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BIN - Pitruzzella (2017 ) - Capitolo 2

Diritto costituzionale (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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14 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

CAPITOLO II
FORME DI STATO
1. FORMA DI STATO
1.1 FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
Con l’espressione forma di Stato si intende il rapporto che corre tra le autorità di potestà
d’imperio e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira
la sua azione.
Invece con l’espressione forma di Governo si intendono i modi in cui il potere è distribuito
tra gli organi di uno Stato e l’insieme dei rapporti che intercorrono tra essi.
La nozione di “forma di Stato” si riferisce, dunque, al modo in cui si strutturano i rapporti
tra Stato e società. Così, per esempio, nello ‘Stato liberale’ era preminente la finalità di
garantire l’autonomia e la libertà dell’individuo. Lo Stato doveva, tendenzialmente,
astenersi dall’intervenire nella società e nell’economia; quando lo Stato ha assunto tra i suoi
compiti quello di realizzare l’eguaglianza dei punti di partenza tra i cittadini (Stato sociale),
ne è derivata l’estensione dei suoi interventi nella sfera economica e sociale.
La nozione di forma di Stato risponde alla domanda “quale è la finalità dello Stato e che
tipo di rapporto esiste tra l’apparato statale e la società?”.
Invece, la nozione di forma di Governo risponde alla domanda “chi governa all’interno
dell’apparato statale?”.
Nell’ambito delle forme di Stato si distinguono lo “Stato assoluto”, lo “Stato liberale”, lo
“Stato di democrazia pluralista”, lo “Stato totalitario”, lo “Stato socialista”. Nell’ambito di
ciascuna forma di Stato esistono vari tipi di forme di Governo (per esempio nell’ambito
dello Stato di democrazia pluralista avremo le seguenti forme di Governo: parlamentare,
neoparlamentare, presidenziale, direttoriale, semipresidenziale).
1.2 L’EVOLUZIONE DELLE FORME DI STATO
1.2.1 Lo Stato assoluto
Lo Stato assoluto è la prima forma dello Stato moderno.
Nacque in Europa tra il ‘400 ed il ‘500 e si è affermato nei 2 secoli
successivi. Si caratterizzava per l’esistenza di un potere sovrano
attribuito alla Corona (intesa come organo dello Stato, dotata quindi
dei requisiti dell’impersonalità e della continuità di successione che
impedivano la vacanza del trono), cosa diversa dal Re (inteso come
persona fisica).
Nello Stato assoluto il potere sovrano era concentrato nelle mani
della Corona, titolare della funzione legislativa ed esecutiva, mentre il potere giudiziario
era esercitato da Corti e Tribunali formati da giudici nominati dal Re.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 15

La volontà del Re era considerata la fonte primaria del diritto, il suo potere non
incontrava limiti né poteva essere condizionato dai desideri dei sudditi. Ciò perché il
potere regio era ritenuto di origine divina.
In Paesi come la Prussia e l’Austria si affermò invece il cosiddetto assolutismo illuminato,
secondo cui il sovrano aveva il compito di promuovere il benessere della popolazione. Al
riguardo si è parlato di Stato di polizia (dal greco politéia, da cui deriva anche politica) per
intendere uno Stato che ha tali finalità.
Pertanto lo Stato assoluto era uno Stato onnipresente, anche nella
sfera economica (per esempio in Francia durante il Regno di Luigi
XIV fiorì una forma di economia statale chiamata mercantilismo,
basata sull’idea che la grandezza del Re era direttamente proporzionale
alla prosperità dell’economia di uno Stato).
1.2.2 Lo Stato liberale
Lo Stato liberale è una forma di Stato che nasce tra la fine del ‘700 e la prima metà
dell’800, a seguito della crisi dello Stato assoluto1, dello sviluppo di produzione
capitalistico, dell’affermazione della borghesia.
I caratteri strutturali dello Stato liberale sono: la base sociale ristretta ad una sola classe
sociale; il principio di libertà; il principio rappresentativo; lo “Stato di diritto”.
Un altro fattore importante che ha contribuito all’organizzazione del potere politico dello
Stato liberale è stato l’avvento dell’economia di mercato, basata sul libero incontro tra
domanda ed offerta di un determinato bene, in cui gli interessi tra l’offerente e l’acquirente
sono divergenti perché l’uno vuole vendere al prezzo più alto e l’altro vuole acquistare al
prezzo più basso.
Storicamente l’economia di mercato si è accoppiata al modo di produzione capitalistico
basata sulla distinzione tra i soggetti proprietari dei mezzi di produzione ed i soggetti che
vendono ai primi la loro forza lavoro (i c.d. salariati).
Lo Stato assoluto ostacolava la nuova economia. L’economia di mercato e capitalistica
presupponeva la certezza del diritto di proprietà sia dei venditori che dei compratori, la
libertà contrattuale, l’eguaglianza formale dei contraenti le cui volontà incontrandosi
dovevano determinare le condizioni dello scambio economico, l’abolizione dei privilegi, dei
monopoli pubblici e di tutte le restrizioni alla libera circolazione delle merci.

1
Dovuto soprattutto a ragioni finanziarie che portarono ad un peso fiscale ritenuto insopportabile dalla classe
borghese. A tal proposito si pensi:
1) alla Rivoluzione francese del 1789 che portò all’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino;
2) al Parlamento inglese che negava che il Re potesse imporre nuovi tributi senza il suo consenso e riteneva illegittimi
gli arresti arbitrari e l’alloggio forzato delle truppe presso i privati;
3) ed infine, al caso americano che giunse alla Dichiarazione di indipendenza del 1776 in seguito al fatto che
l’Inghilterra si era rivolta alle Colonie americane, imponendo loro tasse senza il consenso delle assemblee locali, per
rimpinguare le casse. Gli americani risposero invocando il principio secondo cui era illegittima qualsiasi tassazione che
non fosse approvata dai loro rappresentanti eletti.

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16 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

Pertanto, le nuove modalità di produzione della ricchezza e l’esigenza di garanzia di libertà


contro le tentazioni assolutistiche condussero all’affermazione di una società civile distinta
e separata dallo Stato, capace di autoregolarsi e di sviluppare autonomamente i propri
interessi.
In questa prospettiva si spiega il collegamento tra 2 tendenze giuridiche tipiche dello Stato
liberale: le codificazioni costituzionali (per consacrare in un unico documento
costituzionale i principi sulla titolarità e sull’esercizio del potere politico) e le codificazioni
civili tese a racchiudere in un codice civile le regole generali (perché riferibili a tutti gli
individui resi eguali di fronte alla legge), astratte (perché applicabili più volte nel tempo) e
certe (perché raccolte in un corpo normativo unitario e perché, in quanto generali e astratte,
prevedibili nei loro effetti) per regolare i rapporti tra privati. In sintesi quindi:
 le codificazioni costituzionali, la tendenza degli Stati liberali a consacrare in un
unico documento costituzionale i principi sull’esercizio del potere politico
 le codificazioni civili, la tendenza a racchiudere in un codice civile le regole sui
rapporti tra privati, in modo da formare un corpo di regole dotato di generalità,
astrattezza e certezza. Il modello di questo nuovo modo di legiferare è il Codice
napoleonico del 1805.
In definitiva, lo “Stato liberale” è caratterizzato:
1. Dal fatto che lo Stato è considerato uno strumento per la tutela delle libertà e dei diritti
degli individui, innanzitutto del diritto di proprietà;
2. Dalla concezione dello Stato minimo. Se lo scopo dello Stato liberale è quello di
garantire i diritti, allora deve trattarsi di uno Stato titolare esclusivamente di funzioni
giurisdizionali, di tutela dell’ordine pubblico, di politica estera e di emissione di moneta.
Uno Stato quindi che si astiene dall’intervenire nella sfera economica, affidata alle relazioni
ed alle autoregolazioni tra privati.
3. Dal principio di libertà individuale. Lo Stato riconosce e tutela la libertà personale, la
proprietà privata, la libertà contrattuale, la libertà di pensiero e di stampa, la libertà
religiosa, la libertà di domicilio.
4. Dalla separazione dei poteri che consiste nella suddivisione del potere politico tra
soggetti istituzionali diversi che si controllano reciprocamente.
5. Dal principio di legalità secondo cui la tutela dei diritti è affidata alla legge. Più in
particolare diremo che la sua caratterizzazione come Stato di diritto significa che ogni
limitazione della sfera di libertà riconosciuta a ciascun individuo deve avvenire per mezzo
della legge. Inoltre tutta l’attività dei pubblici poteri deve essere prevista dalla legge. Questa
funzione garantistica si basa su 2 premesse:
 la legge deve avere i caratteri della generalità e dell’astrattezza, contrariamente
sarebbe un mero strumento di arbitrio;
 la legge deve essere formata dai rappresentanti della Nazione, a cui membri stessi
essa si applica. Lo Stato liberale, perciò, si basa sul principio rappresentativo.

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6. Dal principio rappresentativo. In forza di tale principio, le assemblee legislative dello


Stato liberale rappresentano l’intera “Nazione” o l’intero “popolo”, mentre invece nello
Stato assoluto venivano rappresentati solo gli appartenenti a determinati ceti sociali (nobiltà,
clero). I rappresentanti vengono comunque eletti da un corpo elettorale assai ristretto,
essenzialmente circoscritto alla classe borghese. In conclusione, lo Stato liberale, proprio
per questa sua peculiarità viene qualificato come Stato monoclasse.

“Stato Liberale e “Stato di Diritto”


 Stato liberale e Stato di diritto sono due espressioni che spesso si confondono, e non senza
ragione: essi infatti sono nati assieme, figli della stessa ideologia.
Ma quando si parla di “Stato liberale” si fa riferimento proprio alla ideologia “liberista” e
individualista, all’idea dello Stato minimo che si limita a garantire le condizioni di pace e
di sicurezza entro le quali si può liberamente svolgere l’iniziativa dei privati.
Lo “Stato di diritto”, invece, è concetto è più giuridico: essi si basa su alcuni pilastri
necessari (la separazione dei poteri, il principio di legalità, la tutela giurisdizionale dei
diritti, il principio di eguaglianza) i quali possono adattarsi anche ad uno Stato che non
aderisce alla ideologia liberale. Infatti anche i moderni Stati sociali si riconoscono come
Stati di diritto, pur avendo superato e rinnegato i tratti più marcatamente ideologici dello
Stato liberale e il suo ristretto modo di intendere il principio di rappresentanza.

1.2.3 Lo Stato di democrazia pluralista


Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di
trasformazione dello Stato liberale che porta all’allargamento della sua base sociale, per cui
lo Stato monoclasse si trasforma in uno Stato pluriclasse: esso si fonda sul riconoscimento
e la garanzia della pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei valori che possono
confrontarsi nella società ed esprimere la loro voce nei Parlamenti.
Perciò, sul piano storico l’elemento fondamentale dello Stato di democrazia pluralista è
l’allargamento dell’elettorato attivo che è culminato nel suffragio universale.
In particolare tre sono le cose che hanno determinato il modo di essere dello Stato di
democrazia pluralista:
1. l’affermazione dei partiti di massa, che organizzano la partecipazione politica degli
elettori;
2. la configurazione degli organi elettivi come luogo di confronto e di scontro di interessi
eterogenei;
3. il riconoscimento di diritti sociali come strumenti di integrazione nello Stato dei gruppi
sociali più svantaggiati.

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1.3 I PARTITI POLITICI DI MASSA


I partiti politici erano presenti anche nello Stato liberale, ma erano ristretti gruppi di
persone, legati da grande omogeneità economica e culturale. In regime di suffragio limitato,
tipico dell’età liberale, per essere eletti erano sufficienti i voti di poche centinaia di elettori,
che spesso conoscevano personalmente il candidato.
Con l’introduzione del suffragio universale sono nati e si sono affermati i moderni partiti
di massa, caratterizzati da una solida struttura organizzativa che ha consentito loro di essere
radicati nella società e di diventare strumenti di mobilitazione popolare.
Un altro fenomeno che ha contribuito all’affermazione dei partiti di massa è costituito dalle
caratteristiche del conflitto sociale nel ‘900. Infatti i gruppi sociali più deboli hanno trovato,
nell’aggregazione in strutture collettive (partiti e sindacati), il modo per migliorare le
condizioni di vita delle classi economicamente più deboli o addirittura per preparare
l’avvento di una società nuova basata sull’uguaglianza sostanziale tra tutti gli uomini e
tutte le donne.
Grazie a queste trasformazioni i Parlamenti sono diventati luogo in cui si realizza il
confronto tra partiti con identità e programmi contrapposti intrisi dell’ideologia politica
del partito. Tali trasformazioni sono divenute più evidenti dopo la Prima Guerra Mondiale e
si sono esplicate nel sistema politico bipartitico (es: Inghilterra) ed in quello pluripartitico.

1.4 CRISI DELLE DEMOCRAZIE DI MASSA E NASCITA DELLO STATO


TOTALITARIO
In altri Paesi, come la Germania e l’Italia, invece, l’affermazione dei nuovi partiti di
massa non si è accompagnata alla comune accettazione di una democrazia pluralista da
parte dei principali partiti politici.
La Germania, uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale, rimosse l’imperatore e diede
vita ad una Repubblica basata sulla Costituzione di Weimar del 199 (così chiamata dal
nome della città dove si svolsero i lavori costituenti), con la quale si tentava una profonda
democratizzazione delle strutture dello Stato.
Anche in Italia si è verificata una situazione, per molti versi, analoga. La frammentazione
politica della giovane democrazia di massa, la prevalenza di forze che non accettavano
pienamente i valori della democrazia pluralista e l’arroccamento delle forze economiche che
tenevano gli effetti del suffragio universale determinarono una forte instabilità, insieme al
deficit di legittimazione delle istituzioni costituzionali, innescando una crisi gravissima che
culminò nell’avvento dello Stato fascista.

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1.5 LE ALTERNATIVE ALLA DEMOCRAZIA PLURALISTA NEL XX SECOLO


Nei Paesi in cui l’avvento della democrazia di massa non era stato accompagnato
dall’accettazione del pluralismo da parte delle forze politiche, la crisi sfociò
nell’affermazione di forme di Stato basate sulla negazione del pluralismo e sul partito
unico.
In Italia e in Germania vi fu la soppressione del pluralismo pubblico e l’unificazione
politica della società attraverso lo Stato totalitario.
In particolare in Italia, lo Stato fascista, operante dal 1922 al 1945, si organizzò in
contrapposizione al modello liberale e di democrazia pluralista. Esso concentrava il potere
in un unico organo che assumeva sia la funzione legislativa che quella esecutiva. Lo Stato si
occupava di tutti gli aspetti della vita sociale ed individuale soprattutto grazie alla
soppressione delle tradizionali libertà.
Un’altra alternativa allo Stato pluralista è rappresentata dallo
Stato socialista. Il riferimento storico è costituito dall’URSS. Il
modello è esteso ad altri Paesi dell’Est-Europa prima di entrare in
crisi alla fine degli anni ‘80. Esso consisteva nella dittatura del
proletariato con la quale si sarebbe dovuto eliminare la borghesia.
Tale modello si basava sull’abolizione della proprietà privata e
sull’attribuzione allo Stato di tutti i mezzi di produzione.
Lo Stato socialista ha inoltre realizzato l’abolizione del mercato a favore di un’economia
collettivistica.
Alla fine degli anni ‘80 gli Stati socialisti sono entrati in una profonda crisi dovuta alla
crisi economica ed alla corruzione.

1.6 CONSOLIDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA PLURALISTA E


AFFERMAZIONE DELLO STATO SOCIALE
I princìpi dello Stato pluralista hanno trovato conferma al termine del Secondo Conflitto
Mondiale in tutte le aree di influenza politica e culturale delle potenze alleate diverse
dall’URSS (in particolare USA e UK). In alcuni casi, è stato ripreso un processo di
sviluppo costituzionale interrotto dalla parentesi dello Stato autoritario (Italia, con la
Cost. del 1948), in altri sono stati rivitalizzanti i principi liberali e democratici sacrificati
dalla guerra e dall’occupazione straniera (Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo,
Danimarca, Norvegia, Finlandia, Austria, Grecia).
In altri casi ancora c’è stata l’imposizione di un modello politico costituzionale da parte
delle potenze vincitrici ai Paesi vinti (Germania, Giappone). Solo Spagna e Portogallo
sono rimasti nell’area dello Stato autoritario fino agli anni ‘70, quando si sono dati agli
ordinamenti democratici.
La fase costituzionale vede garantite dal diritto, insieme alle tradizionali libertà (personale,
religiosa, di pensiero, di circolazione, ecc.), anche le diverse manifestazioni del pluralismo

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politico, sociale, religioso (art.8), culturale (art.33), ed in particolare riconosce il ruolo


costituzionale dei partiti politici.
Inoltre si assiste al riconoscimento costituzionale dei diritti sociali, volti alla tutela della
salute, all’istruzione, al lavoro, alla previdenza ed all’assistenza in caso di bisogno, che
comportano la pretesa a prestazioni positive dei poteri pubblici da parte dei cittadini più
svantaggiati. Affinché questi diritti vengano tutelati, gli Stati devono intervenire nella
società e nell’economia con il fine di ridurre le disuguaglianze materiali tra i cittadini
derivanti dall’ineguale distribuzione del reddito e delle opportunità di vita.
Tutto ciò per evitare le lotte di classe, tramite cui in passato si era cercato di perseguire tali
finalità. Per questo si cominciò a parlare di Stato sociale o di Stato di benessere o di
Welfare State diverso dallo Stato liberale. Quest’ultimo era basato sul principio secondo cui
allo Stato era affidato il compito di garantire la libertà dei soggetti privati su cui si
fondavano i meccanismi di mercato (in primo luogo la proprietà e l’iniziativa economica
privata).
Viceversa lo Stato sociale ricomprende, tra i compiti del potere politico, quello di
intervenire nella distribuzione dei benefici. In questo modo lo Stato supera
l’individualismo liberale e sviluppa forme di solidarietà tra individui e tra diversi gruppi
sociali, per mezzo soprattutto dell’intervento pubblico nell’economia e nella società, dando
luogo ad un sistema ad economia mista2.

La Repubblica Italiana come “Stato Sociale”


 Proprio la Costituzione italiana è un chiaro esempio di Stato sociale. Infatti essa riconosce,
da una parte, e garantisce la proprietà privata e la successione legittima e testamentaria
(art.42), la libertà di iniziativa economica privata (art.41), il risparmio privato (art.47)
insieme all’eguaglianza formale di tutti i cittadini di fronte alla legge (art.3.1); dall’altro
lato, prevede doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art.2) ed è compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
(art.3.2).
La Costituzione inoltre riconosce a tutti il diritto al lavoro e affida alla Repubblica il
compito di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto (art.4).

2
Nel modello di sistema a economia mista lo Stato assume un nuovo ruolo: non si limita più a produrre i servizi
pubblici essenziali e a garantire l'osservanza delle leggi, ma:
‐ interviene anche a sostegno della produzione;
‐ realizza interventi per garantire la piena occupazione dei lavoratori;
‐ garantisce migliori condizioni di vita alle classi più deboli;
‐ cerca di armonizzare lo sviluppo fra le zone più ricche e quelle più arretrate del Paese.

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1.7 OMOGENEITÀ E DIFFERENZE TRA GLI STATI DI DEMOCRAZIA


PLURALISTA
Nella seconda metà del’900 in diverse aree, tra cui l’Europa occidentale, gli Stati Uniti, la
Gran Bretagna, il Canada, il Giappone, Israele, ecc. si formano ordinamenti costituzionali
che si ispirano ai principi della democrazia pluralista, dando luogo alle c.d. democrazie
occidentali.
Tuttavia tra i Paesi che s’ispirano al modello di democrazia pluralista, permangono alcune
differenze:
1. Una delle principali differenze è attinente al ruolo e ai caratteri dei partiti politici.
Infatti, mentre in Europa l’esperienza politica e costituzionale è rimasta contrassegnata
dal ruolo dei partiti di massa, negli Stati Uniti si è sviluppato un modello diverso. Invero,
per tutto il 19° sec., anche l’esperienza costituzionale americana è caratterizzata dalla
presenza dei moderni partiti, dotati di una solida struttura organizzativa. Ma, in seguito al
fallimento di questo tipo di organizzazione politica, i partiti americani si sono trasformati
fondamentalmente in “macchine elettorali” al servizio di un candidato, privi di una
precisa identità ideologica e di significative differenze programmatiche. La loro attività si
concentra alle elezioni, al termine delle quali perdono gran parte della loro funzione;
inoltre, non sono in grado di controllare l’attività dei loro eletti, perciò spesso si formano
maggioranze fluide negli organi legislativi. Ciò ha determinato, soprattutto a partire dalla
presidenza Roosevelt, un rafforzamento del ruolo del Presidente, che ha acquisito canali
autonomi di legittimazione e di gestione dell’apparato pubblico. La debolezza dei partiti
americani, però, non equivale a una debolezza del pluralismo statunitense; anzi
nell’esperienza americana, esso trova, forse, la sua massima espressione. Infatti il
pluralismo americano è formato da una pluralità di gruppi di promozione d’ interesse, le
c.d. lobby3, la cui attività si svolge in completa trasparenza.
2. Un’altra importante differenza riguarda il livello di condivisione dei valori fondanti la
democrazia pluralista. In alcuni Paesi, come USA e Gran Bretagna, c’è stata
un’evoluzione storica che ha portato a un’ampia condivisione di tali valori da parte dei
diversi soggetti del pluralismo sociale e politico. In altri, invece, come Olanda, Belgio e
Italia, la società è rimasta separata per ragioni etniche, religiose, ideologiche o
linguistiche. Nel primo caso il conflitto politico attiene principalmente le diverse modalità
di ripartizione del reddito nazionale. Mentre nel secondo caso, quando prevalgono le
differenze ideologiche, il conflitto politico è tra diversi modelli di società e di regime
politico. Esistono, perciò, le condizioni per un’esplosione violenta del conflitto: per evitare
tale esito le istituzioni devono agire in modo tale da attenuare le differenze e favorire la
coesione sociale.
3. Una terza differenza concerna le modalità di intervento dello Stato nell’economia e
nella società. Questo intervento in alcuni Paesi, come Usa e Svizzera, è rimasto a livelli

3
Termine usato negli Stati Uniti d’America, e poi diffuso anche altrove, per definire quei gruppi di persone che, senza
appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha
facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro
clienti, riguardo a determinati problemi o interessi: le lobby degli ordini professionali, del petrolio.

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22 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

moderati mantenendo una “dominanza privatistica” nei rapporti economici; mentre, altri
Paesi (soprattutto dell’Europa occidentale e in particolare l’Italia) hanno avuto una
“dominanza pubblicistica “per il prevalere di finalità sociali. Comunque sia, a partire
dagli anni ’90 del 20° sec., tali differenze si sono attenuate, stante l’affermazione di
un’economia di mercato concorrenziale e la privatizzazione delle imprese pubbliche.
In seguito al crollo dei regimi sovietici vi è stata una seconda ondata di
“democratizzazione” che ha riguardato, in particolare, l’Europa dell’Est ma anche vaste
zone dell’Asia e dell’Africa.

Democrazia ovunque?
 Tuttavia affermare di una generale affermazione della democrazia pluralista sarebbe errato,
e ciò per diverse ragioni:
• In primo luogo lo Stato socialista mantiene la sua continuità in diversi Paesi (tra cui la
Cina, Corea del Nord, Cuba ed altre nazioni del Sud-est asiatico).
• In secondo luogo in molti Stati ex-socialisti c’è una forte incongruenza tra le
dichiarazioni costituzionali, che si rifanno a principi liberali e democratici, e residui del
precedente regime. Ciò si spiega con la loro inesperienza di regimi pluralisti e democratici
e una lunga tradizione autoritaria.
• Inoltre in molti Paesi vige un regime politico che non può essere ricondotto in nessuno dei
modelli studiati; regimi che si caratterizzano per un forte carattere autoritario e per la
negazione del pluralismo. Pertanto si assiste da una parte ad una generale diffusione
dell’economia di mercato, mentre dall’altra i principi della democrazia pluralista trovano
applicazione in un numero limitato di Stati.
• Infine anche nei Paesi in cui sono sorti, tali principi stanno affrontando le sfide poste
dalle trasformazioni economiche e sociali del 21 ° sec.

1.8 LO STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA TRA SOCIETÀ POST-


CLASSICA E GLOBALIZZAZIONE
Lo Stato di democrazia pluralista ha subito importanti trasformazioni come risposta alle
sfide che ha dovuto affrontare, soprattutto a partire dagli anni ’80, come: l’avvento di una
società post-classista, la globalizzazione, la crisi fiscale dello Stato, l’integrazione
europea.
Alle sue origini, la democrazia pluralista si fonda su una società formata da classi sociali
ben distinte tra loro; e, infatti, si struttura in modo tale da assicurarne la coesistenza
pacifica.
In questo contesto si sono potuti affermare i partiti di massa: ciascuno di essi si è posto
come riferimento politico di determinate classi sociale, rappresentandone e tutelandone gli
interessi particolari, e, attraverso l’ideologia, dando un’identità collettiva a coloro che
aderiscono a tale organizzazione politica.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 23

Tuttavia negli ultimi decenni del XX sec. la complessità sociale è aumentata notevolmente,
a causa soprattutto dello sviluppo tecnologico, del mutamento dei metodi di produzione e
del tramonto delle grandi fabbriche. L’appartenenza di classe, quindi, non assume più un
valore assorbente come in passato, si è così determinata una moltiplicazione degli interessi
presenti nella società (molti dei quali divergenti tra loro). Ciò, insieme alla crisi delle
ideologie, causata dal crollo degli Stati socialisti, ha aumentato la difficoltà dei partiti a
tenere unite milioni di persone entro un’identità collettiva e ha diminuito la loro capacità
di compiere una sintesi politica tra i diversi interessi sociali.
Perciò le richieste particolaristiche si sono riversate in modo disordinato sulle istituzioni e
lo Stato, più che a ridistribuire la ricchezza nazionale, si è limitato a distribuire le risorse ai
vari gruppi, cedendo alla loro pressione.
Questo, naturalmente, ha provocato un notevole incremento di costi per la pubblica
amministrazione. Infatti a partire dagli anni ’70 si è parlato di crisi fiscale dello Stato, per
indicare appunto la tendenza di aumento della spesa pubblica, per coprire la quale la
pressione fiscale ha raggiunto livelli molto alti. Ne è scaturita una prima spinta al riordino
dello Stato sociale, per ridurne i costi, a cui ben presto si è affiancata una 2° spinta in tal
senso dovuta dagli effetti della globalizzazione.
Globalizzazione, ricordiamo, che comporta un’estrema facilità di spostamento per i
capitali e le imprese, alla ricerca delle condizioni più remunerative.
Perciò per non far perdere competitività al sistema economico, si rende necessario:
1. che la pressione fiscale non raggiunga determinati livelli, al fine di evitare la fuga dei
capitali e delle imprese;
2. lo Stato dovrebbe, poi, cercare di avere una finanza pubblica sana, evitando disavanzi
di bilancio, poiché eccessi di liquidità generano una crescita dell’inflazione, mentre un
aumento dell’indebitamento toglie risorse al settore privato.
3. infine le imprese, necessitano di una maggiore flessibilità, ossia meno vincoli legali sul
terreno della disciplina del rapporto di lavoro e dei costi sociali dei lavoratori.
Tutte queste spinte hanno come esito comune una riduzione della spesa pubblica.
Con l’avvio dell’Unione Europea, poi, gli Stati aderenti, tra cui l’Italia, hanno accettato
vincoli predefiniti al rapporto tra debito pubblico/PIL e il disavanzo e il PIL. Ciò comporta
una riduzione della spesa pubblica. Infatti il rapporto tra entrate e uscite non può
superare una certa quota del PIL, mentre la spesa può essere coperta con l’indebitamento
solamente in percentuale ridotta.
Invero lo Stato potrebbe alimentare la spesa con l’aumento dei tributi, ma ciò, si è visto,
intaccherebbe la competitività del sistema produttivo nazionale. Perciò è costretto a
ridurre la spesa pubblica e quindi a ridurre le prestazioni oggetto dei diritti sociali, poiché
richiedono la presenza di complesse e costose organizzazioni pubbliche. Si scopre, così, che
i diritti sociali sono “diritti finanziariamente condizionati” e la Corte Costituzionale
italiana afferma che la loro attuazione da parte del legislatore è il frutto di un

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24 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

bilanciamento tra l’interesse tutelato ed altri interessi costituzionali, tra cui l’equilibrio di
bilancio.
Il maggior rigore finanziaria ha condotto, quindi, a una razionalizzazione e riordino dello
Stato sociale. Si assiste pertanto, ad un suo adeguamento alle esigenze della competitività
internazionale, garantendo però almeno pari opportunità ai cittadini, trasformandolo in Stato
sociale competitivo.
In tal senso le possibili strade da seguire sono diverse:
• in primo luogo si tende a superare il carattere universalistico di alcuni servizi; ad
esempio servizi come la sanità non vengono erogati gratuitamente a tutti i cittadini, ma
solo ai soggetti meno abbienti, mentre gli altri devono concorrere alla spesa in relazione al
loro reddito (c.d. ticket)
• in secondo luogo, si fa leva sul principio di responsabilità individuale, per cui il singolo
s’impegna a mettere da parte con il risparmio, risorse per affrontare i rischi della vita,
mentre lo Stato incentiva tali comportamenti. Per esempio, accanto al regime
pensionistico, si creano fondi pensioni gestiti da strutture finanziarie private.
• In terzo luogo, c’è il ricorso al principio di sussidiarietà, che si sviluppa lungo due
direttrici:
a) la prima consiste nel trasferire la gestione di certi servizi agli enti locali: i quali
essendo più vicini ai cittadini sono in grado di controllare la qualità dei servizi e i relativi
costi (sussidiarietà verticale4);
b) la seconda consiste (c.d. sussidiarietà orizzontale5), ovvero nell’attribuire certi
compiti tradizionalmente dello Stato sociale (come l’assistenza agli anziani) ad alcune
formazioni sociali che non hanno fine di lucro e che formano il c.d. terzo settore6.
• Infine, c’è il tentativo di attrarre taluni compiti dello Stato sociale ad un livello
sovrannazionale. Ciò perché la politica sociale degli Stati è limitata da diversi fattori che
derivano dalla globalizzazione, perciò si vorrebbe trasferire una quota delle politiche
sociale verso unità politiche più grandi in grado di compensare per mezzo di politiche
economiche adeguato gli effetti indesiderati della globalizzazione. In tale prospettiva può
4
La sussidiarietà verticale si esplica nell’ambito di distribuzione di competenze amministrative tra diversi livelli di
governo territoriali (livello sovranazionale: Unione Europea‐Stati membri; livello nazionale: Stato nazionale‐regioni;
livello subnazionale: Stato‐regioni‐autonomie locali) ed esprime la modalità d’intervento – sussidiario – degli enti
territoriali superiori rispetto a quelli minori, ossia gli organismi superiori intervengono solo se l’esercizio delle funzioni
da parte dell’organismo inferiore sia inadeguato per il raggiungimento degli obiettivi.
5
La sussidiarietà orizzontale si svolge nell’ambito del rapporto tra autorità e libertà e si basa sul presupposto secondo
cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia
come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione ‘sussidiaria’, di programmazione, di
coordinamento ed eventualmente di gestione.
6
All'art. 1 comma 1 della Legge 106 del 6 giugno 2016 ("Delega al Governo per la riforma del Terzo settore,
dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale"), si legge: "Per Terzo settore si intende il
complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di
utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi,
promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o
di produzione e scambio di beni e servizi". Il decreto legislativo n. 117/2017 ha fissato le regole comuni per gli enti del
terzo settore.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 25

collocarsi il Trattato Ue, che inserisce tra gli scopi dell’UE l’economia sociale di mercato e
la promozione della “coesione economica e sociale” (art. 2).

1.9 I CARATTERI DELLO STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA


1.Principio di tolleranza: lo Stato di democrazia pluralista si fonda sul suffragio
universale, sulla libertà di voto e pluripartitismo. Essi rendono possibile la presenza di una
pluralità d’interessi, idee e valori, ciascuno dei quali ha garantita la propria esistenza e la
possibilità di libero sviluppo. Infatti, le costituzioni degli Stati di democrazia pluralista
contengono le più ampie garanzie al pluralismo in tutti i suoi aspetti. L’insieme di queste
garanzie presuppone l’accoglimento del principio di tolleranza, in base al quale il dissenso
non deve essere represso, ma, anzi, va garantito (purché rispetti i principi democratici).
2.Principio di pluralismo: è costituzionalmente garantito non solo il pluralismo di idee e
valori, ma anche il pluralismo di formazioni sociali e di formazioni politiche. Le prime
operano nella realizzazione degli interessi comuni ai loro componenti, le seconde hanno
come finalità il controllo del potere politico dello Stato al fine di imporre ad esso un
determinato indirizzo politico riguardante l’intera società. Realizzando in questo modo una
profonda differenza con lo Stato liberale, le cui costituzioni garantivano le libertà
individuali e non prevedevano alcun diaframma tra lo Stato e il cittadino.
Attraverso il pluralismo dei centri di potere già presenti nella società si raggiungono due
obiettivi: in primo luogo si limita il potere dello Stato che è costretto a confrontarsi con
essi; in secondo luogo attraverso le formazioni sociali e politiche si realizza la
partecipazione dei cittadini all’attività dello Stato, in modo che quest’ultimo emani
provvedimenti che soddisfino le loro esigenze.
Tuttavia, ciò fa nascere il problema di come organizzare il pluralismo per evitare che
molteplici interessi eterogenei, scaricandosi in modo disordinato sul Parlamento, ne
provochi la paralisi. Una risposta a tale problema è stata rappresentata, in un primo
momento, nella capacità di sintesi dei partiti; poi, in seguito alla crisi dei partiti, si è
progressivamente fatto affidamento su accorgimenti istituzionali che facilitino la
selezione degli interessi, tra cui, in particolare, il rafforzamento del ruolo del Governo.
3.Riconoscimento dell’esistenza di un politeismo di valori: l’affermazione del pluralismo
conduce all’idea secondo cui non esiste un interesse generale che abbia una sua
consistenza oggettiva, piuttosto trovano garanzia di esistenza valori diversi (al riguardo si
è parlato di “politeismo di valori”) e, infatti, le stesse Costituzioni, essendo frutto di
compromessi politici, riconoscono principi tra loro in conflitto. Per esempio la nostra
costituzione riconosce tanto l’uguaglianza formale, che vieta di trattare i cittadini
diversamente a cause delle differenze di reddito, quanto la necessità di intervenire in
sostegno dei meno abbienti per realizzare un più alto livello di uguaglianza formale.
Tali principi, quando si elaborano i contenuti di una legge, richiedono forme di
contemperamento in ordine alle quali si parla di bilanciamento.

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26 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

4.Formazione d’una “sfera pubblica” che favorisce il confronto: Assicurando ampie


garanzie costituzionali alla libertà di manifestazione del pensiero e al pluralismo dei mezzi
di comunicazione si è formata quella che viene chiamata “sfera pubblica”. In essa agiscono
e si esprimono i singoli parlamentari, giornalisti, intellettuali, e si attivano movimenti di
opinione di vario genere, che spesso conducono a prospettare riforme sulla società.
Questa sfera è distinta e autonoma rispetto al circuito corpo elettorale - Parlamento, ma è
comunque politicamente influente, perché è qui che si formano le idee che poi alimentano
sia le proposte dei partiti sia la vita del Parlamento.
Pertanto ora i programmi e gli indirizzi di riforma si formano prevalentemente all’esterno
dei Parlamenti, a differenza dello Stato liberale in cui ciò avveniva all’interno dell’organo
legislativo. Inoltre, recentemente la sfera pubblica tende a rendersi ancor più autonoma dai
partiti e rivolgere le proprie domande direttamente agli organi costituzionali. Al fine di
evitare che tali pressioni si rigettino su di essi in modo disordinato impedendogli di
realizzare indirizzi politici coerenti si è sviluppata una tendenza al rafforzamento del ruolo
del Governo, con conseguente crescita dei suoi poteri e dei meccanismi diretti a
rafforzarne la legittimazione politica e la stabilità (soprattutto attraverso la scelta
popolare del capo di Governo). Quindi, nonostante i documenti costituzionali configurino
il Parlamento come luogo delle grandi scelte, in realtà oggi le questioni politicamente più
rilevanti tendono a essere spostate in sedi diverse, come L’Unione Europeo o il Governo.
Mentre il Parlamento resta aperto agli interessi delle singole clientele e di categorie.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 27

2 RAPPRESENTANZA POLITICA
2.1. Definizioni
Nella nozione di rappresentanza politica confluiscono due significati:

- “Agire per conto di” e perciò si esprime un rapporto tra rappresentante e


rappresentato, secondo cui quest’ultimo sulla base di un atto di volontà chiamato
mandato, dà al primo (al rappresentante) il potere di agire nel suo interesse. Per
indicare tale specie di rappresentanza si usa l’espressione “rappresentanza di
interessi”.

RappresentanteAgisce nell’interesse del Rappresentato rapporto basato su un


mandato imperativo

- D’altra parte “rappresentanza” significa che qualcuno fa vivere in un determinato


ambito qualcosa che effettivamente non c’è; dunque queste seconda accezione non
presuppone l’esistenza di un rapporto tra il rappresentato e il rappresentante, il
quale invece dispone di una situazione di potere autonoma rispetto al primo.

RappresentanteE’ autonomo rispetto al Rappresentato, senza alcun rapporto giuridico.

A differenza della Rappresentanza nello Stato Assoluto, in cui il rappresentante era


espressione della comunità (quindi dei corpi) e quindi si instaurava uno specifico rapporto
tra rappresentati e rappresentante (che prospettavano gli interessi della comunità dinnanzi al
Re) la rappresentanza nello Stato liberale doveva soddisfare nuove esigenze, poiché
vennero eliminati i “corpi intermedi”. Il rappresentante divenne il mezzo attraverso cui si
formava un’istituzione che doveva agire nell’interesse generale. Queste esigenze
trovarono riscontro nella formulazione della rappresentanza politica della Costituzione
francese del 1791, che tolse sovranità al Re attribuendola alla nazione. L’elezione, come
modo democratico di selezione dei rappresentanti, conferisce a questi la qualità di
rappresentanti. Il sistema rappresentativo si configura in coloro che vengono eletti: essi non
rappresentano i loro elettori, ma un’entità astratta, la nazione, o se si vuole, l’intera
collettività popolare. Inoltre non esiste nessun rapporto giuridico fra “rappresentanti” e
“rappresentati” (art.67 Cost. I primi esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato) e
non esiste la possibilità degli elettori di revocare gli eletti.
Sussistono tre importanti implicazioni:
 Se i Parlamentari(rappresentanti)dovevano agire per conto della nazione,
quest’ultima doveva assicurarsi che le modalità di elezione fossero in grado di
scegliere i soggetti più idonei per curare l’interesse generale. L’elettorato attivo
(diritti di eleggere i propri rappresentanti) era configurato come una funzione
pubblica e non come diritto soggettivo; dunque vi era un suffragio limitato facendo
permanere lo “Stato monoclasse”.
 Se i Parlamentari dovevano rappresentare l’intera Nazione, essi non dovevano curare
gli interessi particolari bensì l’interesse nazionale.

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28 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

 Se il parlamentare doveva curare l’interesse dell’intera nazione, faceva ciò senza


vincolo di mandato. Perciò venne sancito il divieto di mandato imperativo 7

A questo punto è utile chiarire il significato di responsabilità politica. La responsabilità


politica è un concetto giuridico e politico in base al quale si determina se un soggetto
operante nello stato ed investito di una carica politica debba o meno rispondere (ed
eventualmente a chi) delle scelte politiche compiute.
Il soggetto dovrà rispondere ad un altro soggetto (che ha il potere di valutare come il
primo ha agito), poiché è politicamente responsabile, in quanto titolare di potere politico e
nel caso di giudizio negativo, andrà incontro ad una sanzione rappresentata dalla perdita
del potere politico.
La responsabilità politica assume un ruolo centrale nel funzionamento dello Stato
liberale e, soprattutto di quello democratico- pluralista. Nello stato liberale essa era
essenzialmente circoscritta all’interno dell’organizzazione statale; nello Stato di democrazia
pluralista si tende ad avere come termine di riferimento il corpo elettorale, chiamato a
giudicare soggetti politici divenuti politicamente responsabili nei loro confronti, i quali
possono essere il capo del potere esecutivo (presidente o primo ministro), i parlamentari, i
partiti politici.

2.2 La rappresentanza politica nello Stato di democrazia pluralista


Per la presenza di una composizione sociale differenziata che può esprimersi integralmente
nel sistema politico mediante il suffragio universale, ecco che nello Stato di democrazia
pluralista da una parte numerosi ed eterogenei gruppi sociali, con le associazioni che li
rappresentano, premono sullo Stato per ottenere una soddisfazione immediata dei loro
bisogni mediante la proiezione dei molteplici interessi nelle aule parlamentari con il
rischio di bloccare queste ultime nella propria attività a causa della conflittualità di
interessi contrapposti, mentre dall’altra parte, proprio per l’eterogeneità della base sociale
dello Stato, viene indebolita la legittimazione di tipo legale-razionale e la legittimità dello
Stato che può rappresentare la volontà prevaricatrice di una parte su un’altra.

Il problema di fondo è quello che viene definito Governabilità (o governance in inglese),


ovvero la capacità del sistema di decidere rimanendo legittimato dalla sovranità popolare.

7
Principio affermato dalla costituzione francese, poi recepito da tutte le Cost. liberali ed infine trapassato anche nelle
Costituzioni dello Stato di democrazia pluralistica. Il divieto di mandato imperativo era sancito anche dallo Statuto
albertino, che all'art. 41 recitava "I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui
furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori", ed è stato confermato dall'art. 67 della
Costituzione italiana: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo
di mandato".

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 29

Il problema è affrontata dalla combinazione dei due aspetti fondamentali della


rappresentanza politica in rapporti tra loro variabili secondo la soluzione adottata dai singoli
stati:
1) la rappresentanza come rapporto con gli elettori;
2) la rappresentanza come situazione di potere autonomo.

Alcuni tipi rappresentativi delle soluzioni possibili sono:


a) Lo Stato dei partiti. Da una parte partiti sociali di integrazione assicurano il
collegamento stabile con gli elettori, dall’altro i partiti intesi come strutture in grado di
trascendere le volontà individuali sintetizzando politicamente le rivendicazioni della base in
maniera organica e coerente al contesto. In questo sistema i soggetti della rappresentanza
politica non sono più i parlamentari ma i partiti, tramite la re-introduzione del mandato
imperativo, di origine partitica.
Le sintesi politiche operate dai partiti devono essere rispettate all’ interno delle aule
parlamentari e ciò può essere assicurato solamente da una rigida disciplina, per cui i
parlamentari, di regola, votano seguendo le indicazioni dei partiti. Nel Regno Unito
esistono addirittura alcuni parlamentari che hanno il compito di controllare che gli altri
membri del medesimo partito che siedono in Parlamento ubbidiscano alle direttive del
partito; l’intensità con cui adempiono questo compito è tale che si sono guadagnati
l’appellativo di “fruste” (whips8).
Che cosa resta del mandato imperativo, in Italia?

 L’art. 67 Cost. recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita
le sue funzioni senza vincolo di mandato”. È una disposizione che recepisce il principio
del vincolo di mandato imperativo tipico della tradizione costituzionale liberale.
L’ art. 67 Cost. deve essere interpretato sistematicamente insieme con gli artt. 49, 1 e 94
Cost. Il primo riconosce che i cittadini riuniti nei partiti concorrono a determinare la
politica nazionale, dando così un fondamento costituzionale al ruolo dei partiti. Il
collegamento tra l’art.1 ed il 49 permette di qualificare i partititi come i principali
strumenti di esercizio della sovranità popolare. L’art. 94 impone che la votazione della
mozione di fiducia e quella di sfiducia avvenga per appello nominale, un modo di
votazione che facilita il controllo dei partiti sui comportamenti dei propri parlamentari. Da
tale quadro complessivo la costituzione italiana prevede come riconosciuto dalla Corte
Costituzionale “il divieto del mandato imperativo [il quale determina che] il parlamentare è
libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito, ma è anche libero di sottrarsene;

8
In politica il termine inglese whip designa il membro di un gruppo parlamentare incaricato di tenere i collegamenti
tra il leader del partito e il gruppo stesso, assicurando, in particolare, che i suoi componenti siano presenti quando ci
sono le votazioni alla camera e votino secondo le direttive del partito (cosiddetta disciplina di partito).
In inglese whip significa 'frusta': l'uso nel linguaggio politico deriva dalla tradizione della caccia alla volpe, dove un
assistente del cacciatore ha il compito di tenere insieme la muta dei cani usando il frustino. Apparso per la prima volta
nel Regno Unito, il termine è attualmente usato, oltre che nel parlamento britannico, in quelli dei paesi che lo hanno
preso a modello, quali il Canada, gli Stati Uniti d'America, la Malesia, l'Irlanda, l'Australia e la Nuova Zelanda.

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30 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del
parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”. Pertanto la
disciplina di partito non contrasta con la disciplina costituzionale; tuttavia l’art. 67 è una
norma di garanzia che assicura al parlamentare la possibilità di sottrarsi alla disciplina
descritta.

Un altro aspetto da considerare è quello della rappresentatività dei partiti, ovvero: in una
società con una precisa divisione tra poche categorie sociali (capitale/lavoro –
borghesia/proletariato) è facile che ciascun individuo si rispecchi nel partito di riferimento
della classe sociale cui appartiene. Con un legame di identificazione così forte nella
piramide della burocrazia del partito diventa anche realistico pensare che il parlamento,
ovvero l’insieme di tutti i partiti rappresentativi, sia lo specchio dell’intera società.
Con l’andare del tempo, però, le società contemporanee sono divenute sempre più
complesse ed è divenuta impossibile la loro distinzione in pochi e facilmente identificabili
settori, mentre, anche per effetto delle crisi delle tradizionali ideologie del Novecento, nella
maggior parte dei casi è cessato il legame di stabile appartenenza che legava gli individui
ai partiti.
I partiti non riescono più ad assicurare la completa rappresentanza della società, e,
soprattutto, non sempre riescono a comporre i diversi interessi sociali in una sintesi
politica. Hanno perduto il monopolio della rappresentanza. Fino ai casi estremi in cui essi
diventano come delle “scatole vuote”, dove gli interessi sociali più disparati riescono a
trovare posto, ciascuno premendo per avere risposte particolaristiche alle proprie esigenze.

“Partiti ridotti a scatole vuote”, articolo di Francesca Schianchi (La Stampa 15/03/17)

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 31

“Quando la discriminazione aumenta consensi per un partito”, articolo di Luciano Violante (C. Sera 10/11/17)

Nello Stato di democrazia pluralista moderno la tendenza pluralistica esasperata sta


allontanando il sistema politico da questo modello causandone una crisi profonda, la cui
soluzione può essere trovata solamente in un equilibrio tra sovranità e governabilità
diverso;

b) il rafforzamento del Governo e l’investitura popolare diretta del suo capo. I fenomeni
richiamati spingono alcuni sistemi costituzionali a realizzare un equilibrio tra le due
componenti della rappresentanza politica democratica, che fa leva sul rafforzamento del
potere esecutivo e sull’investitura popolare diretta del suo capo, di cui l’esempio più
importante è offerto dal presidenzialismo degli Stati Uniti (cioè da un Paese con partiti
“deboli” che funzionano essenzialmente come “macchine elettorali”). In questa maniera
l’esecutivo è posto al riparo da pressioni particolari ed è legittimato a governare
nell’interesse generale. Il parlamento quindi diventa cinghia di trasmissione delle istanze
dal basso verso l’alto e delle scelte dall’alto verso il basso;

c) gli assetti neocorporativi. Un’altra modalità per adeguare la rappresentatività alla


complessità sociale consiste nella creazione di assetti neo-corporativi. Già durante la crisi
dello Stato liberale erano state sviluppato teorie corporativistiche (ex. Stato fascista), ma
nello Stato di democrazia pluralista questo termine assume un significato diverso. La
differenza di base sta nel fatto che le associazioni di riferimento per le categorie sociali
non sono “create” dallo Stato ma si sviluppano autonomamente e vengono chiamate per
la loro “spontanea” rappresentatività dal governo con lo scopo di mediare le scelte
economiche;

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32 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

d) la rappresentanza territoriale che si ottiene mediante la creazione di una seconda


camera a base territoriale, in cui cioè sono direttamente rappresentati gli interessi degli
Stati membri o delle Regioni;

e) la sottrazione della decisione al circuito rappresentativo, cioè l’esclusione della


regolamentazione e del controllo di determinati settori dai poteri del sistema di
rappresentanza politica e quindi l’attribuzione degli stessi ad autorità amministrative
indipendenti, slegate dal circuito democratico;

f) il passaggio ad una democrazia priva di mediazioni e di corpi intermedi, in cui la


volontà del cittadino si manifesta direttamente grazie alle nuove tecnologie informatiche
e all’affermazione di Internet.
Chi sono i populisti?

 In questa ampia ed eterogena categoria, che ha poco da spartire con la sua origine storica
che risale alle vicende russe dell’800, sono ricompresi molti nuovi partiti che si sono
affermati in Europa dopo la crisi economica del 2008-20119, quali:
 Front National, guidato da Marine Le Pen (in Francia);
 Podemos, guidato da Pablo Iglesias (In Spagna);
 Movimento 5 Stelle, guidato da Beppe Grillo (In Italia);
 Syriza, guidato da Alexīs Tsipras (In Grecia).
Tutti questi partiti sono accumunati dalla critica nei confronti delle élites che hanno
governato i rispettivi paesi, dal rifiuto della collaborazione con i partiti “tradizionali”, che
vengono radicalmente delegittimati, dall’opposizione all’integrazione europea e alla
globalizzazione, sostenute invece dalle élites che hanno guidato nel passato i rispettivi
Paesi, dalla consequenziale richiesta di recupero della sovranità statale.
Il fenomeno non riguarda solamente l’Europa ma si estende agli Stati Uniti, il cui
presidente eletto nel 2016, Donald Trump, ha basato la sua campagna elettorale proprio
sull’opposizione alle élites e alla globalizzazione all’insegna degli interessi americani
(America first!).

9
La crisi economica del 2008‐2011, originata negli Stati Uniti, ha avuto luogo dai primi mesi del 2008 in tutto il mondo.
Tra i principali fattori della crisi figurano gli alti prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondiale, un'elevata
inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo, così come una crisi creditizia ed una conseguente
crisi di fiducia dei mercati borsistici.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 33

2.3 Democrazia diretta e democrazia rappresentativa


Tra le modalità usate per fronteggiare le crisi dei sistemi rappresentativi, particolare
importanza assume il ricorso agli istituti di democrazia diretta. Si affida quindi,
direttamente al popolo, l’esercizio di determinate funzioni con l’obiettivo di assicurare la
partecipazione popolare alle decisioni che riguardano l’intera collettività e di colmare la
distanza fra il popolo l’apparato statale. Gli istituti di democrazia diretta si riducono
soprattutto ai seguenti:
1) l’iniziativa legislativa popolare, a cui la Costituzione attribuisce il potere di esercitare
l’iniziativa legislativa ad un certo numero di cittadini (art.71 Cost.);
2) la petizione, che consiste, invece, in una determinata richiesta che i cittadini possono
rivolgere agli organi parlamentari o di Governo per sollecitare determinate attività (art. 50
Cost.);
3) il referendum, che è il più importante istituto di democrazia diretta. Esso consiste in una
consultazione dell’intero corpo elettorale produttiva di effetti giuridici.
In particolare del referendum si fanno numerose classificazioni. In relazione all’oggetto si
distinguono:
 i referendum costituzionali (oggetto: atto costituzionale);
 i referendum legislativi (ogg.: una legge);
 i referendum politici (ogg.: una questione politica non disciplinata da un atto
normativo);
 i referendum amministrativi (ogg.: atto amministrativo).
∝) Esistono diverse ipotesi di referendum costituzionale: si parla di referendum
precostituente quando il voto popolare ha come oggetto l’atto fondativo del nuovo Stato,
come ad esempio la previsione di convocare un’assemblea costituente; invece si ha
referendum costituente quando il voto popolare interviene sul testo di una nuova
Costituzione predisposto da un’assemblea costituente, ovvero offerto dal Parlamento o da
altri organi, per approvarlo o respingerlo;
β) il referendum legislativo può essere obbligatorio (quando l’atto di indizione della
consultazione popolare si configura come un atto dovuto) oppure facoltativo (quando l’atto
di indizione della consultazione popolare è subordinata all’iniziativa da parte di uno dei
soggetti che è a ciò legittimato). Il referendum, inoltre, può essere preventivo o successivo,
a seconda che il voto popolare intervenga prima o dopo l’entrata in vigore dell’atto (il
referendum costituzionale è sempre il tipo preventivo, perché la consultazione popolare ha
un senso quando interviene prima dell’entrata in vigore di una nuova Costituzione o di una
sua modifica, per assicurarne la legittimazione democratica).

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34 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

La Costituzione italiana prevede tre tipi di referendum:


1) il referendum di revisione costituzionale (art. 138)10, il quale è detto anche approvativo
o sospensivo perché s’inserisce nel procedimento di approvazione dell’atto, sospendendolo;
2) il referendum abrogativo d’una legge o di un atto avente forza di legge, già in vigore, il
quale perciò ha carattere eventuale e successivo;
3) il referendum consultivo (artt. 13211 e 13312) per la modificazione territoriale di Regioni,
Province e Comuni.

10
Articolo 138, Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera
con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei
componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art. 72 c.4]. Le leggi stesse sono sottoposte a
referendum popolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto
dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum
non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a
referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi
dei suoi componenti.
11
Articolo 132, Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la
creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d'abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli
comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con
referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse [cfr. XI]. Si può, con l'approvazione della maggioranza delle
popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante
referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne
facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra.
12
Articolo 133, Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell'ambito d'una
Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione. La Regione, sentite
le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro
circoscrizioni e denominazioni.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 35

3 LA SEPARAZIONE DEI POTERI


3.1 Il modello liberale
Il principio della separazione dei poteri è stato elaborato dal costituzionalismo liberale con
l’obiettivo di limitare il potere politico per tutelare la libertà degli individui. Montesquieu
nel 1748 teorizzava che i poteri pubblici dovessero essere 3 e distinti tra loro:
1) potere legislativo;
2) potere esecutivo;
3) potere giudiziario.

Gli aspetti caratterizzanti di questa dottrina politica sono riconducibili a 3 punti:


a) l’attribuzione ad ogni potere in senso soggettivo, cioè come complesso, di 1
funzione pubblica ben individuata e distinta dalle funzioni attribuite agli altri
poteri;
b) l’impossibilità per il medesimo potere di avocare a sé più di una funzione pubblica;
c) il bilanciamento delle funzioni pubbliche in maniera tale da permettere a ciascuno di
verificare le altre (Checks and Balances, ovvero, pesi e contrappesi).
L’ordinamento costituzionale statunitense è stato quello in cui il principio della separazione
dei poteri ha trovato la più coerente applicazione. La forma presidenziale statunitense
prevede che il Presidente e il Congresso siano eletti separatamente ed esercitino funzioni
distinte. Così il congresso non può sfiduciare il Presidente ma neppure il Presidente può
sciogliere le camere.
Diverso quanto avviene in Europa, dove la dottrina politica si è sviluppata in maniera molto
meno rigida:
a) infatti con la forma di governo parlamentare affermatasi già nell’ottocento nel Regno
Unito, potere esecutivo e legislativo si sono trovati legati a doppio filo, dipendendo
il primo dalla fiducia del secondo e approvando il secondo le leggi su indicazione del
primo;
b) situazione questa che ha portato a una commissione di poteri al punto che il potere
esecutivo emana regolamenti che contengono norme giuridiche generali (di
competenza quindi nel potere legislativo), mentre il potere legislativo approva la
legge di Bilancio senza introdurre novità giuridiche (in linea teorica competenza
dell’organo esecutivo);

Fondamenti concettuali di queste teorie sulla separazione dei poteri nello Stato liberale
sono:
 La preminenza della legge;
 La separazione dello Stato dalla società.

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36 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

3.2 La separazione dei poteri nelle democrazie pluraliste


Nei sistemi politici europei attuali si afferma una quarta funzione, che è la “Funzione di
indirizzo politico”. Consiste sostanzialmente nella determinazione delle linee fondamentali
di sviluppo dell’ordinamento e della politica interna ed esterna dello Stato e nella cura
della loro coerente attuazione.
Nella maggior parte degli Stati di democrazia pluralista la suddetta funzione si è venuta
gradualmente a concentrare nell’organo di governo. Esso ha infatti risorse di legittimazione
e di organizzazione che gli consentono di assumere il suddetto ruolo di guida del sistema.
Vi è inoltre la tendenza affermatasi in alcuni Stati, tra cui l’Italia, per cui l’amministrazione
non può più essere considerata né come apparato né come organizzazione unitaria. Nel
dettato costituzionale è infatti prevista la separazione tra politica e amministrazione, ossia
tra la sfera che governa e la burocrazia, cioè la dirigenza pubblica. Inoltre l’amministrazione
scomponendosi in una pluralità di apparati più o meno interdipendenti ciascuno dei quali
con attribuito un preciso interesse è spesso conflittuale al proprio interno, non potendosi
quindi ritenere un’organizzazione unitaria.
Altre evoluzioni rispetto al modello liberale sono:
a) la funzione legislativa non si caratterizza più per la produzione di norme
giuridiche generali e astratte. Infatti frequentemente la legge assume i caratteri del
concreto provvedere, ossia contiene prescrizioni che si riferiscono a soggetti
determinati ed a situazioni concrete, sicché si parla di Legge-Provvedimento. Lo
sviluppo di questo tipo di strumento è riconducibile all’affermazione dello Stato
sociale che interviene nei rapporti economici e sociali;
b) la funzione giurisdizionale non è più dichiarativa rispetto a principi generali ma
sussiste in un rapporto di valutazione e integrazione discrezionale della norma,
anche in considerazione della sovrapposizione di vari livelli legislativi (Regione,
Stato, Ue);
A questi si somma ancora un’altra funzione, quella di “Garanzia giurisdizionale della
Costituzione”, realizzata nei confronti di tutti gli altri poteri. In Italia questa funzione è
demandata dal Presidente della Repubblica.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 37

4 LA REGOLA DI MAGGIORANZA
4.1 Definizioni
La regola di maggioranza che caratterizza il funzionamento dello Stato liberale e della
democrazia pluralistica assume significati e funzioni diverse:
a) Principio funzionale, la tecnica cui un collegio può decidere;
b) Principio di rappresentanza, il mezzo attraverso cui si eleggono le assemblee;
c) Principio di organizzazione politica, il criterio attraverso cui si strutturano i rapporti
tra i partiti politici nel Parlamento;

a) La regola della maggioranza è lo strumento attraverso cui ampie collettività e organi


collegiali possono adottare una decisione. La regola opposta è quella della
“unanimità” che richiede il consenso di tutti i membri del collegio e quindi che il
voto di ciascuno di essi sia dotato del medesimo valore di quello degli altri. Il
rovescio della medaglia del sistema della maggioranza è nell’utilizzo che può esserne
fatto da chi la detiene, che per esempio può adottare provvedimenti che eliminano la
minoranza. Si parla allora di “Tirannia della maggioranza”.
La Costituzione italiana prevede alcuni meccanismi per limitare gli abusi della
maggioranza:
1) La rigidità della Costituzione stessa;
2) l’attribuzione alla Corte costituzionale il compito di verifica della legittimità
costituzionale delle leggi dello Stato;
3) la previsione che alcune deliberazioni siano tenute anche con maggioranze
diverse da quella semplice. Vi è la “maggioranza semplice” (maggior numero
di voti) e la “maggioranza qualificata” (per esempio 2/3 del collegio);
4) L’attribuzione di determinate facoltà a gruppi di membro del Parlamento di
ridotte dimensioni, che si traduce in potere di condizionamento procedurale
per le minoranze;
5) la sottrazione di certe decisioni al circuito dell’indirizzo politico, tramite per
esempio la creazione di “Autorità”;
6) il decentramento politico.

b) la regola di maggioranza come tecnica per deliberare ed i limiti che essa incontra
presuppongono comunque che una maggioranza e delle minoranze politiche si siano
già formate ed esistano all’interno delle aule parlamentari. Nella seconda accezione,
intesa come principio di rappresentanza, la regola di maggioranza diventa lo
strumento utilizzato per eleggere il Parlamento: in ciascun collegio è eletto il
candidato che ottiene più voti;

c) pertanto la regola di maggioranza come regola elettorale è particolarmente coerente


con una determinata concezione delle elezioni e del funzionamento della democrazia.
Secondo questa concezione le elezioni hanno il compito principale di assicurare la

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38 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

formazione di una maggioranza politica stabile e coesa di un Governo autorevole in


grado di esprimere un indirizzo politico coerente per l’intero mandato. Al corpo
elettorale spetta quindi di eleggere una maggioranza e di giudicarne l’operato nel
successivo turno elettorale.

4.2 Democrazie maggioritarie e democrazie consociative


Anche sistemi elettorali che non sono basati sulla regola di maggioranza possono riuscire ad
esprimere maggioranze stabili e Governi autorevoli (Spagna e Germania). Perciò più che la
distinzione tra ordinamenti basati sui diversi principi di rappresentanza (maggioritario o
proporzionale), è un’altra distinzione che assume importanza sulle dinamiche di
funzionamento dei diversi sistemi democratici.
In particolare occorre distinguere tra:
 Democrazie maggioritarie (UK, Germania, Francia, Spagna, Canada e in un certo
qual modo gli US);
 Democrazie consociative (Belgio e Olanda).

Nelle democrazie maggioritarie la regola di maggioranza diventa PRINCIPIO DI


ORGANIZZAZIONE dei rapporti tra soggetti politici (3° accezione13). In questi casi la
contrapposizione esiste durante le elezioni, dove il corpo elettorale è posto di fronte
all’alternativa secca tra due candidati alla carica di Capo del governo o tra due partiti o
coalizioni di partiti, e continua dopo le elezioni, per cui si crea una distinzione funzionale
tra la maggioranza politica ed il Governo, da essa sostenuto, in cui si concentrano i poteri di
indirizzo. La minoranza assume la FUNZIONE DI OPPOSIZIONE. In questi sistemi si può
realizzare l’ALTERNANZA CICLICA dei partiti nei ruoli di maggioranza e opposizione.

Diversamente le democrazie consociative tendono a incentivare l’accordo tra i principali


partiti al fine di condividere il controllo del potere politico. I partiti a livello elettorale
competono ciascuno per conto proprio per conquistare tanti seggi in parlamento quanta la
forza politica di cui dispongono. Dopo le elezioni non si crea una distinzione funzionale tra
maggioranza e minoranza, piuttosto i partiti tendono ad utilizzare la rispettiva forza
(numeri) per negoziare tra loro e raggiungere compromessi politici. Le minoranze non sono
opposizione ma sono associate al potere politico perché partecipano alla formazione delle
decisioni.

13
vedi pagina 37

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 39

Come instaurare la democrazia in società difficili?

 La distinzione tra democrazie maggioritarie e democrazie consociative dipende, in larga


misura, dalle differenti caratteristiche delle società in cui operano. Vi sono società in cui è
difficile radicare e far vivere la democrazia, perché i gruppi che le compongono sono separati
da fratture profonde che li rendono incomunicabili. Le democrazie consociative sono tipiche
di società divise da fratture profonde di tipo ideologico (per esempio, tra liberaldemocratici,
comunisti e fascisti), religioso, etnico, linguistico. In queste società, gli individui
"appartengono" a gruppi con identità culturali o ideologiche molto marcate, che li rendono tra
loro non comunicanti. L'unico modo per mantenere la democrazia in condizioni così difficili,
evitando la disgregazione sociale ed il conflitto violento, è quello di favorire la ricerca
dell'accordo tra i leader dei diversi gruppi politici, ciascuno dei quali rappresenta una di
queste identità collettive stabili, presenti nella società. Invece, le democrazie maggioritarie
sono proprie di società in cui esiste accordo sui principi della democrazia pluralista fissati
nella Costituzione; questa, anche in società articolate in una molteplicità di gruppi, diventa il
punto di riferimento comune in cui tutte le parti si identificano (patriottismo costituzionale).
Il principio maggioritario può ispirare il funzionamento complessivo del sistema perché,
comunque, le minoranze sanno che le forze di maggioranza rispetteranno le garanzie del
pluralismo e, quindi, che vi sono le condizioni per prenderne il posto alle successive elezioni.

4.3 Le minoranze permanenti

Non vi sono solamente le minoranze politiche, ma esistono alcune MINORANZE


PERMANENTI, che si creano sulla base di differenziazioni stabili presenti nella società e
dovute a fattori religiosi, etnici o linguistici. Le Costituzioni delle democrazie pluraliste si
preoccupano di difendere l’esistenza di queste minoranze e delle loro tradizioni culturali. La
Costituzione italiana prevede:
1) il divieto di discriminazione in ragione dell'utilizzazione di una lingua diversa
da quella nazionale (art. 3.1 Cost), cui si aggiunge l'obbligo positivo secondo
cui "la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche" (art. 6
Cost.; in alcune zone d'Italia esistono delle minoranze linguistiche, come
l'albanese, la francese, la greca, la ladina, la slovena, la tedesca). Ci sono stati
numerosi interventi legislativi in materia da parte delle Regioni speciali
Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta, che hanno agito sulla base delle previsioni
contenute nei loro statuti speciali. I suddetti interventi vanno dal bilinguismo
totale della Valle d'Aosta (dove è possibile usare indifferentemente una delle
due lingue ufficiali, il francese e l'italiano), alla complessa legislazione sul
bilinguismo del Trentino-Alto Adige (che ha previsto l'uso congiunto delle
lingue ufficiali, italiana e tedesca, e, in certi casi, l'uso dell'una o dell'altra
lingua);
2) il divieto di discriminazioni in ragione della religione professata, che è posto
anch'esso dall'art. 3.1 Cost., e trova svolgimento nei successivi artt. 7 e 8;

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40 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

3) il divieto di discriminazione in ragione dell'appartenenza all'una o all'altra


razza, sempre previsto dall'art. 3.1 Cost., che è destinato a trovare un particolare
svolgimento con l'affermazione di una società multirazziale e multiculturale, e
che ha già portato al riconoscimento legislativo di importanti diritti agli
stranieri residenti in Italia.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 41

5 LO STATO E LA SOCIETÀ MULTICULTURALE


5.1 I rapporti tra Stato e confessioni religiose
La nascita dello Stato moderno comporta un processo di secolarizzazione14, al termine del
quale c’è il riconoscimento della laicità dello Stato.
Si intende la “neutralità dello Stato” rispetto alla questione della “verità religiosa”, la
separazione tra la sfera politica e quella religiosa, q, quindi, il riconoscimento della libertà
di religione come fondamentale diritto dei cittadini, con la conseguente apertura verso un
sistema di pluralismo e ampia tolleranza in materia.

Laicità dello Stato: le origini


 Il riconoscimento della libertà di religione fu solamente una tappa di quel processo chiamato
“secolarizzazione”. Il punto di partenza fu la “Lotta delle Investiture” (1057-1122), cioè lo
scontro tra l’Impero e il Papato sull’assetto da dare alla cristianità occidentale. Il suo esito fu
la dissoluzione dell’antica unità della “res publica christiana”. Al termine della “Lotta delle
Investiture” si affermò la separazione tra la sfera spirituale e la sfera politica, con la
conseguente “desacralizzazione” del potere politico. Altra tappa importante fu la
conclusione dell’ondata di terribili guerre religiose che avvenne in Europa nei secoli XVI-
XVII. Da quel momento non fu più compito della politica ricercare e difendere l’unica
“verità religiosa”. Questa affermazione non è smentita dal fatto che in quasi tutta Europa
continuò a dominare il principio secondo cui c’era un’unica “religione di Stato”, che era
quella scelta dal Sovrano. Tale religione di Stato non era il prodotto della ricerca della
verità, ma veniva imposta per una ragione di ordine e di sicurezza, ossia per evitare le lotte
interne tra le diverse confessioni religiose. La rivoluzione francese del 1789 perfezionò la
creazione dello Stato moderno come unità politica neutrale di fronte alle scelte religiose dei
cittadini. Essa, infatti, introdusse l’idea del cittadino come essere profano, emancipato da un
destino inevitabilmente religioso. Tra le libertà fondamentali la cui difesa giustificava
l’esistenza dello Stato, la Costituzione francese del 1791 inseriva anche quella di fede e di
religione. Lo Stato diventava pienamente neutrale rispetto alla religione.

14
La secolarizzazione (il cui significato si riconduce al termine latino saeculum, con il significato di mondo) è un
termine entrato nel linguaggio giuridico durante le trattative per la pace di Vestfalia (1648) allo scopo di indicare il
passaggio di beni e territori dalla Chiesa a possessori civili, e adottato in seguito dal diritto canonico per indicare il
ritorno alla vita laica da parte di membri del clero. Nel XIX secolo è passato a indicare il processo di progressiva
autonomia delle istituzioni politico‐sociali e della vita culturale dal controllo e/o dall'influenza della religione e della
Chiesa. In questa accezione, che fa della secolarizzazione uno dei tratti salienti della modernità, il termine ha perso la
sua originaria neutralità e si è caricato di connotazioni di valori di segno opposto, designando per alcuni un positivo
processo di emancipazione, per altri un processo degenerativo di desacralizzazione che apre la strada al nichilismo.

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42 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

Durante il secolo XIX in Europa, fu forte la tendenza a sottrarsi al compimento del processo
di secolarizzazione della politica. Alla separazione dello Stato dalla religione venne
contrapposta, all’insegna della restaurazione, l’idea di “Stato cristiano”.
I rapporti tra la politica e la religione, da quel momento, oscilleranno tra due poli opposti:
1) Regime confessionale, secondo cui la Chiesa è depositaria di un patrimonio di verità
ultime sull’essere umano, sia come singolo individuo che come soggetto sociale,
verità la cui pretesa di validità va oltre la cerchia dei fedeli per estendersi all’intera
società. Da tale premessa deriva il rapporto diretto tra autorità civili e autorità
religiose, la necessità che l’etica pubblica e le leggi si conformino alla morale della
Chiesa, il vincolo all’obbedienza all’istituzione ecclesiastica non solo dei credenti
quando professano la loro fede ma anche quando agiscono come cittadini titolari di
uffici pubblici.
2) Regime della separazione tra Stato e Chiesa, ciascuno costituente un’istituzione
autonoma nel proprio campo d’azione. L’esigenza di prevenire il conflitto tra le due
istituzioni può portare all’instaurazione di un regime concordatario, per cui lo Stato e
la Chiesa regolano i loro rapporti con uno speciale trattato che si chiama, appunto,
concordato. In particolare, quest’ultimo disciplina alcune materie di interesse comune
(per esempio il regime civile del matrimonio religioso) e prevede alcune discipline
differenziate rispetto a quelle comunemente applicabili per le istituzioni
ecclesiastiche.

La soluzione scelta dalla Costituzione italiana è proprio la n°2. L’art.7 riconosce la


separazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica, stabilendo:
 ART. 7:” Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi15. Le

15
Per Patti lateranensi si intendono gli accordi stipulati nel 1929 (e resi esecutivi con la l. n. 810/1929) tra lo Stato
italiano e la Chiesa cattolica, con i quali si è posta fine alla c.d. questione romana. A seguito di essi, la Chiesa cattolica
ha riconosciuto l’esistenza di uno Stato italiano ed ha accantonato definitivamente ogni pretesa giuridica sul territorio
di Roma. I Patti lateranensi si componevano di un Trattato, con il quale si definivano i reciproci rapporti sul piano del
diritto internazionale tra lo Stato italiano e la Santa Sede, e di un Concordato, riguardante la disciplina dei rapporti tra
lo Stato e la confessione cattolica; tuttavia, occorre sottolineare che anche il Trattato aveva al suo interno disposizioni
di carattere concordatario e non solo disposizioni di diritto internazionale. La Costituzione repubblicana, accanto
all’affermazione per cui «lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» (art.
7, co. 1, Cost.; Laicità dello Stato) ha nondimeno espressamente richiamato i Patti lateranensi all’art. 7, co. 2, Cost.,
prevedendo, inoltre, che una loro modificazione, accettata da entrambe le parti, non avrebbe necessitato del ricorso
al procedimento di revisione costituzionale. A questo proposito, gli studiosi si sono divisi sul fatto se la loro menzione
abbia comportato una pura e semplice costituzionalizzazione dei Patti lateranensi del 1929, ovvero del c.d. principio
concordatario o di quello c.d. pattizio. In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che le norme di
esecuzione dei Patti lateranensi, in virtù della loro peculiare copertura costituzionale, possano derogare alle stesse
disposizioni costituzionali, ma non ai c.d. principi supremi dell’ordinamento costituzionale, tra cui è stato
successivamente fatto rientrare anche il principio di laicità dello Stato. La sostanziale incompatibilità di numerose
disposizioni dei Patti lateranensi con i principi fondamentali della Costituzione repubblicana ha così comportato la
necessità di una loro revisione e l’avvio di una lunga trattativa con la Santa Sede, sfociata nella stipulazione di un
nuovo Concordato nel 1984 (reso esecutivo con la l. n. 121/1985) e di un successivo Protocollo del 1984 (reso
esecutivo con la l. n. 206/1985 come «sola religione dello Stato

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 43

modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di
revisione costituzionale [cfr. art. 138]”.

Il Concordato16 attuale presenta degli aspetti di novità rispetto a quello del 1929 nei
seguenti campi:
a) neutralità dello Stato: estato abrogato il principio della religione cattolica come
religione di Stato e ciò conferma la neutralità dello Stato in materia religiosa;
b) enti ecclesiastici: è venuta a cadere tutta una serie di esenzioni e di privilegi
accumulati dagli enti ecclesiastici dal 1929 ad oggi;
c) matrimonio: non si riconosce più il carattere sacralmente ed indissolubile del
matrimonio canonico, ma ci si limita a riconoscere effetti civili al matrimonio
contrato secondo le norme del diritto canonico;
d) istruzione religiosa: il nuovo Concordato, pur tenendo conto che i principi del
cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, assicura
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, ma non considera
più tale insegnamento come “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”
come invece stabiliva l’art.39 del Concordato del 1929.
La garanzia costituzionale del regime concordatario non significa escludere la garanzia del
pluralismo religioso e la laicità dello Stato italiano. La Costituzione, infatti, prevede che
tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge senza distinzioni basate sulla religione (art.3)
e che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (art 8.1). Tutte
le confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi con propri statuti, purché non
contrastino con l’ordinamento giuridico italiano (art.8.1).

5.1.2 Lo Stato e le confessioni acattoliche


La disciplina dei culti acattolici è contenuta nell’art.8 della Costituzione, che stabilisce, in
particolare, ai commi 2 e 3:
 ART 8.2: “Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l’ordinamento
giuridico italiano”.
 ART 8.3: “I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese
con le relative rappresentanze”.
Secondo le previsioni dell’art.8.2 le confessioni acattoliche godono di una posizione di
autonomia ed indipendenza che si sostanzia nell’autodeterminazione e
nell’autorganizzazione, sia pure con il limite del rispetto “dell’ordinamento giuridico
italiano”, pena la loro illiceità.

16
Si chiama “Concordato” lo strumento con cui uno Stato e la Chiesa regolano i loro rapporti reciproci, dando luogo ad
una disciplina particolare.

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44 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

Tali autonomia ed indipendenza attengono alla sfera interna dell’attività dei culti acattolici,
in quanto l’attività esterna, ed in particolare i rapporti con lo Stato, sono oggetto di intese
(principio pattizio17).
L’art.13 della Costituzione, inoltre, garantisce a tutti il “diritto di professare liberamente la
propria fede”: tutela quindi l’aspetto individuale della libertà religiosa, mentre l’art.8 tutela
l’aspetto istituzionale (la “confessione”).

17
È il principio in base al quale la Costituzione italiana afferma che le relazioni tra Stato e confessioni religiose
debbano essere regolate attraverso la predisposizione di accordi (intese sottoscritti dalle parti interne). È individuato
da Art.7.2 Cost. + Art 8.3 Cost.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 45

5.2 Principio di laicità, libertà di coscienza e pluralismo religioso


In Italia il concetto di laicità è stato elaborato soprattutto dalla giurisprudenza
costituzionale. Un punto centrale di questa giurisprudenza è rappresentato dalla
sent.203/1989, secondo cui la Costituzione non accoglie una concezione del fenomeno
religioso come elemento strettamente correlato alla sfera privata da cui lo Stato debba
mantenersi del tutto estraneo, ma piuttosto adotta una prospettiva di “laicità positiva”. Essa
viene intesa nel senso di una valutazione “favorevole” del fenomeno religioso, cui segue
l’ammissibilità di interventi in “positivo”, cioè a sostegno delle attività religiose, in quanto
interesse dei cittadini meritevole di essere tutelato dal nostro ordinamento. Secondo la
Corte, il principio di laicità “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma
garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo
confessionale e culturale”.
Per qualche tempo però, è rimasto controverso nella giurisprudenza costituzionale se
possano essere giustificate alcune specifiche differenze tra la Chiesa cattolica e le altre
religioni ai fini del godimento di certe agevolazioni (per esempio, in campo fiscale). In un
primo momento la Corte sembrava ammettere qualche differenza tra le diverse religioni
sulla base del “criterio numerico” (la religione seguita dalla maggioranza degli italiani)
ovvero del “criterio sociologico” (ossia la connessione tra una determinata religione e la
coscienza sociale). Tuttavia, la giurisprudenza più recente tende ad abbandonare tali criteri a
favore di un uso più rigoroso del principio di non discriminazione tra le varie religioni
(sent.925/1988, 440/1998,508/2000).
Un altro esempio importante del principio di laicità è costituito dalla tutela della “libertà di
coscienza”.18 La compresenza tra favor nei confronti del fenomeno religioso e tutela della
libertà di coscienza si ritrova espressa in termini particolarmente forti nella giurisprudenza
costituzionale sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Esso è
ritenuto ammissibile in quanto sia parimenti tutelata la posizione di quegli studenti che non
vogliono avvalersi di tale insegnamento viene rimessa ad un’opzione di coscienza che deve
essere del tutto libera (sent.13/1991).
Ma è evidente che in una società come quella italiana, dominata per tradizione secolare da
una forte presenza della Chiesa cattolica, per lunghi anni assunta come religione di Stato, la
presenza della religione e dei riferimenti ad essa resti ancora fortemente radicata, generando
su molteplici fronti il problema della loro compatibilità con il principio di laicità.

18
La libertà di coscienza è la libertà di coltivare profonde convinzioni interiori e di agire di conseguenza. Essa non ha
un esplicito riconoscimento in Costituzione, così come non l'hanno la libertà di pensiero o di fede religiosa: ciò che
interessa al diritto (e alla Costituzione) non sono i fenomeni interiori, che sono per loro stessa natura incontrollabili,
ma la disciplina delle manifestazioni esteriori, "sociali", della coscienza, del pensiero e della fede. Così, per esempio,
l'art. 19 riguarda la libertà di culto, l'art. 21 la libertà di manifestazione del pensiero; invece il diritto di agire "secondo
coscienza" è implicito in tutti i diritti di libertà e, come è proprio dei diritti di libertà, incontra i limiti posti dalle leggi.
Ma in certi casi il diritto stesso consente all'individuo di superare il limite posto dalla legge e, nel conflitto tra quanto
prescrive la legge e quanto prescrive il suo "foro interno", seguire il secondo: sono i casi di "obiezione di coscienza".

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46 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

Il caso: come si fa a giurare senza giurare?


Come nei film, il testimone chiamato al banco deve giurare di dire la verità. I vecchi codici
di procedura prevedevano che il giudice lo ammonisse sulla "importanza religiosa e morale"
del giuramento e che la formula del giuramento contenesse un riferimento alla
responsabilità che, pronunciandolo, il testimone si assume "davanti a Dio". Qualche
problema con la libertà di coscienza dei non credenti? In un primo tempo la Corte lo aveva
negato (la formula, disse la Corte, impegna solo la coscienza dei credenti). Ma nel 1979
(sent. 117) ci ripensò: la formula ha un valore religioso e si ispira a valori non condivisi
dall'ateo, la cui libertà di coscienza, tutelata dall'art. 19 Cost., è violata quando gli venga
imposto di compiere "atti con significato religioso". Quindi, con una sentenza
"manipolativa" dichiarò illegittima la formula del giuramento "nella parte in cui... non è
contenuto l'inciso "se credente"", con ciò esentando il non credente dal giurare davanti a
Dio. In seguito si pose il problema se il giuramento fosse di per sé lesivo della libertà di
coscienza di coloro la cui fede impedisce assolutamente di giurare: la Corte scansò il
problema rinviandolo al legislatore (sent. 234/1984), che infatti, nel nuovo codice di
procedura penale, introdusse, al posto del giuramento, un "impegno a dire la verità",
consapevole della responsabilità morale e giuridica che ne deriva. Ma il codice di procedura
civile restava indietro: e allora la Corte (sent. 149/1995), con una sentenza "sostitutiva
dichiarava l'illegittimità dell'art. 251 "nella parte in cui..." impiegava vecchia formula
"anziché" quella del nuovo codice (che fungeva dunque da tertium comparationis). Ma il
giuramento dei testimoni non è l'unico previsto dal cod. proc. civ.: vi è anche quello
"decisorio" (artt. 233 ss.), che una parte "deferisce" all'altra per farne dipendere la decisione
su qualche punto della causa. La Corte è intervenuta per dichiararne illegittimi i riferimenti
alla divinità (sent. 334/1996). Ma, data l'importanza che assume il giuramento in questo
caso, non ne ha sostituito la formula con il semplice "impegno" che vale per i testimoni. In
questo caso, dunque, il giuramento resta: e se chi deve giurare non lo fa, per motivi di
coscienza, soccombe, né il giudice può farci niente (art. 239 cod. proc. civ.): almeno fino a
quando la Corte non interverrà per dirci che è illegittimo, per violazione dell'art. 19 Cost., il
divieto al giudice di valutare la serietà dei motivi di coscienza che impediscono alla parte di
prestare il giuramento decisorio.

Un capitolo a parte è quello della tensione tra il principio di laicità e l’esposizione pubblica
dei simboli religiosi. Il crocifisso esposto nei locali pubblici, come un’aula scolastica,
un’aula giudiziaria o un seggio elettorale, ha suscitato reazioni “laiche” che hanno più volte
coinvolto sia il giudice ordinario che quello amministrativo: ma con esiti alquanto
incoerenti. Importante, in questo caso, la “sentenza Lautsi c.Italia”.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 47

5.2.2 La sentenza Lautsi v Italia


La sentenza Lautsi v. Italia della Corte europea dei diritti
dell'uomo (CEDU) del 3 novembre 2009 stabilì che
l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è "una
violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le
loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di
religione". Non avendo il potere di imporre la rimozione dei
crocifissi dalle scuole italiane ed europee, la Corte condannò
l'Italia a risarcire 5.000 euro alla ricorrente per danni morali.
La sentenza definitiva del 18 marzo 2011 ha poi ribaltato la sentenza di primo grado. I
giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo hanno accettato la tesi in base alla quale non
sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del
crocifisso nelle aule scolastiche. La decisione è stata approvata con 15 voti favorevoli e due
contrari.
Nel 2002, la signora Soile Tuulikki Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, chiese al
consiglio d'istituto della scuola media "Vittorino da Feltre" di Abano Terme (Provincia di
Padova), frequentata dai figli, di rimuovere il crocifisso dalle aule. La richiesta fu rifiutata e
la signora si rivolse al tribunale competente, cioè il TAR del Veneto. Quest'ultimo, nel
2004, notando come la questione non apparisse manifestamente infondata, decise di
sollevare questione di legittimità costituzionale, sospendendo il giudizio e rimettendo gli atti
alla Corte costituzionale.
La Corte Costituzionale, con l'ordinanza 189 del 2004, si dichiarò non idonea a discutere il
caso, dichiarando la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale,
poiché "l'impugnazione delle indicate disposizioni del testo unico si appalesa dunque il
frutto di un improprio trasferimento su disposizioni di rango legislativo di una questione di
legittimità concernente le norme regolamentari richiamate: norme prive di forza di legge,
sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né,
conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte". In altre parole, la Corte
non entra nel merito della questione, ma si limita a dire che il Tar ha sbagliato a chiedere un
pronunciamento di legittimità, perché non c'è una legge che imponga il crocifisso, ma una
disposizione amministrativa ripresa da un regio decreto.
Il TAR del Veneto pronunciò dunque nel 2005, rigettando il ricorso della signora Lautsi,
sostenendo tra l'altro come "nell'attuale realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato
non solo come simbolo di un'evoluzione storica e culturale, e quindi dell'identità del nostro
popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità
umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che
innervano la nostra Carta costituzionale".
In seguito, il 13 aprile del 2006, anche il Consiglio di Stato risolse in favore dell'esposizione
del crocifisso.

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48 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

La sentenza di 1º grado della CEDU fu pronunciata all'unanimità e


stabilì le motivazioni di essa per la violazione dell'articolo 2 del
Protocollo nº1 e l'articolo 9 della Convenzione. Nel comunicato
stampa della CEDU successivo alla sentenza si legge:
«La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe
essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che
avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una
data religione.
Tutto questo, potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i
ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose,
o che sono atei. La Corte non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi
delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il
cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione
di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei
diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana.
L'esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione in luoghi che sono
utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di
educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni e il diritto dei bambini di
credere o non credere.»
(Sentenza della Corte.)
Il Governo Berlusconi IV annunciò subito ricorso in appello. Alle critiche del governo si
unirono, seppur in tono minore, quelle di parte dell'opposizione, inclusi Partito Democratico
e Italia dei Valori. Sostegno alla sentenza di primo grado venne dai Radicali Italiani, da
Sinistra e Libertà, dalla Federazione della Sinistra e dai Verdi.
Tra i gruppi religiosi, la sentenza è stata deplorata dalla Conferenza Episcopale Italiana e da
Tarcisio Bertone, segretario di Stato del Vaticano. Al contrario, la reazione del mondo
cristiano protestante in Italia (evangelici, valdesi, luterani e battisti) alla sentenza è stata
sostanzialmente positiva, in nome della laicità e del principio di una netta separazione tra
Chiesa e Stato. Anche l'Unione delle comunità ebraiche italiane (UCEI) ha apprezzato la
sentenza di 1º grado. Le maggiori organizzazioni di credenti musulmani in Italia non hanno
preso posizione sulla questione. Solo Adel Smith, presidente della piccola Unione
musulmani d'Italia e già protagonista di ricorsi interni contro la presenza del crocifisso nei
luoghi pubblici in passato, ha dichiarato che il governo italiano avrebbe dovuto aspettarsi la
sentenza. Le associazioni di atei e agnostici, tra cui l'UAAR, hanno salutato la sentenza di 1º
grado come un grande successo per la laicità.
La sentenza definitiva della Grande Chambre del 18 maggio 2011 ha ribaltato la sentenza di
primo grado. I giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo hanno accettato la tesi in
base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni
dell'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. La sentenza stabilisce che l'esposizione
del crocefisso non costituisce violazione dei diritti di insegnamento e di educazione della

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 49

prole garantiti dalla CEDU affermando che "nulla prova l'eventuale influenza che
l'esposizione di un simbolo religioso sui muri delle aule scolastiche potrebbe avere sugli
alunni; non è quindi ragionevolmente possibile affermare che essa ha o no un effetto su
persone giovani le cui convinzioni sono in fase di formazione". La Corte, stabilito che in
Italia la scuola Pubblica non impone, nella sostanza alcun tipo di indottrinamento religioso
chiude definitivamente la questione stabilendo che "che nel decidere di mantenere i
crocifissi nelle aule della scuola pubblica frequentata dai figli della ricorrente" lo Stato
italiano ha rispettato "il diritto dei genitori ad assicurare questa educazione e questo
insegnamento in conformità alle loro convinzioni religiose e filosofiche.”. La decisione è
stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. La sentenza è definitiva per tutti i 47
stati membri.
5.3 La tutela delle minoranze e la società multiculturale
La società multiculturale corrisponde al principio secondo cui deve essere assicurata pari
dignità alle espressioni culturali dei gruppi e delle comunità che convivono in una società
democratica ed all’idea secondo cui ciascun essere umano ha diritto a crescere dentro una
cultura che sia la propria e non quella maggioritaria nel contesto socio-politico in cui si
trova a vivere.
A questo punto bisogna fare una differenziazione importante tra:
 Tutela delle “minoranze storiche”, presenti da sempre nell’ambito dei confini
nazionali, e tutelati dall’art.6 19della Costituzione italiana, che riconosce una serie di
diritti speciali per le minoranze linguistiche presenti nelle regioni a statuto speciale
della Valle d’Aosta, del Trentino-Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia (inoltre la
legge 482/1999 consente ad alcune lingue espressamente individuate dalla legge di
poter essere utilizzate nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, come
programmazione radiotelevisiva di alcune aree, come materia di insegnamento a
scuola);
 Tutela delle “nuove minoranze”, costituite da gruppi di immigranti (o dalle
generazioni successive) che risiedono stabilmente in uno Stato straniero e che talora
ne hanno acquisito la cittadinanza.
Attualmente, la sfida maggiore per le democrazie pluralistiche è dato dalle “nuove
minoranze”.
In passato, la risposta politica e giuridica spingevano sull’integrazione dei diversi gruppi
all’interno della società nazionale, e a tal punto sono servite le ideologie dei partiti di massa
e la strumentazione dello Stato sociale.
Proprio quest’ultima è servita ad effettuare una “redistribuzione” economica a favore di
gruppi che erano svantaggiati dalla dinamica di mercato. Il presupposto era che il conflitto
nella società contemporanea fosse essenzialmente un conflitto tra classi definite in relazione
alla posizione occupata nel processo produttivo e in base al tipo di reddito percepito.

19
“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche” (collegato agli artt. 116‐117‐119)

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50 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

Nella società odierna, però, accanto al conflitto per la redistribuzione, c’è un conflitto tra
identità culturali differenziate che, spesso, chiedono non di essere integrate ma di mantenere
la propria differenza, e, quindi di trovare nel sistema giuridico gli strumenti per tutelare la
loro alterità. La redistribuzione è quindi affiancata dalla “tutela dell’identità”.
La tutela dell’identità può essere definita sulla base di criteri religiosi o etnici, ma
ultimamente, si assiste anche ai fenomeni di identità aventi criteri diversi come le
“preferenze sessuali” (omosessuali), o “l’apparenza di genere” (femministe).
Per poter far sì, che ogni individuo possa sviluppare la propria personalità, e tutelare la
propria identità culturale, i differenti sistemi giuridici hanno creato vari strumenti:
 creazione di un “diritto derogatorio”, che si applica solamente ai membri di
determinate comunità (per esempio, i diritti di caccia riconosciuto dal diritto
canadese agli indigeni, la possibilità riconosciuta negli USA agli Amish di escludere
i propri figli dall’obbligo dell’istruzione scolastica dopo i 14 anni);
 creazione di “strumenti per promuovere la cultura di uno specifico gruppo”, norme
che prevedono la possibilità di poter utilizzare la propria lingua, e norme che
istituiscono specifici organismi con il compito di proteggere e promuovere una
determinata cultura;
 “costruzione di luoghi di culto per alcune minoranze religiose”;
 “estensione di istituti di garanzia previsti per chi segue i comportamenti
maggioritari anche a certe minoranze in modo da riconoscerne l’identità e
garantirne l’esistenza”, per esempio il riconoscimento del matrimonio tra
omossessuali in Regno Unito, Spagna o la versione attenuata dell’unione civile tra
omosessuali in Italia.
Il problema che tali sviluppi pongono ed i limiti, anche di ordine costituzionale, che essi
incontrano sono imponenti. La questione è altamente delicata, ed è sempre più difficile
trovare una soluzione unicamente valida.
Si assiste poi, ad una progressiva caduta dell’eterogeneità culturale delle odierne società, ed
un aspetto particolare di questa situazione è data dall’accentuazione di conflitti su scelte che
presuppongono precise opzioni di carattere etico. Molti conflitti infatti, si basano sulle
diverse prospettive etiche e soprattutto su quei temi che riguardano l’origine e la fine della
vita: fecondazione artificiale, ricerca sulle cellule staminali, diritto all’interruzione dei
trattamenti sanitari, eutanasia, sono questioni la cui soluzione rinvia alla piattaforma etica da
cui si muove.
Drammatico è per esempio il caso delle decisioni sulla fine della vita: l’interrogativo
formidabile è se, di fronte a un malato gravissimo che sopravvive solamente per mezzo di
terapie del tutto artificiali e quindi ha una vita assai menomata, sia ammissibile sul piano
etico e su quello giuridico interrompere, per volere del malato, quelle terapie, senza le quali
inevitabilmente morirà.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 51

In assenza di una disciplina legislativa, sono stati i giudici, su domanda si qualche malato o
del tutore dello stesso, a decidere le condizioni che permettono l’interruzione della terapia e
quindi la morte.
Il conflitto etico sull’Eutanasia: il caso Welby ed il caso Englaro

 Nel 2006 Welby, malato di una forma gravissima di sclerosi e tenuto in vita solamente
grazie ad un respiratore artificiale, ha chiesto espressamente al medico di sospendere il
trattamento che lo manteneva in vita. Il medico, dopo avergli somministrato dei sedativi per
evitare il dolore causato dal soffocamento, ha interrotto le pratiche che assicuravano a
Welby, il sostegno vitale, con la conseguenza che è morto nella mezz’ora successiva. Il
Pubblico ministero ha escluso che il medico avesse commesso il reato di “omicidio del
consenziente” chiedendo, perciò, l’archiviazione del caso. Secondo il PM, nel bilanciamento
tra due principi egualmente tutelati dall’ordinamento (in particolare all’art.32 Cost.) - il
diritto al rifiuto del trattamento e le istanze di sostegno della vita – bisogna dare la
prevalenza al diritto al rifiuto del trattamento, cioè all’autodeterminazione del paziente in
merito alle cure che gli vanno somministrate. Diverso, però, è il caso in cui il paziente non
può esprimersi, perché si trova da lunghi anni in coma. Può la sua volontà essere sostituita
da quella del tutore? La Cassazione (sez. I civ., 21748/2007) si è pronunciata su una vicenda
di questo tipo a seguito di un complesso iter processuale. Esso è partito da un ricorso presso
il Tribunale di Lecco con cui il padre di una ragazza – Eluana Englaro, in come vegetativo a
seguito un incidente dal 1992 – chiedeva al giudice un ordine di interruzione
dell’alimentazione forzata, grazie alla quale era tenuta in vita. La Cassazione ha sostenuto
che “ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato
vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno,
e sia tenuto artificialmente mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua
nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contradditorio con
il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario
(fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica
nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti : (a) quando la
condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico,
irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici
riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un
qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo
esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova
chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti
dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti,
corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea
stessa di dignità della persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve
negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla
vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e volere
del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita
stessa”. La Cassazione ha dovuto riconoscere la carenza, nell’ambito dell’ordinamento
giuridico italiano, di una organica disciplina normativa destinata espressamente a
regolamentare la materia della “interruzione della vita”. E proprio tale presupposto ha

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52 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

innescato un vivace dibattito pubblico. Da una parte c’è chi ha sostenuto che il giudice si sia
sostituito al legislatore, nel disciplinare una materi che coinvolge principi etici delicatissimi
e su cui esistono forti divisioni. Dall’altra parte, è stato sostenuto che il giudice deve
comunque dare una risposta alla domanda dell’attore, ricostruendo, in mancanza di una
norma espressa, il sistema ed elaborando i principi. Il Parlamento, aderendo alla prima
impostazione, ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale,
ritenendo che il giudice abbia usurpato la funzione legislativa riservata dalla Costituzione al
Parlamento (ma che esso non ha mai esercitato!). La Corte costituzionale ha respinto
seccamente il ricorso (ord.334/2008) e alla fine di una complessa vicenda amministrativa
giudiziaria Eluana è stata staccata dalle macchine ed è morta tra mille polemiche e un vero e
proprio scontro istituzionale. Approvata il 14/12/17 legge sul Biotestamento.
6. STATO UNITARIO, STATO FEDERALE, STATO REGIONALE
6.1 Definizioni
La separazione dei poteri ed i limiti alla regola di maggioranza possono realizzarsi non solo
livello orizzontale, cioè nel rapporto tra i poteri dello Stato, ma altresì a livello verticale,
attraverso la distribuzione del potere di indirizzo politico e delle funzioni pubbliche tra lo
Stato centrale ed altri enti territoriali.
Perciò si suole distinguere tra Stato unitario e Stato composto: nel primo il potere è
attribuito al solo Stato centrale o comunque a soggetti periferici da esso dipendenti; nel
secondo il potere è distribuito tra lo Stato centrale ed enti territoriali da esso distinti, che
sono titolari del potere di indirizzo politico e delle funzioni legislativa e amministrativa in
determinate materie.
Lo Stato unitario ha caratterizzato a lungo l’esperienza europea, mentre quel tipo di Stato
composto che è lo Stato federale ha caratterizzato l’esperienza degli Stati Uniti d’America.
Da alcuni anni, però, anche in Europa ha avuto successo lo Stato composto, nelle sue 2
varianti di:
1) Stato federale;
2) Stato regionale.
Ad ogni modo, di regola, i caratteri tipici dello Stato federale vengono individuati nel modo
seguente:
 l’esistenza di un ordinamento statale federale, dotato di una Costituzione scritta e
rigida;
 la previsione da parte della Costituzione federale di una ripartizione di competenze
tra Stato centrale e stati membri;
 l’esistenza di un Parlamento bicamerale, in cui cioè esiste una camera rappresentativa
degli stati membri;
 la partecipazione degli stati membri a procedimento di revisione costituzionale e la
presenza di una Corte costituzionale in grado di risolvere i conflitti tra Stati federali e
Stati membri.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 53

Lo Stato regionale, di regola, è distinto da quello federale per i seguenti caratteri:


 la presenza di una Costituzione statale che riconosce e garantisce l’esistenza di enti
territoriali dotati di autonomia politica, cioè capaci di darsi un proprio indirizzo
politico sia pure nell’ambito dei limiti posti dalla Costituzione; essi, infatti, sono
dotati di propri Statuti, ma non di una propria Costituzione;
 l’attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze legislative e amministrative;
l’attribuzione ad una Corte costituzionale del compito di risolvere i conflitti tra Stato
le Regioni, assicurando comunque la preminenza dell’interesse nazionale.
In realtà, la distinzione tra Stato federale e Stato regionale è difficile da tracciare. La
distinzione fondamentale, perciò, resta quella tra Stato unitario e Stato composto e tra Stati a
forte decentramento politico e Stati a decentramento politico limitato. Altra distinzione è
quella tra federalismo duale e federalismo cooperativo: il primo vede una forte divisione tra
lo Stato federale e gli Stati membri; viceversa il secondo si caratterizza per la presenza di
interventi congiunti coordinati nelle stesse materie da parte dello Stato centrale e degli Stati
membri o delle Regioni.
6.2 Forma di Stato italiano (Tratto dalla lezione del Professor A. Lucarelli 27/11/17)
Lo Stato Italiano è uno Stato Unitario composto che si caratterizza per la concentrazione dei
poteri politici principali in capo allo Stato ma anche per la presenza di autonomie territoriali
(regioni).

Enti pubblici locali dotati di


poteri legislativi
Le materie più delicate sono riservate in via esclusiva allo Stato. Inoltre, lo Stato può in
qualsiasi momento manifestare potere legislativo all’interno delle regioni su specifiche
circostanze.
La base costituzionale di questo ordinamento è dato dall’art.5 della Costituzione Italiana:
 ART.5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie
locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento
amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze
dell'autonomia e del decentramento”.
Osservazione importante inoltre è dato dall’art. 1.2 della Costituzione Italiana dove, il
popolo viene inteso come “popolo dello Stato” e non “popolo della regione”:
 ART 1: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Collegamento importante infine, è poi dato dall’art. 114 della Costituzione Italiana:
 ART. 114: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni

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54 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La


legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.
Quindi, quando si parla della forma di Stato italiano, è bene tener conto questo tipo di
collegamento tra gli articoli della Costituzione Italiana:

"La Repubblica, una e “L'Italia è una Repubblica “La Repubblica è costituita


Articolo 5

Articolo 1

Articolo 114
indivisibile, riconosce e democratica, fondata sul dai Comuni, dalle Province,
promuove le autonomie lavoro. La sovranità dalle Città metropolitane,
locali; attua nei servizi che appartiene al popolo, che la dalle Regioni e dallo Stato. I
dipendono dallo Stato il più esercita nelle forme e nei Comuni, le Province, le Città
ampio decentramento limiti della Costituzione”. metropolitane e le Regioni
amministrativo; adegua i sono enti autonomi con
principi ed i metodi della propri statuti, poteri e
sua legislazione alle funzioni secondo i princìpi
esigenze dell'autonomia e fissati dalla Costituzione.
del decentramento". Roma è la capitale della
Repubblica. La legge dello
Stato disciplina il suo
ordinamento”.

7. L’UNIONE EUROPEA
7.1 Definizioni
L’Unione Europea (UE) è una struttura istituzionale che è tradizione
descrivere ricorrendo ad una metafora: “un tempio greco che poggia
su tre pilastri”.
Il pilastro centrale è quello della Comunità economica (CE) che
comprende le 3 comunità originarie (CEE, CECA, EURATOM). I
due pilastri laterali sono costituiti dalla politica estera e dalla sicurezza comune (PESC) e
dalla cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni (CGAI).
La differenza sostanziale tra il primo pilastro e gli altri due si evidenza nei processi
decisionali. Infatti nell’ambito della CEE la maggior parte delle decisioni non richiedono
l’unanimità degli Stati, mentre per la PESC e il CGAI è richiesto il voto unanime di tutti gli
Stati membri.
Con il Trattato di Amsterdam è stato introdotto il principio della cooperazione rafforzata
che consente agli Stati membri di instaurare forme di collaborazione specifiche, quindi un
sistema a geometria variabile o a due velocità.
Quindi: l’UE si fonda sulle 3 comunità pre-esistenti, si aggiunge a queste ed utilizza le loro
istituzioni per l’esercizio delle sue funzioni e per il perseguimento degli obiettivi previsti dal
Trattato.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 55

7.2 L’organizzazione
L’organizzazione comunitaria si articola in diverse istituzioni:
a) il CONSIGLIO EUROPEO è l’organo di impulso dell’UE, chiamato a definire gli
orientamenti politici generali. È composto dai capi di Stato (o di Governo) membri e
dal Presidente della Commissione. È tenuto ad informare il Parlamento europeo dei
risultati di ogni sua riunione;
Il CONSIGLIO è l’organo titolare del potere di adottare gli atti normativi e del compito di
coordinare le politiche generali di tutti gli Stati membri. È composto da un rappresentato per
ogni Stato (secondo l’ambito di competenza) ed è presieduto da ciascuno dei suoi membri a
rotazione per un periodo di 6 mesi ciascuno. Le deliberazioni del Consiglio sono
generalmente assunte a maggioranza semplice anche se in alcuni casi il Trattato CE prevede
la maggioranza qualificata calcolata con un meccanismo di voto ponderato che attribuisce
un peso diverso ad ogni Stato. In casi particolari è richiesta l’unanimità. Al Consiglio è
affiancato il COMITATO DEI RAPPRESENTANTI PERMANENTI (COREPER), organo
composto dai rappresentanti permanenti degli Stati membri, incaricato di preparare il lavoro
del Consiglio;
b) la COMMISSIONE si può considerare come il centro dei processi di decisione e
come l’organo di propulsione dell’ordinamento comunitario. Dispone di poteri
d’iniziativa normativa (su indirizzo del Consiglio), di poteri di decisioni
amministrativa e di regolamentazione e di poteri di controllo nei confronti degli Stati
membri. La commissione esercita un controllo indiretto sugli Stati membri circa il
rispetto del Diritto europeo tramite le segnalazioni di soggetti privati, creando così un
rapporto trilatero (Commissione, Amministrazioni nazionali, privati). Rilevante è il
ruolo della Commissione nella gestione dei finanziamenti comunitari, ne stabilisce
l’ammontare e la ripartizione.
La Commissione è composta da 20 membri (attualmente 1 per l’Italia), che durano in carica
5 anni, designati in accordo con gli Stati membri. La nomina del Presidente e dei
componenti coinvolge direttamente il Parlamento, che dapprima esprime il proprio parere
(vincolante) sul Presidente e poi con un voto distinto sull’intera Commissione.
c) il PARLAMENTO EUROPEO è composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati
membri, eletti in ciascun Stato, per 5 anni e a suffragio universale e diretto. Il PE è
un organo rappresentativo e dotato di legittimazione democratica, ma non è titolare
del potere di adottare atti normativi. Con il Trattato di Amsterdam sono stati
rafforzati i poteri del PE, che ora è pienamente partecipe del processo di formazione
degli atti normativi attraverso procedure di codecisione (diritto di veto sulle proposte
della Commissione) e cooperazione. Il PE dispone di un potere di iniziativa indiretta
tramite la Commissione. Il PE è titolare dei poteri di controllo verso la Commissione
tramite commissioni temporanee di inchiesta, interrogazioni, mozioni di censura e
voto di fiducia iniziale;

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56 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

d) la CORTE DI GIUSTIZIA è l’organo giurisdizionale comunitario, chiamato ad


assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione ed applicazione del Trattato. È
composto da 15 giudici e può giudicare anche l’azione degli Stati membri per quanto
relativo il Diritto europeo. La Corte è coadiuvata dal tribunale di primo grado le cui
sentenze possono essere impugnate di fronte alla Corte;
e) la CORTE DEI CONTI è l’organo di controllo contabile della Comunità;
f) il COMITATO ECONOMICO E SOCIALE è un organo consultivo del Consiglio,
della Commissione e del PE. È composto dai rappresentanti delle diverse categorie
economiche ed esprime pareri obbligatori ove richiesto dal Trattato;
g) il COMITATO DELLE REGIONI è un organo consultivo del Consiglio, della
Commissione e del PE. È composto dai rappresentanti delle collettività regionali e
locali, delle quali esprime le istanze a livello comunitario;

Le attribuzioni della Comunità europea e dell’UE sono solo quelle espressamente previste
dal Trattato, e riguardano campi rilevantissimi: la libera circolazione di merci, lavoratori,
capitali e servizi; la disciplina della concorrenza; l’agricoltura; i trasporti; la politica
monetaria (ed economica); l’occupazione; ecc.…

Il principio di tassatività delle attribuzioni è parzialmente temperato in almeno due casi:


1) la CE può esercitare i poteri necessari al raggiungimento degli scopi del Trattato, pur se
questo non li prevede espressamente (principio di auto integrazione);
2) la CE, secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, può adottare tutte le misure
necessarie, anche quelle non previste, per ottenere un esercizio efficace ed adeguato di una
competenza attribuitale;
Il Trattato UE prevede anche il principio di proporzionalità (mezzi commisurati agli
obiettivi) e di sussidiarietà (competenze variabili a seconda dell’efficacia).

Consiglio
Europeo

Corte Europea Corte Dei Conti


di Giustizia Europea

Commissione Parlamento
Consiglio dell'UE
Europea Europeo

Comitato Banca Europea


Comitato delle Banca Centrale
Banca Centrale
Economico e per gli
Regioni Europea
Europea
Sociale Investimenti

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 57

ISTITUZION FUNZIONI COMPOSIZIO METODO DI STRUTTU


E NE ELEZIONE/ADOZI RE
ONE DELLE
DELIBERE
Parlamento - Funzione È composto dai Delibera a Ha un
Europeo legislativa e rappresentanti maggioranza dei proprio
di bilancio, dell’Unione, suffragi espressi segretario
esercitata eletti a suffragio (tranne per il generale,
congiuntame universale regolamento interno, con circa
nte con il diretto, libero e la cui adozione 5.000
Consiglio segreto, per un avviene a dipendenti,
- Funzione di mandato di 5 maggioranza che operano
controllo anni. Non può semplice). Ci sono soprattutto
(politico e comprendere ostacoli all’adozione in
giuridico) più di 750 di una procedura Lussemburg
- Funzione membri (oggi ne uniforme. oea
consultiva sono 736) Bruxelles.
- elegge il
presidente
della
Commission
e
Consiglio Dà all’Unione È composto dai -Il presidente del
Europeo gli impulsi capi di Stato o Consiglio Europeo
necessari al suo di governo viene eletto dai suoi
sviluppo e ne degli Stati componenti a
definisce gli membri, dal maggioranza
orientamenti e suo presidente qualificata per un
le priorità della mandato di due anni e
politiche Commissione. mezzo, rinnovabile
generali. Non In più partecipa una volta.
ha funzioni ai lavori anche - Il consiglio europeo
legislative l’alto delibera secondo la
(adotta solo atti rappresentante regola del consenso
politici di dell’Unione per (prevede l’accordo di
indirizzo) gli affari esteri e tutti gli Stati e se
la politica di qualcuno di questi
sicurezza. È un manifesta perplessità,
organo non si va a voto)
intergovernativ
o.
Consiglio - Funzione è composto da -MAGGIORANZA Ha un
normativa un DEI MEMBRI per le segretario
(approva gli rappresentante delibere con le quali il generale
atti a livello Consiglio chiede alla con circa
normativi) ministeriale Commissione di 2.000
per ciascuno presentargli la dipendenti

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58 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

- Approva atti stato abilitato proposta di un atto a Bruxelles.


primari ad impegnare il normativo e per Inoltre ha il
governo dello l’adozione del suo COREPER
- approva il stato membro. regolamento interno. che è una
bilancio in I componenti sua replica
collaborazio rappresentano -UNANIMITÀ per ma non
ne con il gli Stati e sono atti di politica estera, adotta
Parlamento designati di sociale, di sicurezza formalment
volta in volta comune e che e atti, ne
- Funzione dal governo di riguardano i cittadini discute
esecutiva e ciascun stato soltanto il
legislativa in membro: per -MAGGIORANZA testo.
materia di questo il QUALIFICATA:
politica consiglio non è maggioranza stati
estera e di permanente, membri e 62%
sicurezza ma ha una popolazione (pre
comune composizione 2014). Dal 2014 55%
diversa e membri e 65%
- Definisce e variabile. popolazione.
coordina le
politiche
Commissione - Funzione di è composto da Delibera a -Segretario
europea proposta un un numero maggioranza dei generale a
degli atti di membri pari membri Bruxelles
normativi ai 2/3 del -36
- Funzione di numero degli dipartimen
esecuzione stati membri, ti (direzione
decisionale compresi il suo generali e
(esecuzione presidente e servizi)
di atti l’alto -circa
vincolanti e rappresentante 25.000
non) dell’Unione per dipendenti
- Funzione di gli affari esteri più circa
vigilanza e la politica di 1.000
(diretta e sicurezza persone
indiretta) esterne,
- Funzione di comandate
rappresenta dai rispettivi
nza (interna, governi.
all’interno, -
all’interno Commissar
degli stati i
membri ed -Portafogli
esterna, -Gabinetti
verso stati
terzi)

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 59

Banca - Autorizza è composta dal


Centrale l’emissione Consiglio
dell’euro direttivo
- Funzione (composto dai
normativa membri del
Comitato
esecutivo + i
governatori
delle banche
centrali
nazionali) e dal
Comitato
esecutivo
(composto da
presidente,
vicepresidente e
altri 4 membri)
Corte dei - Funzione di è un organo di adotta ogni anno a è
Conti controllo dei individui, maggioranza, alcune individuata
conti composta da relazioni speciali e da circa 400
dell’Unione un cittadino alcuni pareri. dipendenti
- assiste il per ogni Stato
Parlamento e membro
i Consiglio (quindi da 27
nel controllo cittadini),
del bilancio nominato per un
periodo di 6
anni.

7.3 Il mercato, tra Stato e Unione europea


Lo Stato liberale e lo Stato di democrazia pluralista sono sempre stati associati all’esistenza
di un’economia di mercato20. Lo Stato sociale è intervenuto correggendo e compensando il
mercato, per raggiungere finalità sociali o per contrastare le crisi economiche, dando luogo
ad un’economia mista, in cui il ruolo dello Stato si è progressivamente esteso attraverso vari
strumenti.
Nell’esperienza italiana, gli strumenti principali d’intervento dello Stato nell’economia sono
stati: le imprese pubbliche, la società per azioni in mano pubblica, i finanziamenti agevolati
ai privati, la programmazione economica, il monopolio dei servizi pubblici, il potere di
controllo e di conformazione nei confronti delle imprese.

20
Tipo di organizzazione economica basata sull'interazione della domanda e dell'offerta, ovvero sulla loro
interdipendenza, tenuto conto dei tipi di beni da produrre, della loro quantità, dei sistemi di produzione da impiegare
nonché dei destinatari di tali beni.

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60 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

Attraverso l’insieme di questi strumenti si è affermato, almeno fino agli anni ’80 del XX
secolo, il cosiddetto del “dirigismo economico”, secondo cui lo Stato deve intervenire
nell’economia orientandola e dirigendola per il conseguimento dei suoi obiettivi politici e
sociali. Ma l’affermazione del “dirigismo economico” non era imposto dalla Costituzione
italiana, ed oggi è in costante tensione con i principi dell’Unione europea.
Sin dall’origine i Trattati istitutivi della Comunità europea ponevano al centro degli obiettivi
l’instaurazione di un mercato comune, un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione,
fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei
servizi e dei capitali.
Questo comportava l’adozione da parte della Comunità e degli Stati membri di una politica
economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri, ispirata al
principio di una economia di mercato aperta e di libera concorrenza. Questi principi sono
ribaditi dal Trattato Unione Europe e dal Trattato sul funzionamento dell’UE.

Il mercato: ordine spontaneo o costruzione giuridica?


 Friedrich August von Hayek, economista e sociologo austriaco naturalizzato britannico,
credeva che il mercato si configurasse come un ordine spontaneo. Però, poiché l’economia
di mercato richiede la regolarità e la prevedibilità dell’agire, senza di cui non è possibile il
calcolo economico, il mercato ha bisogno di essere governato da regole. Il mercato quindi
non è un’entità a-storica ed a-giuridica, ma esiste proprio in quanto ha uno statuto giuridico
(Natalino Irti, docente e avvocato italiano). Inoltre, è possibile affermare che esiste una
pluralità di mercati, tanti quanto sono i nuclei di norme che regolano la produzione e lo
scambio di beni.

Si è arrivati alla creazione di un mercato unico attraverso 3 strumenti previsti dai Trattati:
1) la libertà di circolazione delle merci dei lavoratori, dei servizi e dei capitali (le c.d.
quattro libertà, capisaldi del liberalismo economico della Comunità);
2) il divieto degli aiuti finanziari;
3) la disciplina della concorrenza, e sotto qualsiasi forma, dello Stato alle imprese, salve
alcune specifiche eccezioni.
Gli Stati non possono cercare di impedire la creazione di un mercato comune limitando la
circolazione delle merci e dei fattori produttivi (per esempio, attraverso tariffe doganali),
oppure introducendo un privilegio per le proprie imprese, ed in particolare per le imprese
pubbliche, erogando loro aiuti finanziari che creano ostacoli all’ingresso nel mercato
nazionale di imprese straniere.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 61

7.4 L’ Unione monetaria e i parametri di Maastricht


Il mercato unico è stato completato (a partire dal Trattato di Maastricht
del 1993) dalla creazione di una moneta unica (l’Euro), nonché dalla
definizione di una politica monetaria e di una politica del cambio
uniche, gestite direttamente da istituzioni comunitarie (il Sistema
europeo di banche centrali – SEBC), indipendente sia alle istituzioni
nazionali che da quelle europee.

Come si cambia la politica monetaria?

 Prima della moneta unica, gli Stati potevano impiegare due strumenti di politica monetaria:
 il tasso di cambio, che definisce il prezzo relativo tra due monete;
 il tasso di interesse, il prezzo che bisogna pagare sul denaro preso in prestito.
Sei il tasso di cambio di un paese si deprezza, la quantità di moneta per acquistare beni
esteri aumenta. All’estero, invece, costano di meno i beni prodotti nel Paese che ha
svalutato.
Per quanto riguarda il tasso di interesse, più quest’ultimo è basso, più diminuisce il prezzo
del denaro, più aumenta la domanda di crediti da parte delle imprese, più aumentano gli
investimenti (inversamente, accade il contrario). La riduzione del tasso di interesse stimola
la crescita economica, ma aumentando la massa di denaro circolante può crescere anche il
livello dei prezzi, cioè l’inflazione21. Lasciare agli Stati questi due strumenti era da ostacolo
per la creazione di un mercato unico.
Con l’unione monetaria, vengono evitati i pericoli che possono portare ad una possibile
inflazione. Spariscono le monete nazionali e le decisioni sul tasso di interesse sono
accentrate nel SEBC.

Obiettivo principale dell’Unione Europea è quello di lottare contro l’inflazione. Solo dopo
aver assicurato questo obiettivo, si possono sostenere altre politiche della Comunità, come
quello della libertà di concorrenza.
L’instaurazione di una moneta unica impone un grande punto di incontro tra le economie
degli Stati dell’UE. Tutti gli Stati inoltre, devono avere condizioni finanziarie interne tali da
ridurre la possibile diffusione dell’inflazione.

21
L'aumento generalizzato e prolungato dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d'acquisto della moneta e
quindi del valore reale di tutte le grandezze monetarie.

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62 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

I parametri di Maastricht

 L'Unione monetaria europea stabilisce una serie di vincoli alle politiche di bilancio dei Paesi
membri (con eccezione del Regno Unito, Danimarca, Svezia, che hanno scelto di restare
fuori dall'Euro, e della Grecia, che non ce l'ha fatta a rientrare nei parametri). Agli Stati
nazionali, infatti, viene imposto il rispetto di "finanze pubbliche sane" e, pertanto, il Trattato
prevede che due volte l'anno gli Stati membri sottopongano i loro bilanci, quello in corso e
quello previsto, ad una procedura di esame. L'obiettivo è quello di evitare i disavanzi
eccessivi (che sono ritenuti i principali sintomi di finanze non sane). Secondo il Trattato CE
ed il Protocollo aggiuntivo un disavanzo è ritenuto eccessivo se:
- il disavanzo supera la soglia del 3% del Prodotto Interno Lordo (PIL);
- il debito pubblico supera la soglia del 60% del PIL.
Per la verifica dei parametri di convergenza deve farsi riferimento al conto consolidato delle
pubbliche amministrazioni che comprende, oltre alle amministrazioni statali, anche le
Regioni, gli Enti locali e gli Enti di previdenza. Qualora in un Paese membro un disavanzo
risulti eccessivo, la Commissione europea deve preparare un rapporto al Consiglio, che può
fare delle raccomandazioni al Paese in questione. Ove queste non siano prese in
considerazione possono essere emesse delle sanzioni pecuniarie. Questa disciplina è stata
completata dal cosiddetto Patto di stabilità, concordato in occasione del Consiglio europeo
di Amsterdam nel giugno 1997. In virtù del Patto di stabilità i Paesi aderenti si impegnano a
porsi un obiettivo di bilancio pubblico in pareggio nel medio termine.
Queste prescrizioni si spiegano in quanto, nella prospettiva del Trattato, la politica di
bilancio deve essere diretta ad assicurare la stabilità dei prezzi ed ha un ruolo strumentale
rispetto alla politica monetaria. Ciò ha imposto ai Paesi aderenti all'Unione, e
particolarmente all'Italia, un'opera di risanamento finanziario che ha consentito di rispettare
i "parametri di Maastricht". Il risanamento finanziario ed il rispetto dei vincoli comunitari si
appoggiano su procedure decisionali congegnate in modo tale da garantire il rispetto di tali
vincoli ponendo freni alla crescita incontrollata della spesa ed all'indebitamento.

L’unione economica e monetaria comporta una moneta ed una politica monetaria unica
gestite dal SEBC, che è un organismo di tipo “federale” composto dalle banche centrali
nazionali e, in posizione sovraordinata, dalla BCE (Banca centrale europea).
Nel SEBC, le Banche centrali (in Italia, si chiama “Banca d’Italia”) svolgono
fondamentalmente 2 compiti:
1) concorrere, tramite il proprio vertice istituzionale (il Governatore), a determinare le
decisioni del Consiglio direttivo della BCE;
2) dare attuazione a tali decisioni entro il confine del proprio Paese.
Attualmente aderiscono all’euro (€), 18 dei 28 Stati dell’UE.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 63

7.5 La crisi finanziaria in Europa e la nuova governance economica


In questo contesto istituzionale, la funzione monetaria è stata integralmente sottratta alle
autorità nazionali ed è concepita come attività “tecnica”, completamente separata dai poteri
politici nazionali e comunitari.
Secondo il meccanismo introdotto con il Trattato di Maastricht e confermato dal TFUE, la
politica monetaria doveva essere condotta a livello sovrannazionale dalla BCE, mentre le
politiche di bilancio22 erano di competenze dei singoli Stati.
I fatti hanno però dimostrato che questo meccanismo non è riuscito ad imporre la riduzione
del debito pubblico e del disavanzo di bilancio in modo da assicurare il rispetto dei
parametri di Maastricht, né è riuscito ad impedire che gli squilibri macroeconomici e di
bilancio di alcuni Paesi si riflettessero sulla stabilità finanziaria di tutta l’Eurozona23.
Nel 2010, il debito pubblico della Grecia era pari al 140.2% del PIL, dell’Irlanda al 97.4%,
della Spagna al 64,4%, del Portogallo al 93%, dell’Italia al 118%. In questo contesto è
aumentato il rischio, percepito dai mercati finanziari, che alcuni Stati non fossero più in
grado di pagare i propri debiti (insolvenza o default dello Stato24).
Né è derivato l’aumento notevole degli interessi25 che questi Stati hanno dovuto pagare agli
acquirenti dei titoli di debito pubblico. In questo modo si innesta un circolo vizioso:
l’elevato stock di debito pubblico fa aumentare i tassi di interesse, ma l’aumento dei tassi di
interesse significa aumento della spesa dello Stato, che è finanziata con altro debito
pubblico. La conseguenza è stata l’aggravarsi della crisi finanziaria degli Stati il cui volume
complessivo di debito è andato crescendo. I mercati finanziari, mossi ora da intenti
speculativi, ora dalla paura dell’insolvenza dello Stato, hanno prima colpito con la richiesta
di alti tassi di interesse uno Stato specifico, ma poi la paura e la speculazione si sono estesi
da uno Stato all’altro, determinando così quello che è stato chiamato il rischio di “contagio”.
In questo modo vengono evidenziati alcuni dei limiti dell’Unione economica e monetaria.
Gli Stati hanno messo in comune la politica monetaria ma hanno mantenuto la titolarità
delle politiche di bilancio e non hanno previsto alcun meccanismo che in caso di crisi
assicurasse il pagamento del debito pubblico.

22
Come la determinazione delle spese pubbliche, delle entrate e del debito pubblico.
23
L'area economica corrispondente al complesso dei paesi europei che adottano l'euro come moneta di corso legale.
24
In finanza pubblica l'insolvenza sovrana (o nazionale) è la condizione in cui viene a trovarsi uno Stato sovrano che
non è più in grado di restituire completamente il suo debito pubblico ai creditori (insolvenza, fallimento o default).
Può essere accompagnato da una dichiarazione formale di un governo circa l'intenzione di pagare solo in parte (o non
pagare) i propri debiti (un taglio parziale dei debiti è detto haircut), oppure consistere in un comportamento
concludente, in cui uno stato cessa de facto i pagamenti dovuti alle scadenze stabilite.
25
Sono il prezzo del denaro preso in prestito dagli Stati, e, questo prezzo aumenta quanto più cresce il rischio di un
mancato rimborso del prestito.

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64 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

I punti critici principali sono 2:


1) Mancanza di un meccanismo che assicuri “solvibilità” per gli Stati che incorrono ad
una crisi delle finanze pubbliche;
2) Debolezza dei meccanismi istituzionali con cui assicurare che gli Stati perseguano
veramente l’obiettivo di avere finanze pubbliche “sane”, visto che la politica di
bilancio è rimasta nelle loro attribuzioni.
Per affrontare la grave crisi delle finanze degli Stati dell’Eurozona, sono state introdotte
importanti riforme. In questo contesto, la nuova governance economica europea (introdotta
a partire dal 2010), ha rafforzato il coordinamento a livello europeo delle politiche di
bilancio degli Stati, soprattutto di quelli che hanno un livello elevato di debito pubblico e
rischiano l’insolvenza. Questi ultimi sono tenuti a seguire le c.d. “riforme strutturali”,
ovvero seguendo riforme politiche economiche determinate in sede europea.
Le principali innovazioni adottate tra il 2010 ed il
2014 sono le seguenti:
a) il semestre europeo, che consiste in una
procedura finalizzata al coordinamento preventivo
delle politiche economiche e di bilancio degli Stati
membri. Il calendario del semestre europeo è
articolato nel modo seguente:
- Gennaio, avviene “analisi annuale sulla crescita”;
- Marzo, indicazione da parte della Commissione
degli obiettivi di politica economica europea per
l’UE e per l’Area Euro e creazione linee guida;
- Aprile, indicazione dei “Programmi di stabilità” e
“Programmi nazionali di riforma”;
- Giugno e Luglio, il Consiglio europeo e il
Consiglio dei ministri finanziari sulla base della
valutazione dei programmi di stabilità, forniscono
indicazioni specifiche per ciascun Paese. Il consiglio
può invitare uno Stato membro a rivedere il
programma presentato;
- Ottobre, invio da parte di ogni Stato del DPB
(Documento Programmatico di Bilancio);
- Entro fine Novembre, la Commissione europea
adotta e presenta all’Eurogruppo, un parere sul
DPB, in cui è valutata la conformità dei Programmi
di bilancio alle raccomandazioni formulate
nell’ambito del semestre europeo. Allo Stato può
essere richiesto di rivedere il proprio DPB sulla base
delle osservazioni formulate in sede europea.

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 65

b) la nuova sorveglianza macroeconomica e finanziaria, introdotta con il cosiddetto


“six pack” (ossia un insieme di sei regolamenti comunitari), che ha modificato il
Patto di stabilità e crescita, e con il “two pack” (formato da altri due regolamenti).
In sintesi, è un meccanismo di sorveglianza sui dati macroeconomici di ciascun
Paese (quali il debito esterno, il saldo corrente, ecc.), per cui se la Commissione
ritiene che vi siano degli squilibri può chiedere allo Stato di adottare misure di
politica economica dirette alla loro eliminazione;

c) il “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione


europea, firmato il 2 marzo 2012, la cui parte fondamentale è il patto di bilancio
(cosiddetto fiscal compact). Si tratta di un vero e proprio trattato internazionale
stipulato al di fuori dei Trattati su cui si fonda l’UE. Ad esso non hanno aderito il
Regno Unito e la Repubblica Ceca. Il nuovo Trattato si caratterizza soprattutto
per l’introduzione di 2 regole:
- Introduzione del “pareggio di bilancio”, o più precisamente del divieto per il
deficit strutturale di superare lo 0,5% del PIL (regola che dovrà essere
recepita dagli ordinamenti nazionali, possibilmente con una modifica
costituzionale);
- Individuazione di un percorso o di riduzione del debito pubblico, in rapporto
al PIL (riduzione che per l’Italia equivale a alcune decine di miliardi di euro
per ogni anno!).

d) l’introduzione di un meccanismo di solidarietà diretto ad aiutare gli Stati in


difficoltà finanziaria. Prima, nel corso del 2010, è stato introdotto l’European
Financial Stability Facility (EFSF), dotato di risorse finanziarie messe a
disposizione da parte degli Stati membri (440 miliardi di euro), per aiutare i Paesi
in difficoltà, sulla base di piani caratterizzati da rigorosa “condizionalità” (vale a
dire che gli aiuti finanziari sono subordinati ad un programma di riforme tese a
migliorare i conti pubblici). Sulla base di questi meccanismo sono stati erogati
ingenti aiuti finanziari alla Grecia, al Portogallo e all’Irlanda. La durata dell’EFSF
veniva limitata a soli 3 anni. Perciò successivamente, sulla base di un apposito
trattato internazionale, è stato istituito un meccanismo permanente di intervento
diretto ad assicurare la stabilità finanziaria nell’area euro: il MES (meccanismo
europeo di stabilità), destinato ad assumere, dal 1° luglio 2012, le funzioni
dell’EFSF. Al momento della sua istituzione il MES è stato dotato di un capitale
sottoscritto di 700 miliardi di euro e di una capacità di prestito fino a 500 miliardi.
Con successivi accorsi si è provveduto ad aumentare la suddetta capacità di
intervento;

e) la creazione di un’Unione Bancaria, diretta a evitare i rischi di “contagio” tra


sistema finanziario privato e finanza pubblica degli Stati.

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66 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

7.6 Il “deficit democratico” dell’UE, le elezioni europee del 2014 e il Brexit


Dal rafforzamento della governance economica europea è risultato accresciuto il cosiddetto
“deficit democratico dell’Unione”. Quest’ultima, infatti, è investita di rilevanti competenze
che condizionano i principali aspetti della vita dei cittadini di tutti gli Stati membri, ma le
decisioni che in questo modo vengo prese a livello europeo non sono adottate da organi
scelti da quei cittadini attraverso le procedure democratiche.
Piuttosto, le politiche europee, che condizionano quelle statali, appaiono, in tanti casi,
espressione delle scelte operate dai tecnici di Bruxelles e dei meccanismi giuridici, dotati di
interni automatismi (come quelli che riguardano il controllo del deficit e del debito
pubblico), dando luogo al pericolo di una prevalenza della tecnocrazia sulla democrazia.
Il deficit di democrazia si è aggravato per effetto delle innovazioni introdotte per rispondere
alla crisi dei debiti sovrani. Infatti, per accedere ai fondi istituti per salvare gli Stati che
correvano il rischio della bancarotta, l’erogazione dell’aiuto è stata subordinata
all’attuazione di programmi diretti a rimettere in ordine i conti pubblici. Pertanto gli Stati
debitori (Grecia, Spagna, Portogallo) hanno dovuto seguire politiche di austerità (che
inevitabilmente comportano elevati costi sociali), sostanzialmente decise al di fuori del
circuito della democrazia nazionale da parte di istituzioni europee, in cui contavano
soprattutto la volontà di quegli Stati con finanze pubbliche sane, che dovevano erogare gli
aiuti (gli Stati creditori), ed in particolare della Germania. Anche paesi come l’Italia, in cui
la crisi del debito non è stata così grave da richiedere l’aiuto finanziario dei cosiddetti (fondi
salva Stati”, sono stati sottoposti a politiche di forte rigore finanziario, imposte dalla nuova
governance economica europea e dal fiscal compact.
La conseguenza è che i cittadini degli Stati in difficoltà finanziaria hanno dovuto sopportare
i sacrifici derivanti dalle politiche di austerità, che sono apparse come politiche decise dagli
Stati creditori, al di fuori del circuito democratico. Ma anche i cittadini degli Stati creditori,
che hanno dovuto sopportare gli oneri finanziari degli aiuti ai Paesi in difficoltà, hanno
percepito di dover subire le conseguenze delle politiche di lassismo finanziario che
sarebbero state seguite da questi ultimi.
Per queste ragioni l’UE si trova davanti a un bivio:
1) restituire agli Stati nazionali una parte delle competenze perdute (soprattutto in
materia di politica monetaria, dal tasso di cambio e di politica economica);
2) procedere in avanti con il processo di integrazione.
La strada (1) è quella adottata dai partiti populisti ed euroscettici che, in numerosi Paesi
(Dalla Francia, all’Italia, al Regno Unito) hanno ottenuto consistenti successi nelle elezioni
per il rinnovo del Parlamento europeo della primavera 201426.

26
Particolarmente importanti in quanto, i partiti hanno proposto direttamente agli elettori di tutti i Paesi europei un
candidato alla carica di Presidente della Commissione. La competizione ha visto scontrarsi Junker(popolare) e
Schulz(socialdemocratico). Per nessuno dei due arrivò maggioranza dei seggi elettorali, quindi si arrivò ad una
coalizione, con a capo della Commissione, Junker. Il fatto è politicamente assai rilevante poiché: sono stati abbattuti i
particolarismi dei singoli Stati facendo votare un unico candidato sottoposto a tutti gli elettori; Junker si è presentato

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Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale 67

La crisi greca e il referendum sul programma di austerità nel 2015


 La questione democratica è riesplosa con forza nel corso del 2015, quando ha vinto le
elezioni in Grecia un partito di sinistra radicale (Syriza), contestando le politiche di austerità
imposte dall’UE. È stato formato un governo guidato dal Premier Tsipras, con l’appoggio
parlamentare anche delle altre forze contrarie alle politiche di austerità. Il Governo ha
avviato un duro negoziato con le istituzioni europee per accedere ad un 3° programma di
aiuti finanziari, al fine di evitare il rischio di default dello Stato, incapace di rimborsare i
debiti. Il programma prevedeva importanti riforme strutturali e la continuazione del rigore
finanziario. Questi profili apparivano in contrasto con le promesse elettorali di Syriza:
pertanto si sono sprigionate forti tensioni politiche: il programma delle istituzioni europee
cui era subordinato l’accesso agli aiuti finanziari, veniva sottoposto in Grecia, ad un
referendum, in cuoi sono prevalsi i voti contrari al nuovo programma. Non aderire al
programma avrebbe significato per la Grecia l’uscita dall’Eurozona (c.d. Grexit) e il ritorno
alla moneta nazionale (la dracma). Questo, secondo l’opinione prevalente presso gli
economisti, avrebbe comportato conseguenze devastanti per l’economia greca, con
instabilità monetaria, iperinflazione, crollo del potere d’acquisto di salari e pensioni,
fallimento delle banche, e vanificazioni dei risparmi, e così via. L’altro scenario si basava,
invece, sulla ripresa del negoziato con le istituzioni europee, restaurando il rapporto di
fiducia con gli altri Stati dell’Eurozona, ma non rispettando le indicazioni democraticamente
espresse dal corpo elettorale greco. Per evitare il fallimento dello Stato e l’uscita dall’euro
della Grecia, il premier Tsipras ha scelto questa seconda strada. La vicenda greca, tra l’altro,
ha messo in evidenza l’esistenza di una doppia “doppia fiducia” che nella complessa
architettura istituzionale europea devono avere i Governi e i dilemmi in cui si dibatte la
democrazia in Europa. I governi degli Stati europei, e soprattutto quelli che fanno parte
dell’Eurozona, devono avere la fiducia del corpo elettorale nazionale e del loro Parlamento,
ma, al tempo stesso, devono mantenere la fiducia dei partners europei. Quest’ultima è una
condizione necessaria per godere dei programmi finanziari di aiuto, ma è altresì importante
per quei Paesi (come l’Italia) che intendono avvalersi dei margini di elasticità esistenti nella
disciplina finanziaria europea sul rapporto deficit/PIL e debito/PIL per avere maggiori
margini di manovra sui bilanci nazionali al fine di poter destinare risorse alla crescita
economica.

L’appartenenza all’Eurozona si basa sulla fiducia reciproca degli Stati, ognuno dei quali
deve avere la ragionevole aspettativa che gli altri adempiranno lealmente i loro doveri. Nella
vicenda greca questa fiducia è stata scossa in profondità. Da un lato la Grecia era accusata
dagli Stati creditori (che avevano finanziato i primi due programmi di aiuti), prima di avere
truccato i bilanci creando un debito pubblico enorme, poi di non voler fare i sacrifici
necessari, godendo di aiuti il cui peso finanziario ricadeva sulle spalle dei contribuenti di
altri Paesi. Di contro, i popoli, come quello greco, che hanno sofferto le conseguenze

al voto del Parlamento europeo, su designazione del consiglio europeo, sulla base di un preciso programma politico,
rafforzando ulteriormente una prospettiva politica transnazionale che vede instaurarsi un rapporto di fiducia tra
istituzioni espressione di tutti i cittadini e non dei singoli Stati; si è avviata la tendenza ad un evoluzione in senso
parlamentare della forma di governo europea, con un Presidente della commissione scelto dai partiti che ottengono la
maggioranza alle elezioni europee, con un suo programma politico, e che poi è eletto dal Parlamento europeo, che
successivamente può censurarlo costringendolo alle dimissioni; infine, il programma di Junker spinge verso
l’approfondimento dell’integrazione europea, in diversi settori, a cominciare dalla politica economica.

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68 Appunti di Diritto Costituzionale – Monetti Pasquale

pesantissime di una politica di austerità che ha falcidiato i loro redditi, hanno perso fiducia
negli altri Stati accusati di voler punire il popolo greco.

Il principio democratico è sottoposto a forti tensioni nel sistema di governo multilivello


europeo. Da qui partono le due diverse prospettive politiche istituzionali citate prima (vedi
pagina 66).
La crisi britannica e il “Brexit”

 Il 23 giugno 2016 in Gran Bretagna si è tenuto un referendum sulla permanenza della stessa
nell’Unione europea. La maggioranza degli elettori britannici si è espressa a favore del
recesso dall’Unione, i cui membri quindi scenderanno a 27. Sulla base dei risultati del
referendum il Governo inglese dovrà azionare l’art.50 del Trattato sull’Unione europea,
secondo cui ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione. Questa decisione viene
notificata al Consiglio europeo. Alla luce degli
orientamenti formulati dal Consiglio europeo,
l’Unione negozia e conclude con tale Stato un
accordo volto a definire le modalità del recesso,
tenendo conto del quadro delle future relazioni
con l’Unione. Ess è concluso dal Consiglio, che
delibera a maggioranza qualificata, previa
approvazione del Parlamento europeo. Dopo il
referendum britannico, che ha sorpreso un po’
tutti e ha provocato anche pesanti reazioni per la
premiership del Governo e la leadership dei
partiti, la lunga e imprevedibile trattativa per
l’exit si prospetta lunga. Il Regno Unito uscirà
dall'Unione Europea alle 23 (ora di Greenwich)
del 29 marzo 2019. A scriverlo, "nero su
bianco", è la premier britannica Theresa May,
che in un intervento sul Telegraph annuncia la
presentazione di un emendamento alla proposta
di legge per l'Uscita dalla Ue (EU Withdrawal
Bill), che stabilisce l'ora e la data esatta della
Brexit.

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