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1. Premessa
Premessa
La funzione regolatrice della pubblica amministrazione ha assunto un ruolo sempre più crescente nella pubblica
amministrazione. Infatti in molti casi la legge si limita a porre i principi fondamentali di una disciplina e delega agli
apparati amministrativi il compito si stabilire in via sublegislativa, con atti normativi e con altri tipi di atti ( circolari,
linee giuda, norme tecniche) le regole di dettaglio volte a disciplinare anche i comportamenti del privato. C’è una
distinzione tra fonti sull’amministazione e fonti dell’amministrazione. Le prime hanno come destinatario le
pubbliche amministrazioni che diventano soggetti regolati, sottoposti ai principi dettati dallo stato di diritto.
Esse disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri delle amministrazioni e fungono da parametro per sindacare
la legittimità dei provvedimenti da esse emanate. Le fonti sull’amministrazione sono costituite, in base al principio
della riserva di legge relativa. Le fonti dell’amministrazione sono strumenti a disposizione di quest’ultime sia per
regolare comportamenti con privati, nei limiti dettati dalla legge, che per disciplinare i propri apparati e i loro
funzionamenti. Esse danno sostanza alla funzione di regolazione propria delle pubbliche amministrazioni.
La Costituzione
La nostra Costituzione del 1948, in base al criterio della gerarchia, è la fonte giuridica di rango più elevato.
Considerata una costituzione rigida e lunga, per la sua modifica occorre un procedimento denominato aggravato.
Essa non definisce solo i diritti di libertà del cittadino ma traccia l’assetto generale dello stato-ordinamento. Infatti
essa individua ampie serie di compiti dei quali lo stato e la pubblica amministrazione deve farsi carico nell’interesse
della collettività. La Costituzione non tratta in modo diffuso l’assetto della pubblica amministrazione ma ne contiene i
essenziali in tema di organizzazione di raccordi tra politica e amministrazione, di assetto della giustizia
amministrativa. Inoltre contiene il principio dell’autonomia e la discendenza dei livelli di governo dai comuni fino allo
stato. Anche il principio di sussidiarietà è trattato in modo fondamentale e generale per il riparto delle funzioni
amministrative. Con la legge costituzionale 3/2001 sono state ridefinite le competenze legislative tra stato e regioni
esercitate in rispetto della costituzione e dei trattati comunitari.
Fonti dell’Unione Europea
La potestà legislativa dello stato e delle regioni e sottoposta ai vincoli derivanti dal diritto comunitario. Nella gerarchia
delle fonti, l’Unione Europea si pone su di un livello più elevato rispetto alla legge ordinaria. Vige il principio secondo
il quale le norme nazionali contrastanti con il diritto comunitario devono essere disapplicate. Tale principio deve
essere utilizzato sia dai giudici in sede di controversie che dalla pubblica amministrazione quando esercita il potere di
emanare un provvedimento. Infatti il diritto europeo vieta ad una pubblica amministrazione di dare esecuzione ad
un provvedimento illegittimo e contrario ad una sentenza della corte europea.
Le fonti europee sono sostanzialmente formate da Trattati che nel corso degli anni sono stato modificati e integrati
fino ad arrivare all’ultimo trattato di Lisbona è entrato in vigore nel 2009. Tale trattato e frutto dell’unione di due
trattati precedenti. Ossia il trattato sull’Unione Europea, approvato nel 1992 e il trattato sul funzionamento
dell’unione europea del 2004. In aggiunta dei trattati vi sono le carte dei diritti fondamentali e la convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Seconda fonte del diritto europeo sono i Regolamenti, i quali sono atti motivati a portata generale che vincolano tutti
gli stati membri e i loro cittadini.
Altra fonte del diritto europeo è senza dubbio le Direttive. Esse sono atti emanate dal consiglio europeo o dalla
corte europea hanno per destinatari gli stati membri e sono vincolanti soprattutto per il risultato da raggiungere
e i tempi previsti, salvo restante la modalità di raggiungimento che resta a discrezione dello stato membro. Esse
dunque sono regole da seguire immediatamente applicabili
che al pari dei regolamenti dovranno essere motivate.
Tra gli atti dell’Unione europea si collocano per ultimo le Decisioni. Esse hanno un contenuto puntuale e si
applicano a fattispecie concrete attraverso norme generali e astratte previste dalle fonti comunitarie. Esse
possono assumere una duplice forma.
La prima e quella di decisioni quadro adottate dal consiglio per promuovere le disposizioni legislative
all’ordinamento europeo, la seconda forma e quella generica le quali possono avere qualsiasi scopo o obiettivo
coerenti con i trattati.
Il recepimento delle norme europee per gli stati membri, avviene attraverso due leggi annuali. La prima e la legge
europea che abroga le disposizioni statali in contrasto con l’ordinamento europeo; la seconda legge è quella di
delegazione europea, nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta, la quale attribuisce particolari deleghe
al governo dello stato membro, per il recepimento delle direttive europee. Tale legge è stata rinforzata nel
2012 con l’emissione della legge 234/2012.
esecuzione. I regolamenti di questo tipo possono essere emessi per dare esecuzione a regolamenti europei e
nei casi di legge di delegazione europea.
2) Regolamenti Governativi per l’Attuazione e l’Integrazione, sono un insieme di regole che possono essere
emanate nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti a dettare i principi
generali ed autorizzi al Governo a disporre la disciplina di dettaglio.
3) Regolamenti Governativi indipendenti al contrario, disciplinano, pur nel rispetto delle norme di grado
superiore, i settori deferiti integralmente alla potestà normativa della P.A.
4) Regolamenti di organizzazione concernenti l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni dello
Stato, l’ordinamento del personale e degli enti ed istituti pubblici.
5) Regolamenti delegati o autorizzati. Tale figura ricorrerebbe nei casi sottoelencati
- Una legge autorizzi un regolamento a derogare a certe disposizioni primarie ben individuate;
- Una legge stabilisca che da un certo tempo in poi una materia, prima riservata, venga disciplinata da
un regolamento (c.d. delegificazione);
- Una legge statuisca che una materia, potenzialmente riservata, in futuro verrà disciplinata ex lege solo
se, nel frattempo, non venga adottato un regolamento;
- Tutti i regolamenti sin qui descritti sono di competenza del consiglio dei ministri (governo).
6) Regolamenti Ministeriali e Interministeriali, essi sono regolamenti emanati da un ministro o più ministri in modo
congiunto nelle loro materie specifiche di competenza. Questi regolamenti possono essere emessi solo in casi
specifici previsti dalla legge e sono gerarchicamente sotto ordinati ai regolamenti governativi.
Sotto il profilo procedurale i regolamenti, che possono essere anche non motivati, sono approvati previo il parere
del Consiglio di Stato il quale effettuerà un controllo preventivo della legittimità e provvederà ad farlo
registrare presso la corte dei conti. Ricordiamo sempre che i regolamenti governativi sono emessi dal governo per le
sole materie di specifica competenza assegnata ai sensi dell’art. 117 della costituzione. Per quanto riguarda il
regime giuridico dei regolamenti possiamo affermare che essi rappresentano degli atti formalmente amministrativi
ma sostanzialmente normativi come i provvedimenti amministrativi. Essi inoltre, come già accennato in
precedenza, non potranno essere contrari alla legge altrimenti potranno essere impugnati dinnanzi al giudice
amministrativo e conseguentemente annullati. Infine tali regolamenti, in base al principio della preferenza della
legge, i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario e amministrativo.
Cenni alle fonti normative regionali, degli enti locali e altri enti pubblici
La costituzione indica tra le fonti normative regionali gli statuti, le leggi regionali e i regolamenti.
1) Lo Statuto Regionale delle regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento. La sua approvazione avviene attraverso un procedimento aggravato ed è
successivamente approvato con legge costituzionale.
2) Le Leggi Regionali, emesse nelle materie di stretta competenza, ai sensi dell’art. 117 della costituzione
sono approvate dal consiglio regionale e poi promulgate dal presidente della regione. Tuttavia può succedere
in casi particolari che lo stato possa legiferare in materie di competenza regionale entro certi limiti e per certe
relative ragioni.
3) I Regolamenti Regionali sono provvedimenti adottati dalla giunta regionale e possono essere emanati secondo
il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari.
Le fonti normative di comuni, provincie e città metropolitane sono essenzialmente gli statuti e i regolamenti.
1) Gli Statuti degli Enti Locali sono menzionati all’art. 114 della Costituzione che qualifica gli enti locali come
enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni valorizzando ciò che è sancito allo stesso art. 5 della
costituzione dove viene espressa enunciato il principio secondo il quale la repubblica riconosce e promuove le
autonomie locali. Lo statuto dovrà essere approvato dalla maggioranza di due terzi del consiglio dell’ente. Sotto
al profilo gerarchico, gli statuti degli enti locali sono sotto ordinate alla legge ordinaria.
2) I Regolamenti degli Enti Locali, sono menzionati allart. 117 della costituzione nonchè disciplinati dal testo unico
degli enti locali, il quale sancisce che tali atti amministrativi vengano emanati solo nelle materie di competenza
degli enti locali e nei limiti fissati dalla legge e dallo statuto. Essi disciplinano e organizzano il funzionamento di
organi e uffici.
3) I Regolamenti Comunale approvati dallo stesso consiglio comunale costituiscono una fonte assai frequente
ed intervengono in materie come urbanistica, traffico, commercio, edilizia, rifiuti ecc. ecc. a partire dagli anni
novanta molti enti pubblici hanno acquisito una autonomia sempre maggiore con una maggiore podestà di
dotarsi di un proprio statuto autonomo, sempre nel rispetto totale della legge.
Gli atti di regolazione non aventi natura normativa
La funzione di regolazione delle pubbliche amministrazioni si esplica anche attraverso l’emanazione di atti aventi
natura non normativa. Le distinzioni tra atti normativi e non normativi sono molteplici. Ricordiamo tra le più
importanti e proprio la presenza dei caratteri generali come la generalità, l’astrattezza e la
novità. Inoltre un atto di carattere normativo è sempre esecutivo e finalizzato ad regolare e modificare i rapporti
giuridici dei riceventi.
Gli atti amministrativi generali
Di regola i provvedimenti amministrativi hanno il contenuto concreato e si rivolgono ad uno o più destinatari.
Essi fissano autoritativamente il modo di essere di un rapporto giuridico con la pubblica amministrazione in
relazione ad una specifica situazione di fatto. Tuttavia di frequente la pubblica amministrazione ha il potere di
emanare atti a portata generale avente contenuto generale. Essi si rivolgono a categorie generiche e ampie con il
carattere dell’astrattezza.
Tra gli atti generali della pubblica amministrazione si annoverano i piani, i programmi, le direttive, gli atti di
indirizzo, le linee guida, le autorizzazioni generali, i bandi militari, i provvedimenti prezzi e tariffe. Alcuni di questi
atti esprimono una scelta politica amministrativa per questo sono emanati da organi amministrativi ancorati alla
politica. A livello statale gli atti amministrativi generali sono di competenza del governo o ai ministri per
l’organizzazione ed il funzionamento del proprio dicastero. A livello locale le competenze sono del consiglio
comunale e provinciale e prendono il nome di programmi (nel settore dei lavori pubblici prendono il nome di
piani territoriali e urbanistici). Gli atti amministrativi generali sono soggetti ad un regime giuridico che deroga in
parte a quello dei provvedimenti amministrativi normativi ai sensi della legge 241/90.
Bandi di concorso e avvisi di gara
Tra gli atti amministrativi generali privi di carattere di astrattezza, quindi non normativi, rientrano i bandi di
concorso pubblico per l’assunzione di pubblici dipendenti e gli avvisi di gara di appalto per l’affidamento di lavori
pubblici. Essi specificano per il primo caso, la presentazione della domanda , la scadenza e i titoli per partecipare
al concorso pubblico. nel secondo caso oggetto dei lavori o della fornitura scadenza per la presentazione della
domanda e importo e tanto altro. Tali documenti sono temporanei, in quando cessa il loro effetto con
l’espletamento del concorso o dell’affidamento.
Gli atti di pianificazione e programmazione
Tale forma di atto è spesso emanato in quanto per la pubblica amministrazione è necessario programmare in
anticipo il come effettuare un determinato compito.
Per questi motivi vengono emanati in primis atti di tipo programmatico e pianificatori previsti dalla legge con
i quali si prefigurano obiettivi, limiti e priorità. Tale attività di pianificazione e programmazione ha ancora
un’altro scopo fondamentale che è quello di creare raccordi tra i diversi livelli del governo attraverso il metodo della
pianificazione a cascata. Ultimamente ci si è reo conto che tale forma di atto era un pò troppo intrusiva ed tendeva
ad alterare e distorcere il regime di concorrenza e a seguito dell’affermarsi del modello di stato regolatore tale
forma di atto oggi sono stati soppressi dalla pubblica amministrazione.
Un’approfondimento a parte merita il Piano Regolatore Generale del comune.
Esso costituisce lo strumento principale del governo del territorio. Nato nel 1942 dalla legge urbanistica oggi è
disciplinato dalla normativa regionale e consiste nella suddivisione del territorio comunale in zone omogenee
con l’indicazione delle zone e le attività insediabili su di essa (zone edificabili, agricole, industriali,
parchi ecc). Il piano regolatore si inserisce tra gli strumenti della pubblica amministrazione in materia di
programmazione, ed è condizionato a monte dal piano territoriale provinciale e da quello paesaggistico regionale.
Vi sono anche degli strumenti attuativi del piano regolatore generale e sono: il piano
particolareggiato, il piano di riqualificazione territoriale, i piani di zona di edilizia residenziale pubblica ecc.
Le ordinanze contingibili e urgenti
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Gli ordinamenti statuali si dotano usualmente di strumenti per far fonte a situazioni di emergenza
imprevedibili. Sin dall’avvento della costituzione del 1948, a seguito del potere fascista, il potere delle ordinanze,
adottate in periodi di emergenza, è stato molto utilizzato. Tale potere è stato assorbito nei poteri del governo che
nei casi straordinari può emanare un decreto legge contenenti disposizioni di rango primario. A livello
subcostituzionale molte disposizioni di legge attribuiscono un potere similare a organi amministrativi di
emanare ordinanze urgenti, in ottemperanza alla legge e alla costituzione, nei settori che riguardano strettamente il
territorio di competenza. I settori dove è possibile intervenire sono l’ordine pubblico, la sanità, l’ambiente, la
protezione civile ecc.
Esempi possono essere le ordinanze Prefettizie nei casi di gravi necessità pubbliche e di pubblica sicurezza. Alto
esempio le ordinanze Sindacali (Sindaco), il quale in veste di ufficiale di governo, può adottare provvedimenti urgenti
per far fronte a gravi e urgenti pericoli. Anche in materia di protezione civile è possibile l’emissione di
ordinanze soprattutto in presenza di gravi catastrofi naturali (terremoti, inondazioni ecc.).
Come abbiamo già detto, le ordinanze dovranno essere conformi alla legge che si limiterà ad individuare l’organo
competente, a descrivere i termini, e a specificare il fine pubblico da perseguire. Per il resto provvederà
appunto l’organo competente.
Le particolarità delle ordinanze sono:
- Legittimità;
- Costituzionalità;
- Efficacia limitata nel tempo e nello spazio;
- Motivazione;
- Adeguatamente pubblicizzate.
Le ordinanze sono considerate uno strumento etra ordinem e per cui assumono un ruolo residuale alla legge. Per
quanto riguarda la qualificazione giuridica sono da annoverare tra gli atti non normativi in quanto si riferiscono
a situazioni e accadimenti specifici e dunque hanno un carattere concreto (non astratto) e una temporaneità
circoscritta.
Tuttavia a volte si verifica che il tempo si protrae ben oltre le previsioni, a questo punto l’ordinanza assume dei
caratteri diversi perdendo il carattere temporaneo e divenendo atti similari a veri e propri regolamenti comunali,
quindi normativi.
Le direttive e gli atti di indirizzo
Le direttive amministrative sono atti affini agli atti di pianificazione in quanto atti con funzioni politiche
amministrative. Il loro contenuto e limitato ad una mera indicazione dei fini da perseguire, obiettivi da
raggiungere, criteri da adottare, mezzi per il raggiungimento, lasciando al destinatario ampi spazi di valutazione e di
decisione per il perseguimento del fine preposto. A tale atto il destinatario ovviamente può anche disattendere
le indicazioni per ragioni che dovrà motivare.
Le direttive si distinguono in direttive inter-organiche e direttive intersoggettive.
Le Direttive Interorganiche
Sono uno strumento attraverso il quale un organo sovraordinato indica e orienta il lavoro da svolgere ad un
organo sotto ordinato relativamente ad una situazione concreta.
Le Direttive Intersoggettive
Sono lo strumento attraverso il qualeun soggetto sovraordinato indirizzi il lavora di un soggetto o organo sotto
ordinato affinchè si adegui a quelli che sono i fini istituzionali del soggetto sovra-ordianto.
Le norme interne e le circolari e la prassi amministrativa
Tutte le pubbliche amministrazioni emanano norme relative al proprio funzionamento e alla modalità di
svolgimento della propria attività, tuttavia non possono essere annoverate tra le fondi del diritto se pur non
possono essere in contrasto con la legge. La categoria più nota delle disposizioni interne per la pubblica
amministrazione sono le Circolari.
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Di Circolari ne esistono una varietà infinita di tipi ma in tutti i casi dovranno possedere sempre le stesse
caratteristiche ossia non sono fonti del diritto, non in contrasto con la legge, la loro inosservanza da parte di un
dipendente della stessa P.A. può dare luogo a responsabilità civili, amministrative e penali.
La Prassi Amministativa
Esso è un comportamento costante tenuto da un’amministrazione ma senza la convinzione della obbligatorietà.
I testi unici e i codici
I Testi Unici
I testi unici sono gli atti che raccolgono e coordinano disposizioni originariamente comprese in atti diversi per
semplificarne il quadro normativo.
Infatti esistono due tipi di testi unici ossia il testo normativo, che modificano e abrogano le disposizioni legislative
esistenti, oppure il testo compilativo, che si limita a raccogliere in un unico atto tutta la legislazione esistente e
attuabile.
Sono sostanzialmente delle raccolte in singole materie di norme stabili e armonizzate che garantiscono la certezza
delle regole. Esso è uno strumento a cui si è ricorso solo negli ultimi anni.
La differenza tra Testo Unico e Codice
è che il codice è concepito per essere incorporato in una fonte di rango superiore utilizzando il sistema del
decreto legislativo emanato sulla scorta di una legge delega contenente un codice.
Sviluppi recenti
Le funzioni regolatrici dello stato nel corso degli ultimi anni si stanno sempre più evolvendo mettendo in crisi le
tradizionali classificazioni degli atti amministrativi.
La prima evoluzione si è verificato con l’inserimento nel sistema della cosiddetta.
Soft Law
Tale evoluzione proviene dai paesi anglo sassoni e prevede che alcune autorità di regolazione (consob, banca d’italia
ecc.) emettano inviti, segnalazioni, messaggi, note informative dove sono specificate modalità operative e applicative
di norme secondo i propri parametri. Tali documenti risultano essere effettivamente di rilievo essenzialmente se
emanati da una autorità con una certa autorevolezza.
Altra forma evolutiva si verifica con la cosiddetta Comply or Eplain dove il regolatore non impone regole uguali
per tutti proponendo una soluzione ottimale, non vincolante, per il singolo destinatario che, se non accetta, dovrà
motivare e accollarsi le responsabilità del caso.
Più flessibile appare il sistema del Paternalismo Libertario simile al precedente, ossia individuando una opzione
preferibile per la tutela dei reali interessi dei soggetti privati, senza però eliminare la loro possibilità di scelta.
Alta forma evolutiva consiste nella Regolazione Cogestita. Tale forma di regolazione prevede il coinvolgimento di
soggetti pubblici e privati.
Ultimamente, a seguito di leggi recenti di derivazione europea, hanno reso obbligatorio attribuire ad autorità
amministrative indipendenti il potere di regolazione nei procedimenti di interesse.
Altro modello di regolazione moderna è la Regolazione Monitorata che consiste nel affidare la regolazione ad un
ente autonomo per poi essere monitorata dall’organo statale competente onde poter accertare la conformità
della regolazione alla disciplina europea. Alti modelli di co-regolazione sono rappresentati dalle autorità
indipendenti per l’energia elettrica o per l’autorità indipendente per il sistema idrico.
I procedimenti sanzionatori, cioè quelli volti all’accertamento di un illecito, spesso si chiudono con l’emissione di
una sanzione. Tuttavia, a volte, la pubblica amministrazione, in casi meno gravi accetta un impegno da parte di un
privato che possiede un carattere obbligatorio da parte del privato. Qualora non onorato, l’impegno, si tramuta in
procedimento sanzionatorio.
Altra forma di regolazione è la better regulation. Tale evoluzione introduce strumenti per determinare la qualità
della regolazione, per il perseguimento degli obiettivi, per abbattere i costi di adeguamento alle nuove normative da
parte della pubblica amministrazione ecc. è un documento contenente un’analisi preventiva che la pubblica
amministrazione deve fare, analizzando molteplici aspetti, prima di approvare un atto di regolazione.
4. Proprio alla luce del ‘giusto procedimento’, seppur non espressamente costituzionalizzato ma che costituisce
‘un criterio di orientamento per il legislatore e per l’interprete’ (Corte cost. sent. 210/1997), con la
conseguenza che informazione e partecipazione ne rappresentano un momento indefettibile, il pubblico
interesse non deve prevalere sempre e comunque, perché l’amministrazione ha l’obbligo di emanare
provvedimenti dal contenuto il più possibile condiviso.
Potere autorizzatorio va a rimuovere un limite all’esercizio di un diritto preesistente in capo al soggetto privato, il
quale è un cittadino che ha un diritto che gli spetta ma non lo può esercitare, e il potere autorizzatorio serve a
rimuovere questo limite. Lo ius edificandi è insito nel diritto di proprietà ma non si può esercitare senza
autorizzazione perché entrano in gioco altri interessi. Il potere viene utilizzato non d’ufficio, una volta sollecitato il
potere inizia il procedimento, l’ente fa un’istruttoria e manderà soggetti competenti. Il provvedimento autorizzatorio
da un vantaggio al privato. L’interesse legittimo pretensivo dove il privato aspira a qualcosa. Questo interesse è
meritevole di tutela. I poteri autorizzatori sono in via d’estinzione perché questo potere richiede un’azione da parte
della pubblica amministrazione, dal 2005 ad oggi si cerca di semplificare questo tipo di azione amministrativa
sostituendo un provvedimento espresso di autorizzazione con altre forme di conclusione del procedimento ad es. con
il silenzio, il quale è un’inerzia che andrà a concludere il procedimento autorizzatorio, al quale l’ordinamento darà un
determinato significato. Nessuno può risolvere il problema se non il giudice. Il silenzio rimane comunque un istituto
critico. Il secondo strumento è la ‘scia’ che sta per segnalazione certificata di inizio attività secondo l’art. 19 legge 241.
Questa scia è un atto privato che sconvolge in modo radicale lo schema classico. Il privato di sua iniziativa compila
una modulistica dove descrive il lavoro, allega progetto e tutto, prende la scia e lo porta in comune e espone ciò che
vuole fare. Questi due strumenti, il silenzio e la scia, sono gli strumenti che vanno a sostituire il potere autorizzatorio
però questo porta a delle criticità perché crea problemi in riferimento circa il legittimo affidamento e mettono in
discussione questa affidabilità.
Potere concessorio in questo caso non c’è più la rimozione di un diritto esistente, nella concessione si ha il
trasferimento ex novo da un soggetto pubblico a uno privato. Anche qui il privato presenta la concessione, quindi c’è
l’istanza di parte, l’interesse legittimo si ha come situazione soggettiva del privato e l’interesse legittimo è pretensivo.
Le concessioni sono di due tipi:
1. Costitutiva quando non vi è un trasferimento ma si costituisce ex novo una situazione giuridica soggettiva;
2. Traslativa si ha il trasferimento di un diritto preesistente, il diritto viene trasferito dal pubblico al privato;
Potere ablatorio potere negativo, cioè incide negativamente nella sfera giuridica soggettiva del soggetto. In questo
caso avremo un potere che crea uno svantaggio in capo al destinatario dell’interesse legittimo che non sarà più
pretensivo ma oppositivo, il privato si oppone al provvedimento negativo. Un esempio tipico è l’espropriazione per
pubblica utilità, prevista dalla Cost. art.42 co.3 e che prevede un procedimento complesso disciplinato dal DPR 327
del 2001, le fasi del procedimento sono
1. Dichiarazione di pubblica utilità criterio fondamentale per espropriare. Tale dichiarazione è contenuta in
un atto, l’espropriato. È un atto endo-procedimentale, autonomamente e immediatamente (eliminabile?).
l’atto amministrativo è un atto che troviamo all’interno di un procedimento mentre il provvedimento è sì un
atto ma è l’atto specifico di conclusione di un procedimento. (L’autorizzazione e la concessione non sono atti
amministrativi ma un provvedimento amministrativo). Dichiararne la pubblica utilità significa vincolarlo;
2. Occupazione urgente dell’area si da un indennizzo del 100%, il privato potrà opporsi ma interviene
l’ordinanza del giudice, se il giudice da ragione al privato l’indennizzo viene ricalcolato, se il privato ha torto
alla proposta viene decurtato il 40%;
3. Decreto di esproprio si ha il trasferimento del diritto di proprietà dal soggetto espropriato al soggetto
espropriante, il termine è di 5 anni dalla fine del procedimento
Potere di ordinanza utilizzato in caso di necessità e urgenza, potere atipico, non esiste senza la norma di revisione,
la norma di azione regola il contenuto del potere, il potere di ordinanza è atipico in riferimento alla norma di azione
cioè in relazione al contenuto mentre è tipico in relazione alla norma di revisione.
Poteri sanzionatori Il provvedimento sarà la sanzione amministratoria. Si ha una sanzione quando viene violato un
precetto di un provvedimento amministrativo. La legge di riferimento è la 689/81, legge generale in tema di sanzioni
ma dobbiamo rinviare a singoli codici per ritrovare singole disposizioni. Le sanzioni amministrative sono di due tipi:
1. Ripristinatorie ripristinano uno status quo ante, ricostruiscono una situazione precedente rispetto alla
violazione di un provvedimento. Sanzioni importanti per alcune tematiche, come quella ambientale (in
questo caso la presenza di un danno ambientale a come rimedio quello di ripristinare la situazione
ambientale antecedente al danno).
2. Afflittive sono considerate sanzioni pecuniarie che colpiscono direttamente il soggetto che commette la
sanzione. Sono anche di tipo interdittivo, ovvero impediscono ad un soggetto di svolgere una determinata
attività.
piena da parte del giudice. Visato che l’interesse legittimo è una situazione di tipo sostanziale, il giudice nell’arco di
48 ore riammette tizio al concorso ma con riserva.
Diritto di accesso
È una parte fondamentale della 241 del 90, la commissione Nigro aveva presentato un disegno di legge su questo
diritto. Esso è chiave del nuovo modo di agire della PA, prima del ’90 la regola era la segretezza e l’azione
amministrativa era sconosciuta, non si motivavano i provvedimenti.
L’art. 10 della 241/90 prevede due modalità di partecipazione procedimentale:
1. Memorie e osservazioni;
2. Diritto di accesso.
Tale istituto è regolato dagli artt. 22 e seguenti.
L’art. 22 è impostato dando delle definizioni:
A. Co.1 il diritto di accesso è il diritto da parte degli interessati prendere visione e di estrare copia di un
documento.
B. Hanno il diritto di accesso tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale con la
situazione giuridicamente tutelata. Si parla di un interesse legittimo cioè un interesse che a ha che fare con la
PA. La PA deve verificare l’ammissibilità del diritto di accesso. I soggetti sono anche coloro che sono portatori
di interessi diffusi, art. 9 della 241/1990. L’art. 22 co. 5 vede che le PA non hanno un vero e proprio diritto di
accesso ma possono effettuarne una richiesta basata su un principio di leale collaborazione.
C. I controinteressati all’accesso altrui li troviamo quando entra in gioco il tema della riservatezza e della
privacy.
D. L’oggetto dell’accesso è tutto ciò che è in possesso della PA.
E. Devono garantire il diritto d’accesso i soggetti passivi cioè le PA e tutti i soggetti privati limitatamente alla loro
attività di pubblico interesse.
Il diritto di accesso non deve essere uno strumento di controllo generalizzato dell’azione amministrativa. Questo
principio è importante perché l’interesse non deve essere uno strumento di controllo. La 241 in ambito di diritto di
accesso ordinario vede che esso non possa essere utilizzato come istituto ci controllo generico dell’attività della PA.
Tutto ciò è valido solo per il diritto di accesso ordinario, ci sono però dei singoli settori in cui il diritto di accesso viene
modificato (es. sulle informazioni ambientali che va in deroga sotto i profili oggettivi e soggettivi).
Il diritto di accesso ulteriore è previsto dagli artt. 43-44 del testo unico sugli enti locali abbiamo un diritto di
accesso specifico per i consiglieri comunali e regionali, i quali possono accedere a qualunque atto del proprio ente di
appartenenza purchè la richiesta sia attinente al proprio mandato. I consiglieri non hanno limiti nei confronti della
riservatezza altrui. Ciò va a compensare l’obbligo di segretezza al quale il consigliere è sottoposto.
Il diritto di accesso non deve essere uno strumento di controllo dell’azione amministrativa. La PA non può subire un
controllo da parte del privato. La PA non può subire un controllo generalizzato perché la PA rappresenta l’interesse
pubblico che si trova dietro ogni ente pubblico quindi non si esercita, se non in casi specifici, un controllo
generalizzato. Dalla legge Badia in poi si sta smussando il fatto che la PA possa subire un controllo.
Il diritto di accesso subisce un’evoluzione: il diritto di accesso della 241 al diritto ambientale, a quello del testo unico,
arriviamo al diritto di accesso civico e a uno generalizzato stabiliti dalla legge Badia in poi. Questi due nuovi tipi non
vanno contro la 241, ma sia nell’accesso civico che in quello generalizzato vediamo un obbligo della PA di pubblicare
tutte le informazioni che per legge devono essere resi visibili agli utenti nella sezione della trasparenza di un apposito
sito.
Il problema che si pone è il conflitto con la privacy: l’art. 24 della 241 indica casi di esclusione del diritto di accesso
ovvero esso non si esercita negli stessi casi dell’art. 13. Non sono soggetti all’accesso i documenti protetti dal segreto
di Stato. Il tema della privacy nasce proprio in relazione al diritto di accesso. La 241 introduce la trasparenza e quindi
si vuole andare a garantire la riservatezza. Bilanciare il diritto di accesso e la riservatezza è difficile ed interviene la
giurisprudenza, una plenaria del Consiglio di Stato, la n. 5/1997 ha cercato di raggiungere un compromesso limitando
la visione di documenti amministrativi e negando l’estrazione di copia, in caso di conflitto tra accesso e riservatezza si
può consultare i documenti ma non averne copia. Ciò non soddisfa l’esigenza di privacy tanto è vero che la legge 241
all’art. 25 non contempla più la semplice visione, esso parla di una richiesta di accesso e della possibilità di averne
una copia. L’art. 24 co. 7 prevede un bilanciamento cioè una valutazione ad opera della PA, non si pone un problema
di conflitto tra accesso e privacy se il diritto di accesso è finalizzato alla tutela giurisdizionale, ovvero il diritto di
accesso non può essere negato, anche in presenza di riservatezza altrui, se questo è funzionale a un ricorso
amministrativo. L’art. 24 Cost. parla del principio di effettività, va a limitare, a compensare qualunque forma di
riservatezza altrui ed espande il diritto di accesso. Quando invece non c’è questo tipo di requisito è rimessa alla PA la
ponderazione degli interessi quindi è una non soluzione della 241 ma rinvia invece al caso specifico.
Ai documenti amministrativi si accede in modo:
1. Informale compilando un semplice modulo presso l’ente con una visione ad estrazione di copia istantanea,
non vi è discrezionalità.
2. Formale lo troviamo al co.7 dell’art. 24 e innesta nell’ambito di un procedimento un procedimento nel
procedimento perché l’elemento centrale del nuovo procedimento è un potere legato alla discrezionalità,
essa è l’elemento necessario e fondamentale.
Nel momento in cui si ha un diniego di accesso scatta la tutela. La tutela va distinta tra giurisdizionale e giustiziale. La
241/1990 è stata polita da tutti gli articoli di tipo processuale perché sono stati inseriti nel decreto 104/2010 ovvero
nella parte codice del processo amministrativo. L’art. 116 del Codice di Processo Amministrativo fa riferimento al rito
avverso in caso di diniego di accesso, mi rivolgo al TAR in primo grado e al Consiglio di Stato per l’appello. L’art. 116
stabilisce un rito accelerato, il termine ordinario per impugnare il provvedimento anziché di 60 giorni è di 30, il
giudice ha 30 giorni per pronunciarsi, l’appello può essere richiesto entro 30 giorni. Il rito deve essere rapido perché
spesso il diritto di accesso è funzionale ad un ricorso. In primo grado grazie al TAR si ha l’assenza dell’obbligo di
patrocinio legale (la persona non ha bisogno dell’avvocato).
Rimedio di tipo giustiziale non c’è un giudice terzo ed imparziale, dinnanzi ad un diniego di accesso posso
rivolgermi alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. Il difensore civile è collocato a livello
provinciale, è una figura che fa parte dell’amministrazione dell’ente, non svolge una funzione di amministrazione
attiva (non svolge la funzione di amministrazione attiva= non adotta provvedimenti amministrativi), è una figura che
fa da moderatore tra PA e privato, è l’anello che mette in contatto l’amministrazione di riferimento e i cittadini. I
cittadini nel ricevere un diniego di accesso, se non vogliono compiere un procedimento giurisdizionale, possono
rivolgersi al difensore civico presentando un’istanza nella quale si indica cosa è successo. Il difensore o respinge entro
30 giorni l’istanza dando ragione alla PA o se da ragione al privato sollecita la PA all’esibizione del documento
amministrativo. Il difensore civico non ha nessun potere, anche se da ragione al privato non può ordinare al Comune
di far visionare i documenti, ma è soltanto uno stimolo nei confronti dell’ente. Il giudice invece, nella tutela
giurisdizionale può obbligare l’ente all’esibizione dei documenti. Il difensore invita l’ente a mostrare i documenti, se
l’ente non lo fa viene confermato il diniego. Se il difensore non riesce a convincere l’ente a mostrare i documenti, il
soggetto privato non ha più a disposizione un rimedio giurisdizionale e potrà puntare a un rimedio di tipo giustiziale,
un ricorso al Presidente.
Il tema della SCIA (selezione certificata inizio attività)
La scia si trova all’art. 19 della 241, è collegabile al tema del silenzio perché essa non è una forma di silenzio. Essa
risponde ad un meccanismo e a uno schema giuridico completamente diverso a quello del silenzio. Il silenzio è l’esito
dell’esercizio preventivo di un potere amministrativo e il potere amministrativo fa da mediatore tra la legge e il
soggetto privato, nel caso della scia invece non c’è il potere, essa invece trova il fondamento diretto nella legge,
scavalcando e rinviando la mediazione di un potere amministrativo. La scia sarà sottoposta solo successivamente a un
controllo. La PA utilizza un potere di controllo solo dopo la presentazione della scia e perché ciò si possa realizzare si
deve realizzare un presupposto fondamentale: ovvero un’assenza di discrezionalità da parte della PA, cioè la scia può
essere utilizzata solo in caso di assenza di una discrezionalità. Il controllo della conformità rispetto a quello che la scia
vuole fare e quello che la legge permette di fare.
La PA nei confronti della scia ha ben 60 giorni di tempo dal protocollo, e in questi 60 giorni la PA deve effettuare il
controllo, e può inibire la scia se non conforme o può chiedere l’integrazione di altri documenti. Cosa succede dopo
60 giorni? L’art. 19 co. 4 prevede che la PA possa intervenire in auto-tutela attraverso l’annullamento d’ufficio. Dopo il
sessantesimo giorno quindi il potere della PA non si esaurisce ma il termine diventa di 18 mesi. Mentre il silenzio è
frutto di un’attività e di un procedimento lungo, la scia nasce invece come istituto di semplificazione, è un
provvedimento del privato e quindi la semplificazione voleva essere un passo indietro della PA, il privato presenta la
scia, la PA lo controlla e se va bene il privato inizia il procedimento.
quando il giudice va a verificare: il difetto di istruttoria quando la PA non fa tutto ciò che dovrebbe fare,
mancano ad esempio delle parti; la contraddittorietà a provvedimenti nel caso in cui la PA risolve 2 casi
uguali con provvedimenti diversi; la motivazione, la quale è disciplinata all’art. 3 della 241, dove vediamo che
ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato e il motivo deve indicare i presupposti e le
decisioni che hanno portato a quel provvedimento, la motivazione va a descrivere l’iter logico, se la
motivazione c’è ma presenta un difetto nel contenuto abbiamo un caso di eccesso di potere.
L’art. 21 octies è importante perché al co. 2 ha introdotto la dequotazione dei vizi ossia un vizio sostanziale come
l’omissione della comunicazione diventa da sostanziale a formale cioè quando il vizio è formale il provvedimento può
essere sanato e quindi l’omissione viene visto come una mera irregolarità superabile, nel momento in cui la PA in
giudizio dimostra che il provvedimento non avrebbe potuto che essere quello.
Ricorsi amministrativi
Troviamo un doppio ricorso, quello giurisdizionale e quello amministrativo.
Questo ricorso non prevede la presenza di un giudice, è un ricorso alla stessa PA ed è un ricorso che vuole innescare
l’autotutela, ovvero vuole dare avvio ad un procedimento di secondo grado, primo grado è il provvedimento stesso.
Il ricorso amministrativo è di tipo giustiziale e si rivolve alla stessa PA e lo scopo è di far tornare su i suoi passi la PA.
Troviamo 4 tipi di ricorsi: i primi 3 sono ordinari il 4° è straordinario al Presidente della Repubblica. I ricorsi ordinari
hanno un termine di 30 giorni per impugnare il provvedimento, il privato riceve la notifica e per presentare un ricorso
ha 30 giorni.
1. Ricorso in opposizione presentato alla PA che ha presentato il provvedimento e quindi lo contesto
rivolgendomi all’organo e al suo titolare che ha firmato e adottato quel provvedimento. Nei ricorsi ordinari si
possono far valere sia diritti soggettivi che interessi legittimi, e possono essere fatti valere sia vizi di
legittimità ma anche vizi di merito, legato all’opportunità del provvedimento ovvero la conveniente. Ciò è
interessante perché davanti al giudice i vizi di merito non possono essere fatti valere perché significherebbe
sconfinare il giudice nella sfera della PA, ciò può essere fatto valere nel ricorso amministrativo perché il
ricorso è nei confronti della PA stessa. Il termine per decidere è di 90 giorni dal deposito del ricorso, il silenzio
ha funzione di rigetto cioè va a negare l’autotutela.
2. Ricorso è quello gerarchico proprio effettuo un ricorso all’organo gerarchicamente superiore rispetto a
quello che ha adottato il provvedimento. Esso prevede il ricorso si faccia soltanto una volta. Se non c’è un
organo al di sopra non si può presentare un ricorso gerarchico.
3. Ricorso gerarchico improprio è sempre un ricorso gerarchico però in questo caso viene fatto il ricorso nei
confronti di un provvedimento rivolgendomi ad un soggetto che è collegato al di sopra ma che non fa parte
della PA ma è un organo costituito ad hoc per l’occasione.
4. Ricorso straordinario al PdR il ricorso straordinario assomiglia molto al processo amministrativo, troviamo
l’elemento del contraddittorio. Prevede la presenza di più parti, il ricorrente, la controparte, nasce un
confronto tra più parti dove chi decide è il ministro competente. Il termine per presentare il ricorso è di 120
giorni, è il termine decadenziale più lungo. Il secondo elemento è che il ricorso straordinario è alternativo
rispetto al rimedio giurisdizionale o si presenta il ricorso al TAR o al PdR, o si fa l’uno o l’altro, l’uno esclude
l’altro. Si può presentare il ricorso straordinario solo nei confronti di atti definitivi, un atto è definitivo quando
è stato presentato almeno un ricorso ordinario oppure quando è definito tale dalla legge cioè un comma di
una legge stabilisce che quel provvedimento è un atto definitivo, l’atto è definitivo quando non c’è un
superiore gerarchico rispetto a quello che ha adottato il provvedimento. I soggetti contrari al ricorso, cioè
favorevoli alla PA, entro 60 giorni dopo i 120, possono presentare memorie oppure i soggetti terzi possono
opporsi al ricorso, l’istituto dell’opposizione di terzo ha una conseguenza molto importante infatti si blocca il
ricorso che deve essere spostato in sede processuale. Entro altri 120 giorni la procedura deve concludersi, in
questo blocco di 120 giorni abbiamo un profilo critico cioè il ruolo del Consiglio di Stato, il ministro
competente riceve il ricorso (il Capo dello Stato mette solo la forma di D. PdR) quindi studia il ricorso, fa la
sua istruttoria, centrale è il parere che chiede al Consiglio di Stato il quale fino alla L. 69/2009 il quale era
semi-vincolante perché se il ministro non voleva seguire il parere del Consiglio di Stato la decisione veniva
inviata al Consiglio dei Ministri, la L. 69/2009 trasforma il parere da semi-vincolante a vincolante, vuol dire
che il ricorso al PdR presentato al ministro competente lo decide il Consiglio di Stato, il CdS si sostituisce ad
un organo amministrativo. Non vengono fatti valere i vizi di merito.
Passando a considerare il regime e i caratteri dell'atto amministrativo, va richiamata anzitutto la tipicità. Essa si
contrappone all'atipicità dei negozi giuridici privati (1322 c.c.); atipicità che riguarda sia i fini perseguiti, sia gli
strumenti giuridici per perseguirli.
Il principio di tipicità è uno dei corollari del principio di legalità (in senso sostanziale) secondo il quale le pubbliche
amministrazioni possono perseguire esclusivamente il fine stabilito dalla norma di conferimento del potere e può
utilizzare soltanto lo strumento giuridico definito dalla stessa norma.
Un’attenuazione del principio di tipicità sono le c.d. ordinanze contingibili e urgenti che possono essere emanate
soltanto nei casi e per i fini previsti dalla legge ma non sono tipizzate, nel senso che la legge lascia all’organo
competente la determinazione del contenuto e degli effetti del provvedimento.
I provvedimenti emanati devono trovare dunque un fondamento espresso nella legge (normatività dei
provvedimenti amministrativi): in questo caso si può dire che le ordinanze contingibili e urgenti sono nominate.
Il principio di tipicità esclude che si possano riconoscere in capo all'amministrazione poteri impliciti, cioè poteri non
espressamente previsti dalla legge ma ricavabili indirettamente da norme che definiscono altri poteri; tuttavia,
secondo la giurisprudenza, è sufficiente in molti casi che le disposizioni legislative contengano un fondamento
generico del potere.
3. b) La cosiddetta imperatività
L'atto amministrativo si differenzia dai negozi di diritto privato, perché è dotato di una particolare forza giuridica atta
a far prevalere, ove occorra, l'interesse pubblico sugli interessi dei soggetti privati.
Dunque un secondo carattere tradizionale del provvedimento amministrativo è la cosiddetta imperatività o
autoritarietà. Essa consiste nel fatto che la pubblica amministrazione titolare di un potere attribuito dalla legge può,
mediante l'emanazione del provvedimento, imporre al soggetto privato destinatario di quest'ultimo le proprie
determinazioni operando in modo unilaterale una modifica nella sua sfera giuridica (espropriazione=effetto
traslativo= compravendita).
Nell'imperatività si manifesta la dimensione verticale (sovraordinazione) dei rapporti tra Stato e cittadino che si
contrappone a quella orizzontale (di equiordinazione) delle relazioni giuridiche privatistiche.
Il provvedimento è imperativo in quanto ha l'attitudine a modificare in modo unilaterale la sfera giuridica del
soggetto privato destinatario senza che sia necessario acquisire il suo consenso.
L'imperatività coincide dunque con l'unilateralità nella produzione di un effetto giuridico che accomuna ogni atto di
esercizio di un potere in senso proprio.
L’efficacia di un provvedimento non dipende dalla validità del medesimo, cioè dalla sua piena conformità alla norma
attributiva del potere, anche l’atto illegittimo è in grado di produrre effetti tipici, tuttavia gli effetti possono essere
rimossi. Vale cioè quello che è stato definito il principio dell'equiparazione dell'atto invalido all'atto valido. Solo il
provvedimento affetto da nullità non ha carattere imperativo.
La volontà eventualmente contraria del soggetto privato non preclude il prodursi dell'effetto giuridico: il destinatario
del provvedimento si trova dunque in una posizione di passività (di soggezione).
Tale imperatività emerge con più evidenzia negli atti amministrativi che determinano effetti ablatori o comunque
restrittivi della sfera giuridica del destinatario (int.leg. oppositivi); ma la relazione giuridica con l’amministrazione non
è paritaria neppure nel caso di atti amministrativi emanati su domanda o istanza dell’interessato e che determinano
un effetto ampliativo della sfera giuridica di quest’ultimo attribuendogli un diritto, una facoltà o altra utilità (int.leg.
pretensivi), infatti l’effetto giuridico ampliativo viene comunque prodotto in via unilaterale dal provvedimento
emanato (emanato, ove ricorrano i presupposti, all’esito di un procedimento, avviato su istanza del privato).
4. c)L’esecutorietà e l’efficacia
Una seconda caratteristica di molti provvedimenti amministrativi è la cosiddetta esecutorietà disciplinata dall’art.21-
ter .241/1990. Essa può essere definita come il potere dell'amministrazione di procedere all'esecuzione coattiva del
provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza dover rivolgersi
preventivamente a un giudice allo scopo di ottenere l'esecuzione forzata.
Se l'imperatività (intesa come unilateralità) deroga al principio generale che ricollega, nei rapporti paritari, il prodursi
dell'effetto giuridico negoziale al perfezionamento dell'accordo tra le parti, l'esecutorietà deroga al principio
civilistico del divieto di autotutela, cioè di farsi giustizia da sé.
Prima dell’introduzione dell’art. sopracitato si è discusso in dottrina il fondamento dell’esecutorietà del
provvedimento amministrativo che è stato rinvenuto in passato nella c.d. presunzione di legittimità del
provvedimento. La giustificazione teorica di quest’ultima venne trovata nel fatto che, di norma, gli atti amministrativi
siano emanati in modo legittimo e dunque possano essere portati a esecuzione dell’amministrazione direttamente.
Tuttavia la dottrina ha dimostrato l’inconsistenza teorica di questo principio, collegato ad una’ideologia autoritaria dei
rapporti fra Stato e cittadino.
L'art.21-ter l. n. 241/1990 pone una disciplina embrionale del potere dell'amministrazione di provvedere
all'esecuzione coattiva dei propri provvedimenti. L'esecutorietà non è una caratteristica propria di tutti i
provvedimenti amministrativi, ma deve essere di volta in volta prevista dalla legge.
L'esecutorietà è riferibile non soltanto agli obblighi nascenti dal provvedimento, ma anche a quelli aventi fonte
negoziale.
In relazione agli obblighi che sorgono per effetto di un provvedimento amministrativo, quest'ultimo deve indicare il
termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, l'esecuzione coattiva può avvenire solo
previa adozione di un atto di diffida, concedendo così al privato un ultima chance. In definitiva, l'esecutorietà del
provvedimento si concretizza nell'avvio di un procedimento d'ufficio in contraddittorio con il soggetto privato.
L'esecutorietà del provvedimento presuppone che il provvedimento emanato sia efficacie ed esecutivo.
Secondo l'art. 21-bis il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la
comunicazione al destinatario. Emerge così la distinzione tra provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati
e provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati. I primi hanno la natura di atti recettizi, poiché la loro
efficacia è subordinata alla comunicazione all'interessato. Sono peraltro esclusi dall'obbligo di comunicazione i
provvedimenti aventi carattere “cautelare ed urgente” che sono sempre immediatamente efficaci. Alcuni
provvedimenti limitativi non aventi carattere sanzionatorio possono contenere una clausola motivata di immediata
efficacia.
L'esecutività del provvedimento è disciplinata dall'art. 21-quater, secondo il quale i provvedimenti amministrativi
efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento
amministrativo. All'efficacia del provvedimento consegue dunque la necessità che esso, in linea di principio, venga
portato subito ad esecuzione, a seconda dei casi, dalla stessa amministrazione che ha emanato l’atto, oppure dal
destinatario del medesimo là dove il provvedimento faccia sorgere in capo a quest’ultimo un obbligo di dare o di fare.
In base all'art.21-quater l'esecuzione del provvedimento può essere differita o sospesa discrezionalmente
dall'amministrazione.
5. d) L’inoppugnabilità
Un'ultima caratteristica generale del provvedimento amministrativo consiste nella cosiddetta inoppugnabilità
(incontestabilità), che si ha allorché decorrono i termini previsti per l'esperimento dei rimedi giurisdizionali innanzi al
giudice amministrativo. In particolare, l'azione di annullamento del provvedimento va posta nel termine di
decadenza di 60 giorni; l'azione di nullità è soggetta a un termine di 180 giorni; l'azione risarcitoria può essere
proposta in via autonoma (cioè senza la parallela azione di annullamento) nel termine di 120 giorni.
Esigenze di certezza e di stabilità dell'assetto dei rapporti giuridici conseguenti all'emanazione di un provvedimento
giustificano in definitiva la previsione di termini decadenziali brevi per l'esperimento dei mezzi di tutela
giurisdizionale.
L'inoppugnabilità non esclude peraltro che l'amministrazione possa rimettere in discussione il rapporto giuridico
esercitando il potere di autotutela.
L'atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in relazione a un altro fenomeno, cioè per l'acquiescenza
da parte del suo destinatario. Essa consiste in una dichiarazione espressa o tacita (per facta concludentia) di assenso
all'effetto prodotto dal provvedimento. Nella pratica, una misura cautelativa adottata dal destinatario del
provvedimento consiste nel dichiarare che l’atto o il comportamento effettuato non può essere interpretato come
acquiescenza al provvedimento.
attuale nell’esercizio del potere, quindi il soggetto non è destinatario del provvedimento. Con l’istanza si ha l’azione
che viene mossa da un soggetto il quale ha un interesse legittimo nel muovere l’azione, la PA qui ha l’obbligo di
attivarsi e di provvedere, nel caso della denuncia la PA non è obbligata ad intervenire. Fondamentale è l’obbligo di
concludere, il procedimento amministrativo deve avere un termine amministrativo di 30 giorni, dal protocollo di
istanza. Ogni ente pubblico può individuare un termine diverso fino ad un massimo di 180 giorni per concludere, il
termine deve essere conosciuto dal soggetto. Sapere del termine è una garanzia per:
1. Profilo generale della certezza del diritto;
2. Nel momento in cui il termine non viene rispettato il soggetto privato può far valere tale comportamento, ad
esempio sotto il profilo del risarcimento del danno.
Da quando si ha introdotto il danno da ritardo, quindi abbiamo un termine, questo ritardo può essere contestato e
può portare delle conseguenze ha fatto insorgere delle conseguenze.
Un altro elemento importante è la comunicazione di avvio della procedura. Comunicazione disciplinata negli artt. 7-
8-9-10. La comunicazione è la notifica da dare ai destinatari del provvedimento per dare notizia dell’inizio del
procedimento. La si invia a: soggetti destinatari del procedimento, ai soggetti che potrebbero subire un pregiudizio
pur non essendone interessati direttamente, soggetto individuato dalla legge (principio di legalità). Questa
comunicazione non può essere omessa, può essere ritardata e rinviata ad un secondo momento. Gli elementi della
comunicazione li troviamo nell’art. 8: soggetto, oggetto, ufficio e persona responsabile del procedimento (il
responsabile è colui che rappresenta in carne ed ossa l’ente pubblico), la data di conclusione, la data di presentazione
d’istanza e l’ufficio presso il quale visionare tutti i documenti relativi alla procedura. Si può omettere la
comunicazione? La giurisprudenza amministrativa ha del tempo per accettare l’omissione della comunicazione, lo
scopo era protendere verso la celerità. La comunicazione di avvio può essere omessa nel caso di provvedimenti
vincolati, ovvero quando non prevedono un margine di scelta della PA ovvero non hanno discrezionalità. In caso di
provvedimenti vincolanti la comunicazione può essere omessa.
Art. 21 octies legge 241 il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione di avvio
del procedimento qualora l’amministrazione si appelli a questa mancanza e qualora il contenuto del provvedimento
non avrebbe potuto essere diverso. Il provvedimento senza comunicazione non è illegittimo. Nel 2005 si ha
introdotto questo comma e si ha avuto un colpo di celerità, il profilo critico rinvia al processo, l’omissione della
comunicazione non si risolve ma si rinvia ad un altro procedimento e in quella fase si va a verificare se la PA aveva
torto o ragione. La 241 risolve il problema della omissione della comunicazione rinviando la risoluzione del problema
ad una fase processuale successiva.
Un aspetto importante della comunicazione è il ruolo funzionale e strumentale della comunicazione e dell’avvio del
procedimento. La comunicazione è importante in quanto non ha un valore in quanto tale, ma perché serve a
qualcos’altro, serve ad innescare il procedimento di partecipazione del cittadino. La partecipazione è un elemento
essenziale.
La 241/90 ha pensato di impostare un modo diverso nell’agire della PA. La partecipazione è un nuovo modo di agire,
il cittadino viene coinvolto con la partecipazione. La 241 generalizza la partecipazione, ovvero il cittadino interviene in
tutti i procedimenti amministrativi nei quali viene richiesta la sua presenza. La partecipazione non è orale, quindi non
è un contraddittorio. L’origine era si quella del contraddittorio, il cittadino viene invitato davanti all’ente pubblico, dal
disegno di legge alla 241 la partecipazione diventa, nella fase di approvazione, di tipo collaborativo quindi
documentale scritto.
L’art. 10 della 241 prevede le modalità di partecipazione:
1. Si partecipa attraverso memorie o osservazioni, quindi con un deposito di atti scritti. Con l’osservazione la PA
vede un contributo del cittadino all’agire;
2. Attraverso il diritto di accesso, attraverso il quale il privato avendo un interesse diretto, prende visione del
procedimento, esso è quindi una forma di partecipazione.
Amministrazione consensuale? La 241 viene definita come una sorta di agire consensuale ma nella realtà no. Si è
parlato di agire consensuale superando il vecchio modo di agire, ma il potere della PA resta imperativo e unilaterale,
introduce forme di coinvolgimento ma chi decide è sempre la PA. La PA coinvolge il privato e ciò che quest’ultimo
esprime ha un senso perché si parla del principio di imparzialità cioè la PA deve bilanciare, deve ponderare l’interesse
privato e il suo, quindi se il privato partecipa la PA non può rimanere indifferente a ciò perché altrimenti sarebbe
passiva in giudizio. L’esito del procedimento sarà se no impugnato per eccesso di potere se la PA non considera gli
interessi altrui.
L’art. 9 della 241 parla della partecipazione delle associazioni perché portatrici di interessi diffusi, stabilendo cosi che
la partecipazione non è prevista solo per i singoli ma anche per la collettività. La presenza dell’art. 9 è una delle
presenze più importanti perché negli anni 90 le associazioni non potevano partecipare ai provvedimenti
amministrativi, l’interesse legittimo nasce per tutelare una situazione giuridica soggettiva individuale.
L’art. 13 della 241 sostiene che gli articoli 8-9-10-11 non si applicano in determinate materie. I casi di esclusione della
partecipazione e dalla comunicazione aumentano e si aggiungono a casi di tipo giurisprudenziale ad esempio in
ambiti di procedimenti tributari, in quanto ci sono norme specifiche, non si applicano per procedimenti di
panificazioni e programmazione, per atti amministrativi generali. Non si applicano perché i destinatori sono in un
numero troppo elevato per escludere un pregiudizio diretto e individuale e di conseguenza si esclude la
comunicazione e la partecipazione. L’art. 21 octies va affiancato agli artt. 8-9-10-11 ha escluso la comunicazione e
partecipazione per atti vincolati (quando non c’è scelta). La PA deve provare in giudizio l’effetto utile o meno della
comunicazione, la cui omissione non è un vizio. Il vizio della omissione diventa di mera forma e di conseguenza è
superabile in giudizio nel momento in cui la PA dimostrerà che la sua omissione non ha inciso sul procedimento.
L’esito della partecipazione, art. 11 della 241, può essere un accordo. Un accordo non è un contratto, perché è un
semplice esercizio del dovere. L’ambiguità nasce dalla parola accordo infatti nell’art. 11 la parola accordo fa
riferimento all’ambito di esercizio del potere, l’accordo ad esito della partecipazione integra il provvedimento finale
ovvero lo sostituisce. Qui si parla di accordo integrativo, va ad integrare i profili discrezionali ovvero le scelte della PA
quindi il provvedimento c’è. L’accordo sostitutivo implica che il provvedimento non ci sia, ma si sottopone agli stessi
principi e alle stesse regole del provvedimento finale, es. l’accordo bonario in materia di esproprio o cessione
volontaria, il privato pur di incassare prima l’indennità. Una volta che c’è l’adozione di tale accordo il privato può
decidere di cedere in modo volontario il bene senza attendere 5 anni e quindi incassare l’indennità.
Contratto ad evidenza pubblica è un contratto di diritto privato e si cala nell’ambito del Codice Civile solo se
compatibile con altre regole di diritto amministrativo, per essere valido il contraente deve essere la PA. In questo
contratto ci sarà una parte ci norme del C.C. ma ci saranno anche una parte di norme riguardante il Codice degli
appalti del diritto amministrativo.
Anche nell’ambito dell’accordo di diritto amministrativo la PA per motivi di interesse pubblico può ritirare la sua parte
di indennizzo. L’art. 11 prevede il recesso della PA però con un indennizzo. Più che di recesso bisogna parlare di
revoca, la si ha quando si parla di autotutela (attraverso di essa una PA può rimuovere da un proprio provvedimento,
quindi senza l’intervento di un giudice) e ciò è tipica degli enti pubblici. L’autotutela ha due forme:
1. Annullamento d’ufficio quando il provvedimento è illegittimo. Un provvedimento è illegittimo per:
a. Violazione di legge quando il provvedimento va contro la legge;
b. Eccesso di potere profilo patologico della discrezionalità ovvero violare certi principi della
discrezionalità;
c. Incompetenza quando un provvedimento viene adottato da un organo non competente;
2. Revoca quando il provvedimento non è più conveniente, ad es. con una normativa su un diritto
sopravvenuto.
NB Il recesso viene applicato per istituti di stampo privatistico.
Nell’ambito dell’istruttoria acquistano rilevanza anche gli artt. 16-17. L’art. 16 parla di parere e il 17 di valutazioni
tecniche.
Articolo 16 della 241 il parere non è un provvedimento amministrativo, esso è un atto endo-procedimentale cioè
un atto all’interno del procedimento. Esso rappresenta un giudizio, è un atto amministrativo, va ad arricchire la fase
istruttoria. I pareri possono essere:
1. Facoltativi può essere richiesto o meno dalla PA in un procedimento ad un altro ente;
2. Obbligatori viene imposto dalla legge;
3. Vincolanti quando la PA chiede un parere, esso viene dato da un altro soggetto pubblico e quest’ultimo
obbliga la PA a seguirlo;
4. Non vincolanti la PA può disattendere il parere.
Quando un parere è obbligatorio, esso viene richiesto per legge e se la PA non lo fa si ha un difetto nell’istruttoria e si
ha quindi un eccesso di potere. Il provvedimento finale potrà quindi essere impugnato per eccesso di potere. Un
parere che non viene reso non vincola e non blocca il procedimento ma la PA può procedere senza l’acquisizione del
parere. La mancanza di risposta del soggetto incaricato non vincola l’amministrazione precedente che può proseguire
e giungere al provvedimento finale.
Articolo 17 della 241 le valutazioni tecniche sono atti endo-procedimentali, cambia però il profilo degli effetti
rispetto al parere. Nel caso della valutazione tecnica, la valutazione che viene richiesta e non restituita ovvero non
data da parte dell’ente sollecitato blocca il procedimento amministrativo, cioè l’ente non può proseguire nel
procedimento ma può richiederla ad un altro soggetto dalle medesime competenze.
Articolo 17 bis della 241 introdotto dalla legge 124 del 2015. Questo articolo parla di un silenzio-assenso tra le
amministrazioni. Tale articolo si applica agli artt. 16 e 17? L’art. 17 bis co. 3 prevede che decorso un termine di 90
giorni dalla richiesta di valutazione tecnica, prevede un silenzio-assenso anche nell’ambito di materie sensibili. Il 17
bis si pone in contrasto con il 17, nel caso del 17 bis si da un ruolo maggiore alla garanzia, mentre nel 17 si predilige la
celerità.
Articolo 19 della 241 il termine per controllare la SCIA è di 60 giorni. Dopo i 60 giorni la PA può intervenire con
l’autotutela.
Conferenza di servizi
È un istituto non inventato dalla legge 241 ma era già presente, con la 241 viene generalizzato.
È un istituto di semplificazione dell’azione amministrativa e da attuazione al principio di non aggravamento della
procedura. Essa va a sostituire una molteplicità di procedimenti amministrativi che hanno in comune l’interesse
pubblico.
Il vecchio sistema prevedeva la presenza di tanti procedimenti amministrativi tante quanrte sono le PA coinvolte.
Ogni provvedimento finale doveva essere reso compatibile con i provvedimenti delle altre PA.
La conferenza dei servizi diventa l’esame contestuale da parte di tutte le PA interessate nel medesimo procedimento
quindi si ha un solo procedimento.
Non è un organo collegiale, nonostante sia composto da un rappresentante per ogni PA, in realtà ogni soggetto
presente rappresenta la propria amministrazione. Per parlare di organo collegiale tutti i soggetti devono appartenere
alla medesima PA.
Essa può essere di due tipologie:
1. Istruttoria serve per arricchire la fase preliminare del procedimento, quindi la conferenza raccoglierà una
serie di dati e elementi che servirà poi per decidere. Nella conferenza non si decide nulla, l’esito è un atto
endo-procedimentale che servirà per decidere con un proprio provvedimento adottato dalla PA.
2. Decisoria va a concludere quello che è il procedimento amministrativo, la determinazione finale sarà l’atto
che andrà a decidere nei confronti di un soggetto terzo e produrrà effetti giuridici.
Essa è disciplinata dagli artt. 14 e seguenti della 241/90 viene poi distinta in:
1. In forma semplificata i partecipanti alla conferenza non necessariamente si incontrano nello stesso luogo e
nello stesso giorno, è perlopiù telematica.
2. Sincrona chiede la partecipazione contestuale da parte di tutte le PA.
I termini di conclusione sono di 45 giorni dall’inizio del procedimento ovvero dall’istanza di parte. Il termine diventa
di 90 giorni nel caso della presenza di interessi sensibili nell’ambito della conferenza dei servizi.
Problemi:
1. La conferenza dei servizi, secondo l’art. 14 bis co.4, ha introdotto una forma di silenzio assenso nell’ambito
delle materie sensibili. Quando una PA viene inviata ad una conferenza di servizi e non si presenta, la sua
assenza vale come un assenso, ovvero se alla PA vengono chieste delle prese di posizione e questi soggetti
non rispondono, l’assenza di risposta viene vista come un assenso. Nell’ambito dei servizi l’assenza fisica, cioè
la non risposta, vale a stabilire un atto di assenso. È un’inerzia che riguarda le materie sensibili stabilito con la
riforma 124/2015. Questo comma crea un potenziale pericolo nei confronti di discipline le quali
richiederebbero procedimenti espressi scritti e motivati. Questo comma va in contrasto con l’UE la quale in
materia ambientale richiede procedimenti espressi.
i principi di prevenzione e precauzione sono due principi UE fondamentali in tema di materie sensibili. In
questo caso il co. 4 è in contrapposizione con i diritti UE
2. Il come si decide? Nella sua versione del ’90 la conferenza dei servizi veniva conclusa all’unanimità. Si cercava
l’unanimità perché ognuno porta un interesse pubblico e partendo da un’assenza di gerarchia si prevedeva
ciò altrimenti un interesse sarebbe diventato soccombente. La legge 340/2000 ha sostituito l’unanimità della
decisione con il principio maggioritario. Qui troviamo un altro problema ovvero se la maggioranza vi è
sempre e quello della tutela delle minoranze. Quando il dissenso proviene da PA che operano in materia di
salute, ambiente, ordine pubblico, cioè i portatori di un interesse sensibile la conferenza si blocca. L’art. 14
quinquies della 241 stabilisce che:
- Il dissenso deve essere motivato, il dissenso ricorda la sfiducia costitutiva inoltre bisogna produrre delle
modifiche;
- La presenza fondamentale di un organo politico: il consiglio dei ministri. Qui il presidente del consiglio
cerca una mediazione per concludere la conferenza dei servizi ascoltando le parti e provando a
raggiungere una mediazione. Se il presidente del consiglio respinge l’opposizione la conferenza viene
conclusa a maggioranza. Se l’opposizione viene accolta la decisione della conferenza spetta all’intero
consiglio dei ministri.
3. Secondo il principio di separazione dei poteri all’organo amministrativo spetta la gestione e l’utilizzo dei mezzi
necessari per la soluzione del problema. Tale principio è cardine della materia costituzionale ed è
espressamente previsto all’art. 4 D. 165/2001 sul pubblico impiego che tratta del lavoro alle dipendenze della
PA. All’art. 4 si tratta delle competenze dell’organo politico e delle competenze di quello amministrativo.
Queste sono figure diverse ma complementari.
Conclusione del procedimento
poi c’è il tema della politicizzazione, chi deve decidere è il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Consiglio
intero;
3. Art. 13 L. 391/1994 prevede l’istituto del silenzio-assenso anche in materia di ambiente nei rapporti
privato-PA e quindi va contro l’art. 20 co.4 della legge quadro di materie ambientali quindi si crea un
contrasto evidente tra l’art. 13 e l’art. 20 co.4 della 241 perché hanno previsioni completamente diverse,
infatti è stata sollevata la questione presso il Consiglio di Stato il quale ha tenuto buono l’art. 13, la legge
speciale non viene abrogata da quella generale.
Il quarto profilo critico riguarda la tutela del silenzio (silenzio inadempimento), la tutela serve come nell’art. 25 in
tema di accesso. Il problema riguarda il fatto di capire quale sia il potere del giudice amministrativo d’innanzi al
silenzio della PA. L’art. 21 bis della legge TAR, legge fondamentale in tema di processo amministrativo, si vedeva che
in caso di silenzio inadempimento il giudice obbliga la PA a provvedere, si sono creati due orientamenti:
1. L’obbligo di provvedere vuol dire che il giudice obbliga la PA ad adottare il provvedimento espresso che ha
suo tempo non ha adottato, chi sostiene questo tipo idi interpretazione rifiuta che il giudice possa dire alla PA
anche come provvedere ma si limita dire che deve provvedere;
2. L’altro orientamento sostiene che se c’è un silenzio adempimento la PA non ha provveduto a provvedere.
Nell’orientamento restrittivo il giudice deve obbligare la PA a provvedere, nell’orientamento estensivo il giudice
obbliga la PA e le deve anche indicare.
Nella riforma della 241 la riforma n.15 del 2005 ha introdotto la possibilità che il giudice potesse esaminare anche la
fondatezza della pretesa, andando contro l’orientamento restrittivo e spostando quello estensivo. Il Codice di
Processo Amministrativo con il D. Lgs 104/2010 ha introdotto un rito speciale in tema si silenzio inadempimento,
nell’artt. 31 e 117 del CPA, nei quali troviamo il rito avverso il silenzio inadempimento. L’art. 31 co.3 dice che il giudice
può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa solo in attività vincolata quando risulta che non ci siano margini di
discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere adempiuti dalla PA in presenza
invece in cui la PA ha potere discrezionale la legge si ferma.
Il quinto problema è legato al profilo della tutela, la scia è un atto del privato, cioè il problema riguarda il profilo della
tutela. Il rapporto giudice-PA avviene tramite un provvedimento. Un soggetto terzo che subisce la scia viene tutelato
attraverso la richiesta da parte del terzo attraverso la sollecitazione delle verifiche spettanti all’amministrazione. Il
giudice può soltanto ordinare alla PA di effettuare il controllo che va fatto, è un invito a controllare la legittimità della
scia, se il controllo non viene effettuato si applica l’art. 31 co. 1-2-3 in tema di silenzio inadempimento.
I controlli gestionali costituiscono essenzialmente la specie principale dei controlli interni della pubblica
amministrazione. Questi hanno acquistato un peso crescente in parallelo al declino del controllo preventivo sugli atti.
Esistono 4 tipi di controlli gestionali interni, ai sensi del D. Lgs. 286/1999 e sono il controllo di regolarità
amministrativa e contabile, il controllo di gestione, la valutazione della dirigenza pubblica e la valutazione e
controllo strategico.
La responsabilità amministrativa ha una natura diversa, essa ha uno scopo preventivo più che quello di riparare un
danno quindi la responsabilità amministrativa vuole attuare una prevenzione nel commettere forme di illecito, si
vuole responsabilizzare i dipendenti pubblici ad assumere un comportamento conforme a legge.
Caratteri della responsabilità amministrativa
1. Rapporto di servizio deve esserci un rapporto professionale, esercitato con continuità e in modo esclusivo,
solo chi ha un rapporto di servizio può essere colpito dalla responsabilità amministrativa, anche se il rapporto
di servizio non prevede necessariamente l’inserimento in organico dell’ente pubblico, non si è parte fissa, ciò
che conta è il profilo funzionale del rapporto. Si ha una forma di responsabilità amministrativa anche se si ha
un rapporto occasionale con l’ente pubblico, anche se un soggetto privato svolge un incarico pubblico (es.
direttore dei lavori di gara d’appalto per opera pubblica). Un soggetto che svolge funzione pubblica si
sottopone alle regole della responsabilità amministrativa. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.22513 del
2006 dice che per rapporto di servizio si intende una relazione con la PA che investe un soggetto altrimenti
estraneo all’amministrazione che pone in essere un’attività, può essere investito in qualunque modo e solo
per il fatto che ha un incarico pubblico si sottopone alla responsabilità amministrativa. Responsabilità in capo
agli amministratori di società a partecipazione pubblica l’ente pubblico viene privatizzato e diventa SPA, gli
amministratori sono soggetti alla responsabilità amministrativa. Se il soggetto è solo formalmente privato ma
sostanzialmente pubblico porta con sé tutto ciò che è legato all’ente pubblico quindi anche la responsabilità
amministrativa. Un soggetto è realmente pubblico o privato applicando i criteri della privatizzazione. La Corte
dei Conti Sezione Marche n.28/2001 vediamo la trasformazione di enti pubblici in SPA che non comporta il
venir meno del pubblico servizio dei dipendenti perché l’ente resta regolato da norme pubbliche e ha
comunque finalità pubbliche.
La responsabilità amministrativa si applica anche agli enti pubblici economici che pur avendo forma di ente
svolge un’attività imprenditoriale, si sottrae alle regole pubblicistiche e qui la Corte di Cassazione a Sezioni
Unite n.19697/2003 afferma la sussistenza della responsabilità amministrativa degli amministratori degli enti
pubblici economici.
2. Condotta è un comportamento illecito del dipendente che può essere un fare o una omissione che
configurano un illecito amministrativo, questo illecito va al di la della stretta legittimità del comportamento, è
un illecito che si spinge fino al concetto di buona amministrazione quindi diventa condotta passiva d giudizio
una condotta contraria alla buona amministrazione (efficacia, buon andamento, art.43 Carta di Nizza). La
condotta illecita del dipendete va oltre l’illegittimità. Il giudice competente della responsabilità
amministrativa è la Corte dei Cont stabilito dall’art. 100 della Cost. il giudice amministrativo è il giudice della
legittimità, in questo caso si va oltre la legittimità quindi la Corte dei Conti valuta il comportamento. Nel
momento in cui vi è comportamento illecito il comportamento sarà esaminato dalla Corte dei Conti mentre il
provvedimento sarà sottoposto al giudice amministrativo.
3. Elemento soggettivo riguardano il dolo e la colpa. Il dolo come intenzione e inganno mentre la colpa come
mancanza di diligenza. Per la responsabilità amministrativa la colpa punibile è la colpa grave secondo l’art.1
della L.20/1994. Una colpa grave che viene introdotta perché vuole richiamare un comportamento
qualificato come colpa grave alzando il livello creando una sorta di errore scusabile o tolleranza, questo
perché è legato alla complessità delle norme infatti la legge ha introdotto un margine di tolleranza perché
considera che oggettivamente il dipendente pubblico sia in errore non per sua volontà ma per una
complessità normativa che lo conduce in errore, c’è una presa di coscienza della legge di una complessità tale
della normativa da far cadere in errore il dipendente pubblico e affinchè questo operi in tranquillità si è
creato questo margine che è molto elastico, i casi sono stati stabiliti dalla giurisprudenza infatti la Corte dei
Conti ha introdotto dei parametri in cui la colpa può essere considerata lieve, ad es. più si ha anzianità di
servizio e meno margine di colpa lieve c’è perché il dipendente dovrebbe essere un esperto, il titolo di studio
incide infatti chi ha un titolo di studio più basso ha maggiore agio rispetto a colui che ha un titolo superiore,
l’oggettività della tematica ad es. in errore in materia di appalti è più scusabile rispetto a quello in materia
amministrativo perché la materia degli appalti è molto complessa e in continuo mutamento tutto ciò lo
troviamo nella Corte dei Conti Lombardia n.577/2000 che sostiene che nella colpa bisogna considerare la
natura delle norme violate e la gravità della situazione e dall’altro l’accertamento delle situazioni personali.
4. Danno il comportamento del dipendente deve avere una conseguenza e quindi deve esserci un
pregiudizio. Il comportamento illecito in quanto tale non è punibile se non crea un danno/pregiudizio nei
confronti del soggetto terzo. Un comportamento illecito senza danno non comporta responsabilità
amministrativa ma comporta una responsabilità disciplinare e quindi l’ente può portare a delle sanzioni. Il
danno deve avere portata patrimoniale anche se la responsabilità amministrativa ha assunto nuove forme di
danno ovvero danno all’immagine e danno morale. Quello che un tempo era un danno patrimoniale classico
si è evoluto in altre forme di danno come quello all’immagine ovvero un danno all’immagine dell’ente a
causa del mio comportamento. Il danno all’immagine è un danno sempre quantificabile economicamente, il
danno patrimoniale è tutto il denaro speso per rimediare a quel danno all’immagine. La Corte dei Conti a
Sezioni Unite n.16/1999 ha iniziato per la prima volta del danno all’immagine.
5. Nesso di causalità deve esserci un rapporto di causa-effetto con l’evento dannoso. La normativa di
riferimento è l’art.1223 del C.C. secondo il quale il risarcimento del danno per inadempimento o ritardo deve
essere visto come la perdita subita o mancato guadagno in quanto ne sia diretta conseguenza. Il danno deve
essere a causa di un comportamento.
6. Personale responsabilità amministrativa è personale e non si trasmette agli eredi tranne per lecito
arricchimento del dante causa. La responsabilità amministrativa è personale di conseguenza negli obblighi
collegiali si ha una responsabilità amministrativa personale in riferimento alla propria votazione e quindi in
base al voto e quindi in base alla propria scelta si ha una responsabilità o meno. L’essere personale della
responsabilità si ripercuote anche negli organi collegiali, se si decide in un modo e quello ha ricadute
negative nei confronti dei terzi porterà alla responsabilità di coloro che hanno votato per quello.
7. La responsabilità amministrativa risponde anche per danno cagionato ad una amministrazione dal
dipendente pubblico quindi un danno cagionato a qualunque ente pubblico con un proprio
comportamento è soggetto a responsabilità amministrativa.
La richiesta di risarcimento del danno si estingue in 5 anni.
8. Potere riduttivo implica la possibilità da parte del giudice di ridurre il risarcimento del danno che viene
quantificato sulla base del danno accertato. La Corte dei Conti fa del suo giudizio un accertamento del danno
poi può ridurre il risarcimento su una base di criteri ad es. la capacità economica.
9. Condono erariale introdotto dalla L.266/2005, era la legge finanziaria per l’anno 2006, all’art.231 ha
introdotto il condono erariale ovvero per chi aveva commesso un illecito prima di questa legge poteva
chiedere in appello uno sconto, la legge finanziaria prendeva di base la sentenza di primo grado (Corte dei
Conti regionale) che condannava, si appellava e in secondo grado si chiedeva un minimo del 10% e un
massimo del 20% di quanto stabilito. Nella realtà la percentuale massima è il 30% di quanto richiesto in
primo grado. Questa previsione ha sollevato delle questioni di legittimità in riferimento all’uguaglianza e
all’art.97 ma la Corte Costituzionale con le sentenze n.193-194 ha ritenute non fondate queste questioni
perché il giudice in secondo grado può liberamente rigettare l’istanza di condono e si ha libertà perché la
Corte dei Conti ha discrezionalità. La legge porta ad una sorta di patteggiamento simile a quello in ambito
penale, il condono erariale al fine di concludere e semplificare i procedimenti.
ente pubblico costituito dal comune affidando al soggetto terzo un servizio. L’azienda speciale dipende
dal comune in tutti i punti di vista.
b. Contro-funzionale è una dipendenza solo dal punto di vista della funzione, vi è un secondo soggetto
autonomo dal punto di vista organizzativo, contabile- strutturale. Ciò che diventa funzionale è l’attività.
Ad es. un soggetto pubblico riconosce rilevanza funzionale ad un ente preesistente ad es. la SIAE.
c. Potere di direzione collega anche le relazioni precedenti: quando l’ente principale da obiettivi all’ente
secondario. Il potere resta in capo all’ente principale.
d. Potere di vigilanza l’ente principale vigila su quello secondario, l’azione di controllo ha profili
sanzionatori e sostitutivi.
e. Conferenza di servizi è una forzatura perché la conferenza di servizi è vista come un organo che si trova
all’interno dell’ente. Quando tra due enti si instaura una relazione essa è obbligatoria.
2. Tra organi all’interno del medesimo ente sono relazioni inter-organiche. Si parla di relazioni all’interno del
medesimo ente pubblico, si parla quindi di diverse competenze (l’attribuzione ce l’ha l’ente perché è una
norma di relazione, la competenza spetta all’organo all’interno di un ente). Esse sono:
a. Ordine oggi non esiste più vi era fino al decreto 29/1993, prevede che l’organo superiore dava ordini
all’organo inferiore. Ciò screditava il principio costituzionale della competenza perché l’ordine azzera le
singole competenze. Esso viene sostituito con la direttiva.
b. Direttiva abbiamo il rispetto delle competenze perchè a livello organico essa ricorda la direttiva
comunitaria, essa pone obiettivi. L’organo sovraordinato da degli obiettivi all’organo subordinato, come
raggiungere gli obiettivi viene deciso dall’organo subordinato. Questa relazione viene applicato tra
l’organo politico e organo amministrativo, nella separazione delle due figure all’organo politico spetta
l’indirizzo politico, a quello amministrativo spetta di trovare i mezzi per raggiungerlo.
c. Controllo l’organo superiore controlla l’organo subordinato che raggiunga un certo tipo di obiettivo.
d. Sostituzione quando l’organo subordinato non raggiunge un obiettivo, l’organo sovraordinato si
sostituisce all’organo subordinato con i poteri sostitutivi.
e. Relazione di gerarchia legata al concetto di ordine, a un concetto antecedente al decreto 29/1993.
Secondo tale relazione la presenza di una gerarchia stretta indicava un ordine dell’organo che sta sopra
nei confronti dell’organo che sta sotto. Nel momento in cui il decreto ha separato l’organo politico da
quello amministrativo ha fatto venir meno questa relazione, questo concetto di gerarchia creando organi
equi-ordinati e sempre meno sovra-ordinati. Un provvedimento ritenuto illegittimo può essere
impugnato nei confronti della stessa PA senza il ricorso a un giudice e rivolgendosi all’organo
gerarchicamente superiore rispetto a quello che ha adottato il provvedimento. Il filo conduttore tra gli
organi è il concetto di competenza.
La matrice comune è data dalla complessità degli organi all’interno dell’ente e quindi servono delle relazioni per
disciplinare i rapporti.
Un organo importante sono gli organi di controllo. Essi sono organi interni agli enti pubblici, esistono però anche
organi esterni controllati dalla Corte dei Conti (organo costituzionale che ha nelle sue competenze la funzione di
controllo esterno dell’azione amministrativa principalmente di tipo finanziario).
L’organo interno di controllo delle PA nasce dal D. Lgs. 286/1999. Il controllo interno risponde a quella che è
un’esigenza espressa dall’art. 97 co.2 Cost. nel buon andamento ripreso nell’art.1 della 241. Si vuole rendere l’ente
pubblico sempre più simile ad un’azienda privata. La legittimità di un’azione, la conformità alla legge di un
provvedimento è fondamentale, l’art. 21 octies parla dei vizi di legittimità. Il parametro del buon andamento è molto
importante. I controlli interni sono mirati all’interno degli enti pubblici non per verificare la legittimità dell’azione ma
per misurare il buon andamento del singolo ente, si vuole verificare che l’ente in corso d’opera sia efficiente e in
grado di rispettare certi criteri.
I 4 tipi di controllo:
1. Controllo di regolarità amministrativa e contabile è un controllo che ancora sconfina perché ha un ufficio
all’interno dell’ente e si vuole verificare la correttezza e la legittimità.
2. Controllo di gestione vigila sull’efficienza e sull’efficacia dell’azione amministrativa, verifica l’adeguatezza
dei mezzi rispetto all’obiettivo da raggiungere.
3. Controllo della valutazione della dirigenza è un controllo specifico che colpisce appunto i dirigenti,
nell’ambito del controllo della gestione ruolo fondamentale lo hanno i dirigenti perché soggetti a
responsabilità dirigenziale art. 28 Cost. essa consiste nel fatto che il dirigente ha l’obiettivo assegnatogli
dall’organo politico se non lo raggiunge ha la sua responsabilità. Questo controllo riguarda la valutazione
della responsabilità dirigenziale.
4. Controllo strategico fa una comparazione/analisi tra obiettivi prefissati e risultati raggiunti. Si ha un
controllo che ha l’obiettivo di ragionare su dati concreti per vedere se la strategia ha avuto ricadute concrete.
Principio generale i controlli interni servono per correggere in corsa le distorsioni di un’azione amministrativa, a
differenza del controllo di legittimità, che ha ad oggetto un provvedimento, il controllo interno è un porgano
preventivo che deve guidare affinché si abbia il miglior risultato.
Profilo negativo l’essere interno cioè è demandato alla stessa PA un controllo che non sarà mai imparziale, il
controllo interno è fatto da un organo che ha a capo un dirigente collega di colui che giudica. Non è un controllo
obiettivo, crea scontri interni, il dirigente deve controllare e sanzionare dei colleghi.
Autorità amministrative indipendenti
Autorità amministrative indipendenti: hanno come ispirazione il modello anglosassone indipendent regolatory
agencies authorities, istituite dal legislatore in un arco temporale molto lungo.
Si connotano per un elevato tasso di tecnicità e professionalità, ma soprattutto per l’indipendenza dal potere
esecutivo (IMPORTANTE) : l’amministrazione è un’esplicazione del potere esecutivo.
L’indipendenza dal potere esecutivo ha come bilanciamento un legame privilegiato con il parlamento.
Il legame lo hanno con il potere legislativo ossia il Parlamento.
I presidenti dei due rami del parlamento nominano i componenti dell’organo collegiale dell’autorità che dura in carica
di solito 7 anni non rieleggibili.
Inoltre svolgono un’attività di consulenza.
Esistente un rapporto interconnesso tra autorità amministrativa competente e parlamento.
Si chiamano indipendenti perché hanno un rapporto privilegiato con il parlamento che non si concretizza in un vero e
proprio controllo e anche perché hanno una forte autonomia propria, un’autonomia che si esplica per la propria
organizzazione, funzione e gestione economica.
Tutti gli enti pubblici vengono costituiti con un atto avente forza di legge che ne disciplina le modalità, le funzioni e ne
attribuisce una fonte di funzionamento.
L’amministrazione ha una propria autonomia organizzativa nei limiti del budget che la legge che l’ha costituita le
attribuisce.
Godono di ampia autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria.
Possono adottare propri regolamenti di organizzazione e dotarsi autonomamente di personale nei limiti della pianta
organica stabilita dalla legge.
L’autorità amministrativa indipendente potrà decidere quanti ispettori assumere.
Derogano entro certi limiti al principio tradizionale della separazione dei poteri: godono di poteri di regolazione,
amministrativi e di risoluzione delle controversie.
Non hanno poteri solo amministrativi ma anche paragiurisdizionali.
Non svolgono solo lavori nel settore dell’amministrazione ma anche della fase di risoluzione delle controversie.
Svolgono funzioni che non si limitano al potere di efferenza ma trasversali su tutti e tre i poteri.
Svolgono funzioni di controllo para legislativa e funzioni di natura para giurisdizionale.
Attività paralegislativa (NON HANNO POTERE DI EMANARE ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE) ci si riferisce ad atti
regolatori del mercato a loro affidato : poteri di regolamentazione dei settori di tutela affidati sopratutto a mezzo di
fonti normative secondarie (regolamenti e atti amministrativi generali).
Es. regolamenti della CONSOB o le istruzioni della Banca d’Italia.
L’attività amministrativa: collocata all’interno della p.a, poteri amministrativi di natura prescrittiva, autorizzativa
sanzionatoria principalmente rivolte ai soggetti privati interessati.
es. sanzioni garante privacy.
SLIDE
Particolare tipologia di ente pubblico che si ispira alle indipendent regolatory agencies authorities.
Istituite dal legislatore in un arco temporale molto lungo.
Particolare tipologia di ente pubblico che si ispira alle indipendent regolatory agencies authorities.
Si connotano per un elevato tasso di tecnicità e di professionalità ma soprattutto per l’indipendenza del potere
esecutivo.
L’indipendenza dal potere ha come bilanciamento un legame privilegiato con il Parlamento.
I presidenti dei 2 rami del Parlamento nominano i componenti dell’organo collegiale dell’autorità che dura in carica di
solito 7 anni non rieleggibili (o comunque parere vincolante adottato a maggioranza qualificata delle commissioni
parlamentari competenti).
Inoltre svolgono attività di consulenza, informazione nei confronti del Parlamento (anche attraverso la advocacy-
segnalazione interventi necessari).
Godono di ampia autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria (possono adottare propri regolamenti di
organizzazione e dotarsi autonomamente di personale nei limiti della pianta organica stabilita dalla legge).
Derogano entro certi limiti al principio tradizionale dei poteri: godono infatti di poteri di regolazione, amministrativi e
di risoluzione delle controversie.
Attività paralegislativa poteri di regolamentazione dei settori di tutela affidati soprattutto a mezzo di fonti
normative secondarie.
Attività amministrativa poteri amministrativi di natura prescrittiva, autorizzativa o sanzionatoria principalmente
rivolte ai soggetti privati interessati.
Attività paragiurisdizionale capacità di derimere controversie nascenti tra soggetti diversi nelle materie affidate.
Ricorsi, reclami, altre forme di ADR.
Godono di ampia autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria (possono adottare propri regolamenti di
organizzazione e dotarsi autonomamente di personale nei limiti della pianta organica stabilita dalla legge).
Derogano entro certi limiti al principio tradizionale della separazione dei poteri: godono infatti di potere di
regolazione, amministrativi e di risoluzione delle controversie.
Le autorità amministrative indipendenti possono essere raggruppate in 3 tipologie principali:
1. Autorità di tipo generalista esercitano il loro potere in modo trasversale nei confronti di tutti i soggetti
pubblici o privati (autorità garante della concorrenza e del mercato, autorità garante per la protezione dei
dati personali);
2. Autorità di settore preposte alla vigilanza sulle imprese operanti sui mercati concorrenziali ;
3. Autorità preposte alla regolazione dei servizi pubblici istituite in seguito a processi di liberazione autorità
per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, autorità per le garanzie delle comunicazioni AGCOM, autorità
di regolazione dei trasporti.
Privatizzazione del pubblico impiego
Le persone fisiche che sono legate all’ente pubblico sono legato per il rapporto di servizio. Esso è il rapporto che
unisce la persona fisica all’ente di appartenenza, esso ha delle caratteristiche: la professionalità, esclusività (il
rapporto è esclusivo, se si vuole svolgere azioni esterne all’ente serve il nulla osta cioè un provvedimento
autorizzatorio), permanente (il rapporto è continuativo).
Ci sono delle figure particolari legate al proprio ente dal rapporto organico, esso lega i titolari di un organo al proprio
ente, quando parliamo di titolare di un organo ci riferiamo ai soggetti i cui provvedimenti produrranno effetti
all’esterno.
I funzionari onorari non hanno un rapporto di dipendenza vera e propria, svolgono la propria attività a tempo
determinato, non hanno diritto ad una carriera e non hanno diritto ad una retribuzione in senso stretto ma hanno
diritto ad un’indennità di volta in volta determinata dall’ente.
Il rapporto di servizio è frutto di un concorso pubblico, il dipendente pubblico può essere designato, scelto in modo
preciso oppure potrebbe ottenere l’incarico tramite elezione dagli aventi diritto.
Il funzionario di fatto è un funzionario diverso da quelli precedenti, è una persona fisica che svolge senza spesso
averne il diritto, in concreto svolge delle funzioni ma in realtà esse non gli sono state assegnate da nessuno. È un
soggetto privo dell’atto di investitura, ma svolge delle funzioni che gli possono essere assegnate per errore. Il C.C.
all’art. 113 ‘matrimonio celebrato davanti ad un apparente ufficiale civile’ vediamo che il soggetto svolge il
matrimonio senza averne investitura. In questi casi si applica la buona fede e il legittimo affidamento ossia sono validi
tutti gli atti e i provvedimenti del funzionario di fatto purché favorevoli nei confronti del destinatario.
Il tema del pubblico impiego è entrato nella riforma in riferimento all’ente pubblico ossia alla privatizzazione.
In caso di privatizzazione dell’ente pubblico vediamo che l’ente pubblico diventa SPA, nel secondo caso vediamo il
rapporto con l’ente pubblico che unisce un processo di privatizzazione e si tenta di avvinare il rapporto persona fisica-
ente pubblico rispetto a persona fisica-ente privato. La privatizzazione ha l’obiettivo di creare analogie rispetto alla
dipendenza nei confronti dell’ente pubblico e in quelli dell’ente privato.
La fonte normativa che ha privatizzato il pubblico impiego è il D. Lgs.29/1993, oggi Testo Unico 165/2001. Ricordiamo
anche il decreto 80/1998 che si occupa del profilo processuale delle controversie tra dipendente pubblico ed ente
apparente. Questo impianto normativo non ha abrogato il decreto 286/1999 che è il decreto che disciplina i controlli
interni che coinvolge gli enti pubblici. Tutto l’impianto normativo è stato importante per creare una svolta nel
pubblico impiego però ha scardinato una delle poche certezze del diritto amministrativo, ovvero quella del pubblico
impiego era materia del diritto amministrativo, disciplinata da fonti pubblicistiche, inoltre le controversie in tema di
pubblico impiego erano di competenza del giudice amministrativo nell’ambito della sua giurisdizione. Il pubblico
impiego ha giurisdizione esclusiva perché il giudice amministrativo conosce interessi legittimi e diritti soggettivi. Il
diritto soggettivo è la pretesa di un privato affinchè un altro privato rispetti il diritto oggettivo cioè la norma. Se
invece c’è un interesse legittimo, pretesa del privato affinchè la PA rispetti la legge, il giudice competente è quello
amministrativo. Nel pubblico impiego è una materia di stampo civilistico.
Con l’arrivo della privatizzazione si ha la contaminazione del Codice Civile e il pubblico impiego diventa disciplinato
dal diritto privato.
Il quadro delle fonti si complica con il Titolo V della Cost. ossia dall’artt. 114 e seguenti, soprattutto all’art. 117 co.2
lettera g lascia alla competenza esclusiva dello Stato l’organizzazione statale e quindi anche il pubblico impiego e
quindi il rapporto tra ente pubblico e dipendente è disciplinato da una legge statale. Da questa previsione rimane
fuori però l’organizzazione a livello regionale, e quindi il rapporto tra persona fisica ed en te regionale non segue
necessariamente le norme nazionali, ma segue le fonti regionali: le regioni speciali hanno regole ad hoc che regolano
i rapporti, seguendo si i principi di carattere generale ma avendo anche degli articoli specifici, come il trattamento
economico. L’art. 117 co.4 affida la competenza esclusiva generale per l’organizzazione regionale.
Il decreto 150/2009 rende ancora più complesso il quadro normativo perché inserisce nel Testo Unico 165/2001 un
nuovo metodo di lavoro nell’ambito delle PA un principio cardine della riforma sono le valutazioni delle performance,
obiettivi e anche di premialità.
Privatizzazione
Il primo elemento chiave è il ruolo del contratto. Privatizzazione vuol dire dare una centralità al contratto nella fase di
costituzione del rapporto giuridico e quindi del rapporto di servizio. Il contratto è lo strumento costitutivo quindi esso
non è più uno strumento per regolare lo svolgimento del rapporto ma va a costituire il rapporto di servizio e
sostituisce il vecchio provvedimento amministrativo. Oggi il rapporto di servizio nasce dal contratto. Il contratto di
diritto privato lo assume in tutti gli effetti.
Questo principio non vale per tutti. Una serie di dipendenti, indicati dall’art. 3 del Testo Unico, si sottraggono al
concetto di privatizzazione e rimangono nell’area pubblicistica del rapporto, sono i soggetti della carriera diplomatica,
gli avvocati dello Stato, il personale militare e delle forze di polizia e i docenti universitari. Persone che hanno un
regime pubblicistico a partire dal giudice amministrativo, per queste figure il giudice è il TAR.
Il contratto va a costituire i rapporti per tutti i soggetti tranne quelli elencanti e va a costituire i rapporti pubblici. Nel
caso di queste figure il rapporto si costituisce ancora come provvedimento amministrativo.
Il contratto diventa ancor più importante nel processo di contrattazione. Il decreto 29/1998 all’art. 50 oggi
confermato dal Testo Unico prevede che per rappresentare gli enti ci sia l’ARAN, agenzia per la rappresentanza
negoziale della PA, la quale incontrerà il Governo, i Ministri competenti e i sindacati. L’ARAN rappresenta i dipendenti
pubblici e il Governo e le altre figure pubbliche.
Contratti collettivi quadro contratti che contengono caratteri generali, diritti e doveri per i dipendenti, il codice di
condotta…
Contratto per singoli comparti regola ogni settore della PA.
Contratti individuali sono i singoli contrati che la singola PA può concludere individualmente con le singole figure. Il
profilo più importante è quello economico perché con esso l’ente può discostarsi dalle tabelle previste dal contratto
quadro, però deve farsi carico delle differenze.
Il tema dei contratti pone il problema dei limiti della PA nei confronti dell’attività contrattuale. Nel contratto di
pubblico impiego un contraente è la PA e anche nell’ambito di questa attività ci sono dei limiti:
1. Limite dell’attribuzione delle mansioni che cosa fanno i dipendenti nell’ambito dell’ente. L’art. 52 del Testo
unico 165/2001 vieta ad una PA di far svolgere ad un proprio dipendente una mansione superiore rispetto a
quella per la quale è stato assunto. Questo è un divieto generale, ma è possibile andare in deroga a questo
divieto per un termine di 6 mesi, o di 12 mesi se nel frattempo è stato bandito un concorso per una nuova
assunzione. Superando questi termini l’eccedente è un’attività illegittima, anche gli atti posti in essere in un
periodo nel quale un soggetto non poteva comparire quei ruoli sono nulli e scattano le responsabilità
dirigenziali.
Oltre al profilo soggettivo ci sono altri elementi che non sono privatizzati, come l’accesso alle PA, ad una PA si accede
tramite concorso. La fase concorsuale è retta dal diritto amministrativo. Oltre all’accesso anche i casi di
incompatibilità non sono stati privatizzati, ovvero i casi in cui un soggetto non è compatibile a svolgere certi ruoli. Gli
enti sono diventati severi con le ultime leggi in tema di anticorruzione.
La mobilità volontaria è un istituto tipico degli enti pubblici secondo il quale prima di svolgere e di provvedere ai
concorsi per nuove assunzioni ciascun ente ha il dovere di verificare la presenza o meno di una mobilità, ovvero il
trasferimento da parte di altri enti pubblici. Il diritto amministrativo deve anche programmare i bisogni in termini di
personale.
Il giudice delle controversie di pubblico impiego è il giudice ordinario in qualità di giudice del lavoro. Il giudice
amministrativo ha competenza quando un dipendente pubblico riceve una promozione di livello superiore a uno
inferiore. Nel caso di uno spostamento di un dipendente pubblico da una mansione ad un’altra ma su pari livello è
competenza del giudice ordinario.
Un profilo pubblicistico del concorso ha due profili: la PA può introdurre i blocchi delle assunzioni e il secondo
riguarda i posti riservati ai dipendenti pubblici, secondo un fenomeno antecedente alle procedure del 2002 della
corte, il bando pubblico del concorso era aperto non soltanto partecipavano i soggetti esterni ma anche quelli interni,
i funzionari potevano diventare dirigenti. In assenza di un limite nei confronti del numero di partecipanti interni si
creava la disparità perché il dipendente pubblico che partecipava al concorso ha dei vantaggi maggiori rispetto al
soggetto esterno, sono intervenute delle sentenze che hanno fissato il limite del 50% oltre il quale i dipendenti interni
non possono partecipare.
Il principio della privatizzazione separa gli organi politici da quelli amministrativi, è l’art.4 co.1 del decreto 29/1993
che separa le due figure. Il processo di privatizzazione ha come architrave la separazione delle responsabilità e delle
mansioni nel rispetto del principio costituzionale, l’art. 97 co.3 è quello delle competenze, che non fa riferimento
all’azione ma agli uffici, che devono rispettare il principio di legalità. L’art. 4 ha distinto l’organo politico che deve
tracciare gli obiettivi dell’azione amministrativa e la diligenza, ovvero i dipendenti dell’ente, deve trovare i mezzi per
raggiungere quegli obiettivi.
Nell’ambito del pubblico impiego il decreto Brunetta parla di performance e i dipendenti venivano esaminati. Esso
generalizza tutto ciò ed entra il concetto di valutazione, tutti sono sottoposti a valutazione tramite questionari. Ci
sono dei soggetti preposti alla tutela di queste performance e il decreto crea la commissione nazionale per la
vigilanza, per la trasparenza e integrità della PA, con sede a Roma, composta da 5 membri designati da delibera del
Governo. La commissione individua i parametri da individuare nei vari enti per premiare o meno i dipendenti. Nei
singoli enti ci sono ‘gli organismi indipendenti per le valutazioni delle performance’, l’ente ha 3 componenti.
I documenti necessari annualmente entro il 31/1 di ogni anno deve essere definito il piano triennale delle
performance che indica gli obiettivi da raggiungere. Entro il 30/6 bisogna fare un piano consultivo in riferimento agli
obiettivi raggiunti. La mancanza di questi due piani implica la responsabilità dirigenziale, essi stessi fanno parte delle
performance.
2) Concorrenza per il mercato: quando a ragioni di tipo tecnico o economico (monopolio naturale) il servizio
pubblico si presta a essere svolto in modo efficiente da un unico gestore. L’attribuzione del servizio avviene in
seguito a una procedura competitiva di affidamento della concessione (diritto speciale ed esclusiva) alla quale
possono partecipare su un piano di parità tutti i potenziali interessati.
La regolazione e le forme di gestione dei servizi pubblici
Dal punto di vista analitico, i servizi pubblici presentano tre momenti giuridici simili tra di loro ossia
l’assunzione, la regolazione , la gestione.
L’assunzione del servizio: frutto di una decisione politica e dei pubblici poteri
1) L’assunzione del servizio: frutto di una decisione politica e dei pubblici poteri (assegnato con legge o con
atti amministrativi) che mette in opera interventi di regolazione volti a garantire livelli minimi qualitativi e
quantitativi delle prestazioni. L’atto è responsabilità esclusiva dello stato o degli enti locali.
Rilevano a questo riguardo due caratteri della nozione di sevizio pubblico:
a) La storicità. Beni e servizi essenziali per il benessere della collettività da considerare come servizi pubblici.
Essi variano nel tempo in base alle esigenze della società e alla situazione di mercato concreta.
b) La relatività. Il perimetro del servizio pubblico muta da contesto e contesto.
Non esiste dunque un criterio certo per delimitare la nozione di servizio pubblico che varia a secondo del periodo
storico e del contesto.
La regolazione del servizio. È la funzione necesaria per il raggiungimento di una
Una serie di obbiettivi e l’attuazione in concreto dei principi giuridici in materia di servizi pubblici. Si tratta di
principi generali come la doverosità, la continuità, la parità di trattamento, la universalità, la economicità,
l’abordabilità. Tra i compiti della regolazione vi è anche l’individuazione delle forme gestionali del servizio.
Le forme gestionali del servizio. Vi sono varie forme appresso menzionate
- Dirette dall'ente titolare del servizio;
- Indirette ed affidate ad un ente pubblico incaricato dello svolgimento del servizio;
- Società in house;
- Società miste a partecipazione pubblica che opera una prima esternalizzazione, ancora parziale caratterizzate da
una collaborazione stabile e duratura tra pubblico e privato attraverso la costituzione di un partenariato;
- Concessione del servizio a soggetti terzi che per motivi tecnici, il servizio, verrà erogato da un solo gestore
tale forma è detta anche concessione contratto;
- I contratti di utenza;
- Semplice autorizzazione rilasciata a più gestori che erogano il servizio in concorrenza tra di loro nel rispetto
degli obblighi di servizio pubblico stabiliti dal regolatore (concorrenza nel mercato).
Le autorità di regolazione
In un contesto di liberalizzazione dei mercati, l’architettura delle regolazioni è necessariamente più complessa
su vari versanti che appresso analizzeremo:
1) Rapporti tra gestori di servizi e autorità di regolazione: per disciplinare tale rapporto si deve essere in possesso
di una cornice di regole tali da consentire sia lo sviluppo di un mercato concorrenziale in un ambiente
dominato da elementi di monopolio naturale, sia il raggiungimento di un obiettivo proprio del servizio. La
regolazione volta a creare in modo artificiale i presupposti del mercato concorrenziale ha caratteri di una
regolazione ex ante. Le autorità devono assicurare l’osservanza puntuale delle regole da parte dei gestori del
servizio, instaurando con queste, rapporti giuridici di tipo bilaterale.
2) Rapporti reciproci tra gestori e concorrenza. I gestori sono sottoposti a obblighi reciproci e dispongono di
strumenti negoziali o, in caso di impossibilità di accordo, a provvedimenti unilaterali delle autorità si settore.
3) Rapporto tra gestori e utenti. Disciplinato da un complesso di regole poste dalle autorità di settore.
Le principali autorità di settore istituite a livello nazionale sono l’autorità per l’energia elettrica e il gas, autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, e l’autorità per i trasporti. Le disposizioni comuni che regolano queste autorità
sono inserite nella legge 481/1995 dove all’art. 1 regola le finalità di tali autorità atte a garantire la promozione della
concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità eccecc.....
Il servizio scolastico.
Fondamento sancito
all‟art. 33 della
costituzione dove
Il servizio scolastico. Fondamento sancito all’art. 33 della costituzione dove appunto è trascritto la libertà di
insegnamento e il diritto all’istruzione (art. 34 della costituzione) tale servizio, è considerato sia come un
dovere sociale che come un diritto soggettivo. È lo stato che si deve occupare obbligatoriamente ad
organizzare e gestire tale servizio con proprie strutture. L’istruzione, infatti, e considerata materia concorrente
dello stato e delle regioni. Vi sono anche scuole private parificate soggette a controllo da parte delle istituzioni statali
e regionali.
Il servizio sociale. Tutte le attività relative alla predisposizione e alla erogazione
Il servizio sociale. Tutte le attività relative alla predisposizione e alla erogazione di servizi gratuiti e a pagamento, o
di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare la situazione di bisogno e di difficoltà che la persona
umana incontra nel corso della propria vita, sono gestite direttamente dal servizio sociale statale. Ai sensi dell’art. 38
della Costituzione. Tale competenza legislativa e ad appannaggio esclusivo delle regioni mente la legge statale
determina solo i livelli essenziali di prestazioni.
taluni diritti (appartenenza a organizzazioni politiche e sindacali). Lo stipendio non costituisce un corrispettivo,
ma un credito di diritto pubblico assimilabile a una prestazione alimentare.
La concezione pubblicistica esclude che il rapporto di impiego possa essere disciplinato con strumenti
contrattuali come ad esempio un contratto collettivo. Esso invece, è regolato da due tipi di attti per gli aspetti
generali, da atti normativi e provvedimenti amministrativi unilaterali e per gli aspetti relativi alla posizione del
singolo dipendente.
I principi costituzionali riguardanti il personale pubblico sono:
1) I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e
l’imparzialità dell’amministrazione.
2) Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità
proprie dei funzionari.
3) Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo nei casi stabiliti dalla legge.
In epoca successiva alla costituzione la concezione pubblicistica entrò in crisi.
L’affermarsi anche nel pubblico impiego della pretesa a un riconoscimento più pieno di diritti sindacali e
all’introduzione di meccanismi di contrattazione collettiva. L’esigenza di rendere meno rigido il sistema in modo da
promuovere flessibilità ed efficienza nella gestione degli apparati amministrativi in coerenza con una visione più
aziendalistica della pubblica amministrazione. Viene introdotto la contrattazione collettiva che cerca di conciliare
il momento privatistico della negoziazione del contenuto dell’accordo tra le rappresentanze sindacali e le
amministrazioni con il momento pubblicistico del recepimento formale dell’accordo in fonti normative unilaterali.
Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro
Il regime privatistico del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici vale per la maggior parte dei dipendenti
della pubblica amministrazione. Pur con una serie di eccezioni. Infatti alcune categorie di personale restano
sottoposte al regime di diritto pubblico. Esse sono ad esempio le forze di polizia, i magistrati, gli avvocati di stato
ecc. per alcune di queste categorie il regime è completamente pubblicistico come ad esempio i magistrati per
altri, invece, è previsto l’accordo collettivo come ad esempio il personale diplomatico o i prefetti. In entrambi i casi la
disciplina viene adottata con provvedimento unilaterale e le controversie sono di competenza del giudice
amministrativo.
Le specialità del regime privatistico. L’esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza non da
diritto, come accade nel diritto privato all’inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore. Questo per
salvaguardare il principio del concorso pubblico. Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è regolato da due
tipi di strumenti privatistici:
1) Il contratto individuale. Con il quale si instaura il rapporto di lavoro tra dipendente e amministrazione a
seguito di superamento di un concorso pubblico.
2. Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro.
Il regime privatistico del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici vale per la maggior parte dei dipendenti
della pubblica amministrazione. Pur con una serie di eccezioni. Infatti alcune categorie di personale restano
sottoposte al regime di diritto pubblico. esse sono ad esempio le forze di polizia, i magistrati, gli avvocati di stato
ecc. per alcune di queste categorie il regime è completamente pubblicistico come ad esempio i magistrati per
altri, invece, è previsto l’accordo collettivo come ad esempio il personale diplomatico o i prefetti. In entrambi i casi la
disciplina viene adottata con provvedimento unilaterale e le controversie sono di competenza del giudice
amministrativo.
2) Le specialità del regime privatistico. L’esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza non
da diritto, come accade nel diritto privato all’inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore. Questo
per salvaguardare il principio del concorso pubblico.
Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è regolato da due tipi di strumenti privatistici:
1) Il contratto individuale. Con il quale si instaura il rapporto di lavoro tra dipendente e amministrazione a
seguito di superamento di un concorso pubblico.
2) Il contratto collettivo. La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamene pertinenti al
rapporto di lavoro, nonchè le materie relative alle relazioni sindacali erga omnes, per quanto riguarda gli ambiti di
applicazione sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti
All’organizzazione degli uffici. Le materie afferenti le prerogative dirigenziali, le materie di conferimento e revoca
degli incarichi dirigenziali. Per finire possiamo affermare che la contrattazione collettiva nelle materie specifiche di
sanzioni disciplinari, prestazioni economiche, mobilità, è consentita nei limiti previsti dalla legge. Vi è quindi una
tendenza a ridurre il campo di applicazione della contrattazione collettiva.
Per questo motivo vi sono due aspetti da valutare: con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra diversi
livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali nonchè quelli integrativi. Vi sono tre livelli di contrattazione
dipendente da amministrazioni tendenzialmente omogenee riguardano personale di una singola amministrazione.
In tutti e tre i casi la contrattazione è attribuita la finalità di assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività e
di valorizzazione, sotto il profilo del trattamento economico accessorio, della performance individuale.
I soggetti della contrattazione. Sono da una parte l‟ARAN che rappresenta la
I soggetti della contrattazione. Sono da una parte l’ARAN che rappresenta la pubblica amministrazione in sede si
contrattazione collettiva nazionale , la quale dovrà tenere conto delle finanze stanziate per il rinnovo dei
contratti. La controparte sono le organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici.
La Costituzione e lo svolgimento del rapporto di lavoro
Il procedimento di selezione e di avviamento al lavoro nella pubblica amministrazione propedeutici alla
costituzione del rapporto sono regolati esclusivamente dalla legge o con atti normativi amministrativi.
Il concorso pubblico costituisce la regola generale (ecezioni valgono per il personale scelto all’interno delle liste
di collocamento e per gli invalidi civili).
Per i dirigenti di seconda fascia (livello meno elevato) è previsto non solo l’accesso con concorso ma anche un
corso, il concorso di formazione bandito dalla scuola di reclutamento concorsuale, ovvero genus del procedimento
concorsuale suddiviso in 4 fasi specifiche:
1) L’avvio della procedura a cura di una pubblica amministrazione triennale del fabbisogno del personale,
attraverso un provvedimento di indizione del concorso e la pubblicazione del bando.
2) Le domande di partecipazione devono essere inviate o presentate entro 30 giorni dalla pubblicazione del
bando di concorso. La mancata ammissione alla procedura concorsuale costituisce provvedimento impugnabile dal
singolo candidato innanzi al giudice amministrativo.
3) Allo scopo di garantire imparzialità e competenza, l’amministrazione affida la fase istruttoria ad una commissione
composta da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso.
4) La fase decisionale a cura dell’amministrazione che ha indetto il concorso consiste in un esame della
regolarità della procedura e nell’approvazione della graduatoria di merito con l’indicazione dei candidati vincitori
o idonei. Il provvedimento che approva la graduatoria conclude il procedimento concorsuale ed è suscettibile
di impugnazione innanzi al giudice amministrativo.
5) Concluso il procedimento i vincitori vengono assunti in servizio con un contratto di lavoro individuale.
Gli aspetti giuridici del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici avrà le seguenti caratteristiche:
1)Obbligo di esclusiva. Il dipendente si impegna a dedicare tutte le sue risorse lavorative al proprio datore di lavoro.
vige quindi un regime di incompatibilità ex lege con tutte le altre attività lavorative. In via di deroga è previsto solo il
part-time (docenti, medici);
2) Disciplina delle mansioni il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per il quale è stato assunto
o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica
superiore che abbia successivamente acquistato per effetto delle procedure selettive. Può essere adibito a
mansioni proprie della qualifica superiore solo in caso di vacanza del posto originario e in caso di sostituzione
di altro dipendente in aspettativa e gli deve essere riconosciuto il trattamento economico corrispondente;
3) Trattamento economico è definito nella contrattazione collettiva, diviso dal trattamento fondamentale e
accessorio, quest’ultimo non è automatico ed è collegato ad altri fattori come la performance personale, la
performance organizzativa nel complesso dell’amministrazione, all’effettivo svolgimento di
attività particolari, pericolose o dannose. Per premiare il merito e il miglioramento di una performance dei
dipendenti, ai sensi delle vigenti normative, sono destinate, compatibilmente con vincoli di finanza pubblica, apposite
risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro;
4) Mobilità al fine di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione del personale delle
pubbliche amministrazioni è definita, senza nuovi o maggiori oneri, una tabella di equiparazione fra i livelli di
inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione;
5) Eventuali sanzioni disciplinari. La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei
provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi, procedure di
conciliazione non obbligatorie, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento da
instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore ai tenta giorni dalla contestazione dell’addebito e
comunque prima dell’irrogazione della sanzione. Molte ipotesi di licenziamento disciplinare son disposte per legge e
anche il procedimento delle sanzioni è regolato in modo minuzioso per legge. In aggiunta alla responsabilità
disciplinare i dipendenti pubblici sono sottoposti anche a un tipo di responsabilità amministrativa sconosciuta
nell’ambito del lavoro privato. Infatti la responsabilità amministrativa prevede anche il danno erariale. Anche i casi
di responsabilità penale presenta delle specificità rispetto a quelle dei dipendenti privati;
6) Tutela giurisdizionale. Le controversie sono devolute principalmente al giudice ordinario. Restano devolute
al giudice amministrativo solo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni nonchè per i dipendenti in sede di giurisdizione esclusiva
precedentemente richiamati.
La dirigenza pubblica
Con le riforme degli anni 90, si è realizzata, almeno sulla carta, una netta separazione di funzioni tra organi
politici e dirigenti. Inoltre è venuto meno il tradizionale rapporto gerarchico che legava il vertice politico.
Dell’amministrazione (ministro, sindaco) ai dirigenti, sostituito da un più tenue rapporto di direzione politica, in
virtù del quale l’organo di governo può emanare direttive che indicano al dirigente gli obiettivi da perseguire ed
eventualmente i criteri ai quali attenersi, ma non può più emanare ordini che, invece, vincolano in modo puntuale il
comportamento del destinatario. La disciplina generale è stata poi raccolta nel decreto legislativo 165/2000. Uno
dei criteri ispiratori della riforma è il principio di separazione tra politica e amministrazione, enunciato all’art. 4
del decreto legislativo 165/2000 e che ,nelle intenzioni, stabilisce una separazione netta tra politica e gestione.
Infatti secondo tale principio:
a) Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico amministrativo, definendo gli obiettivi ed i
programmi da attuare ed elaborando gli altri rientrati nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza
dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione altri indirizzi impartiti;
b) Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno, nonchè la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante poteri autonomi
di spesa, di organizzazione e risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva
dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.
Nel decreto legislativo 165/2000 il punto di equilibrio fa scaturire due questioni principali:
1) La ripartizione delle competenze. In ogni amministrazione dello stato è istituito il ruolo dei dirigenti, che si articola
nella prima fascia e nella seconda fascia, nel cui ambito sono definite apposite sezioni in modo da garantire la
eventuale specifica tecnica. Ai dirigenti competono funzioni di indirizzo politico amministrativo e di controllo ex
post e la responsabilità della gestione, inclusa l’emanazione di provvedimenti amministrativi di tipo discrezionale. Se
il dirigente non provvede o in caso di grave inosservanza delle direttive generali, il vertice politico può
nominare un commissario ad acta che lo sostituisce.
a) I dirigenti generali hanno funzioni di impulso generale degli uffici, di
Il coordinamento e controllo dei dirigenti assegnati dai dirigenti generali, svolgono compiti da questi delegati,
coordinano e controllano l’attività degli uffici, provvedono alla gestione del personale ecc. ecc.
2) Attribuzione degli incarichi dirigenziali. La durate degli incarichi non può essere inferiore ai 3 anni e non può
eccedere i 5 anni. Gli incarichi di rango più elevato sono conferiti con la massima solennità con decreto del
presidente della repubblica mentre per quelli generali con decreto del consiglio dei ministri.
3) La responsabilità dirigenziale , può sorgere per il mancato raggiungimento degli obiettivi, oppure in caso di
inosservanza delle direttive impartite dal vertice politico o violazione dei diritti doveri sul rispetto da parte del
personale sottoposto a standard qualitativi di performance fissati dalla pubblica amministrazione.
i casi di esclusione dalle procedure per irregolarità o carenza di requisiti sono solo quelli espressamente previsti
dal Codice, il quale limita la possibilità di escludere le offerte per carenze formali imponendo alle stazioni appaltanti
di operare il soccorso istruttorio; è stata ciò posta una distinzione tra irregolarità essenziali e non essenziali, le prime
sanabili, le seconde non danno luogo a doveri di regolarizzazione.
3. La terza fase è quella della valutazione delle offerte che serve a individuare, tra i partecipanti, l’impresa con
la quale l’amministrazione stipulerà il contratto. Il codice individua due criteri per individuare l’offerta
economicamente più vantaggiosa:
a. Il prezzo più basso criterio privilegiato dalla tradizione del nostro ordinamento che non concede spazi
di discrezionalità all’amministrazione;
b. Il miglior rapporto qualità/prezzo criterio privilegiato dalle direttive europee.
La valutazione tecnico-discrezionale è affidata a una commissione giudicatrice, composta da funzionari della
stazione appaltante o da esperti esterni, nominata dalla stazione all’esito di un pubblico sorteggio da una lista di
candidati iscritti all’albo costituita da un numero doppio rispetto a quello dei componenti da nominare e nel rispetto
del principio di rotazione. La lista viene comunicata all’ANAC entro cinque giorni dalla richiesta. La commissione
procede all’esame di ciascuna offerta e all’attribuzione dei punteggi. Valuta dapprima gli elementi qualitativi
dell’offerta e apre poi, in seduta pubblica, la busta contenente l’offerta economica.
4. La quarta fase è quella dell’aggiudicazione. La commissione giudicatrice formula una graduatoria e viene
dichiarata l’aggiudicazione a favore del miglior offerente.
Prima dell’aggiudicazione viene fatto un controllo sulle regolarità delle operazioni di gara, risultanti dai verbali
redatti dalla stazione appaltante e dalla commissione. Esso si conclude con un atto di approvazione della stazione
appaltante che deve intervenire entro 30 giorni superati i quali si forma il silenzio-assenso.
L’aggiudicazione definitiva non equivale ancora ad accettazione dell’offerta risultata prima nella graduatoria;
l’offerta ha il valore di proposta contrattuale irrevocabile per un termine predeterminato.
L’efficacia dell’aggiudicazione è subordinata a un ulteriore controllo avente per oggetto il possesso effettivo da
parte dell’impresa selezionata dei requisiti di partecipazione.
Divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, l’amministrazione procede alla stipula del contratto entro un termine,
di regola 60 giorni, decorso inutilmente il quale l’aggiudicatario può sciogliersi dal vincolo contrattuale. La stipula non
può avvenire prima di 35 giorni dalla comunicazione alle imprese del provvedimento di aggiudicazione.
5. Il procedimento di aggiudicazione richiede l’attivazione di un subprocedimento di verifica quando la stazione
appaltante, nell’esaminare le offerte prevenute, individui uno o più offerte anormalmente basse.
La stazione appaltante ha interesse a selezionare offerte che abbiano un senso economico minimo per l’impresa
contraente.
Il subprocedimento di verifica avviene in contradditorio con l’impresa sospetta di aver presentato un’offerta fuori
mercato o in perdita. L’impresa è invitata a presentare giustificazioni scritte relative alle voci di prezzo o altri elementi
incongrui presenti nell’offerta. Il procedimento di esclusione deve essere motivato e costituisce un atto che può
essere impugnato immediatamente dall’offerente escluso.
Il Codice individua procedure innovative:
1. Il dialogo competitivo procedura che può essere utilizzata in caso di appalti nei quali la stazione
appaltante non ha le conoscenze necessaria per individuare le soluzioni tecniche, giuridiche o finanziarie di
un progetto e ha necessità di un confronto con le imprese per individuare la soluzione migliori da mettere poi
a gara.
Il bando di gara si limita a individuare le necessità e gli obbiettivi che si propone la stazione appaltante e i criteri di
valutazione delle offerte. La stazione invita poi le imprese ammesse alla procedura a un dialogo nel quale ciascuna di
esse discute con la stazione tutti gli aspetti dell’appalto e le soluzioni individuate. Conclusa la fase del dialogo, la
stazione invita le imprese a presentare l’offerta finale in base alle soluzioni individuate nel corso della procedura. Le
offerte sono poi valutate sulla base di criteri fissati nel bando e all’esito della valutazione si procede
all’aggiudicazione.
1. Le aste elettroniche previste per i casi in cui l’aggiudicazione può avvenire sulla base di elementi espressi
in. Valori numerici precisi (prezzo, tempi di realizzazione e consegna) tali da poter essere computati in modo
automatico con mezzi informatici.
L’asta è preceduta da una fase nella quale la stazione opera una prima valutazione delle offerte. Le
imprese invitate inviano poi i prezzi o valori con mezzi elettronici e ricevono in tempo reale la rispettiva
posizione in graduatoria. L’asta si conclude alla data e all’ora preventivamente concordate e l’aggiudicazione
avviene a favore dell’offerta migliore.
2. L’accordo quadro procedura particolare che si riferisce alle forniture e ai servizi. È un contratto il cui scopo
è quello di stabilire le condizioni e le clausole relative a singoli appalti da aggiudicare in un determinato
periodo di tempo, non superiore ai 4 anni. L’accordo è aggiudicato all’esito di una procedura che si svolge
con modalità ordinarie. Se l’impresa aggiudicatrice è una sola la stazione appaltante può poi stipulare i singoli
contratti direttamente con quest’ultima; se le imprese sono più di una i singoli contratti sono conclusi tra
queste ultime senza un ulteriore confronto competitivo in base ad un ordine di priorità stabilito nel bando,
privilegiando il principio di rotazione.
L’esecuzione del contratto
Una volta stipulato il contratto, la sua esecuzione avviene secondo i principi generali del diritto privato.
Le varianti in corso d’opera vige il principio dell’invariabilità del contratto: modifiche sostanziali del contratto nella
fase di esecuzione potrebbero alterare il senso complessivo della procedura di gare che finirebbe per essersi svolta in
relazione a un oggetto diverso, tale da rendere possibile la partecipazione a un numero maggiore di imprese.
Modificazioni previste nel contratto sono ammesse, in particolare nei lavori pubblici, solo in pochi casi; non possono
determinare un aumento del valore del contratto superiore a un quinto.
La revisione dei prezzi l’adeguamento dei prezzi cerca di contemperare l’esigenza di evitare l’aumento incontrollato
degli oneri a carico dell’amministrazione con quello di non compromettere per l’impresa la remuneratività del
contratto. Le clausole di revisione dei prezzi devono essere previste nei documenti di gara iniziali in modo chiaro,
preciso e inequivocabile.
Il subappalto il contratto non può essere ceduto, a pena nullità, dall’impresa affidataria a soggetti terzi. Tuttavia,
entro il limite di importo del 50% delle prestazioni previste dal contratto, è ammesso il subappalto, cioè l’affidamento
da parte dell’impresa aggiudicatrice di parte delle prestazioni ad altre imprese di propria fiducia. La facoltà di
procedere al subappalto deve essere dichiarata dall’impresa già nel momento in cui presenta l’offerta, il contratto di
subappalto deve essere consegnato all’amministrazione almeno 20 giorni prima della sua esecuzione, l’impresa deve
dimostrare il possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento dell’attività subappaltante.
Il direttore dei lavori alla fine di esecuzione è preposto un direttore che, per i contratti di importo minore, può
coincidere con il responsabile del procedimento. egli costituisce l’interlocutore principale dell’impresa aggiudicatrice
dal momento della consegna dei lavori dopo che il contratto è divenuto efficace fino all’esecuzione dei medesimi.
Le riserve l’andamento dei lavori è riportato in un giornale dei lavori che viene compilato ogni giorno da un
assistente del direttore dei lavori ed è previsto anche un registro di contabilità firmato dall’esecutore; quest’ultimo
può iscrivere le cosiddette riserve, cioè eccezioni e contestazioni relative all’andamento dei la ori e alle richieste del
direttore dei lavori che possono determinare il riconoscimento a favore dell’esecutore di importi aggiuntivi che
l’esecutore deve quantificare nella riserva. Il direttore dei lavori certifica l’ultimazione dei lavori e predispone un
conto finale in una relazione da sottoporre al responsabile del procedimento, che a sua volta predispone una
relazione finale.
Il collaudo la verifica delle conformità delle prestazioni eseguite a quelle pattuite avviene attraverso il collaudo. Le
operazioni di collaudo sono affidate dall’amministratore a un proprio funzionario, o a una commissione, o a un terzo
esterno, in modo da garantire la terzietà.
Il recesso e la risoluzione nel corso dell’esecuzione del contratto possono verificarsi situazioni che determinano lo
scioglimento del vincolo contrattuale, sotto forma sia di recesso che di risoluzione.
1. Nel recesso la stazione appaltante può sciogliersi in ogni momento dal vincolo contrattuale, previo pagamento
dei lavori eseguiti e dei materiali utili esistenti nel cantiere e di un indennizzo., commisurato al decimo
dell’importo delle opere non eseguite. Nel caso di recesso ad nutum negli appalti privati il codice civile prevede il
riconoscimento all’appaltatore del mancato guadagno, cioè dell’intero lucro cessante.
2. La risoluzione del contratto da parte della stazione appaltante è prevista nel codice in ipotesi di grave
inadempimento, irregolarità o ritardi nell’esecuzione dei lavori. In questi casi sono posti a carico dell’appaltatore
inadempiente gli oneri relativi alla maggior spesa sostenuta per affidare i lavori ad un'altra impresa.
I mezzi di tutela
Strumenti di tutela delle imprese che partecipano alle procedure sono disciplinate dalla direttiva 2007/66/CE, la
quale prevede:
1. Standstill period vi è il divieto di stipulare il contratto prima di 35 giorni dalla comunicazione alle imprese del
provvedimento di aggiudicazione.
2. Rito speciale e i poteri del giudice in materia di contratti pubblici è previsto un rito speciale accelerato, con
termini processuali ridotti (da 60 a 30 giorni).
Il giudice amministrativo è titolare di poteri decisionali che comportano valutazioni delicate relative all’assetto
degli interessi formatosi con la stipula del contratto all’esito di una procedura della quale è stata accertata in sede di
giudizio l’illegittimità. Ove tale illegittimità dipenda da tre tipi di vizi qualificati dal codice come gravi (aggiudicazione
senza previa pubblicazione di un bando, stipula del contratto prima della scadenza dei termini), il giudice, oltre ad
annullare l’aggiudicazione, dichiara l’inefficacia del contratto. Il giudice può decidere che il contratto resti efficace
quando sussistano esigenze imperative connesse a un interesse generale, fatto cioè che rendono evidente che gli
obblighi contrattuali residui possono essere rispettati solo dall’impresa che sta eseguendo il contratto. Se il giudice
opta per il mantenimento dell’efficacia del contratto, è tenuto a irrogare sanzioni pecuniarie nei confronti della
stazione appaltante o a imporre una riduzione della durata del contratto.
Strumenti di tutela non giurisdizionale
Il codice dei contratti pubblici prevede nella Parte IV, Contenzioso, altri strumenti di risoluzione delle controversie:
1. Transazione limitata alle controversie che involgono diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione del contratto,
escludendo che possa riguardare situazioni giuridiche di interesse legittimo.
2. Accordo bonario nel settore dei lavori pubblici, nel caso in cui l’impresa abbia inserito riserve nei documenti
contabili che siano tali da determinare una variazione del prezzo superiore al 10% dell’importo contrattuale va
attivato l’accordo bonario. Si tratta di una procedura di tipo arbitrale promossa dal direttore die lavori e dal
responsabile del procedimento che procede alla costituzione di una commissione di tre componenti uno dei quali
indicato dall’impresa che ha iscritto le riserve. Le parti possono attribuire alla commissione il potere di formulare
una proposta di accordo che può essere accettata o meno dalle parti.
3. L’arbitrato limitato a questioni che involgono diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione del contratto. La
stazione appaltante deve indicare già nel bando che il contratto conterrà la clausola compromissoria.
4. Attività di “precontenzionso” l’autorità svolge questa attività, ovvero un’emanazione di un parere sulle
questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Il procedimento può essere attivato dalla
stazione appaltante o dalle imprese e prevede un contraddittorio sia scritto che orale sotto forma di audizione. Il
parere ha natura vincolante pe le parti che abbiano preventivamente acconsentito a quanto in esso stabilito ed è
impugnabile innanzi al giudice amministrativo.
Il bando è impugnabile quando ha palesemente dei vizi propri, che non sono della procedura. Dopo il bando c’è
l’avvio della procedura, l’atto finale è l’aggiudicazione cioè un provvedimento finale della procedura.
Le clausole verdi Criteri ambientali minimi negli appalti pubblici o Green Public Procurement.
Principi generali dell’appalto (art. 30 D. Lgs. 50/2016 )
L’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del presente
codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia,
tempestività e correttezza.
Nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresi, i principi di libera
concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità
indicate dal presente codice.
Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme
vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nei bandi, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della
salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile anche dal punto
di vista energetico.
Il legislatore introduce un giudizio di ponderazione tra principio di economicità nel procurement e la tutela
di beni giuridici fondamentali quali esigenze sociali, salute, ambiente, patrimonio culturale e sviluppo
sostenibile.
In particolare il giudizio di ponderazione tra garanzia del principio di economicità nel procurement e la
tutela del bene giuridico ‘ambiente’, spinge il legislatore a preferire soluzioni che comportino un più basso
consumo di spesa energetica e un minore dispendio di risorse naturali, nell’ottica di agevolare lo sviluppo
sostenibile.
Clausole verdi definizione
La stazione appaltante inserisce nel bando di gara o nel capitolato criteri tecnici volti a favorire le offerte di
beni e servizi che presentino soluzioni il più possibile ecocompatibili.
Storia
Introdotti dapprima, a livello sovranazionale dal ‘libro verde sulla politica integrata dei prodotti’ risalente al
1996, approdò nel panorama legislativo italiano grazie alla direttiva 2004/18/CE, ma fu solo con la legge del
28 dicembre 2015 n.221, recante ‘disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green
economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali’ che gli ‘acquisti verdi’ della PA assunsero
un carattere obbligatorio.
Oggi
Attualmente l’art. 34 del D. Lgs. 50/2016, successivamente modificato dall’art. 23 del decreto correttivo
n.56/2017, prescrive la contribuzione da parte delle stazioni appaltanti, al conseguimento degli obiettivi
ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della PA.
Attraverso l’inserimento della documentazione progettuale e di gara almeno delle specifiche tecniche e delle
clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare.
I criteri ambientali minimi definiti dal predetto decreto, in particolare i criteri premianti, devono essere tenuti
in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
Criteri ambientali minimi
I CAM sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la
soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto
conto della disponibilità del mercato.
Sono adottati con Decreto del Ministro dell’ambiente della tutela del territorio e del mare.
La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti
ambientalmente preferibili e produce un effetto leva sul mercato, introducendo gli operatori economici meno
virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della PA.
I CAM sono reperibili sul sito del Ministero dell’ambiente che raccoglie i diversi D.M. adottati.
delle entrate, il governo può proporre di coprire la differenza attraverso l’accettazione di un prestito effettuato
ad esempio con l’emissione di buoni fruttiferi del tesoro. L’approvazione annuale del bilancio è obbligatorio e
senza di essa non si potrà pagare lo stipendio ai dipendenti statali e tantomeno le
pensioni o le altre spese dello stato.
Principi costituzionali
Con l’approvazione della legge costituzionale nr. 1 del 20 aprile 2012 si è completamente riscritto l‟art. 81
della costituzione in ottemperanza al principio di pareggio di bilancio imposto a tutti gli stati membri dalla Unione
Europea. L’art. 81 contiene tutte le regole fondamentali in materia di finanza pubblica.
I vincoli di derivazione europea
Gli stati sono tenuti a raggiungere condizioni finanziarie stabili al fine di evitare che eventuali squilibri dei conti
pubblici distorcano l’allocazione delle risorse all’interno del mercato comune. Tali condizioni sono appresso riportate:
1) Il rapporto tra l’entità complessiva del disavanzo annuale e il PIL non superiore al 3%;
2) Il rapporto tra il debito pubblico e il PIL non superiore al 6 %.
Le quote sopra rappresentate sono state confermate dal patto di stabilità e crescita e ogni stato deve fornire
alla commissione europea e al consiglio d’europa le informazioni necessarie, sotto forma di programma di
stabilità, relativo all’anno in corso e ai 3 anni successivi dove sono indicati anche tutti gli interventi programmatici che
si intendono realizzare per il conseguimento del pareggio di bilancio. La crisi economica che ha investito l’europa nel
2008 ha portato l’UE ad adottare un pacchetto di misure legislative in materia economica e di finanza per
riformare la Governance e introdurre norme più rigorose in materia di politica di bilancio. Le norme
rafforzano sia i meccanismi preventivi che correttivi come ad esempio nei paesi in cui la differenza tra il
debito pubblico e il PIL sia superiore al 60 %, sono obbligati a ridurre tale differenza di 1/20 l’anno.
Il fiscal compact. Accanto alle norme economiche è stata crrata anche la cd.
Fiscal compact che in effetti rafforza la disciplina di bilancio degli stati firmatari. Infatti tale normativa impone
loro da un lato al mantenimento del pareggio di bilancio o addirittura in avanzo, e dall’altro l’attivazione di
meccanismi automatici di correzione nel caso di deviazioni significative dagli obiettivi di medio termine concordati
a livello europeo. Gli stati che hanno ratificato il fiscal compact possono beneficiare del fondo salva stati. Inoltre è
stato istituito anche un’uffico parlamentare di bilancio concepito sul modello delle autorità indipendenti che ha il
compito di far osservare i vincoli comunitari.
Il documento di economia e finanza, la legge di stabilità, la legge di bilancio
Il documento di economia e finanza (DEF) , è un documento presente nella
Il documento di economia e finanza (DEF) , è un documento presente nella contabilità dello stato italiano. Esso
definisce la manovra finanziaria pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Va presentato dal governo
al parlamento entro il 10 aprile di ogni anno. Non è una legge, anche se vincola politicamente le decisioni del
governo. Nel Documento si delineano gli scopi che il bilancio pluriennale intende perseguire e si delimita l’ambito
entro cui costruire il bilancio annuale. Lo scopo del Documento è quello di permettere la
parlamento di conoscere con anticipo le linee di politica economica e finanziaria del governo. Obbligo del
governo è quello di redigere il successivo bilancio annuale tenendo conto del dibattito avvenuto in parlamento a
seguito della presentazione del documento di economia e finanza.
Il documento si compone di tre sezioni:
a) Schema del programma di stabilità contenenti le informazioni richieste dalla normativa europea;
b) L’analisi del conto economico delle amministrazioni dello stato dell’anno precedente e le previsioni per il triennio;
c) Schema di programma nazionale di riforma contenente le informazioni della normativa europea.
La legge di stabilità. La legge di stabilità, insieme alla legge di bilancio, è lanorma principale pervista
dall’ordinamento giuridico italiano per regolare la vita economica del paese per un triennio attraverso misure di
finanza pubblica, ovvero di politica di bilancio. Con essa il governo ha la facoltà di introdurre innovazioni normative
in materia di entrate e spese, fissando anche il tetto dell’indebitamento dello stato. La legge dovrà essere
presentata dal governo al parlamento entro il 15 ottobre. Il parlamento ha tempo per esaminarla ed emendarla
fino al 31 dicembre. Oltre la scadenza di fine anno, la costituzione all’art. 81 prevede il limite successivo del 30 aprile,
da autorizzare con legge apposita che conceda l’esercizio provvisorio del bilancio.
A seguito dell’approvazione da parte del parlamento, la legge finanziaria regola la vita economica del paese per
l’anno solare in corso. Gli obiettivi economici di più lungo periodo sono invece definiti dal governo nel documento di
economia e finanza. Nella legge finanziaria deve essere specificato:
a) Il saldo del netto da finanziare, ovvero il disavanzo pubblico tra le spese e le entrate finali;
b) Il saldo del ricorso al mercato, ossia il deficit complessivo da coprire mediante prestiti;
c) L’importo dei fondi speciali di bilancio.
La legge di bilancio. La legge di bilancio è una legge con la quale viene approvato il bilancio dello stato. In
particolare, essa è lo strumento previsto dall’art. 81 della costituzione, attraverso la quale il governo, con un
documento contabile preventivo, comunica al parlamento le spese pubbliche e le entrate previste per l’anno
successivo in base alle leggi vigenti. Ai sensi dell’art. 81 della costituzione, la legge di approvazione del bilancio
non può introdurre nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra norma che introduca nuove spese deve indicare la
rispettiva copertura finanziaria. In base a questo articolo, il presidente della repubblica può rifiutare la firma
della legge priva di tale copertura.
La gestione delle risorse e il procedimento di spesa
Analizziamo adesso alcuni aspetti relativi all’attività e alle procedure di spesa della pubblica amministrazione. Le
risorse assegnate ad una singola amministrazione vengono ripartite per i vari uffici e organi interni
dall’indirizzo politico amministrativo. Le spese e le obbligazioni di una pubblica amministrazione provengono
talvolta da leggi o sentenze o da provvedimenti amministrativi o da contratti stipulati di evidenza pubblica. Nel
caso di spesa proveniente da procedimento o provvedimento amministrativo la procedura per l’erogazione di una
somma avviene seguendo una sequenza procedimentale suddivisa in 4 fasi:
1) L’impegno. E volto a imprimere alle somme iscritte in bilancio la destinazione specifica;
2) La liquidazione. È un atto interno che verifica i titoli e i documenti comprovanti i diritti dei creditori;
3) L’ordinazione. L’ufficio di ragioneria provvede a impartire ordine al tesoriere la disposizione al pagamento;
4) Il pagamento. Atto finale in cui si eroga la somma effettuato dal tesoriere a seguito di ricezione del mandato di
pagamento.
1865 vediamo l’approvazione della Legge 2248/1865, legge che ha abolito il contenzioso amministrativo. È una
legge fondamentale perché afferma la superiorità dello Stato. Questa legge afferma la superiorità dell’ente pubblico
sul privato eliminando il contenzioso amministrativo e quindi la tutela della posizione giuridica amministrativa che il
giudice era chiamato a tutelare, non si tutela l’interesse legittimo. La L. 2246/1865 nel suo allegato E parla di meri
interessi, la posizione si caratterizza nel rapporto privato-privato. Le legge del 1865 vede che i meri interessi non
richiedevano tutela perché vi era la superiorità dell’ente pubblico, quindi l’interesse privato è soccombente.
1889 la Legge 5992/1889 va a istituire la quarta sezione del Consiglio di Stato che diventa la prima sezione di tipo
giurisdizionale e quindi il Consiglio nel 1889 prende le sembianze attuali con le prime tre sezioni con funzioni
consultive, la quarta diventa la prima con funzioni giurisdizionali.
1907 con la Legge 62/1907 viene istituita la quinta sezione del Consiglio di Stato.
1923/1923 viene introdotta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
1948 viene introdotta la sesta sezione con il D. Lgs 642/1948.
Il Decreto 104/2010 ha modificato la ripartizione del Consiglio, oggi tutte e 6 le sezioni del Consiglio di Stato hanno
sia funzioni consultive che giurisdizionali. Spetta al presidente del Consiglio di Stato (Filippo Patroni Griffi) andrà ad
indicare di volta in volta le competenze consultive e giurisdizionali, oggi tutti i giudici fanno sia una funzione che
l’altra (sede Roma, palazzo Spada).
La Costituzione va a codificare tutto ciò. Durante l’assemblea costituente vediamo la proposta di eliminazione del
giudice amministrativo, e voleva eliminare una parte di giudici speciali, ossia Corte dei Conti e Tribunali militari
facendoli diventare sezioni speciali del giudice ordinario, considerando l’unico vero giudice il giudice ordinario. Il
giudice amministrativo sarebbe diventato sezione speciale del tribunale ordinario. La Costituzione ha mantenuto ciò
che era stato stabilito nel 1889 quindi non ha recepito queste proposte, ha mantenuto il Consiglio di Stato e la Corte
dei Conti e ha mantenuto l’autonomia dei Tribunali militari sia in tempi di pace che in tempi di guerra rinviando ciò
che c’è stabilito nei codici militari.
La Costituzione mantiene un sistema binario di giustizia, secondo il quale al giudice ordinario spetta la tutela dei
diritti soggettivi e al giudice amministrativo spetta la tutela dell’interesse legittimo.
La Costituzione dedica 3 articoli alla giustizia amministrativa:
1. Art. 24 sancisce il diritto di difesa, esso è inviolabile, nell’articolo 24 si inserisce per la prima volta
l’interesse legittimo. Esso prima della Costituzione si chiamava interesse e nell’800 mero interesse. Nel primo
comma vediamo che tutti possono agire in giudizio, si costituzionalizzano le due situazioni soggettive del
nostro ordinamento. In realtà non parla espressamente di tutela effettiva, l’ordinamento comunitario e
l’interpretazione della Corte di Giustizia inserisce nell’art.24 un altro principio: principio della tutela effettiva
cioè l’effettività della tutela giurisdizionale che si ricollega all’art. 24, questo principio è fondamentale perché
dice che la tutela è un diritto inviolabile, ma non solo la tutela in quanto tale ma la tutela effettiva cioè la
tutela deve essere reale e il processo amministrativo al suo interno deve avere strumenti al suo interno in
grado di garantire tale principio. La sentenza è l’atto conclusivo del processo come il provvedimento è l’atto
conclusivo del procedimento. La sentenza è l’atto con il quale il giudice garantisce la tutela, si chiede tutela
perché credo che il provvedimento sia negativo per me. Il problema dell’effettività della tutela è legato al
tempo per raggiungere la sentenza finale. Il tempo diventa un bene giuridicamente prezioso (NB: art.2-2 bis
risarcimento per ritardo). La sentenza giunge quando una situazione si è consolidata e questa non è una
tutela effettiva. Il processo amministrativo deve fare un salto di qualità, l’art. 24 stabilisce il diritto di difesa
ma la Corte di Giustizia aggiunge che la difesa debba essere reale e concreta.
ES: in tema di appalti quando si conclude la fase pubblicistica con l’aggiudicazione, all’aggiudicazione
segue il contratto tra PA e soggetto che ha vinto l’appalto. Prima del codice sul processo amministrativo
contratto e aggiudicazione coincidevano. Il profilo problematico in termini di effettività portava al fatto che il
primo soggetto escluso impugnava l’aggiudicazione davanti al TAR sostenendo qualche vizio nella procedura
ma il problema era quello dell’annullamento dell’aggiudicazione e della sorte del contratto, che nel momento
era già perfezionato. La coincidenza tra contratto e aggiudicazione non garantiva una tutela effettiva al primo
degli esclusi che andava a impugnare l’aggiudicazione, il quale non voleva avere ragione ma voleva il
contratto. Per garantire l’effettività della tutela l’UE ha introdotto lo stand still, un intervallo di tempo durante
il quale il contratto non può essere firmato.
2. Art. 103 prevede che il Consiglio di Stato e gli organi della giurisdizione amministrativa vede che essi
abbiano giurisdizione. Questo articolo non solo ammette la tutela nei confronti dell’interesse legittimo ma
introduce anche la possibilità che il giudice amministrativo sia anche giudice del diritto amministrativo, si ha
una deroga. Questo principio vuole superare la separazione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. in
alcune materie in cui diritti soggettivi e interessi legittimi si intrecciano, per evitare la separazione e
moltiplicazione dei processi si ha un giudice unico che è il giudice amministrativo.
ES: in materia di esproprio si ha competenza del giudice amministrativo, se vediamo casi in cui sono
presenti anche profili oggettivi l’unico giudice che interviene è quello amministrativo.
3. Art. 113 ai sensi del quale contro atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale di diritti e
interessi legittimi davanti agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa, tale tutela non può essere
limitata o esclusa a particolari mezzi di impugnazione. Questo comma è rimasto inattuato fino alla Legge
205/2000 la quale ha modificato la Legge TAR 1034/1971, è la prima importante riforma processuale. La
L.1034/1971 introdotto dalla L.205/2000 all’art. 21 bis parla del silenzio inadempimento. All’art. 7 ha
codificato la risarcibilità dell’interesse legittimo, introdotto con la sentenza 500/1999 della Corte di
Cassazione. L’art. 113 pone che non ci sono limiti ai mezzi di tutela nei confronti della PA, restato inattuato
fino alla L.205/2000, fino al 2000 l’interesse legittimo aveva una posizione minore rispetto al diritto
soggettivo, la L.205/2000 da la medesima tutela all’interesse legittimo e da al giudice amministrativo
strumenti adeguati.
Art. 111 Costituzione vale per tutti i processi.
1. Al co.1 si parla di giusto processo, questo principio corrisponde a quello del giusto procedimento, entrambi
hanno in comune il contraddittorio, per analogia il contraddittorio è un elemento chiave di qualsiasi
procedimento soprattutto nella PA, il contraddittorio processuale è un principio costituzionale. Un processo
non può andare avanti se non viene garantito il contraddittorio di tutte le parti.
2. Al co.2 vediamo il principio di parità delle parti e l’arbitro (giudice) deve essere terzo e imparziale. Questo
elemento è essenziale perché lo distingue dal ricorso amministrativo, quest’ultimo parte da una controversia.
Il ricorso giurisdizionale vede la presenza di parti davanti al giudice terzo. Quando c’è il ricorso al PDR c’è un
istituto particolare che riguarda i contro-interessati cioè una forma di opposizione che prevede che nel
momento in cui il contro-interessato si oppone ciò impone al ricorrente di trasferire il ricorso dall’ambito
amministrativo a quello processuale sempre che voglia una tutela, questo perché si parla del processo come
unica sede di risoluzione delle controversie, il ricorso amministrativo non ha la garanzia dell’imparzialità
perché parte del contenzioso è la PA.
Giurisdizione del giudice amministrativo
Con giurisdizione si intendono i poteri del giudice amministrativo.
Art. 3 del Codice:
1. Giurisdizione generale di legittimità è la più diffusa, chiedo al giudice di pronunciarsi su questioni di
legittimità, chiedo al giudice di cercare un vizio di legittimità nel provvedimento. In questo caso chiedo
l’annullamento del provvedimento in caso di accoglimento da parte del giudice. Essa è cambiata molto nel
tempo, perché fino alla L.205/2000 il giudizio del giudice amministrativo era un giudizio sull’atto cioè sul
provvedimento finale e non era un giudizio sul procedimento quindi era un giudizio molto limitato, era
documentale. Qui non si andava ad indagare il pregresso perché non gli era consentito. La L.205/2000 qui è
stata fondamentale perché il giudice per riconoscere o meno un danno ingiusto deve sapere come la PA è
arrivata al provvedimento. Si deve ampliare il potere del giudice cosi che si possa andare ad indagare sul
procedimento, qui si da al giudice amministrativo un consulente tecnico d’ufficio cioè un perito, prima non
era ammissibile nel processo amministrativo e questo comportava dei limiti nella discrezionalità tecnica, la
discrezionalità è un giudizio non una scelta. La 205/2000 da al giudice amministrativo questa consulenza. La
205/2000 da al giudice poteri nuovi che prima non aveva.
2. Giurisdizione esclusiva (art.103 Cost) intreccio di due posizioni giuridiche soggettive con nature diverse
(interesse legittimo e diritto soggettivo).
3. Giurisdizione di merito in questo caso si chiede al giudice di sostituirsi alla PA, in questo caso si chiede al
giudice di superare il limite invalicabile tra ciò che fa il giudice e ciò che è riservato alla PA. È del tutto
marginale. L’art. 114 del CPA parla di giudizio di ottemperanza, esso consiste nel chiedere al giudice di
obbligare la PA ha eseguire una sentenza e quindi ad adempiere i precetti di una sentenza, negativa per la PA.
Qui diventa molto importante la presenza del giudice e della sua sentenza nei confronti della PA che resta
inadempiente nei confronti di una sentenza.
Principi e presupposti del processo
Principi del processo amministrativo:
1. Domanda non esiste un processo amministrativo senza un ricorso. Il processo è sempre ad istanza di fatto.
Ad esso se ne collega un altro ovvero la corrispondenza tra il cosiddetto chiesto e pronunciato: il ricorrente
prenderà il provvedimento e lo accuserà di una serie di violazioni, per un giudice il provvedimento è viziato. Il
giudice qui deve pronunciarsi solo su ciò che è stato chiesto dal provvedimento, quindi il provvedimento può
avere altri vizi ma non può pronunciarsi in merito. L’oggetto del contendere è definito dal ricorrente. (I motivi
aggiunti sono un’eccezione ovvero quando nel processo sorgono elementi nuovi allora possono essere
integrati).
2. Impluso di parte il processo prosegue se ci sono degli impulsi cioè il processo va avanti se oltre che
depositare il ricorso il ricorrente chiede che venga fissata un’udienza. Se non lo fa tutto resta invariato. Dopo
5 anni se non accade nulla si ha una perezione del processo cioè il processo muore.
3. Disponibiltà come la parte deve chiedere la fissazione dell’udienza, la parte ha nella sua piena
disponibilità la propria tutela, con questo principio in qualsiasi momento la parte può rinunciare alla propria
tutela e quindi interrompere il processo rinunciando alla tutela.
4. Giusto processo art. 111 Cost. non si può prescindere dal contraddittorio.
5. Collegialità il giudice amministrativo fa tutto in modo collegiale, non esiste nell’ambito del processo civile il
giudice istruttore ovvero come organo monocratico. Il giudice amministrativo lavora sempre in team con un
presidente.
Presupposti del processo amministrativo:
1. Esistenza della domanda senza domanda non c’è processo.
2. Capacità processuale il soggetto deve poter stare in giudizio e diventare parte del processo (es. avere la
maggiore età).
Se non c’è una domanda e la capacità processuale il ricorso non si può neanche ricevere è irricevibile.
Il ricorso è improcedibile quando c’è un vizio della procedura, la domanda e la capacità processuale ci sono, ma ad
esempio manca il contraddittorio, esso deve essere garantito dal ricorrente. È compito del ricorrente avviare il
contraddittorio con la notifica.
Una volta che domanda e capacità processuale c’è, c’è il contraddittorio devono esserci altri presupposti:
3. Legittimazione processuale un soggetto è legittimato quando è titolare dell’interesse legittimo, esso deve
essere personale, concreto e attuale (dopo 60 giorni non lo è più). È il controllo del giudice che chi ho di
fronte è il titolare dell’interesse legittimo.
4. C’è l’interesse ad agire? se vi è possibilità di interesse ad agire allora il processo va avanti.
I presupposti sono dei controlli che effettua il giudice per poter far partire il processo amministrativo.
Parti necessarie:
1. Ricorrente propone il giudizio. (attore)
2. Soggetto resistente la PA. (convenuto)
3. Contro-interessato un soggetto che ha un interesse contrario rispetto al ricorrente.
Nel processo possono intervenire altri soggetti come parti eventuali ad es. chi fa interventi a favore delle parti, esse
arricchiscono il processo ma se mancano non viziano il processo.
Azioni:
1. Azione di impugnazione il ricorrente impugna un provvedimento e vuole l’annullamento.
2. Azione cautelare permette di annullare gli effetti negativi che derivano dal trascorrere del tempo tra il
ricorso e la sentenza finale.
3. Azione di condanna si ha risarcimento del danno perché ha avuto un danno ingiusto.
4. Azione di ottemperanza azione con la quale chiedo che la PA dia esecuzione alla sentenza.
Le prime tre possono essere contestuali, con il ricorso si chiede l’annullamento di un provvedimento viziato, chiede il
risarcimento e nel frattempo chiede misure cautelari per bloccare gli effetti del tempo.
Nel ricorso giurisdizionale il patrocinio legale è sempre obbligatorio tranne quando c’è l’avverso del diniego di
accesso.