della registrazione dell’atto), il ministro può chiedere al consiglio dei ministri che l’atto abbia
comunque corso e che venga ammesso alla registrazione con riserva: l’atto acquista efficacia nonostante
l’illegittimità rilevata dalla corte dei conti che però ne dà comunicazione al parlamento. Anche il controllo
successivo su singoli atti è ormai quali del tutto superato. La corte dei conti può però deliberare
motivatamente che singoli atti di notevole rilievo finanziario siano sottoposti al suo esame per un
determinato periodo di tempo. La corte può richiedere all’amm entro 15 gg il riesame degli atti adottati,
richiesta che non sospende l’esecutività dei medesimi.

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I controlli sull’attività. Il controllo sull’attività ha per oggetto la gestione di un apparato considerata nel suo
complesso e mira a valutarne i risultati globali. È un controllo di tipo successivo (ex post) che riguarda la
regolarità contabile e finanziaria della gestione e l’efficienza, l’efficacia e l’economicità.

La corte dei conti. In attuazione dell’art 100, co 2 cost, la corte dei conti esercita il controllo successivo sulla
gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche. Verifica la legittimità e la regolarità
delle gestioni, accertando la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla
legge (l 20/1994). Essa verifica anche il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione,
creando un legame tra controlli interni e controlli esterni. Il controllo successivo sulla gestione del bilancio
dello stato ha per oggetto gli andamenti generali della finanza pubblica e consiste nell’esame del rendiconto
generale dello stato presentato dal governo alla corte dei conti entro il 31 maggio successivo a quello di
chiusura dell’anno finanziario. Il rendiconto viene messo a raffronto con la legge di bilancio e nel caso di
accertata concordanza, viene emanato un giudizio di parificazione inviato al parlamento entro il 30 giugno
di ogni anno. A livello decentrato la corte dei conti, tramite le sezioni regionali, esercita un controllo
successivo sul rispetto da parte di regioni ed enti locali del Patto di stabilità e dei vincoli derivanti
dall’appartenenza dell’italia all’ue. I revisori degli enti locali inviano alle sezioni regionali della corte una
relazione sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo di ciascun ente. All’esito del controllo le sezioni
regionali riferiscono agli organi rappresentativi dell’ente e vigilano sull’adozione da parte dell’ente locale
delle misure correttive per assicurare il rispetto dei vincoli e degli obiettivi. Analoghi controlli sono previsti
nei confronti delle aziende sanitarie locali. La corte esercita un controllo esterno anche nei confronti di enti
pubblici e privati ai quali lo stato contribuisce, e delle università.

3.I controlli gestionali. I controlli gestionali, introdotti nelle organizzazioni private, costituiscono la specie
principale di controlli interni alle p.a. La disciplina è contenuta nel d.lgs. n 286/1999 che individua 4 tipi di
controllo interno obbligatori per tutte le pa statali e non statali: il controllo di regolarità amministrativa e
contabile, il controllo di gestione, la valutazione della dirigenza pubblica, la valutazione e il controllo
strategico.

1.Il controllo di regolarità amm e contabile è volto a garantire la legittimità, regolarità e correttezza
dell’azione amministrativa. Esso è affidato, agli uffici di ragioneria (ministeri), agli organi di revisione (enti
locali), ai servizi ispettivi di finanza. Esso prevede verifiche e avviene sulla base di parametri costituiti dai
principi generali della revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali.

2.Il controllo di gestione è volto a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amm al fine di
ottimizzare il rapporto tra costi e risultati. Tale controllo viene effettuato da un organismo istituito a
supporto dei dirigenti che dall’esito delle verifiche possono trarre indicazioni per organizzare meglio
l’attività. Ciascuna amm deve definire le unità organizzative da sottoporre a questo controllo; elaborare gli
indicatori specifici per misurare efficacia, efficienza, ed economicità; stabilire la frequenza di rilevazione
delle informazioni.

3.La valutazione della dirigenza pubblica è operata con periodicità annuale e consiste nella valutazione delle
prestazioni dei dirigenti e delle competenze organizzative, anche sulla base dei risultati del controllo di
gestione. Tale tipo di controllo è funzionale a far valere la responsabilità di tipo dirigenziale che costituisce
una forma di responsabilità prevista per figure dirigenziali. Essa può determinare, il mancato rinnovo
dell’incarico, il recesso dal rapporto di lavoro ecc.

4.La valutazione e il controllo strategico sono preordinati a valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in
sede di attuazione dei piani, programmi e altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini
di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti. Il controllo mira a verificare l’effettiva attuazione
delle scelte indicate in questi atti e si concretizza nell’analisi della congruenza o degli eventuali scostamenti
tra le missioni affidate, le scelte effettuate, le responsabilità e i possibili rimedi. Per gli enti locali, la
disciplina prevista dal d.lgs. 267/2000 ricalca quella generale del d lgs 286/1999 ed è stata rafforzata. In

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relazione all’obbligo cost di pareggio del bilancio è stato introdotto un controllo sugli equilibri finanziari
finalizzato al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti per gli enti locali. I controlli interni tendono a
migliorare l’azione amm e hanno prevalentemente una funzione collaborativa.

CAPITOLO 7: LA RESPONSABILITA’.

L’immunità del sovrano. La responsabilità dello stato per comportamenti o atti illeciti dei suoi agenti, è
l’esito di un’evoluzione del principio dell’immunità del sovrano sancito in tutti gli ordinamenti in epoca
antecedente allo stato di diritto. A fine ottocento la dottrina italiana sosteneva che la responsabilità dello
stato fosse incompatibile con il carattere etico dello stato. Con l’affermarsi dello stato di diritto l’immunità
della p.a. venne via via erosa. Nel nostro ordinamento, si affermò la tesi per cui la p.a. è responsabile nei
confronti di terzi in relazione ai cd atti di gestione (contrapposti agli atti d’imperio) in quanto in questo
ambito essa opera su un piano di parità con i sogg privati.

I modelli di responsabilità nel diritto europeo. 2 sono i modelli prevalenti di responsabilità della pubblica
amm affermatisi a livello europeo. Il 1, adottato in gran Bretagna si fonda sul principio della responsabilità
personale del dipendente pubblico nei confronti dei 3 danneggiati, e può essere estesa dalla legge agli
apparati al servizio nei quali opera il dipendente. Il 2 modello, adottato in germania, si fonda sul principio
opposto della responsabilità oggettiva indiretta dell’apparato, (nella sua veste di datore di lavoro del
dipendente che ha compiuto l’illecito). La responsabilità dell’amm e dei suoi funzionari richiede un
bilanciamento tra esigenze contrapposte: rifondere i privati dei danni subiti, scoraggiare i comportamenti
illeciti da parte dei dipendenti pubblici; evitare il rischio di un eccesso di deterrenza (overdeterrence).

Il rischio di overdeterrence. Questa esigenza muove nella direzione di erigere una qualche “rete di
contenimento” della responsabilità. (L’esposizione ad azioni risarcitorie induce a comportamenti
opportunistici come procrastinare le decisioni, coinvolgere nella decisione altri funzionari o apparati in
modo da rendere più difficile l’accertamento della responsabilità).

2.L’art 28 della cost e gli sviluppi successivi. La responsabilità della pa in italia trova fondamento nell’art 28
cost che stabilisce che “i funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti pubblici sono direttamente
responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali
casi la responsabilità civile si estende allo stato e agli enti pubblici.” La responsabilità dell’apparato sembra
avere carattere sussidiario (perché il danneggiato deve proporre l’azione prima nei confronti del dipendente
pubblico e poi contro l’amm nel caso di patrimonio incapiente) e parallelo (può sorgere solo se c’è una
responsabilità personale del dipendente), anche se in realtà oggi è considerata solidale. (Gli emendamenti
introdotti snaturarono l’art, la cui formulazione diede adito a dubbi interpretativi).

La responsabilità diretta delle amministrazioni. Già prima della cost, infatti la responsabilità degli apparati
pubblici derivante da comportamenti illeciti era considerata come responsabilità diretta che sorge in base al
rapporto organico tra agente e l’amm di appartenenza. L’attività dell’agente si imputa all’amm perché da un
punto di vista formale non è il dipendente pubblico che opera, ma l’ente di appartenenza. Quindi anche in
caso di attività illecita posta in essere dal dipendente nell’ambito delle mansioni a cui è adibito, la
responsabilità sorge esclusivamente in capo all’amm, anche se essa si può rivalere in via di regresso sul
dipendente.

Deroghe al diritto comune. L’applicazione alla p.a. dei principi di diritto comune in tema di responsabilità
subì numerose deroghe. Per es molte leggi speciali esentano da ogni resp l’amm postale in caso di perdita o
manomissione di lettere raccomandate (o il gestore dei servizi telefonici in caso di interruzione colposa del
servizio). Per molto tempo si ritenne che all’amm non si applicasse l’art 2050 cc secondo il quale chi provoca
un danno nello svolgimento di attività pericolosa è responsabile se non prova di aver adottato tutte le
misure idonee a evitare il danno. Infatti mentre i privati svolgono tali attività a scopo di lucro, l’amm agisce
nell’interesse della collettività (per es esercitazioni militari) e il controllo del giudice sull’idoneità delle

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misure adottate per evitare il danno comporterebbe un’intromissione inammissibile nelle scelte
discrezionali dell’amm. Anche l’applicazione ai beni demaniali dell’art 2051 cc in materia di responsabilità di
danno cagionato da cose in custodia (strade pubblica) venne esclusa per molto tempo. Anche l’art 1337 cc
in tema di resp precontrattuale non venne riferita ai contratti della p.a.

Gli sviluppi giurisprudenziali. La giuri ha ridotto le aree di immunità. Ha applicato l’art 2050 cc all’attività di
gestione di linee elettriche ad alta tensione. Ha affermato che la resp ex art 2051 cc per danni da omessa o
insufficiente manutenzione delle strade pubbliche è esclusa solo quando vi è un’oggettiva impossibilità di
esercizio di un potere di controllo a causa della notevole estensione del bene. Ha ritenuto che viola l’art
1337 cc la condotta dell’amm che avvia e conclude una procedura a evidenza pubblica, ma che poi revochi
l’aggiudicazione per mancanza di copertura finanziaria.

3.La responsabilità civile da comportamento illecito. La resp della p.a. e dei suoi agenti riferita ai meri
comportamenti (condotte non ricollegabili all’esercizio di un potere e all’emanazione di un provv) (si
analizza tendendo contro di 3 distinti rapporti: quello tra il danneggiato e il dipendente pubblico autore
dell’illecito; quello tra danneggiato e p.a. nella quale è incardinato il dipendente; e quello tra dipendente e
amm di appartenenza.)

Il carattere diretto e solidale della responsabilità del dipendente. In 1 luogo, la resp del funzionario e
dell’amm per danni provocati a 3 è una resp diretta di tipo solidale, il danneggiato può scegliere se agire
contro il dipendente, contro l’amm o contro entrambi. L’art 22 del testo unico sugli impiegati civili dello stato
prevede che l’impiegato che cagioni ad altri danno ingiusto è personalmente obbligato a risarcirlo, ma
anche che, l’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l’azione
diretta nei confronti dell’amm. Per prassi, l’azione risarcitoria viene esperita solo nei confronti dell’amm,
essendo il suo patrimonio più capiente.

Il presupposto del dolo o della colpa grave. La resp della pa è più ampia di quella del dipendente. La
responsabilità personale del dipendente per danni provocati nell’esercizio delle funzioni alle quali è
preposto è limitata ai casi di dolo e colpa grave (art 23 testo unico). In caso di colpa lieve, l’azione risarcitoria
può essere proposta solo nei confronti dell’amm e quindi viene meno il principio del parallelismo.

L’azione di regresso. L’amm che ha risarcito il 3 del danno cagionato dal dipendente può esercitare
un’azione di regresso contro lo stesso.

Occorre distinguere tra illecito causato da meri comportamenti degli agenti della p.a. e illecito conseguente
all’emanazione di provv amm illegittimi.

La responsabilità da meri comportamenti. Rientrano in quest’ambito i danni conseguenti a un incidente


stradale che coinvolge un automezzo militare; o subiti da uno scolaro non sorvegliato adeguatamente
dall’insegnante; o provocati a un autoveicolo a causa della difettosa manutenzione di una strada. In base
all’art 2043 cc per essere risarcibile, il danno deve essere riconducibile a una condotta colposa o dolosa
dell’agente; deve essere qualificato come “ingiusto”; deve sussistere un nesso di causalità tra condotta ed
evento pregiudizievole. La resp del dipendente e della pa può sorgere sia quando l’illecito consegue al
compimento di atti o operazioni, sia quando esso consiste nell’omissione o nel ritardo ingiustificato di atti o
operazioni al cui compimento l’impiegato è obbligato per legge o per regolamento. La proposizione
dell’azione risarcitoria deve essere preceduta da una diffida. Se la condotta consiste in atti o operazioni
compiuti da un organo collegiale, i membri del collegio sono responsabili in solido, la resp è esclusa solo per
coloro che abbiano fatto verbalizzare il proprio dissenso. La condotta illecita deve essere riconducibile
all’agente in base all’art 2046, che esclude l’imputabilità in caso di incapacità di intendere e volere al
momento in cui la condotta è stata posta in essere e deve essere riferibile all’amm in base al rapporto di
immedesimazione organica. Questo rapporto si può spezzare solo nei casi in cui il dipendente agisce per
finalità personali ed egoistiche al di fuori delle proprie incombenze.

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Il nesso di occasionalità. Affinchè sorga la resp occorre un nesso di occasionalità necessaria tra attività
illecita e mansioni del dipendente. (Per es sussiste nesso di causalità nel caso di un militare di leva che
aggredisce un commilitone nella camerata di una caserma per rivalità personali; non sussiste nesso nel caso
di un carabiniere, in libera uscita, che in un locale pubblico ferisce un amico con l’arma in dotazione mentre
per scherzo maneggia l’arma incautamente).

Colpa e discrezionalità. In passato la giuris riteneva che fosse precluso al giudice all’accertamento della
colpa in quanto esso si sarebbe risolto in un giudizio sulla discrezionalità della p.a. precluso dalla legge del
1865 n 2278 All.E che individua l’ambito della giurisdizione del giudice ordinario. La giuris ha superato
questa chiusura: l’amm nell’operare le scelte discrezionali è tenuta al rispetto del principio generale del
neminem laedere. Fondamentale è la distinzione tra la scelta discrezionale dei mezzi più idonei per
soddisfare gli interessi pubblici e realizzazione dei mezzi prescelti. Con riguardo a quest’ultima sorge un
problema di valutazione di un comportamento del dipendente che abbia attuato in modo difettoso, con
negligenza, imperizia o imprudenza, la scelta. (Per es, il giudice non può censurare la scelta organizzativa del
proprietario e gestore di una strada pubblica di non installare un semaforo a un incrocio. Può sindacare se
l’incidente è dovuto al malfunzionamento del semaforo per difetto di manutenzione).

L’ingiustizia del danno. La giuri, prima della svolta operata dalle sez unite della corte di cass con la sent
500/99 riteneva che potesse essere definitivo ingiusto ex art 2043 cc solo il danno conseguente alla lesione
di un diritto sogg. Era esclusa la risarcibilità dei danni causati da provv illegittimi lesivi di interessi legittimi,
mentre essa era ammessa con riguardo a tutta l’area dei meri comportamenti degli agenti della pubblica
amm. Tuttavia, già in precedenza la giuri aveva esteso l’ambito della resp della p.a. a fattispecie nelle quali
emergeva un collegamento almeno indiretto con l’esercizio di poteri amm correlati agli interessi legittimi
oppostivi.

Il risarcimento conseguente all’annullamento di un atto illegittimo. L’es più significativo era quello
dell’occupazione di un terreno avvenuta in esecuzione di un provv di espropriazione illegittimo. Il
proprietario leso in un suo interesse legittimo poteva proporre un’azione di annullamento innanzi al giudice
amm. In caso di accoglimento del ricorso, la retroattività dell’annullamento del provv ripristinato faceva
riespandere il diritto sogg in capo al proprietario privato. L’avvenuta occupazione del terreno diventava priva
di titolo. (La posizione dell’amm era assimilabile a quella di un privato che si fosse impossessato del terreno
del vicino senza averne titolo) cioè un comportamento illecito ex art 2043. Analogamente, la revoca
illegittima di una concessione amm attributiva a un sogg privato del diritto sogg a svolgere una determinata
attività poteva costituire un illecito risarcibile. Annullato il provv di revoca da parte del giudice amm, il
danno da risarcire era quello conseguente alla lesione del diritto sogg a svolgere l’attività e all’interruzione
della stessa nell’intervallo intercorrente dalla revoca all’emanazione della sent di annullamento. Tuttavia
questo meccanismo comportava la necessità di instaurare 2 giudizi: prima innanzi al giudice amm per
tutelare l’interesse legittimo, poi davanti al giudice ordinario per tutelare il diritto sogg. In base ad esso però
l’area degli interessi legittimi oppositivi era in grado di far sorgere una responsabilità a carico dell’amm. La
giurisprudenza aveva negato invece la possibilità di richiedere il risarcimento del danno nel caso di diniego
illegittimo di un provv favorevole, lesivo di un interesse legittimo pretensivo.

4.La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi. La sent 500/99 ha abbattuto la barriera della
irrisarcibilità del danno da provv illegittimo cogliendo le indicazioni del diritto europeo che non conosce la
distinzione tra diritti sogg e inter legittimi.

La nuova interpretazione dell’art 2043 cc. La corte ha operato una nuova interpretazione della nozione di
danno ingiusto ex art 2043. (Essa è considerata come norma primaria volta ad apportare una riparazione del
danno ingiustamente sofferto da un sogg per effetto dell’attività altrui). Non ha rilievo la qualificazione
formale della situazione giuridica del danneggiato in termini di diritto sogg, è sufficiente che sia riscontrabile
la lesione di un interesse giuridicamente rilevante. È ingiusto il danno che lede un interesse giuridicamente

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rilevante. Per stabilire in quali casi un interesse è giuridicamente rilevante la corte precisa che occorre
operare una valutazione di comparazione tra interessi in conflitto. Non tutti gli interessi leg sono risarcibili.
Occorre appurare se per effetto del provv illegittimo risulti leso l’interesse al bene della vita al quale
l’interesse legittimo si correla. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi la connessione con un bene della
vita, cioè la conservazione del bene o della situazione di vantaggio di fronte a un provv che mira a
sacrificarlo o a limitarlo è giustificato in re ipsa.

Interessi legittimi pretensivi e giudizio prognostico. 1. Nel caso di interessi legittimi pretensivi, la cui lesione
può arrivare sia dal diniego illegittimo del provv favorevole richiesto sia dal ritardo ingiustificato
nell’adozione dello stesso, il collegamento con il bene della vita richiede un giudizio prognostico (da
condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza per stabilire se il
pretendente fosse titolare di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua
conclusione positiva, di una situazione che era destinata ad un esito favorevole e risultava giuridicamente
protetta). Il giudizio prognostico ha per oggetto la fondatezza o meno dell’istanza del privato volta a
ottenere il provv favorevole e tende ad appurare se all’esito del procedimento il bene della vita o l’utilità che
il privato mira a conseguire gli deve essere riconosciuto. Il giudizio richiede un esame della normativa di
settore che disciplina quel tipo di procedimento per stabilire se e quali margini di discrezionalità sono
riconosciuti dall’amm (posto che la sussistenza della discrezionalità esclude la spettanza del bene della vita).
(Il giudizio va condotto secondo un criterio di normalità prefigurando alla luce della situazione concreta di
fatto, l’esito del procedimento). Operato questo giudizio può risultare in caso di prognosi negativa, che il
privato è titolare di una semplice aspettativa non tutelata, oppure in caso di prognosi positiva, che egli si
trova in una situazione di oggettivo affidamento, giuridicamente protetto a conseguire il bene della vita ad
opera di un provv favorevole. Solo in questo caso, che coincide tendenzialmente con i provv vincolati, negli
interessi pretensivi c’è un collegamento diretto con il bene della vita tale da renderli risarcibili.

La perdita di chance. Il risarcimento è commisurato solo alla perdita di chance nel caso in cui non è
possibile accertare in termini di certezza assoluta l’acquisizione o conservazione del bene della vita in capo
al titolare dell’interesse legittimo ove il potere fosse stato esercitato in modo legittimo. (Per es in materia di
procedure di gare per l’aggiudicazione di un contratto, l’impresa 2 classificata, che all’esito del processo
ottiene una sent di annullamento dell’ammissione alla procedura dell’impresa 1 classificata, vede accertata
la pretesa a conseguire il bene della vita per effetto dell’esclusione dalla graduatoria dell’impresa 1
classificata. Se invece la stessa impresa contesta l’erronea valutazione tecnico-discrezionale della
commissione nell’attribuzione dei punteggi e ottiene una sent che annulla la graduatoria finale, la pretesa a
conseguire il bene della vita può essere apprezzata solo in termini di chance perché non è possibile
prefigurare in modo univoco l’esito di una nuova valutazione delle offerte fa parte della commissione
guidatrice.) La chance comunque deve consistere in una concreta ed effettiva occasione favorevole di
conseguire un determinato bene o risultato. Secondo la corte di cass la linea di confine tra risarcibilità e
irrisarcibilità è costruita dall’esistenza o meno della lesione di un bene della vita accertata tramite il giudizio
prognostico.

2.La sent n 500/99 fornisce altri criteri per stabilire se un provv illegittimo della p.a. sia o meno riconducibile
allo schema ex art 2043.

L’accertamento della colpa. Per l’accertamento dell’illegittimità del provv è richiesta una indagine che
verifichi se l’illegittimità riscontrata derivi dalla violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di
buona amministrazione che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. Inoltre la colpa va riferita
all’apparato nel suo complesso, ricercando se ci sia stata una disfunzione che ha determinato l’illegittimità,
per es a causa di una cattiva organizzazione del personale dell’ufficio.

L’onere probatorio. Per assolvere il proprio onere probatorio il danneggiato può invocare la illegittimità
come indice presuntivo della colpa, allegando anche altre circostanze (il carattere vincolato del potere, la

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chiarezza della norma da applicare) idonee a dimostrare che si è trattato di un errore inescusabile. Poi per
superare la presunzione di colpa, spetta all’amm produrre elementi indiziari (contrasti giurisprudenziali) che
invece consentano di qualificare l’errore come scusabile. In presenza di una illegittimità macroscopica il
danneggiato, per far scattare la presunzione di colpa, può limitarsi ad allegare l’illegittimità, gravando poi
sull’amm il compito di fornire elementi volti a dimostrare l’assenza di colpa. Un caso a sé è il danno arrecato
dall’illegittima aggiudicazione di un contratto di lavori, servizi o forniture, per il quale, la giuris nazionale,
ritiene che il risarcimento sia dovuto a prescindere dall’accertamento dell’elemento sogg, quindi a titolo di
responsabilità oggettiva.

La natura extracontrattuale delle responsabilità. La giurisp amm prevalente inquadra la responsabilità per
danno da lesione di interessi legittimi all’interno degli schemi della resp extracontrattuale ex art 2043 cc.
Anche se sono emerse in dottrina e in giurisp ricostruzioni che adottano gli schemi della resp contrattuale o
precontrattuale. Si è osservato che nella vicenda procedimentale conclusasi con l’emanazione di un provv
illegittimo, il privato danneggiato non può essere equiparato al “chiunque” con il quale il danneggiante non
ha alcuna relazione preesistente, che è il contesto nel quale può sorgere tipicamente la responsabilità
extracontrattuale. Il contatto procedimentale tra privato e p.a. si inquadra propriamente nello schema del
rapporto obbligatorio o del contatto sociale qualificato, che impone alle parti una serie di obblighi
comportamentali di correttezza e buona fede. (Riconoscere natura contrattuale o precontrattuale alla
responsabilità per danno da provv illegittimo ha come conseguenza l’applicazione del relativo regime
(termini di prescrizione, onere probatorio, danno risarcibili)). Secondo il codice del processo amm la
giurisdizione in tema di azioni risarcitorie per lesione di interessi legittimi è affidata al giudice amm. La corte
di cass non può esercitare la funzione sulla interpretazione delle norme civiliste, poiché il sindacato della
corte sulle sent del cons di st è limitato alle questioni di giurisdizione. (Il rischio è che giudice ordinario e
giudice amm sviluppino criteri divergenti in materia di responsabilità. Per es, pur attribuendo natura
extracontrattuale alla responsabilità da lesione di interessi legittimi, la giurisprudenza ritiene risarcibili solo i
danni prevedibili, limitazione che il cc applica solo alla resp contrattuale).

4.Il danno da ritardo. Un’ipotesi particolare di resp si ha nei casi in cui l’amm non conclude il procedimento
avviato entro il termine previsto. L’art 2-bis l 241 prevede che le p.a. sono tenute al risarcimento del danno
ingiusto in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Si
possono creare 3 situazioni. La 1 è che l’amm abbia emanato nel termine un provv di diniego illegittimo (per
es diniego di autorizzazione) e annullato dal giudice amm e che essa abbia poi rilasciato il provv favorevole
in esecuzione della sent. In questo caso il ritardo nell’avvio di attività è causato in modo diretto dal 1 provv
di diniego e si tratta di responsabilità da provv illegittimo. La 2 è che l’amm abbia rilasciato il provv
favorevole in ritardo, mentre la 3 è che l’amm abbia negato legittimamente il provv richiesto, pur sempre in
ritardo. In queste 2 ipotesi il danno da ritardo emerge allo stato puro (mero ritardo) perché è causato dal
comportamento inerte dell’amm. L’art 2-bis, co 1-bis pone il principio che il ritardo nella conclusione del
procedimento ad istanza di parte possa essere anche fonte di indennizzo, il cui importo è detratto da quello
eventualmente riconosciuto a titolo di risarcimento.

5.L’azione risarcitoria. L’azione per il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, (diversamente
da quanto stabilito dalla sent 500/99), rientra nella giurisdizione del giudice amm. Essa può essere proposta
insieme all’azione di annullamento o anche in modo autonomo. Il danno da ritardo rientra tra le materie
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amm.

6.La respo contrattuale e precontrattuale. La resp contrattuale della p.a. è sempre ammessa nei casi in cui
l’amm agisce nella sua capacità di diritto privato nei rapporti con i 3. In passato si riteneva che essa fosse
retta da alcuni principi speciali: per es si riteneva che la normativa sulla liquidazione delle somme dovute
dallo stato ai creditori contenuta nella legge sulla contabilità prevalesse sul cc. Quindi finché l’amm non
emetteva il mandato di pagamento il credito non era considerato liquido ed esigibile, non decorrevano gli
interessi di mora e non poteva essere intrapresa la procedura esecutiva. A partire dagli anni 70 del sec

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scorso è prevalsa la tesi che le norme di contabilità hanno un carattere organizzativo interno e che lo stato è
equiparato a un debitore comune.

Anche l’annullamento in autotutela di un provv favorevole al privato può far sorgere una responsabilità
dell’amm ove l’atto annullato abbia ingenerato nel sogg privato un affidamento incolpevole. L’azione va
proposta innanzi al giudice ordinario perché finalizzata a risarcire un diritto sogg, (cioè il diritto all’integrità
del patrimonio pregiudicata dalla impossibilità di continuare a godere del beneficio acquisito sulla base del
provv annullato).

5.La responsabilità nel diritto europeo.

1.La responsabilità degli organi dell’ue. L’art 340, co 1, tfue disciplina la resp contrattuale della comunità e
si limita a operare un rinvio alla legge nazionale applicabile al contratto in causa. Il co 2 regola invece la resp
extracontrattuale della comunità e prevede che l’ue deve risarcire, (conformemente ai principi generali
comuni ai diritti degli sm), i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro
funzioni. (Il co 4 stabilisce che la responsabilità personale dei dipendenti dell’ue nei confronti di
quest’ultima è regolata dalle disposizioni sul loro stato giuridico). L’art 268 tfue attribuisce alla corte di
giustizia la competenza a conoscere le controversie relative alla responsabilità extracontrattuale della
comunità di cui all’art 340, co 2 tfue. Il tribunale di 1 grado conosce le domande risarcitorie proposte da
persone fisiche e giuridiche.

I presupposti della responsabilità delle istituzioni comunitarie. Essi sono deducibili dall’art 340, co 2, tfue e
sono 3: un comportamento contra jus; l’esistenza di un danno; il nesso di causalità. Innanzitutto la
violazione deve avere un carattere grave e manifesto, tale carattere si ricava da alcuni indici tra cui il grado
di chiarezza e precisione della norma violata, la scusabilità di un errore di diritto ecc. Il danno deve essere
effettivo, cioè certo e attuale. Può trattarsi di danni presenti o futuri, ma non ipotetici. Il danno risarcibile,
oltre al danno emergente include anche il lucro cessante. Ai fini della quantificazione del danno la persona
lesa deve dimostrare di aver agito con ragionevole diligenza per limitare l’entità del danno.

2. La responsabilità degli sm. Innanzitutto occorre prendere in considerazione la sent Francovich del 1991.
Il caso riguardava il mancato recepimento da parte della repubblica italiana di un direttiva europea entro il
termine prescritto. Due giudici nazionali, richiesti di pronunciarsi sul diritto di alcuni lavoratori a ottenere
direttamente dallo stato italiano i benefici previsti dalla direttiva, chiedevano alla cdg dell’ue di chiarire se i
singoli potessero far valere direttamente nei confronti dello stato i benefici della direttiva e richiedere allo
stato il risarcimento del danno subito in relazione alle disposizioni della direttiva. La cdg ha esaminato la
questione della resp dello stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi sorti in forza del diritto
comunitario. (La motivazione della sent afferma che il principio della resp dello stato per danni causati ai
singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del trattato).

I presupposti della resp degli sm. La sent enuncia 3 presupposti in presenza dei quali può sorgere la resp:
che la direttiva attribuisca diritti a favore dei singoli; che il contenuto di questi diritti possa essere
individuato sulla base della direttiva stessa; che esiste un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a
carico dello stato e il danno subito dai sogg lesi. Nel caso di specie (sent francovich), la responsabilità degli
sm non è più solo retta dal diritto nazionale, ma anche dai principi autonomamente formatisi nel diritto
europeo. La giurisprudenza europea ha ripreso e sviluppato i principi enunciati nella sent francovich. La sent
Brasserie du pecheur-factortame del 1996 stabilisce che gli sm possono essere tenuti a risarcire i danni
cagionati da violazioni del diritto comunitario da parte del legislatore nazionale. I casi sottoposti alla corte
riguardavano un divieto di importazione in germania di birra francese prodotta in modo non conforme ai
requisiti della legge fiscale tedesca; e la previsione contenuta nella legge inglese sulla navigazione
mercantile di alcuni restrittivi di nazionalità, residenza, e domicilio per i proprietari e gli esercenti di
pescherecci prescritti ai fini dell’iscrizione in un registro. Le disposizioni europee violate dal legislatore
nazionale in entrambi i casi erano tali da conferire direttamente ai singoli diritti in senso proprio.

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La responsabilità da atto amministrativo in violazione del diritto europeo. La sent Lomas ’96 sancisce il
principio per cui la responsabilità dello stato può sorgere non solo in relazione a un atto normativo, ma
anche un atto amm adottato in violazione del diritto europeo. (Il caso riguardava il diniego di una licenza di
esportazione di animali da macello destinati alla spagna da parte del ministero dell’agricoltura, della pesca e
dell’alimentazione britannico, giustificato dal fatto che i mattatoi spagnoli usavano tecniche di macellazione
contrastanti con la direttiva 1974/577/CE relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione).
La corte ha precisato che nel caso di diniego della licenza di esportazione, (diversamente da quanto accade
normalmente nel caso di attività normativa), il ministero inglese non dispone margini di discrezionalità e
quindi la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di
una violazione sufficientemente grave e manifesta. La corte ha precisato che la resp dello sm per violazione
del diritto europeo sorge qualunque sia l’organo dell’ue la cui azione o omissione ha dato origine alla
trasgressione. (I casi più rilevanti hanno riguardato il land del tirolo e un ente previdenziale pubblico, è stato
chiarito che un sm non può sottrarsi alla resp invocando la ripartizione interna delle competenze derivante
dalla sua struttura federale). Un ulteriore sviluppo è costituito dal principio che la resp dello stato può
sorgere anche in conseguenza di pronunce di organi giurisdizionali. Non possono essere di impedimento a
riconoscere questo tipo di resp, come rileva la sent Koebler, né il principio dell’autorità del giudicato (perché
il giudizio inteso a far dichiarare la resp dello stato non ha lo stesso oggetto e non implica necessariamente
le stesse parti del procedimento che ha dato luogo alla decisione che ha acquisito l’autorità della cosa
definitivamente giudicata) né il principio dell’indipendenza del giudice, poiché assume rilievo non la resp
personale del giudice, ma quella dello stato.

6. La resp amministrativa.

Il danno erariale diretto. La resp amministrativa, il cui accertamento avviene nell’ambito di un giudizio
innanzi alla corte dei conti, trova fondamento nel testo unico degli impiegati civili dello stato, secondo il
quale l’impiegato è tenuto a risarcire l’amm dei danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio (danno
erariale diretto). Un caso particolare di resp amm è quello dell’amm condannata a risarcire il danno
provocato a 3 da un proprio dipendente e che agisce in via di regresso nei confronti di quest’ultimo (danno
erariale cd indiretto).

Esempi di danno erariale. Es di danno erariale sono la distruzione di attrezzature e macchinari dell’amm, i
contratti stipulati a condizioni sfavorevoli per l’amm, le spese voluttuari degli amministratori di enti o non
legate all’attività di servizio, ecc. Le condotte che possono dar origine a danno erariale sono atipiche, anche
se il legislatore individua alcuni comportamenti suscettibili di far sorgere la resp amm. Per es, la legge
anticorruzione prevede che in caso di commissione di un reato di corruzione all’interno dell’amm, il
dirigente responsabile della prevenzione possa rispondere per danno erariale e per danno all’immagine
della p.a. se non ha vigilato sull’osservanza del piano anticorruzione approvato dall’amm. La resp amm
inerisce al rapporto interno tra dipendente pubblico e amm di appartenenza e costituisce concettualmente
una sottospecie della resp del lavoratore subordinato nei confronti del proprio datore di lavoro nascente in
seguito alla violazione dei doveri di diligenza. Tuttavia il regime della resp amm si caratterizza per avere un
carattere ibrido, a metà tra resp contrattuale ed extracontrattuale. Essa ha una finalità risarcitoria, ma in
alcune fattispecie emerge anche una finalità sanzionatoria. Le fonti normative della resp amm sono
costituite dal testo unico delle leggi sulla corte dei conti approvato con (r.d. n 1214 del 1934) e soprattutto
dalla legge n 20/1994.

L’agente pubblico e il rapporto di servizio. Quanto al campo di applicazione questo tipo di resp vale per
funzionari, impiegati, agenti pubblici e amministratori delle p.a. statali e non statali e di enti pubblici
(aziende sanitarie locali ecc). Col tempo la giurisp ha ampliato le figure rientranti nella nozione di agente
pubblico fino ad includervi anche gli amm di enti pubblici economici. Possono essere chiamati a rispondere
anche sogg esterni all’amm legati ad essa da un rapporto di servizio come per es, in materia di lavori
pubblici finanziati con fondi erariali, il progettista, il direttore dei lavori e il collaudatore anche se sono liberi

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professionisti non dipendenti da una p.a. infatti queste figure svolgono compiti che includono l’esercizio di
poteri autoritativi nei confronti dell’impresa appaltatrice e sono inserite, anche se solo temporaneamente e
funzionalmente, nell’apparato organizzativo della p.a.

Le società pubbliche.

Di recente la giuri della corte dei conti aveva esteso l’ambito della responsabilità amm anche agli
amministratori e dirigenti delle spa in mano pubblica, sottoponendoli a un doppio regime di resp: alla resp
in base al diritto societario e a quella per danno erariale. (La preoccupazione della corte era che attraverso il
ricorso allo strumento della spa in mano pubblica si volessero eludere i vincoli pubblicistici). Tuttavia la corte
di cass ha affermato che le società pubbliche non rientrano nel perimetro della resp amministrativa. Per le
perdite derivanti dalla cattiva gestione societaria possono rispondere al massimo per danno erariale i
responsabili dei ministeri e della p.a. titolari delle azioni per aver svolto poco diligentemente il ruolo di
azionista. Solo le società in-house e quelle che in virtù delle deroghe legislative all’assetto di diritto comune
sono assimilabili a p.a. (per es la rai) rientrano nel regime della resp amm. La resp ha natura personale.
Quando il fatto dannoso è causato da più persone, ciascuna risponde solo per la parte di sua competenza.
Però in caso di dolo o quando le persone coinvolte hanno conseguito un illecito arricchimento la resp è
solidale. Nelle deliberazioni degli organi collegiali la resp si imputa solo a coloro che hanno espresso voto
favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza di uffici tecnici o amministrativi, la resp non si
estende ai titolari degli organi politici che li abbiano approvati in buona fede.

La resp per dolo o colpa grave. La resp sorge in relazione ai fatti e alle omissioni commessi con dolo e colpa
grave. L’esclusione della responsabilità nel caso di colpa lieve evita di sovraccaricare i dipendenti pubblici del
rischio di essere chiamati a rispondere di attività che comunque perseguono l’interesse pubblico. Se il
danno deriva da un provv, resta ferma l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. Se il provv è
legittimo, la corte dei conti non può sostituire le proprie valutazioni in ordine alla opportunità e convenienza
di una determinata scelta amm. Il sindacato della corte dei conti, come quello del giudice amm, può
riguardare tutti i profili di legittimità, incluso l’eccesso di potere e le figure sintomatiche. Anche i canoni di
efficienza ed efficacia posti dall’art 1 l 241 (come corollari del principio di buon andamento di cui all’art 97
cost) rilevano sul piano della legittimità e non della opportunità e quindi possono essere posti alla base del
sindacato della corte dei conti.

Il danno obliquo. Oltre al danno provocato all’amm in cui è incardinato il dipendente, è risarcibile anche il
danno cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza. In questo caso si ha il danno
obliquo che può emergere nel caso di un dipendente pubblico distaccato o comandato presso un’altra amm,
oppure nel caso del componente di un consiglio di amm di un ente pubblico nominato da un ministero o
altro ente. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 5 anni dalla data in cui il fatto si è verificato, o in
caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta. (Ciò avvicina il regime della resp
amministrativa a quello extracontrattuale per il quale il termine di prescrizione è quinquennale).

La quantificazione del danno. Per la quantificazione del danno, si valutano il decremento patrimoniale o la
mancata entrata da parte dell’amm. In alcuni casi al danno patrimoniale si aggiunge il danno all’immagine
dell’amm, (per es nel caso di percezione di tangenti da parte di amministratori per il compimento di atti in
violazione dei doveri d’ufficio). Il danno va liquidato scomputando i vantaggi comunque conseguiti dall’amm
di provenienza da altra amministrazione. (Per es, se un amministratore di un ente assume un dipendente a
tempo indeterminato al di fuori dalla pianta organica, al danno commisurato alle retribuzioni versate vanno
sottratte le utilità che l’ente e gli amministrati hanno ricavato grazie all’attività posta in essere dal
dipendente (principio compensatio lucri cum damno)). Una particolarità del regime della resp amm consiste
nel potere riduttivo in base al quale la corte può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno
accertato o del valore perduto. (Da più parti si richiedono correttivi, per es, tipizzando per legge alcuni

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comportamenti per i quali andrebbe esclusa la resp in assenza di colpa grave. È quanto prevede ora nella
fattispecie molto specifica della risoluzione anticipata delle concessioni autostradali la l n 55/2019).

PARTE TERZA. PROFILO ORGANIZZATIVI.

L’ORGANIZZAZIONE CAP 8

1.Nozione, fonti normative e principi generali. L’organizzazione è una unità di persone, strutturata e gestita
per perseguire scopi comuni che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente. Si
distingue tra organizzazioni informali o di fatto (clan, gruppo sportivo) e organizzazioni formali o di diritto
(partito politico). Risale a Max Weber un’analisi dei tipi di organizzazione riguardanti sia le attività dei
privati, sia le comunità di tipo statuale. Originariamente il diritto pubblico ignorò i fatti organizzativi e le
articolazioni interne dello stato, lo studio dell’organizzazione rientrava tra i compiti della scienza dell’amm.

Le fonti normative. L’organizzazione pubblica come fenomeno giuridico è disciplinata nel nostro
ordinamento da una pluralità di fonti.

La cost. La cost enuncia i principi generali dell’imparzialità e del buon andamento ex art 97 ai quali devono
ispirarsi sia l’attività sia l’organizzazione degli apparati pubblici, e il principio autonomistico (art 5). Dedica
l’intero titolo v all’organizzazione e ai poteri di regioni, province e comuni, enumera gli organi delle regioni
precisandone le funzioni, demanda invece alla legge statale il compito di individuare gli organi di governo e
le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. A livello europeo, l’art 298 tfue pone il
principio di una amm “aperta, efficace e indipendente”. (Anche numerose fonti legislative primarie
disciplinano l’organizzazione dei ministeri e della presidenza del consiglio dei ministri, degli enti locali e degli
apparati ed enti pubblici).

La disciplina sublegislativa dell’organizzazione. L’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni


pubbliche è rimessa sia a fonti normative sublegislative, sia a fonti aventi natura non normativa.
L’organizzazione statale è disciplinata con regolamenti governativi (art 17 l 400/1988). Le p.a. attraverso
statuti, regolamenti di organizzazione ecc, individuano le linee fondamentali dell’organizzazione degli uffici.
A livello statale, l’organizzazione dei ministeri è disciplinata in parte dal d.lgs. 300/1999 (che elenca
ministeri, disciplina le agenzie, stabilisce le attribuizioni dei singoli ministri), in parte da regolamenti di
delegificazione (art 17, co 4, l 400/88) (che individuano gli uffici di livello dirigenziale); in parte da decreti
ministeriali di natura non regolamentare che definiscono i compiti delle unità dirigenziali.

Le fonti regionali e degli enti locali. Gli statuti e le leggi regionali contengono una disciplina
dell’organizzazione delle regioni e dei loro apparati. A livello di comuni e province, lo statuto stabilisce le
norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente specificando le attribuzioni dell’organo.

Dalle fonti cost e legislative si ricavano alcuni principi generali in materia di organizzazione.

1.Il principio del buon andamento. Esso riguarda sia l’attività della p.a. sia l’organizzazione. L’art 97 prevede
il reclutamento del personale in base a concorso. Altre disp legisl disciplinano la valutazione del personale,
sottopongono le spese degli apparati a controlli rigorosi, mirano alla soppressione di strutture inefficienti.

2.Il principio di imparzialità. Riferibile sia all’organizzazione che all’attività. Si esprime nelle regole volte a
rispettare il principio organizzativo di distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo (proprie dei vertici
politici delle amm) e funzioni di gestione (dei dirigenti). Impone al responsabile del procedimento e dei
titolari degli uffici di dichiarare situazioni di conflitto di interessi e astenersi dall’esercizio dei propri poteri. È
sotteso al principio della rotazione degli incarichi dirigenziali a fini di anticorruzione.

3.Il principio di trasparenza. Si riferisce al procedimento amministrativo. Il d.lgs. n.33/2013 impone alle p.a.
di pubblicare sui propri siti e di aggiornare le info e i dati concernenti la propria organizzazione, (per es
l’articolazione degli uffici, gli atti di conferimento degli incarichi dei componenti degli organi, i compensi da

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essi percepiti, i documenti del bilancio preventivo e del conto consuntivo). Il responsabile della trasparenza
(che coincide col resp per la prevenzione della corruzione) vigila sul rispetto degli obblighi di pubblicazione
segnalando le inadempienze all’organo di indirizzo politico, all’organismo indipendente di valutazione e
all’autorità nazionale anticorruzione. È obbligatorio l’inserimento nei siti istituzionali delle p.a. una sezione
denominata Amministrazione Trasparente.

4.Il principio autonomistico. La cost enuncia il p autonomistico (art 5) che ispira i rapporti tra stato ed enti
territoriali. Esso supera la visione tradizionale del centralismo amm. Ex art 114 la rep è composta dallo
stato, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni definiti come enti autonomi. Il
principio autonomistico ha implicazioni sull’autonomia statutaria, sulla titolarità di funzioni proprie
distribuite in base al principio di suss verticale ex art 118, sull’autonomia finanziaria di entrata e di spesa ex
art 119, sulla potestà legislativa e regolamentare ex art 117.

5.Il principio di leale collaborazione. Il principio autonomistico trova un bilanciamento nel principio di leale
collaborazione tra i diversi livelli di governo, da cui derivano obblighi di consultazione e informazione
reciproci e doveri di coordinamento. Anche se non trova un riferimento espresso nella cost, tale principio è
consolidato nella giuri della corte cost che lo ha estrapolato dall’art 4,co3 tue che lo enuncia in riferimento
ai rapporti tra ue e sm.

6.Il principio dell’equilibrio di bilancio. In seguito alle modifiche all’art 97 cost introdotte nel 2012 le p.a.
devono assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

2.Persone giuridiche, organi e uffici.

Lo stato costituisce la persona giuridica per eccellenza.

1.Personalità giu significa attitudine riconosciuta dall’ordinamento a diventare sogg di diritti, cioè titolare di
diritti e doveri giuridici. La personalità giuridica è riconosciuta sia alle persone fisiche sia alle pers giuridiche.
(Una soggettività parziale e una qualche forma di autonomia patrimoniale sono garantite anche alle
associazioni non riconosciute e ai comitati). La persona giuridica è un’organizzazione formale considerata
dall’ordinamento giuridico come un sogg di diritto separato dalle persone fisiche che la compongono e
dotato di una propria capacità giuridica.

Gli enti a struttura associativa e fondazionale. Le persone giuridiche private si distinguono a seconda che
abbiano una struttura associativa (ove prevale l’elemento personale) o di fondazione (ove prevale
l’elemento patrimoniale). Anche tra le persone giuridiche pubbliche alcune hanno struttura
prevalentemente associativa (federazioni sportive, camere di commercio) e altre natura patrimoniale
(aziende sanitarie locali, enti previdenziali). La cost della persona giuridica avviene con un atto costitutivo
sottoforma di accordo associativo oppure nel caso di fondazioni, di atto unilaterale. L’attribuzione della
personalità giuridica segue al riconoscimento dell’iscrizione nel registro delle persone giuridiche. Le spa
acquistano la personalità giuridica automaticamente con l’iscrizione nel ri. L’istituzione degli enti pubblici
avviene direttamente per legge nel caso di enti a statuto singolare (coni o istat) o sulla base di delibere
amministrative nel caso di categorie di enti previste da una legge generale (università, camere di
commercio). Nessun ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge.

2.Il rapporto di immedesimazione organica e di rappresentazione. Per instaurare rapporti giuridici con
sogg esterni le persone giuridiche si avvalgono di organi (centri di imputazione giuridica). La persona fisica
titolare dell’organo ha il potere di esprimere la volontà della persona giuridica imputando direttamente in
capo a quest’ultima l’atto e gli effetti da esso prodotti. Tra persona fisica e p giuridica intercorre un rapporto
di immedesimazione organica: la p giuridica vuole e agisce per mezzo della p fisica preposta all’organo.

La rappresentanza. Un modello di imputazione alternativo (poi abbandonato) è la rappresentanza. Il


rappresentante in base a una procura rilasciata dal rappresentato (rapp volontaria) o dalla legge (rapp

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legale) ha il potere di porre in essere atti i cui effetti si producono direttamente nei confronti del
rappresentato. Rispetto all’immedesimazione organica, la rappresentanza instaura un legame meno intenso,
perché l’atto è riferibile solo al rappresentante, mentre gli effetti si imputano al rappresentato. Se il
rappresentante agisce in difetto o accesso di potere, l’atto e i suoi effetti non si imputano al rappresentato,
salvo eventuale ratifica. Il modello della rapp (volontaria) è concepito per i rapporti che coinvolgono
persone fisiche perché conferisce una duplice volontà, ma non è adatto per spiegare il modo di operare
delle persone giuridiche in cui è assente una loro volontà autonoma e distinta dalla volontà della persona
fisica che agisce. È preferibile il modello dell’immedesimazione organica perché dà conto dell’imputazione
in capo alla persona giuridica anche dell’attività illecita posta in essere dalla persona fisica titolare
dell’organo (o dell’ufficio) nell’interesse della prima (salvi i casi della frattura del rapporto organico).

Gli uffici o servizi. Oltre che di organi, le persone giuridiche, si avvalgono per la propria attività di uffici, vale
a dire unità operative interne a cui sono addette una o più persone fisiche. Gli organi sono una specie
particolare di uffici il cui titolare ha anche il potere di emanare atti giuridici che impegnano l’ente nei
rapporti esterni. A differenza degli organi, gli uffici svolgono un’attività che ha rilevanza meramente interna
(per es ufficio contabilità, ufficio contratti). Gli uffici (o servizi) sono individuati in organigrammi, a ciascun
ufficio sono assegnati i dipendenti adibiti alle varie mansioni.

3.L’atto di investitura o di assegnazione. Nel caso delle organizzazioni pubbliche la preposizione o


l’assegnazione di una persona fisica a un organo o a un ufficio richiede un atto formale: l’investitura nel caso
del titolare, o l’assegnazione nel caso del personale addetto. L’atto viene emanato o dai vertici dell’apparato
o dal dirigente dell’ufficio del personale. Per alcuni organi, la preposizione avviene a seguito di un
procedimento elettivo (per es il consiglio comunale) o con un atto di nomina da parte di sogg esterni
all’apparato (i componenti del consiglio di amministrazione di un ente pubblico). L’atto formale di investitura
o di assegnazione instaura il rapporto di immed organica tra la pers fisica e l’organo o ufficio. La persona
fisica viene incardinata nell’organo o nell’ufficio e la sua attività è direttamente imputabile alla persona
giuridica.

Il rapporto di servizio o d’impiego. Il rapp di imm organica tra persona fisica, organo o ufficio e persona
giuridica è un rapporto interno di tipo organizzatorio. La persona fisica è però legata alla persona giuridica
anche da un rapporto esterno: il rapporto di servizio. Il rapporto di servizio è necessario affinchè il
dipendente possa essere assegnato a un ufficio e possa instaurarsi il rapp di imm organica. Però può
accadere che il rapporto di servizio sia sorto in seguito a una procedura o a un atto di investitura annullati o
dichiarati nulli. In questi casi si pone il problema di quale sia la sorte di tali atti che dovrebbero essere
ritenuti anch’essi invalidi in quanto non riferibili, anche se ex post, all’amministrazione.

Il funzionario di fatto. Per evitare tali inconvenienti è stata elaborata la figura del funzionario di fatto (colui
che pur in assenza di una investitura esercita di fatto funzioni pubbliche, per es nel caso di eventi bellici o
altre situazioni eccezionali). A volte queste situazioni eccezionali vengono poi regolarizzate ex post con atto
legislativo.

Classificazioni degli organi.

1.Organi esterni o interni. Gli organi esterni sono strumenti attraverso cui la pers giuridica opera nei
rapporti con altri sogg dell’ordinamento. Gli organi interni (o uffici) svolgono attività giuridiche
propedeutiche alla formazione della volontà dell’amm formalizzate in un atto emanato da un organo
esterno. (Pensiamo per es ad atti endoprocedimentali per es un parere dell’ufficio tecnico, un atto
istruttorio del resp del procedimento).

2.Organi e uffici necessari e non necessari. Rientrano nella 1 categoria gli organi individuati direttamente
dalla legge (comuni, sindaco, giunta e consiglio comunale). Nella 2 tipologia rientrano i ministeri senza

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portafoglio che possono essere istituiti all’atto della cost del governo su proposta del p.d.c.m. che delega ad
essi funzioni proprie.

3.Organi monocratici e collegiali. Nel 1 caso all’organo è preposta una sola persona fisica che ne assume la
titolarità (ministero, sindaco, presidente camera di commercio). Nel 2 caso, all’organo è preposta una
pluralità di persone fisiche che esprimono la volontà dell’apparato tramite delibere.

I collegi perfetti (o reali). Gli organi collegiali sono perfetti se è stabilito che essi possono deliberare solo se
sono presenti tutti i componenti (commissioni di concorso) anziché la metà più 1 dei componenti che è
regola generali. Le modalità per la nomina dei componenti dell’organo variano a seconda dei casi. Se prevale
l’esigenza di assicurare la rappr di una pluralità di interessi pubblici o privati, le norme individuano i sogg che
possono designare uno o + componenti. In altri casi i componenti sono scelti su base elettiva (consigli
comunali) o nominati in ragione di specifiche competenze tecniche (commissioni di concorso).

4.Organi attivi, consultivi, di controllo. In base al tipo di funzioni, gli organi e uffici possono essere attivi,
quando emanano atti amm correlati alle funzioni dell’ente o svolgono le attività materiali (vigili del fuoco);
consultivi quando esprimono pareri tecnici o giuridici (come quelli rilasciati dalla commissione edilizia di un
comune); di controllo.

Altre distinzioni: organi ordinari e straordinari (che svolgono particolari funzioni), uffici semplici e complessi;
uffici centrali e periferici ecc.

3. Le amm pubbliche.

Il consiglio dei ministri è sia organo cost (dato il suo ancoraggio al circuito politico rappresentativo garantito
dalla fiducia del parlamento e adotta atti politici) sia organo di vertice e di chiusura del sistema della p.a.
(esercita funzioni di indirizzo e di amm attiva: piani, programmi, nomine, poteri sostitutivi).

La mancanza di una definizione legislativa di p.a. Manca nel nostro ordinamento una definizione legislativa
di p.a. Molte leggi amm settoriali individuano il proprio campo di applicazione attraverso elenchi tassativi
senza darne una definizione specifica. (La definizione si può desumere induttivamente dalle leggi amm
settoriali).

Le p.a. in senso stretto. Gli elementi inclusi in tutti gli insiemi dei regimi speciali in base alle definizioni
previste dalle singole leggi amm di settore costituiscono il nocciolo duro della p.a. in esso rientrano le amm
statali (ministeri, agenzie), le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici non economici (università), le aai. Gli
elementi inclusi in 1 solo o in pochi insiemi di regimi speciali pubblicistici sono casi eccezionali di espansione
del d.a. a soggetti privati.

(I principali regimi speciali da considerare sono quelli relativi al pubblico impiego, al procedimento amm, ai
contratti pubblici, alla finanza pubblica e al patto di stabilità). 1) un 1 insieme di norme speciali
pubblicistiche è contenuto nel d.lgs.165/2011 che pone la disciplina generale dell’organizzazione degli uffici
pubblici e dei rapporti di lavoro. L’art 1 definisce l’ambito di applicazione delle norme attraverso un elenco
tassativo di enti: amm e agenzie dello stato, enti territoriali, enti pubblici non economici. 2) un 2 insieme di
norme pubblicistiche è costituito dalla disciplina del procedimento amm contenuta nella 241. L’art 29
menziona le amm statali, gli enti pubblici nazionali, le regioni e gli enti locali. Inoltre rende applicabili alcune
disposizioni della legge genericamente a tutte le amm pubbliche. La 241 si applica anche ai sogg privati
preposti all’esercizio di attività amministrative. Inoltre ai fini dell’applicazione del diritto di accesso, la 241
intende per p.a. tutti i sogg di diritto pubblico e i sogg di diritto privato limitatamente alla loro attività di
pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dal diritto comunitario ex art 22. 3)Un 3 insieme di
norme pubblicistiche riguarda i contratti per l’acquisto di beni, servizi e lavori contenute nel cod dei
contratti pubblici. 4)un 4 insieme di regole speciali attiene al patto di stabilità concordato in occasione della
firma del trattato di amsterdam nel 97, che impegna gli stati aderenti a porsi obiettivi di pareggio di bilancio

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nel medio termine. A tal fine in italia è stato approvato il patto di stabilità interno che attribuisce al governo
strumenti per vincolare le regioni e gli enti locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Le p.a. a cui si
applicano le norme sul controllo della spesa sono individuate dell’istat. I criteri per individuare le p.a. e per
distinguerle dal settore delle imprese sono i seguenti: si deve trattare di enti che producono beni e servizi
che non siano destinati alla vendita sul libero mercato; i beni e servizi devono essere messi a disposizione
della collettività gratuitamente; l’attività dell’ente deve essere finanziata prevalentemente a carico delle
finanze pubbliche.

L’elenco dell’Istat. L’elenco dell’istat (pubblicato sulla GU e aggiornato periodicamente), suddivide le pa in


tipologie: agenzie, enti a struttura associativa, aai, amm locali ecc. I ricorsi contro l’inserimento in tale
elenco sono devoluti alla giurisdizione della corte dei conti.

La nozione di p.a. riassumendo i tratti caratterizzanti delle p.a. si può dire che esse si collocano al di fuori
del mercato, non producono beni e servizi resi sulla base di prezzi che consentano di realizzare i ricavi atti a
coprire i costi; esse producono beni pubblici materiali o immateriali, che il mercato non è in grado di
garantire in modo adeguato (ordine pubblico, sicurezza, giustizia, pubblica istruzione, salute). Il
finanziamento di tali attività è posto in prevalenza a carico della collettività attraverso il ricorso alla
tassazione.

La nozione europea di p.a. (L’art 45, co 4 tfue esclude l’applicazione del principio di libera circolazione dei
lavoratori agli impieghi nella p.a.) La nozione europea si riferisce solo al nucleo ristretto di incarichi e di
figure professionali che partecipano in modo diretto o indiretto all’esercizio dei poteri pubblici e alla tutela
degli interessi generali dello stato. (non hanno tali caratteristiche gli insegnanti delle scuole, i direttori dei
musei).

4. Lo Stato. Fin dalla legge Cavour del 1853 la struttura amm portante dello stato è costituita dai ministeri.

I ministeri. Il modello originario di ministero si connotava per la sua compattezza e unitarietà, secondo il
principio gerarchico. Nel corso dei decenni il n dei ministeri è aumentato e molte loro funzioni sono state
trasferite in base la principio di suss verticale, alle regioni e agli enti locali, la loro organizzazione è diventata
meno compatta e omogenea, il principio gerarchico è stato sostituito dal principio della distinzione tra
politica e amm. Alcuni ministeri hanno mantenuto una configurazione stabile (ministeri dell’interno, degli
esteri, della giustizia, altri sono stati soppressi (ministero della partecipazioni statali), altri sono stati istituiti
recentemente (’78 il ministero dell’ambiente), alcuni hanno assunto una nuova denominazione. Ex art 95,
co 4 cost spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri. La disciplina
generale dei ministeri è contenuta nel d.lgs n 300/1999 che contiene un elenco completo dei ministeri,
specifica le attribuzioni (e le aree funzionali dei singoli ministeri). Ciascun ministero è disciplinato poi da un
regolamento governativo (art 17, co 4 bis l 400/88) che ne specifica l’organizzazione.

I ministeri senza portafoglio. Essi non sono a capo di un dicastero e esercitano solo funzioni delegate dal
presidente del consiglio dei min.

L’organizzazione dei ministeri è di 2 tipi: 1)il modello dipartimentale è formato da dipartimenti e previsto
per i ministeri preposti a una pluralità di ambiti di intervento (per es il ministero dell’interno o dell’economia
e delle finanze). 2)modello per direzioni generali riguarda ministeri con competenze più omogenee e
circoscritte.

I dipartimenti. Ad essi è preposto un capo dipartimento che coordina gli uffici di livello dirigenziale
generale. Questo incarico è conferito con un procedimento che coinvolge i vertici istituzionali dell’ord
(decreto p.d.R ecc). I ministeri strutturati in direzioni generali possono prevedere come figura di
coordinamento un segretario generale nominato con le stesse modalità. In tutti i ministeri sono istituiti uffici

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di diretta collaborazione con il ministro (gabinetto, segreteria tecnica). Alcuni compiti dei ministri possono
essere delegati ai sottosegretari di stato.

Le strutture periferiche dei ministeri. Le prefetture. Oltre alle strutture centrali, fanno parte di alcuni
ministeri anche strutture periferiche, a livello provinciale, che realizzano il decentramento burocratico (per
es la direzione provinciale del tesoro, i provveditorati agli studi). La principale struttura periferica è la
Prefettura-Ufficio territoriale del governo, ha il compito di assicurare la leale collaborazione con gli enti
locali, ad essa è preposto il prefetto sottoposto alle direttive del presidente del cons dei min e dei singoli
ministri. A livello regionale, il raccordo con lo stato è assicurato dal commissario del governo, con sede in
ciascun capoluogo regionale che dipende dalla presidenza del consiglio dei min. Si distinguono i ministeri
con funzioni di ordine (interno, difesa, giustizia, esteri), con funzioni economiche e finanziarie (sviluppo
economico, politiche agricole e forestali), con funzioni di servizio sociale e culturale (salute e istruzione,
università e ricerca scientifica), con funzioni relative alle infrastrutture e ai servizi collettivi (infrastrutture e
trasporti). Rispetto allo stato, dotato di personalità giuridica, i singoli ministeri possono essere definiti come
organi. (In ciascun ministero opera un ufficio particolare, la ragioneria centrale che dipende dalla ragioneria
generale dello stato, collocata presso il ministero dell’economia e delle finanze).

Le agenzie. Esse sono definite dal d.lg.s 300/99 come strutture preposte allo svolgimento di attività a
carattere tecnico-operativo di interesse nazionale. Esse sono sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza di
un ministro, ma godono di autonomia operativa (e dispongono di un organico e bilancio propri). Tra gli es di
agenzia ci sono l’agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici e l’agenzia dei trasporti
terresti e delle infrastrutture.

Le agenzie fiscali. Una specie particolare di agenzia è quella delle agenzie fiscali, cioè l’agenzia delle entrate
preposta alla riscossione dei tributi, l’agenzia delle dogane, preposta alla riscossione dei diritti doganali e di
altre imposte particolari, l’agenzia del territorio, preposta ai servi relativi al catasto. A differenza delle altre,
le agenzie fiscali hanno personalità giuridica di un diritto pubblico autonomo. (L’agenzia del demanio ha
natura di epe). (Alle agenzie fiscali è preposto un comitato di gestione composto da 4 membri e dal direttore
generale). Il modello dell’agenzia si ispira alle esperienze dei paesi anglosassoni dove negli anni 80 del sec
scorso i principali ministeri furono scorporati in agencies. Il modello dell’agenzia è stato utilizzato negli
ultimi anni per organismi di natura e funzioni diverse, come per es l’agenzia spaziale italiana (asi), l’agenzia
per la rappresentanza negoziale delle p.a. (ARAN), l’agenzia italiana per il farmaco (AIFA).

Le aziende. Alcuni ministeri, già all’inizio del sec scorso, istituirono al proprio interno strutture, dette
aziende, preposte all’esercizio di attività di erogazione di servizi pubblici (azienda di stato per i servizi
telefonici, l’azienda autonoma delle ferrovie dello stato). Queste erano qualificate come aziende-organo
poiché erano prive di personalità giuridica piena. Tutte queste aziende furono trasformate prima in epe poi
in spa. Le agenzie dell’ultima generazione sono titolari soprattutto di funzioni di regolazione e
amministrative in ambiti particolari.

La presidenza del consiglio dei ministri. La presidenza del cons dei min solo in parte può essere assimilata
alle strutture ministeriali perché è dotata di autonomia e flessibilità organizzative più accentuate. Essa è
composta di una serie di dipartimenti (dipartimento per gli affari giuridici e legislativi) e uffici posti alle
dipendenze di un segretario generale preposto alla gestione delle risorse umane e strumentali. Le strutture
della presidenza curano, i rapporti con il parlamento, con gli organi cost, con le istituzioni europee ecc.
Presso la presidenza del consiglio dei ministri operano anche la conferenza permanente per i rapporti con lo
stato, le regioni e le provincie autonome di trento e bolzano (conferenza stato-regioni) e la conferenza stato,
città e autonomie locali. Le conferenze hanno ruoli di coordinamento e consultivi, talora adottano atti
vincolanti (intese tra stato e regioni).

L’avvocatura dello stato. È un organo ausiliario di rango non cost che una duplice funzione: di consulenza
generale, in alcuni casi obbligatoria (in relazione alle transazioni), e di rappresentanza legale in giudizio delle

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amm statali. È articolata nell’avvocatura generale situata a roma e nelle avvocature distrettuali situate nei
capoluoghi regionali ove hanno sede le corti d’appello. Essa opera in modo indipendente e a questo fine è
istituito come organo di autogoverno, un consiglio.

5.Gli enti territoriali: i comuni, le province, le regioni. Ex art 114 cost la rep è costituita oltre che dallo
stato, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane e dalle regioni, definiti come enti autonomi con
propri statuti, poteri e funzioni.

I rapporti tra stato, regioni ed enti locali. L’assetto dei rapporti tra stato, regioni ed enti locali non segue il
modello a cascata, ma quello triangolare, anche i comuni infatti intrattengono rapporti istituzionali diretti
con lo stato, non mediati dalle regioni. (Gli organi di governo e le funzioni fondamentali dei comuni sono
disciplinati con legge statale ex art 117, co 2, lett p. ricordiamo che i comuni risalgono al medioevo, mentre
le regioni sono state istituire solo negli anni 70 del sec scorso); i comuni preferiscono un’interazione con lo
stato, a tal fine hanno dato origine all’associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).

Dal punto di vista del d.a. gli enti locali e le regioni rilevano soprattutto perché costituiscono una particolare
categoria di enti pubblici. Essi sono enti necessari, sono istituiti obbligatoriamente in tutto il territorio
nazionale, e sono enti ad appartenenza necessaria, poiché ogni cittadino, in base al criterio della residenza,
trova un riferimento stabile in ciascuno di essi. Inoltre sono enti a competenza generale perché possono
curare gli interessi della popolazione di riferimento con una certa libertà, (in base agli indirizzi politici
espressi dal corpo elettorale locale e agli indirizzi politico-amministrativi dell’organo consiliari). Inoltre sono
enti inseriti integralmente nell’ordinamento amm poiché tutti i loro atti normativi (regolamenti) e non
normativi sono sempre e necessariamente atti formalmente amministrativi. L’unica eccezione è quella delle
leggi regionali, nelle materie e nei limiti definiti dall’art 117 cost per le quali vige il regime proprio degli atti
legislativi, incluso il controllo di cost da parte della corte cost.

Gli enti locali. L’ordinamento degli enti locali è dato con d.lgs.n 267/2000. (Le province sono un ente
intermedio tra i comuni e le regioni. Le province costituiscono un livello di governo che sembrava destinato
a essere superato nell’ambito di una riforma cost non validata nel 2016 da una consultazione referendaria.
Tuttavia, nelle more della soppressione, la legge n 56/2014 ha modificato le regole di elezione del consiglio
provinciale e del presidente della provincia prevedendo che essi siano nominati dai sindaci e dai consiglieri
dei comuni della provincia. Nel 2019 sono stata presentate proposte per ripristinare il sistema elettivo
previgente).

La disciplina degli enti locali risale all’epoca dell’unificazione nazionale. I comuni e le province vennero
disciplinati secondo il principio di derivazione francese, dell’uniformità giuridica, vennero sottoposti a
controlli di legittimità e di merito penetranti da parte dello stato. Fu scartato il modello alternativo di
derivazione austrica ispirato al principio della differenziazione, più rispettoso della loro autonomia. In epoca
fascista comuni e province vennero privati di rappresentatività politica con la soppressione dei consigli
elettivi e vennero ricondotte a mere articolazioni dello stato, (i segretari comunali erano funzionari dello
stato). (La cost definisce gli enti locali come enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali
della repubblica che ne determinano le funzioni (come recitava l’art 128 cost abrogato nel 2001), cioè nei
limiti stabiliti dallo stato). Il disegno cost autonomistico ha trovato attuazione solo in parte dagli anni 90 con
il riconoscimento di un’autonomia statutaria e con l’attribuzione ad essi di un maggior numero di funzioni in
conformità al principio di suss verticale.

I comuni. Il testo unico del d.lgs. 267/2000 definisce il comune come l’ente locale che rappresenta la
comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. (Al comune spettano tutte le funzioni amm che
riguardano la popolazione e il territorio comunale, specialmente nei settori organici dei servizi alla persona
e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico). Le funzioni dei
comuni (e anche delle province) sono conferite con legge statale o legge regionale. I comuni esercitano
anche alcune funzioni propriamente statali (anagrafe, stato civile, servizi elettorali, leva militare, ordinanze

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contingibili e urgenti). In relazione a tali funzioni al sindaco è attribuita la qualifica di ufficiale di governo. Le
funzioni fondamentali dei comuni ex art 117 co 2 let p) cost sono ora elencate nell’art 19 d.l. 95/2012
(pianificazione urbanistica, servizi sociali, polizia municipale, anagrafe ecc). L’autonomia dei comuni si
manifesta nella potestà statutaria riconosciuta anche dalla cost ex 114. Lo statuto, (approvato dal consiglio
comunale a maggioranza qualificata), stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e
specifica le attribuzioni degli organi, le forme di collaborazione tra comuni e province, l’accesso ai cittadini
alle info e ai procedimenti amm. In aggiunta al contenuto vincolato per legge necessariamente incluso (per
es le forme di partecipazione popolare) lo statuto può avere un contenuto facoltativo (istituzione di
municipi nei comuni risultanti da fusioni) e un contenuto individuale (praeter legem). Ai comuni è
riconosciuta un’ampia autonomia regolamentare nelle materia di propria competenza, in particolare per ciò
che riguarda l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni, sia
pure nel rispetto dei requisiti minimi di uniformità definiti dalla legisl statale o regionale. Tra le funzioni dei
comuni rientrano i servizi alla persona e alla comunità, la polizia locale, l’assetto e l’utilizzazione del
territorio (regolamenti edilizi ecc), le infrastrutture (asili, strade, fognature), i trasporti e la circolazione
stradale, l’ambiente, lo sviluppo economico (commercio), i servizi pubblici locali. Gli organi di governo del
comune sono il consiglio, la giunta e il sindaco. Il consiglio comunale è composto da un numero variabile di
consiglieri eletti con un sistema proporzionale. Il sindaco è eletto direttamente dal corpo elettorale per non
più di 2 mandati quinquennali. È l’organo responsabile dell’amm comunale, rappresenta l’ente, nomina e
revoca gli assessori che compongono la giunta, convoca e presiede la giunta. La giunta è composta dal
sindaco e da un numero variabile di assessori nominati dal sindaco anche al di fuori dei componenti del
consiglio. La giunta collabora col sindaco nell’attuazione degli indirizzi del consiglio ed è titolare di tutte le
competenze non attribuite espressamente al consiglio e al sindaco, e di una serie di competenze individuate
dalla legge, dallo statuto o dai regolamenti. Inoltre in tutti i comuni è istituita la figura del segretario
comunale, egli sovrintende e coordina i dirigenti, partecipa con funzioni consultive e di verbalizzazione alle
sedute del consiglio e della giunta, esprime pareri. A partire dal ’97 in linea con la visione autonomistica, i
segretari comunali sono stati affrancati dalla dipendenza ministeriale e afferiscono a un’agenzia autonoma
per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali. Poi c’è il direttore generale, è una figura
introdotta negli anni 90 del sec scorso. Il direttore generale è previsto solo per comuni con popolazione
superiore ai 15.000 abitanti, funge da raccordo tra gli organi di governo dell’ente e la dirigenza, sovrintende
la gestione del comune migliorandone l’efficienza sulla base del bilancio annuale di previsione deliberato dal
consiglio comunale. I dirigenti, ad eccezione del segretario comunale, rispondono al direttore generale. I
dirigenti degli enti locali sono preposti agli uffici e ai servizi e sono responsabili della gestione amm,
finanziaria e tecnica, con autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di
controllo. Hanno la competenza ad adottare tutti gli atti e i provv che impegnano l’amm verso l’esterno,
esclusi quelli espressamente riservati ad altri organi. I dirigenti sono nominati dal sindaco e assegnati ai vari
incarichi secondo criteri di competenza e professionalità. Prima della legge cost 3/2001 gli atti amm dei
comuni erano sottoposti al controllo preventivo di legittimità da parte dei comitati regionali di controllo. Il
sistema di controlli oggi è sostituito con un sistema che privilegia i controlli interni, cioè di regolarità
amministrativa e contabile, il controllo di gestione, il controllo strategico (a cui si aggiunge quello della corte
dei conti: controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio). Il sistema dei controlli sugli enti
locali prevede anche un controllo sugli organi. I consigli comunali possono essere sciolti con decreto del
presidente della rep, su proposta del ministero dell’interno in una serie di casi tassativi.

Le forme di cooperazione tra comuni. Per favorire la cooperazione tra comuni, il testo unico prevede le
convenzioni aventi per oggetto l’esercizio coordinato di funzioni e servizi; i consorzi, le unioni di comuni. Un
particolare tipo di unioni di comuni è costituito dalle comunità montane che possono essere istituite tra
comuni appartenenti anche a province diverse per la valorizzazione delle zone montane. Esse esercitano
varie funzioni delegate dai comuni, dalla provincia e dalla regione.

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Le province. Esse sono titolari di funzioni amministrative limitate a pochi ambiti e svolgono soprattutto
funzioni di programmazione. Le province esercitano le funzioni di pianificazione territoriale provinciale di
coordinamento, di tutela e valorizzazione dell’ambiente, di pianificazione dei servizi di trasporto in ambito
provinciale; di programmazione provinciale della rete scolastica. Inoltre svolgono funzioni di gestione:
autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, costruzione e gestione delle strade provinciali,
assistenza tecnico-amm agli enti locali, gestione dell’edilizia scolastica. Oltre alle funzioni fondamentali
stabilite dalla legge, lo stato e le regioni possono delegare alle province ulteriori funzioni ex art 118 cost. Gli
organi di governo delle province sono: l’assemblea dei sindaci (che ha poteri propositivi), il consiglio
provinciale (organo di indirizzo politico amministrativo) e il presidente della provincia. Le articolazioni
periferiche dei ministeri attuano una forma di decentramento burocratico.

Le città metropolitane. Anch’esse trovano una disciplina nel testo unico degli enti locali. Esse assorbono le
funzioni della provincia in aree dei comuni italiani più popolosi. La loro istituzione è stata disposta
parallelamente al processo di riforma delle province nel 2014. Sono organi delle città metropolitane il
sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano. Sono città metropolitane torino, milano, venezia, genova,
bologna, bari, napoli e Reggio calabria. Le città metropolitane svolgono funzioni ulteriori quali: adozione di
un piano strategico triennale metropolitano, pianificazione territoriale generale comprese strutture di
comunicazione, reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità
metropolitana, mobilità e viabilità. Stato e regioni possono attribuire ulteriori funzioni alle città metropol in
attuazione dei principi di suss verticale, differenziazione e adeguatezza ex art 118 cost.

Le regioni. Tra gli organi di governo delle regioni troviamo il consiglio regionale, la giunta, il presidente che
viene eletto direttamente dalla popolazione. Le regioni possono disciplinare con legge regionale il sistema di
elezione, nei limiti dei principi stabiliti con legge statale e individuare nello statuto la forma di governo e i
principi di organizzazione e di funzionamento ex art 123 cost. Prima della l cost 3/2001 vigeva il principio del
parallelismo tra funzioni amm (riguardavano solo le materie attribuite dalla cost alla competenza legislativa
regionale) e funzioni legislative, e vigeva il principio dell’amm indiretta per cui la regione esercita le proprie
funzioni delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici. In attuazione della l cost 3/2001 lo stato
trasferì direttamente le funzioni amm di interesse esclusivamente locale agli enti locali.

Riforma cost del 2001. Con la riforma cost del 2001 è venuto meno il principio del parallelismo e il riparto
delle funzioni amm tra i vari livelli di governo è stato reimpostato in base ai principi di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza ex art 118. Anche per le regioni è stato soppresso il controllo governativo
incentrato sulla figura del commissario di governo con poteri di intervento sugli atti legisl e amm delle
regioni. È stata mantenuta solo il rappresentante del governo, figura di raccordo istituzionale. Il controllo
sugli organi di governo regionale è previsto direttamente dalla cost. L’art 126 cost prevede che con decreto
motivato del presidente della rep possa essere sciolto il consiglio regionale e rimosso il presidente della
giunta per atti contrari alla cost, gravi violazioni di legge o motivi di sicurezza nazionale.

Il potere sostitutivo del governo. Ex art 120 cost il governo è titolare di un potere sostitutivo nei confronti
di organi delle regioni e degli enti locali, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o
della normativa comunitaria o di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica o quando lo
richiedono la tutela dell’unità giuridica dell’ordinamento. Il governo può annullare d’ufficio gli atti amm di
tutte le amm pubbliche, inclusi gli enti territoriali a tutela dell’unità dell’ordinamento (parere consiglio di
stato aprile 2020: annullamento ordinanza sindaco di messina). La riforma cost 2001 ha aperto la strada
anche al regionalismo differenziato o asimmetrico. Le singole regioni possono richiedere ulteriori forme e
condizioni di autonomia nelle materie di legislazione concorrente ex art 116 cost.

Le conferenze stato, regioni, città. Già prima della riforma 2001 sono state istituite la conferenza
permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le provincie autonome di trento e bolzano (conferenza
stato-regioni) e la conferenza stato, città e autonomie locali. I 2 organi si riuniscono in conferenza unificata

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in relazione a materie di interesse comune. In molti casi le leggi amm affidano a questi organi il compito di
esprimere un parere o un’intesa, particolarmente rilevante nei rapporti tra stato e regioni perché consente
loro di assumere un ruolo di codecisione. Le conferenze realizzano la funzione di raccordo tra stato centrale
e autonomie territoriali, in una logica di equilibrio in linea con il principio di leale cooperazione.

6.Gli enti pubblici. A partire dall’inizio del 20 sec vennero istituiti numerosi enti pubblici. Passiamo alla
classificazione: 1) ci sono gli enti pubblici disciplinati da leggi generali (camere di commercio, industrie,
aziende sanitarie locali, università, autorità portuali) ed enti pubblici a statuto singolare istituiti con una
legge ad hoc: tra essi rientrano l’ente nazionale di assistenza al volo (ENAC), il comitato olimpico nazionale
italiano (CONI), l’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA). 2)poi ci sono gli enti pubblici
nazionali e regionali (aziende sanitarie locali che costituiscono l’unità organizzativa di base del sistema
sanitario nazionale. 3) Enti di tipo associativo e non associativo. I 1 sono enti esponenziali di categorie o di
gruppi, in molti di essi sono previsti organi di tipo rappresentativo: per es nelle camere di commercio,
industria, agricoltura è istituito, in aggiunta agli organi amm (giunta e presidente), un organo assembleare
con funzioni di indirizzo: il consiglio. Anche gli ordini professionali sono amministrati da organi i cui
componenti sono eletti dagli iscritti all’albo. Gli enti non associativi (numericamente prevalenti) hanno
natura non patrimoniale. 4)Gli enti pubblici non economici e epe richiamati in vari settori. (Per es il d.lgs.
169/2016 di riordino della normativa sui porti qualifica come epne le autorità di sistema portuale. La legge
70/1975 di riordino degli enti parastatali e il d.lgs 165/2011 escludono dal proprio campo di applicazione gli
epe). Gli epne sono istituiti per realizzare uno scopo specifico e in questo si differenziano dagli enti
territoriali (specie i comuni) che hanno una vocazione generale. Essi sono sottoposti a poteri di vigilanza e
indirizzo più penetranti da parte dei ministeri o delle regioni. Essi esercitano la propria attività con atti amm.

Gli enti pubblici economici. Gli epe hanno la particolarità che, mentre la loro organizzazione segue modelli
pubblicistici, la loro attività ha natura imprenditoriale ed è retta dal diritto privato. Ai dipendenti degli epe
non si applica la disciplina dei dipendenti pubblici. Però, poiché la loro istituzione si giustifica per il
perseguimento di finalità pubblicistiche, anche essi sono sottoposti a poteri di indirizzo e di controllo da
parte dei ministeri. Negli anni 60 e 70 del sec scorso questa categoria era molto ampia e annoverava i grandi
gestori di servizi pubblici nazionali (ferrovie dello stato, enel, poste italiane), gran parte del sistema bancario
(casse di risparmio), gli enti di gestione delle partecipazioni statali (iri, eni, efim). In seguito ai processi di
liberalizzazione e di privatizzazione, quasi tutti gli epe sono stati soppressi o trasformati in spa. Ad oggi essi
sono una categoria marginale del panorama degli enti pubblici. Un es è l’agenzia delle entrate-riscossione
(istituito nel 2017 e subentrato nei rapporti giuridici di equitalia), società a totale controllo pubblico che
svolge l’attività di riscossione delle imposte. Anche alcune categorie di epne sono state privatizzate pur
mantenendo funzioni di tipo pubblicistico: per es le istituzioni di assistenza e beneficienza: ipab trasformate
in enti pubblici, ciò in seguito a una sent della corte cost n 396/1988, importante perché impone al
legislatore limiti cost alla pubblicizzazione di sogg privati, (istituiti per iniziativa spontanea di soci o
promotori privati), la cui attività sia finanziata con mezzi privati (contributi, atti di liberalità).

Le fondazioni bancarie. Anche le fondazioni bancarie sono state istituite in seguito al processo di priv delle
banche pubbliche (ad opera della legge amato n 218/1990). Le banche pubbliche furono trasformate in spa
e i loro pacchetti azionari vennero attribuiti alle fondazioni bancarie che la legge qualificò come enti
pubblici. Esse finanziano e gestiscono iniziative nel campo del non profit (cultura, sanità, assistenza sociale).
In seguito a 2 sent della corte cost (n 300 e 300/2003) alle fondazioni bancarie è stata riconosciuta natura
privata e un’ampia autonomia. La corte ha dichiarato incost le disposizioni della l 218/1990 che attribuivano
loro natura pubblicistica e prevedevano poteri di ingerenza eccessiva in capo al ministero dell’economia e
delle finanze. Alcuni epne come la croce rossa italiana sono stati trasformati in enti non profit di natura
privata (fondazioni). Anche molti enti previdenziali (alimentati da contribuzioni obbligatorie a carico degli
appratenti a categorie professionali (notai, commercialisti, avvocati)) sono stati trasformati in associazioni e
fondazioni di natura privata (detti enti privati di interesse pubblico).

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La distinzione tra enti pubblici ed enti privati. La giurisprud ha precisato che la nozione di ente pubblico è
funzionale e cangiante, ed esclude che il riconoscimento a un determinato ente della natura pubblica
implica automaticamente l’applicazione integrale della disciplina generale valevole per la p.a. (linea ideale:
un estremo ci sono le amm pubbliche per eccellenza come lo stato, nella parte meridiana gli epe e gli epne,
e all’altro estremo gli epe disciplinati quasi del tutto dal diritto comune). Per risolvere le questioni relative
alla qualificazione pubblica o privata di un ente, è stata elaborata la teoria degli indici della pubblicità. Tra i
vari indici della pubblicità troviamo: l’istituzione per legge, il fine pubblico che l’ente deve perseguire, il
rapporto di strumentalità con lo stato o un ente territoriale, l’attribuzione per legge di poteri pubblicistici, il
finanziamento a carico dell’erario, il carattere necessario dell’ente.

7. Le autorità indipendenti. Le aai sono una tipologia di enti pubblici che ha avuto diffusione soprattutto a
partire dagli anni 90 del sec con l’affermarsi dello stato regolatore. Esse si ispirano al modello anglosassone
delle independent regulatory agencies.

L’indipendenza dal governo e dalle lobby. Le aai si connotano, oltre che per un elevato tasso di tecnicità e
professionalità, per un marcato grado di indipendenza dal potere esecutivo. L’indipendenza è garantita
anche nei confronti degli interessi privati contro il rischio della cattura del regolatore da parte dei regolati,
spesso organizzati in lobby con capacità di influenza notevole.

1)I poteri neutri. Una prima ragione dell’indipendenza si collega al dibattito politico-costituzionale sui poteri
neutri. La tesi è che non tutti gli apparati pubblici devono mantenere un collegamento stretto con il circuito
politico rappresentativo, (pensiamo al prototipo delle aai, cioè alle banche centrali: se si ammette che la
stabilità della moneta costituisce un interesse di lungo periodo della collettività, può essere giustificato
garantirla tramite un apparato pubblico non dipendente dai governi in carica i quali nella fase finale della
legislatura tendono, per ragioni di consenso elettorale, a promuovere politiche espansive che innescano
spinte inflazionistiche dannose). Isolare la regolazione di settore dalle influenze della politica e dalla
pressione degli interessi privati assicura maggiore stabilita e coerenza alle regole che disciplinano i singoli
mercati.

La tutela dei valori costituzionali. Una 2 ragione si lega all’esigenza di garanzie rafforzate per alcuni valori
cost nei settori sensibili: pluralismo dell’informazione, privacy, diritto di sciopero. (Alcune aai hanno anche
un fondamento nei trattati ue: sebc, garanti della privacy, e nel diritto derivato (regolamenti e direttive)).

Il conflitto tra stato regolatore e stato imprenditore. In 3 luogo, l’indipendenza si giustifica per la necessità
di prevenire conflitti di interessi tra stato reg (che deve fungere da arbitro neutrale tra le imprese
concorrenti) e stato imprenditore (proprietario di imprese pubbliche che ha interesse a favorire il loro
sviluppo anche a scapito di quelle concorrenti). (Per es nel 2001 la commissione ue censurò la legislazione
francese in materia di servizi postali che assegnava al ministero delle poste la competenza a vigilare sulla
corretta applicazione delle tariffe praticate dalla propria impresa controllata (la Poste) alle imprese private
concorrenti di quest’ultima. La normativa francese violava il principio della regolazione indipendente).

2. gli strumenti che garantiscono l’indipendenza si desumono dalle leggi istitutive delle singole autorità.

I rapporti con il parlamento. Le aai intrattengono un legame istituzionale privilegiato con il parlamento
piuttosto che con il governo. Al governo è precluso ogni potere di direttiva e di indirizzo. La nomina dei
componenti dell’organo collegiale delle aai è attribuita ai presidenti dei 2 rami del parlamento o comunque
prevede un parere vincolante adottato a maggioranza qualificata dalle commissioni parlamentari
(competenti per consentire anche alla minoranze di essere rappresentate). Le autorità svolgono un ruolo
attivo di consulenza nei confronti del parlamento (ma anche del governo) tramite il potere di segnalazione e
di proposta per sollecitare gli interventi legislativi ritenuti necessari nelle materia di competenza (advocacy).
Le autorità infine inviano al parlamento una relazione annuale.

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La disciplina degli organi. Un 2 presidio deriva dalla disciplina degli organi. Il carattere collegiale assicura
una minore influenzabilità delle decisioni. I componenti sono scelti in base a requisiti di professionalità,
competenza e indipendenza. La durata in carica dell’organo è particolarmente lunga (7 anni) e ciò garantisce
un disallineamento rispetto al ciclo elettorale (5 anni) e quindi un distacco dagli equilibri politici del
momento. I componenti dell’organo non possono essere confermati per un 2 mandato. Infine per i
componenti di alcune autorità scattano incompatibilità successive, (sottoforma di divieto di assumere
incarichi da parte delle imprese regolate per un certo numero di anni dalla fine del mandato).

L’autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria. Un 3 presidio è dato da una ampia autonomia,


organizzativa, funzionale e finanziaria delle aai. Le leggi istitutive prevedono che le aai operino in piena
autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ex art 10 l 287/90 in materia antitrust. Esse
possono modellare le proprie strutture interne con regolamenti di organizzazione. Possono dotarsi del
personale di cui necessitano, (entro i limiti numerici della pianta organica stabilita dalle leggi), sulla base di
concorsi gestiti autonomamente. Alcune di esse sono autosufficienti sotto il profilo finanziario, in quanto
hanno il potere di richiedere alle imprese regolate contributi per le spese di funzionamento.

3.La deroga al principio di separazione dei poteri. Le aai derogano, entro certi limiti, al principio della
separazione dei poteri. Esse infatti assommano poteri di regolazione, poteri amministrativi (puntuali
esercitabili in applicazione delle regole da esse stesse poste, per es una sanzione irrogata per violazione di
un atto di regolazione emanato dall’autorità) e poteri di risoluzione in via stragiudiziale di controversie.
L’attribuzione di poteri di regolazione estesi è necessaria in considerazione della crisi della legge come
strumento di disciplina di attività soggette a rapidi mutamenti tecnologici e di mercato e di complessità
tecnica elevata. (Alla delega di poteri quasi in bianco da parte del parlamento corrisponde una ampia
potestà normativa secondaria (tramite regolamenti o atti amm generali). Per es i regolam della consob o le
istruzioni della banca d’italia formano un corpo normativo articolato a cui si devono conformare le imprese
regolate). Le aai inoltre sono dotate di poteri amm (prescrittivi, autorizzatori, sanzionatori) che hanno per
destinatarie singole imprese. Tali poteri amm presuppongono valutazioni tecniche effettuate in base a
parametri elastici (per es il criterio della sana e prudente gestione per le autorità istituite nei settori
finanziari). Infine le aai svolgono funzioni di tipo giudiziale. I consumatori o gli utenti possono proporre
reclami e attivare altre forme di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione nei confronti
delle imprese regolate. In alcuni casi le aai intervengono a dirimere anche controversie tra le stesse imprese
regolate (per es in materia di accesso e interconnessione delle reti nel settore della telefonia mobile, quelle
attribuite alla competenza dell’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni).

La paragiurisdizionalità. Esse esercitano i loro poteri in forme paragiurisdizionali. Le leggi istitutive


prevedono garanzie del contraddittorio rinforzate, cioè eccedenti la soglia minima posta dalla 241. Ciò vale
innanzitutto per i procedimenti di tipo individuale, per i quali sono previsti spesso la verbalizzazione, il
contraddittorio orale e per alcune aai persino la separazione tra funzioni istruttorie e decisorie a garanzia di
una maggiore terzietà del decisore. Anche per i procedimenti di regolazione è generalizzato il modello
partecipativo del notice and comment, cioè la pubblicazione della proposta di atto di regolazione con la
previsione di un termine entro cui gli interessati possono presentare le proprie osservazioni. Le garanzie del
contraddittorio costituiscono per le aai un fatto di legittimazione (democrazia procedurale) per bilanciare, la
mancanza di un collegamento diretto delle aai al circuito politico-rappresentativo (democrazia
rappresentativa).

4.Le aai possono essere suddivise in 3 categorie: a)le autorità di tipo generalista; b)le autorità di settore
preposte alla vigilanza sulle imprese operanti su mercati concorrenziali; c) le autorità preposte alle
regolazione dei servizi pubblici.

1.L’autorità garante della concorrenza e del mercato. Le autorità di tipo generalista esercitano i loro poteri
in modo trasversale nei confronti di tutte le imprese o di altri sogg pubblici o privati. Le 2 principali sono

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l’autorità gar della conc e del merc e il Garante per la protezione dei dati personali. La 1 fu istituita nel 1990
dalla l 287/90 (in ritardo rispetto ai principali paesi europei). Le funzioni principali dell’Autorità antitrust, che
hanno un aggancio cost all’art 41 cost, riguardano l’applicazione della disciplina della concorrenza (intese
restrittive, abuso di pos dom, concentraz) nei confronti delle imprese pubbliche e private operanti in tutti i
mercati. L’autorità applica in modo decentrato anche le regole del tfue in materia di concorrenza. L’autorità
è investita i poteri di accertamento e di repressione delle violazioni. Tali poteri sono esercitati dall’autorità di
propria iniziativa o su denuncia dei sogg interessati, e si sostanziano nell’emanazione di provv inibitori
(diffide), ordinatori e sanzionatori. I suoi atti sono impugnabili innanzi al giudice amm. (In seguito al
recepimento di una direttiva europea sul risarcimento del danno antitrust, i provv dell’Autorità che
accertano una violazione del diritto della concorrenza fanno stato nel giudizio civile instaurato dalla parte
danneggiata per quanto riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale
e territoriale). I poteri dell’Autorità sono in gran parte riferiti a comportamenti illeciti già posti in essere dalle
imprese: regolazione ex post. Ciò a differenza delle autorità di settore a cui la legge attribuisce anche poteri
di regolazione ex ante (rulemaking) volti a condizionare i comportamenti delle imprese vigilate.

I poteri di advocacy. L’autorità è titolare anche di poteri di advocacy, cioè di segnalazione al parlamento e al
governo di distorsioni della concorrenza causate da leggi, regolamenti o atti amm generali e di emanazione,
di propria iniziativa, di pareri sulle misure necessarie per rimuoverle o prevenirle. Nel corso degli anni il
legislatore ha esteso il campo di azione dell’autorità; le sono state attribuite funzioni di tutela dei
consumatori in relazioni alle pratiche commerciali scorrette con potere di inibire, sospendere e sanzionare
tali pratiche. Le sono stati attribuiti poteri di verifica dei conflitti di interessi relativi ai titolari di cariche di
governo. L’Autorità ha acquisito nuovi strumenti di azione: poteri di tipo cautelare (intervento immediato in
caso di urgenza), la facoltà di concludere i procedimenti volti ad accertare illeciti della concorrenza anziché
con una sanzione, con impegni assunti dall’impresa inquisita volti a ripristinare e garantire condizioni di
mercato concorrenziale, i programmi di clemenza volti a favorire le denunce anche anonime di imprese
aderenti a un cartello in cambio di una esenzione o riduzione delle sanz a carico del denunciante.
All’Autorità è stato anche attribuito il potere di impugnare innanzi al giudice amm tutti i provv generali
(inclusi i regolamenti) e individuali assunti in violazione delle norme a tutela della concorrenza. (Pensiamo a
un bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto che contiene clausole discriminatorie).

Il Garante per la protezione dei dati personali. Il Garante per la protezione dei dati personali, istituito nel
96 in attuazione della direttiva 1995/46/CE, è preposto all’applicazione del codice in materia di protezione
dei dati personali. Il codice è stato interamente rivisitato, in seguito all’emanazione del regolamento ue
2016/679 che ha accresciuto il livello di protezione dei dati personali e rafforzato i poteri delle autorità
nazionali. Il Garante opera in coordinamento con il comitato europeo per la protezione dei dati istituzionali.
Il Garante è titolare di poteri normativi e amm molto estesi. I 1 consistono nella facoltà di emanare linee
guida che indicano le misure organizzative e tecniche di attuazione dei principi del reg europeo. (Inoltre il
Garante promuove l’adozione di codici di deontologia da parte di varie categorie di operatori che si
confrontano con questioni relative alla privacy e ne approva i contenuti). I poteri amm individuali includono
il potere di ordinare la rettifica, la cancellazione di dati personali o la limitazione del trattamento dei dati, di
rivolgere ammonimenti, di effettuare l’accreditamento degli organismi per il controllo dei codici di condotta,
di irrogare sanz amm. Il garante è anche titolare di poteri di indagine e può ordinare al titolare del
trattamento e al responsabile del trattamento di fornire ogni info e documento necessari per lo svolgimento
dei suoi compiti, può disporre accessi a banche dati e ad archivi. Il garante ha anche compiti di consulenza
alle istituzioni (e di promozione della consapevolezza e della comprensione nel pubblico in materia di
privacy). Può fornire info agli interessati in merito all’esercizio dei loro diritti. Il garante gestisce un sistema
(alternativo all’azione innanzi all’autorità giudiziaria) di reclami proposti da chi si ritiene leso in un proprio
diritto. Contro la decisione sul reclamo è esperibile un’azione innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. Il
garante è l’esempio più significativo di tutela amm dei diritti soggettivi. Il garante è legittimato ad agire in

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giudizio nei confronti del titolare o del responsabile del trattamento in caso di violazione della normativa in
materia.

2.Tra le autorità di tipo settoriale ci sono le autorità preposte alla vigilanza e alla regolazione dei mercati
finanziari (banca d’italia, consob, ivass). Esse trovano una disciplina minima unitaria nella legge sul
risparmio e operano all’interno del sistema europeo di vigilanza finanziaria (sevif) al cui vertice sono poste 3
autorità europee nei settori bancario, finanziario e assicurativo con poteri di impulso e di indirizzo delle
autorità nazionali. L’esigenza di istituire autorità di regolazione in questi settori deriva dalla presenza di
alcuni fallimenti di mercato. Il rapporto tra risparmiatori e le imprese che offrono varie forme di
investimento è affetto da asimmetrie informative, perché è necessaria una regolazione pubblica.

La Banca d’Italia. Essa venne istituita in forma privatistica a fine 800 come istituto di emissione e come
banca commerciale ordinaria, poi progressivamente acquisì caratteri di istituzione pubblica con 2 tipi di
funzioni: di banca centrale preposta al governo della moneta per garantire stabilità; di autorità di vigilanza
sugli istituti di credito per garantirne la solvibilità.

La funzione monetaria. La funzione monetaria oggi è attratta a livello europeo nel sebc istituito nel 92 con il
trattato di Maastricht. Le singole banche centrali nazionali, secondo lo statuto della bce, costituiscono parte
integrante del sebc e agiscono secondo gli indirizzi e le istruzioni della bce. Il tfue devolve al sebc funzioni di
definizione e attuazione della politica monetaria con l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi e
con il potere in via esclusiva di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della comunità e di definire e
attuare la politica monetaria della comunità. Il tfue garantisce alla bce, e alle banche centrali nazionali
l’indipendenza dai governi nazionali.

La funzione di vigilanza. Essa è disciplinata dal testo unico delle leggi bancarie e creditizie e da un corpo di
norme europee. Il testo unico attribuisce alla banca d’italia poteri normativi (volti a disciplinare l’attività
delle banche sotto il profilo dell’adeguatezza del patrimonio, del contenimento dei rischi, dei limiti
all’acquisto di partecipazioni, dell’organizzazione amm e contabile), poteri amministrativi (autorizzazione
all’esercizio dell’attività bancaria, poteri ispettivi), poteri prescrittivi (divieto di distribuire utili), poteri
sanzionatori. Nell’esercizio di questa funzione la banca d’italia agisce in modo integrato e sotto la
supervisione della European Banking Authority operante dal 2010 e soprattutto della bce. (Nel 2013 i paesi
dell’eurozona in una fase di crisi finanziaria, hanno avviato un processo normativo (banking union) che ha
portato nel 2014 all’attribuzione alla bce di poteri di vigilanza sui principali gruppi bancari nazionali e alla
introduzione di regole per la prevenzione e la risoluzione delle crisi bancarie. Si tratta di un meccanismo di
vigilanza unico, per cui molti poteri amm della banca d’italia sono cogestiti con la bce).

La consob. La consob, venne istituita dalla l 216/1974, e svolge funzioni di vigilanza,di regolazione e di
controllo sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti intermediari, sui mercati e sui prodotti
finanziari. Anche la consob è titolare di poteri normativi e amministrativi molto estesi. La consob opera in
coordinamento con le autorità finanziarie dei paesi europei, essa agisce sotto la supervisione dell’autorità
europea degli strumenti finanziari e dei mercati (esma).

L’ivass. L’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (ivass) è sorto nel 2012 (in seguito alla riconfigurazione
dell’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (isvap) istituito nel 1982).
L’ivass è presieduto dal direttore generale della banca d’italia e ha come organo direttorio di indirizzo il
direttorio della banca d’italia integrato con i 2 componenti del consiglio dell’istituto esperti in materia
assicurativa e previdenziale.

8.Le società a partecipazione pubblica. Storicamente il fenomeno delle società a partecipazione pubblica è
legato a 3 cause principali. 1)l’affermarsi dello stato imprenditore a partire dagli anni 30 del sec scorso,
l’espansione dello stato imprenditore che ebbe il suo apice negli anni 60-70, si giustificò con l’obiettivo di
salvare aziende private in crisi e di promuovere politiche di programmazione economica e di sostegno delle

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aree meno sviluppate del paese. Nel 2 dopoguerra le imprese pubbliche vennero inserite nel sistema delle
partecipazioni statali organizzate in modo piramidale. Al vertice c’erano 2 comitati interministeriali e il
ministero delle partecipazioni statali avente funzioni di vigilanza e poteri di direttiva nei confronti degli epe
con funzioni di holding finanziaria (iri, eni, efim); questi enti di gestione delle partecipazioni statali
fungevano da cerniera tra gli impulsi politici e amm e l’attività di impresa esercitata da società di diritto
comune. Il sistema delle partecipazioni statali venne smantellato verso la fine degli anni 80 divenuto troppo
oneroso e non compatibile con le regole ue che impediscono il rifinanziamento di imprese strutturalmente
in perdita. Molte imprese vennero liquidate o privatizzate come la telecom attraverso la cessione dei
pacchetti azionari detenuti dallo stato. 2)la privatizzazione formale di enti pubblici negli anni 90. Gli epe che
gestivano servizi pubblici in regimi di monopolio legale vennero trasformati in spa (privatizzazione fredda)
con l’attribuzione della titolarità delle azioni allo stato. In molti casi queste ultime vennero cedute ad
azionisti privati (priv calda) e talvolta quotate in borsa (enel, eni). 3)la esternalizzazione di attività svolte da
apparati amministrativi. Per ragioni di efficienza e snellezza operativa alcune p.a. hanno esternalizzato
funzioni amministrative, affidandole a società da esse costituite. Pensiamo alla sogei che cura per conto del
ministero dell’economia la riscossione delle imposte.

Accanto a queste 3 cause fisiologiche, in anni recenti il fenomeno delle società a partecipazione pubblica è
esploso (soprattutto a livello di enti locali) per ragioni patologiche: elusione delle norme pubblicistiche in
tema di assunzioni del personale, di vincoli finanziari legati al patto di stabilità, di stipulazione dei contratti
attraverso procedure di gare. Per contrastare tali abusi sono state introdotte leggi ispirate a 4 obiettivi:
liquidare o accorpare società a part pubblica inutili o poco vitali; rendere applicabili le norme pubblicistiche
delle p.a. (regole sulla trasparenza) anche ad alcuni tipi di società a partecipazione pubblica; ridurre i costi;
prevenire distorsioni della concorrenza vietando alla p.a. di operare con proprie società in ambiti di
mercato.

Tipologie di società a partecipazione pubblica. È stato operato un riordino della disciplina delle società a
part pubblica nell’ambito della riforma madia della p.a. ad opera del testo unico approvato con d.lgs.
175/2016. Ricordiamo che l’ordinamento europeo ha un atteggiamento di neutralità rispetto alla proprietà
pubblica o privata delle imprese, sempre che siano assicurate condizioni di parità concorrenziale. (Inoltre
secondo le indicazioni dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (ocse) le società
pubbliche devono essere sottoposte alle regole comuni del diritto societario, sono ammesse solo deroghe
necessarie per il perseguimento degli interessi pubblici). Il d.lgs. 175/2016 si ispira al principio di
contenimento del fenomeno delle società a partecipazione pubblica. Ad esse è imposto un divieto generale
di costituire società, acquisire o mantenere azioni anche di minoranza in società commerciali aventi per
oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie
finalità istituzionali. Le attività svolte da queste società sono contenute in un elenco tassativo previsto
sempre dal d.lgs. 175/2016: servizi di interesse generale, progettazione o realizzazione di un’opera pubblica,
servizi di committenza. Ne derivano 2 conseguenze: l’obbligo per le amm di approvare piani di riassetto
annuali delle proprie partecipazioni azionarie per verificare il rispetto dei parametri normativi come il
fatturato ecc e l’obbligo di motivazione delle delibere relative alla cost o all’acquisto di partecipazioni
societarie.

La disciplina pubblicistica dello stato azionista. Il d.lgs. 175/2016 pone una disciplina pubblicistica dello
stato azionista, cioè dei principi e delle modalità procedimentali che le p.a. devono rispettare per acquisire,
mantenere, e alienare le partecipazioni societarie. Quanto alle società a partecipazione pubblica il decreto
175 si attiene al principio dell’ocse per cui le società a part pubblica sono sottoposte al regime di diritto
comune.

I tipi di società pubbliche. Le società a part pubblica sono sottoposte a vicoli pubblicistici via via più intensi
in base alla classificazione: le società quotate alle quali il dlgs175 si applica solo nei casi in cui esso le
richiama espressamente; le società meramente partecipate in cui le p.a. detengono solo pacchetti azionari

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di minoranza, perché esse sono sottoposte in massima parte al diritto comune; le società in controllo
pubblico, in cui le p.a. detengono la maggioranza delle azioni, alle quali si applicano in gran parte vincoli
pubblicisti; le società in house per le quali sono previste il maggior n di deroghe al cc e il cui regime è
equiparato in gran parte a quello delle p.a.; le società a partecipazione pubblica di diritto singolare istituite
per la gestione di servizi di interesse generale o altre finalità pubblicistiche (rai) (le cui disposizioni speciali
continuano a trovare applicazione anche dopo il d.lgs. 175 in aggiunta a quelle previste dalla nuova
disciplina).

L’obbligo di motivazione analitica. Esso è il fulcro della nuova disciplina. Le amm pubbliche che vogliono
costituire o acquisire una partecipazione societaria (di controllo, di minoranza, inhouse) devono adottare un
atto deliberativo che giustifichi la necessità della partecipazione per il perseguimento dei propri fini
istituzionali esplicitando le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta anche sul piano della convenienza
economica e della sostenibilità finanziaria. Gli enti locali devono sottoporre lo schema di delibera a una
consultazione pubblica. Le delibere devono essere inviate alla corte dei conti e all’autorità gar della concorr
e del merc che dovrà valutare se sussistano profili di distorsione del mercato e potrà, se del caso, attivare i
poteri di diffida e di impugnazione innanzi al giudice amm.

L’alienazione delle partecipazioni. Anch’essa deve avvenire con una procedura che rispetti i principi di
pubblicità, trasparenza e non discriminazione. Solo in via eccezionale, per ragioni che devono essere
esplicitate nella delibera, l’alienazione può avvenire mediante una negoziazione diretta con un singolo
acquirente. (Il d.lgs. 175 prevede poi l’istituzione nell’ambito del ministero dell’economia e delle finanze di
una struttura interna, con poteri ispettivi sulle società e individuazione delle migliori pratiche).

Le società a controllo pubblico. Il d 175 impone alle società a controllo pubblico l’obbligo di dotarsi di
regolamenti interni per garantire la conformità dell’attività della società alle norme a tutela della
concorrenza, un ufficio di controllo interno, codici di condotta.

Le società in-house. La nozione di società in-house è stata elaborata dalla giuris della corte di giustizia
dell’ue. La questione è se queste società possono essere affidatarie dirette di attività da parte delle
amministrazioni di contratti pubblici remunerati da queste ultime, oppure se l’affidamento deve avvenire
all’esito di una gara a evidenza pubblica. Per poter essere destinatarie di affidamenti diretti, in deroga al
regime della concorsualità, secondo la CdG, le società inhouse devono possedere 2 requisiti: il controllo
analogo e lo svolgimento della parte più rilevante della loro attività a favore delle amm pubbliche.

Il controllo analogo. Questo requisito tende ad assicurare che tra amm pubblica titolare delle partecipazioni
nelle società in-house e le società in-house intercorra un rapporto così stretto da assimilarla a un organo
interno della prima. Questa compenetrazione esclude che gli atti o i contratti con i quali l’amm affida alla
società il compito di svolgere nel suo interesse una determinata attività siano dei veri contratti ai fini
dell’applicazione delle norme europee. Occorre che la partecipazione sia quindi totalitaria, perché la
presenza anche minoritaria nel capitale sociale di sogg privati inquina la partecipazione pubblica. Anche se
però le nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni pongono una disciplina meno rigida che
consente partecipazioni private minoritarie e anche il d lgs 175 ammette la presenza di capitali privati nelle
società in-house, solo nei casi espressamente previsti dalla legge e comunque senza la possibilità di
esercitare un’influenza determinante. Il controllo analogo può essere congiunto e indiretto. È congiunto
quando più amm affidano a un’unica società partecipata la gestione unitaria di un servizio pubblico. È
indiretto quando un’amm detiene la partecipazione totalitaria in una società che a sua volta detiene a
cascata una partecipazione societaria totalitaria in un’altra società.

L’attività svolta per conto dell’amm di riferimento. Il 2 requisito tende a escludere che la società in-house
operi sul mercato e alteri la concorrenza rispetto a società che svolgono attività similari sfruttando il
vantaggio di aver ricevuto un affidamento diretto da parte di un’amm pubblica. Il d.lgs. stabilisce il limite
minimo dell’ 80% del fatturato che deve essere conseguito per conto della amm pubblica. Le società in-

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house sono sottoposte a regole pubblicistiche ulteriori rispetto alle società a controllo pubblico: esse sono
tenute all’applicazione integrale del codice dei contratti pubblici e ricadono nel regime della resp amm per
danno erariale.

La golden share. Quest’espressione si riferisce a un complesso di poteri speciali riservati dalla legge allo
stato e inseriti negli statuti delle società in occasione della priv delle grandi imprese statali operanti in
settori strategici, allo scopo di tutelare l’interesse nazionale. Tuttavia la CdG ha censurato le norme italiane
perché accordavano al ministero dell’economia e delle finanze un ambito di valutazione discrezionale
eccessivo. È stata introdotta una nuova disciplina che prevede che in caso di minaccia di grave pregiudizio
per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale, il governo possa esercitare una serie di
poteri speciali (golden power) più ampi, non più collegati solo alla titolarità (golden share). Tra questi poteri
rientrano: l’imposizione di condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, poteri di veto nei
confronti di delibere assembleari relativi al mutamento dell’oggetto sociale o ai trasferimenti di azienda. La
legge pone alcune regole procedimentali e commina la nullità delle delibere e degli atti adottati in
violazione di queste prescrizioni.

9.Cenni all’integrazione europea.

L’amministrazione indiretta e composita. L’assetto organizzativo e funzionale delle p.a. nazionali è


condizionato dal diritto europeo. Il modello originario di integrazione europea era quello della cd amm
indiretta sperimentato dall’inghilterra per l’amm dell’impero coloniale. Questo modello è fondato su una
scissione tra disciplina della funzione (attribuita alla competenza comunitaria) e organizzazione della stessa
(rimessa in via esclusiva ai singoli sm). Tale modello è stato superato dal modello dell’amm composita
caratterizzata da strutture operative in parte europee e in parte nazionali tra loro complementari e
integrate. L’influenza del diritto europeo sull’organizzazione amministrativa nazionale si manifesta in varie
forme. Poiché molte politiche pubbliche sono ormai decise a livello europeo, molti ministeri si sono dotati di
uffici che curano i rapporti con l’ue. Presso la presidenza del consiglio dei min è istituito il dipartimento per
le politiche europee del quale si avvale il pres del cons dei min per promuovere l’azione del governo volta ad
assicurare la piena partecipazione dell’italia all’ue. Inoltre è stato istituito un comitato interministeriale per
gli affari europei (ciae). (Inoltre funzionari di amm nazionali contribuiscono alla preparazione degli atti
comunitari anche attraverso la partecipazione a comitati tecnici composti da rappresentanti di amm
nazionali e da esponenti della commissione ue (comitologia)).

La coamministrazione. In base a numerosi atti normativi europei, le amm nazionali e regionali sono
coinvolte nello svolgimento di attività amministrative di cui sono contitolari con la commissione ue. A tal
fine organismi nazionali sono incaricati di svolgere attività che sono segmenti di procedimenti comunitari.
Ciò accade per es negli interventi di sostegno della produzione agricola da parte dell’ue. Lo stato italiano ha
istituito a tal fine l’agenzia per le erogazioni in agricoltura (agea).

Gestione dei fondi strutturali europei. Anche la gestione dei fondi strutturali europei finalizzati a ridurre il
divario tra regioni più e meno ricche avviene a livello nazionale attraverso autorità di gestione costituite da
organismi pubblici o privati designati dallo sm per la gestione degli interventi.

10.Le relazioni interorganiche e intersoggettive.

Il rapporto di gerarchia. Le relazioni interorganiche e intersoggettive sono: la gerarchia, direzione, controllo,


coordinamento, delega di funzioni, avvalimento. Il rapporto di gerarchia (nato nell’ordinamento della chiesa
e applicato prima agli apparati militari) connota sia il rapporto tra persone incardinate nella medesima
struttura sia il rapporto tra uffici. Il rapporto di gerarchia presuppone che le competenze dell’organo o
ufficio sottordinato siano tutte incluse in quelle dell’organo o ufficio sovraordinato. Quindi l’organo o uff
sovraordinato può decidere su ricorsi gerarchici proposti da sogg terzi nei confronti degli atti emanati

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dall’organo subordinato, di annullare d’ufficio gli stessi e di revocarli. Il rapporto di gerarchia non può
esistere nelle relazioni intersoggettive tra enti pubblici.

Il rapporto di direzione. Esso è meno intenso di quello di gerarchia. (ne abbiamo parlato con le direttive)

Il rapporto di controllo. Anch’esso può avere natura interorganica (controlli interni) o intersoggettiva
(controlli esterni) e dà origine a un rapporto di sovraordinazione tra l’organo o l’ufficio titolare del potere di
controllo e il destinatario di quest’ultimo. Al titolare del potere di controllo è riconosciuta una posizione di
indipendenza nell’organizzazione in ragione della neutralità della sua funzione di verifica della conformità di
un atto o di un’attività a standard predeterminati.

Il coordinamento. Nel modello gerarchico, il coordinamento è assicurato dalla presenza di un vertice


unitario che assomma tutte le competenze. Anche nei rapporti di direzione, lo strumento della direttiva
tende a promuovere la coerenza dell’attività amministrativa. Occorre distinguere tra coordinamento
politico-amministrativo (che attiene al livello cost) e coordinamento amministrativo in senso stretto.

Il coordinamento politico-amministrativo. Involge i rapporti interni al governo e quelli tra lo stato, le regioni
e il sistema delle autonomie locali. Spetta al consiglio dei min dirigere la politica generale, mantenere l’unità
di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri ex art 95 cost e art 5
l 400/88. Il coordinamento tra una pluralità di ministeri è assicurato anche da comitati interministeriali. Il
coordinamento è garantito da strutture di raccordo: conferenza stato-regioni, la conferenza stato, città e
autonomie locali, la conferenza unificata.

Il coordinamento amministrativo. A livello amministrativo ci sono gli strumenti che coordinano le attività
relative a uno o più procedimenti: le intese, le conferenze di servizi, l’amministrazione unica, gli accordi tra
le amm, gli sportelli unici. Nelle aai il coordinamento ha dimensione paritaria, e viene assicurato tramite
protocolli di intesa tra le aai, per regolare gli scambi di info, ripartire le attività istruttorie per evitare
duplicazioni. Per es i rapporti tra banca d’italia e consob sono disciplinati da un protocollo di intesa al fine di
coordinare l’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza.

La relazione di indipendenza. Proprio a proposito delle aai è stata elaborata la nozione di relazione di
indipendenza, o meglio non relazione, perché, al di fuori delle forme consensuali di coordinamento
paritario, la singola autorità può esercitare i propri poteri senza dover interagire con altri sogg.

La delega di funzioni e l’avvalimento. Nei casi previsti dalla legge, è ammessa la delega di funzioni da parte
di un ente nei confronti di un altro, che le svolge in nome proprio ma per conto e nell’interesse dell’ente
delegante. (funzioni amm per servizi di competenza statale possono essere affidate ai comuni).
L’avvalimento è una figura organizzativa in base alla quale un ente/ufficio di un ente mette a disposizione la
propria organizzazione a supporto dell’esercizio di funzioni proprie di un altro ente che esercita poteri di
direzione e di controllo nei confronti dell’ente/ufficio in relazione alle attività svolte a titolo ausiliario. Per es
l’autorità di regolazione per energia, reti e ambiente si avvale del gestore dei servizi elettrici spa e
dell’acquirente unico spa, 2 società a partecipazione pubblica totalitaria, per l’espletamento di attività
tecniche.

11.Il disegno organizzativo degli enti pubblici e lo spazio regolatorio.

Il disegno organizzativo degli enti pubblici consiste in una griglia di parametri e di indicatori che consentono
di inquadrare comparativamente qualsiasi tipo di apparato pubblico.

Le fonti di disciplina. Un primo indicatore si riferisce alle fonti che disciplinano l’apparato. Alcuni enti
trovano nella legge istitutiva o in fonti di tipo regolamentare la fonte principale. Per altri la fonte primaria
riconosce margini ampi di conformazione dell’assetto organizzativo allo statuto. L’analisi delle fonti consente
di valutare i margini di autonomia.

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Gli organi. Un 2 parametro riguarda la tipologia di organi previsti per ciascun ente, modalità di nomina dei
titolari dei medesimi e la ripartizione tra essi delle competenze. Hanno preso piede poi i modelli che
tendono a concentrare i poteri gestionali in organi monocratici o composizione ristretta. Per es, secondo la
legge istitutiva del servizio sanitario nazionale del 78, le aziende sanitarie locali erano amministrate da un
comitato di gestione, sostituito dalle leggi successive con un direttore generale che accentra su di sé tutti i
poteri.

Le funzioni e i poteri. Un 3 criterio prende in considerazione le funzioni e i poteri attribuiti all’ente. La legge
istitutiva definisce le funzioni fondamentali e per ciascuna di esse attribuisce i poteri. Si spazia da apparati
preposti all’esercizio di funzioni propriamente amministrative che agiscono attraverso l’emanazione di atti
autoritativi, e apparati preposti all’erogazione di servizi che operano con strumenti contrattuali o attraverso
l’erogazione di prestazioni.

I controlli e le risorse finanziarie. Un 4 controllo analizza i controlli e la vigilanza a cui è sottoposto l’ente.

Un 5 indicatore è dato dalle risorse finanziarie su cui può fare affidamento l’ente. Alcuni apparati dipendono
totalmente da fondi trasferiti dall’erario, altri come le aai sono autosufficienti.

Il disegno organizzativo tende a fornire un’immagine statica di ciascun apparato. La sua organizzazione nello
spazio regolatorio tende invece a coglierne l’aspetto dinamico. Nessun attore, protagonista o comprimario,
della cd arena pubblica agisce in modo isolato. Anzi in molti casi le competenze di ciascuno di essi
interferiscono con quelle degli altri apparati.

CAPITOLO 9. I SERVIZI PUBBLICI.

L’evoluzione storica. In una fase iniziale del sec scorso, lo stato sociale o interventista (welfare state)
assunse su di sé il compito di gestire con proprie strutture organizzative i servizi di trasporto o postali e
telefonici. La legge giolitti individuò una serie di servizi che i comuni potevano gestire con proprie strutture
interne: aziende municipalizzate. Si trattava di servizi necessari per il benessere della collettività che il
mercato non era in grado di offrire adeguatamente. Il modello originario di organizzazione dei servizi
pubblici aveva 2 caratteristiche.

Il regime di riserva originaria. La 1 è l’introduzione per legge di un regime di riserva originaria dell’attività a
favore dello stato tale da escludere lo svolgimento da parte dei privati in regime di concorrenza. Per es nel
1905 e 1907 la gestione delle linee ferroviarie e dei servizi telefonici venne riservata allo stato.

La gestione diretta e indiretta. La 2 caratteristica è la gestione diretta del servizio (tramite aziende speciali
interne allo stato o al comune) o indiretta (per mezzo di epe) da parte dei pubblici poteri.

La concezione soggettiva di servizio pubblico. In linea con una visione del diritto pubblico improntata alla
centralità dello stato la dottrina elaborò inizialmente una concezione soggettiva di servizio pubblico. Per
servizio pubblico si intendeva un’attività: a) tesa a soddisfare un bisogno di interesse generale della
collettività (elemento materiale), b) svolta da un sogg formalmente pubblico (el organico); c) sottoposta a
un regime giuridico speciale (elem formale). Il servizio pubblico includeva gran parte delle attività dello
stato che non avessero natura di pubblica funzione. Questa concezione residuale del servizio pubblico
emerge anche nel codice penale che distingue il pubblico ufficiale (esercita una pubblica funzione
legislativa, giurisdizionale o amministrativa) e la persona incaricata di un pubblico servizio (svolge un’attività
nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipi di quest’ultima).
I servizi pubblici sono menzionati in vari artt della cost che attribuisce allo stato il compito di tutelare la
salute (32), di garantire l’istruzione pubblica, istituendo scuole statali per tutti gli ordini e gradi (33), di
provvedere all’assistenza sociale con organi e istituti preposti o integrati dallo stato (38). Nel definire le
materie attribuite alla potestà legislativa concorrente delle regioni, l’art 117, co 3, menziona i servizi pubblici
in settori come le comunicazioni elettroniche, l’energia elettrica, i porti, gli aeroporti civili.

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La concezione oggettiva di servizio pubblico. Con l’affievolirsi dell’impostazione statalista, la concezione


soggettiva venne meno. La concezione oggettiva è più in linea con il principio di sussidiarietà orizzontale
volto a favorire il coinvolgimento dei privati nello svolgimento di attività di interesse generale. Tale
concezione pone l’accento sul tipo di attività, a prescindere dal fatto che essa sia svolta da un sogg pubblico
o sogg privati. La nozione di servizio pubblico si espanse sempre di più, negli anni 80 venne considerata
servizio pubblico anche l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito da parte degli istituti
bancari. Con il passaggio dallo stato gestore allo stato regolatore e con l’avvio dei processi di liberalizzazione
e priv il compito dello stato non era più quello di erogare direttamente i servizi pubblici ma garantire che
essi fossero resi alla collettività.

I servizi a rilevanza economica e non economica. Ci sono i servizi aventi rilevanza economica (trasporti,
energia elettrica, telecomunicazioni) che sono suscettibili di essere esercitati in forma imprenditoriale, e
servizi non economici (scuola, sanità, assistenza sociale) di cui si fanno carico le p.a. con oneri a carico della
fiscalità generale.

Servizi a fruizione collettiva e individuale. Una 2 distinzione è tra servizi a fruizione collettiva necessaria
(beni non escludibili, erogati sulla base di atti che instaurano una relazione bilaterale tra p.a e gestore del
servizio come nel caso dell’illuminazione pubblica delle strade il comune e l’impresa concessionaria e
vengono erogati alla collettività gratuitamente) e servizi a fruizione individuale (il gestore del servizio
intrattiene una relazione giuridica sulla base di un contratto anche con gli utenti del servizio ai quali viene
chiesto un corrispettivo commisurato alle prestazioni rese: biglietto dell’auto).

I servizi a rete. I servizi a rete sono quelli erogati agli utenti tramite infrastrutture fisse, spesso
interconnesse, come per es le reti ferroviarie e autostradali, le reti di trasmissione nazionale e di
distribuzione locale dell’energia elettrica, le reti idriche. (La regolazione delle reti, che spesso costituiscono
un monopolio naturale pone problemi diversi da quella dei servizi). Nella disciplina delle comunicazioni
elettroniche vale il principio della neutralità della rete in base al quale qualsiasi forma di comunicazione
veicolata sulla rete deve essere trattata in modo paritario.

2. I servizi di interesse generale nel diritto europeo. La disciplina europea in materia di servizi pubblici si
fonda su alcuni principi posti dal tfue e su numerose direttive di liberalizzazione riferite ai singoli servizi. Da
una parte si pone l’accento sull’importanza dei servizi di interesse generale, dall’altra si prevede che si
debbano rispettare le regole della concorrenza e del mercato.

I servizi come fattore di coesione sociale e territoriale. I servizi di interesse generale costituiscono elementi
essenziali per garantire la coesione sociale e territoriale e salvaguardare la competitività dell’economia
europea. I servizi sono menzionati nella carta dei diritti fondamentali dell’ue che richiama il diritto ad
accedere all’assistenza sociale, alla prevenzione sanitaria e alle cure mediche. Anche il tfue riconosce
l’importanza dei servizi di interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’unione. (A
differenza di quanto accade in altri ordinamenti, i servizi pubblici sono un elemento caratterizzante del
modello europeo di società. (usa la riforma sanitaria approvata nel 2010 è fondata sull’obbligo imposto ai
privati di stipulare un’assicurazione)).

Servizi pubblici e concorrenza. La 2 direttrice è scolpita nel trattato che contiene una disposizione che pone
come regola generale l’applicazione delle regole comuni in materia di concorrenza e ammette deroghe, in
base al principio di proporzionalità, solo nei limiti dello stretto necessario per il conseguimento degli scopi
di interesse pubblico che gli sm si prefiggono. Le imprese incaricate di svolgere un servizio pubblico di
interesse generale possono ricevere finanziamenti pubblici in deroga alla disciplina degli aiuti di stato, in
relazione alla necessità di coprire i costi correlati all’adempimento degli obblighi di servizio pubblico.

I servizi economici e non economici di interesse generale. Il diritto europeo pone una distinzione tra servizi
di interesse economico generale, che riguardano beni o servizi offerti in un determinato mercato (poste,

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trasporti, energia elettrica) e servizi non economici di interesse generale che invece si collocano fuori dal
mercato (servizi sociali, istruzioni, sanità) e ai quali non si applicano le regole della concorrenza. I primi
rientrano nel genus dei servizi definiti come prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione e sono
inclusi anche nel campo di applicazione della direttiva 2006/123/CE . I servizi non economici d’interesse
generale invece sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva proprio perché vengono svolte in
forme non imprenditoriali. Gli sm dispongono di un ampio margine di discrezionalità nel definire un
determinato servizio come servizio di interesse economico generale, sindacabile solo in presenza di errori
manifesti.

Le direttive di liberalizzazione. Negli anni 90 hanno aperto il mercato alla concorrenza tra più operatori,
superando la riserva originaria di attività. Esse tendono ad assicurare che il raggiungimento degli obiettivi
del servizio pubblico avvenga nel rispetto dei principi del mercato aperto alla libera concorrenza tra gli
operatori. Le direttive di liberalizzazione operano una distinzione tra concorrenza nel mercato e concorrenza
per il mercato. La concorrenza nel mercato riguarda i servizi pubblici per i quali la fornitura del servizio può
essere svolta da una pluralità di operatori in concorrenza. Pensiamo ai trasporti aerei, servizi di telefonia. La
concorrenza per il mercato si riferisce alle situazioni nelle quali per ragioni tecniche o economiche
(monopolio naturale) il servizio pubblico può essere svolto in modo efficiente da un solo operatore.
L’attribuzione del servizio avviene in seguito a una procedura competitiva di affidamento della concessione
alla quale possono partecipare tutti i potenziali interessati. Ciò accade per es nei casi della distribuzione
dell’energia elettrica a livello locale.

I servizi di interesse economico generale, nella visione europea, possono essere gestiti sia da imprese
private, sia da imprese pubbliche poste su un piano di parità concorrenziale.

3.La regolazione e le forme di gestione dei servizi pubblici. La disciplina dei servizi pubblici ha per oggetto 3
fasi: l’assunzione, la regolazione e la gestione.

L’assunzione del servizio pubblico. L’assunzione di un’attività come servizio pubblico è il frutto di una
decisione politica che mette in opera interventi di regolazione per garantire livelli minimi delle prestazioni.
L’atto di assunzione del servizio costituisce una responsabilità esclusiva dello stato.

La storicità e la relatività della nozione di servizio pubblico. I beni e servizi essenziali per il benessere della
collettività variano nel tempo in base alle esigenze della società e alla situazione di mercato concreta. Alcuni
beni primari (generi alimentari) sono offerti sul mercato in quantità più che sufficienti tanto da non
richiedere alcun intervento o regolazione pubblica. Altri beni hanno acquisito col tempo una valenza
prevalentemente commerciale. Quanto alla relatività, muta il perimetro del servizio pubblico. Per servizi
pubblici locali si intendono quelli che abbiano per oggetto la produzione di beni e attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. I consigli comunali godono di
un’ampia discrezionalità sull’assumere una determinata attività come servizio pubblico.

La regolazione dei servizi pubblici. La regolazione è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di interesse
pubblico e all’attuazione dei principi giuridici in materia di servizi pubblici.

Principi in materia di servizi pubblici. In base al principio di doverosità, i poteri pubblici si fanno carico del
compito di garantire alla collettività l’erogazione del servizio, a tal fine i fornitori dei servizi sono sottoposti a
obblighi di servizio puntuali. Un 2 principio è quello della continuità: l’erogazione del servizio non può
essere interrotta arbitrariamente, il cod penale prevede una figura specifica di reato. Anche il diritto di
sciopero dei lavoratori subisce limitazioni per garantire livelli minimi indispensabili di erogazione del
servizio. (Per es nel settore elettrico, le interruzioni del servizio dovute a guasti comportano, penalità a
carico del distributore locale). Un 3 principio è quello della parità di trattamento: tutti gli utenti hanno pari
diritti ad accedere al servizio e a ottenere prestazioni di eguale qualità: il gestore del servizio deve applicare
condizioni omogenee ai fruitori. Un 4 principio è quello della universalità: le prestazioni correlate al servizio

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pubblico devono essere garantite a tutti a prescindere dalla localizzazione, dal reddito. (Per es i distributori
del servizio elettrico o del gas non possono rifiutarsi di erogare il servizio in località isolate). All’interno del
perimetro del servizio pubblico in alcuni settori il regolatore individua un nucleo più ristretto di prestazioni
minime che costituiscono il cd “servizio universale” e che devono essere erogate anche se producono
perdite. Il costo della fornitura del servizio universale viene usualmente ripartito tra tutti i gestori secondo
criteri predeterminati. Un 5 principio è quello dell’abbordabilità: il servizio deve essere fornito agli utenti a
prezzi accessibili. Un 6 principio è quello dell’economicità in base al quale il gestore del servizio deve essere
posto nella condizione di svolgere l’attività in modo imprenditoriale, con la possibilità di conseguire un
margine ragionevole di utile. Rientra tra i compiti della regolazione anche l’individuazione delle forme di
gestione del servizio che sono individuate dalla legge che disciplina il singolo servizio o una categoria di
servizi.

Le forme di gestione dei servizi pubblici. Le principali forme di gestione dei servizi pubblici sono: 1)la
gestione diretta (l’attività è svolta da strutture dell’ente titolare del servizio) e la gestione indiretta (la
gestione è affidata a un ente pubblico incaricato dello svolgimento del servizio): molti servizi pubblici
nazionali come poste, radiotelevisione, per molto tempo vennero gestiti da epe sulla base di una
concessione amministrativa. 2)la società in-house: può ricevere in affidamento il servizio attraverso una
concessione o convenzione senza il previo espletamento di una gara. 3) società mista a partecipazione
pubblica e privata, richiede l’avvio di una procedura competitiva che ha un doppio oggetto: la scelta del
socio che abbia le caratteristiche tecniche ed economiche migliori; l’affidamento della gestione del servizio
alla società tramite il rilascio di una concessione. (Il socio privato è selezionato allo scopo di apportare alla
società competenza ed esperienza utili per la gestione del servizio. Alla scadenza della concessione il socio
privato deve cedere la partecipazione al sogg aggiudicatario di una nuova procedura competitiva).

Il partenariato pubblico-privato istituzionale e contrattuale. La società mista è una forma di partenariato


pubblico-privato istituzionale che realizza una collaborazione stabile e di lunga durata attraverso l’istituzione
di un’organizzazione comune. Il partenariato può assumere 2 forme: il partenariato di tipo istituzionale:
instaura una stretta relazione tra sogg pubblici e privati che interagiscono nella società mista; il partenariato
di tipo contrattuale: si riferisce ai casi in un cui un’amm si rivolge al mercato sulla base di un contratto per
acquisire un bene o un servizio operando una esternalizzazione completa. Il partenariato di tipo
contrattuale avente per oggetto la realizzazione e gestione di un’opera o la fornitura di un servizio connesso
all’utilizzo dell’opera è disciplinato dal codice dei contratti pubblici e il privato si assume ogni rischio
economico. Un caso di partenariato di tipo contrattuale è la 5 forma di gestione dei servizi pubblici,
costituita dalla concessione del servizio a soggetti 3 selezionati sulla base di procedure competitive nei casi
in cui il servizio è erogato da un solo gestore. La concessione a 3 (concessione-contratto) dà vita a una
relazione di lunga durata tra concedente e concessionario. A differenza della società mista, la concessione a
terzi non prevede un coinvolgimento diretto del sogg pubblico nella gestione del servizio. Un’ultima forma
di gestione è quella dell’autorizzazione rilasciata a più gestori che erogano il servizio in concorrenza tra loro
nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico stabiliti dal regolatore.

Il contratto di servizio. Il contratto di servizio regola i rapporti tra la p.a. titolare del servizio e gestore. Il
contratto di servizio disciplina i rapporti economici finanziari: talvolta il gestore paga un canone all’amm; nel
caso di servizi in perdita è l’amm a erogare contributi finanziari. Il contratto individua gli investimenti da
effettuare per migliorare le infrastrutture, i controlli esercitabili dall’amm, le sanzioni in caso di
inadempimento.

Le carte dei servizi. I gestori del servizio devono dotarsi di carte dei servizi che specificano i livelli
quantitativi e qualitativi dei servizi, prevedendo sistemi di indennizzo a favore dell’utente in caso di
inadempimenti da parte del gestore. Le carte dei servizi fanno sorgere in capo al gestore obblighi unilaterali
nei confronti dell’utente e vanno a integrare dall’esterno i contratti di utenza. Se adottati da un gestore

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privato hanno natura negoziale, se adottati da un gestore ente pubblico hanno natura provvedimentale o
regolamentare.

I contratti di utenza. I rapporti tra il gestore e gli utenti sono disciplinati su base privatistica per mezzo di
contratti di utenza stipulati spesso in conformità a contratti tipo stabiliti dal regolatore.

4. Le autorità di regolazione. A proposito delle aai si è vista la distinzione tra autorità di tipo generalista e
autorità di settore. Una sottospecie delle autorità di settore è data dalle autorità di regolazione dei servizi
pubblici aventi rilevanza economica istituite in concomitanza con i processi di liberalizzazione. Fino a
quando il servizio era gestito da una sola impresa monopolista (epe) la necessità della regolazione era
limitata. Per i servizi pubblici nazionali erano previsti atti di indirizzo e direttive ministeriali, spesso però tali
direttive erano negoziate o addirittura elaborate dall’ente gestore. In un contesto di liberalizzazione dei
mercati la composizione della regolazione ha per oggetto più ambiti: i rapporti tra gestori dei servizi e
autorità di regolazione; i rapporti reciproci tra gestori in concorrenza; i rapporti tra gestori e utenti.

1.Nel 1 ambito i regolatori devono predisporre regole per consentire lo sviluppo di un mercato
concorrenziale e il raggiungimento degli obiettivi propri del servizio pubblico. La regolazione ha i caratteri di
una regolazione ex ante. Quando al 2 ambito, i gestori del servizio in concorrenza sono sottoposti a obblighi
reciproci come per es nel settore della telefonia mobile, consentire l’interconnessione della propria rete con
quella di altri operatori in modo che i clienti di un gestore possano comunicare con i clienti degli altri
gestori. Quanto al rapporto tra gestore e utenti del servizio è disciplinato da regole poste dalle autorità di
settore e dalle carte dei servizi. L’utente ha il diritto di ottenere forme di indennizzo a carico del gestore in
caso di disservizi. Le principali autorità di regolazioni settoriali a livello nazionale sono l’autorità di
regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA), l’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni
(AGCOM), l’autorità di regolazione dei trasporti (art).

I principi della l n 481/1995. Un nucleo minimo di disposizioni comuni alla autorità è contenuto nella l
481/1995. Essa individua le finalità della regolazione: promozione della concorrenza; fruibilità e diffusione
dei servizi in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale; definizione di un sistema tariffario certo,
trasparente e basato su criteri predefiniti, promozione della tutela degli interessi degli utenti e dei
consumatori. Impone inoltre requisiti di competenza e professionalità per i componenti dell’autorità,
composizione collegiale dell’organo. La 481 delinea le funzioni e i poteri delle autorità quali: formulare
osservazioni e proposte al governo e al parlamento per migliorare l’assetto della regolazione, predisporre gli
schemi delle concessioni e delle autorizzazioni, controllare le condizioni di accesso ai servizi in modo che
siano rispettati i principi di concorrenza, trasp, eguaglianza, garantendo anche il rispetto dell’ambiente e la
salute degli addetti, valutare reclami e istanze degli utenti e consumatori.

Le principali autorità di regolazione. 1) L’autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (arera) è
preposta alla regolazione dei settori dell’energia elettrica, del gas, del servizio idrico e dei rifiuti. 2)L’autorità
per le garanzie nelle comunicazioni istituita nel 97 è preposta sia al settore delle comunicazioni elettroniche
che a quello dei media sia a quello postale. Nel settore dei media l’autorità opera anche per garantire il
pluralismo dell’informazione, la tutela dei minori e la par condicio nelle campagne elettorali. 3) L’autorità di
regolazione dei trasporti è preposta ai settori ferroviario, portuale, aeroportuale e autostradale. L’autorità
ha il potere di stabilire i criteri per la fissazione delle tariffe, dei pedaggi, di regolare l’accesso alle
infrastrutture di rete, definire i diritti degli utenti, di impugnare i provvedimenti dei comuni relativi alla
disciplina del servizio taxi.

5.I servizi pubblici locali. La disciplina dei servizi pubblici locali oggi è contenuta nel testo unico degli enti
locali, in leggi settoriali e nel d.lgs.175/2016. Essa ha subito vari tentativi di riforma. I servizi pubblici locali
includono tutti i servizi che hanno per oggetto la produzione di beni e attività rivolta a realizzare fini sociali e
a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. Le delibere in tema di organizzazione dei
servizi sono attribuite alla competenza del consiglio comunale o provinciale. Oggi le forme di gestione sono

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3: le società di capitali individuate tramite una procedura a evidenza pubblica, le società a capitale misto
pubblico-privato, le società in-house. (I servizi locali privi di rilevanza economica erano disciplinati dall’art
113 bis del testo unico che prevedeva che essi potessero essere gestiti mediante affidamenti diretti ad
aziende speciali, a istituzioni, a società in-house. La disposizione è stata ritenuta incostituzionale).

6.Il servizio sanitario nazionale, il servizio scolastico, i servizi sociali. Si tratta di servizi pubblici privi di
rilevanza economica erogati in gran parte attraverso moduli organizzativi pubblicistici.

Il servizio sanitario nazionale. Istituito in attuazione dell’art 32 cost secondo il quale la repubblica tutela la
salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli
indigenti. L’art 117 co 3, devolve questa materia alla competenza legislativa concorrente dello stato e delle
regioni. Il tfue attribuisce all’ue la competenza a svolgere azioni per sostenere, coordinare o completare
l’azione degli sm in vari settori tra cui la tutela e il miglioramento della salute umana e prevede che sia
garantito un livello elevato di protezione della salute umana. Ricordiamo che in epoca crispina lo stato
italiano sottopose a controlli penetranti gli istituti di tipo ospedaliero trasformati in ipab. Negli anni 60 del
sec scorso furono istituiti gli enti ospedalieri aventi natura giuridica pubblica e negli anni 70 vennero poste
le basi del modello attuale del ssn (l 833, 1978). Il ssn è il complesso delle funzioni, delle strutture, dei
servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica
di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino
l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. Le prestazioni offerte dal ssn includono sia servizi di tipo
erogativo (assistenza medico-generica di base, assistenza specialistica, assistenza ospedaliera, ass
farmaceutica, ass infermieristica) sia attività amm in materia di igiene, sicurezza sul lavoro e ambientale. Il
finanziamento è posto a carico della collettività e della fiscalità generale.

Il servizio sanitario come amm nazionale composita. L’organizzazione del servizio dà origine a un’amm
nazionale composita a cui concorrono lo stato, le regioni, gli enti locali. Allo stato compete la definizione dei
livelli delle prestazioni essenziali in attuazione dell’art 117, co 2, lett m) volti a garantire un minimo di
omogeneità su tutto il territorio nazionale. Le funzioni programmatorie si concretizzano nell’adozione di un
piano sanitario nazionale, alla cui formazione partecipano le regioni. Alle regioni spettano funzioni
legislative e amm in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera. Le regioni determinano l’articolazione del
territorio ragionale in unità sanitarie locali ed esercitano poteri di indirizzo e di vigilanza.

Le aziende sanitarie locali. Le unità (aziende) sanitarie locali sono aziende con personalità giuridica pubblica
e autonomia imprenditoriale i cui organi sono il direttore generale e il collegio sindacale. Il direttore
generale è responsabile della gestione complessiva dell’azienda e nomina il direttore amministrativo. Il
modello attuale si ispira a criteri più aziendalistici. Le aziende sanitarie locali (ASL) assicurano l’assistenza
sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, l’assistenza distrettuale e l’assistenza ospedaliera. Anche
strutture private possono concorrere a erogare le prestazioni sanitarie per conto del servizio pubblico sulla
base di un sistema di autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali. È necessaria un’autorizzazione
alla realizzazione delle strutture sanitarie e sociosanitarie e all’esercizio delle attività. Le strutture
autorizzate devono poi ottenere un accreditamento rilasciato dalla regione sulla base di valutazioni
discrezionali collegate al fabbisogno dei servizi definito in base al piano sanitario regionale. Poi le strutture
definiscono con la regione accordi contrattuali che individuano programmi di attività che esse si impegnano
ad erogare per conto del servizio sanitario. All’esito di questa procedura, le strutture private sono inserite
nel servizio sanitario regionale e acquistano la qualifica di gestori del servizio pubblico.

Il servizio scolastico. È un servizio pubblico sociale a fruizione individuale coattiva e a erogazione gratuita.
Anch’esso dà origine a un’organizzazione a rete a cui concorrono il livello amm statale, regionale e locale e
le istituzioni private in linea col principio di suss orizzontale. I principi del servizio scolastico sono fissati nella
cost che tutela la libertà di insegnamento (33) e garantisce il diritto all’istruzione (34). Anche la carta dei
diritti fondamentali ue menziona il diritto all’istruzione che comporta la facoltà di accedere gratuitamente

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all’istruzione obbligatoria. L’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione sono enunciate dalla cost per
l’istruzione inferiore (scuola dell’obbligo) che non può avere una durata inferiore agli 8 anni. L’istruzione
costituisce sia un diritto soggettivo riconosciuto a tutti, sia un dovere sociale ai sensi dell’art 4 cost. Inoltre i
capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e a
questo fine deve essere previsto un sistema di borse di studio, di assegni alle famiglie e altre provvidenze. Il
servizio scolastico costituisce un compito obbligatorio dello stato che deve organizzarlo e gestirlo con
proprie strutture, ma il legislatore non può creare un regime di monopolio pubblico: i privati hanno il diritto
di istituire scuole e istituti di educazione (senza oneri per lo stato) e di ottenere un riconoscimento statale.
In seguito alla l cost 3/2001 l’istruzione è una materia attribuita alla competenza legislativa concorrente
dello stato e delle regioni, le quali hanno invece competenza legislativa piena in materia di formazione
professionale. Lo stato ha il compito di determinare le nome generali sull’istruzione. Il ministero esercita le
proprie funzioni a livello periferico attraverso gli uffici scolastici regionali. Alle regioni spetta la
programmazione delle rete scolastica, la distribuzione del personale tra le scuole. Le istituzioni scolastiche
hanno personalità giuridica e autonomia organizzativa, didattica e finanziaria. Per le scuole private è
previsto un sistema di riconoscimento, di accertamento della idoneità sulla base di requisiti di qualità e di
efficacia, esse sono sottoposte alla vigilanza statale.

I servizi sociali. I servizi sociali includono tutte le attività relative alla predisposizione e alla erogazione di
servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinati a rimuovere e superare le situazioni di
bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita (d.lgs 112/1998). Essi non
includono però le prestazioni garantite dal sistema previdenziale per il quale la disposizione di riferimento è
l’art 38 cost che prevede il diritto dei lavoratori a vedere assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Tuttavia l’ambito di
applicazione delle provvidenze sociale è stato esteso anche a categorie diverse dai lavoratori italiani e anche
stranieri anche se è attribuita una priorità di accesso ai servizi e alle provvidenze alle persone in condizioni
di povertà o con reddito limitato e ai soggetti affetti da inabilità fisica o psichica. Il sistema della previdenza
si fonda su contribuzioni obbligatorie richieste ai lavoratori e fa capo a enti pubblici nazionali, come l’INPS:
istituto nazionale della previdenza sociale e alle casse di previdenza. Quanto ai servizi sociali, con la riforma
del titolo v cost, essi sono attribuiti alla competenza residuale esclusiva delle regioni, mentre alla legge
statale compete solo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Le regioni esercitano la
funzione di programmazione, coordinamento e indirizzo. Le province svolgono attività di raccolta di dati e di
analisi dell’offerta dei servizi. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative in materia e provvedono
all’erogazione dei servizi. I servizi sociali sono un settore in cui trova applicazione naturale anche il principio
di suss orizzontale. Spetta ai comuni rilasciare l’autorizzazione e provvedere all’accreditamento dei sogg
privati; uno dei requisiti per ottenere l’accreditamento è l’adozione della carta dei servizi sociali. I comuni
esercitano anche funzioni di vigilanza sui soggetti privati autorizzati e accreditati. Tra i sogg privati che
operano nel settore dei servizi sociali rientrano le ipab: istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
Rientrano nel Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, le
imprese sociali, le associazioni e le fondazioni. Il codice del 3 settore contiene un elenco di attività di
interesse generale che gli enti del 3 settore possono esercitare per il perseguimento, senza scopo di lucro, di
finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Gli enti del 3 settore possono collaborare con le p.a.
attraverso convenzioni. (Un assetto particolare è previsto per le organizzazioni di volontariato, esse sono
accreditate come centri di servizio per il volontariato (CSV) su base territoriale e sono finanziate da un fondo
unico nazionale (FUN), esse fanno capo a un organismo nazionale di controllo, cioè a una fondazione di
diritto privato costituita dal ministero del lavoro e delle politiche sociali).

CAPITOLO 10. IL PERSONALE. Le p.a. per svolgere le proprie attività hanno la necessità di dotarsi di
personale.

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La concezione privatistica. Storicamente il rapporto di lavoro dei dipendenti delle p.a. ha oscillato tra una
concezione privatistica (prevalente fino alla fine del 19 sec) e una pubblicistica. Successivamente emerse la
consapevolezza che ai dipendenti pubblici dovessero essere riconosciute alcune garanzie, per arginare le
ingerenze della p.a. e assicurare una maggiore imparzialità dell’attività amministrativa. La sottrazione del
rapporto di lavoro alle regole del diritto comune era coerente con la concezione panpubblicistica non
paritaria dei rapporti tra stato e cittadino. Il dipendente pubblico è sottoposto a un rapporto di supremazia
speciale rispetto all’amm di appartenenza connotato da particolari doveri (segreto d’ufficio, fedeltà) e da
limiti all’esercizio di alcuni diritti (appartenenza a organizzazioni politiche e sindacali). La prima legislazione
organica, improntata alla concezione pubblicistica, risale all’epoca di giolitti (1908) e fu via via perfezionata
fino a trovare una disciplina più stabile nel testo unico approvato nel 1957 rimasto in vigore fino agli anni 90
del seco scorso. La concezione pubblicistica esclude che il rapporto di impiego possa essere disciplinato con
strumenti contrattuali (contatto collettivo, contratto individuale). Esso invece è regolato da 2 tipi di atti: da
atti normativi (leggi e regolamenti delle singole amm) per gli aspetti generali, e da provvedimenti
amministrativi unilaterali incidenti sia sulla costituzione del rapporto (selezione tramite concorso) sia sullo
svolgimento dello stesso (promozione, assegnazione a un ufficio). Le controversie nascenti dal rapporto di
impiego sono attribuite alla cognizione del giudice amministrativo.

I principi cost. La cost riflette in parte questa concezione: essa stabilisce che i pubblici impiegati sono al
servizio esclusivo della Nazione (98) e sono garanti oltre che del buon andamento, anche dell’imparzialità
dell’amm. L’accesso ai pubblici impieghi avviene di regola mediante concorso; l’accesso agli uffici pubblici
deve essere garantito a tutti i cittadini in condizione di eguaglianza (51). I cittadini a cui sono affidate
funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando anche giuramento (54).
Da queste disposizioni (inserite nel titolo iv dedicato ai rapporti politici) emerge anche una connessione tra
status di cittadino e status di dipendente pubblico. Lo status di dipendente pubblico costituisce una
proiezione dello status di cittadino. Il cittadino è titolare di una pretesa a partecipare alla vita pubblica, su
base paritaria in base al merito. Anche il tfue esclude gli impieghi nella p.a. dall’applicazione del principio
della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’ue. Gli sm possono prevedere il requisito nella
nazionalità per l’accesso agli impieghi pubblici che implicano esercizio diretto o indiretto di poteri pubblici o
attengono alla tutela dell’interesse nazionale. La cost individua un assetto del pubblico impiego con caratteri
di specialità rispetto all’impiego privato, ma consente un dosaggio equilibrato di fonti regolatrici
pubblicistiche unilaterali e di fonti contrattuali. In epoca successiva alla cost la concezione pubblicistica
recepita nel testo unico del 1957 entrò in crisi. La legge quadro (1983) prefigurò il 1 modello generale di
contrattazione collettiva; esso coniugava la paritarietà e consensualità sostanziale dell’accordo con
l’unilateralità e con l’autoritarietà della sua trasposizione in norme e atti amm vincolanti. All’inizio degli anni
90 venne avviato il processo di riforma legislativa (proposto dal rapporto giannini nel’88) che portò
all’assetto normativo attuale recepito nel d.lgs. 165/2001 ispirato alla concezione privatistica. La prima fase
di tale processo si aprì con la privatizzazione del rapporto di impiego dei dipendenti pubblici escludendo
però alcune categorie di essi e tutti i dirigenti generali. La 2 fase, detta 2 privatizzazione superò alcune
ambiguità includendo nel regime privatistico anche i dirigenti generali. Le disposizioni legislative vennero
riordinate nel d.lgs. 165/2001 che oggi contiene il corpo fondamentale della disciplina del rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici. Successivamente il d.lgs. 150/2009 introdusse modifiche al 165. Infine il parlamento
ha approvato un disegno di legge che mira a introdurre misure per il contrasto dell’assenteismo e accelerare
le assunzioni e il ricambio generazionale della p.a.

2. Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro. Il campo di applicazione delle norme generali sull’impiego
pubblico privatizzato valevoli per la maggior parte dei dipendenti delle p.a. è definito nell’art 1 d.lgs.
165/2001 che individua un elenco di amm pubbliche (stato, enti territoriali, camere di commercio, ssn,
epne).

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Le categorie di dipendenti non privatizzati. In via di deroga, alcune categorie di personale restano
sottoposte al regime di diritto pubblico (personale militare e delle forze di polizia, i magistrati, gli avv dello
stato, il personale delle aai, i professori universitari, i vigili del fuoco). Per alcune di queste categorie il
regime è integralmente pubblicistico (magistrati), per altre alcuni aspetti del rapporto sono disciplinati da
accordi collettivi (personale diplomatico) o sono previste procedure di concertazione con rappresentanze
del personale (personale militare). Tutte le controversie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del
giudice amm.

Per il personale ricadente nel regime privatistico il sistema delle fonti dà origine a un diritto privato
differenziato. Il rapporto di lavoro è disciplinato dalle disposizioni del cc e dalla legge sui rapporti di lavoro
subordinato; poiché il d.lgs. 165 contiene disposizioni derogatorie rispetto a quelle del diritto comune, il
rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici si connota per molteplici profili di specialità. Un es di specialità è
dato dalla regola per cui l’esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza non dà
diritto, come accade in ambito privatistico, all’inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore. Altra
deroga riguarda l’inapplicabilità del principio privatistico alla conversione dei rapporti di lavoro a termine
costituiti in modo illegittimo in rapporti a tempo indeterminato. Il carattere imperativo delle disposizioni
speciali fa sì che esse non possano essere derogate in sede di contrattazione collettiva. Ove ciò si verifichi le
clausole contrattuali sono sostituite di diritto da quelle legislative oppure sono nulle ex art 1419 cc. In
aggiunta alle disposizioni legislative generali e speciali di rango primario, il rapporto di lavoro dei dipendenti
pubblici è regolato dai contratti collettivi (aventi efficacia erga omnes, anche nei confronti dei dipendenti
non iscritti ai sindacati che hanno sottoscritto il contratto collettivo) e dai contratti individuali (instaurano il
rapporto di lavoro tra dipendente e amministrazione all’esito di un concorso).

L’ambito della contrattazione collettiva. La contrattazione collettiva è ammessa entro uno spazio delimitato
dal d 165. Sono escluse dall’ambito della contr collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici
che sono disciplinate da ciascuna amm con atti organizzativi di tipo pubblicistico (regolamenti, atti amm).
Sono escluse le materie afferenti alle prerogative dei dirigenti degli uffici i quali sono preposti
all’organizzazione degli stessi e alla gestione dei rapporti di lavoro con la capacità e i poteri del privato
datore di lavoro. Sono escluse anche le materie relative al conferimento e alla revoca degli incarichi
dirigenziali, alle incompatibilità ecc. La legislazione vigente delinea un sistema a cascata flessibile: spetta alla
contrattazione collettiva disciplinare la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei
contratti collettivi nazionali e integrativi. Il d 165 prevede 3 livelli di contrattazione. Il 1 individua i comparti
che includono categorie di personale dipendente da amm omogenee. A valle degli accordi sui comparti
opera il 2 livello costituito, per ciascun comparto, dai contratti collettivi nazionali. Essi disciplinano gli aspetti
economici e giuridici del rapporto di lavoro, determinano le materie, i vincoli e le procedure relative ai
contratti collettivi decentrati. A valle dei contratti collettivi nazionali si collocano i contratti collettivi
integrativi che riguardano il personale di una singola amministrazione. Essi assicurano livelli adeguati di
efficienza, produttività e di valorizzazione. Se non è raggiunto l’accordo per la stipula del contratto collettivo
integrativo l’amm può provvedere unilateralmente in ordine alle materie oggetto del mancato accordo.
Quanto ai soggetti della contrattazione collettiva, per la parte pubblica, è stato istituito un organismo
tecnico, cioè l’aran: l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle p.a. Essa ha la rappresentanza negoziale
delle p.a. in sede di negoziazione dei contratti collettivi nazionali e può assistere le singole amm in sede di
contrattazione integrativa. L’agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico, essa negozia con le
rappresentanze sindacali nel rispetto degli indirizzi impartiti da 3 comitati di settore. In sede di
contrattazione, l’aran deve rispettare il vincolo delle risorse finanziarie stanziate per il rinnovo dei contratti
nell’ambito dei procedimenti di programmazione della spesa pubblica. L’aran sottopone l’ipotesi di accordo
al parere dei comitati di settore e al governo. Acquisito il parere, l’aran trasmette la quantificazione dei costi
contrattuali alla corte dei conti per la certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e
di bilancio e procede alla sottoscrizione definitiva del contratto collettivo solo se la certificazione è positiva.
La controparte dell’Aran in sede di contrattazione collettiva è costituita dalle organizzazioni sindacali dei

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dipendenti pubblici. Quelle ammesse alla negoziazione sono individuate in base a un criterio di
rappresentatività che per ciascuna organizzazione non deve essere inferiore al 5%. L’aran può sottoscrivere i
contratti collettivi solo se le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentano
almeno il 51%, come media tra il dato associativo e il dato elettorale nel comparto, o almeno il 60% del dato
elettorale.

3.La costituzione e lo svolgimento del rapporto di lavoro. I procedimenti di selezione e di avviamento al


lavoro nelle p.a. propedeutici alla cost del rapporto sono regolati esclusivamente dalla legge o con altri atti
normativi o amministrativi. Il concorso pubblico costituisce la regola generale. Il reclutamento del personale
tramite procedure selettive che rispettino i principi di pubblicità, trasparenza, oggettività, pari opportunità è
obbligatorio per tutte le amm pubbliche e per tutto il personale. Le uniche eccezioni riguardano il personale
con le qualifiche più basse (per le quali è richiesto solo il requisito della scuola dell’obbligo) che può essere
acquisito mediante l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento. Il concorso pubblico costituisce la
regola generale anche per l’accesso alla qualifica di dirigente di 1 e 2 fascia. Per la selezione dei dirigenti di 2
fascia in alternativa al concorso è previsto il corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla scuola
superiore della p.a. Gli incarichi di dirigente di 1 fascia che richiedono una specifica esperienza e
professionalità possono essere attribuiti con una quota non superiore alla metà dei posti messi a concorso
con contratti a termine. Le fasi del procedimento concorsuale sono 4:1) l’avvio della procedura (deliberato
dall’amm che indice il bando di concorso con i requisiti per la partecipazione, il termine e le modalità, che
viene pubblicato nella gu); 2)l’ammissione delle domande di partecipazione (le domande devono essere
inviate o presentate entro 30 gg dalla pubblicazione del bando, la mancata ammissione alla procedura
concorsuale costituisce provv impugnabile innanzi al giudice amm); 3)la fase istruttoria-valutativa(affidata a
una commissione esaminatrice composta da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra
funzionari delle amm, docenti ed estranei alle medesime. La commissione è preposta allo svolgimento delle
prove scritte e orali, stabilisce i criteri e le modalità di valutazione e dà conto delle operazioni compiute in
un verbale che riporta in particolare i giudizi valutativi e formula una graduatori di merito); 4)la fase
decisionale (consiste in un esame della regolarità della procedura. Il provv che approva la graduatoria
conclude il procedimento ed è suscettibile di impugnazione innanzi al giudice amm). I vincitori vengono
assunti in servizio con un contratto di lavoro individuale o, nel caso dei dipendenti pubblici non sottoposti al
regime privatistico, con un provv di nomina. All’atto dell’assunzione viene consegnato al dipendente il
codice di comportamento etico definito dal dipartimento della funzione pubblica recepito come allegato nei
contratti collettivi. L’obbligo di esclusività impegna il dipendente pubblico a dedicare tutte le energie
lavorative all’amm di appartenenza. L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna
professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati. L’obbligo di esclusività, la cui inosservanza
comporta l’applicazione di sanzioni disciplinari e può anche determinare la risoluzione del rapporto di
impiego, si ricollega al dovere di fedeltà alla nazione ex art 98 cost. Il regime delle incompatibilità è sottratto
alla contrattazione collettiva. La legge anticorruzione ha previsto per i dipendenti pubblici che hanno
esercitato poteri amm o negoziali per conto delle p.a. anche il divieto di svolgere attività lavorativa o
professionale presso i soggetti privati destinatari della loro attività per un periodo di 3 anni successivi alla
cessazione dal servizio. In deroga al principio di esclusività, per alcune categorie di dipendenti è ammesso,
entro certi limiti, il regime part time (docenti universitari ecc). Non rientrano nel regime dell’incompatibilità
alcune attività retribuite come per es le collaborazioni a giornali e riviste. Inoltre il prestatore di lavoro deve
essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a mansioni equivalenti. Il trattamento economico
è definito nei contratti collettivi e si distingue in trattamento fondamentale e accessorio (attribuito in base a
una valutazione della performance individuale del dipendente, alla performance organizzativa dell’amm nel
suo complesso, allo svolgimento di attività particolarmente disagiate, pericolose o dannose per la salute). Al
fine di valorizzare il criterio del merito, il d.lgs.150/2009 ha introdotto un sistema di misurazione,
valutazione e trasparenza delle performance facente capo a un organismo indipendente di valutazione
istituito presso ciascuna p.a. Inoltre è previsto un sistema premiale composto da bonus annuali delle

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eccellenze, progressioni economiche e di carriera in base ai risultati rilevati dal sistema di valutazione. Il
d.lgs. 150 ha promosso l’istituto della mobilità per rendere più fluida la mobilità tra i diversi comparti della
contrattazione collettiva. La procedura di mobilità prevede che le amm rendano pubbliche le disponibilità di
posti da ricoprire fissando i criteri di scelta. I dipendenti interessati possono presentare domanda di
trasferimento all’amm di appartenenza. I contratti collettivi nazionali possono definire procedure e criteri
attuativi e il ministro per la p.a. può disporre misure per agevolare i processi di mobilità. (La mobilità
collettiva in caso di eccedenze di personale avviene tramite un procedimento che prevede un’informazione
preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali). La disciplina delle
sanzioni disciplinari è stata in gran parte rilegificata dal d 150/2009: l’individuazione della tipologia di
infrazioni e delle sanzioni è ancora rimesso alla contrattazione collettiva, tuttavia la legge individua molte
fattispecie che fanno sorgere la responsabilità disciplinare. Per es il dipendente che non fornisce le info di
cui è in possesso rilevanti nell’ambito di un procedimento disciplinare che riguarda un altro dipendente può
essere sospeso dal servizio e privato della retribuzione fino a 15 gg. La legge anticorruzione prevede che la
violazione dei doveri contenuti nel cod di comportamento etico dei dipendenti pubblici è fonte di
responsabilità disciplinare. Inoltre è prevista la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio da 3gg a
3 mesi nei confronti del dipendente il cui comportamento in violazione di obblighi di servizio abbi cagionato
danni a 3 e sia stato fonte di responsabilità civile a carico dell’amm di appartenenza. Molte ipotesi di
licenziamento disciplinare sono individuate per legge: falsa attestazione della presenza in servizio, reiterate
condotte aggressive, valutazione negativa della performance per ciascun anno nell’ultimo triennio. Anche il
procedimento per l’irrogazione delle sanzioni è regolato per legge. Per le sanzioni di minore gravità come il
rimprovero verbale, il procedimento è avviato dal dirigente attraverso la contestazione degli addebiti
formulata entro 20 gg. Il procedimento prevede una fase di contraddittorio orale o scritto e si conclude con
l’archiviazione o l’irrogazione della sanz entro 60 gg dalla contestazione. Per le sanz più gravi, il
procedimento è promosso da un ufficio competente per i procedimenti disciplinari istituito da ciascuna
amm. In caso di avvio di un procedimento penale in relazione alla stessa condotta è prevista per le sanzioni
più gravi la sospensione facoltativa del procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. In
aggiunta alla resp disciplinare, i dipendenti pubblici sono sottoposti anche alla responsabilità amm per
danno erariale accertata dalla corte dei conti. Per es la legge anticorruzione stabilisce che risponde per
danno erariale e all’immagine, in aggiunta alla resp disciplinare, il responsabile del piano di prevenzione
della corruzione che non abbia vigilato sull’osservanza del piano. (e ha precisato che l’entità del danno
all’immagine derivante dalla commissione di un reato contro la p.a. è determinata dalla corte dei conti nella
misura pari al doppio della somma di danaro percepita dal dipendente). Inoltre anche il codice penale
individua una serie di reati riferiti a coloro che abbiano la qualifica di pubblico ufficiale. Le controversie
relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici che ricadono nel regime di privatizzazione sono
devolute al giudice ordinario. Restano devolute al giudice amm le controversie in materia di procedure
concorsuali per l’assunzione dei dipendenti pubblici (perché esse involgono esclusivamente situazioni g
qualificabili come interessi legittimi). Il giudice ordinario può emanare tutti i tipi di sentenze di
accertamento, costitutive e di condanna previste in sede civile per la tutela dei diritti sogg tutelati. In caso di
licenziamento illegittimo, il giudice può reintegrare il dipendente nel posto di lavoro: tutela reale, (ora
limitata a pochi casi nel settore del lavoro privato in seguito alla riforma fornero del 2012 e al jobs act d.lgs.
n 23/2015, quindi prevale il modello della tutela meramente risarcitoria).

4.La dirigenza pubblica. Con l’estendersi e il differenziarsi delle p.a. il modello gerarchico cavouriano venne
sostituito negli anni 70 da un modello diverso che prevedeva l’istituzione di una nuova categoria di
personale professionale costituita dalla dirigenza pubblica. Alcune funzioni vennero devolute alla
competenza dei dirigenti statali che si trasformavano in titolari di organi in senso proprio, comunque il
ministero restava titolare dei poteri di direttiva e di avocazione della competenza in singoli casi, di
sostituzione in caso di inerzia e di annullamento d’ufficio degli atti del dirigente. Si trattava di un modello
ibrido che attenuava il modello gerarchico. La riforma del d.lgs165/2001 aveva tra i suoi capisaldi la

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valorizzazione della dirigenza al fine di accrescere l’efficienza della p.a. e di garantire l’imparzialità
dell’azione amministrativa. La dirigenza deve essere dotata di adeguati poteri e risorse gestite in autonomia
e senza vincoli e rigidità eccessive per poter raggiungere gli obiettivi prefissati: il dirigente pubblico assume
una fisionomia analoga a quella del manager privato. Inoltre il nuovo modello del d.lgs. 165/2001 introduce
il principio della distinzione tra politica e amm cercando di conciliare il principio democratico (in base al
quale nessun potere pubblico può essere sottratto al circuito politico rappresentativo) e il principio di
imparzialità ex art 97 cost. Il principio democratico esclude che la burocrazia possa essere autoreferenziale,
che si possa autolegittimare e le attribuisce un ruolo di esecuzione fedele degli indirizzi politici del governo
di volta in volta in carica, perciò il rapporto tra vertice politico e dirigenza assume un carattere fiduciario. Il
principio di imparzialità tende a porre limiti all’ingerenza della politica nell’amministrazione isolando e
rendendo oggettivo e neutrale il momento della decisione amministrativa riservata a una burocrazia
professionale.

Il d.lgs. 165 attribuisce ai vertici politici delle amm solo funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di
controllo ex post e riserva ai dirigenti la responsabilità della gestione e l’emanazione di provvedimenti amm
di tipo discrezionale. Spettano agli organi di governo le deliberazioni in materia di atti normativi e di
indirizzo interpretativo e applicativo (circolari), la definizione di obiettivi, piani, programmi, le richieste di
pareri al consiglio di stato. Ogni anno i vertici politici definiscono gli obiettivi e le priorità in direttive generali
assegnando ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità le risorse necessarie. La funzione di indirizzo è
esercitata dai vertici politici con l’ausilio di uffici particolari, i cd uffici di diretta collaborazione. Ai dirigenti
compete l’adozione degli atti e provv amm e la gestione finanziaria, tecnica e amm mediante autonomi
poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Le attribuzioni dei dirigenti
possono essere derogate solo in modo espresso da disposizioni legislative che devolvono la competenza
all’adozione di alcuni atti al vertice politico. Il vertice politico non può avocare a sé provv di competenza dei
dirigenti (non c’è un rapporto di gerarchia). In caso di inerzia o di ritardo il vertice politico può fissare un
termine entro il quale il dirigente deve adottare l’atto. Se il dirigente non provvede il vertice politico può
nominare un commissario ad acta che si sostituisce al dirigente.

I dirigenti generali e di primo livello. I dirigenti di uffici dirigenziali generali hanno funzioni di impulso
generale degli uffici, di coordinamento e controllo dei dirigenti, e di formulare proposte e di esprimere
pareri al vertice politico anche in relazione alle direttive generali adottate dallo stesso. Il rapporto tra
politica e amm diventa circolare, senza la piena cooperazione dei dirigenti, i vertici politici non sono in grado
di realizzare i programmi in relazione ai quali sono stati eletti. I dirigenti di primo livello curano l’attuazione
dei progetti e degli obiettivi assegnati dai dirigenti generali, dirigono, controllano l’attività degli uffici. La
legge madia prevedeva l’eliminazione della distinzione in 2 fasce ma c’è stata la pronuncia di
incostituzionalità della corte cost. Prima delle riforme degli anni 90 gli incarichi ai dirigenti non avevano
alcun limite e i responsabili degli uffici dirigenziali erano inamovibili. Il nuovo modello di rapporto tra
politica e amm prevede una durata temporalmente limitata degli incarichi dirigenziali. Gli atti di
conferimento degli incarichi dirigenziali devono essere resi pubblici insieme ai curricula e agli emolumenti.
Se la durata degli incarichi dirigenziali è troppo breve, rende i dirigenti più influenzabili dai vertici politici da
cui dipende la conferma dell’incarico, se è troppo lunga può consentire ai dirigenti comportamenti
ostruzionistici nei confronti degli indirizzi del vertice politico. Gli incarichi di livello più elevato sono conferiti
con solennità, cioè con decreto del presidente della repubblica, previa deliberazione del cons dei min , su
proposta del ministro competente. Gli incarichi di dirigente generale sono conferiti con decreto del
presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente. Gli altri incarichi dirigenziali sono
attribuiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale. I dirigenti pubblici sono soggetti a verifica
periodica della rispondenza di risultati dell’attività amm e della gestione agli indirizzi impartiti dai vertici
politici. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, opera una particolare forma di responsabilità
aggiuntiva rispetto alla resp disciplinare prevista anche per i dirigenti in caso di violazione di doveri di
servizio: la responsabilità dirigenziale. (Si discute se essa abbia natura oggettiva, prescinda

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dall’accertamento dell’elemento soggettivo della colpa, o se costituisca una forma speciale di responsabilità
disciplinare). La responsabilità può sorgere, oltre che il mancato raggiungimento degli obiettivi, anche per
l’inosservanza delle direttive impartite dal vertice politico e per violazione del dovere di vigilanza sul rispetto
da parte del personale. La responsabilità dirigenziale è accertata in contraddittorio con l’interessato, previa
contestazione degli addebiti e previa acquisizione di un parere di un comitato di garanti. Essa può
comportare il mancato rinnovo dell’incarico dirigenziale, la revoca dell’incarico, il recesso dal rapporto di
lavoro. (La cessazione dagli incarichi apicali di segretario generale di ministeri e di direzione delle strutture
articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali opera in modo automatico in occasione
dell’insediamento di un nuovo governo. Si tratta di un meccanismo di spoil system, che accentua il carattere
fiduciario dell’alta dirigenza ma favorisce forme di clientelismo e di scambio politico).

CAPITOLO 11. I BENI.

1.La disciplina pubblicistica dei beni. Per svolgere le loro attività le organizzazioni hanno necessità, oltre che
di personale, di beni strumentali. Le p.a. sono titolari e gestiscono alcuni tipi di beni per metterli a
disposizione della collettività. (strade, musei, lido del mare, foreste). Alcuni beni appartenenti alla p.a. sono
pubblici solo in senso soggettivo perché il regime del bene è integralmente privatistico. Il regime speciale
dei beni pubblici trova un fondamento nel cc (882). Già il diritto romano conosceva la distinzione tra res in
commercio e res extra commercio tra cui si annoveravano le res publicae.

Il regime speciale dei beni pubblici. La cost stabilisce che la proprietà è pubblica o privata (42) e che i beni
economici appartengono allo stato, ad enti o a privati. (Il tfue mantiene un atteggiamento di neutralità in
tema di proprietà privata). Il cc dedica il capo II del titolo i del libro iii ai beni appartenenti allo stato, agli enti
pubblici e agli enti ecclesiastici. Esso distingue i beni demaniali (disciplinati da regole pubblicistiche) e beni
patrimoniali (disponibili e indisponibili). Anche i beni privati possono essere oggetto a volte di un regime
pubblicistico: la proprietà privata pure essendo riconosciuta e garantita dalla legge, può essere conformata
dal potere pubblico allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti. (La proprietà
fondiaria è soggetta a regole particolari per il conseguimento di scopi di pubblico interesse nei casi previsti
dalle leggi speciali. Il cc disciplina i consorzi obbligatori o i vincoli idrogeologici che vengono posti
dall’autorità amm. Le servitù coattive includono anche quelle costituite con atto dell’autorità amm nei casi
specialmente determinati dalla legge).

Stato proprietario e stato regolatore dei beni. Rispetto ai beni, i pubblici poteri possono assumere una
duplice veste di stato proprietario e di stato regolatore. La 1 si riferisce ai beni dei quali le amm hanno la
titolarità, sia sulla base delle norme di diritto pubblico (beni demaniali), sia sulla base del diritto privato
(beni patrimoniali). La 2 si riferisce ai poteri di conformazione del diritto di proprietà dei privati che sono
attribuiti dalla legge a varie pubbliche amm al fine di tutelare interessi pubblici. Per individuare i principali
fallimenti del mercato è utile la classificazione (che non coincide con quella del cc) dei beni: suddivisi in:
beni privati, beni pubblici, beni di club e beni collettivi individuati in base ai criteri di escludibilità e rivalità. I
beni sono escludibili (un terreno recintabile) o non escludibili (l’atmosfera), a seconda che una volta prodotti
sia o non possibile escludere alcuni sogg dal loro uso o consumo. I beni sono rivali (una bibita) o non rivali
(una strada, una piscina) a seconda che l’uso o il consumo di essi da parte di un sogg limiti o escluda la
possibilità di uso o consumo da parte di altri. I beni privati sono sia escludibili sia rivali (per es alimenti o al
vestiario). I beni pubblici non sono né escludibili né rivali (per es illuminazione pubblica, difesa nazionale). I
privati non hanno incentivo a produrli perché è ineliminabile il rischio dei freeriders, cioè di sogg che ne
traggono beneficio senza sopportarne gli oneri. Quindi è richiesto l’intervento dei pubblici poteri sottoforma
di istituzione di apparati amm (l’esercito, le forza di polizia). I beni di club che hanno natura non rivale ma
sono escludibili: essi sono prodotti e gestiti anche dal mercato, cioè da sogg privati che li producono dietro il
pagamento di una tariffa (autostrada a pedaggio) oppure da enti non profit. L’altra categoria intermediaria è
data dai beni comuni che non sono escludibili e hanno natura rivale (i fiumi, risorse ittiche o faunistiche). La
regolazione pubblica di alcuni beni privati è giustificata talora dal carattere di monopoli naturali. Si pensi alle

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reti di distribuzione dell’energia elettrica o ai porti. Altra distinzione è tra i beni naturali (acqua, aria) e
artificiali (difesa pubblica, fari).

2.I beni di interesse privato e i beni di interesse pubblico. I beni di interesse privato sono disciplinati dal cc.
I proprietari dei beni di interesse privato hanno il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo nei limiti stabiliti dall’ord. Tuttavia anche a questi beni possono essere applicati regimi pubblicistici
che attribuiscono poteri conformativi ad apparati pubblici (per es disciplina urbanistica ed edilizia che
persegue la finalità pubblicistica di assicurare un ordinato assetto del territorio). Nella categoria dei beni di
interesse privato rientrano anche alcuni beni pubblici in senso soggettivo cioè i beni patrimoniali disponibili
appartenenti allo stato e agli enti territoriali regolati dal diritto comune.

I beni di interesse pubblico sono quelli che sotto il profilo oggettivo hanno una rilevanza pubblicistica. Nei
beni di interesse privato l’interesse pubblico, ove sussista, è esterno al bene. Nei beni di interesse pubblico
l’interesse pubblico invece è immanente al bene (per es reperto archeologico, edificio, statua). La categoria
più importante di beni di interesse pubblico sono i beni culturali e i beni paesaggistici. Il regime dei beni
culturali e paesaggistici è molto articolato. La materia è oggetto di convenzioni internazionali e normative
europee. L’art 167 tfue incoraggia la cooperazione tra sm e prevede la conservazione e salvaguardia dei
patrimonio culturale di importanza europea. A livello nazionale la disciplina legislativa di base è contenuta
nel codice dei beni culturali e del paesaggio. La cost affida alla repubblica la tutela del patrimonio storico e
artistico della nazione e annovera la tutela dei beni culturali alla competenza esclusiva dello stato mentre la
valorizzazione dei beni culturali è inclusa tra le materie di competenza concorrente. I beni culturali sono
individuati attraverso elenchi tassativi di beni culturali ex lege (musei e pinacoteche) oppure attraverso un
procedimento amm in contraddittorio con i proprietari titolari di alcune tipologie di beni indicate dalla legge
per es raccolte librarie appartenenti a privati, cose mobili e immobili che presentano interesse artistico. Il
procedimento è aperto d’ufficio e si conclude con un provv di dichiarazione dell’interesse culturale del bene
notificato e trascritto nei registri immobiliari ove si tratti di beni immobili.

I beni culturali individuati sono inseriti in un catalogo nazionale e sono soggetti a un regime speciale di
vigilanza e ispezione relativo alla tutela, alla circolazione, alla fruizione e alla valorizzazione. La tutela
consiste in una serie di misure di protezione e conservazione: per ogni intervento di rimozione, demolizione
e di esecuzione di lavori è necessaria un’autorizzazione del ministero dei beni culturali. I beni culturali di
proprietà privata possono essere alienati, ma lo stato e gli enti pubblici possono esercitare un diritto di
prelazione. I beni culturali sono anche suscettibili di espropriazione per pubblica utilità. La fruizione dei beni
culturali è disciplinata distinguendo i beni appartenenti agli enti pubblici e i beni appartenenti ai privati. Per
i primi sono previste regole per assicurare il massimo grado di fruizione pubblica talora a titolo gratuito,
talora a pagamento. La valorizzazione consiste nell’attività di promozione della conoscenza del patrimonio
culturale, assicurandone le migliori condizioni di fruizione per promuovere lo sviluppo della cultura. La
valorizzazione può essere a iniziativa pubblica o a iniziativa privata.

Un’altra tipologia di beni di interesse pubblico è quella delle aree naturali protette dalla legge quadro sulle
aree protette. Il regime speciale è volto alla conservazione delle specie animali o vegetali, degli equilibri
ecologici ecc Le aree naturali protette sono suddivise in più categorie: parchi nazionali, parchi naturali
regionali, riserve naturali protette.

Una specie di beni privati che ha acquistato il carattere di beni di interesse pubblico è costituita dalle reti,
cioè dalle infrastrutture fisiche (reti di trasmissione e di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, binari
ferroviari). Numerose leggi di settore prevedono regole specifiche per le reti per es il cod delle
comunicazioni elettroniche e molte reti sono gestite da società controllate direttamente o indirettamente
dallo stato.

3.I beni patrimoniali indisponibili e i beni demaniali. Il cc distingue tra demanio pubblico e beni
patrimoniali. I beni patrimoniali disponibili sono considerati come beni di interesse privato. I beni

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patrimoniali indisponibili sono sottoposti a regole speciali e per quanto non diversamente disposto da esse,
a regole del cc. Il cc fornisce un elenco tassativo: foreste, miniere, caserme, armamenti. Anche i beni degli
enti pubblici destinati a un pubblico servizio rientrano in questa categoria. Il carattere indisponibile dei beni
si manifesta nel loro vincolo di destinazione che può essere rimosso solo con un atto amm: si pensi al caso
di una caserma dismessa. Essi non possono essere oggetto di procedure di espropriazione in quanto
necessari all’adempimento di un pubblico servizio.

I beni demaniali ineriscono al demanio necessario (possono appartenere solo allo stato: lido del mare,
spiaggia, fiumi e laghi) o al demanio eventuale (fanno parte del demanio solo nel caso in cui appartengono
allo stato, alle regioni o agli enti territoriali: autostrade, musei, biblioteche). (In aggiunta ai beni indicati nel
cc anche molte leggi speciali qualificano alcuni beni come demaniali: per es il cod dell’ambiente qualifica
come beni appartenenti al demanio necessario dello stato tutte le acque superficiali e sotterranee e come
beni appartenenti al demanio eventuale gli acquedotti, le fognature ecc). I beni demaniali sono inalienabili e
non possono formare oggetto di diritti a favore di 3 se non nei modi e limiti previsti dalla legge. Ai fini di
tutela dei beni demaniali l’autorità amm può ricorrere sia ai mezzi ordinari stabiliti dal cc a tutela della
proprietà, sia all’autotutela. (Per es il cod della navigazione prevede che in caso di occupazione abusiva di
zone del demanio marittimo l’autorità marittima ingiunga al contravventore di rimettere le cose in ripristino
entro un termine stabilito).

Le concessioni di beni demaniali. I beni demaniali sono in gran parte destinati alla fruizione pubblica ma
essi possono essere attribuiti in uso e godimento a singoli utilizzatori attraverso lo strumento della
concessione amministrativa. Per es secondo il cod della navigazione, l’amm marittima può concedere
l’occupazione e l’uso di beni del demanio marittimo (per es realizzare un porto nautico o uno stabilimento
balneare) per un tempo determinato. La concessione prevede la corresponsione di un canone o
corrispettivo da parte del concessionario.

Gli elenchi dei beni demaniali contenuti nel cc includono sia beni naturali sia beni artificiali. La distinzione
rileva sotto il profilo dell’acquisto e della perdita della demanialità dovuta, nel 1 caso a mutamenti della
situazione di fatto (erosione di una spiaggia), nel 2 a determinazioni di tipo amministrativo. Il cc prevede che
il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello stato deve essere dichiarato dall’autorità
amm con un atto di sdemanializzazione (pubblicato sulla gu), in seguito al quale il bene è soggetto al regime
di diritto privato e può essere alienato.

Le deroghe al principio di inalienabilità. Alcune leggi speciali hanno consentito il conferimento o il


trasferimento di beni demaniali a società pubbliche (anas spa) per consentire l’utilizzazione e la
valorizzazione economica. In anni recenti è stato avviato un processo di trasferimenti di molti beni immobili
dello stato a favore delle regioni, delle province, e dei comuni (federalismo demaniale) che prevede anche la
vendita di una parte del patrimonio ai fini di riequilibrio della finanza pubblica.

4.I beni comuni e le prospettive di riforma.

Le res communes omnium. Tradizionalmente i beni comuni sono le res communes omnium come l’aria, il
mare o gli astri. Si tratta di cose che non possono formare oggetto di diritti. Non sono beni perché non
possono essere sfruttate economicamente in base alle tecnologie disponibili. I beni comuni sono regolati da
convenzioni internazionali e da norme europee. Essi non trovano una disciplina autonoma nel cc che li
include tra i beni demaniali o patrimoniali. L’etere ha assunto la natura di un bene in senso proprio
(patrimoniale indisponibile) in quanto costituisce una risorsa che può essere attribuita in uso esclusivo a
determinati soggetti per svolgere attività aventi anche rilevanza economica (telefonia mobile, trasmissioni
radio e televisive). Il cod delle comunicazioni elettroniche prevede l’elaborazione di un piano nazionale delle
frequenze dello spettro radio e impone procedure concorsuali per l’attribuzione del diritto all’uso delle
frequenze a singoli operatori nei settori della televisione o della telefonia mobile (bandita nel 2018 per lo
sviluppo del 5G) attraverso una concessione amministrativa. I beni comuni da qualche anno sono al centro

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di un dibattito. Alcuni beni stanno acquisendo la caratterista della scarsità (acqua) e richiedono una
disciplina di tipo pubblicistico che ne impedisca il sovraconsumo e il depauperamento, e si è prospettata
l’esigenza di garantire l’accesso e la fruizione da parte della collettività su base paritaria.

(Il dibattito sul regime dei beni. Il regime dei beni delineato dal cc è oggetto di discussioni anche per altre
ragioni. Per es le foreste che per legge costituiscono demanio forestale sono incluse nel patrimonio
indisponibile. Inoltre gli elenchi si sono rivelati incompleti alla luce l’evoluzione successiva. Queste
considerazioni furono alla base dell’istituzione nel 2007 da parte del ministero della giustizia di una
commissione presieduta da stefano rodotà incaricata di elaborare uno schema di legge di delega per la
modifica delle disposizioni del cc in materia di beni pubblici).

CAPITOLO 12. I CONTRATTI.

La capacità generale di diritto privato delle p.a. Le p.a. godono di una capacità generale di diritto privato.
Esse possono stipulare contratti per l’acquisto di beni e servizi e per l’esecuzione di lavori strumentali alle
loro attività e necessari per il perseguimento delle finalità di interesse pubblico. (Le amm esercitano la loro
capacità generale di diritto privato anche in altri ambiti come quelli dei contratti collettivi e individuali
disciplinanti i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici, delle convenzioni tra il ssn e le cliniche private
accreditate).

Quando stipulano un contratto, le amministrazioni, a differenza dei privati che sono pienamente liberi di
scegliere le proprie controparti contrattuali, esse sono soggette a regole di natura pubblicistica volte a
tutelare gli interessi delle stesse amministrazioni e a garantire la par condicio tra i potenziali contraenti. La
formazione della volontà negoziale dell’amm e la scelta del contraente avvengono attraverso un
procedimento amm a evidenza pubblica di tipo competitivo. La fase di formazione del vincolo contrattuale è
retta da regole di diritto pubblico e si sviluppa in una sequenza procedimentale che culmina
nell’emanazione di un provv di aggiudicazione. La fase di esecuzione del contratto invece è retta dalle regole
del diritto privato. Il cod dei contratti pubblici riflette questa impostazione. Alle p.a. si applica il principio
generale di correttezza e buona fede, possono essere chiamate a rispondere a titolo di resp precontrattuale.
In origine la disciplina dei contratti della p.a. è stata contenuta nella normativa sulla contabilità dello stato, e
mirava a garantire una gestione corretta ed efficiente del denaro pubblico. Essa era diretta ad assicurare le
condizioni economiche più favorevoli all’amm mettendo in concorrenza le imprese. Solo di riflesso le norme
di contabilità garantivano la par condicio dei partecipanti; tali obiettivi erano perseguiti attraverso regole
relative alla gara pubblica: come la tempistica dell’asta ecc volte a escludere o limitare la discrezionalità
dell’amm.

L’impostazione proconcorrenziale della disciplina. La nuova impostazione della disciplina pone l’accento
sull’esigenza di aprire il mercato degli appalti pubblici alla concorrenza a livello europeo in attuazione del
principio di libera circolazione intracomunitaria delle merci e dei servizi. Vengono introdotte regole per
promuovere la pubblicità dei bandi di gara, la trasparenza della procedura, e la parcondicio. Nella visione
europea, che privilegia un approccio meno formalistico, un qualche margine di discrezionalità consente
all’amm di invitare alla contrattazione le imprese ritenute più affidabili. Il recepimento delle direttive
europee nel nostro ordinamento si è scontrato con la difficoltà delle stazioni appaltanti e delle imprese di
gestire o prendere parte a procedure più flessibili come il dialogo competitivo. Inoltre il settore degli appalti
pubblici è particolarmente esposto in italia a fenomeni corruttivi e di infiltrazione mafiosa. Il nuovo codice
cerca di intervenire sulla struttura del mercato degli appalti per es rafforzando i poteri di vigilanza e di
regolazione dell’autorità nazionale anticorruzione.

Le fonti normative. I contratti a evidenza pubblica sono un settore della legislazione amm che subito
maggiormente l’influsso del diritto europeo. Il cod dei contratti pubblici recepisce le direttive 2014/24/UE
(appalti), 2014/25/ue (settori speciali) e 2014/23/ue (disciplina i contratti di concessione di lavori e di
servizi). Il nuovo cod è stato approvato con il d.lgs. 163/2006 ed è stato più volte modificato, da ultimo con

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la l 55/2019. La disciplina generale stabilita a livello statale è adottata nell’esercizio della competenza
legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile e ogni altra materia cui
è riconducibile lo specifico contratto. Essa può essere integrata dalle leggi regionali che però hanno spazi
limitati di adattamento per evitare che il mercato dei contratti pubblici sia regolato da norme troppo
differenziate a livello locale tali da distorcere la concorrenza. Tra le fonti di disciplina dei contratti pubblici
rientrano anche i capitolati generali e speciali prevista già dalla normativa sulla contabilità dello stato. Essi
possono contenere la disciplina di dettaglio e tecnica della generalità dei contratti o di specifici contratti
stipulati dalle amm. Nei casi in cui siano menzionati nel bando o in altri atti di gara, i capitolati costituiscono
parte integrante del contratto. I contratti pubblici sono disciplinati anche da fonti esterne al codice: come la
legge anticorruzione che impone obblighi di trasparenza per combattere i fenomeni corruttivi. Altre misure
sono i cd patti di integrità e i protocolli di legalità sottoscritti dalla stazione appaltante con le imprese,
contenenti impegni per garantire l’integrità dell’appalto. Inoltre sono state previste le white lists, cioè degli
elenchi da istituire presso le prefetture, di imprese non soggette a tentativi di infiltrazione mafiosa. (Inoltre
anche il cod penale contiene alcune disposizioni che individuano figure specifiche di reati: si pensi al reato
di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente: commesso da chi cerca di condizionare a
proprio favore con mezzi fraudolenti il contenuto del bando di gara). Le imprese che partecipano alle gare
pubbliche devono rispettare la normativa antimafia e sono soggette a obblighi di tracciabilità dei flussi
finanziari derivanti dalle commesse pubbliche anche nei rapporti con i subappaltatori e i subcontraenti.
(Infine il cod del proc amm dedica alcuni artt alle controversie in materia di contratti pubblici che
configurano un rito speciale accelerato per a rendere più rapida la tutela delle imprese che partecipano alle
gare).

L’autorità nazionale anticorruzione. L’anac è preposta al mercato dei contratti pubblici con funzioni di
vigilanza, controllo e regolazione dei contratti pubblici attraverso linee-guida, bandi-tipo, capitolati-tipo.
L’attribuzione all’anac di poteri di regolazione così ampi (anche se oggi ridimensionati dalla l 55/2019) è
stato oggetto di discussione in dott e giur, soprattutto perché le linee guida in alcuni casi sono definite come
vincolanti e in altri non vincolanti. L’autorità è titolare di poteri ispettivi, può richiedere informazioni e
documenti, irrogare sanz amm. L’anac gestisce una banca dati nazionale dei contratti pubblici e formula
proposte e invia segnalazioni al parlamento e al governo come le aai.

La qualificazione delle stazioni appaltanti. Il nuovo sistema tende a contrastare il fenomeno dell’eccessivo
numero di stazioni appaltanti che spesso non sono attrezzate in modo adeguato per condurre procedure
complesse. L’autorità gestisce il nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di
committenza. Ai fini della qualificazione, che ha durata quinquennale, ciascuna stazione appaltante deve
dimostrare il possesso di una serie di requisiti. L’autorità gestisce anche il sistema di rating di impresa
applicabile per qualificazione delle imprese (cioè ammissione alla partecipazione alle singole gare)
attraverso il rilascio di una certificazione ad opera della stessa autorità. L’autorità gestisce e aggiorna anche
l’albo dei componenti delle commissioni giudicatrici. A garanzia di una maggiore imparzialità, il codice
introduce il principio del sorteggio dei commissari tra gli inscritti all’albo. Inoltre l’anac ha il potere di
impugnare innanzi al giudice amm gli atti emanati in violazione della normativa in materia di contratti
pubblici. Prima di agire in giudizio l’anac invia alla stazione appaltante un parere motivato che indica le
violazioni affinchè essa entro 60 gg adotti le misure correttive. Quindi l’anac è preposta alla regolazione e
alla vigilanza sull’intero sistema degli appalti pubblici. La disciplina dei contratti pubblici è stata oggetto di
numerose critiche rivolte contro la sua complessità, i ritardi nella realizzazione degli investimenti. Il d.l.
145/2018 e la legge di bilancio n 145/2018 hanno introdotto alcune misure di semplificazione. Sono
previste numerose deroghe al codice dalla l 55/2019 in particolare in materia di subappalto, di soglie
numeriche per il ricorso a procedure semplificate.

2.I principi generali e il campo di applicazione del codice dei contratti. La logica proconcorrenziale della
regolazione del mercato dei contratti pubblici è esplicitata nei principi generali enunciati dal cod dei

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contratti pubblici. L’art 30, co 1 stabilisce che l’affidamento dei contratti pubblici deve garantire la qualità
delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza
e dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. Le
stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire
o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici. Il nuovo cod tiene conto anche di altri interessi
richiedendo il rispetto degli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro e prevedendo che i criteri di
partecipazione alle gare siano tali da non escludere le microimprese, le piccole e medie imprese. Un
temperamento del principio di economicità è costituito dai cd appalti verdi, con riferimento ai quali la
stazione appaltante individua nel bando di gara o nel capitolato criteri tecnici volti a favorire le offerte di
beni e servizi che prestino soluzioni ecocompatibili.

Il cod modula le procedure di affidamento in funzione del livello di rischio di distorsione della concorrenza
dal lato della domanda di beni, servizi e lavori. Quanto più forte è la pressione concorrenziale nei mercati in
cui operano i committenti, tanto minore è il rischio che la scelta dei propri fornitori sia dettata da ragioni
extraeconomiche, tanto meno necessaria è l’introduzione di procedure di affidamento formalizzate. Il cod si
attiene a questo criterio nel definire l’ambito di applicazione soggettivo e ogg delle norme in esso
contenute.

L’ambito soggettivo di applicazione del codice. Alcuni committenti operano fuori dal mercato. Essi sono in
primis le p.a. di tipo tradizionale incluse nella definizione di “amministrazioni aggiudicatrici”. Essa include le
amm dello stato, gli enti pubblici territoriali, epne ai quali si applica il regime più garantista e formalizzato
previsto per le procedure di scelta del contraente. Questi sogg agiscono per il perseguimento di interessi
pubblici senza subire alcuna pressione concorrenziale. La definizione di amministrazioni aggiudicatrici
include anche gli organismi di diritto pubblico, cioè sogg pubblici o privati che, in ragione della loro missione
e dei collegamenti organizzativi con le p.a. possono essere condizionati nella politica degli acquisti da
ragioni extraeconomiche. L’organismo di diritto pubblico viene individuato sulla base di 3 parametri che
devono essere compresenti: 1)si deve trattare di un sogg con personalità giuridica, pubblica o privata. 2)
deve essere un sogg che non persegue fini di lucro, che non opera in normali condizioni di mercato e che
non sopporta i rischi connessi alla propria attività. 3)deve essere un sogg sottoposto a un’influenza
dominante da parte di una p.a. o di un ente pubblico che può manifestarsi in base ai seguenti parametri:
finanziamento maggioritario dell’attività da parte di un sogg pubblico, controllo sulla gestione cioè titolarità
della maggioranza della azioni o quote della società, designazione da parte di un sogg pubblico della
maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza. Sono considerati
organismi di diritto pubblico anche alcune imprese formalmente private (rai, poste italiane).

Le imprese pubbliche e le imprese titolari di diritti speciali o esclusivi. Il cod menziona le imprese
pubbliche che sono sottoposte però a regole meno stringenti in quanto ispirano la loro azione a una logica
essenzialmente economica. Le imprese pubbliche sono quelle sulle quali le amm aggiudicatrici possono
esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante. L’influenza dominante si presume se le
amm aggiudicatrici detengono la maggioranza del capitale, controllano la maggioranza dei voti o hanno il
diritto di nominare la maggioranza dei membri del consiglio di amm, direzione o vigilanza dell’impresa.
Alcune disposizioni del cod si applicano alle imprese private che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi
concessi per legge o sulla base di un provv di una p.a. e che sono incluse nella categoria di enti
aggiudicatori. Si pensi a una società petrolifera privata concessionaria del diritto di effettuare ricerche e di
estrarre minerali. In virtù dei privilegi concessi che si sostanziano nel fatto che l’esercizio di un’attività è
riservata a uno o pochi soggetti, queste imprese sono meno sensibili alla pressione concorrenziale.

I cd settori speciali. Le imprese pubbliche e quelle titolari di diritti speciali o esclusivi rientrano nel campo di
applicazione del cod solo ove operino nei settori speciali, cioè: energia elettrica e gas, acqua, servizi postali,
porti e aeroporti. Sono settori non ancora aperti a una concorrenza piena e in cui gli operatori agiscono
senza moduli imprenditoriali. Il cod attenua la rigidità delle procedure individuando come modalità di scelta

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del contraente la procedura negoziata previa pubblicazione di un bando, più flessibile rispetto alle
procedure aperte o ristrette, che invece è ammessa nei settori ordinari solo in pochi casi tassativi. Tuttavia,
una volta che in uno sm l’attività posta in essere nell’ambito dei settori speciali è direttamente esposta alla
concorrenza sui mercati liberamente accessibili, può essere attivato un procedimento per esentarli
dall’applicazione del codice.

2.L’ambito oggettivo di applicazione del codice. Il cod dedica alcune disposizioni anche all’ambito oggettivo
di applicazione delle norme, individuando in un elenco alcune tipologie dei contratti esclusi in tutto o in
parte dalla disciplina generale. In questo elenco rientrano: i contratti di acquisto e vendita di strumenti
finanziari, i contratti di acquisto o locazione di beni immobili, i contratti relativi a produzioni televisive e ai
settori delle comunicazioni elettroniche ecc.

I contratti esclusi. L’affidamento dei contratti esclusi, anche se non deve rispettare le regole procedurali
poste dal codice, deve comunque avvenire nel rispetto dei principi generali di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, parità dei trattamento, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica. Dai contratti
esclusi vanno tenuti distinti i contratti estranei che hanno per oggetto attività del tutto al di fuori dei settori
di intervento delle direttive europee: per es il servizio di vigilanza di immobili da parte di un’impresa
pubblica operante in uno dei settori speciali, ai quali si applica esclusivamente la disciplina privatistica.

Il codice indica anche altri criteri per individuare la disciplina di volta in volta applicabile: l’importo e
l’oggetto del contratto.

I contratti sopra soglia e sotto soglia. Il codice delinea un regime diversificato per i contratti sopra soglia
cioè quelli di rilevanza europea (ai quali si applicano integralmente le procedure stabilite dalle direttive
europee e trasfuse nel codice) e i contratti sottosoglia (che non superano l’importo minimo stabilito dalle
direttive europee per i contratti aventi oggetto forniture, servizi o lavori) a cui si applicano solo i principi
generali desumibili dai trattati. Per es il codice non impone oneri di pubblicità a livello sovranazionale.

I contratti di lavori, di fornitura di beni, di servizi. I contratti pubblici possono avere per oggetto la
realizzazione di lavori, la fornitura di beni e la prestazione di servizi. Il codice li sottopone a una disciplina
unitaria, ma prevede una disciplina speciale per i lavori.

La concessione di lavori e servizi. Il codice prevede infatti che i lavori e i servizi possano essere affidati
anche attraverso lo strumento della concessione che è una tipologia contrattuale autonoma rispetto a
quella dell’appalto pubblico. La concessione di lavori e servizi è un contratto avente per oggetto non solo la
realizzazione dei lavori ma anche la gestione dell’opera o del servizio. Da essa derivano ricavi che
consentono al concessionario di recuperare i costi e di realizzare un utile d’impresa (si pensi ad
un’autostrada a pedaggio). L’istituto della concessione consente alla stazione appaltante di evitare o di
limitare gli esborsi finanziari a proprio carico. Il codice attribuisce alle stazioni appaltanti un’ampia libertà di
organizzare la procedura per la scelta del concessionario.

La finanza di progetto. La finanza di progetto è una tecnica di realizzazione dei lavori pubblici alternativa alla
concessione e mira ad azzerare o ridurre al minimo gli oneri economici a carico dello stato. Essa prevede la
presenza un promotore privato che propone all’amm il progetto da realizzare e altri soggetti finanziatori. Al
promotore è attribuito un diritto di prelazione nel caso in cui non risulti aggiudicatario all’esito della
procedura competitiva per l’affidamento della concessione. Al termine della procedura di gara
l’aggiudicatario costituisce una società di progetto per realizzare e gestire l’infrastruttura. Le proposte
contenenti il progetto di fattibilità, la bozza di convenzione e il piano economico-finanziario possono essere
oggetto di una procedura competitiva a evidenza pubblica per la scelta dell’impresa che realizza l’opera. Il
promotore che non viene scelto all’esito della procedura ha comunque diritto al rimborso delle spese
sostenute. La finanza di progetto costituisce una delle forme di partenariato pubblico-privato. Questa forma
di collaborazione tra sogg pubblici e privati per la realizzazione e la gestione di opere o servizi prevede che

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l’operatore economico privato prescelto all’esito della procedura si assuma l’intero rischio. Per garantire
l’equilibrio economico finanziario l’amm in sede di gara può prevedere un contributo finanziario pubblico
diretto o indiretto. Altre specie di partenariato previste dal codice sono per es la locazione finanziaria di
opere pubbliche, il contratto di disponibilità, il coinvolgimento di privati e associazioni non profit nella
gestione di spazi verdi urbani. Per le infrastrutture di importo superiore a cento milioni di euro qualificate
dal governo come strategiche l’affidamento può avvenire a favore del cd contraente generale cioè un
soggetto dotato di adeguate capacità organizzative, di esperienza e di qualificazione che si fa carico
dell’intera realizzazione dell’opera.

3. Le procedure di affidamento. L’affidamento dei contratti pubblici avviene tramite un procedimento


amministrativo che si articola in più fasi. Il procedimento è avviato sulla base di atti di programmazione volti
a individuare le priorità anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili. Le stazioni appaltanti possono
svolgere consultazioni preliminari di mercato e acquisire consulenze o relazioni di esperti. Per le grandi
opere infrastrutturali, il codice prevede come forma di trasparenza e partecipazione il dibattito pubblico che
viene indetto dalla stazione appaltante che pubblica un dossier di progetto dell’opera.

1.La delibera a contrarre e il bando di gara. L’avvio del procedimento da parte delle amm aggiudicatrici è
disposto dalla delibera a contrarre. Essa è un atto unilaterale dell’amm che individua gli elementi essenziali
del contratto e i sistemi di selezione dei contraenti. Segue poi la predisposizione e pubblicazione di un
bando di gara che deve essere redatto in conformità ai bandi-tipo predisposti dall’anac. Nella redazione del
bando, (che insieme agli altri documenti predisposti dalla stazione appaltante costituisce la lex specialis
della gara), l’amm gode di ampia discrezionalità nell’individuazione dell’oggetto del contratto, dei requisiti
minimi di partecipazione, dei criteri di valutazione delle offerte. La discrezionalità deve essere esercitata
secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità per garantire la par condicio. Il bando di gara non
costituisce un atto immediatamente lesivo e può essere impugnato insieme all’atto conclusivo del
procedimento, cioè all’aggiudicazione definitiva a meno che esso abbia un carattere immediatamente
escludente e ponga in essere una discriminazione evidente a danno di potenziali partecipanti tale da
precludere la partecipazione, in questo caso deve essere impugnato subito.

I consorzi, i raggruppamenti temporanei d’imprese, l’avvalimento. Per consentire la partecipazione alle


gare anche di imprese di dimensioni inferiori o prive dei requisiti richiesi dal bando, intervengono alcuni
istituti come i consorzi stabili, i raggruppamenti temporanei di imprese e l’avvalimento. I consorzi stabili
devono essere formati da almeno 3 imprese che si impegnano a operare in modo congiunto nel settore dei
contratti pubblici per almeno 5 anni. I raggruppamenti temporanei d’imprese sono istituiti con riferimento a
una singola procedura di gara. È sufficiente una regolamentazione pattizia con l’attribuzione di un mandato
all’impresa capofila che assume la rappresentanza delle altre imprese e la responsabilità principale nei
confronti della stazione appaltante. I raggruppamenti possono essere verticali (quando le imprese svolgono
prestazioni distinte) o orizzontali. L’avvalimento è un istituto che consente a un’impresa che partecipa alla
procedura di dimostrare e di usufruire dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico organizzativo
richiesti dal bando e che essa non possiede rivolgendosi a un’impresa (ausiliaria) che si impegna
contrattualmente a metterli a disposizione dell’impresa che presenta l’offerta.

2.Le procedure aperte, ristrette e negoziate. La 2 fase del procedimento è quella di selezione dei
partecipanti con uno dei sistemi previsti dal codice. Il codice individua tre tipi principali di procedure:
aperte, ristrette e negoziate. Le procedure aperte sono quelle in cui ciascun operatore economico
interessato può presentare un’offerta (asta pubblica). Quelle ristrette prevedono che possono presentare
un’offerta solo gli operatori economici che vengono indicati dalle stazioni appaltanti. Le procedure
negoziate, ammesse nei casi tassativamente indicati dal codice, sono quelle in cui l’amm consulta gli
operatori economici da essa scelti e negozia con essi le condizioni del contratto. Le procedure negoziate
sono di 2 tipi a seconda che sia richiesta o meno la pubblicazione di un bando. Essa per es non è richiesta
quando per ragioni di natura tecnica o artistica vi sia un solo fornitore sul mercato.

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La prequalifica. Nelle procedure ristrette e in quelle negoziate la fase della valutazione delle offerte è
preceduta da una fase di prequalifica in cui le stazioni appaltanti selezionano le imprese da invitare a
presentare l’offerta. I criteri di tale selezione preliminare sono indicati nel bando e devono essere oggettivi,
non discriminatori e proporzionati.

Tassatività delle clausole di esclusione e soccorso istruttorio. L’art 83 del codice prevede che i casi di
esclusione dalle procedure per irregolarità o carenza di requisiti sono solo ed esclusivamente quelli previsti
espressamente dal codice. Il codice limita la possibilità di escludere le offerte per carenze formali
imponendo alle stazioni appaltanti il cd soccorso istruttorio. Tanto che è stata posta la distinzione tra
irregolarità essenziali (sanabili) e non essenziali (non danno luogo a doveri di regolarizzazione). In questo
modo si attenua il formalismo nelle procedure di gara.

3.La valutazione delle offerte. La 3 fase è quella della valutazione delle offerte che serve individuare tra i
partecipanti alla procedura, l’impresa con la quale l’amm stipulerà il contratto. L’art 95 codice individua 2
criteri per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa: il prezzo più basso; il miglior rapporto
qualità/prezzo che è il criterio privilegiato dalle direttive europee. Quanto più analitica è la suddivisione in
criteri e subcriteri e l’indicazione dei punteggi, tanto più oggettiva diventa la valutazione tecnico-
discrezionale. Tale valutazione è affidata a una commissione giudicatrice nominata dalla stazione appaltante
all’esito di un pubblico sorteggio da una lista di candidati. La lista viene comunicata dall’anac entro 5 gg dalla
richiesta da parte della staz appaltante. La commissione procede all’esame di ciascuna offerta e
all’attribuzione dei punteggi.

L’aggiudicazione. La 4 fase è l’aggiudicazione. La commissione giudicatrice formula una graduatoria e viene


dichiarata l’aggiudicazione a favore del miglior offerente. Prima viene però espletato un controllo sulla
regolarità delle operazioni di gara che si conclude con un atto di approvazione della staz appaltante entro 30
gg superati i quali si forma il silenzio-assenso. L’efficacia dell’aggiudicazione definitiva è subordinata a un
ulteriore controllo sul possesso dei requisiti di partecipazione autodichiarati in sede di presentazione della
domanda da parte dell’impresa selezionata. Successivamente l’amm procede alla stipula del contratto entro
un termine decorso inutilmente il quale l’aggiudicatario può sciogliersi dal vincolo contrattuale.

5.La verifica delle offerte anomale. Il procedimento di aggiudicazione richiede a volte l’attivazione di un
subprocedimento di verifica quando la staz appaltante individui una o più offerte anormalmente basse. Il
subprocedimento di verifica avviene in contraddittorio con l’impresa sospettata di aver presentato
un’offerta fuori mercato o in perdita. Il provv di esclusione deve esse motivato e può essere impugnato
immediatamente dall’offerente escluso.

Il dialogo competitivo è una procedura che può essere utilizzata in caso di appalti in cui la staz appaltante
non ha le conoscenze necessarie per individuare le soluzioni tecniche, giuridiche o finanziarie di un progetto
e necessita di un confronto preliminare con le imprese per individuare le soluzioni migliori da mettere poi a
gara; (pensiamo al caso di una staz appaltante che si propone di creare un collegamento tra le rive di un
fiume ma non è in grado di stabilire se la soluzione migliore sia un ponte o un tunnel). In questa procedura il
bando di gara individua solo il modo generico la necessità e gli obiettivi che si propone la staz appaltante e i
criteri di valutazione delle offerte. Il dialogo avviene separatamente per ciascuna impresa e questa fase si
svolge in modo informale. Poi la staz app invita le imprese a presentare l’offerta finale. Le offerte presentate
sono poi valutate sulla base dei criteri fissati nel bando e poi si procede all’aggiudicazione. In questa
procedura emerge la dimensione collaborativa del rapporto tra amm e privati.

Il partenariato per l’innovazione è una procedura introdotta dal nuovo codice che può essere esperita
quando la staz app abbia l’esigenza di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi, non disponibili sul
mercato.

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2.Le aste elettroniche. Queste sono previste per i casi in cui l’aggiudicazione può avvenire sulla base di
elementi espressi in valori numerici precisi (prezzo, consegna) tali da poter essere computati e raffrontati in
modo automatico con mezzi informatici. L’asta è preceduta da una fase in cui la staz appaltante opera una
prima valutazione delle offerte. L’asta si conclude alla data e all’ora preventivamente comunicata e
l’aggiudicazione avviene a favore dell’offerta migliore.

3.L’accordo quadro. È una procedura particolare che si riferisce alle forniture e ai servizi. È un contratto che
la scopo di stabilire le condizioni e le clausole relative a singoli appalti da aggiudicare in un determinato
periodo di tempo. Se l’impresa aggiudicataria è solo una, la staz appaltante può poi stipulare i singoli
contratti direttamente con la stessa. Se le imprese aggiudicatarie sono + di una, i singoli contratti sono
conclusi tra le stesse.

Le centrali di committenza. Gli accordi quadro sono stipulati spesso dalle centrali di committenza, definite
amm aggiudicatrici che acquistano forniture o servizi, aggiudicano appalti di lavoro o accordi quadro
destinati ad altre amministrazioni. Sono organismi che rendono più efficiente la politica degli acquisti della
p.a. superando la frammentazione.

4.L’esecuzione del contratto. Una volta stipulato il contratto, la sua esecuzione avviene secondo i principi
generali del diritto privato. Il codice contiene una disciplina speciale molto analitica soprattutto per quanto
riguarda i lavori pubblici. L’esatto adempimento da parte dell’impresa aggiudicataria è garantito da idonee
garanzie fideiussorie e assicurative. Vige poi il principio dell’invariabilità del contratto nella fase di
esecuzione. Le varianti in corso d’opera sono tassativamente previste dal cod in casi eccezionali come cause
impreviste e imprevedibili, mutamenti normativi. Le varianti sono sottoposte al controllo dell’anac. Regole
particolari sono previste anche per l’adeguamento dei prezzi. Le clausole di revisione dei prezzi devono
essere previste nei documenti di gara iniziali in modo chiaro preciso e inequivocabile. Inoltre il contratto
non può essere ceduto, a pena di nullità, dall’impresa affidataria a soggetti 3. Tuttavia è ammesso il
subappalto (nel limite di importo del 50% delle prestazioni previste dal contratto); esso consiste
nell’affidamento da parte dell’impresa aggiudicataria di parte delle prestazioni ad altre imprese di propria
fiducia. La facoltà di procedere al subappalto deve essere dichiarata dall’impresa già nel momento in cui
presenta l’offerta. Alla fase di esecuzione è preposto un direttore dei lavori, figura particolarmente
importante nei settori dei lavori pubblici. Egli è l’interlocutore principale dell’impresa aggiudicataria,
esercita funzioni di controllo tecnico, contabile e amm dell’esecuzione e può essere coadiuvato da direttori
operativi. Agisce in base alle istruzioni impartite dal responsabile del procedimento. L’andamento dei lavori
è riportato in un giornale dei lavori che viene compilato ogni giorno da un assistente del direttore dei lavori
ed è previsto anche un registro di contabilità tenuto dal direttore dei lavori e firmato dall’esecutore. In
questo registro l’esecutore può iscrivere le riserve, cioè eccezioni e contestazioni relative all’andamento dei
lavori e alle richieste del direttore dei lavori che possono determinare il riconoscimento a favore
dell’esecutore di importi aggiuntivi che egli deve quantificare nella riserva. Il direttore dei lavori certifica
l’ultimazione dei lavori e predispone un conto finale in una relazione da sottoporre al responsabile del
procedimento che poi predispone una relazione finale. La verifica finale della conformità delle prestazioni
eseguite a quelle pattuite avviene attraverso il collaudo. Le operazioni di collaudo sono affidate dall’amm a
un proprio funzionario o a una commissione esperta.

Il recesso e la risoluzione. Quanto al recesso, la staz appaltante può sciogliersi in ogni momento dal vincolo
contrattuale, previo pagamento dei lavori eseguiti e dei materiali utili esistenti nel cantiere e di un
indennizzo commisurato al decimo dell’importo delle opere non eseguite, mentre nel caso di recesso ad
nutum negli appalti privati il cc prevede il riconoscimento all’appaltatore dell’intero lucro cessante=mancato
guadagno. La risoluzione del contratto da parte della staz appaltante è prevista dal cod in alcune ipotesi: in
caso di grave inadempimento, irregolarità o ritardi nell’esecuzione dei lavori. In caso di risoluzione sono
posti a carico dell’appaltatore inadempiente gli oneri relativi alla maggior spesa sostenuta per affidare i
lavori ad altra impresa.

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5.I mezzi di tutela. La direttiva 2007/66/CE prevede alcuni strumenti per garantire una tutela efficace e
rapida nel settore dei contratti pubblici.

Lo standstill period.1. il diritto europeo impone alle stazz appaltanti il divieto di stipulare il contratto prima
di 35 gg dalla comunicazione alle imprese del provv di aggiudicazione. Inoltre nel caso in cui un’impresa
proponga ricorso giurisdizionale contro il provv di aggiudicazione definitiva, il contratto non può essere
stipulato per un termine ulteriore di 20 gg o comunque fino all’emanazione della pronuncia del giudice
amm in sede cautelare. Queste disposizioni mirano a garantire le imprese non aggiudicatarie.

Il rito speciale e i poteri del giudice. 2. In materia di contratti pubblici è previsto un rito speciale accelerato
con termini processuali ridotti, incluso quello per la proposizione del ricorso (30 gg invece che 60). Inoltre il
giudice amm è titolare di poteri decisionali che comportano valutazioni relative all’assetto degli interessi
determinatosi con la stipula del contratto all’esito di una procedura della quale è accertata in sede di
giudizio l’illegittimità. Se tale illegittimità dipende da 3 vizi qualificati come gravi dal codice, il giudice può
annullare l’aggiudicazione e dichiarare l’inefficacia del contratto. Se il giudice opta per il mantenimento
dell’efficacia del contratto, è tenuto a irrogare sanz pecuniarie nei confronti della staz appaltante. L’anac ha
una legittimazione straordinaria a impugnare innanzi al giudice amm provvedimenti assunti in violazione del
codice.

Gli strumenti di tutela non giurisdizionale. 3. Il codice dei contratti pubblici prevede nella parte iv rubricata
contenzioso, altri strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione: la
transazione(limitata alle controversie che involgono diritti sogg derivanti dall’esecuzione del contratto),
l’accordo bonario (procedura di tipo arbitrale promossa dal direttore dei lavori e dal resp del procedimento,
che attribuiscono a una commissione il potere di assumere una decisione vincolante oppure di formulare
una proposta di accordo. Si ha quando l’impresa ha inserito riserve nei documenti contabili che
determinano una variazione del prezzo superiore al 10% dell’importo contrattuale), l’arbitrato(la staz
appaltante deve indicare già nel bando che il contratto conterrà la clausola compromissoria), il parere
dell’anac che svolge un’attività di precontenzioso sottoforma di emanazione di un parere sulle questioni
insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara.

CAPITOLO 13. LA FINANZA.

Finanza funzionale e strumentale. Per svolgere le proprie attività, le organizzazioni hanno bisogno di risorse
finanziarie per svolgere le funzioni pubbliche nell’interesse della collettività (difesa, giustizia, ordine
pubblico) ed erogare servizi (scuola, sanità, trasporti) (finanza funzionale), garantire il funzionamento degli
apparati (finanza strumentale). Gli esborsi possono avvenire in forma diretta (tramite sovvenzioni, premi,
incentivi) o indiretta (attraverso la realizzazione di opere come strade e altre infrastrutture). Le attività delle
p.a. finalizzate alla cura di interessi pubblici sono a carico della fiscalità generale. L’attività delle imprese
invece è volta a generare ricavi attraverso la produzione e lo scambio di beni e servizi dietro il pagamento di
un prezzo. Gli enti non profit (Terzo settore) si procurano i fondi necessari tramite i contributi degli iscritti (in
caso di associazioni), o per mezzo di conferimenti al fondo di dotazioni (fondazioni), o per mezzo dei
proventi derivanti dagli investimenti del patrimonio e sollecitando 3 finanziatori.

Le entrate delle p.a. Nelle p.a. le entrate hanno oggi in gran parte natura tributaria e solo in minima parte
derivano da proventi patrimoniali (biglietti di musei). Anche nei servizi pubblici erogati dietro il pagamento
di una tariffa o un canoni, spesso questi non coprono tutti i costi e bisogna quindi attingere alla fiscalità
generale. Oggi il prelievo fiscale è sottoposto alla riserva di legge, espressione del principio no taxation
without representation, in base a cui solo il parlamento può istituire e disciplinare i tributi. La cost prevede
all’art 23 un riserva di legge relativa, impone un obbligo di contribuire alle spese pubbliche in ragione della
propria capacità contributiva (art 53), prevede che il sistema tributario sia informato a criteri di progressività
(art 53) e attribuisce alle regioni e agli enti territoriali autonomia finanziaria di entrata e di spesa, inclusa la
potestà di istituire entro certi limiti tributi propri.

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Le politiche di spesa redistributive. All’allocazione delle riserve ai vari ministeri ed enti e al sistema delle
autonomie territoriali provvede ogni tanto il parlamento approvando il bilancio di previsione presentato dal
governo nel rispetto dei vincoli europei (81 cost).

Il bilancio delle aziende. Il bilancio aziendale assolve alla funzione di stabilire se l’attività è in utile o in
perdita. Gli utili vengono distribuiti o accantonati a riserva. Se le perdite superano il terzo del capitale, esso
va reintegrato.

Il bilancio di previsione delle p.a. Il bilancio di previsione delle p.a. ha una funzione diversa. Serve sia ad
allocare le risorse tra le diverse destinazioni, sia a stabilire i tetti di spesa. Ciò anche al fine di garantire il
rispetto dell’equilibrio tra uscite ed entrate (vincolo del pareggio). L’approvazione annuale del bilancio da
parte del parlamento è obbligatoria in base alla cost e rende possibile l’erogazione della spesa.

Le dimensioni macro e micro della finanza pubblica. La disciplina della finanza pubblica ha 2 dimensioni:
una dimensione “macro” (tratta la questione delle entrate e delle uscite dello stato) e una dimensione
“micro” (riguarda la gestione delle risorse e i procedimenti di spesa da parte delle singole p.a.). La
dimensione macro ha assunto un ruolo centrale dopo la crisi finanziaria scoppiata nel 2008. La crisi ha fatto
emergere il rischio di insolvenza degli stati sovrani eccessivamente indebitati e con costi elevati di
reperimento della liquidità necessaria sui mercati. Da qui la necessità di manovre finanziarie e di bilancio e
di riforme economiche strutturali.

I principi costituzionali. L’art 81 cost contiene le regole fondamentali in materia di finanza pubblica. La legge
costituzionale n 1/2012 ha sostituito integralmente il testo originario dell’articolo.

Il principio del pareggio di bilancio. La legge cost è stata approvata in esecuzione dell’impegno assunto
dall’Italia di introdurre, a livello cost, il principio del pareggio di bilancio. Questo impegno è previsto per gli
stati aderenti al tscg (fiscal compact) firmato a Bruxelles nel 2012 da 25 sm aderenti all’area euro ed è
entrato in vigore nel 2013. Il nuovo comma 1 dell’art 81 contiene l’impegno dello stato ad assicurare
l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi
favorevoli del ciclo economico. Il nuovo comma 2 fissa alcuni limiti all’indebitamento pubblico precisando
che esso è consentito “al solo fine di considerare gli effetti del ciclo economico” e ove si verifichino eventi
eccezionali. In quest’ultimo caso però l’autorizzazione deve essere adottata a maggioranza assoluta delle 2
camere. L’art 81 pone il principio secondo il quale il bilancio di previsione e il rendiconto consuntivo
presentati dal governo devono essere approvati dalle camere e stabilisce che l’esercizio provvisorio del
bilancio può essere concesso per legge per un periodo non superiore a 4 mesi.

La legge quadro di contabilità. Il nuovo comma 6 rinvia a una legge quadro di contabilità volta a stabilire i
criteri per assicurare l’equilibrio tra spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle p.a. I
contenuti minimi della legge sono specificati nell’art 5 legge cost n 1/2012. Essi sono: le verifiche preventive
e consuntive sugli andamenti di finanza pubblica l’accertamento delle cause degli scostamenti rispetto alle
previsioni e i limiti massimi dei medesimi, le modalità attraverso le quali lo stato concorre al finanziamento
dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. La legge
cost n 1/2012 introduce anche altre modifiche correlate. L’art 2 antepone al 1 comma dell’art 97 una
disposizione secondo la quale le p.a. assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
Proprio a questo fine l’art 4 della legge cost n 1/2012 modifica l’art 119, comma 1, prevedendo che le
regioni, le province e i comuni, oltre ad assicurare l’equilibrio dei rispetti bilanci, concorrono ad assicurare
l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’ue. Viene integrato anche l’art
119, co 6 secondo il quale gli enti territoriali possono ricorrere all’indebitamento esclusivamente per
finanziare spese di investimento, ma solo con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a
condizione che per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. In questo
modo le regioni vengono maggiormente responsabilizzate in quanto si fanno garanti dell’equilibrio di
bilancio a livello regionale. Infine, anche per favorire il consolidamento dei conti pubblici, l’art 3 della legge

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cost n 1/2012 modifica l’art 117 cost attribuendo alla competenza legislativa escl dello stato
l’armonizzazione dei bilanci pubblici in precedenza rientrante nella competenza legislativa concorrente dello
stato e dello regioni. Quest’ultima resta confermata per gli aspetti relativi al coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario.

3.I vincoli di derivazione europea. Il cd Fiscal compact. Accanto alle norme in materia di coordinamento
delle politiche economiche e di governance dell’area euro, il trattato disciplina il fiscal compact che mira a
rafforzare la disciplina di bilancio degli stati firmatari. Impone loro, da un lato, il mantenimento del bilancio
in pareggio o in avanzo e dall’altro, l’attivazione di meccanismi automatici di correzione nel caso di
deviazioni significative dagli obiettivi di medio termine concordati a livello europeo. Le norme sul fiscal
compact contenute nel trattato confermano che in caso di superamento del rapporto tra il debito pubblico e
il pil del 60% la parte contraente dovrà procedere alla riduzione del disavanzo. Il trattato concede agli sm
alcuni margini di flessibilità in presenza di circostanze eccezionali. Gli stati che ratificano il fiscal compact
possono beneficiare del fondo salva-stati previsto dal trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità
(MES), un fondo di 780 miliardi di euro istituito nel febbraio 2012 a seguito di una modifica dell’art 136 tfue,
a favore degli sm dell’ue che si trovino in stato di grave crisi finanziaria.

4.Il documento di economia e finanza, la legge di bilancio. La disciplina della finanza pubblica introduce 2
strumenti principali di programmazione finanziaria e di bilancio: il def presentato dal governo alle camere
entro il 10 aprile di ogni anno; il disegno di legge del bilancio dello stato presento alle camere entro 20
ottobre. Il def si compone di 3 sezioni. La 1 sezione è costituita dallo schema del programma di stabilità che
contiene le info richieste dalla normativa dell’ue in attuazione del patto di stabilità e crescita. La 2 sezione
contiene l’analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazione pubbliche nell’anno
precedente. La 3 sez è costituita dallo schema del programma nazionale di riforma anch’esso contenente le
info richieste dallo normativa europea riguardanti lo stato di avanzamento delle riforme avviate. In allegato
al def sono indicati eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica. Il def individua
anche gli obiettivi programmatici che le regioni e gli enti locali devono tenere in considerazione quando
determinano gli obiettivi dei propri bilanci annuali e pluriennali.

Il disegno di legge del bilancio annuale di previsione, in base al quale si svolge la gestione finanziaria dello
stato, è stato redatto sia in termini di competenza sia in termini di cassa. Il disegno di legge di bilancio si
compone di 2 sezioni. La 1 sezione dispone annualmente il quadro di riferimento finanziario e provvede alla
regolazione annuale. La 2 sezione del disegno di legge di bilancio è data dallo stato di previsione
dell’entrata, dallo stato di previsione della spesa distinta per ministeri e dal quadro generale riassuntivo con
riferimento al triennio.

I principi generali in materia di bilancio in attuazione dell’art 81 cost sono l’integrità, l’universalità, l’unità
del bilancio, la pubblicità, la veridicità. L’integrità richiede che tutte le entrate e le spese siano iscritte nel
bilancio nella loro esatta entità. L’universalità e l’unità vietano alle amministrazioni di gestire fondi al di fuori
del bilancio. Le amministrazioni possono impegnare i fondi stanziati e ordinare le spese nei limiti delle
risorse assegnate in bilancio.

Nel caso in cui il bilancio non venga approvato entro l’anno, il parlamento può concedere l’esercizio
provvisorio per un periodo non superiore a 4 mesi.

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