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MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO

IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI


Introduzione
Il diritto amministrativo (DA) è quella branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto
l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione (PA). Riguarda i rapporti che la PA instaura con
i soggetti privati nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura degli interessi della
collettività. Il DA si compone di un corpus di regole e principi, è autonomo dal diritto privato. Il diritto
amministrativo è una branca del diritto pubblico, regolamenta il modo in cui operano le pubbliche
amministrazioni (regioni, province, comuni, ministeri, università, scuole); alcune PA (province e comuni)
sono autonome rispetto allo Stato. Nel 2001 si è affermato il principio del pluralismo istituzionale paritario.
Tutte le PA tutelano interessi dei cittadini, le istituzioni sono pubbliche perché tutelano interessi pubblici. Le
PA agiscono con provvedimenti amministrativi: se il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti, il
provvedimento amministrativo produce l’effetto amministrativo a prescindere dal consenso del destinatario
del provvedimento (potere coercitivo, principio di autoritatività).
Nel diritto amministrativo è diventato rilevante tutto ciò che precede il provvedimento, come si arriva al
provvedimento quindi il procedimento amministrativo. Il provvedimento amministrativo non è l’unica
modalità di azione delle PA, che possono anche stipulare contratti. In cosa differiscono i contratti pubblici
dai contratti privati? L’interesse per il quale si agisce, la PA stipula un contratto per un bene comune
pubblico (Es. appalto per costruire la scuola), questo fa in modo che la disciplina dei contratti pubblici abbia
delle deviazioni: le PA devono seguire il principio dell’accountability, le pubbliche amministrazioni devono
rendere conto al pubblico. Dall’esterno i cittadini devono poter verificare le modalità di scelta dell’impresa
perché le risorse con cui viene finanziato il progetto sono pubbliche, le tasse. La scelta del contraente, per i
contratti pubblici, deve seguire una procedura ed evidenza pubblica.
Nel settore dei bc sono sempre più frequenti le stipule dei contratti pubblici, è diventato sempre più
necessario coinvolgere i soggetti privati nella gestione del patrimonio culturale, per una mancanza di risorse
idonee di base (sponsorizzazioni-concessioni). Le scelte delle PA devono rispettare il principio di
proporzionalità: l’interesse del singolo privato deve essere sacrificato rispetto all’interesse generale solo se è
l’unico modo possibile. Se si può evitare si deve evitare. Il diritto amministrativo ha il principio della
specialità, la specialità del giudice: il giudice amministrativo; ogni questione giuridica fa capo al giudice
ordinario (tribunale, c d’appello), che può avere competenza civile o penale; quando c’è di mezzo una PA e
quando la PA opera attraverso provvedimenti (modalità tipica), il giudice competente è quello
amministrativo (TAR, giudice di stato). Le PA hanno un loro diritto, hanno poteri esorbitanti (> delle
istituzioni provate) e hanno un loro giudice. Questo a meno che la PA non stipuli un contratto: il giudice a
cui ci si rivolge è l’amministrativo se il contratto è pubblico, ma se si tratta di un contratto stipulato con un
privato viene giudicato da un giudice ordinario (es. contratto di lavoro tra privato e PA-> privatizzazione del
pubblico impiego 1993).
Il DA si evolve di pari passo rispetto all’emergere di apparati amministrativi stabili al servizio del sovrano,
all’evoluzione della struttura della PA in relazione alle funzioni che lo Stato ha assunto, e alla progressiva
sottoposizione della PA allo Stato di diritto.
La presenza di apparati burocratici organizzati è una costante storica: con l’unificazione del potere politico
nelle mani del re (Stato assoluto), si formarono anche apparati amministrativi alle dipendenze del primo; nel
XVIII secolo lo Stato assoluto divenne Stato di polizia con l’assolutismo illuminato, esso garantiva la
convivenza ordinata e promuoveva il benessere della collettività. Con la Rivoluzione francese lo stato
assoluto entrò in crisi e nacque lo Stato di diritto:
1. Presuppone il trasferimento della sovranità dal re al parlamento eletto;
2. Si fonda sul principio della separazione dei poteri;
3. Include delle riserve di legge che limitano il potere legislativo del governo;
4. Richiede che il cittadino possa tutelarsi verso la PA davanti ad un giudice imparziale;
Con la Rivoluzione si fece strada il laissez-faire economico e sociale: lo Stato assumeva su di sé la tutela
dell’ordine pubblico interno e la difesa, garantito questo spettava alla società civile e al mercato la cura delle
attività economiche e sociali. Questa visione fu soppiantata tra XIX e XX dal Welfare State. La svolta
autoritaria del ventennio favorì nuovamente l’intervento pubblico, che si concretizzò anche in economia con

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la crisi degli anni 30 (Stato imprenditore). La sola presenza dello Stato in economia determinò un grande
aumento della spesa pubblica, e questo determinò l’indebitamento statale, a causa dell’impossibilità di
inasprire la pressione fiscale oltre i limiti. Furono poi avviate politiche di privatizzazione (Stato regolatore),
lo stato rinunciò a dirigere attività economiche e sociali predisponendo solo una cornice di regole e
strumenti di controllo per l’attività dei privati.
In Italia la svolta si ebbe con l’unificazione nazionale: la Costituzione del 1948 rifonda lo Stato di diritto su
basi democratiche. Negli anni 70, con la creazione del regionalismo, furono istituiti nuovi apparati regionali
anch’essi con sotto articolazioni: l’amministrazione pubblica assunse le sembianze di una costellazione su
più livelli di enti pubblici affiancati ai ministeri centrali. Gli anni 90 videro anche affermarsi una concezione
dello Stato basata sul decentramento e sulla valorizzazione delle autonomie. Il processo culmina nel 2001
con la riforma del titolo V della Costituzione, che ridisegnò l’assetto delle competenze legislative tra Stato e
Regione in base al principio di sussidiarietà. In sostanza il DA cerca di conciliare due esigenze: quella di
curare gli interessi della collettività e quella di garantire le libertà dei singoli.
Il DA rientra nella nozione del diritto pubblico, che include le discipline giuridiche che si occupano
dell’ordinamento dello Stato e del complesso dei poteri pubblici. bisogna distinguerlo dal diritto
costituzionale, che riguarda i rami alti dell’ordinamento e le fonti del diritto; il DA riguarda il complesso
apparato pubblico e la sua attività.
Il DA è autonomo rispetto al diritto privato, ma non riuscendo a coprire tutta la disciplina dell’attività e
dell’organizzazione delle PA, attinge a moduli privatistici: a certe condizioni si applica anche a soggetti
privati. Questa autonomia emerge dalla l241/1990, che regolamenta gli accordi tra PA e privati per la
determinazione del contenuto del provvedimento. L’attività delle PA, quindi, è regolata in parte da leggi
amministrative e in parte dal diritto privato: le PA godono, come le persone giuridiche private, di una
capacità giuridica generale (attitudine di essere titolari di diritti e obblighi in conformità alle norme del
Codice civile). Le PA possono instaurare rapporti giuridici con altri soggetti. Il limite è il fatto che la
capacità giuridica generale è attribuita alle PA per fini di interesse pubblico. Quelli assunti dalle PA sono atti
autoritativi, caratterizzati dall’unilateralità nella produzione degli effetti e dalla loro sottoposizione al regime
del DA. La capacità di diritto privato consente alle PA di ricorrere al modello della società di capitali di
diritto comune per servizi pubblici e per altre attività di rilevanza pubblicistica. Quando ci sono i
presupposti, anche soggetti formalmente privati sono sottoposti in parte al regime di DA: succede per i
privati che in base ai criteri della normativa sono qualificati come organismi di diritto pubblico. La
costituzione di SPA da parte di soggetti pubblici regolate dal diritto privato non comporta che esse si
qualifichino come persone giuridiche private, perché la trasformazione deve essere accompagnata dalla
dismissione del controllo azionario da parte dello Stato. Il DA si caratterizza per la vastità del materiale
normativo e l’ampiezza delle materie, si deve distinguere tra DA speciale e generale: il DA speciale è
costituito dai filoni legislativi che disciplinano i campi di intervento delle PA (urbanistica, sanità, BC); il DA
generale invece è trasversale e opera della scienza giuridica perché essa rielabora il materiale giuridico, lo
classifica e individua le strutture portanti, elabora i concetti giuridici che sono il nucleo del DA.
Da un lato il diritto amministrativo si colloca in una posizione di specialità nei confronti del diritto privato,
dall’altro progressivamente il diritto privato ha contaminato gli istituti del diritto amministrativo.

C2- LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO


2.1 Le Fonti del diritto
La funzione regolatrice della PA ha assunto negli ultimi decenni un ruolo importante, questo in funzione
della velocità dei cambiamenti sociali ed economici, che mettono in difficoltà il Parlamento, che non riesce a
rispondere a questi cambiamenti in maniera tempestiva. Per questi motivi molti spesso la legge si limita a
porre dei principi generali nelle discipline, delegando agli apparati amministrativi il compito di stabilire, in
maniera “sub-legislativa”, le regole di dettaglio. Quindi la funzione di regolazione della PA attenua in parte
il principio di separazione dei poteri (funzione legislativa→ Parlamento/ esecutiva→ Governo). In molti
ambiti, infatti, la PA ha sia il potere di porre le regole, nei limiti della legge, sia di applicarle con
provvedimenti individuali.
Una distinzione importate è tra:
 Fonti dell’amministrazione: le fonti che vengono emanate dalla PA, le regole che vengono fatte
dalla PA. Si parla essenzialmente del potere normativo del governo, che si esprime sia attraverso
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fonti di rango primario che di secondario (anche norme di Regioni e comune, alcune PA hanno una
funzione regolativa più marcata, che si esprime attraverso normative di rango primario). Sono
strumenti delle PA per regolare i comportamenti privati ma anche, nei limiti della legge, per
autoregolarsi.
 Fonti sull’amministrazione: sono le fonti del diritto che disciplinano le PA, contengono principi e
regole che si applicano ALLE PA. Le PA sono soggetti sottoposte ai principi dello Stato di diritto.
Questo tipo di fonti disciplinano l’organizzazione, le funzioni e i poteri delle PA e fungono come
parametro per porre la questione della legittimità dei provvedimenti. Sono costituite, dal punto di
vista normativo (art.97Cost), da fonti normative di rango primario e secondario.
Il diritto amministrativo di oggi è in parte quello originale
e in parte è un diritto amministrativo adattato alle esigenze
specifiche delle PA. Un tema preliminare è quello delle
fonti del diritto: le fonti sono accomunate dal fatto di
essere atti/fatti idonei a produrre norme giuridiche. A
differenza di quanto avviene nel diritto privato nel diritto
amministrativo gli usi e le consuetudini non sono fonti
perché non idonee a produrre norme giuridiche, le altre
fonti (leggi, regolamenti, decreti) sono idonee. Le norme
giuridiche hanno due elementi principali:
 Astrattezza, non si riferiscono ad un fatto concreto
ma ad ogni ipotesi riconducibile alla norma;
 Generalità, non si riferisce ad una persona
specifica, ma a tutti i soggetti che si trovino in quella situazione;
tutte le norme giuridiche hanno queste caratteristiche e questa è una grande differenza rispetto al
provvedimento amministrativo1, che invece è individuale e concreto, risolve una situazione concreta,
specifica e definita, riferendosi a specifiche persone, ha un destinatario determinato. Nel caso del diritto
amministrativo ci si occupa solo degli atti, i fatti (comportamenti materiali che nel diritto privato sono fonti
del diritto), nel diritto amministrativo non sono rilevanti. Gli atti giuridici sono dichiarazioni di volontà.

2.2.1 la Costituzione
Il sistema delle fonti è plurale, ma quella più importante è la ① Costituzione del 1948: l’atto supremo
dell’ordinamento italiano, quello dal quale tutte le altre fonti derivano e che si colloca al vertice di una
ideale scala gerarchica perché contiene direttamente norme e principi, ed è al tempo stesso l’origine di tutti
gli altri atti giuridici. È una fonte rigida, perché serve un procedimento aggravato per modificarla rispetto
alle leggi ordinarie, così facendo i costituenti del ’48 volevano tutelare il testo; è lunga, perché non individua
solo i diritti dei cittadini e l’assetto generale dello Stato, ma tratta anche i compiti di cui lo Stato deve farsi
carico nell’interesse collettivo.
Ha una duplice natura, è fonte di produzione del diritto (contiene norme) ed è anche fonte sulla produzione
del diritto (ci dice come si fanno le leggi e come si fanno tutte le altre fonti del diritto). È composta di più
parti ma le prime norme costituiscono il nucleo di principi fondamentali immodificabili. Le leggi
costituzionali sono le uniche leggi che possono modificare la fonte suprema.
La riforma del Titolo V nel 2001 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dell’equi
ordinazione tra competenze legislative statali e regionali, che devono essere esercitate nel rispetto della
Costituzione, e dell’attribuzione alle regioni di una competenza legislativa generale residuale, con
indicazione delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello stato.

2.2.3 L’UE

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Le PA emanano gli atti amministrativi, ma non tutti gli atti sono provvedimenti, alcuni non hanno le caratteristiche specifiche
del provvedimento. Esistono i pareri, che non sono provvedimenti amministrativi perché non definiscono una situazione
giuridica, non la modificano in maniera coercitiva. Il parere è un atto strumentale rispetto al procedimento che la PA svolge, è
atto amministrativo perché deriva dalla PA ma non incide su una situazione giuridica perché ha carattere non finale ma
strumentale.
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Sulla base dell’art.117Cost ②le fonti UE sono gerarchicamente sopraelevate rispetto alle fonti primarie,
vige il principio secondo il quale le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere
disapplicate (Es. concessioni balneari: i comuni devono disapplicare le norme nazionali che ne prevedono
la proroga automatica della durata perché in contrasto con la normativa europea che impone una
procedura di gara per la scelta del concessionario).
L’Unione Europea emana delle norme comuni agli stati membri, che entrando a farne parte rinunciano ad
una porzione della loro sovranità. Le fonti previste dal trattato costitutivo dell’unione:
 Regolamenti: una volta adottati nell’Unione entrano a far parte del regolamento di tutti gli stati
indipendentemente dalla loro volontà, non necessitano di nessuna forma di recepimento e non
possono essere derogati. Hanno efficacia diretta e immediata in tutti i loro elementi in tutti gli stati
membri, sono la fonte più importante e sono obbligatori in tutti i loro elementi. È uno strumento che
l’Unione utilizza quando vuole disciplinare una materia senza lasciare spazio di discrezionalità agli
stati.
 Direttive: vengono adottate a livello europeo e indirizzate agli stati membri, che però devono
svolgere un’azione di recepimento perché in questo caso l’Unione fissa un obiettivo, ma lascia
definire agli Stati membri, ognuno secondo le proprie esigenze e caratteristiche, il modo e i mezzi
per raggiungere tale obiettivo. La direttiva non produce effetti finché non viene tradotta e recepita
dallo stato, è necessaria una mediazione (L’insediamento di un nuovo governo è un momento di
blocco e paralisi per lo stato, in Italia è molto frequente. l’attuazione e il recepimento delle direttive
viene messo in stop durante questi periodi politici, anche per questo l’Italia è spesso in ritardo
rispetto agli altri stati nel recepimento delle direttive). Una volta scaduto il termine previsto per il
recepimento da aprte degli Stati membri, hanno efficacia diretta negli stati. Fonti derivate.
 Trattati: è come se fosse la costituzione dell’UE. Meritano menzione anche la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo. Fonti primarie.
 Decisioni: hanno contenuto puntuale, sono vincolanti per gli Stati ma non hanno efficacia diretta.

2.2.4 Le fonti primarie


③ fonti primarie: leggi ordinarie del parlamento.
Decreti-legge. Il dl è subordinato a presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, ha efficacia
tecnicamente temporanea perché entro 60 gg deve essere convertito in legge, altrimenti decade. Si è discusso
sull’abuso della fonte normativa del governo perché così facendo è come se si scavalcasse l’autorità
legislativa del parlamento.
Decreti legislativi. Il procedimento è diverso, c’è una legge del parlamento che autorizza il governo ad
adottare uno o più d.lgs. in una materia, entro un tempo e secondo criteri e principi definiti. L’atto normativo
del governo, in questo caso, recepisce i principi dettati dal parlamento e disciplina una certa materia, c’è
bisogno di disciplinare compiutamente con specifica normativa una materia che richiede competenze
tecniche non generali. Il codice di beni culturali è un d.lgs. del 2004.
Anche il governo può emanare atti normativi, e anche se sono diversi per presupposti, hanno in comune la
necessità dell’intervento del parlamento, in una fase successiva o preliminare. Questo è il motivo per cui si
legittima l’esercizio del potere normativo da parte del governo, il Parlamento, anche in queste ipotesi si
riappropria della propria funzione legislativa. Il Governo è anche Pubblica Amministrazione, è costituito
dalla Presidenza del consiglio e dai ministri ed è l’ultimo anello della PA statale. A volte è il parlamento a
interferire con l’esecutivo con le leggi provvedimento: leggi prive dei caratteri di generalità e astrattezza
che regolano quindi situazioni concrete, a volte solo una fattispecie (Es. leggi che revocano o rilasciano
concessioni). La Costituzione non ha un principio di “riserva d’amministrazione” che ripari il potere
esecutivo dalle ingerenze del legislatore, così con questa prassi l parlamento occupa spazi che in base al
principio iod separazione dei poteri dovrebbero essere dell’esecutivo.
Al tema delle fonti si collega un principio importante, quello della riserva di legge: la Costituzione prevede
che alcune materie devono essere necessariamente disciplinate dalla legge, non possono essere
regolamentate da fonti diverse rispetto alla legge; il termine legge è da intendere in senso ampio perché a
volte indica la fonte primaria, altre volte viene usata in senso ampio e può quindi intendere una fonte
secondaria come il regolamento. Si istituisce una riserva di competenza a favore del parlamento e per la
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tutela e garanzia per i cittadini. Per certe materie è quindi necessaria una legge del parlamento, unico
rappresentante diretto dei cittadini. L’elemento di complicazione di questo semplice principio, che deriva
dall’idea secondo la quale il potere esecutivo non doveva invadere quello legislativo, è il fatto che le riserve
che le riserve della nostra Costituzione sono molte:
- Riserva di legge assoluta: sono tutti quei casi in cui la Costituzione prevede che la materia debba
essere disciplinata solo con legge ordinaria o legge primaria (Es. libertà personale, materie delicate,
materia penale); gli spazi sono compressi. La disciplina deve essere completa ed esaustiva, si
esclude l’intervento di fonti sub-legislative (nei soli modi e casi previsti dalla legge”)
- Riserva di legge rinforzata: aggiunge all’assolutezza il fatto che la Costituzione ponga direttamente
alcuni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia che sono un vincolo per il
legislatore ordinario; è la stessa disposizione costituzionale a predeterminare in parte il contenuto
della stessa legge (Es. libertà di circolazione/soggiorno)
- Riserva di legge relativa: richiede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente che le
materie siano disciplinate anche da fonti secondarie per quanto riguarda le norme di dettaglio a
completamento della disciplina (art97Cost, “secondo disposizioni di legge”)
Leggi regionali (anche statuti e regolamenti) Ci si deve rifare alla modifica del titolo V del 2001. Prima le
leggi regionali erano subordinate alle leggi statali: nel 2001 si è introdotto il principio del pluralismo
istituzionale paritario, gli enti autonomi si trovano sullo stesso piano, sono equi ordinati
(stato=regioni=altri enti). Leggi regionali e leggi statali sono sullo stesso livello, le prime sono approvate
dal consiglio regionale e promulgate dal presidente della Regione nelle materie attribuite dall’art117 alla
competenza regionale concorrente e residuale (lo Stato a volte ingerisce nelle materie di competenza
regionale in nome della trasversalità, quindi in alcuni casi come la concorrenza, lo Stato può legiferare in
materie attribuite alla competenza regionale). Prima del 2001 le regioni potevano emanare delle leggi
subordinate al rispetto dei principi fondamentali previsti dalle leggi statali; nel 2001 c’è stato un intervento
di riforma che ha condotto alla modifica della costituzione con lo scopo di attuare il principio
dell’autonomia e del decentramento.2 Il senso della riforma doveva essere la competenza piena delle
regioni in alcune materie a discrezione dello stato, che però ha mantenuto nella sua competenza totale alcuni
ambiti e materie, che sono elencate nel 117Cost. Tra le materie esclusive statali e regionali ce ne sono alcune
di competenza concorrente, una serie di ambiti in cui i due ruoli si integrano. Le competenze sono tripartite:
 Competenza statale
 Competenza concorrente
 Competenza residuale delle Regioni
Oggi, tranne che nelle materie indicate, la Regione è competente, la situazione si è ribaltata. Tuttavia, nel
timore che le regioni non siano in grado di adempiere ai propri compiti, si è registrata la tendenza a riportare
le competenze a livello statale.
Sono da menzionare anche lo statuto, che per le regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento per le regioni speciali è approvato con legge costituzionale;
e i regolamenti regionali, adottati dalla giunta regionale ed emanati nelle materie attribuite alla competenza
legislativa concorrente e residuale regionale (urbanistica, edilizia).

2.2.5 le Fonti secondarie


Le ④fonti secondarie sono i regolamenti del governo. Il governo, quindi, fa sia atti primari che secondari.
La fonte di livello più basso non può modificare né contrastare una legge sovraordinata.
Il governo adotta un regolamento quando deve precisare, attuare il contenuto di una fonte primaria, che di
norma ha un contenuto generale e astratto, che richiede di essere puntualizzato e precisato attraverso un
regolamento. Questo perché l’esecuzione degli atti primari è lenta e quindi viene affidata ad un mezzo più
rapido.
Il potere regolamentare del governo è richiamato all’art.87Cost, che attribuisce al Presidente della
Repubblica il potere di emanare regolamenti. Tipi:
1. Esecutivi: pongono norme di dettaglio per l’applicazione concreta di una legge o per dare esecuzione
a norme Ue;

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Le regioni sono state istituite nel 1970, ma fino al 2001 la loro capacità e competenza sono state limitate.
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2. D’attuazione; emanati nelle materie non coperte da riserva assoluta, normativa di dettaglio;
3. Indipendenti: intervengono se manca una disciplina di rango primario;
4. Di organizzazione: disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle PA;
5. Delegati: previsti nelle materie senza riserva assoluta e attuano la delegificazione. Sostituiscono la
disciplina posta da una fonte primaria con una di una disciplina secondaria. Occorre legge di
autorizzazione. Fine anni 90 ci fu un intervento di riforma molto ampio che copre vari aspetti,
avviene con le leggi Bassanini. Propone degli interventi riconducibili a tre aspetti tutti orientati alla
semplificazione del sistema amministrativo. Semplificazione organizzativa (si toccano le strutture
pubbliche cercando di eliminare sovrapposizioni per snellire l’apparato), semplificazione
procedimentale (come velocizzare i procedimenti amministrativi), semplificazione normativa (troppe
norme sugli stessi argomenti, necessità di razionalizzare). Per semplificare le norme, le Bassanini3
introdusse il regolamento di delegificazione, perché il regolamento ha un procedimento più snello,
per evitare di fare nuove leggi di modifica, si attribuiscono questi poteri ai regolamenti del governo,
che semplifica più velocemente la norma. A monte c’è una legge del parlamento che li autorizza, è
questo il fondamento. Il parlamento autorizza il governo ad emanare un regolamento che può
modificare una legge già esistente.
6. Ministeriali: previsti nelle materie attribuite ala competenza di uno o più ministri.
In base al principio della preferenza della legge, i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte
del giudice ordinario.

2.2.6 I testi unici e i codici


Negli ultimi anni la legislazione amministrativa si è ramificata di pari passo rispetto ai nuovi compiti sociali
ed economici delle PA, ma questo ha determinato il cattivo funzionamento del parlamento. A partire dagli
anni ’90 quindi è stato avviato un riordino della legislazione: lo strumento tradizionale di riordino sono i
testi unici, che accorpano e razionalizzano in un unico testo le disposizioni legislative vigenti su una
determinata normativa. Un altro strumento è il codice, diverso dal TU perché concepito, oltre che per
coordinare i testi per innovare in modo esteso la disciplina.

Conflitti tra norme giuridiche: per redimere le controversie tra le fonti, quindi ci si pone la domanda di
quale legge andare ad applicare in un caso specifico, sono stati emanati dei criteri:
1. Gerarchico: una fonte subordinata non può modificarne una sovraordinata, c’è una gerarchia. La
fonte più in basso non può essere in contrasto con una fonte più in alto.
2. Cronologico: la fonte più recente prevale sulla meno recente. Il criterio si applica a fonti equi
ordinate perché se le fonti sono di grado diverso non si pone il problema di quale fonte prevalga
sull’altra. La legge successiva modifica immediatamente la legge precedente.
3. Competenza: si applica perché il 117Cost indica le materie di competenza esclusiva dello stato
(tutela), le materie di competenza concorrente (valorizzazione) e tutte le materie che non sono
indicate nel 117 sono di competenza residuale regionale. La Corte costituzionale è l’organo che deve
vigilare sulla coerenza tra le leggi, ma anche sulla competenza: se la tutela è compito statale le
regioni non possono legiferare, se lo facessero emanerebbero una legge incostituzionale4.

2.3 Gli atti amministrativi generali


I provvedimenti amministrativi hanno di base un contenuto concreto e si rivolgono a uno o più destinatari
determinati; fissano autoritativamente il modo di essere di un rapporto giuridico tra PA e privati in relazione
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A fine anni 90 ci fu un intervento di riforma molto ampio che copre vari aspetti, avviene con le leggi Bassanini. Propone degli
interventi riconducibili a tre aspetti tutti orientati alla semplificazione del sistema amministrativo. Semplificazione organizzativa
(si toccano le strutture pubbliche cercando di eliminare sovrapposizioni per snellire l’apparato), semplificazione procedimentale
(come velocizzare i procedimenti amministrativi), semplificazione normativa (troppe norme sugli stessi argomenti, necessità di
razionalizzare). Per semplificare le norme, le Bassanini introducono il regolamento di delegificazione, perché il regolamento ha
un procedimento più snello, per evitare di fare nuove leggi di modifica, si attribuiscono questi poteri ai regolamenti del governo,
che semplifica più velocemente la norma. A monte c’è una legge del parlamento che li autorizza, è questo il fondamento. Il
parlamento autorizza il governo ad emanare u regolamento che può modificare una legge già esistente.
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Dal 2001 la Corte costituzionale è intervenuta in numerosissimi casi, questo perché il 117 utilizza, nel campo dei beni culturali,
la scissione tra tutela e valorizzazione dei beni. È difficile però delineare i confini tra le due discipline.
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ad una specifica situazione di fatto e, se il potere è discrezionale, agli interessi pubblici e privati coinvolti.
Frequentemente però la PA emana atti amministrativi con contenuto generale, che sono propedeutici
all’emanazione di provvedimenti puntuali. Questi atti generali si rivolgono in modo indifferenziato a
categorie più o meno ampie di destinatari, non determinati nel provvedimento ma determinabili grazie ad
esso.

2.4 i bandi di concorso, gli avvisi di gara e i contratti pubblici


Contratti pubblici: l’attività della PA si esplicita attraverso il provvedimento amministrativo, l’attività
provvedimentale è sempre preceduta da un procedimento volto a garantire e accertare che la decisione finale
della PA sia il più aderente possibile ai principi fondamentali della PA. Quella dei provvedimenti è l’area
più tipica dell’attività della PA, ma non è l’unica modalità con cui la PA agisce perché una parte rilevante
delle attività delle PA consiste nella stipula di contratti. Perché le PA fanno contratti? Per due ragioni
principali:
1. Le amministrazioni sono un insieme di uffici, risorse e persone e per funzionare le strutture
amministrative hanno bisogno di una serie di complementi e servizi collaterali (Es. pulizia). Quindi
le PA stipulano contratti perché devono acquisire beni e servizi per il loro funzionamento; sono
attività strumentali, che servono e contribuiscono a che la PA possa assolvere alla sua funzione
principale (Es. computer in Università). I beni e servizi che la PA acquisisce sono frutti dell’attività
contrattuale. Alcuni contratti delle PA non differiscono dai contratti sottoscritti dai privati (il
contratto che l’Uni sottoscrive per comprare i computer è uguale a quello che sottoscrivo io). C’è una
differenza nei modi di stipula dei contratti: la scelta del contraente, il modo in cui lo si sceglie.
2. La PA, per scegliere il contraente deve eseguire un procedimento amministrativo, la procedura di
evidenza pubblica, un procedimento amministrativo finalizzato alla scelta del contraente che ha
come obiettivo quello di consentire alla collettività di verificare in che modo l’amministrazione ha
scelto quel preciso contraente. Perché la collettività deve poter verificare? Per i principi di
trasparenza e imparzialità, i principi base dell’attività amministrativa. La normativa di riferimento è
il Codice dei contratti pubblici, d.lgs. 50/2016. Questo testo è un decreto legislativo che recepisce
delle direttive europee, prima di essere disciplinata dall’UE era disciplinata dalla normativa in
materia di contabilità dello Stato (anni ’20), che però per certi versi rimangono valide per quanto
riguarda la struttura di alcuni passaggi della procedura di evidenza pubblica, però l’obiettivo delle
PA era il risparmio: dovevano scegliere li contraente che offrisse il servizio più conveniente. La
partecipazione dell’Italia all’UE, e conseguente applicazione della normativa, ha modificato alcuni
punti sostanziali la disciplina contrattuale ma anche le sue finalità: nelle norme di oggi del Codice
l’obiettivo prioritario non è solo il risparmio ma anche che il contraente scelto sia il migliore, colui
che è in grado di offrire alla PA il servizio migliore. La procedura di evidenza pubblica poi deve
consentire la più ampia partecipazione di tutti gli operatori: la concorrenza, che a sua volta è uno
strumento per individuare il contraente migliore, non solo quello che fa risparmiare di più ma anche
chi offre il servizio migliore.
Per poter stipulare un contratto le PA fanno per prima cosa un atto amministrativo chiamato delibera a
contrarre, che è un presupposto importante per il resto della procedura. Nell’atto la PA illustra le ragioni
per le quali vuole sottoscrivere un contratto, esprimendo all’esterno la volontà di firmare un contratto. Una
volta emanato l’atto introduttivo della procedura di gara è il momento del bando di gara: un atto
amministrativo che ha alcune caratteristiche diverse rispetto i provvedimenti, quindi è un atto
amministrativo generale che non ha un destinatario determinato, e non avendo destinatario non può incidere
sulla sfera giuridica di un soggetto; questa è la ragione principale perché in linea di massima il bando di gara
non è impugnabile, a meno che non contenga delle clausole al proprio interno che siano direttamente
discriminatorie. Il bando è la legge speciale della gara, è nel bando che la PA precisa in che modo svolgerà
la procedura, i requisiti, la procedura di scelta prevista, quali sono i criteri di aggiudicazione delle offerte, il
singolo svolgimento della procedura di gara (è sostanzialmente l’atto di avvio per la selezione di personale
all’interno delle PA). Quando la PA viola nella concreta procedura ciò che ha espresso nel bando, quella
procedura diventa illegittima (per la gara il bando è come se fosse legge). Da una parte la PA dispone,
quando adotta il bando, di ampia discrezionalità perché sceglie i requisiti, chi e come, ma la discrezionalità
alla base dell’emanazione del bando, quando il bando viene emanato viene compressa e circoscritta perché

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subordinata al rispetto dei criteri del bando stesso. Il bando, in ragione della rilevanza che assume per la
gara, deve essere oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale UE: la pubblicazione del bando deve
garantire la più ampia diffusione del procedimento e quindi la più ampia partecipazione dei concorrenti. I
bandi hanno contenuto concreto poiché esauriscono i loro effetti al completamento della procedura, quindi
con l’approvazione della graduatoria finale. Nel bando, oltre i requisiti di partecipazione alla gara, viene
individuata la procedura che la PA concretamente sceglierà di seguire per la valutazione delle offerte.
Le procedure di scelta stabilite nel codice di contratti pubblici sono:
- Aperta: procedura che nelle norme di contabilità pubblica è definita come asta pubblica. Chiunque
faccia domanda di partecipazione al bando viene ammesso a quella procedura (Es. comuni che
vogliono dismettere beni di loro proprietà). Tutti coloro che rispondono al bando vengono invitati
alla procedura di asta pubblica. Il contraente viene scelto: nel caso in cui sia il comune a vendere si
sceglie l’offerta più conveniente (chi offre il prezzo più alto)
- Ristretta: procedura definita come licitazione privata. Rispetto al caso dell’asta pubblica cambia il
fatto che tra quelli che rispondono al bando, la PA ne invita alcuni. Solo quelli invitati dalla PA
partecipano alla procedura, è come se ci fosse una preselezione. Nella prassi dei contratti pubblici, di
fatto le PA tendono comunque a invitare tutti coloro che fanno domanda perché chi fa domanda e
non è invitato potrebbe fare ricorso. La PA non se ne avvale.
- Negoziata: nelle norme di contabilità pubblica era la trattativa privata. Era l’ipotesi in cui la PA
negoziava con un contraente specifico le condizioni e il contenuto del contratto. Questa procedura si
discosta nettamente dalle due precedenti perché non c’è concorrenza. Perché è legittima, se si è detto
che l’obiettivo prioritario è allargare la concorrenza e tutelarla? Il codice dei contratti pubblici
prevede esattamente le ipotesi in cui la trattativa privata può essere fatta, la legge la prevede quando
ci siano condizioni di necessità e urgenza tali che la procedura ordinaria non sia possibile, o quando
il servizio può essere fornito da una sola ed unica impresa quindi non posso acquistare da nessun
altro. Quindi la motivazione deve essere ancora più forte e solida perché la scelta di un contraente
comporta l’esclusione di altri concorrenti.
Vengono indicati nei bandi anche i criteri di scelta: possono partecipare chiunque o solo alcuni, vengono
istituite una commissione per la scelta e stabilite una serie di scadenze. Quando la commissione di
aggiudicazione riceve le offerte pervenute, dovrà valutarle sulla base dei criteri di aggiudicazione:
- Il criterio del prezzo più basso;
- Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il criterio prende in considerazione una
pluralità di aspetti caratteristici dell’offerta, non solo il prezzo ma anche la qualità. Ci devono essere
una serie di criteri per guidare la commissione verso la scelta più economica, che prende in
considerazione il prezzo ma anche altri parametri, indicati nel bando, che assicurano la scelta
migliore.
Ciascuna delle offerte che partecipano alla procedura di gara ottiene un primo punteggio, che deriva dalla
valutazione che la commissione fa in base al prezzo e un secondo punteggio per tutti gli altri criteri (Es.
numero dipendenti). Sommando i punteggi risulta la graduatoria. La scelta della commissione rientra nella
discrezionalità tecnica: la commissione ha potere di scelta, ma è vincolata nell’aggiudicazione dei punti, al
rispetto di alcuni parametri. Una volta che le offerte pervenute sono formalmente accettabili, si valutano (Es.
busta non sigillata= irregolarità).
Il vincitore della graduatoria è l’aggiudicatario.
I requisiti di partecipazione sono dichiarati dall’offerente al momento della richiesta di partecipazione al
bando, questi non vengono accertati dalla PA per motivi di tempo; la PA verificherà l’effettiva esistenza dei
requisiti solo per quanto riguarda il profilo del vincitore, per questo si distingue tra aggiudicazione
provvisoria e definitiva. Quindi l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo che produce effetti
ampliativi nella sfera giuridica del destinatario a fronte del quale la posizione del destinatario è interesse
legittimo pretensivo. L’aggiudicazione è il provvedimento che chiude la fase di evidenza pubblica, che si
apre con la delibera a contrarre; la fase appena descritta è disciplinata dal diritto amministrativo, mentre è il
diritto civile a disciplinare l’esecuzione del contratto. Una volta che la PA, all’esito della procedura, ha
individuato il suo contraente, stipula un contratto secondo le stesse regole con cui i soggetti privati stipulano
lo stesso tipo di contratto.

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Se viene meno il presupposto (provvedimento di aggiudicazione) che cosa succede al contratto stipulato con
quel contraente? C’è stato un periodo in cui alla domanda venivano date risposte diverse: secondo il giudice
amministrativo l’annullamento dell’aggiudicazione travolge il contratto perché il contratto si fonda su
qualcosa che non esiste più, quello che succede nella procedura di scelta travolge il contratto; a questa si
popone il giudice ordinario, per il quale il contratto, una volta stipulato, deve rimanere efficace a prescindere
dal fatto che la procedura a monte sia viziata. La diatriba si risolve nel codice che disciplina il processo
amministrativo che prevede che il contratto stipulato rimanga efficace, salvo che l’aggiudicazione sia stata
annullata per vizi gravi, che vengono indicati dallo stesso articolo di legge, cioè: se la procedura è stata
annullata perché è stata svolta senza pubblicazione del bando, o perché la scelta del contraente è stata fatta
con procedura negoziata privata fuori dai casi previsti, allora il contratto viene travolto.
Una materia attribuita alla competenza esclusiva del giudice amministrativo è quella dei contratti
pubblici; questa materia è particolare anche rispetto alla competenza del giudice perché nel codice il
legislatore ha rafforzato i poteri del giudice, che fuori dai casi gravi in cui il contratto viene travolto, valuta
se mantenere o meno l’efficacia del contratto. Al giudice amministrativo viene attribuito l’onere di valutare
le conseguenze del contratto, acquisisce dei poteri diversi rispetto al passato perché diventa come il gestore
del contratto perché deve controllare se, rispetto al soddisfacimento pubblico, è meglio che il contratto
rimanga o meno efficace. (Es. Uni appalta servizi pulizia locali, partecipano X, Y, e Z. X è 1, Y 2. Se Z
impugna l’aggiudicazione perché la ritiene illegittima, e il giudice gli dà ragione, il provvedimento è
annullato. Però X ha cominciato a dare esecuzione al contratto. Il giudice, quando deciderà
sull’annullamento dell’aggiudicazione dovrà valutare cosa farne del contratto stipulato valutando che Z è
stato effettivamente penalizzato da una procedura illegittima, che verrà annullata, ma dovrà anche decidere
se Z ha diritto ad un risarcimento del danno. Come? Valutando la fondatezza della pretesa, tramite il
controllo dei criteri, e se in assenza della violazione commessa, Z avrebbe vinto. In quel caso avrebbe
diritto al risarcimento del danno. Ma se Z fosse stato comunque 3, non dovrebbe essere risarcito. Se invece
fosse stato Y a vincere, avrebbe avuto diritto al risarcimento. Discrimine è anche la cattiva o buona fede di
X). Il giudice in questo contesto ha poteri penetranti.
Nell’ambito del processo amministrativo, la tutela delle norme in materia di contratti pubblici è
caratterizzata da norme diverse dalle generali, che tendono a privilegiare quelle che tendono alla celerità
della conclusione dei contenziosi. Un mezzo per tutelare questo principio è il fatto che le PA devono
aspettare 35gg per dare esecuzione al contratto, per dar modo di fare ricorso.
Il codice dei contratti pubblici disciplina una pluralità di tipi di contratti che la PA può stipulare, tipi di
contratti in cui tutti i contraenti sono scelti tramite la procedura illustrata. Le macrocategorie sono: appalti e
concessioni. Entrambi sono contratti onerosi (c’è una prestazione di A, a fronte della quale B eroga la sua
controprestazione. Entrambi sono suscettibili di valutazione economica).
La differenza?
- La ripartizione del rischio tra i soggetti. Il concessionario può guadagnare di più se l’attività o
l’opera pubblica produce meno (rischio di mancato guadagno) o guadagnare di più; L’appaltatore
viene pagato.
- La remunerazione del contraente privato. Se il comune dà in appalto il servizio di realizzazione di
un parcheggio pubblico, fa una procedura di evidenza pubblica all’esito della quale verrà individuato
un contraente, che realizzerà l’opera e che verrà pagato direttamente dalla PA. Se il comune dà in
concessione la costruzione e gestione di un parcheggio pubblico fa la stessa procedura di evidenza
pubblica, ma al soggetto contraente non solo fa realizzare il parcheggio ma glielo da anche in
concessione. La remunerazione del soggetto privato viene in parte dal comune, ma anche dagli
introiti che il contraente ha dall’attività di gestione.
Gli atti di pianificazione: una delle esigenze che presiedono l’esercizio dei poteri amministrativi è che esso
avvenga in modo coerente con una strategia complessiva, pertanto, per molte materie la legge prevede
un’attività di pianificazione o programmazione con la quale di prefigurano obiettivi, priorità, limiti e criteri
che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi (Es. il rilascio dei permessi di costruire avviene nel
rispetto dei piani regolatori). L’attività di programmazione è utile a creare raccordi tra i diversi livelli di
governo, secondo il metodo della pianificazione a cascata (Es. PNRR-piano regolatore generale urbano).
Le ordinanze contingibili e urgenti: gli stati devono disporre di strumenti per far fronte a emergenze
imprevedibili (Es. Covid), che possono mettere a repentaglio interessi fondamentali della società ma che non
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possono essere classificate e disciplinate ex ante. Con la Costituzione questo tipo di potere viene assorbito
quasi completamente dal governo, che in casi straordinari può emanare decreti-legge. Anche il sindaco ha
poteri di questo tipo, egli infatti può adottare provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Le ordinanze comunali
contingibili e urgenti sono atipiche perché caratterizzate da un alto tasso di discrezionalità, il loro contenuto
non è predeterminato dalla legge perché la legge non può prevedere astrattamente quale è la soluzione
migliore per risolvere un’emergenza e quindi lascia una maggiore discrezionalità al soggetto che deve
adottare il provvedimento per risolverlo al meglio. Le leggi attributive di questo tipo solitamente si limitano
all’individuazione della PA competente ad adottarli, descrivendo generalmente il presupposto che ne
legittima l’emanazione e a specificare il fine pubblico da perseguire; esse lasciano indeterminato il
contenuto del potere e i destinatari del provvedimento. L’autorità competente è titolare di un’ampia
discrezionalità, sia nel momento in cui valuta la situazione di fatto tale da giustificare l’esercizio del potere
di ordinanza, sia nel momento in cui individua le misure da adottare. È difficile individuare i limiti entro i
quali i poteri di ordinanza devono muoversi, ciò che è certo è che non possono essere emanate in contrasto
con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione. È basilare
però il principio di proporzionalità: il contenuto delle ordinanze deve essere ovviamente calibrato in
funzione dell’emergenza specifica da fronteggiare, da qui il carattere provvisorio. Essendo uno strumento
extra ordinem, il potere di ordinanza ha carattere residuale, non può quindi essere esercitato in luogo di
poteri tipici previsti dalle norme vigenti già idonei a far fronte a quel tipo di situazione. Le ordinanze
comunali hanno natura non normativa, riferendosi ad accadimenti specifici hanno quindi un carattere
concreto. Se la situazione di emergenza tende a protrarsi le ordinanze però acquistano un carattere di
astrattezza e finiscono per essere simili ai regolamenti comunali.
Direttive e atti di indirizzo: affini agli atti di pianificazione sono le direttive amministrative, il cui contenuto
non è costituito da prescrizioni puntuali e vincolanti, ma indica fini e obiettivi da raggiungere. Esse, quindi,
attribuiscono ai loro destinatari ampi spazi di valutazione e decisione, questi ultimi possono anche
disattenderle. Le direttive possono essere
- Intraorganiche: l’organo sovraordinato orienta l’attività dell’organo sottordinato;
- Intersoggettive: ad esempio il ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei
confronti di enti pubblici strumentali, la cui attività deve essere resa coerente con fini istituzionali
propri del ministero o della regione.
Le norme interne e le circolari: le organizzazioni complesse, anche private, si dotano di regole per
disciplinare il funzionamento e i raccordi tra le unità operative aziendali. La distinzione tra norme interne ed
esterne si è attenuata anche grazie alla l.241/1990, che aveva introdotto un obbligo generalizzato alla
pubblicazione, questo per rendere conoscibile le norme interne al di là della cerchia dei titolari e degli
addetti agli uffici interni. Esse fanno sorgere nella generalità degli amministrati l’aspettativa che essere
costituiranno una guida dell’azione amministrativa. Il mezzo principale di comunicazione delle norme
interne è quello delle circolari, che sono uno strumento di orientamento e guida degli uffici. Le circolari
sono quindi atti di un’autorità superiore che stabiliscono in via generale e astratta regole di condotta per le
autorità inferiori per lo svolgimento degli affari d’ufficio interni. Il contenuto è vario, ed esse perdono il
carattere di atto amministrativi tipico diventando uno strumento di comunicazione di atti ciascuno dei quali
ha configurazione tipica. Nella prassi ce ne sono almeno 3 tipi:
- Interpretative: mirano a rendere omogenea l’applicazione di nuove normative da parte delle PA;
hanno un maggior grado di vincolatività quando vengono emanate in apparati organizzati secondo
una gerarchia: l’inferiore gerarchico si deve attenere all’interpretazione indicata dal superiore;
- Normative: hanno la funzione di orientare l’esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di
poteri amministrativi; esse non hanno per oggetto l’interpretazione delle norme da applicare ma gli
spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all’autorità amministrativa. Con queste
circolari l’organo sovraordinato indirizza l’attività dell’organo subordinato, specificando le finalità
ecc. Il destinatario può tenerne conto, ma può disattendere.
- Informative: sono emanate per diffondere all’interno dell’organizzazione notizie, informazioni e
messaggi disparati.

C3- IL RAPPORTO GIURIDICO-AMMINISTRATIVO


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3.1 Gli interessi pubblici, le funzioni e l’attività amministrativa
La funzione di amministrazione attiva consiste nell’esercizio dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a
un apparato pubblico al fine di curare, nella concretezza delle situazioni e dei rapporti con soggetti privati,
l’interesse collettivo. Il diritto consiste essenzialmente nella regolazione di interessi, che sono di più tipi:
privati (proprietà o credito), collettivi (azionisti) o diffusi (ambiente salubre). Gli interessi pubblici
presuppongono un riconoscimento formale da parte della legge dello stato che li individui, ponga regole e
istituisca apparati che si facciano carico della loro cura. Gli interessi qualificati come pubblici variano nel
tempo in funzione dell’evoluzione delle necessità delle società. Gli interessi pubblici possono anche porsi in
contrasto tra loro, richiedendo quindi da parte del legislatore o delle PA un bilanciamento. Quando istituisce
un apparato amministrativo, la legge ne delinea prima di tutto le funzioni correlate alle finalità di interesse
pubblico. I fini pubblici definiscono la missione di un soggetto pubblico, che consiste nella cura di un
interesse pubblico individuato dalla legge. Per funzione amministrativa quindi si intendono i compiti che
la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo, che è tenuto ad esercitarle per la
cura dell’interesse pubblico. La legge attribuisce alle PA, quindi, risorse e poteri necessari. Di regola le
funzioni amministrative vengono individuate dalla legge in modo più o meno analitico o al momento della
costituzione della PA o in sede di riassetto. L’esercizio delle funzioni comporta lo svolgimento da parte
dell’apparato pubblico di una serie di attività materiali e giuridiche: l’attività amministrativa. Essa consiste
nell’insieme delle azioni e delle decisioni (inclusi i singoli atti e provvedimenti) riconducibili a una PA in
relazione alle funzioni ad essa affidate da parte di una legge- l’attività amministrativa è rivolta a uno scopo o
fine pubblico, e per questo è dotata della doverosità (dovere di intervento). Il mancato esercizio dell’attività
può essere fonte di responsabilità. L’atto amministrativo e il provvedimento sono singoli episodi, frammenti
dell’attività di un apparato e si prestano ad essere valutati sotto i profili della conformità all’ordinamento
(illegittimità) e dell’attitudine a soddisfare nel caso concreto l’interesse pubblico. Negli ultimi anni si è
verificato il fenomeno della privatizzazione: le PA trasformate in enti privati continuano ad eseguire servizi
pubblici che soddisfano interessi pubblici, i loro vertici vengono scelti dal governo e utilizzano fondi
pubblici. La privatizzazione fu formale, le risorse e il capitale delle SPA sono rimasti pubblici. Di parallelo
si sono create SPA con compiti di interesse pubblico generale: si è pensato che la privatizzazione nelle SPA
fosse la soluzione agli intoppi del pubblico. Le SPA con funzioni pubbliche sono proliferate. Oggi si
dovrebbe parlare di diritto delle pubbliche amministrazioni, non di diritto amministrativo in toto.
C’è un andamento ciclico nel diritto amministrativo, nel modo in cui il ruolo delle PA si modifica nel
tempo: inizialmente nasce come insieme di regole speciale che si applica all’apparato amministrativo con
compiti circoscritti; negli anni, con l’avvento del Welfare, il numero delle PA cresce perché crescono i
servizi di cui si deve occupare lo stato. Più aumentano le funzioni da svolgere più aumentano le PA più
aumentano i confini del diritto amministrativo.
Negli anni 90 all’espansione delle PA si contrappone una fase di riduzione della sfera pubblica.

3.2 Il potere, il provvedimento e il procedimento


L’attività amministrativa può esprimersi nell’adozione di atti o provvedimenti che sono la manifestazione
concerta dei poteri amministrativi attributi dalla legge ad un apparato pubblico. In relazione ad ogni
funzione e come sua specificazione, la legge individua in modo puntuale i poteri conferiti ad ogni singolo
apparato.
Il potere: i poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una capacità
giuridica speciale di diritto pubblico che so esprime nella possibilità di produrre effetti giuridici nella sfera
dei destinatari. Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovra ordinazione rispetto al
soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti prodotti dall’atto o provvedimento. Ogni volta che si
verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, la
PA è legittimata ad esercitare il potere, tutelando l’interesse pubblico; oltre che tutelata, la PA è anche tenuta
ad avviare un procedimento che si conclude con l’emanazione di un atto o provvedimento idoneo a incidere
nella sfera giuridica del soggetto destinatario. Il potere è dinamico: dalla dimensione statica della norma si
traduce in un atto concreto produttivo di effetti giuridici.
L’atto e il provvedimento: manca una definizione legislativa, nel nostro ordinamento sono nozioni date dalla
dottrina e dalla giurisprudenza. L’art.113Cost stabilisce che contro gli atti della PA è sempre ammessa la

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tutela giurisdizionale: la legge determina quali sono gli organi giurisdizionali che hanno il poter di annullare
gli atti della PA nei casi e con gli effetti previsti dalla legge. Emergono due aspetti:
1. La sottoposizione necessaria degli atti e provvedimenti amministrativi a un controllo giurisdizionale
operato dal giudice amministrativo e da quello ordinario;
2. La loro annullabilità nei casi di accertata difformità rispetto alle norme;
la nozione di “atto amministrativo” nasce alla fine del XIX secolo, quando viene istituito in Italia un giudice
speciale diverso da quello ordinario; subito si pose la questione della determinazione di quali atti avessero le
caratteristiche necessarie ad essere sottoposti all’attenzione di questo giudice: doveva trattarsi di un atto
emanato da un’autorità amministrativa, ritenuto illegittimo, che fosse lesivo di una situazione giuridica
soggettiva del privato.
Dalle disposizioni legislative emerge subito la differenza tra atto e provvedimento: atto è ogni dichiarazione
di volontà, di desiderio e conoscenza compiuta da un soggetto dell’amministrazione pubblica nell’esercizio
di una potestà amministrativa”, provvedimento è invece la subcategoria più importante degli atti
amministrativi ed è una manifestazione di volontà, espressa dall0amministrazione titolare del potere all’esito
di un procedimento, volta alla cura del pubblico nel concreto, tesa a produrre in maniera unilaterale degli
effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari.
È la legge 7 agosto 1990 n.241 nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi” a fornire le disposizioni legislative di base.
La norma ha segnato un cambiamento epocale su questi temi, segna il passaggio da un modello di rapporto
tra PA e cittadino in cui secondo è il destinatario dell’azione pubblico, a un modello in cui il cittadino è
coinvolto e collabora all’esercizio dell’attività amministrativa, con limiti e precisazioni. Per descrivere il
cambiamento si usava la metafora della “casa di vetro”, tutto ciò che succede dentro le PA deve essere
visibile all’esterno. Non interessa più solo la decisione assunta dalla PA, ma il modo in cui questa perviene
alla decisione, questo è lo strumento del cittadino per verificare le azioni della PA perché l’attività
amministrativa è funzionalizzata perciò tutte le PA operano al servizio dei cittadini. La legge definisce un
procedimento amministrativo valido in generale, norme che valgono per tutti i procedimenti a meno che non
ci siano norme specifiche e speciali. Definisce uno standard minimo di garanzie per il cittadino di fronte
all’attività della PA.
La legge 241/90 è composta da:
- Un primo gruppo di articoli che riguardano i principi fondamentali che orientano l’attività
amministrativa;
- Una parte dedicata allo svolgimento del procedimento;
- Un riguardo la semplificazione del procedimento;
- Una parte dedicata all’accesso ai documenti amministrativi;
- Una parte riguardo l’invalidità del processo amministrativo;
Principi fondamentali: art.1, che si richiama alla norma costituzionale dell’art97Cost. Il principio di
legalità viene menzionato subito, l’attività amministrativa è organizzata e orientata secondo la legge (le
funzioni sono definite dalla legge, è l’indirizzo dell’attività amministrativa), questo rimanda anche alla
tipicità dei provvedimenti amministrativi (corrispondono a un modello previsto dalla legge). È una legalità-
garanzia per il cittadino, che sa che il provvedimento è stato adottato nel rispetto della legge, quando questo
non è conforme alla legge è illegittimo. Prima della norma l’attività della PA era coperta da segreto
d’ufficio, il cittadino non era libero di sapere. Si fa riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario
(principio di precauzione e proporzionalità, l’azione amministrativa deve comportare il minimo sacrificio
per il privato).
Comma 1-bis: l’atto amministrativo è la categoria generale ed ampia entro la quale rientrano i
provvedimenti, che sono una particolare tipologia di atti amministrativa perché hanno 3 caratteristiche.
Tutti i provvedimenti amministrativi hanno:
- Destinatario;
- Concretezza del dispositivo contenuto (oggetto concreto);
- Autoritatività;
- La capacità di incidere sulla situazione giuridica del destinatario;

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Ci sono anche atti di natura non autoritariva, la PA spinge per atti privatistici per cercare il consenso del
destinatario. Le PA, quando non devono emanare provvedimenti, utilizzano il diritto privato, perché
ottenendo il consenso dell’interessato eliminano la probabilità dei ricorsi.
Comma 1-ter: tratta le PA in senso sostanziale, i risultati delle privatizzazioni. Si razionalizza un principio
derivato dalla prassi. Viene prima l’applicazione concreta, sulla base dell’osservazione del fenomeno si
codifica il principio, è un processo inverso.
Comma 2: l’istruttoria è la fase centrale del procedimento, la PA studia la questione per decidere. Si parla
del divieto di aggravamento: il termine del procedimento è previsto dalla legge, ma a volte scade e la PA
non ha deciso. In altri casi il termine viene prorogato perché la PA non ha abbastanza elementi, oltre quale
limite questo può avvenire? C’è una tendenza del procedimento tra esigenze opposte: quanta attività
conoscitiva devo fare per prendere la giusta decisione (buona decisione), rispettare un termine che sia
ragionevole (decisione veloce).
Art2: la conclusione del procedimento. La regola generale è che il procedimento si conclude con un
provvedimento espresso. Non sempre il procedimento di conclude così, il legislatore ha qualificato in senso
positivo e negativo il silenzio dovuto all’inerzia. Modalità di interpretazione del silenzio.
Art3: motivazione del provvedimento. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli
sull’organizzazione dei concorsi, deve essere motivato. Fissa un obbligo generale di motivazione dei
provvedimenti amministrativi perché solo questi incidono sulla sfera giuridica, solo per i provvedimenti si
può fare ricorso. La motivazione serve al privato per strutturare il ricorso. Essa indica: le norme che la PA
ha applicato per l’adozione del provvedimento, e i fatti su cui si è basata per arrivare alla decisione. È il
momento che lega il provvedimento all’istruttoria.
Comma 2: La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale perché
manca il requisito della concretezza.
Art4: ogni volta la PA avvia un procedimento, deve anche indicare un soggetto responsabile, che risponde
dell’istruttoria, di tutti gli adempimenti procedurali e dell’adozione del provvedimento finale. Questo si
richiama al principio di trasparenza e pubblicità, la figura del responsabile è una delle applicazioni concrete
di questo principio. È colui che coordina e sovrintende la parte istruttoria.
Art7: Il destinatario del procedimento e altri enti possono intervenire e partecipare al procedimento. La
partecipazione si lega:
- Garanzia, partecipare l procedimento il provato può accedere agli atti e tutelarsi assumendo anche lui
informazioni;
- Pubblicità
- Quadro completo di informazioni
Possono partecipare, non solo il destinatario, ma anche altri soggetti che hanno interessi opposti rispetto al
destinatario. La PA deve valutare quale tra gli interessi prevale. La partecipazione viene disciplinata al Capo
III, che cerca di disciplinare la massima partecipazione equilibrandola anche ai tempi di decisione (più
soggetti partecipano più è lento). Un soggetto viene a conoscenza dell’avvio del procedimento tramite una
comunicazione di avvio del procedimento, che si inoltra a coloro verso i quali il procedimento produrrà
effetti, a coloro che per legge devono intervenire, anche a coloro ai quali l’adozione del provvedimento
possa arrecare pregiudizio.
La comunicazione deve contenere:
- L’amministrazione competente;
- L’oggetto del procedimento;
- L’ufficio responsabile
- La data entro cui il procedimento deve concludersi;
- La modalità di pubblicazione degli esiti;
sempre in base all’art7 si può partecipare al procedimento quando questo sia cominciato dietro una notifica e
comunicazione dell’avvio del procedimento.
Art9 stabilisce chi è legittimato ad intervenire nel procedimento: qualunque soggetto che porti interessi
pubblici o privati o portatori di interessi diffusi. I soggetti che hanno preso parte al procedimento hanno il
diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti che
l’amministrazione ha l’obbligo di valutare.
Art13 Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione.
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Art11 Il legislatore prevede un collegamento diretto tra la partecipazione e l’esito del provvedimento.
L’amministrazione può concludere un provvedimento, ma non è obbligato alla stipula dell’accordo. Si
ribadisce che il provvedimento vuole tutelare il pubblico interesse. Ci sono due ipotesi di accordo, uno che
sostituisce integralmente il provvedimento, e uno che integra il provvedimento, alcuni aspetti sono frutto
dell’accordo tra privato e PA (quando l’attività è vincolata non c’è una porzione elastica in cui si può avere
discrezionalità, gli accordi che siano integrativi o sostitutivi sono realizzabili solo quando l’attività è
discrezionale). Questo richiama il fatto che l’ipotesi degli accordi rientra comunque nell’esercizio del potere,
che viene esercitato in maniera consensuale, attraverso l’accordo con il privato che definisce alcuni aspetti
ed evitare che il privato faccia ricorso. È una forma ibrida a cavallo tra provvedimento e contratto.
In un caso l’accordo serve solo a definire alcuni aspetti del provvedimento (integrativo), in altri casi
l’accordo sostituisce il provvedimento quindi il procedimento amministrativo si conclude con un accordo e
non con un provvedimento (sostitutivo).
Per i contratti di diritto privato vale la regola della libertà delle forme (anche non scritti), per gli accordi
amministrativi non è così, essi devono essere stipulati a forma scritta pena nullità; non si applica agli accordi
la disciplina dei contratti, si applicano i principi del Codice civile che valgono per i contratti quando questi
sono compatibili e non ci siano prescrizioni differenti (la forma scritta è già una differenza rispetto ai
contratti. Se si applicasse la disciplina dei contratti gli accordi si potrebbero fare anche oralmente, ma non si
può). Anche gli accordi, come i provvedimenti (art3) devono essere motivati. Si applicano agli accordi
amministrativi gli strumenti di controllo previsti per i provvedimenti. Dagli accordi amministrativi solo la
PA può recedere dall’accordo, in nome dell’interesse pubblico (la relazione è comunque impari); se il
privato subisce un danno dal recesso, può ricevere un indennizzo, il giudice deve verificare la fondatezza del
ricorso (risarcimento del danno dato a fronte di condotta illegittima, indennizzo a fronte di una condotta
legittima). L’accordo amministrativo è quindi una forma di esercitazione consensuale del potere, perché
siamo nell’ambito di un procedimento amministrativo (forma esteriore dell’esercizio del potere); può essere
sostitutivo o integrativo del provvedimento.
Art15 Esistono accordi tra PA e privati oppure tra PA e PA. Non si applica il comma4 dell’art12, quindi la
possibilità di recedere di una sola parte dell’accordo (deroga rispetto ai principi del Codice civile). La Pa
può recedere solo per sopravvenuti interessi di carattere pubblico, il recesso deve essere eseguito in base ad
una circostanza oggettiva.
Il procedimento: la l241/1990 richiama la nozione di procedimento amministrativo, una sequenza
individuata dalla legge di operazioni e atti strumentali utili all’emanazione di un provvedimento finale
produttivo di effetti giuridici nei rapporti esterni; la legge non ne fornisce una definizione precisa. Il
procedimento è in sostanza la modalità ordinaria di esercizio delle funzioni pubbliche, in considerazione
delle esigenze di trasparenza, di garanzia degli utenti coinvolti di fronte ad atti che sono l’espressione
dell’autorità statale. La funzione amministrativa si manifesta nel procedimento amministrativo, che si
conclude con un provvedimento autoritativo o imperativo; nel diritto privato ciò che precede i negozi è
irrilevante.

3.3 il rapporto giuridico amministrativo


Nel diritto privato la relazione giuridica di base è paritaria ed è costituita dalla coppia diritto soggettivo-
obbligo; la dinamica del rapporto amministrativo invece prevede una relazione non paritaria tra la PA che
esercita il potere e il titolare dell’interesse legittimo. Per un verso viene individuata una situazione giuridica
soggettiva attiva (la potestà), che è attribuita al singolo soggetto di un interesse altrui: il potere
amministrativo è finalizzato al perseguimento di un fine pubblico imposto dalla legge, che è diverso da
quello proprio del soggetto.
Per altro verso una categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo, il poter attribuito a un
soggetto di produrre nella sfera giuridica altrui un effetto giuridico con una propria manifestazione
unilaterale di volontà. Questo sul presupposto di una prevalenza attribuita dalla norma all’interesse del
titolare del potere rispetto a quello del soggetto che subisce una modifica della propria sfera, che è in uno
stato di soggezione; è su quest’ultimo che ricadono, indipendentemente dalla sua volontà, le conseguenze
della dichiarazione di volontà altrui. Il diritto potestativo, quindi, è una particolare modalità di produzione
degli effetti giuridici nei rapporti intersoggettivi che vale anche per il potere amministrativo. La produzione
degli effetti giuridici solitamente segue lo schema norma-fatto-effetto giuridico: la norma definisce

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astrattamente gli elementi della fattispecie e l’effetto che le si ricollega (es. illecito> risarcimento danno).
Ma il diritto conosce anche lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico, diversa poiché viene meno
l’automatismo della produzione dell’effetto; infatti, il verificarsi di un fatto concreto conforme alla norma
attributiva del potere determina in capo al titolare del potere la possibilità di produrre l’effetto giuridico
individuato a livello di fattispecie normativa attraverso una dichiarazione di volontà. Tra fatto ed effetto di
interpone il potere, e il titolare è libero di decidere se provocare o meno, con una propria manifestazione,
l’effetto tipizzato dalla norma. È questo lo schema del diritto potestativo, che può essere di due tipi:
stragiudiziale, la produzione dell’effetto discende direttamente dalla manifestazione di volontà del titolare
del potere (è unilaterale; Es. licenziamento per giusta causa); a necessario esercizio giudiziale, il prodursi
dell’effetto giuridico presuppone, oltre alla volontà del titolare, anche un accertamento giudiziale per la
verifica della fattispecie concreta (Es. annullamento del contratto).
Il potere amministrativo viene ricondotto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale perché la
produzione dell’effetto giuridico discende in modo immediato dalla dichiarazione di volontà
dell’amministrazione che emana il provvedimento; questo trova giustificazione nell’esigenza prevalente di
garantire la realizzazione immediata dell’interesse pubblico. Il potere amministrativo trova fondamento nella
legge, nella norma di conferimento del potere, piuttosto che nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si
produce l’effetto (Es. esproprio). D’altronde il potere della PA non è sempre vincolato: di regola la legge
attribuisce all’amministrazione margini più o meno ampi di apprezzamento e valutazione discrezionale che
possono modulare il contenuto degli effetti.

3.4 La norma attributiva del potere


Secondo una classificazione tradizionale le norme che si riferiscono alla PA sono di due tipi:
- Norme di azione: disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della PA, tendono ad
assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati, non hanno funzione
di protezione degli interessi privati. Tracciano i limiti interni al potere per guidare l’attività
amministrativa (interesse legittimo);
- Norme di relazione: regolano i rapporti tra PA e privati, a garanzia anche di questi ultimi, dirimendo
i conflitti insorgenti tra cittadino e PA. Tracciano i limiti esterni del potere per tracciare confini tra la
sfera giuridica dei privati e della PA (diritto soggettivo);
la distinzione determina delle conseguenze, come quella sul piano della giurisdizione per l’attribuzione delle
controversie al giudice amministrativo o a quello ordinario. Se il giudice ordinario è chiamato ad accertare
la conformità del fatto rispetto alla norma, il giudice amministrativo deve accertare la conformità non solo
del fatto, ma anche e soprattutto dell’atto rispetto alla norma. In attuazione del principio di legalità, cardine
dell’attività amministrativa, la norma attributiva del potere individua astrattamente gli elementi del potere:
1. Soggetto: in un sistema amministrativo multilivello ogni potere dee essere attribuito in modo
specifico dalla norma ad un solo soggetto e ad uno solo dei suoi organi. Ogni atto emanato da un
soggetto diverso da quello competente è affetto da vizio di incompetenza;
2. Fine pubblico: è l’interesse pubblico primario affidato alla cura dell’apparato amministrativo titolare
del potere. È un elemento espressamente citato dalla norma. L’amministrazione non è libera di
esercitare il potere per perseguire qualsiasi fine, deve essere il fine pubblico ad orientare le scelte in
concreto dell’amministrazione. La violazione del vincolo del fine configura vizio di eccesso di potere
per sviamento;
3. Presupposti: la loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l’esercizio legittimo del
potere. Una delicata questione riguarda l’analiticità: pur nell’astrattezza necessaria della norma, a
seconda delle espressioni utilizzate il potere può essere più o meno ampiamente vincolato; ci sono
infatti poteri integralmente vincolati, in relazione ai quali la PA deve solo verificare se nella
fattispecie concreta ci siano tutti gli elementi indicati dalla norma e in caso positivo emanare il
provvedimento, e poteri “in bianco” come le ordinanze comunali che rimettono al soggetto titolare
del potere spazi ampi di apprezzamento e valutazione della fattispecie per individuare le misure
necessarie. La discrezionalità emerge se la norma autorizza ma non obbliga la PA ad emanare un
provvedimento. Gli spazi di valutazione dei fatti costitutivi del potere sono tanto più ampi quanto più
la norma fa ricorso a “concetti giuridici indeterminati” (Es. particolarmente importante, anomalo).
Questi concetti possono essere empirici/descrittivi in riferimento al modo di essere di una situazione
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di fatto quindi coinvolgono parametri tecnico-scientifici, oppure normativi/di valore in riferimento ad
un elemento di soggettività, coinvolgono giudizi di valore. L’applicazione quindi si scontra con la
difficoltà di individuare in concreto i casi che possono essere in essa assunti. È difficile individuarne
i limiti. Di fronte alla rapidità dei cambiamenti economici e sociali del nostro tempo il Parlamento
fatica a stare al passo, rendendo impossibile la creazione di un sistema completo che individui tutte
le fattispecie possibili, è quindi costretto a delegare ad apparati pubblici dando margine di
valutazione.
4. Requisiti: la norma attributiva del potere individua anche i requisitivi formali degli atti (scritti) e le
modalità di esercizio del potere indicando la sequenza di atti e adempimenti necessari per
l’emanazione del provvedimento finale, quindi l’avvio del procedimento.
5. Modalità di esercizio del potere: la norma di conferimento può disciplinari gli elementi
dell’esercizio del potere, come quello temporale. Un termine per l’avvio del procedimento d’ufficio,
termine massimo entro il quale l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo, tempi
per acquisire atti endoprocedimentali (pareri e valutazioni);
6. Requisiti di forma
7. Effetti giuridici: i provvedimenti, in quanto manifestazioni del potere, producono effetti costitutivi,
che possono costituire modificare o estinguere situazioni giuridiche dei titolari dei provvedimenti
(Es. concessioni balneari).

3.5 il potere discrezionale


La discrezionalità può essere riferita oltre che al potere anche all’attività e al provvedimento amministrativo;
ma essa si rinviene anche in altri ambiti del diritto pubblico, si parla infatti di discrezionalità del legislatore
(giudizio di costituzionalità) e discrezionalità del giudice.
La PA, nell’amministrare, ha talvolta la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto;
emerge una tensione con il principio di legalità, che inteso nell’accezione sostanziale porterebbe ad
attribuire all’amministrazione solo poteri vincolati. Ma questo è impossibile perché le situazioni in cui la PA
deve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza e imprevedibilità tale da richiedere nel titolare
del potere dello spazio di adattabilità della misura da disporre. Ci sono casi in cui il potere è:
- Fortemente discrezionale, la PA sceglie tra più opzioni possibili quella che ritiene più opportuna, la
scelta è vincolata al rispetto dei principi generali/Es. le ordinanze contingibili urgenti, epidemia;
quale provvedimento adotta il sindaco nell’evenienza di un’epidemia tra il bestiame del paese? Il
sindaco può scegliere il provvedimento più idoneo. La scelta non è libera in ogni caso, è legata
comunque al rispetto dei principi e interessi generali); più la discrezionalità è ampia, più precisa deve
essere la motivazione del provvedimento.
- Vincolato: la PA si limita all’applicazione della legge, l’effetto giuridico sorge automaticamente
senza l’intermediazione di un atto che accerti la fattispecie concreta per l’applicazione della norma.
L’atto avrebbe natura interamente dichiarativa (Es. rilascio patente); quando il potere è interamente
vincolato, anche i soggetti privati sono in grado di valutare in autonomia se una certa attività o
comportamento sono consentiti (SCIA).
- Tra l’attività discrezionale e quella vincolata c’è la discrezionalità tecnica, l’ambito in cui
l’amministrazione ha una scelta ma questa è compressa perché circoscritta all’applicazione di un
parametro tecnico (Es. esame in università/individuazione interesse culturale). La norma attributiva
del potere rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta
presentano margini di discrezionalità. Il giudice amministrativo si spinge a verificare l’attendibilità e
la correttezza del criterio utilizzato ma non la sua condivisibilità. Nel sindacare le valutazioni
tecniche il giudice amministrativo è coadiuvato dalla consulenza tecnica di ufficio, che nomina un
esperto che risponderà ai quesiti del giudice su questioni tecniche da esso poste.
Al suo interno il provvedimento contiene le norme giuridiche e i presupposti di fatto che ne giustificano
l’adozione. All’interno del tema della discrezionalità sorge il problema teorico e pratico di come conciliare
due esigenze: dare all’amministrazione discrezionalità per renderla flessibile nella gestione dei problemi
della collettività, ed evitare che la discrezionalità diventi arbitrio. Questa è una grossa differenza rispetto al
diritto privato, perché se si mantengono nel lecito, le scelte dei privati non sono sottoposte a regole
particolari. Invece l’amministrazione titolare di un potere deve operare la scelta tra più soluzioni, nel rispetto
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dei limiti esterni della norma ma anche nel rispetto di un vincolo interno, quello di dover perseguire un fine
pubblico (art.1 l241/1990). Definendo la discrezionalità amministrativa: è il margine di scelta che la norma
concede all’amministrazione affinché essa possa individuare, tra le consentite, la soluzione migliore per
curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La scelta avviene all’esito di una valutazione comparativa
degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale.
Tra di essi per primo c’è l’interesse pubblico primario, che deve essere valutato alla luce dei cd. interessi
secondari rilevanti, tra i quali si annoverano gli altri interessi pubblici ma anche gli interessi dei privati, i
quali possono partecipare al procedimento per rappresentare il proprio punto di vista con la presentazione di
memorie e documenti che la PA è obbligata a valutare. La scelta della PA deve contemperare l’esigenza di
massimizzare l’interesse pubblico primario con quella di causare il minor sacrificio possibile degli interessi
secondari coinvolti. L’amministrazione deve dar conto della ponderazione degli interessi nella motivazione
del provvedimento, per garantire la trasparenza dell’operato. La discrezionalità incide su:
1. An: se esercitare il potere in una determinata situazione ed emanare il provvedimento;
2. Quid: sul contenuto del provvedimento;
3. Quomodo: sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento al di là delle sequenze di atti
imposti dalla legge che disciplina lo specifico provvedimento;
4. Quando: sul momento in cui esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento, tenendo conto
dei limiti massimi per la sua conclusione;
all’esito dell’istruttoria e della ponderazione degli interessi, può succedere che ci sia solo un’unica scelta
legittima tra quelle consentite, quindi la discrezionalità può ridursi fino ad annullarsi. Una riduzione
dell’ambito della discrezionalità può avvenire anche attraverso l’auto vincolo: tra la norma di conferimento
del potere e il provvedimento si interpone la predeterminazione da parte della stessa PA di criteri e parametri
che vincolano l’esercizio della discrezionalità.
Merito amministrativo: è la nozione speculare rispetto alla discrezionalità; il merito ha una dimensione
negativa e residuale poiché si riferisce all’eventuale ambito di valutazione e scelta della PA che si pone fuori
dai limiti coperti dall’area del principio di legalità. Se il potere p vincolato, lo spazio del merito è nullo (Es.
scelta se consentire al titolare di un bar l’uso di una piazza per i tavoli). Il merito connota l’attività libera
della PA, essa è insindacabile da parte del giudice amministrativo, che non può sostituirsi alla PA nelle
valutazioni. Il merito è una “riserva di amministrazione”.

3.6 L’interesse legittimo


La distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo assume rilievo sotto due punti di vista: quello del
criterio del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario (dir soggettivo) e giudice amministrativo (int
legittimo); e quello della delimitazione dell’ambito di responsabilità civile della PA. La CC in una sentenza
ha ribadito che la giurisdizione amministrativa ha per oggetto aolo gli interessi legittimi, ma essa può
occuparsi, in casi tassativi, anche di diritti soggettivi, ma solo quando questi sono connessi ad un rapporto
nel quale la PA si presenta in veste di autorità (giurisdizione esclusiva). In origine (1865) tutte le
controversie tra proivati e PA in cui la questione fosse un diritto civile spettavano alla competenza del
giudice civile, che però nella prassi interpretativa aveva delle remore nel sindacare gli atti della PA, si creò
un vuoto di tutela di fronte alle illegittimità e agli abusi della PA. Da qui l’origine (1889) della IV Sezione
del Consiglio di Stato, che voleva integrare la legge precedente introducendo un rimedio per tutelare tutte le
situazioni non qualificate come diritto soggettivo. La giurisprudenza e la dottrina si dovettero confrontare
con la questione della definizione della formula di “interesse”, posta dal legislatore come requisito per poter
avanzare un ricorso per ottenere l’annullamento del provvedimento. Si muove tanto dalla prospettiva dei
poteri attribuiti allo Stato e agli apparati pubblici, quanto da quella dei diritti del cittadino e dall’esigenza di
offrire una protezione giuridica completa alle situazioni giuridiche soggettive. La Costituzione attribuisce a
diritti soggettivi e interessi legittimi pari dignità e quindi l’ordinamento deve assicurare ad entrambi una
tutela piena ed effettiva (art.24Cost). L’interesse legittimo ha acquisito valenza sostanziale una volta
sollevata la questione della sua risarcibilità ad opera della C di Cassazione, che ha correlato la risarcibilità
dell’interesse legittimo alla rilevabilità, nella situazione concreta, di una lesione a un bene della vita già
ascrivibile alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell’interesse legittimo. La CC ha inteso l’azione
risarcitoria non come tutela di un diritto soggettivo autonomo, ma in funzione rimediale, quindi come
tecnica di tutela dell’interesse legittimo che integra la tecnica di tutela tradizionale dell’annullamento. Se

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l’interesse legittimo incorpora una pretesa risarcitoria, ha per forza come oggetto un bene della vita
suscettibile di lesione da un provvedimento illegittimo. Questo bene della vita viene tutelato anche
attraverso l’azione di adempimento, con cui il giudice condanna la PA all’emanazione di un provvedimento
richiesto da un privato attribuendogli il bene della vita desiderato (Es. autorizzazione). L’interesse legittimo
è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della PA e tutelata direttamente dalla norma di
conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà per influire sull’esercizio
del potere allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita. Questi poteri e facoltà si concretizzano nel
procedimento con l’istituto della partecipazione, che consente al privato di rappresentare il proprio punto di
vista presentando memorie e documenti. La partecipazione tende a riequilibrare la posizione di soggezione
nei confronti del titolare del potere; l’interesse legittimo ha sia una dimensione passiva (soggezione al
potere) sia una dimensione attiva (pretesa a un esercizio corretto del potere al quale corrispondono poteri e
facoltà verso la PA).
L’interesse legittimo è la posizione del soggetto quando l’amministrazione esercita un potere
discrezionale. Il rapporto tra PA e privato cambia a seconda di quale siano le modalità; il cittadino, nei
confronti della PA è titolare di un interesse legittimo (posizione giuridica soggettiva, in presenza di un
provvedimento, il giudice a cui si deve rivolgere per le controversie con la PA è il giudice amministrativo).
Oppure il cittadino può essere titolare di un diritto soggettivo (si stipula un contratto quindi la relazione è
paritaria/ se il privato ha una controversia legata all’inadempimento del contratto il giudice di riferimento è
quello ordinario). Ci sono alcuni ambiti in cui la scissione tra i due è difficile perché ciò che c’è a monte non
è propriamente né un provvedimento né un contratto.

3.7 Gli interessi legittimi oppositivi e pretensivi


Sotto il profilo funzionale gli interessi legittimi possono essere divisi in due categorie:
- Interessi legittimi oppositivi: sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la
produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del
destinatario, sacrificandone l’interesse (Es. esproprio). Il rapporto giuridico amministrativo che si
sviluppa nel procedimento ha una dinamica di contrapposizione, il suo titolare cercherà di
intraprendere tutte le iniziative per contrastare l’esercizio del potere che sacrifica un bene della vita.
Il suo interesse ad evitare che si comprima la sua sfera giuridica è soddisfatto se la PA, all’esito del
procedimento, non emana il provvedimento che produce l’effetto negativo. Solitamente il
procedimento si apre d’ufficio, la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto. Il
bisogno di tutela è legato all’interesse alla conservazione del bene della vita, l’annullamento dell’atto
impugnato soddisfa questo bisogno perché il ricorrente viene reintegrato nella situazione precedente
all’emanazione del provvedimento. La tutela risarcitoria ha per oggetto i danni derivanti
dall’approvazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento
illegittimo sia stato eseguito. La sentenza, pur eliminando l’atto e i suoi effetti, non rimedia al
passato, vanno risarciti i danni derivanti dal mancato godimento. Se il destinatario del
provvedimento amministrativo crede che questo sia illegittimo può proporre un ricorso presso il
giudice amministrativo, che può ritenere che il ricorso sia fondato, quindi annulla il provvedimento
ripristinando la condizione iniziale del destinatario, sia infondato, mantenendo attivi gli effetti del
provvedimento.
- Interessi legittimi pretensivi: son correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la
produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del
destinatario dando soddisfazione al suo interesse (Es. concessione). Il rapporto giuridico
amministrativo che si sviluppa nel procedimento ha una dinamica di collaborazione, il titolare
dell’interesse cercherà di porre in atto tutte le attività per stimolare l’esercizio del potere orientando
la scelta della PA in modo tale da poter conseguire il bene della vita in questione. Il suo interesse a
far sì che la sua sfera giuridica si ampli è soddisfatto se la PA emana il provvedimento produttivo di
effetti positivi. Il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un’istanza di parte che fa
sorgere l’obbligo di procedere e provvedere in capo alla PA. Il bisogno di tutela è legato all’interesse
all’acquisizione del bene della vita: l’annullamento del provvedimento è insufficiente perché non
determina in via immediata l’acquisizione del bene della vita, che richiede l’adozione da parte della
PA del provvedimento. La tutela risarcitoria ha per oggetto i danni conseguenti alla mancata o
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ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di
diniego della richiesta. La sentenza, condannando la PA ad emanare il provvedimento richiesto, non
pone rimedio al passato, il richiedente va risarcito del mancato guadagno a causa del diniego. Il
ricorso si svolge presso il giudice amministrativo: se è accettato il giudice annulla il
provvedimento di diniego ma non può attuare la richiesta non potendosi inserire nell’azione
amministrativa.
Esistono anche provvedimento “a doppio effetto”, che producono allo stesso tempo un effetto ampliativo e
uno restrittivo nella sfera giuridica di due soggetti distinti dando origine ad un rapporto trilaterale, che
complica e articola ulteriormente la dinamica dei rapporti tra PA e privati. Si instaura una dialettica che vede
contrapposti due interessi privati.
Per entrambe le categorie i ricorsi si svolgono presso il giudice amministrativo.

3.8 I criteri di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi


La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato 3 criteri interpretativi:
① struttura della norma di attribuzione del potere: ricorre la distinzione tra norma di relazione e norma
d’azione. La prima regola il rapporto giuridico tra PA e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche, è
correlata al diritto soggettivo; la seconda disciplina l’attività della PA ai fini di tutela dell’interesse pubblico,
è correlata all’interesse legittimo. Nella prima la produzione dell’effetto giuridico avviene automaticamente
sullo schema norma-fatto-effetto. Nella seconda si segue lo schema norma-fatto-potere-effetto.
② distinzione tra potere discrezionale e vincolato: in presenza di un potere discrezionale la situazione
giuridica di cui p titolare il privato è sempre e solo l’interesse legittimo, questo perché la conservazione o
acquisizione del bene della vita del privato, non essendo garantita dalla norma, è rimessa alla valutazione
della PA. Di fronte al potere discrezionale il privato non può prevedere l’esito positivo o meno del processo,
manca dunque la possibilità di avere in modo diretto e immediato il bene della vita, cosa che invece
caratterizza il diritto soggettivo. Se invece il potere è vincolato, il soggetto privato può fare le sue
valutazioni in autonomia prevedendo con certezza l’esito del procedimento.
③ diversa natura del vizio dedotto dal privato rispetto all’atto: se viene contestata una carenza di potere
(assenza di fondamento legislativo), l’atto emanato è una parvenza di provvedimento, inidoneo a produrre
l’effetto tipico nella sfera del destinatario. Il diritto soggettivo resiste rispetto al potere, non subendo
riduzioni e tramutandosi in interesse legittimo. Se invece si lamenta il cattivo esercizio del potere,
deducendo un vizio di legittimità, la situazione giuridica fatta valere nei confronti della PA ha la consistenza
di un interesse legittimo.

3.9 il diritto di accesso ai documenti amministrativi


Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è uno degli strumenti principali della trasparenza
dell’attività amministrativa e della sua imparzialità. L’accesso consiste nel diritto degli interessati di
prendere visione e copiare documenti amministrativi; esso è inclusi dalla l.241/1990. Si distingue tra accesso
procedimentale e non procedimentale: il primo rientra tra i diritti attribuiti ai soggetti partecipante a un
determinato processo amministrativo in modo da permettere loro di tutelare le proprie ragioni avendo
cognizione di tutti gli atti e i documenti acquisiti al fascicolo. Si instaura un legame funzionale tra principio
di trasparenza e diritto di partecipazione; il secondo può essere esercitato autonomamente da chi abbia
interesse a esaminare i documenti detenuti da una PA.
In entrambi i casi la l.241/1990 costituisce il diritto di accesso secondo lo schema del diritto soggettivo, in
particolare riguardo l’accesso non procedimentale, che sorge quando il richiedente l’accesso dimostri un
interesse diretto concreto ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al documento del quale si
richiede l’accesso. L’acceso non è attribuito a chiunque, non basta la curiosità ma è necessario che la
richiesta di accesso abbia alla base un interesse e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante.
L’accesso non procedimentale è escluso in una serie tassativa di casi (Es. documenti segretati), altri casi di
esclusione possono essere individuati con il regolamento di delegificazione quando ci sia il rischio di ledere
interessi pubblici. Quando sussistono esigenze di tutela della riservatezza l’amministrazione deve comparare
l’interesse all’accesso al contrapposto interesse alla riservatezza: deve quindi valutare se la richiesta di
accesso è necessaria. Il criterio della necessarietà è più stringente se i documenti contengono dati sensibili. Il
diritto di accesso ai documenti amministrativi è incluso tra le materie della giurisdizione esclusiva del
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giudice amministrativo. Oggi si tende a considerare il diritto all’accesso non come un diritto soggettivo ma
come un interesse legittimo, da qui il fatto che il diniego di accesso sia un provvedimento impugnabile entro
30gg piuttosto che i 60 stabiliti per i diritti soggettivi. La l.241/1990 stabilì delle fattispecie di accesso
qualificabili in termini di diritto soggettivo, come la tutela ambientale.

3.10 Interessi di fatto, diffusi e collettivi


Le norme che disciplinano la PA possono porre ad essa doveri comportamentali per la tutela di interessi
pubblici, questo senza che a questi doveri corrisponda una situazione giuridica o altro tipo di pretesa
giuridicamente tutelata in capo a soggetti esterni (Es. norme che impongono alle PA di adottare atti di
pianificazione urbanistica). La violazione di questi doveri rileva solo all’interno dell’organizzazione degli
apparati pubblici e può dare origine a interventi di tipo propulsivo (diffide) o sostitutivo da parte di organi
dotati di poteri di vigilanza, sanzioni nei confronti dei responsabili. I soggetti privati che possono trarre
beneficio o pregiudizio da queste attività sono portatori di un interesse semplice, di mero fatto, che va
distinto dall’interesse legittimo con la differenziazione e la qualificazione. Differenziazione: perché possa
configurarsi un interesse legittimo occorre che la posizione in cui si trova il soggetto privato rispetto alla PA
gravata di un dovere di agire sia diversa da quella della generalità dei soggetti dell’ordinamento.
Qualificazione: una volta appurato il carattere differenziato di un interesse rispetto a quello della generalità
dei soggetti occorre accertare se questo interesse rientri nel perimetro di tutela delle norme attributive del
potere. Gli interessi semplici possono avere dimensione individuale o superindividuale: è emersa la nozione
di interesse diffuso. Gli interessi diffusi sono interessi non personalizzati, senza struttura, riferibili
indistintamente alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti. Gli interessi
diffusi sono una categoria dai confini incerti, essi superano la dimensione individuale in quanto riferibili agli
individui non in sé, ma in relazione al loro status (consumatore, utente…), finiscono per sovrapporsi alla
nozione di interesse pubblico. È stata posta anche la differenziazione tra interessi diffusi e interessi
collettivi, riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati. Esistono anche interessi individuali
omogenei, che mantengono il carattere di situazioni giuridiche soggettive individuali e acquistano
dimensione collettiva solo per il fatto di essere comuni a una pluralità di soggetti (Es. utenti del servizio
elettrico).

3.11 I principi generali


Bisogna distinguere tra principi che presiedono alla distribuzione delle funzioni tra i livelli di governo,
quindi rivolti l legislatore, e i principi che hanno come destinatarie le PA. Alcuni di questi principi sono
caratterizzati dalla circolarità e dall’interdipendenza, alcuni hanno valenza trasversale. I principi generali si
ricavano da più fonti: la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali UE, i trattati europei, la l.241/1990.
Principi sulle funzioni. L’ ARTICOLO 114Cost è la prima norma del titolo V della Costituzione, quindi
quella parte che ha subito la revisione del 2001. Si afferma il principio del pluralismo istituzionale
paritario: è particolare l’ordine in cui gli enti
vengono nominati, dall’istituto più vicino al
cittadino al più distante, e questo richiama il
principio di sussidiarietà. Il secondo comma ricorda
l’autonomia di ciascun ente, essi hanno capacità di
organizzarsi, di regolamentarsi ecc. attraverso i
propri statuti, che sono come la costituzione dell’ente autonomo. Al secondo comma si stabilisce che sia la
Costituzione ad essere il limite per tutti gli enti, questo ci fa capire come gli enti elencati siano equi ordinati:
prima della riforma alla costituzione erano affiancate le “leggi dello Stato”. L’ARTICOLO 117Cost invece
definisce la potestà legislativa, che è esercitata da Stato e Regione attraverso Parlamento e Consiglio
Regionale rispettivamente (i Comuni non fanno le leggi, al massimo i regolamenti), che sono sottoposti allo
stesso limite: Costituzione al vertice e
fonti europee successivamente. Posto
che entrambi hanno competenza
legislativa, questa, come viene
organizzata e ripartita tra i due
soggetti?

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- Potestà legislativa esclusiva dello Stato: le materie indicate sono riservate allo Stato, in questo
senso una disposizione regionale che si discosta da queste materie è valida. La regione, tuttavia, può
specificare il contenuto delle norme statali emanando normative di dettaglio volte a specificare e
chiarire il contenuto. Le materie scelte e riservate alla competenza esclusiva statale, richiedono una
disciplina uniforme e omogenea definita a livello centrale (tutela dei beni culturali, le Regioni non
hanno nessuna competenza, laddove una Regione facesse una legge in materia di tutela con
variazioni rispetto alla legge statale sarebbe dichiarata dalla Corte costituzionale come illegittima e
quindi sarebbe abrogata. Se attuasse una legge statale senza variare nulla rispetto alla legge statale
sarebbe ammissibile).
- Potestà legislativa concorrente Stato-Regioni: riguardo queste materie spetta alle Regioni la
capacità legislativa, nel rispetto dei principi quadro fondamentali stabiliti dallo Stato (stabiliti dal
Codice2004) (valorizzazione, la Regione può fare delle leggi nelle materie specificate fatti salvi i
principi fondamentali, che devono essere definiti dallo stato. In materia di valorizzazione si possono
avere delle leggi regionali che devono sottostare ai principi fondamentali stabiliti dallo Stato). Il
limite delle norme di principio generale previste dalla normativa statale rimangono.
- Potestà residuale delle Regioni: l’ultima parte avrebbe dovuto rappresentare la novità della riforma
del titolo V poiché indica il principio della potestà residuale delle Regioni. Nella versione precedente
venivano elencate le materie in cui la Regione aveva possibilità di decidere, la situazione con la
riforma si ribalta perché se prima erano elencate le materie di cui si dovevano occupare le regioni,
ora l’elenco riguarda le materie su cui legifera lo stato (per tutte le materie che non sono
esclusivamente riservate allo Stato, il criterio è rovesciato rispetto al precedente prima si diceva
dove le Regioni potevano intervenire, oggi si dice dove lo Stato può intervenire quindi le Regioni ne
escono rafforzate nel loro ruolo).
L’elenco poi contiene materie eterogenee e trasversali, sono materie che possono riguardare diversi settori
(Es. tutela della concorrenza, è un ambito che può riguardare i settori più svariati come il turismo, in
concreto significa che anche laddove la materia sia affidata alla competenza residuale delle regioni poi ci
sono queste clausole che incidono, riducono e comprimo gli spazi regionali perché se una norma regionale
legittima viola la concorrenza tra le imprese turistiche, in quel caso la norma è illegittima. Gli ambiti
statale sono quindi numerosi ma oltre a quelli ci sono delle clausole che consentono allo stato di intervenire
i settori anche non dichiaratamente ad esso affidati.)
La riforma è stata condotta da una parte con l’idea di dare attuazione all’art5 rendendo le regioni
protagoniste e paritarie, di fatto il legislatore del 2001 aveva il timore che le regioni, con la classe politica
dell’epoca, non fossero in grado di soddisfare le aspettative, riportando quindi tutto all’accentramento delle
funzioni nelle mani dello stato. Si è provato ad innovare, con il timore che non fosse la scelta giusta. Lo
sdoppiamento degli ambiti riguardo i beni culturali, quindi tutela e valorizzazione, è una distinzione che
nella pratica è difficile individuare, è complicato stabilire cosa si intenda per uno e per l’altro termine; dal
2001 al 2015 la Corte costituzionale continuamente veniva chiamata a giudicare una legge regionale che
invadeva la competenza di tutela o viceversa una legge statale che invadeva il campo regionale della
valorizzazione.
Un principio basilare in questo contesto è quello della sussidiarietà, enunciato nella Costituzione
dall’ARTICOLO 118, la norma speculare all’art117, che riguarda l’esercizio delle funzioni amministrative
(chi concretamente compie le attività). Nel sistema pre-2001 l’esercizio delle attività concrete di tutela degli
interessi pubblici in una certa materia veniva svolto dallo Stato, le attività erano centralizzate, così come era
lo Stato a svolgere le funzioni legislativa e amministrativa; lo Stato poteva delegare ad altri soggetti
affidando alle Regioni o ai Comuni il compito di svolgere le attività; vigeva il parallelismo tra funzione
amministrativa e legislativa. Questo sistema fu spezzato nel 2001 perché l’esercizio delle funzioni
amministrative fu attribuito ai Comuni. La funzione amministrativa è stata attribuita secondo il principio di
sussidiarietà. Lo Stato agisce in maniera sussidiaria rispetto ai Comuni. Se nella ripartizione delle potestà si
segue un criterio per materia, nell’attribuzione delle funzioni amministrative si applica la sussidiarietà
verticale, le funzioni amministrative sono attribuite a quello che si pensa essere il livello più idoneo alla
soddisfazione dei bisogni dei cittadini, quindi i Comuni (Es. il comune può gestire servizi come la raccolta
rifiuti, ma non può gestire la difesa militare dei cittadini). Il comma3 fa riferimento alla possibilità che lo
stato preveda delle norme di coordinamento tra Stato e Regioni per quanto riguarda la tutela, la legge
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statale può prevedere delle norme di coordinamento anche laddove la competenza sarebbe solamente statale.
Sussidiarietà orizzontale: preferire l’intervento del privato rispetto al pubblico, che interviene solamente
quando il privato non è interessato. L’intervento della PA è sussidiario rispetto a quello del privato, deve
avvenire solo quando il privato manca nell’esercizio di alcune attività. Tradizionalmente, pre-2001, l’attività
di erogazione di servizi pubblici (economici e non) veniva esercitata dalla PA in regime di monopolio: era il
comparto pubblico a gestire tutti i servizi (Telecom, ENEL, Alitalia…). Tre fattori hanno mandato in crisi il
modello era costoso (gli enti pubblici pesavano sul bilancio), inefficiente (i servizi non erano adeguati), era
incompatibile con le norme europee (all’inizio l’obiettivo di base era la creazione di un mercato comune
affermando tra gli operatori commerciali parità). È seguito un processo di privatizzazione delle aziende
pubbliche (da azienda pubblica a spa) e liberalizzazione dei mercati (dal monopolio alla concorrenza).
L’intervento della PA nell’erogazione dei servizi pubblici subentra al privato solo quando il privato non è
interessato a svolgere tale servizio; l’intervento dell’azienda è legittimo quando manca l’operatore privato e
quindi quando il mercato sulla determinata materia non esiste. Il pubblico in concorrenza potrebbe svolgere
attività economica di interesse generale qualora vincesse una gara pubblica e risultasse preferibile rispetto al
privato; è importante che le condizioni di scelta siano paritarie in quest’evenienza.
Principi sull’attività: è stata di recente elaborata la definizione di “amministrazione di risultato”, che si
aggancia ai principi enucleati nell’art97Cost;
si tratta di una nozione sfumata che però
mette in risalto come nell’attuale fase
evolutiva dell’ordinamento sia cresciuta
l’attenzione nei confronti dell’economicità
dell’azione amministrativa. Il legislatore ha
anche disciplinato il cd. “ciclo delle
performance”, individuandone le fasi:
definizione di obiettivi, allocazione delle
risorse, monitoraggio in corso di esercizio, misurazione e valutazione della performance e dei dipendenti,
utilizzo di sistemi premianti. La performance si riferisce al grado di soddisfazione dei cittadini e degli utenti,
all’efficienza nell’impiego delle risorse, alla quantità e qualità dei servizi erogati. L’ARTICOLO 97 è la
base: modificato di recente in coerenza con l’ordinamento europeo, prevede l’obbligo di assicurare la
sostenibilità economica e la non eccessività del debito. Nell’articolo si enucleano i principi fondamentali del
buon andamento e dell’imparzialità, insieme a pubblicità, trasparenza e legalità (104). Buon
andamento significa che le PA devono assicurare, nella loro funzione efficienza (parametro con cui si
valuta l’attività amministrativa nel rapporto tra obiettivi della legge e risorse utilizzate), efficacia (misura
la capacità della PA di ottenere risultati rispetto agli obiettivi fissati), economicità (parametro usato per
indicare la capacità della PA di utilizzare in maniera adeguata e coerente le risorse disponibili senza
sprechi. Utilizzare in maniera efficiente le risorse raggiungendo in maniera efficace gli obiettivi).
L’imparzialità della PA riguarda l’esercizio del potere discrezionale ed è il trattamento nello stesso modo di
situazioni simili e la differenziazione di situazioni differenti; non privilegiare alcuni, non differenziare
situazioni ecc. I due principi si bilanciano a vicenda perché se ci fosse stato solo il riferimento al buon
andamento, la PA avrebbe rischiato di essere parziale (concorso pubblico: strumento che la costituzione ha
individuato come garanzia di imparzialità), ma deve anche rispettare il buon andamento, ponderando le
risorse e le finalità. Quando si propone un ricorso amministrativo si fanno valere solitamente questi due
principi, che sono i principi per antonomasia della PA e hanno molte sottocategorie. In base al secondo
comma le attribuzioni e le responsabilità sono definite dalla legge; la regola della competenza di ciascun
organo è idoneo a stabilire l’annullabilità del provvedimento amministrativo.
Negli anni ’90 è emersa la tendenza a valutare l’azione amministrativa non solo rispetto alla sua aderenza al
dato normativo (rispetto della forma) ma anche rispetto alla concreta idoneità delle PA a soddisfare le
esigenze della comunità. L’attività amministrativa deve essere “di risultare”, non interessa solo che sia
rispettosa della legge, ma anche e soprattutto che raggiunga gli obiettivi previsti. L’organizzazione degli
uffici pubblici è una riserva di legge relativa, può quindi essere affidata alla regolamentazione da parte di
fonti secondarie.
Il regolamento ha una procedura più snella e veloce, l’organizzazione delle PA non è una materia delicata;
quindi, per questo non è riserva di legge assoluta ma relativa.

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Il principio di pubblicità e trasparenza rileva in due ambiti: l’organizzazione e l’attività della PA, nel
senso che questa è tenuta a mettere a disposizione agli interessati delle informazioni, trasparenza intesa
come totale accessibilità alle informazioni della PA per favorirne il controllo; e il diritto di accesso ai
documenti amministrativi. È stata prevista, sotto il profilo organizzativo, la nomina all’interno di ogni PA di
un responsabile della trasparenza.
Principi sull’esercizio del potere discrezionale: prima di tutto la già citata imparzialità, quindi
l’amministrazione non può essere guidata nelle sue decisioni da interessi politici, gruppi di pressione o
singoli individui. L’imparzialità è posta a garanzia della parità di trattamento, quindi dell’uguaglianza dei
cittadini di fronte all’Amministrazione. Anche la proporzionalità, rilevante nel caso di poteri che incidono
in maniera negativa nella sfera giuridica del destinatario, si richiedono all’amministrazione 3 criteri:
 Idoneità, relazionare il mezzo con l’obiettivo;
 Necessarietà, confronto sulle misure idonee e orientare la scelta verso la misura che comporta il
minor sacrificio degli interessi incisi;
 Adeguatezza, valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione;
è opportuno menzionare anche il principio di precauzione, che comporta che quando ci sono incertezze in
ordine dell’esistenza o al livello di rischio per le persone, le autorità possono adottare misure protettive
senza dover attendere una dimostrazione della realtà e della misura del rischio.
Principi sul provvedimento: in aggiunta alla legalità, ci sono il principio di motivazione e di sindacabilità
degli atti. Stabiliti entrambi nella l241/1990 la motivazione è il presupposto del legittimo esercizio del potere
perché è attraverso questa che il destinatario del provvedimento e il giudice possono ricostruire le ragioni
poste a fondamento della decisione; la sindacabilità riguarda il fatto che gli atti amministrativi che ledono i
diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice
ordinario o di quello amministrativo.
Principi sul procedimento: il contraddittorio: ogni individuo ha diritto di essere ascoltato prima che nei
suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio. Talora il diritto dei
privati di esporre le proprie ragioni prima che venga emanato un provvedimento limitativo per loro viene
assimilato al principio del giusto processo. La certezza del tempo: l’agire amministrativo deve essere
celere, ognuno ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate entro un termine ragionevole. La
l241/1990 rende concreto questo principio individuando per ogni tipo di procedimento un termine massimo
entro il quale l’A deve emanare il provvedimento. La durata ragionevole e il rispetto dei termini massimi
tutelano gli interessi dei soggetti coinvolti e promuovono l’economicità dell’azione amministrativa. I
rapporti tra il cittadino e l’A devono svolgersi sulla buona fede.

C4- IL PROVVEDIMENTO
L’espropriazione, l’autorizzazione, la sanzione ecc, sono provvedimenti per mezzo dei quali l’autorità
amministrativi provvede alla cura in concreto dell’interesse pubblico. Il provvedimento, quindi, è la
manifestazione dell’autorità dello Stato. In un sistema in cui vo
vige la separazione dei poteri il provvedimento, espressione dell’esecutivo si colloca accanto agli altri due
atti tipici riconducibili agli altri poteri statali: la legge, espressione del potere legislativo, che innova
l’ordinamento definendo obblighi e diritti dei cittadini; e la sentenza, espressione del potere giudiziario che
risolve controversie tra le parti imponendo una regola. Il provvedimento, come la legge e la sentenza, è
assunto all’esito di un procedimento atto a garantire trasparenza e tutela degli interessi coinvolti. La sua
disciplina è contenuta nella l241/1990.
Non necessariamente un procedimento amministrativo si conclude con il provvedimento amministrativo,
esiste l’opzione dell’accordo amministrativo, una forma di esercizio consensuale del potere. Ancora il
procedimento si può risolvere con l’inerzia, che può avere valore positivo o meno. Ci sono dei procedimenti
amministrativi complessi o pluristrutturati, come la conferenza di servizi: istruttoria (la PA può decidere di
usarla quando deve svolgere un’attività istruttoria a fini di semplificazione) decisoria (la determinazione
assunta conclude il procedimento e sostituisce il provvedimento.
Il provvedimento è un atto di una PA che è in grado di incidere in maniera autoritativa sulla sfera giuridica
del destinatario. Il provvedimento è UN atto, perché non tutti gli atti amministrativi sono provvedimenti:
nella macrocategoria degli atti amministrativi alcuni sono provvedimenti e altri no. Cosa li distingue dagli
altri atti adottati dalla PA? Solo il provvedimento ha l’idoneità lesiva, può quindi incidere sulla sfera
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giuridica del destinatario modificandola ampliandola o comprimendola a seconda della particolare tipologia
del provvedimento. I provvedimenti non sono tutti dello stesso tipo, ma sono favorevoli (autorizzazione,
concessione, aggiudicazione) o sfavorevoli (sanzione amministrativa, esproprio, ordine di demolizione), a
seconda del modo in cui incidono sulla situazione giuridica del privato; a queste due tipologie corrisponde
un’ulteriore implicazione: i favorevoli vengono adottati in linea di massima su istanza di parte, gli
sfavorevoli iniziano tendenzialmente d’ufficio. Al provvedimento favorevole si applica un’altra situazione
perché chi chiede l’avvio è titolare di un interesse legittimo pretensivo (si ha la pretesa che la PA eserciti
un potere che a me serve per realizzare un’attività o un intervento/ diverso da oppositivo, in cui il privato
ha un interesse opposto rispetto a quello della PA). A seconda nella natura dei due interessi legittimi si
possono ottenere oltre l’annullamento del provvedimento, anche un risarcimento del danno (nel caso
dell’interesse legittimo pretensivo è necessaria valutazione della fondatezza della pretesa, altrimenti si
ottiene solo l’annullamento/ nel caso dell’interesse legittimo oppositivo il risarcimento del danno è
automatico sulla base del Codice civile).

4.2 Il regime del provvedimento, a) la tipicità


Tutti i provvedimenti amministrativi sono tipici (tipicità), devono quindi rispettare un modello previsto dalla
legge; la tipicità è conseguenza del principio generale di legalità (applicazione del principio di legalità
garanzia, per tutelare i cittadini in funzione della capacità lesiva del provvedimento). In questo modo il
destinatario è consapevole del fatto che se non aderente alla legge il provvedimento è illegittimo e
annullabile. In contrapposizione all’atipicità dei negozi giuridici privati, nei quali le parti possono
concludere contratti non appartenenti ai tipi disciplinati dall’ordinamento purché siano diretti a realizzare
interessi meritevoli di tutela. Sono un’attenuazione del principio di tipicità le ordinanze contingibili e urgenti
comunali, che non sono tipizzate. Si fa però riferimento al fatto che i provvedimenti amministrativi sono
anche nominali (nominatività), i provvedimenti amministrativi sono solo quelli nominati da una legge, ci
deve esser una legge che prevede quel particolare tipo di provvedimento, essendo nominate le ordinanze
sono comunque produttive di effetti anche se non tipiche. Come la legge però regolamenta anche i
provvedimenti atipici? Con il fatto di essere nominato, anche i provvedimenti atipici sono nominati dalla
legge.

4.3 b) imperatività
L’atto amministrativo si differenzia dai negozi di diritto privato perché dotato di una particolare forza
giuridica atta a far prevalere l’interesse pubblico sugli interessi dei privati. L’imperatività o autoritarietà è
sancita dall’art1L241/1990. Consiste nel fatto che la PA titolare di un potere attribuito per legge può imporre
al privato destinatario del provvedimento le proprie determinazioni operando in modo unilaterale una
modifica della sfera giuridica del privato (Es. esproprio). Nell’imperatività si manifesta la dimensione
verticale di sovra ordinazione dei rapporti tra stato e cittadino, che si contrappone a quella orizzontale di
equi ordinazione delle relazioni private.
I provvedimenti sono autoritativi perché sono in grado di incidere sulla sfera giuridica del destinatario
prescindendo dal suo consenso (non vuol dire che il provvedimento produce effetti di compressione, ma che
produce effetti senza che ci sia consenso o che il provvedimento è in grado di modificare la sfera giuridica
del soggetto imponendogli una serie di prescrizioni rispetto all’esercizio di una certa attività).
L’imperatività coincide con l’unilateralità della produzione di un effetto giuridico. L’esercizio del potere
però può avvenire anche in modo consensuale, con un accordo tra A e soggetto privato. L’imperatività
emerge con più forza negli atti amministrativi restrittivi: la volontà contraria del soggetto non preclude il
prodursi dell’effetto giuridico. Il destinatario è una posizione di pura passività. La relazione giuridica con
l’A non è paritaria e consensuale nemmeno nel caso degli atti amministrativi ampliativi emanati su domanda
dell’interessato perché la domanda fa sorgere in capo all’A un dovere di avvio del procedimento e di
emanazione all’esito di questo, del provvedimento richiesto. Ma l’effetto viene prodotto in via unilaterale
dal provvedimento emanato.

4.4 c) l’esecutorietà e l’efficacia


I provvedimenti sono esecutivi ed esecutori: tutti i provvedimenti amministrativi sono esecutivi
(esecutività), sono idonei a produrre effetti nel momento stesso in cui vengono adottati e non c’è bisogno di

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nessuna ulteriore attività da parte della PA (art21-quater); sono esecutori (esecutorietà) perché gli effetti del
provvedimento si producono senza che ci sia, per la PA, la necessità di rivolgersi ad un giudice laddove il
procedimento non fosse eseguito (la PA non deve attivare processi di fronte al giudice, l’A può procedere
all’esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione del provato senza doversi
rivolgere a un giudice per ottenere l’esecuzione forzata). La PA ha la possibilità di portare a esecuzione
provvedimenti con i propri uomini e mezzi. Se l’imperatività opera sul piano della produzione degli effetti
giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiali necessarie per conformare la realtà di fatto
alla situazione di diritto come viene modificata dal provvedimento. Prima della l241/1990 l’esecutorietà si
fondava sulla presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo: la giustificazione teorica
proveniva dal fatto che l’atto proveniva da organi espressione della sovranità. Questo porta a ritenere che i
provvedimenti siano emanati in modo legittimo e quindi possono essere portati ad esecuzione
immediatamente. È l’art21L241/1990 ad occuparsene, precisando all’art21-ter che il potere di imporre
coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito all’A sono nei casi e con le modalità stabilite dalla
legge (esecutorietà). In relazione agli obblighi nascenti da un provvedimento amministrativo, questo deve
indicare il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. L’esecutorietà presuppone
l’efficacia del provvedimento: secondo l’art21-bis il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei
privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario (atto recettizio).

4.5 d) l’inoppugnabilità
Gli atti amministrativi sono anche inoppugnabili (inoppugnabilità) o incontestabili, il ricorso nei confronti
del provvedimento è subordinato al rispetto di un termine temporale fissato a 60gg, dopodiché il
provvedimento diventa inoppugnabile (se non si agisce entro 60gg dopo non può più essere oggetto di
ricorso). Alla base della regola dell’inoppugnabilità sta un altro principio base, il principio della certezza
del diritto: il legislatore ha dato precedenza al fatto di sapere in tempi rapidi se il provvedimento è valido o
meno, perché il ricorso si svolge in tempi prolissi. Se il termine fosse più ampio di quel che è i cittadini
sarebbero esposti all’incertezza.
L’azione di annullamento va proposta entro 60gg, l’azione di nullità entro 180gg e l’azione risarcitoria entro
120gg. Esigenze di certezza e stabilità del diritto giustificano la brevità dei termini decadenziali. Nei
rapporti di diritto privato i termini sono più lunghi. L’inoppugnabilità non esclude il fatto che l’A possa
mettere in discussione il rapporto giuridico esercitando l’autotutela (annullamento d’ufficio),
l’inoppugnabilità garantisce la stabilità del rapporto giuridico solo sul versante delle possibili contestazioni
del privato. L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in seguito all’acquiescenza del
destinatario, una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento.
Tutti i provvedimenti sono concreti e puntuali (hanno un destinatario preciso), si distinguono da altri atti
amministrativi che non hanno queste due caratteristiche (piano regolatore/bando/regolamento governativo).

4.6 gli elementi strutturali dell’atto amministrativo. L’obbligo di motivazione


I provvedimenti amministrativi hanno dei requisiti minimi, senza i quali non possono dirsi esistenti e quindi
non producono effetti:
- Il soggetto, quindi l’autorità che lo emana, nel provvedimento deve essere nominato il soggetto da
cui proviene, ma anche il soggetto fisico che adotta il provvedimento: c’è una persona fisica a cui la
legge attribuisce la possibilità di esercitare il provvedimento, è il responsabile del procedimento
(nome e cognome); individuabile in base alle norme sulla competenza, di solito sono PA.
- L’oggetto, cosa riguarda il provvedimento (terreno, concessione, gara x, concorso y);
- Il dispositivo, che cosa l’amministrazione decide con quel provvedimento (espropriare, demolire,
concedere), è il contenuto della decisione (graficamente si riconosce da un termine scritto in
grassetto e in carattere maggiore, ORDINA, DISPONE…). Il dispositivo, quindi il contenuto può
essere integrato con clausole accessorie che fissano prescrizioni e condizioni particolari, che non
possono snaturare il contenuto tipico del provvedimento dovendo essere coerenti con il fine pubblico
previsto dalla legge attributiva del potere.
- La data, dalla data di comunicazione del provvedimento all’interessato decorre il termine per la
proposizione del ricorso.

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- La motivazione, perché la PA è giunta alla decisione, quali sono le norme che ha applicato e quali
sono le circostanze di fatto che hanno motivato l’inizio del procedimento (distinzione tra parte
normativa e parte fattuale, fatti e norme sulla base dei quali si adotta il provvedimento). L’obbligo
di motivazione, la cui violazione è causa di annullabilità, è uno dei principi generali del regime degli
atti amministrativi, che lo differenzia sia dagli atti legislativi che da quelli negoziali. Quindi la
motivazione è espressione di un altro principio generale: la trasparenza dell’azione
amministrativa perché la motivazione permette al destinatario di ricostruire l’iter logico e giuridico
che la PA ha seguito per adottare il provvedimento. Sono gli unici a dover essere motivati perché
sono gli unici che hanno idoneità lesiva. La motivazione adempie a 3 funzioni principali:
①promuove la trasparenza dell’azione ammnistrativa perché palesa le ragioni sottostanti le scelte
amministrative; ②agevola l’interpretazione del provvedimento; ③è una garanzia per il soggetto
privato che subisce il provvedimento perché consente un controllo giurisdizionale incisivo
sull’operato dell’amministrazione.
La motivazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti acquisiti nel corso dell’istruttoria
procedimentale che hanno indotto l’A a compiere la scelta. Nella motivazione devono emergere
anche le valutazioni dell’A sugli apporti partecipativi dei privati, e da essa deve essere possibile
ricostruire puntualmente l’iter logico seguito dall’A per arrivare ad una certa scelta. La motivazione
assume importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre in quelli vincolati può essere
limitata all’enunciazione ei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’esercizio del potere.
Essa, infatti, è lo strumento principale per sindacare la legittimità delle scelte dell’A. Quanto più
ampio è l’ambito discrezionale, più stringente è l’obbligo di motivazione. L’art21-octies esclude che
il provvedimento possa essere annullato per vizi formali o procedurali quando il contenuto del
medesimo in ogni caso non avrebbe potuto essere diverso. Ciò che importa è che la decisione sia
sorretta da ragioni valide.
- La forma scritta, in alcuni casi l’atto può essere esternato oralmente (ordini di polizia);
In tutti i provvedimenti, nella parte finale, si trova l’indicazione riguardo l’autorità contro cui proporre
ricorso e anche la data entro la quale farlo. Per stabilire la legittimità del provvedimento l’avvocato a cui si
affida il destinatario andrà a studiare le motivazioni del provvedimento.
Laddove mancasse uno degli elementi base del provvedimento, questo sarebbe non solo annullabile
(comincia a produrre effetti e continua finché non è annullato, e se il termine decorre pur essendo illegittimo
continua a produrre i suoi effetti), ma anche nullo (come se non fosse esistito, non può esercitare nessun
effetto). Se il provvedimento non ha la data è nullo, e questo è sempre accertabile; Il risarcimento del
danno è un ristoro di fronte ad un provvedimento illegittimo, mentre l’indennizzo è conseguente ad un atto
legittimo, ogni volta che viene espropriato un terreno ha diritto all’indennizzo (o uno o l’altro).
L’art21-septies contiene un richiamo agli elementi essenziali del provvedimento, la mancanza dei quali è
causa di nullità; questi elementi non sono individuati in modo puntuale dalla legge. Su un piano di
redazione formale l’atto amministrativo indica nell’intestazione l’autorità emanante, contiene nel
preambolo i riferimenti alle norme legislativi e regolamenti che fondano il potere esercitati, richiama gli atti
endoprocedimentali e gli altri atti ritenuti rilevanti, sviluppa la motivazione ed enuncia nel dispositivo la
determinazione finale. Reca anche data e ora della sottoscrizione e menziona i destinatari e l’organo
giurisdizionale presso il quale si può ricorrere e il termine entro cui lo si può fare.

4.7 i provvedimenti ablatori reali, i provvedimenti ordinatori e le sanzioni amministrative


Provvedimenti ablatori: tra i provvedimenti ablatori reali va ricordata l’espropriazione per pubblica utilità,
nella quale si manifesta il massimo grado di conflitto tra l’interesse pubblico e gli interessi privati. Si
consente alla PA di trasferire coattivamente il diritto di proprietà dal privato all’A attribuendo al provato un
indennizzo, che non coincide per forza con il valore di mercato, ma non deve nemmeno essere irrisorio. Da
menzionare è anche l’occupazione temporanea preordinata all’espropriazione, che consente la presa in
possesso e l’avvio immediato dei lavori senza attendere la conclusione del procedimento espropriativo.
Provvedimenti ordinatori: sono ordini e provvedimenti che impongono ai destinatari di fare o non fare.
L’ordine è un provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione
determinata, è lo strumento con cui il titolare dell’organo sovraordinato impone la sua volontà all’organo
sottordinato. Se l’ordine è illegittimo se ne deve fare rimostranza. Gli ordini possono riguardare non sono i
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rapporti intraorganici, ma anche quelli intersoggettivi (Es. ordini di polizia). La diffida invece è l’ordine di
cessare da un determinato comportamento posto in essere i violazione di norme amministrative, talora anche
con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione. In alcuni casi può essere preceduta da
un invito a desistere.
Sanzioni amministrative: sono volte a reprimere illeciti amministrativi, hanno quindi una funzione afflittiva
e valenza dissuasiva. Garantiscono l’effettività e l’autosufficienza degli ordinamenti speciali rispetto a
quello generale. Le sanzioni amministrative sono previste da leggi amministrative. La deterrenza delle
sanzioni è accresciuta dalla previsione in parallelo, per gli stessi comportamenti, di sanzioni penali. Sulla
base del principio id legalità nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una
legge entrata in vigore prima della violazione. Le sanzioni amministrative possono essere pecuniarie,
interdittive o ripristinatorie. Sanzioni pecuniarie: consistono nell’obbligo di pagare una somma di denaro
determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma. La sanzione pecuniaria grava a titolo di
solidarietà anche su soggetti diversi da quello che ha commesso l’illecito. L’obbligazione pecuniaria può
essere estinta con il pagamento di una somma ridotta entro 60 giorni dalla contestazione della violazione.
Sanzioni disciplinari: si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le PA e sono
volte a colpire comportamenti posti in violazione di obblighi speciali e collegati allo status (Es.
ammonizione, radiazione dall’albo). Sanzioni ripristinatorie: hanno come scopo principale quello di
reintegrare l’interesse pubblico leso da un illecito. Le sanzioni amministrative sono di regola applicate solo
nei confronti del trasgressore, questo in coerenza con il carattere personale della responsabilità. La persona
giuridica può essere chiamata a rispondere solo a titolo solidale.

4.8 Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva e la segnalazione certificata di


inizio attività.
i provvedimenti con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono essenzialmente quelli di tipo
autorizzativo: negli ordinamenti giuridici solitamente l’attività privata è libera, è permesso quindi tutto ciò
che non è espressamente vietato. Ma nei casi in cui l’attività privata interferisca o metta a rischio un
interesse collettivo, ci sono prescrizioni e vincoli.
Il rispetto delle leggi amministrative è assicurato in alcuni casi da un regime di vigilanza, che può sfociare in
sanzioni, mentre in altri casi la legge grava i privati di un obbligo di comunicare a una PA l’intenzione di
intraprendere un’attività; delle volte la comunicazione è contestuale all’avvio dell’attività, altre volte tra la
comunicazione e l’avvio c’è un termine. Un regime generale di comunicazione preventiva è la segnalazione
certificata di inizio attività (SCIA), posta dall’art19L241/1990. La SCIA riconduce una serie di attività,
per le quali in precedenza era previsto un controllo preventivo, a un regime meno intrusivo di controllo
successivo, effettuato dall’A una volta ricevuta la comunicazione di avvio dell’attività. La SCIA non è
qualificabile come istanza che dà avvio a un procedimento amministrativo volto al rilascio di un titolo
autorizzativo. Essa ha solo la funzione di consentire all’A di verificare se l’attività in questione sia conforme
alle norme.
Il privato che intende intraprendere l’attività deve corredare la segnalazione con un’autocertificazione del
possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In caso di
dichiarazioni mendaci scattano sanzioni. L’attività viene avviata sulla base di un’autovalutazione della
conformità dell’attività alla legge. Nel caso della SCIA l’A esercita un potere d’ufficio di verifica che può
sfociare in un provvedimento. In caso di accertata mancanza dei requisiti, nel termine di 60gg (vigilanza
anche oltre il termine) l’A emana un provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività ed eliminazione
degli effetti, oppure può invitare il privato a conformare l’attività alla legge. Con la scia non c’è un
provvedimento dell’amministrazione ma c’è una segnalazione dell’interessato, che inizia la sua attività
senza aspettare l’approvazione del provvedimento. Si segnala che si hanno i requisiti per svolgere una tale
attività. Invece che avviare un procedimento e avere un provvedimento che mi autorizza, io interessato vado
a segnalare alla PA che ho i requisiti; quindi, inizio e non aspetto che ci sia un procedimento amministrativo.
È una forma di liberalizzazione del procedimento amministrativo, che con la scia si elimina completamente
(liberalizzazione di alcune attività rispetto al potere pubblico, autoamministrazione). Lo strumento funziona
con riguardo all’attività vincolata, in cui la PA si limita ad applicare la legge al verificarsi di determinati
presupposti, in presenza di discrezionalità il privato non si può fare carico della ponderazione degli interessi
al posto della PA. Ci sono alcune materie (sicurezza, intervento militare) che sono escluse dal raggio

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d’azione di questo strumento. Si esclude, in una prima fase, l’intervento e la certificazione della PA. Il terzo
che desideri contrastare l’avvio dell’attività deve invitare l’A a emanare un provvedimento che vieti la
prosecuzione dell’attività e se questa non procede può rivolgersi al giudice (nella SCIA manca un
provvedimento per poter ricorrere al giudice amministrativo). La SCIA è uno degli strumenti generali di
correzione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, ci sono degli istituti a caratteri generali:
- Conferenza di servizi (14 e ss.), strumento di coordinamento dell’azione ammnistrativa di cui la PA
si può servire durante la fase istruttoria quando deve acquisire diversi pareri da più soggetti, è una
modalità di svolgimento dell’istruttoria; in realtà è uno degli strumenti più complessi del diritto
amministrativo. Nasce dall’idea che i procedimenti amministrativi, prevedendo la presenza di più
interessi pubblici e privati, sono complessi. L’amministrazione procedente si trova ad agire per la
tutela di un interesse pubblico, ma quando avvia un procedimento di tutela, si dovrà confrontare con
altre amministrazioni che anch’esse tutelano interessi pubblici (Es. impianto per la produzione
energetica: un privato chiede autorizzazione alla regione per realizzare l’impianto, la Regione avvia
un procedimento, ma per arrivare al provvedimento necessita di una serie di nulla-osta da parte delle
altre amministrazioni (sanità, paesaggio). Prima della conferenza di servizi il privato faceva richiesta
e la Regione chiedeva le autorizzazioni alle diverse PA in maniera separata; invece, di consultare le
PA separatamente, queste sono convocate insieme in modo che contestualmente si esprimano sul
progetto da realizzare. È uno strumento poco usato perché presenta alcune questioni:
1. L’espressione del dissenso: posto che non si potesse decidere all’unanimità, e vedendo che la
regola della maggioranza fosse poco applicabile (dissenso della PA della salute). Si è introdotto il
principio delle posizioni prevalenti in cui non si valuta dal punto di vista numerico ma da quello
qualitativo, si verificano le posizioni e si cercano di bilanciare i diversi interessi coinvolti tenendo in
adeguato conto le posizioni di alcune PA. Successivamente si è introdotto un ulteriore meccanismo
che riconduce la scelta al Consiglio dei ministri (è come se si sorpassi il pluralismo istituzionale
paritario perché il CdM è organo centrale e alla conferenza partecipano PA riferite a più livelli di
amministrazione, e se tutto viene riportato al livello centrale allora è come se non fosse vero che le
amministrazioni sono sullo stesso livello come stabilito dal principio). La conferenza può essere
decisoria (la PA è obbligata a richiederla e riguarda tutte le ipotesi in cui la PA deve, per poter
decidere, acquisire l’autorizzazione o nulla osta da parte delle altre PA, una decisione che incide in
maniera diretta sul contenuto della decisione finale) e istruttoria (strumento facoltativo che la PA
può utilizzare durante lo svolgimento dell’istruttoria); la conferenza in ogni caso non è un organo
collegiale ma uno strumento di collegamento e coordinamento delle PA. La conferenza può anche
essere richiesta da un privato per presentare il progetto, affinché tutti i soggetti coinvolti possano
esprimere il loro parere contestualmente.
- Scia (19), (segnalazione certificata inizio attività), l’attività vincolata, riguarda i provvedimenti
favorevoli ampliativi;
- Silenzio assenso (20), nei provvedimenti a istanza di parte, il silenzio della PA equivale ad un
assenso, quando l’eventuale diniego non viene manifestato entro il termine stabilito. L’istanza si
intende accolta se entro la scadenza del termine non c’è un provvedimento di diniego. C’è una prima
fase del procedimento, quello che cambia rispetto alla scia è la fase decisoria, la fase finale perché il
legislatore ha deciso che il decorso del tempo e il mancato esprimersi della PA equivale ad un
assenso. Oltre il termine del procedimento, se il provvedimento negativo non c’è stato, la propria
istanza è stata accolta. Il procedimento è semplificato ma esiste. Come la scia è un procedimento a
istanza di parte. In quest’opzione però si tratta di attività discrezionale, non vincolata. Il legislatore
esclude che maccanismi di semplificazione come questi possano essere applicabili a materie delicate
e sensibili.
In ogni caso la PA, al verificarsi di determinate evenienze, può annullare il provvedimento
ampliativo, esponendo comunque il cittadino ad una situazione di precarietà e instabilità. Il senso
della norma non era quello di dare al cittadino la possibilità per il cittadino di fare cose senza un
provvedimento, ma quello di stimolare le PA ad agire in fretta per evitare che si verifichi il silenzio-
assenso. È un’ipotesi in cui il procedimento amministrativo si conclude in maniera tacita senza un
provvedimento esplicito, in questo caso l’effetto è positivo, ma ci sono casi in cui il silenzio della PA

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equivale a silenzio-inadempimento, quindi un effetto negativo, se la PA non si esprime entro il
termine si consideri un no.

4.9 autorizzazioni e concessioni


La scelta da parte del legislatore tra il controllo ex post o ex ante richiede una valutazione caso per caso;
l’autorizzazione preventiva è ammessa quando l’obiettivo della tutela dell’interesse pubblico non può essere
conseguito tramite una misura meno restrittiva, in quanto il controllo a posteriori non sarebbe più efficace.
Nel modello di controllo ex ante, sulle attività dei privati si considerano le autorizzazioni e le concessioni.
Autorizzazione: è l’atto con cui l’A rimuove un limite all’esercizio di un diritto soggettivo del quale è già
titolare il soggetto che presenta la domanda (Es. il terreno è mio e ho diritto a costruire ma non posso se
non ho il permesso del comune, perché questo deve accertare l’attinenza con i piani regolatori comunali). Il
rilascio presuppone una verifica della conformità dell’attività ai parametri normativi posti a tutela
dell’interesse pubblico. Le autorizzazioni danno origine al fenomeno dei diritti soggettivi in attesa di
espansione. Sul piano funzionale è uno strumento di controllo da parte dell’A sullo svolgimento dell’attività
allo scopo di verificare preventivamente che essa non sia in contrasto con le norme che ne definiscono
presupposti e requisiti. Si esaurisce uno actu, senza che si instauri una relazione con l’A che vada al di là di
una generica attività di vigilanza (Es. autorizzazione all’apertura di esercizio commerciale).
Concessione: è l’atto con cui l’A attribuisce ex novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo
ad un provato. Nel rapporto giuridico che si instaura tra privato che presenta l’istanza di concessione e
l’amministrazione il privato è titolare di un interesse legittimo pretensivo, e solo in seguito alla concessione
sorge in capo al provato un diritto soggettivo pieno che può essere fatto valere anche rispetto ai terzi. Si
instaura invece un rapporto di lunga durata con il concessionario (Es. servizi pubblici). è uno strumento
attraverso il quale l’A anziché provvedere con le proprie strutture alla gestione di beni e servizi, l’affida a
privati (esternalizza). La concessione realizza una forma di partenariato pubblico-privato. Le concessioni si
dividono in traslative e costitutive: le prime trasferiscono in capo a un privato un diritto del quale è titolare
l’A (Es. concessione balneare, il terreno è mio e ho diritto a costruire ma non posso se non ho il permesso
del comune, perché questo deve accertare l’attinenza con i piani regolatori comunali), le seconde
attribuiscono al soggetto privato un nuovo diritto (Es. onorificenza). Esistono concessioni di beni pubblici,
di servizi pubblici o di lavori. Tutte le volte che si identifica un concessionario, lo si fa all’esito di una
procedura di evidenza pubblica.
Alle autorizzazioni e alle concessioni viene riconosciuto il carattere unilaterale e autoritativo: unilaterale,
pur in presenza di una volontà del privato espressa attraverso la presentazione dell’istanza; autoritativo
anche nei casi di autorizzazioni vincolate, nelle quali l’atto sembra avere solo valenza ricognitiva di un
effetto che scaturisce dalla legge.
Nel caso in cui il numero delle autorizzazioni debba essere limitato per ragioni di scarsità delle risorse o per
altri motivi di interesse generale, il loro rilascio deve avvenire attraverso una procedura di selezione atta ad
assicurare imparzialità. Essa realizza una forma di concorrenza per il mercato, quando la competenza sul
mercato non si può realizzare.

4.10 gli atti dichiarativi


Esistono altri atti amministrativi, come gli atti dichiarativi, nei quali manca la manifestazione della volontà
delle A tipica dei provvedimenti, e che hanno invece una funzione meramente ricognitiva e dichiarativa
finalizzata alla produzione di certezze giuridiche. Nella categoria degli atti dichiarativi rientrano le
certificazioni, che sono dichiarazioni di scienza effettuate da una PA in relazione ad atti, fatti, qualità e stati
soggettivi. L’amministrazione pubblica organizza elabora, verifica e detiene dati e informazioni in registri.
Le certificazioni relative a questi dati sono espressione di una funzione che i pubblici poteri hanno assunto
da sempre come propria perché indispensabile al funzionamento dell’ordinamento sociale: la certezza
pubblica, che si realizza con la tenuta e l’aggiornamento dei registri e la messa a disposizione ai soggetti
interessati dei dati in essi contenuti per mezzo di attestazioni e certificazioni. Un’altra specie di atti
dichiarativi è costituita dalle verbalizzazioni, che sono la narrazione storico-giuridica da parte di un ufficio
pubblico di atti e fatti avvenuti in sua presenza. Tra gli atti provvedimentali rientrano anche pareri e
valutazioni tecniche.

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4.11 atti collegiali, collettivi, plurimi e di alta amministrazione
I provvedimenti possono essere classificati sulla base di altri criteri:
1. La provenienza soggettiva del provvedimento. Accanto ai casi in cui il provvedimento è emanato
da un singolo organo, si pongono casi in cui il provvedimento è riconducibile alla volontà di più
organi o soggetti e quindi è un atto complesso (Es. decreto interministeriale);
2. I destinatari del provvedimento. Consente di individuare la categoria degli atti amministrativi
generali. Questi atti si rivolgono anziché a singoli destinatari a classi omogenee più o meno ampie di
soggetti. Dagli atti generali si distinguono gli atti collettivi e gli atti plurimi: i primi si indirizzano a
categorie ristrette di soggetti considerati in modo unitario, i quali però, diversamente dagli atti
generali, sono individuati singolarmente; i secondi sono rivolti a una pluralità di soggetti, ma i loro
effetti, a differenza di quanto vale per gli atti collettivi, sono scindibili in relazione ad ogni
destinatario.
3. La natura della funzione esercitata e l’ampiezza della discrezionalità.

4.12 l’invalidità dell’atto amministrativo


Invalidità è una categoria generale che indica tutte le ipotesi in cui il provvedimento diverge dal paradigma
legale, trova disciplina compiuta nella L241/1990, nel IV capo si discute l’efficacia: idoneità del
provvedimento a produrre i suoi effetti. Un provvedimento è efficace quando produce degli effetti giuridici.
Un provvedimento può essere
 Efficace -> produrre effetti giuridici
 Valido -> corrispondenza al modello legale
Un provvedimento può essere valido ma non può produrre effetti, ma anche il contrario.
Ipotesi in cui un provvedimento è invalido ma efficace -> quando sono trascorsi i termini per fare ricorso,
questo riguarda solo una particolare ipotesi ossia quando è illegittimo e non nullo.
La teoria generale opera una distinzione tra norme che regolano una condotta e norme che conferiscono
poteri: le prime impongono obblighi comportamentali o attribuiscono diritti, le seconde conferiscono poteri.
I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificati come illeciti e contro di essi
l’ordinamento reagisce (sanzioni penali), gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo
sono invalidi.
L’azione amministrativa, così come la sua organizzazione, sono condizionate dalla legge e dal principio di
legalità, uno degli aspetti in cui è più incidente la presenza della legge è quello del provvedimento
amministrativo, che essendo tipico risponde al modello del legislatore. Questa è l’ambizione del sistema
giuridico, è ciò che dovrebbe essere, nella realtà in alcune ipotesi i provvedimenti non sono conformi al
modello della norma; nei casi di imperfezioni minori l’atto è semplicemente irregolare ed è suscettibile di
rettifica; si ha invalidità quando la difformità tra atto e norme determina una lesione di interessi tutelati e
incide sull’efficacia del primo in modo più o meno radicale. In questi casi il provvedimento amministrativo
è invalido. Ci sono varie forme di invalidità, due categorie principali che definiscono le ipotesi in cui il
provvedimento è difforme rispetto alle norme che lo disciplinano:
- Annullabilità del provvedimento (gli effetti sono prodotti in via precaria, fin tanto che non
intervenga un giudice che accertata l’invalidità rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti);
- Nullità del provvedimento (l’atto è inidoneo a produrre effetti giuridici tipici);
Sono categorie che derivano dal diritto civile (non coincidono), sono state ricalcate sul modello
dell’invalidità contrattuale. È possibile che il provvedimento amministrativo presenti un errore materiale
(Es. sul nome del destinatario), se è di scrittura non da luogo a invalidità ma a semplice irregolarità del
provvedimento, che può essere santa direttamente dall’amministrazione attraverso la correzione dell’errore
(l’irregolarità è un’imperfezione minore che non determina lesione di interessi tutelati dalla norma; il
provvedimento non è invalido ma suscettibile di regolarizzazione attraverso la rettifica del provvedimento).
Non modifica il regime giuridico del provvedimento, come invece fanno le due categorie principali. La
validità del provvedimento non coincide con la sua efficacia: un provvedimento valido può non essere
efficace perché probabilmente per il provvedimento è necessario un ulteriore adempimento come una
verifica perché il provvedimento sia efficace, non è vero allo stesso tempo che un provvedimento invalido
non sia produttivo di effetti.

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L’invalidità può essere totale o parziale: la prima investe l’intero atto, la seconda una sola parte, lasciando
inalterata la validità e l’efficacia della parte non viziata. L’invalidità di una parte dell’atto si estende alle
altre parti solo se essere sono strettamente dipendenti dalla parte viziata. L’invalidità di un provvedimento
può essere:
- Propria o derivata: propria, assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto. Nel caso di
invalidità derivata, l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto
presupposto (Es. l’invalidità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di
aggiudicazione). L’invalidità derivata può essere a effetto caducante, quando travolge
automaticamente l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; si verifica quando c’è un rapporto di
stratta causalità tra i due atti: il secondo è esecuzione del primo. A effetto invalidante, quando l’atto
affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fino
all’annullamento.
- Originaria o sopravvenuta: vale il principio del tempus regit actum, la validità di un
provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Si ha
invalidità sopravvenuta dei provvedimenti nei casi di legge retroattiva, di interpretazione autentica o
illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi la retroattività della nuova legge rende viziato il
provvedimento emanato in base alla legge abrogata; nella terza ipotesi, poiché le sentenze della CC
sono retroattive, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate
illegittime e dei rapporti giuridici sorti prima.
La giurisprudenza ha interpretato la formula dell’eccesso di potere, intendendo non uno straripamento dello
stesso, ma come un suo sviamento: un’autorità amministrativa sconfina dall’ambito di competenza. Ma si
sono individuate anche ipotesi di carenza di potere, nelle quali il provvedimento devia dalla norma
attributiva o è emanato in assenza di questa.
L’annullabilità è disciplinata dall’art21-octies L241/1990, la nullità dall’art21-septies.

4.13 l’annullabilità (art21-octies L241/1990)


L’annullamento elimina l’atto e i suoi effetti in modo retroattivo e l’A ha l’obbligo di attuare tutte le attività
necessarie per ripristinare, per quanto possibile, la situazione di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato il
destinatario dell’atto se questo non fosse stato emanato (effetto ripristinatorio). Cambia, in base alla natura
del vizio, l’effetto conformativo dell’annullamento, cioè il vincolo che sorge in capo all’A nel momento in
cui questa emana un nuovo provvedimento sostitutivo di quello annullato; la distinzione è tra vizi formali e
vizi sostanziali:
- Formali: error in procedendo, il vizio ha natura formale o procedurale (Es. mancata acquisizione di
un parere obbligatorio). L’A, una volta acquisito il parere, può emanare un nuovo atto dal contenuto
identico rispetto a quello annullato.
- Sostanziali: error in judicando, l’A non può reiterare l’atto annullato (Es. mancanza di un
presupposto).
La retroattività, principio consolidato fino a poco tempo fa, è oggi oggetto di ripensamento (Es.
controversia su un piano faunistico, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso di associazione ambientalistica
ma l’atto viziato continua a produrre effetti fino a quando l’A non lo modifichi o ne introduca uno nuovo,
per non rendere produttivo di effetti un piano precedente ancor meno protettivo). Sul versante processuale,
contro il provvedimento affetto da violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere, può essere
proposta l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo entro 60gg. L’annullabilità non può
essere pronunciata d’ufficio ma solo in seguito ad un ricorso. Il provvedimento è illegittimo o annullabile in
3 ipotesi:
1. Incompetenza: è un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un soggetto diverso da
quello indicato dalla norma attributiva del potere, è quindi un vizio che attiene all’elemento
soggettivo dell’atto. È una sottospecie della violazione di legge poiché la distribuzione delle
competenze tra i soggetti e gli organi è operata da leggi. Il rispetto di queste norme p funzionale allo
svolgimento ordinato delle attività amministrative ed è garanzia per i destinatari dei provvedimenti,
specie se questi sono restrittivi. Si distingue tra incompetenza relativa, che si ha quando l’atto è
emanato da un organo che appartiene alla stessa branca o settore dell’organo titolare, e
incompetenza assoluta, che determina anche carenza di potere o nullità e che si ha quando c’è
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assoluta estraneità sotto il profilo soggettivo e funzionale tra organo che emana l’atto e organo
competente (Es. Comune, il Consiglio emana il provvedimento, che però avrebbe dovuto essere
emanato dal Sindaco). Il vizio di incompetenza può essere per materia (titolarità della funzione),
per grado (articolazione interna degli organi in apparati gerarchici), per territorio (ambito
d’azione).
In questo caso si può rimediare tramite un provvedimento di secondo grado di ratifica. È relativa
all’organo, non all’amministrazione nel complesso.
2. Eccesso di potere: è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali, riguarda l’aspetto
funzionale del potere cioè il perseguimento in concreto dell’interesse pubblico affidato alla cura
dell’amministrazione. È definito come vizio della funzione, intesa come dimensione dinamica del
potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento
produttivo di effetti. All’interno delle fasi del procedimento possono emergere anomalie,
incongruenze e disfunzioni che originano l’eccesso di potere. La giurisprudenza ha individuato delle
figure sintomatiche, ipotesi in cui il giudice desume il vizio di eccesso di potere, si discute di come
il potere è stato esercitato, fuoriuscendo dai paletti posti dal legislatore:
①errore o travisamento dei fatti: se il provvedimento è emanato sul presupposto dell’esistenza di
un fatto o di una circostanza in verità inesistente, emerge la figura dell’eccesso di potere per errore di
fatto (Es. imposizione di una bonifica ambientale su un terreno non inquinato). Non rileva se l’errore
p inconsapevole o volontario.
②difetto di istruttoria: nella fase istruttoria del procedimento l’A p tenuta ad accertare i fatti,
acquisendo tutto ciò che è utile per una scelta ponderata. Quando questa attività manchi o è fatta in
modo frettoloso, li provvedimento è viziato (Es. non si può porre un vincolo artistico in un’area in
cui sono state condotte ricerche insufficienti che non provano l’esistenza di beni da tutelare).
Annullato l’atto e svolta una nuova istruttoria correttamente, l’A potrebbe adottare un nuovo atto con
lo stesso contenuto.
③difetto di motivazione: nella motivazione del provvedimento si deve dar conto delle ragioni alla
base della scelta operata; quindi, la motivazione deve consentire una verifica del corretto esercizio
del potere, dell’iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel provvedimento. Il
difetto ha molte sfaccettature, la motivazione può essere insufficiente, incompleta, generica. Non è
solo un fatto di quantità, ma di qualità: la L241/1990 contiene alcune disposizioni che specificano il
contenuto minimo della motivazione. Non c’è un criterio univoco per stabilire se una motivazione sia
sufficiente però più ampi sono la discrezionalità e l’impatto giuridico sul destinatario, più si sarà
esigenti sulla motivazione. Annullato l’atto viziato l’A potrebbe adottare un nuovo atto con lo stesso
contenuto. Nel caso in cui la motivazione manchi del tutto si potrebbe avere una violazione di legge
perché l’obbligo di motivazione è previsto dalla L241/1190.
④illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà: la PA deve agire come un soggetto razionale;
quindi, c’è vizio di eccesso di potere tutte le volte in cui il contenuto del provvedimento e le sue
statuizioni siano illogici e irragionevoli (Es. un bando per l’assunzione pubblica non può richiedere
ai partecipanti il possesso di titoli inutili per la mansione che verrà svolta). È violazione del
principio generale di coerenza della PA.
⑤disparità di trattamento: i principi di coerenza e uguaglianza impongono all’A di trattare in
modo uguale casi uguali e in modo diverso casi diversi. Per stabilire se le situazioni siano uguali o
meno si fa riferimento al criterio della ragionevolezza. Perché possa esserci disparità il
provvedimento deve essere discrezionale.
⑥violazione delle circolari e norme interne: l’attività della PA deve essere conforme non solo a
normative esterne (leggi), ma anche a normative interne (circolari e direttive), che hanno come
scopo l’orientamento dell’esercizio della discrezionalità da parte dell’organo competente ad emanare
il provvedimento.
⑦ingiustizia grave e manifesta
Per alcuni le figure sintomatiche hanno valenza processuale, sono delle presunzioni quindi; per altri
hanno autonomia rispetto alla categoria dello sviamento di potere e hanno valenza sostanziale, quindi
riconducibili alla violazione dei principi generali dell’azione amministrativa; per altri ancora sono

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clausole generali (imparzialità, buona fede) che fanno sorgere obblighi nel rapporto giuridico PA-
cittadino.
3. Violazione di legge: è una categoria generale residuale, in essa confluiscono i vizi non qualificati
come incompetenza o eccesso di potere. Raggruppa quindi tutte le ipotesi di contrasto tra il
provvedimento emanato e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o
secondario che definiscono il potere. L’art21-octies si inserisce nella tendenza del nostro
ordinamento a valorizzare il principio di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa a scapito
del rispetto della forma: il regime degli atti amministrativi si avvicina a quello degli atti processuali,
per i quali vale il principio che la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a
cui tendeva.
L241/1990: Capo IV Bis, parte che è stata introdotta in un momento successivo rispetto al testo originale, in
particolare nel 2005 come tentativo di codificare legalmente una questione relativa a nullità e illegittimità. In
queste norme si trova il risultato dell’azione interpretativa che il giudice amministrativo ha svolto negli anni
sul tema.
Art21-octies: prima del 2005 tutte le volte che un provvedimento amministrativo era adottato in violazione
di ogni disposizione amministrativa, veniva annullato dal giudice, secondo il principio di formalità del
diritto (che doveva essere solo rispetto delle norme giuridiche). Così facendo le PA si trovavano a dover
riadottare provvedimenti, all’esito di ricorsi persi, che avevano lo stesso contenuto di quelli che erano stati
annullati (se la PA avesse violato una norma, il provvedimento sarebbe stato illegittimo quindi annullato ma
magari il contenuto era corretto, frutto di adeguata istruttoria e ponderazione degli interessi). Di fronte a
questa questione problematica in termini di tempistiche e spese, si decide di ridimensionare il valore della
violazione formale (errores in procedendo): se la violazione della norma incide o meno sul contenuto del
provvedimento, perché se non fosse così sarebbe più utile ignorare la cosa, lasciando il provvedimento
produttivo di effetti e per concentrare l’attenzione su altri punti. Bisogna accertare la “natura vincolata” e se
il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato.
L’interpretazione andava definita, come le sue ipotesi:
- Violazione di norme procedimentali;
- Il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe cambiato in assenza della violazione; quindi,
quando si tratta di un provvedimento vincolato. Viene meno la possibilità sia del giudice che della
stessa A di annullare il provvedimento.
- Violazione procedimentale dell’art7, la comunicazione dell’avvio del procedimento
amministrativo. In precedenza, ci si è riferiti a tutte le violazioni procedimentali, in questo caso ci si
riferisce ad una sola. In questo caso poi è l’amministrazione che deve dare prova in giudizio del fatto
che il contenuto del provvedimento nona avrebbe potuto essere diverso. C’è un sovraccarico
dell’onere probatorio sulle spalle dell’amministrazione, che deve dimostrare tutto “in giudizio”. Il
giudice è giunto al compromesso per l’emergere di diverse esigenze, come la celerità, il
soddisfacimento, il raggiungimento di un risultato. Non si fa più cenno al carattere vincolato
dell’attività, quindi si deve pensare che ci si riferisca anche ad attività discrezionale. Se il soggetto
partecipa può produrre elementi utili per il giudizio.
Emerge un diverso rapporto tra giudici e amministrazione: il ruolo del giudice è rafforzato perché prima il
giudice non doveva fare valutazioni, ora il giudice ha poteri ampliati può incidere in maniera più netta sulle
scelte della PA.
Prima del 2005 il giudice non doveva fare valutazioni ulteriori, venendo meno l’automatismo ha più peso il
giudizio del giudice. Al giudice viene chiesto di fare delle valutazioni che prima non doveva fare, si rafforza
il suo potere di incidere sullo svolgimento delle attività dell’amministrazione.

4.17 la nullità (art21-septies L241/1990)


L’invalidità contiene due sottocategorie, annullabilità e nullità. Un provvedimento è nullo:
- Mancanza degli elementi essenziali (data, oggetto, soggetto emanante, firma, dispositivo,
MOTIVAZIONE), quando manca uno degli elementi essenziali il provvedimento è nullo.
- Difetto assoluto di attribuzione, quel provvedimento è emanato da un organo che appartiene ad
un’amministrazione che non ha competenze su quella materia specifica (Es. il rettore che emana
un’ordinanza urgente, che è provvedimento del sindaco).
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- Violazione o elusione del giudicato, il giudizio si articola su più livelli e gradi. La sentenza di primo
grado non decide definitivamente sulla questione, perché quella sentenza può essere impugnata di
fronte al Consiglio di Stato. La decisione del Consiglio di Stato passa in giudicato e diventa
decisione definitiva non modificabile. Un provvedimento amministrativo adottato in contrasto con
ciò che dispone la sentenza o aggirando il precetto della sentenza del Giudice di Stato è nullo. Se le
A potessero adottare provvedimenti in contrasto con ciò che è stato disposto dal giudice di stato, non
sarebbe necessario il giudice amministrativo.
- Residuale, ci sono altre ipotesi che sono previsti dalla legge.
Un provvedimento nullo è come se non fosse mai esistito, non può produrre effetti; sul versante processuale
l’azione declaratoria di nullità può essere proposta dinanzi al giudice amministrativo entro un termine di
decadenza breve (180gg), in relazione all’esigenza di certezza e stabilità del diritto. A differenza di quanto
vale per l’annullabilità, la nullità piò essere rilevata d’ufficio dal giudice o opposta da una parte resistente.
Differenza provvedimento nullo e annullabile: la differenza sta nel fatto che il provvedimento nullo non
produce effetti, è come se non esistesse giuridicamente. Il provvedimento annullabile invece produce effetti
finché non viene annullato, entro il termine di 60gg, dopodiché diventa inoppugnabile di fronte al giudice
amministrativo.

4.18 l’annullamento d’ufficio, la convalida, la ratifica, la sanatoria, la conferma, la conversione, la


revoca e il recesso
Esistono dei provvedimenti che l’A può emanare per porre rimedio all’invalidità, quindi alla non conformità
all’interesse pubblico di un provvedimento. I provvedimenti in questione sono assunti nell’ambito dei
procedimenti di secondo grado, proprio perché hanno per oggetto atti già emanati che l’A riesamina. Ci sono
due grandi categorie:
1- Di rimozione: che comportano rimozione, eliminazione del precedente provvedimento.
・ L’annullamento d’ufficio, è possibile che la stessa PA che ha adottato il provvedimento decida di
annullarlo d’ufficio quindi senza richiesta del destinatario interessato. Perché dovrebbe farlo? Perché
il provvedimento è illegittimo e per evitare il ricorso lo si annulla.
Il potere di annullamento può essere esercitato dallo stesso organo che ha emanato l’atto o da altro
organo al quale sia attribuito per legge, o a livello statale (Es. Consiglio dei ministri che ha il potere
nei confronti di tutti gli atti degli apparati statali e locali, il cd. annullamento straordinario del
governo a tutela dell’unità dell’ordinamento, contro il rischio che gli enti locali assumano
determinazioni sbagliate).
Può quindi essere che il provvedimento sia annullato o dal giudice amministrativo all’esito di
un’istanza da parte del destinatario (ricorso) o dalla stessa PA, che rimuove tutti gli effetti del
provvedimento ex-tunc (da allora). Tutti gli effetti prodotti dal provvedimento fino a quel momento
sono rimossi (Es. se viene annullato un provvedimento di concessione di costruzione, va ripristinata
la situazione precedente). Ci sono 4 presupposti:
1. Il provvedimento deve essere illegittimo;
2. Devono esserci ragioni di interesse pubblico;
3. Devono essere ponderati tutti gli interessi in gioco, da esplicitare nella motivazione. Devono
essere valutati l’interesse pubblico all’annullamento ma anche l’interesse del destinatario e quello
degli eventuali controinteressati;
4. La valutazione deve tener conto del fattore temporale: l’annullamento deve essere disposto
entro un termine ragionevole, se è trascorso molto tempo può essere che sia meglio mantenere lo
stato attuale delle cose.
Nei casi di provvedimenti che comportano esborsi di denaro da parte dell’A, l’interesse pubblico
all’annullamento sussiste in re ipsa, nel senso che non richiede motivazioni particolari, data la
preminenza dell’interesse erariale.
・ La revoca, incide su un provvedimento legittimo, valido, un provvedimento che ad un certo punto
la PA non considera più funzionale, non è più necessario (Es. la PA bandisce una gara per la
costruzione di un edificio, però la gara diventa eccessivamente onerosa o l’edificio non è più
necessario, quindi la PA revoca il provvedimento della gara). Gli effetti si producono ex-nunc,
quindi dal momento in cui la revoca viene adottata. La revoca è manifestazione del potere di
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autotutela della PA. La revoca ha due ipotesi tipizzate: la revoca per “sopravvenuti motivi di
interesse pubblico” quando la PA fa una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di
esigenze e fattori sopravvenuti non presenti quando l’atto è stato emanato; “mutamento della
situazione di fatto” non prevedibile in origine. La revoca ha tipicamente per oggetto provvedimenti
a efficacia durevole (Es. concessioni di servizi pubblici), e generalmente non sono suscettibili di
revoca i provvedimenti che hanno già esaurito i loro effetti. L’art21-quinques prevede anche un
obbligo di indennizzo nei casi in cui la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente
interessati. La revoca può essere sanzionatoria, disposta dall’A nel caso in cui il provato destinatario
di un provvedimento favorevole no rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti (Es. abuso del
porto d’armi); o mero ritiro, ha per oggetto atti amministrativi non ancora efficaci.
Entrambi i provvedimenti sono caratterizzati da elevata discrezionalità e quindi assume un ruolo
centrale una parte specifica del provvedimento amministrativo, la motivazione. Tanto più è elevata
la discrezionalità del provvedimento, tanto più forte e circostanziata deve essere la motivazione
perché se annullamento d’ufficio e revoca non sono sufficientemente motivati possono essere
dichiarati dal giudice illegittimi a loro volta.
2- Di sanatoria, sono sanatori (convalida e ratifica), hanno come effetto la conservazione del
provvedimento illegittimo tramite la comparsa del presupposto di cui il primo provvedimento era
carente.
・ Convalida: la PA può rimediare al vizio sanando il provvedimento, quindi eliminando il vizio. È
espressione del principio generale della conservazione dei valori giuridici. La convalida p disposta
dalla stessa A cui è imputabile il vizio rilevato e opera retroattivamente.
・ Ratifica: l’organo ordinariamente competente fa suo il provvedimento emanato dall’organo
incompetente, così facendo sana il vizio di incompetenza (Es. ratifica dl). All’interno di una PA un
organo può esercitare in caso di urgenza una competenza attribuita in via ordinaria ad un altro
organo, che poi fa proprio l’atto.
Esistono anche conferma e conversione.

C5- IL PROCEDIMENTO
5.1 Nozione e funzioni del procedimento
Il procedimento amministrativo è dato da quella sequenza di atti e operazioni posti in essere in vista
dell’emanazione di un provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica di un soggetto privato. Il
procedimento è una nozione di teoria generale collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico,
che si produce a volte al verificarsi di un singolo accadimento (fatto giuridico semplice), altre volte al
verificarsi di una pluralità di accadimenti (fatti complessi).
Nel diritto privato il procedimento ha avuto uno sviluppo limitato, ma p nel diritto pubblico che il
procedimento diventa la modalità ordinaria di esercizio dei poteri dello stato in relazione alle esigenze di
trasparenza e garanzia dei soggetti interessati. Con la l241/1990 il procedimento diventa istituto cardine del
sistema. Il procedimento entra nel diritto amministrativo negli anni ’30: viene elaborata la nozione di atto
complesso, cioè del provvedimento che è frutto della confluenza di manifestazioni di volontà provenienti da
più soggetti, tutte necessarie ai fini della produzione dell’effetto giuridico. Il procedimento assolve alcune
funzioni:
1. Consente un controllo sull’esercizio del potere attraverso una verifica del rispetto della sequenza di
atti e operazioni predefinita dalla norma. Si tratta di legalità procedurale.
2. Fa emergere gli interessi incisi dal provvedimento, questo nell’interesse sia dell’A, che può colmare
così le asimmetrie informative che ci sono nei rapporti con i privati, che a loro volta rappresentano il
loro punto di vista. Partecipazione collaborativa: la partecipazione del privato è utile si all’A in
relazione alle esigenze di completezza dell’istruttoria, sia al privato che così ha la possibilità di
sottoporre all’A gli elementi necessari per indurla ad emanare un provvedimento favorevole. L’A
deve appurare tutti gli interessi coinvolti siano rappresentati e deve vagliare in maniera critica ogni
apporto privato.
3. Garantisce il contraddittorio, questo emerge soprattutto nei procedimenti individuali restrittivi;
quindi, il rapporto si configura sulla contrapposizione più che sulla collaborazione. Il contraddittorio
può essere verticale, in cui il rapporto è tra PA e cittadino, quindi la prima deve essere imparziale

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anche se allo stesso tempo deve curare l’interesse pubblico e garantire la posizione del privato
portatore di un interesse contrapposto; orizzontale, in cui si hanno due o più privati portatori di
interessi contrapposti, l’organo decidente è chiamato a garantire la parità.
4. Funge da fattore di legittimazione del potere dell’A e promuove quindi la democraticità
dell’ordinamento amministrativo. La legalità sostanziale, impossibile perché il legislatore non può
prefigurare in modo preciso tutte le situazioni che richiedono l’esercizio del potere, lascia posto alla
legalità procedurale. Il procedimento quindi diventa la sede in cui si individua la regola per il caso
concreto.
5. Promuove il coordinamento tra più A nei casi in cui un provvedimento incida su una pluralità di
interessi pubblici curati da ognuna di esse (pluralismo).

5.2 Le leggi generali sul procedimento e la l241/1990


il procedimento amministrativo in molti ordinamenti ha trovato una disciplina organica in leggi generali, che
hanno ispirato la l241/1990. In Italia fu elaborato tra il 1944 e il 1947 un progetto di legge, che fu riproposto
e rielaborato attraverso le legislature. All’inizio degli anni ’80 fu intrapreso di nuovo il percorso che portò
all’emanazione della legge 7 agosto 1990 n.241, una legge di principi senza la pretesa di porre una disciplina
esaustiva di tutti gli istituti. Essa non contiene né una definizione di procedimento né una disciplina organica
delle singole fasi in cui si articola, ma fornisce una cornice generale che integra tutte le leggi amministrative
che disciplinano i singoli procedimenti. Il campo di applicazione della legge è individuato su un criterio
soggettivo e uno oggettivo: si applica alle A statali, agli enti pubblici nazionali e anche alle società con
capitale totale o prevalente pubblico, limitatamente all’esercizio di funzioni amministrative; la legge poi si
applica ai procedimenti di tipo individuale. Le disposizioni sull’obbligo di motivazione, sulla partecipazione
e sull’accesso non si applicano agli atti normativi e a quelli amministrativi generali. Si delinea un nuovo
modello di rapporto PA-cittadino: la legge colma la distanza tra PA e privati, i quali prima avevano come
unico punto di contatto il provvedimento unilaterale, quindi per un verso i privati entrano nel procedimento
con la partecipazione, per altro verso la legge favorisce il ricorso a strumenti consensuali in luogo
dell’esercizio unilaterale del potere (accordi). Viene anche attenuata la concezione individualistica dei
rapporti stato-cittadino, poiché al procedimento possono partecipare non solo i singoli individui, ma anche i
portatori di interessi diffusi. La legge supera il principio del segreto d’ufficio sulle attività interne dell’A
enunciando i principi di trasparenza e pubblicità e ponendo il diritto all’accesso ai documenti amministrativi;
tutela la riservatezza dei terzi ma non riconosce riservatezza all’A. Si fa cadere l’anonimato del rapporto
giuridico nominando un responsabile del procedimento. La legge cerca di contrastare la tradizionale
separatezza tra le stesse PA privilegiando strumenti di collaborazione per lo svolgimento di attività di
interesse comune.
In definitiva la l241/1990 supera il modello autoritario dei rapporti stato-cittadino a favore di un modello che
accentua i nuovi diritti di cittadinanza amministrativa.

5.3 le fasi del procedimento


Il procedimento si articola in 3 fasi:
1. Iniziativa
2. Istruttoria
3. Conclusiva

5.4 a) L’iniziativa
La prima fase è quella dell’iniziativa, cioè l’avvio del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento
finale produttivo di effetti nella sfera giuridica del destinatario. Bisogna distinguere tra obbligo di procedere
e obbligo di provvedere: in base al primo l’A competente è tenuta ad aprire il procedimento e a realizzare le
attività previste dalla sequenza procedimentale, il secondo pone in capo all’A il dovere di portarlo a
conclusione attraverso l’emanazione del provvedimento. Nei procedimenti su istanza di parte, l’atto di
iniziativa consiste in una domanda o istanza presentata all’A da un soggetto privato interessato al rilascio di
un provvedimento favorevole; tuttavia, non ogni istanza del privato fa sorgere l’obbligo di procedere, che
sorge solo in relazione a sequenze procedimentali tipiche. In alcuni casi il procedimento è aperto su impulso
di PA che formulano proposte all’A competente. Nei procedimenti d’ufficio, l’apertura del procedimento

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avviene su iniziativa della stessa A competente a emanare il provvedimento finale; essi riguardano per lo più
i poteri il cui esercizio determina un effetto restrittivo nella sfera del destinatario (esproprio). In alcuni casi
l’apertura del procedimento avviene all’esito di una serie di attività preistruttorie, condotte sempre d’ufficio,
dalle quali possono emergere fatti che rendono necessario l’esercizio di un potere (ispezioni). Lo
svolgimento di queste attività e l’avvio dei procedimenti d’ufficio possono avvenire anche in seguito a
denunce o istanze di privati, che non fanno sorgere in modo automatico il dovere dell’A di aprire il
procedimento, rientra infatti nella discrezionalità dell’A valutarne la serietà e fondatezza. L’A deve dare
comunicazione dell’avvio del procedimento al soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedimento; la
comunicazione viene inviata anche ad altri eventuali soggetti che per legge devono intervenire e in generale
a soggetti che possono subire pregiudizio dal provvedimento. La comunicazione deve indicare l’A
competente, l’oggetto del procedimento, il nome del responsabile, i termini del procedimento e l’ufficio in
cui visionare gli atti. L’omessa comunicazione rende annullabile il provvedimento finale.

5.5 b) l’istruttoria
L’istruttoria del procedimento ha lo scopo di accertare i fatti e di acquisire gli interessi rilevanti ai fini della
determinazione finale. Gli interessi da acquisire entra in gioco solo nei procedimenti relativi all’esercizio di
poteri discrezionali nei quali, l’interesse pubblico primario, deve essere valutato e ponderato insieme agli
interessi secondari, pubblici e privati. L’istruttoria è retta dal principio inquisitorio; nel procedimento
amministrativo l’A può compiere tutti gli accertamenti necessari con le modalità più idonee (accertamenti
tecnici, ispezioni). Il responsabile del procedimento deve anche verificare la documentazione prodotta dalle
parti. Nella scelta dei mezzi istruttori l’A deve attenersi ai principi di economicità ed efficienza.
Alcuni atti istruttori sono talvolta richiesti dalla legge: i pareri obbligatori e le valutazioni tecniche. I
pareri, espressione della funzione consultiva, possono essere obbligatori, quindi previsti dalla legge in
relazione a specifici procedimenti e l’omessa acquisizione rende illegittimo il provvedimento finale; o
facoltativi, sono richiesti quando l’amministrazione procedente ritenga possano essere utili alla decisione.
Oltre che obbligatori i pareri possono essere anche vincolanti quando l’A che li riceve non può
discostarsene. Le valutazioni tecniche invece sono richieste ad organismi con particolari competenze non
giuridiche e sono soggette ad un regime simile a quello dei pareri. L’art17-bis L241/1990, allo scopo di
accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti, introduce il meccanismo del silenzio-assenso tra le A; in
caso di mancato accordo tra le A statali la questione viene rimessa al Consiglio dei ministri. La tendenza più
recente in tema di adempimenti istruttori è di sgravare il più possibile i soggetti privati da oneri di
documentazione, imponendo all’A di acquisire d’ufficio i documenti necessari per l’istruttoria, ai privati può
essere richiesta solo l’autocertificazione.
L’istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto di intervenire e partecipare al
procedimento; la partecipazione si sostanzia in due diritti:
- Prendere visione degli atti del procedimento;
- Possibilità di presentare memorie scritte e documenti che illustrano il punto di vista dell’interessato.
L’A ha l’obbligo di valutare questi apporti del privato facendone menzione nella motivazione del
provvedimento.
Sotto il profilo organizzativo l0istruttoria è affidata al responsabile del procedimento, che consente al
cittadino di avere un interlocutore certo con cui confrontarsi. Nei procedimenti a istanzia di parte il
responsabile è tenuto ad attivare una fase istruttoria supplementare nei casi in cui, sulla base di elementi già
acquisiti sia orientato a proporre o adottare un provvedimento di diniego dell’istanza. Al soggetto che ha
proposto l’istanza devono essere comunicati i motivi ostativi ed entro 10gg questo può presentare ulteriori
osservazioni nel tentativo di superare le obiezioni dell’A. il preavviso di rigetto si inserisce nella generale
tendenza del legislatore a favorire l’avvio di attività da parte dei privati.

5.6 c) la conclusione: il termine, il silenzio, gli accordi


Conclusa l’istruttoria l’organo competente a emanare il provvedimento assume la decisione sulla base del
materiale assunto durante il procedimento. L’art21 pone in capo all’A l’obbligo di concludere il
procedimento tramite l’adozione di un provvedimento espresso, che può essere emanato dal titolare di un
organo individuale (sindaco) o da un organo collegiale (giunta comunale). Accanto agli atti semplici ci sono
anche gli atti complessi, come il decreto interministeriale, nel quale converse la volontà paritaria di una
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pluralità di amministrazioni. La determinazione finale è assunta sulla base delle regole vigenti al momento
in cui essa è adottata: principio del tempus regit actum. Sono importanti:
●il termine del procedimento: il provvedimento deve essere emanato entro il termine stabilito per lo
specifico procedimento. L’art2 pone una disciplina dei termini di conclusione dei procedimenti che è
generale e completa: generale perché si applica dove mancano disposizioni speciali, e completa perché
‘applicazione vale per tutte le fattispecie di provvedimenti. L’art2 rimette ad ogni PA, nei casi in cui i
termini dei procedimenti non siano già stati da essa stabiliti, l’obbligo di individuarli tenendo presente che la
durata massima non deve superare i 90gg in ragione della sostenibilità dl procedimento (tempo,
organizzazione). Se le A non pongono una propria disciplina si pone il termine generale di 30gg, la brevità
funge da stimolo per le A ad individuare termini di durata più dilatati. Sempre l’art2 dà corpo al principio
della certezza del tempo dell’agire amministrativo. Accanto ai termini relativi alla conclusione del
procedimento (termini finali), le leggi e i regolamenti che disciplinano i singoli procedimenti possono
individuare termini endoprocedimentali (i termini per l’acquisizione di pareri e valutazioni tecniche sono
fissati in via generale a 20gg e 90gg). I termini finali ed endoprocedimentali hanno natura ordinatoria, la
loro scadenza non fa venir meno il potere di provvedere, né rende illegittimo il provvedimento finale
emanato in ritardo. Solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come perentorio a
pena di decadenza il provvedimento tardivo è considerato viziato.
●i rimedi in caso di mancato rispetto del termine: per incentivare il rispetto dei termini previsti, per una
serie di provvedimenti e atti procedimentali è previsto che se essi sono adottati dopo la scadenza, sono
inefficaci. Oltre all’inefficacia, il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può
provocare responsabilità disciplinare nei confronti del funzionario o responsabilità dirigenziale verso il
vertice della struttura. Il mancato rispetto del termine può anche motivare l’esercizio del potere sostitutivo
da parte del dirigente sovraordinato. L’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento può anche far sorgere l’obbligo di risarcire il danno cagionato al privato.
●il silenzio della PA: la conclusione del procedimento con l’emanazione di un provvedimento espresso è la
fisiologica conclusione del procedimento, ma può succedere che l’A non concluda il procedimento in tempo
e la situazione di inerzia si protragga nel tempo facendo sorgere la questione del silenzio dell’A. Silenzio-
inadempimento (rifiuto): l’inerzia mantenuta oltre il termine assume il significato di inadempimento
dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, ma questo inadempimento non
fa venire meno il potere-dovere di provvedere dato che l’A può emanare il provvedimento anche in ritardo,
fermo restando l’eventuale responsabilità per il danno al privato. Per risolvere la questione si sono previsti
due regimi di silenzio significativo: il silenzio-diniego e il silenzio-assenso. Il decorso del termine di
conclusione produce un effetto giuridico ex lege, il procedimento si conclude con un provvedimento tacito.
Le fattispecie di silenzio con valore di diniego sono stabilite dalla legge, mentre le ipotesi di silenzio-
assenso sono più numerose, in linea con la tendenza a rimuovere gli ostacoli alle attività dei privati. Si tratta
di attività discrezionale, non vincolata. Il legislatore esclude che maccanismi di semplificazione come questi
possano essere applicabili a materie delicate e sensibili (autorizzazioni). Il regime di silenzio-assenso ha dei
difetti: esso può applicarsi a provvedimenti discrezionali e quindi la valutazione degli interessi pubblici di
fatto nei casi di inerzia della PA non viene operata, né essa può essere demandata al privato che presenta
l’istanza; dal punto di vista del privato il silenzio-assenso non soddisfa l’esigenza di certezza in relazione
allo svolgimento di attività sottoposte al controllo pubblico.
●l’accordo come modalità consensuale alternativa al provvedimento: il provvedimento unilaterale è
l’esito normale del procedimento amministrativo; tuttavia, esiste una modalità alternativa di conclusione del
procedimento che la l241/1990 tende a favorire: l’accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento, è
infatti preferibile la composizione negoziata a quella imposta, anche perché si riducono i rischi di
contenziosi. In base alla legge l’accordo ha par oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è
finalizzato a ricercare un miglior contemperamento tra l’interesse pubblico perseguito dalla PA e l’interesse
del privato. I poteri vincolati non si prestano ad essere oggetto di accordi perché in essi manca il presupposto
per una negoziazione, manca il ventaglio di scelta. L’accordo può essere promosso dal privato, e fa salvi i
diritti dei terzi di contestarlo. L’A in ogni caso non è obbligata a concludere accordi con i privati e può
sempre ricorrere al provvedimento. Sotto il profilo formale gli accordi devono sempre essere stipulati con
atto scritto, a pena nullità, e devono essere motivati, cosa che li avvicina ai provvedimenti. Gli accordi
possono essere integrativi, quando servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale che

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viene emanato ina attuazione dell’accordo, quindi il provvedimento mantiene la sua configurazione di atto
unilaterale produttivo di effetti; sostitutivi quando gli effetti giuridici si producono direttamente con la
conclusione dell’accordo, senza necessità di un atto formale di recepimento. L’A per sopravvenuti motivi di
interesse pubblico può recedere l’accordo, da questo deriva l’obbligo di liquidare un indennizzo per i danni
del privato. La disciplina degli accordi ha il valore simbolico di proporre l’immagine di un’A aperta al
dialogo e ai contributi propositivi dei privati, di fatto gli accordi sono poco utilizzati.

5.7 procedimenti semplici, complessi, collegati. Il subprocedimento


I procedimenti possono avere struttura semplice o complessa a seconda dell’oggetto, del numero e della
natura degli interessi pubblici e privati incisi. Si spazia da procedimenti autorizzatori semplici in cui la
sequenza procedimentale consiste in una domanda, un’istruttoria limitata e una decisione da part di un’unica
autorità, fino a procedimenti complessi che richiedono accertamenti, partecipazione, pareri e il
coinvolgimento di molteplici A. I procedimenti a struttura complessa sono articolati al loro interno in
subprocedimenti sequenziali, che talvolta si concludono con atti che possono incidere immediatamente su
situazioni giuridiche soggettive; producono quindi effetti esterni diversi e indipendenti rispetto all’effetto
giuridico primario riferibile al provvedimento assunto a conclusione del procedimento. L’unitarietà del
procedimento si ha solo nel caso in cui nessuno degli atti endoprocedimentali è suscettibile di produrre
effetti esterni. Si parla di procedimenti collegati nelle ipotesi in cui una pluralità di procedimenti, da
avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali ad un risultato unitario (Es. esproprio per pubblica
utilità: pluralità di procedimenti connessi, la conclusione di quello prima determina l’avvio di quello dopo).
Anche per i procedimenti ci sono delle classificazioni, si possono distinguere procedimenti di primo grado
e di secondo grado. I primi sono finalizzati all’emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti
esterni e alla cura dell’interesse pubblico, mentre quelli di secondo grado hanno per oggetto i provvedimenti
già emanati e per scopo hanno la verifica della loro legittimità e compatibilità con l’interesse pubblico (Es.
autotutela della PA, annullamento d’ufficio, revoca o ricorsi). Possono essere inclusi tra i procedimenti di
secondo grado anche i controlli sugli atti amministrativi affidati a organi esterni all’A. Un’altra distinzione è
tra procedimenti finali e strumentali: i primi sono funzionali alla cura immediata di interessi pubblici nei
rapporti esterni con i privati, i secondi hanno una funzione prevalentemente organizzativa e riguardano la
gestione del personale e delle risorse finanziarie. Altra distinzione è tra procedimento in senso proprio e
procedura interna all’A: il primo si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano disciplina
nella legge, la seconda invece riguarda gli atti e adempimenti interni all’A che sono previsti da regole di tipo
organizzativo.

5.8 la conferenza di servizi e altre forme di coordinamento


La l241/1990 individua come strumento principale di coordinamento e accelerazione dei tempi delle
decisioni la conferenza di servizi, che consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle A
interessate, che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il proprio punto di vista, e nel caso di conferenza
decisoria, anche a deliberare. Con la conferenza viene meno la sequenzialità degli atti endoprocedimentali
attribuiti alla competenza di ciascuna PA. I rappresentanti delle A sono chiamati a confrontarsi e a operare
una valutazione dell’interesse pubblico in connessione con gli altri interessi pubblici curati dalle altre A
partecipanti. Ci sono 3 tipi di conferenze:
1. Istruttoria: sempre facoltativa, con la funzione di promuovere un esame contestuale dei vari
interessi pubblici coinvolti in un procedimento singolo o in più procedimenti amministrativi connessi
riguardo medesime attività. Nel caso di procedimento attribuito ad un’unica A, la conferenza di
servizi istruttoria serve a raccogliere in un unico contesto gli elementi istruttori utili che saranno la
base per la successiva decisione. La convocazione è operata dall’A che cura l’interesse pubblico
prevalente. Le posizioni emerse in sede di conferenza non possono poi essere disattese.
2. Decisoria: è un modulo procedimentali sostitutivo dei singoli atti delle A competenti, che devono
essere acquisiti per legge da parte dell’A procedente, che convoca la conferenza anche su richiesta di
un privato interessato. La conferenza si conclude con un verbale, nel quale sono riportate le posizioni
espresse da ogni A partecipante; è sulla base di questo che l’A procedente assumerà una
determinazione motivata di conclusione del procedimento. Di regola la conferenza si svolge in forma
semplificata, quindi in modalità asincrona (l’A procedente acquisisce entro termini stabiliti le

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determinazioni motivate delle altre A), la conferenza si conclude con determinazione motivata. Nel
caso di determinazioni complesse la conferenza p convocata in maniera simultanea. La conferenza
decisoria deve concludersi entro 45gg dalla data della riunione. È importante citare due fatti: il primo
è la partecipazione obbligatoria di tutte le A invitate i cui rappresentanti devono avere i poteri
necessari per assumere determinazioni vincolanti, l’assenza determina un effetto di silenzio-assenso;
il secondo attiene al dissenso manifestato da una o più A partecipanti: all’inizio la l241 richiedeva
l’unanimità, ma questo paralizzava la conferenza, quindi ora vige il fatto che la determinazione finale
motivata all’esito della conferenza adottata dall’A procedente è formulata sulla base delle posizioni
prevalenti espresse dalle A partecipanti. Se il dissenso non si supera la determinazione finale viene
rimessa al Consiglio dei ministri. La conferenza è uno strumento di coordinamento tra PA, ma in
alcuni casi partecipano anche privati.
3. Preliminare: può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare
progetti complessi: il privato sottopone uno studio di fattibilità alle A competenti a rilasciare atti
autorizzativi.
Accanto alla conferenza di servizi ci sono altre forme di coordinamento previste dall’ordinamento, come il
Testo unico sull’ordinamento degli enti locali, che disciplina lo strumento dell’accordo di programma
promosso dal presidente della regione, della provincia o dal sindaco; la L241 prevede gli accordi tra PA;
l’autorizzazione unica, nella quale confluiscono più atti di assenso attribuiti alla competenza di più A (Es.
costruzione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili); lo sportello unico, un ufficio
istituito con la funzione di far da tramite tra privati e A competenti a emanare atti di assenso (Es. quello per
l’edilizia si rapporta con tutti gli uffici comunali e le altre A competenti per l’intervento edilizio in relazione
al quale il privato ha proposto la richiesta di permesso di costruire).

5.9 Tipi di procedimento a) l’espropriazione per pubblica utilità.


È un procedimento che conduce a un provvedimento che produce effetti restrittivi nella sfera giuridica del
destinatario. L’esproprio è stato uno dei primi provvedimenti attenzionati dalla disciplina legislativa, e
questo in funzione della sua incidenza su uno dei diritti più rilevanti: la proprietà. Il potere di esproprio è
attribuito a tutte le A competenti a realizzare un’opera pubblica, il potere in questione, dunque, è diffuso e
accessorio. Il procedimento si articola in 4 fasi:
①l’apposizione del vincolo di esproprio: il vincolo può essere posto all’esito di procedure di
pianificazione urbanistica o in seguito all’approvazione di un progetto preliminare o definitivo di un’opera
pubblica. L’apposizione del vincolo si circonda di alcune garanzie: è prevista la partecipazione dei
proprietari, ai quali deve essere inviato con anticipo un avviso dell’avvio del procedimento affinché possano
formulare osservazioni nei 30gg successivi. L’avviso deve essere consegnato personalmente ai destinatari e
reso pubblico su quotidiani e siti. Il vincolo dura 5 anni ed entro questo termine deve intervenire la
dichiarazione di pubblica utilità.
②dichiarazione di pubblica utilità: è volta ad accertare la conformità dell’opera da realizzare all’interesse
pubblico, così da giustificare il trasferimento coattivo del diritto di proprietà. A sua volta dura 5 anni e prima
della scadenza deve intervenire il decreto di esproprio.
③decreto di esproprio: determina il trasferimento del diritto di proprietà dal soggetto espropriato al
soggetto nel cui interesse il procedimento è stato attivato. A questo si aggiunge l’estinzione automatica dei
diritti reali e personali gravanti sul bene espropriato. L’effetto traslativo avviene dopo la notifica e
l’esecuzione del decreto, da realizzare entro 2 anni.
④determinazione dell’indennità di esproprio: il promotore della procedura di esproprio deve formulare
ai proprietari espropriati un’offerta; questi però possono anche indicare il valore da attribuire al bene ai fini
della determinazione dell’indennità. Nei 30gg successivi all’offerta i privati possono comunicare all’autorità
espropriante una dichiarazione irrevocabile d’assenso. Se il privato non accetta, entro 30gg l’autorità
competente emana il decreto.
Il procedimento di esproprio è espressione di un potere tipicamente unilaterale; tuttavia, l’ordinamento tende
a favorire soluzioni consensuali attraverso l’istituto della cessione volontaria del bene: i vantaggi che
l’espropriando trae sono pecuniari, il prezzo di cessione è maggiore dell’indennità di esproprio. Bisogna
ricordare che il diritto di proprietà può essere sacrificato solo nella misura necessaria per conseguire finalità
di interesse pubblico. Esiste anche la retrocessione, che consiste nel diritto dell’espropriato di riacquistare la
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proprietà del bene nei casi in cui l’opera pubblica non viene realizzata o non tutto il bene espropriato viene
usato, è quindi totale o parziale.

5.10 b) le sanzioni pecuniarie


Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni si basa sulla garanzia del principio del contraddittorio, e si
articola in più fasi: l’accertamento, la contestazione degli addebiti e l’ordinanza-ingiunzione. Prima
dell’apertura del procedimento c’è l’accertamento, quell’attività di raccolta e prima valutazione di elementi
di fatto suscettibili di integrare una fattispecie di illecito; se l’accertamento fa emergere una violazione,
l’ufficio competente procede alla contestazione dell’illecito al trasgressore. Ove ritenga provata la
violazione, all’esito di una valutazione, l’autorità emana l’ordinanza-ingiunzione, che determina
l’ammontare della sanzione pecuniaria e ingiunge il trasgressore al pagamento della stessa entro 30gg.
Contro l’ordinanza-ingiunzione può essere proposta opposizione di fronte al giudice ordinario (diritto
soggettivo) entro 30gg dalla notificazione del provvedimento. L’oggetto del giudizio non è l’accertamento
della legittimità dell’ordinanza-ingiunzione, ma l’accertamento dei presupposti di fatto e diritto della
violazione.
Una specie di sanzioni è costituita anche dalle sanzioni disciplinari, previste per i dipendenti delle PA, ma
anche per altri soggetti sottoposti a regimi speciali e poteri di vigilanza di apparati pubblici: il dirigente che
venga a conoscenza della condotta illecita di un dipendente deve contestare l’addebito, il dipendente è
convocato, l’amministrazione compie un’ulteriore istruttoria e il procedimento si conclude con
l’archiviazione o l’irrogazione della sanzione.

5.11 c) le autorizzazioni e il permesso a costruire


Tipo di procedimento che si conclude con un provvedimento ad effetti ampliativi, sono le autorizzazioni,
che ricadono nel campo di applicazione della direttiva CE 2006/123, che pone subito il principio secondo il
quale le procedure per l’accesso a un’attività di servizi devono essere sufficientemente semplici: le
procedure devono essere chiare, pubbliche e tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sarà trattata
con obiettività e imparzialità. La domanda di autorizzazione deve essere trattata con la massima
sollecitudine ed entro un termine di risposta ragionevole prestabilita. La mancata risposta entro il termine fa
scattare il silenzio-assenso. Ogni domanda di autorizzazione deve essere riscontrata con una ricevuta inviata
al richiedente.
Il procedimento di rilascio del permesso a costruire si apre con la presentazione allo sportello unico per
l’edilizia del comune di una domanda sottoscritta dal proprietario; la domanda deve essere corredata da
un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dai progetti ecc. Entro 10gg lo sportello unico
comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento, che cura l’istruttoria, all’esito
della quale, entro 60gg dalla domanda, valutata la conformità del progetto alla normativa applicabile, il
responsabile formula una proposta al dirigente del servizio, che nei 30gg rilascerà il permesso (vale il
silenzio-assenso).

5.12 d) i procedimenti concorsuali


Le PA erogano denaro e servizi a favore dei privati, sono beni che hanno il carattere della scarsità, nel senso
che coloro che ambiscono ad acquisirli sono maggiori rispetto alle quantità disponibili (Es. accesso agli
impieghi pubblici). si pone allora per l’A il problema di come scegliere tra gli aspiranti. Per l’accesso agli
impieghi pubblici si pongono il principio di uguaglianza e quello del concorso pubblico. Nei procedimenti di
tipo concorsuale valgono alcuni principi generali:
- La pubblicità, che consente a tutti i potenziali interessati di aver notizia della procedura;
- La parità di trattamento, che mira a porre sullo stesso piano tutti gli aspiranti;
- La trasparenza della procedura, che consente un controllo sulla corretta applicazione dei criteri di
selezione;
- L’oggettività dei criteri, che richiede, dove possibile, parametri e criteri limitativi della
discrezionalità.

5.13 e) l’accesso ai documenti amministrativi

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La richiesta di accesso va presentata a una PA e può riferirsi solo a documenti individuati e già ormati:
individuati perché il diritto di accesso non è uno strumento di controllo sull’operato delle PA, e formati
perché la PA non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso per soddisfare richieste. Ci sono due modalità di
accesso:
- Formale, è necessario nei casi in cui l’A riscontri l’esistenza di potenziali controinteressati;
- Informale, si può avere quando non vi siano soggetti controinteressati nei confronti dei quali si pine
un problema di riservatezza;
l’accesso è gratuito e consiste nell0’esame dei documenti presso l’ufficio con la presenza, se necessaria, di
un addetto. È consentito trascrivere in tutto o in parte i documenti visionati. Il procedimento di accesso si
deve concludere entro 30gg dalla richiesta e il provvedimento che rifiuta l’accesso deve essere motivato.

C8- L’ORGANIZZAZIONE
8.1 Nozione, fonti normative e principi generali
L’organizzazione può essere definita come una unità di persone, strutturata e operante su base continuativa
al fine di perseguire scopi comuni che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente. Ogni
organizzazione ha una propria struttura gestionale che stabilisce funzioni e ruoli e attribuisce compiti e
responsabilità ai singoli appartenenti. Una distinzione è tra organizzazioni informali (gruppi sportivi) e
organizzazioni formali (partiti).
Quanto alle comunità statuali, il moderno stato di diritto, conforme al potere legale-razionale, presuppone
almeno due elementi: un sistema di regole oggettive precostituite, e l’istituzione di apparati burocratici
stabili, ordinati in maniera gerarchica con un’attribuzione precisa di competenze.
Il fenomeno organizzativo cominciò ad essere interessante nella fase in cui si ruppe la struttura monolitica
dello stato e si affermò il pluralismo istituzionale paritario, quindi il pluralismo dei livelli di governo e degli
apparati pubblici, con la conseguente necessità di inquadrare giuridicamente le relazioni tra di essi; di pari
passo iniziarono a premere esigenze di maggiore democraticità. organizzazione pubblica è disciplinata nel
nostro ordinamento da una pluralità di fonti che regolano la struttura degli apparati amministrativi. Al livello
maggiore si colloca la Costituzione, che enuncia i principi generali di imparzialità e buon andamento
(art97Cost), ai quali si devono ispirare sia l’attività che l’organizzazione pubblica, e il principio
autonomistico. Individua poi i livelli di governo chiarendo che la repubblica è costituita da comuni,
province, città metropolitane, regioni e Stato. Prevedendo come articolazioni fondamentali dello Stato i
ministeri. Dedica l’intero titolo V all’organizzazione e ai poteri di regioni, province e comuni e demanda alla
legge statale il compito di individuarne le funzioni fondamentali e gli organi di governo. A livello europeo
lìart298 del TFUE pone il principio di un’A aperta, efficace e indipendente. L’organizzazione statale è
disciplinata con regolamenti governativi e le PA individuano le linee fondamentali sull’organizzazione degli
uffici, gli uffici più rilevanti e le dotazioni complessive tramite atti organizzativi (statuti). A livello statale
l’organizzazione ministeriale è disciplinata in parte dal dlgs300/1999, che elenca i ministeri, individua le
strutture di primo livello (dipartimenti, direzioni generali), disciplina le agenzie e le attribuzioni dei singoli
ministeri; da regolamenti di delegificazione e da decreti ministeriali. A livello sub statale gli statuti e le leggi
regionali contengono una disciplina dell’organizzazione delle regioni e dei loro apparati.
Quanto a comuni e province, spetta al loro statuto lo stabilire le norme fondamentali dell’organizzazione
dell’ente specificando le attribuzioni degli organi. Per effetto di questo complesso di fonti normative
l0organizzazione delle POA è disciplinata da una trama fitta di norme giuridiche.
Dalle fonti costituzionali si possono ricavare alcuni principi generali nell’organizzazione:
1. Buon andamento (art97Cost): ha risvolti non solo in tema di attività della PA, ma anche di
organizzazione (Es. reclutamento del personale sulla base di un concorso, quindi in base al merito).
2. Imparzialità. Si esprime nelle regole volte a far in modo che la politica non ingerisca nell’A e in
particolare nel principio organizzativo della distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo proprie
dei vertici politici delle A e funzioni di gestione, riservate ai dirigenti.
3. Pubblicità e trasparenza: in riferimento al procedimento amministrativo (Es. normativa
anticorruzione); impone alle PA di pubblicare sui propri siti e di aggiornare le informazioni e i dati
riguardanti la propria A. la dimensione organizzative del principio di trasparenza di esprime nella
figura del responsabile della trasparenza, che deve vigilare sul rispetto degli obblighi di
pubblicazione segnalando le inadempienze.
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4. Principio autonomistico: ispira i rapporti tra stato ed enti territoriali. Esso supera la tradizionale
visione del centralismo amministrativo e della preminenza dello stato su ogni altro apparato
amministrativo. Secondo l’art114Cost la Repubblica è composta, oltre che dallo Stato, dai comuni,
dalle province, dalle città metropolitane e dalle regioni, gli enti autonomi. Si scinde tra autonomia
statutaria e autonomia finanziaria.
5. Principio di leale collaborazione: tra i diversi livelli di governo, da questo derivano obblighi di
consultazione e informazione reciproci e doveri di coordinamento.
6. Equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito.

8.2 persone giuridiche, organi e uffici


Il Codice civile antepone alla disciplina delle persone giuridiche private una disposizione sulle persone
giuridiche pubbliche: l’art11 stabilisce che le province, i comuni e gli enti pubblici riconosciuti come
persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico. Le persone
giuridiche pubbliche hanno quindi la stessa capacità giuridica dei provati, salvo deroghe di norme speciali.
Lo stato è la persona giuridica pubblica per eccellenza. La teoria dell’organizzazione ruota intorno a tre
concetti:
①persona giuridica: personalità giuridica significa diventare soggetto di diritti, quindi titolare di diritti e di
doveri giuridici. La personalità giuridica viene riconosciuta sia alle persone fisiche che alle persone
giuridiche. Quindi la persona giuridica è un’organizzazione formale considerata dall’ordinamento giuridico
come un soggetto di diritto separato dalle persone fisiche che la compongono e dotato di una propria
capacità giuridica. Tra le persone giuridiche pubbliche alcune hanno struttura associativa (Es. federazioni
sportive), altre hanno natura patrimoniale (Es. enti previdenziali). L’istituzione degli enti pubblici avviene
per legge nel caso di enti a statuto singolare o sulla base di delibere amministrative per alcune categorie di
enti previsti da legge. La legge istitutiva di un ente ne individua le finalità, l’assetto organizzativo, i poteri e
la vigilanza.
②organo o ufficio: per poter instaurare rapporti giuridici con soggetti esterni le persone giuridiche si
avvalgono di organi, che possono essere definiti come centri di imputazione giuridica; la persona fisica
titolare dell’organo ha il potere di esprimere la volontà della persona giuridica imputando a quest’ultima
l’atto e gli effetti derivanti. Sono uffici a cui la legge attribuisce la possibilità di esprimere all’esterno la
volontà di quella persona giuridica (sindaco, giunta e consiglio comunale); se uno di questi organi adotta un
atto, l’atto produce effetti nei confronti su tutta la PA e ricade anche all’esterno secondo il principio della
rappresentanza organica. Tra persona fisica e persona giuridica c’è un rapporto di immedesimazione
organica, nel senso che per mezzo della persona fisica la persona giuridica vuole e agisce, poiché questa è
un’entità astratta, senza volontà autonoma. Un modello di imputazione giuridica alternativo è la
rappresentanza, in cui il rappresentante agisce per il rappresentato sulla base di una procura da lui
rilasciata. L’individuazione degli organi delle persone giuridiche e la specificazione delle relative
competenze, è operata dalla legge e dagli statuti dei singoli enti. Oltre che di organi, le persone giuridiche si
avvalgono anche di uffici, cioè unità operative interne definite da organigrammi, alle quali sono addette una
o più persone fisiche. A differenza degli organi gli uffici svolgono attività interne e strumentali rispetto alle
attività degli organi (Es. ufficio contabilità). Gli uffici sono individuati da organigrammi predisposti, e a
ciascun ufficio sono assegnati i dipendenti adibiti con diversi livelli di responsabilità. Nelle PA
l’organizzazione dei pubblici uffici è sottoposta a una riserva di legge relativa (Art97Cost) ed è disciplinata
da fonti legislative e da atti organizzativi di singoli enti. Alcuni uffici sono obbligatori per tutte le PA (Es.
responsabile anticorruzione). La somma delle competenze degli organi ci dà le attribuzioni della PA: tutto
ciò che va svolto per soddisfare i cittadini del territorio (organo-competenza/ comune-attribuzioni). Tra di
loro gli organi possono avere delle relazioni, ma anche le persone giuridiche tra di loro possono avere
relazioni: possono essere gerarchiche (l’organo sovraordinato può scambiarsi a quello sottordinato) o equi
ordinate.
③persona fisica titolare: gli organi e gli uffici agiscono per mezzo di persone fisiche. Alcune ne assumono
la titolarità, altre fanno parte del personale addetto. La predisposizione o l’assegnazione di una persona
fisica a un organo o ufficio richiede un atto formale: l’investitura o l’assegnazione, emanati o dai vertici
dell’apparato o dal dirigente dell’ufficio del personale. L’atto formale instaura il rapporto di
immedesimazione e rappresentanza, che è un legame interno e organizzatorio, diverso dal rapporto di
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servizio, che invece è esterno (Esiste la figura del funzionario di fatto, colui che senza un atto formale
esercita funzioni pubbliche di fatto, (casi bellici), la situazione viene regolarizzata poi per legge). Gli organi
possono essere:
- Interni o esterni: esterni sono strumenti attraverso cui la PA opera rapporti con altri soggetti, interni
svolgono attività propedeutiche alla formazione della volontà dell’A.
- Necessari o non necessari: a seconda che la loro istituzione sia prevista come obbligatoria dalle
norme che legiferano sull’ente (Es. sindaco/ministero senza portafoglio).
- Monocratici o collegiali: a seconda del fatto che all’organi sia preposta una sola persona fisica che
ne assume la titolarità o una pluralità di persone fisiche.
- Attivi o consultivi: sulla base delle funzioni, gli attivi svolgono attività materiali, i consultivi
rilasciano pareri.

8.3 le PA
Nel corso del XX secolo accanto alle A tradizionali (Stato, enti territoriali), sono stati istituiti enti pubblici di
vario tipo e soggetti formalmente privati ma sottoposti a regimi pubblicistici. Il Consiglio dei ministri si
pone sul crinale tra politica e A, è allo stesso tempo organo costituzionali dato il suo ancoraggio al sistema
politico rappresentativo garantito dalla fiducia del parlamento, e organo di vertice. Nella prima veste adotta
atti politici e nella seconda esercita funzioni di indirizzo. Esistono anche soggetti formalmente privati a cui
si applicano norme di tipo pubblicistico (Es. procedure ad evidenza pubblica). Manca nel nostro
ordinamento una definizione legislativa di PA alla quale si ricolleghi l’applicazione di un corpo di regole e
principi omogeneo, da qui la necessità di costruire in via interpretativa la nozione di PA. Essa può essere
desunta da leggi amministrative settoriali che pongono definizioni o elenchi di enti e soggetti che rientrano
nel loro campo di applicazione. L’insieme degli enti che sono inclusi in tutti i regimi speciali in base alle
definizioni previste dalle singole leggi amministrative di settore costituiscono la PA in senso stretto. In esso
rientrano le amministrazioni statali, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici non economici e le autorità
indipendenti. Un primo gruppo di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel d.lgs. 165/2001 che pone la
disciplina generale dell’organizzazione degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro; ancora la disciplina del
procedimento amministrativo contenuta nella l241/1990; il Codice dei contratti pubblici che riguarda i
contratti per l’acquisto di beni, servizi e labori; il Patto di stabilità e crescita concordato in sede europea che
impegna gli stati aderenti a porsi obiettivi di pareggio di bilancio nel medio termine. In Italia è stato
approvato il Patto di stabilità interno che attribuisce al governo strumenti per vincolare al rispetto degli
obiettivi di finanza pubblica anche le regioni e gli enti locali. Le Pa a cui si applicano le norme di controllo
della spesa sono individuate da ISTAT. Come si stabilisce se un ente è pubblico o meno? In seguito alle
privatizzazioni si sono dovuti fissare dei criteri per la distinzione (indici di pubblicità dell’ente):
- L’attività che il soggetto svolge: se l’attività è di interesse generale, questo è un primo sintomo del
carattere pubblico dell’ente. Le Pa si collocano fuori dal mercato nel senso che non producono beni e
servizi resi sulla base di prezzi che contentano di realizzare ricavi, ma producono beni pubblici
materiali o meno che il mercato non è in grado di garantire in modo adeguato;
- Quali risorse l’ente utilizza: pubbliche o proprie private? Se utilizza risorse pubbliche si può
ricondurre alla categoria dell’ente pubblico. Il finanziamento delle attività pubbliche è posto in
prevalenza a carico della collettività attraverso la tassazione;
- La nomina degli organi di vertice: chi nomina presidente, consiglio di amministrazione dell’ente?
Se la scelta è operata da un’altra PA allora si vira verso il pubblico.
Esiste la distinzione tra PA in senso formale e PA in senso sostanziale.
PA FORMALE: tutti i soggetti classificati dalla legge (decreto n165/2001) come PA (Stato, Regioni,
Comuni, Università, scuole, enti pubblici, enti territoriali e autorità indipendenti). Quella degli enti pubblici
è una categoria generale ed indica una serie di soggetti ai quali si applica la disciplina del diritto
amministrativo. Tra questi enti pubblici ce ne sono alcuni che sono territoriali e che quindi si identificano
con un territorio definito (Regioni, Stato, Comuni, Province) anche detti enti ad appartenenza necessaria
(non si decide di appartenergli). Sono anche enti affini generali: le funzioni che esercitano sono quelle
attribuite dalla legge, ma che servono a soddisfare tutti gli interessi della collettività stanziata in quel luogo.
Gli enti pubblici possono essere economici (svolgono attività di impresa, AZIENDE PUBBLICHE. È la
categoria che ha subito la privatizzazione degli anni ’90, che le ha portate ad essere trasformate in società
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per azioni) e non economici (svolgono altre attività, INPS, INAIL, ISTAT, CONI. Hanno una disciplina
diversa da quelli economici, con i quali condividono gli animi. Non svolgono attività imprenditoriali).
L’ente pubblico definisce la pubblica amministrazione formale.
PA SOSTANZIALE: rientra in una nozione ampia di PA pur non avendo le caratteristiche specifiche. Ci
vanno le società per azioni che derivano dalla privatizzazione degli enti pubblici economici. Sono
soggetti formalmente privati (SPA) però nella sostanza vengono equiparati dalla giurisprudenza alle PA,
come? Utilizzando i criteri di pubblicità. Se si costituisce una società per legge che però ha le caratteristiche
dell’ente pubblico, è come se si volesse eludere l’applicazione della disciplina pubblicistica nei confronti di
quella privata (Es. assunzione del personale e acquisti, la spa sceglie liberamente, la PA no/ controllo
contabile/ acquisti). La privatizzazione era un primo step, il secondo sarebbe stato la vendita delle azioni e
così facendo le partecipazioni private avrebbero reso privata formalmente la società; in alcuni casi però la
vendita delle azioni non si è verificata e così le nuove società sono rimaste interamente a partecipazione
pubblica.
Società in house: tutte le azioni della società sono pubbliche, il pubblico gestisce e decide. Siccome la
società è come se fosse un ufficio interno della PA, allora può svolgere il servizio pubblico senza sostenere
gare. Le società avevano il vantaggio di evitare la gara perché era come se la PA esercitasse il servizio
direttamente. La giurisprudenza amministrativa ha deciso di riportare le società sotto il diritto pubblico
amministrativo.
Ci sono in alcuni ambiti imprese private che su concessione da parte dell’ente pubblico svolgono un’attività
sociale. Anche le fondazioni bancarie sono PA, derivano dalla privatizzazione delle banche, il cui
patrimonio è stato scorporato dal restante sistema bancario.

8.4 lo Stato
Fin dalla legge Cavour del 1853 la struttura amministrativa portante dello Stato è costituita da ministeri. Il
modello originario di ministero, al cui vertice si colloca il ministro, punto di raccordo tra politica e A e di
collegamento con il circuito politico, si connotava per la sua compattezza, secondo il principio gerarchico.
Gli uffici e le strutture operative di ogni ministero era inclusi in unità di livello superiore fino al vertice della
piramide, costituito dal ministero responsabile di dell’intera attività e centro di imputazione unitario delle
competenze. Nel corso del tempo i ministeri hanno cambiato fisionomia, il loro numero è aumentato e molte
delle loro funzioni sono state trasferite, in base alla sussidiarietà verticale, alle regioni; la loro
organizzazione è diventata meno compatta. Spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e
l’organizzazione dei ministeri, ponendo una disciplina generale della loro organizzazione centrale e
periferica, specificando le attribuzioni e le principali aree funzionali dei diversi ministeri. ogni ministero è
poi disciplinato da un regolamento governativo che ne specifica l’organizzazione. Accanto ai ministeri
indicati dal d.lgs.300/1999 possono essere predisposti singoli uffici o dipartimenti della presidenza del
Consiglio dei ministri, i “ministri senza portafoglio”, che non sono a capo di un dicastero, ma che esercitano
solo funzioni delegate dal PCM. L’organizzazione dei ministeri è di due tipi a seconda che le strutture di
primo livello siano formate da dipartimenti o direzioni generali: il modello dipartimentale è previsto per i
ministeri preposti a una pluralità di ambiti di intervento; quello per direzioni generali riguarda ministeri con
competenza circoscritte. I dipartimenti assicurano l’esercizio organico e integrato di funzioni e ad essi è
preposto un capo di dipartimento. I ministeri strutturati in direzioni generali invece prevedono un segretario
generale come figura di coordinamento. In tutti i ministeri sono istituiti uffici di diretta collaborazione con il
ministro. Alcuni compiti dei ministri possono essere delegati al sottosegretario di stato. In aggiunta a quelle
centrali, fanno parte dell’organizzazione di alcuni ministeri anche strutture periferiche (decentramento
burocratico). Tradizionalmente i ministeri si distinguono:
- Funzioni di ordine (interno, difesa, giustizia, esteri);
- Funzioni economiche e finanziarie (economia e finanze, politiche agricole, alimentari);
- Funzioni di servizio sociale e culturale (salute e istruzione, ricerca, università);
- Funzioni relative alle infrastrutture e servizi collettivi (Infrastrutture e mobilità).
Rispetto allo stato i singoli ministeri sono come degli organi. Ciascun ministero è titolare di fondi propri nel
bilancio statale e gode di autonomia di spesa, è assegnatario anche di beni mobili e immobili. Il ministero,
quindi, è una PA che appartiene all’organizzazione dello stato e si occupa di un certo settore di
amministrazione. All’interno del ministero c’è:
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- Vertice politico: Ministro
- Vertice amministrativo: Dirigenti generali
- Dirigenti
Fino a inizio anni ’90 anche i ministeri erano organizzati in maniera gerarchica e vedeva il ministro essere
sovraordinato rispetto al dirigente, potendo sostituirsi alla sua azione ogni volta che lo riteneva opportuno,
questo rendeva inefficiente il ministero. Il dirigente era nominato direttamente dal ministro. Con il decreto
normativo 29/93 si è introdotto il principio della separazione tra politica e amministrazione: non sono più,
ministro e dirigente, legati da un rapporto di sovra ordinazione ma hanno responsabilità e incarichi distinti. Il
principio è giustificato dal fatto che l’ingerenza continua della politica sulla gestione era causa di
inefficienza del sistema, le PA funzionavano male anche perché i dirigenti erano troppo condizionati dal
valore del vertice politico. Il principio comportava separazione. Le due funzioni hanno diverse
responsabilità: se il ministro definisce gli obiettivi dell’azione, il dirigente si fa carico della scelta di come
realizzare gli obiettivi usando le risorse di cui dispone nel modo migliore. Responsabilità politica-
responsabilità dirigenziale o di risultato.
L’azione del dirigente si valuta sulla base dei risultati che si sono raggiunti o meno. Con questo nuovo
modello il dirigente dovrebbe diventare autonomo rispetto al ministro: il ministro continua a nominarli e a
valutarne l’attività; il modello di autonomia, quindi, non è completo ma solo parzialmente applicato. Al
ministro però non è permesso adottate un provvedimento di competenza del dirigente. Se il dirigente non è
in grado di raggiungere gli obiettivi definiti dalla sede politica può incorrere nella revoca dell’incarico.
Afferiscono all’organizzazione dei ministeri le agenzie, definite dal d.lgs300/1999 come strutture preposte
allo svolgimento di attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, esse godono di autonomia
operativa ma sono sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza di un ministro. enti strumentali dei ministeri
che hanno competenze tecniche specialistiche (il ministero ha competenza generale sul settore di
riferimento, per svolgere l’attività si avvale delle agenzie). Questo serviva per scorporare dalle attività
ministeriale l’attività strumentale a supporto del ministero. Alcuni ministeri, già dal secolo scorso,
istituirono al proprio interno strutture, definite aziende, per l’erogazione di servizi pubblici nazionali. Quasi
tutte furono trasformate prima in enti pubblici economici e poi in SPA. All’organizzazione statale
afferiscono anche le autorità indipendenti (consom, garante privacy), figure che sono caratterizzate
dall’indipendenza rispetto al potere politico. Gli viene affidata la regolazione di servizi specifici e sensibili:
le autorità risolvono le eventuali controversie che si possono verificare in questi settori delicati. I vertici di
questi enti sono nominati dal parlamento e hanno una carica, la cui durata non coincide con quella della
legislatura; non possono essere rinominati per un secondo mandato. Hanno anche autonomia:
- Organizzativa
- Regolamentare
- Finanziaria
Queste tre forme di autonomia sono lo strumento che permetterebbe a questi soggetti di svolgere la propria
attività in maniera indipendente. Hanno funzione para giurisdizionale, si avvicina più alla funzione
giudiziaria che amministrativa. A tutti questi soggetti si applica il diritto amministrativo.
Il ministero dei beni culturali: Il ministero per i beni culturali e del turismo è relativamente giovane: esso
nasce negli anni ’70 per volere dell’allora ministro senza portafoglio Spadolini con delega ai beni culturali
ed ambientali, all’interno del contesto dell’esecutivo Moro IV, con d.l. del 14/12/1974 e convertito poi nella
l. 29/1/1975 n.5 (sintomo l’istituzione di questo ministero di una riconoscenza nei confronti di suddetto
settore, inizia ad emergere l’idea che il patrimonio deve essere tutelato, il ministero nasce di pari passo con il
concretizzarsi di una necessità comune).
Si delinea nell’apertura nella disposizione del 1974 il motivo per il quale si introduce questo nuovo
ministero, ovvero al fine ultimo di andare a rispondere alle necessità di organica tutela sia per aspetti
nazionali sia anche internazionali. Da quel momento le attività passano dal ministero dell’istruzione al
MIBAC il quale ha visto nel corso degli anni diversi tappe anche riguardanti l’aspetto organizzativo (riparto
delle funzioni), ultimo e più importante riordino del MIBAC fu fatto con il d.lgs. 20/10/98 n368 (che si
immette all’interno di quel processo di razionalizzazione tipico di quegli anni, nello specifico tale d.lgs. si
basa sulla l.15/3/1997 che conferiva al governo la “razionalizzazione, l’ordinamento della presidenza del
consiglio dei ministri e dei ministeri, anche con il riordino di questi o la loro fusione tra ministeri”.
Razionalizzazione in quel contesto necessaria al fine ultimo che ci si trovava dinanzi a più ridotte funzioni
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degli enti centrali, in virtù dell’aumento delle autonomie.  con questa ri-organizzazione nasce quello che
noi conosciamo con l’acronimo di MIBAC ovvero il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’
CULTURALI
Anche il testo del ’98 è stato frutto di modifiche nel corso degli anni, soprattutto per quanto concerne
l’organizzazione interna del ministero; infatti secondo la carta costituzionale, nello specifico, all’art. 95
comma 3, spetta ad una legge (riserva assoluta) andare a determinare il numero, le attribuzione e
l’organizzazione dei ministeri ecco quindi che il d.lgs. 300/1999 è andato a delineare quelli che sono il
loro numero definitivo e le loro attribuzioni, mentre per l’organizzazione dei singoli si è ricaduto sulla
necessità di atti normativi secondari. Oggi ci troviamo al settimo regolamento in termini di organizzazione
interna del MIBAC, figlio del D.P.C.M. 2 dicembre 2019 n.169. All’art1dpcm169/2019, la tutela e la
valorizzazione vengono attribuite direttamente al ministero per una necessità di uniformità dell’azione.
I principi applicati al MIBAC valgono anche per gli altri ministeri, con degli adattamenti specifici per ogni
materia di riferimento.
Così come altri ministeri anche il MIBAC si articola in un’amministrazione centrale con sede in Roma ed
una periferica con uffici dislocati nei differenti luoghi sul territorio nazionale.
L’amministrazione centrale si fonda sulle cd. DIREZIONI GENERALI, quali strutture di primo livello, ove
a capo si immette il cd. Direttore generale. Esse divergono dalla semplice direzione solo per un fatto di
nomina, infatti il direttore generale viene nominato dal ministro, mentre invece quello normale no, questo
comporta di seguito anche la modifica del rapporto tra questi (direttore generale ha una diretta relazione con
il ministro, mentre il direttore ha come intermediario tra lui ed il ministro il direttore generale. (questo
modello si confà all’art. 3 del d.lgs 300/1999, ove per l’appunto i ministeri possono essere organizzati o per
dipartimenti o per direzioni generali, il primo caso riguarda le strutture pensate per apparati ministeriali con
ambiti di intervento molto ampi, mentre nel caso delle direzioni generali non vi è alcuna specifica da parte
del legislatore). Il MIBAC prima dal 98 venne concepito diviso in direzioni, poi dal 2004 invece fu diviso in
dipartimenti, per poi ritornare dopo nel 2006 a seguito di critiche al suo assetto originario impostato nel 98.
Esiste la figura del segretario generale, un organo di natura fiduciaria che viene nominato dal ministro;
essi sono legati da un rapporto di vicinanza stretta, che si traduce in maggiore precarietà dell’organo: gli
organi fiduciari possono essere revocati e istituiti con un cenno, se cambia il ministro (crisi, cambio delle
maggioranze), cambia anche il segretario generale perché i due sono legati da un rapporto molto stretto così
che se viene meno uno, viene meno anche l’altro fenomeno dello spoils system ove per l’appunto esso è
una pratica politica secondo cui alti dirigenti della p.a. cambino con il cambiare del governo. Egli “assicura
il coordinamento e l’unità dell’azione amministrativa elaborando direttive, gli indirizzi e le strategie
concernenti l’attività complessiva, coordina e vigila gli uffici e le attività del ministero”. In poche parole,
trasferisce l’indirizzo generale dal ministro alle direzioni generali che compongono il ministero. È la figura
di snodo e raccordo tra la parte politica e quella amministrativa e di garante all’interno di un panorama
complesso e articolato come quello dell’amministrazione dei beni culturali.
Il ministro si avvale di UFFICI DI DIRETTA COLLABORAZIONE (funzione di supporto del ministro
nell’azione di indirizzo politico), i quali per l’appunto lo aiutano, nella sua funzione di definizione
dell’indirizzo politico; essi sono una serie di uffici che non sono collocati in una posizione sott ordinata
rispetto al ministro, è come se lo avvolgessero, perché lo aiutano nell’elaborazione dell’indirizzo politico,
concorrono alla sua definizione. I vertici di tali uffici sono nominati direttamente dal ministro, sono su
incarico fiduciario che ha una durata corrispondente a quella del mandato governativo. Ogni ufficio è
disciplinato dal ministero stesso. Il provvedimento atto alla disciplina degli uffici di diretta collaborazione
del MIBAC è il già più volte citato D.P.C.M. 169/2019, in particolare nell’art. 3 ove essi sono costituiti
nell’ambito del Gabinetto, quale centro di responsabilità amministrativa e li individua in:
a. UFFICIO DI GABINETTO
b. SEGRETERIA DEL MINISTRO
c. UFFICIO LEGISLATIVO
d. UFFICIO STAMPA
e. SEGRETERIA DEI SOTTOSEGRETARI DI STATO
Nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione un rilievo particolare è dato al CAPO DI GABINETTO, il
quale insieme all’ufficio del Gabinetto coordina le attività affidate agli uffici di diretta collaborazione
assicurando il raccordo tra le funzioni del ministro e i compiti dell’altra figura al vertice ovvero il segretario

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generale. L’ufficio svolge una funzione di consulenza per il ministro, traduce l’idea del ministro in un
indirizzo politico definito (perché solitamente il politico ministro non è esperto della materia), quello che
concretizza le idee del ministro. Lorenzo Casini è oggi capo del Gabinetto.
Il MIC si articola in 12 direzioni generali: Una direzione generale è un insieme di uffici che si occupa di una
determinata materia coerente con le funzioni del MIBAC.
La loro articolazione, nomenclatura, attribuzioni e finalità si sono andate a modificare nel corso degli anni,
anche a seguito ad esempio di quelli che sono stati i tagli al pubblico/ o all’ottimizzazione della resa di
questo. Alcune di esse comunque hanno una competenza settoriale, ma altre come ad esempio quelle
riguardanti organizzazione e bilancio, le quali hanno una competenza trasversale ovvero che ha effetti anche
sulle altre direzioni.
IL MIC così come altri ministeri si avvale di un’amministrazione consultiva, il quale fine ultimo è quello
di andare a procurare elementi conoscitivi utili ad assumere decisioni spettanti ai vertici politici o
amministrativi. Essi sono: CONSIGLIO SUPERIORE BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI. Esso ha
attività consultiva e propositiva, nel caso della prima essa si concretizza con l’espressione di pareri. Se il
parere al consiglio è necessario per l’adozione del provvedimento e se non venisse richiesto l’atto potrebbe
essere annullato perché illegittimo (parere obbligatorio, ci si può discostare e non tenerne considerazione,
si esercita la discrezionalità amministrativa). Il parere vincolante invece è il parere a cui la PA deve
attenersi senza possibilità di discostamento; i casi sono disposti dalla legge. Ci sono anche pareri
facoltativi, la loro mancata richiesta non determina l’illegittimità dell’atto adottato. Tali pareri debbono
essere resi entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, riducibili a 10 in caso di urgenza. 7
COMITATI TECNICO-SCIENTIFICI articolati secondo gli ambiti di loro competenza, le loro attribuzioni
sono di natura consultiva o propositiva al fine di concorrere nella stesura di relativi programmi nazionali per
i settori a cui si richiamano anche con il fine ultimo di definirne i piani di spesa; questo conferma di nuovo
la complessità tecnica della materia e quindi una serie di organi in grado di esprimere pareri. Allo stesso
tempo abbiamo un’idea della complessità dei procedimenti amministrativi: più una materia è complessa e
più il procedimento che la riguarda è farraginoso. La legge generale sull’attività amministrativa prevede una
serie di strumenti che dovrebbero semplificare la macchina procedurale, questo è necessario nelle materie ad
elevata complessità tecnica.
Nell’amministrazione del MIBAC è interessante sottolineare come confluiscono numerose ed eterogenee
strutture organizzative che svolgono differenti funzioni idi natura molto tecnica, ove spiccano uffici dotati di
autonomia speciale e musei e parchi archeologici che in virtù del loro rilevante interesse nazionale sono
anch’essi dotati di autonomia speciale, sono una serie di istituti che in ragione delle loro funzioni e della
materia di cui si occupano, sono stati valutati dal legislatore come bisognosi di maggiore autonomia.
Il MIC come altri ministeri si avvale di un’amministrazione periferica per l’esercizio delle proprie funzioni,
con uffici che permettono nella teoria una risposta più repentina alle esigenze dei destinatari finali.
Anch’essa in virtù dei cambiamenti dell’amministrazione centrale è stata soggetta di ri-ordino, che hanno
portato alla conformazione attuale codificata dal dpcm 169/2019.
Da il via al capo VII riguardante per l’appunto l’amministrazione periferica di tale ministero e ne delinea
quelli che sono gli organi periferici, che adesso si andranno a delineare nel dettaglio (Es. segretari regionali,
soprintendenze archeologiche, direzioni regionali musei, musei aree e parchi archeologici, soprintendenze
archivistiche).
Il ministero per svolgere il suo lavoro si avvale anche di società per azioni. La spa è stata vista come il
modello sempre vincente: si sono allora costituite una molteplicità di società, anche a partecipazione
azionaria completamente pubblica, quindi, solo una facciata perché internamente la società sottostava alle
regole delle PA. Era uno spreco, ma la società nel dato momento storico era vista come il modello assoluto,
anche se non lo era (anche perché la dottrina in virtù del fatto che dietro vi fosse solo lo stato l’ha sempre
considerate come qualcosa di suscettibile al mondo del diritto amministrativo).  CASO DI ARLES
(ARTE, LAVORO e SERVIZI S.P.A.) ove il Mibact è l’unico socio, ove esercita i poteri esclusivi di
direzione e vigilanza secondo il modello in HOUSE PROVIDING, locuzione usata per individuare quelle
ipotesi in cui la PA decide di ricorrere all’autoproduzione dei beni, servizi e lavori, anziché+ rivolgersi al
mercato rispettando procedure di evidenza pubblica. Arles nasce dopo il fallimento di Arcus nel 2003, nata
per promuovere il sostegno finanziario alle attività di restauro ma fallita anche per mancanza di risorse,
venne poi fusa in ARLES, istituita nel 1997 con una legge, nata come società necessaria per rispondere sia

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alle esigenze del settore culturale sia a quelle del lavoro. Essa svolge secondo il suo statuto l’esercizio di
attività e la realizzazione di iniziative volte alla gestione, valorizzazione e tutela dei beni culturali in ambito
nazionale ed internazionale; ivi si immette il compito che ha nella pubblicità attività di crowdfunding e il
monitoraggio dei movimenti da tale attività ottenuto.

8.5 Gli enti territoriali: i comuni, le province e le regioni


Secondo l’art114Cost, riformulato nel 2001 con la riforma del Titolo V, la Repubblica p costituita, oltre che
dallo Stato, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane e dalle regioni, definiti come enti autonomi
con propri statuti, poteri e funzioni. I principi fondamentali per l’allocazione delle funzioni tra i livelli di
governo sono la sussidiarietà verticale, la differenziazione e l’adeguatezza. È inoltre garantita autonomia
finanziaria di entrata e di spesa. L’assetto ordinamentale dei rapporti tra stato, regioni ed enti locali, segue
un modello triangolare per il quale anche i comuni entrano in contatto diretto con lo Stato, senza la
mediazione delle regioni. Dal punto di vista amministrativo, gli enti locali e le regioni sono una particolare
categoria di enti pubblici: sono enti necessari, essendo istituiti obbligatoriamente su tutto il territorio
nazionale; sono enti ad appartenenza necessaria, poiché ogni cittadino sulla base del criterio di residenza fgli
si può rivolgere; sono enti a competenza generale perché possono curare gli interessi della popolazione di
riferimento con relativa libertà, possono quindi individuare le proprie priorità nell’ambito delle funzioni ad
essi assegnate; sono enti inseriti integralmente nell’ordinamento amministrativo poiché tutti i loro atti
normativi e non sono sempre atti A. L’ordinamento degli enti locali è disciplinato principalmente in un
Testo unico. La Costituzione definisce gli enti locali come enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da
leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni, in pratica nei limiti stabiliti dallo Stato. I
comuni sono l’ente locale che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo, la
loro autonomia si esprime nella potestà statutaria: lo statuto stabilisce le norme fondamentali
dell’organizzazione dell’ente e specifica le attribuzioni degli organi, le forme di collaborazione ecc. Ai
comuni è riconosciuta un’ampia autonomia regolamentare nelle materie di sua competenza e in ciò che
riguarda l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici per l’esercizio delle funzioni (servizi
alla persona e alla comunità, polizia locale, assetto del territorio, infrastrutture). Gli organi di governo
sono il sindaco, il consiglio e la giunta. In tutti i comuni è istituita la figura del segretario comunale con
compiti di collaborazione e assistenza in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo
statuto e ai regolamenti. Per favorire la cooperazione tra comuni il TU prevede le convenzioni, i consorzi e
le unioni di comuni (comunità montane), strumenti potenziali e obbligatori per risolvere in parte le
disfunzioni derivanti dalla frammentazione eccessiva dei comuni. Le province invece sono enti intermedi
tra comuni e regioni, sono titolari di funzioni amministrative, soprattutto di programmazione ed esercitano le
funzioni di pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché di tutela e valorizzazione
ambientale. Sono titolari anche di alcune competenze gestionali. Oltre alle funzioni fondamentali attribuite
per legge, lo Stato e le regioni possono delegare alle province ulteriori funzioni, secondo le loro competenze.
Gli organi di governo delle province sono l’assemblea dei sindaci, il consiglio provinciale e il presidente
della provincia. Ci sono anche le città metropolitane, che assorbono le funzioni della provincia in aree
caratterizzate dalla presenza di comuni molto popolosi. I suoi organi sono il sindaco metropolitano, il
consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Oltre alle funzioni delle province le città
metropolitane hanno altre funzioni necessarie per gestire le grandi conurbazioni per promuovere lo sviluppo
economico. Lo Stato e le regioni possono attribuire ulteriori funzioni alle città metropolitane in attuazione
dei principi di sussidiarietà. Per quanto concerne le regioni, prima della legge costituzionale del 2001 vigeva
il parallelismo delle funzioni amministrative e legislative, in virtù del quale le prime riguardavano solo le
materie attribuite dalla Cost alla competenza legislativa regionale; il principio della delega agli enti locali e
il principio secondo cui la regione esercita le sue funzioni delegandole agli enti locali. Lo stato trasferì
funzioni amministrative di interesse locale, le regioni sono state restie a delegare le proprie funzioni agli enti
locali. Con la riforma del 2001 p venuto meno il principio di parallelismo e il riparto tra le funzioni
amministrative tra i vari livelli di governo si è reimpostato in base alla sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza. Il governo è titolare di un potere sostitutivo nei confronti delle regioni, ma anche degli enti
locali, nel caso di mancato rispetto di norme, il governo può annullare d’ufficio gli atti amministrativi di
tutte le PA a tutela dell’unità dell’ordinamento. Le regioni sono state istituite nel 1970, ma fino al 2001 la
capacità e la competenza delle regioni sono state limitate.

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8.6 gli enti pubblici
Dal XX secolo furono istituiti molti enti pubblici diversi per struttura, funzioni e ambiti di autonomia.
Possono essere:
- Disciplinati da leggi generali o istituiti con legge ad hoc;
- Nazionali o regionali, a seconda che siano enti istituiti a livello statale o regionale;
- Associativi o non associativi, esponenziali o meno di categorie;
- Pubblici non economici o economici, a seconda nella natura imprenditoriale;

8.7 le autorità indipendenti


Le autorità amministrative indipendenti sono una tipologia di enti pubblici che si è diffusa a partire dagli
anni 90 con l’affermazione dello stato regolatore. Rispetto alle A tradizionali le autorità indipendenti si
connotano, oltre che per un elevato tasso di tecnicità e professionalità, per un marcato grado di indipendenza
dal potere esecutivo. Vanno esaminati 4 aspetti:
1. Le ragioni dell’indipendenza: una prima motivazione si riallaccia al dibattito su “poteri neutri”,
concepiti come elementi moderatori nei sistemi politici caratterizzati da forti contrapposizioni
politiche o fazioni. Ancora c’è l’esigenza di garanzie rafforzate per alcuni valori costituzionali dei
settori sensibili; la necessità di prevenire conflitti tra lo Stato regolatore che funge da arbitro neutrale
tra le imprese concorrenti, e lo Stato imprenditore che ha interesse a favorire il proprio sviluppo a
scapito dei concorrenti.
2. Gli strumenti per garantirla: gli strumenti si desumono dalle leggi istitutive delle singole autorità,
che intrattengono legami privilegiati con il parlamento piuttosto che con il governo. Le autorità
svolgono un ruolo attivo di consulenza nei confronti del parlamento attraverso il potere di
segnalazione, per sollecitare gli interventi legislativi. Il carattere collegiale poi assicura una minor
influenzabilità nelle decisioni, anche perché i componenti sono scelti in base a professionalità,
competenza e indipendenza. La durata in carica dell’organo dura 7 anni, e questo garantisce il
disallineamento con il ciclo elettorale, che dura 5 anni.
3. I tratti caratteristici del regime: le autorità derogano, entro i limiti, al principio della separazione
dei poteri. Assommano infatti poteri di regolazione, poteri amministrativi e poteri di risoluzione in
via stragiudiziale delle controversie. Le autorità hanno poteri amministrativi che hanno come
destinatarie le singole imprese. Le autorità hanno anche funzioni giudiziali: i consumatori possono
attivare altre forme di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione nei confronti delle
imprese regolate.
4. Le categorie principali: ①generalista: le autorità esercitano i propri poteri in modo trasversale nei
confronti di tutte le imprese o altri soggetti pubblici o privati (Autorità garante della concorrenza e
Garante per la protezione dei dati personali). ②di vigilanza: su imprese operanti in certi mercati,
vigilano e regolano mercati finanziari (Banca d’Italia, CONSOB). L’esigenza di istituire autorità di
regolazione in questi settori discende dalla presenza dei fallimenti di mercato: il rapporto tra
risparmiatori e imprese che offrono investimenti p affetto da asimmetrie informative, così gli utenti
non sono in grado di valutare il rischio delle proposte, da qui la necessità di una regolazione
pubblica. ③preposte alla regolazione dei servizi pubblici.

8.8 le società a partecipazione pubblica e 8.9 l’integrazione europea


Il fenomeno delle società a partecipazione pubblica è legato a tre cause: ①l’affermarsi dello Stato
imprenditore: negli anni 30 su affermò il cd. stato imprenditore con l’obiettivo di salvare aziende private in
crisi tutelando i livelli occupazionali e promuovendo politiche di programmazione economia e di sostegno.
②la privatizzazione formale degli enti pubblici: negli anni 90 gli enti pubblici economici che gestivano
servizi pubblici in monopolio legale furono trasformati in SPA con l’attribuzione della titolarità allo stato. In
molti casi le azioni furono cedute in tutto o in parte ad azionisti privati e a volte quotate in borsa.
③l’esternalizzazione di attività svolte da apparati amministrativi: ci si ricollega alla razionalizzazione degli
apparati pubblici; in molti casi per ragioni di efficienza e snellezza operativa, alcune PA hanno preferito
affidare l’esercizio di alcune funzioni amministrative a società da esse costituite. Un riordino della disciplina
in tema di società a partecipazione pubblica è stato operato dal d.lgs. 175/2016. L’ordinamento pubblico ha
50
assunto un atteggiamento di neutralità verso la materia, sempre che siano assicurate la concorrenza, la
trasparenza e l’anticorruzione. Il decreto ha arginato l’espansione delle società in mano pubblica ma non ha
conseguito gli obiettivi di riduzione drastica.
L’assetto organizzativo e funzionale delle PA nazionali è condizionato dal diritto europeo, la cui influenza
si manifesta in varie forme, prima di tutte il fatto che molte politiche pubbliche sono decise a livello
europeo; quindi, le A nazionali si sono attrezzate in questo senso per essere parte attiva nell’emanazione
degli atti giuridici europei (Es. alcuni ministeri si sono dotati di uffici che hanno come compito la cura dei
rapporti UE).

8.10 le relazioni intraorganiche e intersoggettive e 8.11 il disegno organizzativo degli enti pubblici e lo
spazio regolatorio.
Le relazioni delle PA possono essere interne o esterne ad esse. La gerarchia domina le relazioni e connota
sia il rapporto tra persone della stessa struttura ma anche il rapporto tra uffici. Il rapporto di gerarchia
presuppone che le competenze dell’organo sottordinato siano tutte incluse in quelle dell’organo
sovraordinato, per questo quello sopra può sostituirsi a quello sotto. Anche il concetto di controllo origina
un rapporto di sovra ordinazione tra l’organo o l’ufficio titolare del potere di controllo e il destinatario. Il
coordinamento poi è un’esigenza primaria in un sistema amministrativo che ha acquisito una dimensione
multilivello e di specializzazione delle funzioni. Nel modello gerarchico il coordinamento è assicurato dalla
presenza di un vertice unitario che assomma tutte le competenze. Il coordinamento si distingue tra
coordinamento politico-amministrativo che si riferisce ai rapporti interni al governo e quelli tra lo Stato, le
regioni e le autonomie; e il coordinamento amministrativo che fa riferimento agli strumenti che coordinano
le attività relative a uno o più procedimenti (Es. intese, pareri). A volte un ente si mette a disposizione di un
atro per lo svolgimento di compiti di quest’ultimo, così nei casi ammessi esiste la delega di funzioni tra enti.
Un’altra modalità è l’avvalimento, una figura organizzativa in base alla quale un ente mette a disposizione
di un altro la propria organizzazione a supporto di funzioni o attività dell’altro.
Il disegno organizzativo degli enti pubblici consiste in una griglia di parametri che consentono di
inquadrare ogni tipo di apparato pubblico: un primo indicatore sono le fonti, alcuni enti trovano nella legge
istitutiva la legge principale, per altri invece la fonte primaria ha margini più ampi. Altro parametro è la
tipologia di organi previsti per ogni ente, le loro modalità di nomina e la ripartizione delle competenze.
Ancora, si prendono in considerazione le funzioni e i poteri attribuiti all’ente dalla legge; si analizzano
anche i controlli e la vigilanza ai quali è sottoposto l’ente. Un quinto indicatore è costituito dalle risorse
finanziarie sulle quali può far affidamento l’ente, alcuni dipendono dall’erario, altri sono autosufficienti. Il
disegno organizzativo invece fornisce un’immagine statica di ciascun apparato, la sua collocazione nello
spazio regolatorio ne coglie invece l’aspetto dinamico all’interno di un sistema di relazioni mobili tra PA.
Lo spazio regolatorio richiede una mappatura delle relazioni che ogni apparato intrattiene con gli
stakeholders.

C9- I SERVIZI PUBBLICI


9.1 i servizi pubblici e 9.2 i servizi di interesse generale nel diritto europeo
In una fase iniziale del secolo scorso il Welfare State assunse su di sé il compito di gestire con proprie
strutture i servizi, servizi necessari per il benessere della collettività che il mercato non era in grado di offrire
in quantità e qualità adeguate per più ragioni: erano economicamente non profittevoli, richiedevano capitali
ingenti per gli investimenti ed erano rischiosi. Con l’avvio del processo di liberalizzazione e privatizzazione
il compito dello stato non è più quello di erogare direttamente i servizi pubblici, ma di garantire, attraverso
strumenti di regolazione, che essi siano resi alla collettività secondo standard qualitativi e quantitativi
adeguati. I servizi pubblici possono essere distinti tra servizi aventi rilevanza economica e servizi non
economici: i primi sono più suscettibili di essere esercitati in forma imprenditoriale e si prestano alla
gestione (Es. energia elettrica, telefonia), dei secondi si fanno carico le PA con oneri a carico della fiscalità
generale (Es. servizio sanitario nazionale, servizio scolastico). Ancora si distingue tra servizi a fruizione
collettiva necessaria e servizi a fruizione individuale: i primi si riferiscono a quei beni che se sono

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disponibili per uno lo sono necessariamente per tutti (Es. illuminazione pubblica strade), negli altri invece il
gestore intrattiene una relazione giuridica con gli utenti del sevizio, ai quali viene richiesto un compenso
(Es. bolletta). Esistono anche i servizi a rete, quelli erogati attraverso le infrastrutture (Es. rete ferrovie).
La disciplina europea in materia di servizi pubblici ha inciso sulla disciplina nazionale fondandosi su
principi integrati nel TFUE e su molte direttive. Questi principi seguono due direttive principali: la rilevanza
sociale dei servizi e il rispetto delle regole della concorrenza e del mercato. I servizi pubblici sono quindi un
elemento caratteristico del modello europeo di società. Gli stati membri possono individuare le attività da
annoverare tra i servizi pubblici e le modalità di erogazione degli stessi. In generale le direttive di
liberalizzazione operano una distinzione tra:
- Concorrenza nel mercato: riguarda i servizi pubblici per i quali la fornitura del servizio piò essere
svolta da più operatori in concorrenza;
- Concorrenza sul mercato: si riferisce alle situazioni in cui per ragioni tecniche o economiche il
servizio può essere svolto da un solo operatore (monopolio naturale).
Servizi pubblici: attività svolte dalle PA per soddisfare interessi e bisogni della collettività. Si distingue tra
attività provvedimentale (regolativa di comportamenti privati) definisce i comportamenti dei privati, attività
prestazionale quindi quello che le PA fanno per i cittadini (servizio sanitario, d’istruzione), attività che non
si caratterizzano attraverso l’uso di provvedimento quindi attività impositiva, ma che per la maggior parte
utilizzano il mezzo contrattuale.

9.3 la regolazione e le forme di gestione dei servizi pubblici e 9.4 le autorità di regolazione
La disciplina dei servizi pubblici ha 3 fasi:
1. L’assunzione: di un servizio pubblico è il frutto di una decisione politica che constata l’insufficienza
del mercato nell’offrire alla collettività tale bene; mette quindi in opera interventi di regolazione per
garantire livelli minimi di prestazione. L’atto di assunzione del servizio è responsabilità esclusiva
dello stato. I servizi e i beni necessari per il benessere della collettività sono mutati nel tempo in
funzione delle esigenze della società e del perimetro del servizio, quindi a seconda del contesto
locale o meno.
2. La regolazione: è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico e all’attuazione
in concreto dei principi giuridici in materia di servizi pubblici. Si basa sulla doverosità, una volta
presa la decisione di assumere il servizio, il pubblico deve garantire l’erogazione dello stesso
secondo criteri predeterminati; sulla continuità, perché l’erogazione non può essere interrotta
arbitrariamente; sulla parità di trattamento per cui tutti gli utenti hanno diritti a ottenere prestazioni
uguali; sull’universalità, quindi le prestazioni devono essere garantite a tutti; sull’abbordabilità, il
servizio deve essere fornito agli utenti a prezzi accessibili sull’economicità, il gestore del servizio
deve essere messo nella condizione di svolgere l’attività in modo imprenditoriale, con la possibilità
di conseguire utili. L’architettura della regolazione è funzionale a concretizzare questi principi e gli
strumenti di regolazione sono vari, individuati nelle leggi settoriali.
3. La gestione: si ha gestione diretta se l’attività è svolta da strutture dell’ente titolare del servizio; si ha
gestione indiretta se essa è affidata a un ente pubblico incaricato dello svolgimento del servizio; si
possono avere società in house; si possono avere società miste, a partecipazione pubblica e privata in
una prima esternalizzazione parziale del servizio. La società mista è una forma di partenariato
pubblico-privato che realizza una collaborazione stabile e di lunga durata attraverso l’istituzione di
un’organizzazione comune. Il partenariato può essere di tipo istituzionale: si instaura una relazione
organizzativa tra pubblici e provato che interagiscono all’interno della società mista in sede
assembleare; o può essere istituzionale, un’A stipula con un’impresa un contratto per acquisire beni o
servizi realizzando un’esternalizzazione completa. Esiste anche il partenariato contrattuale, in cui
si concede il servizio a soggetti terzi selezionati su procedure competitive nei casi in cui per ragioni
tecniche il servizio possa essere erogato da un solo gestore. Quando invece sul mercato ci sono più
gestori, viene rilasciata loro un’autorizzazione. Una volta scelta la forma dio gestione del servizio e
individuato il gestore, questo provvede a svolgere tutto il necessario per avviare il servizio.
L’erogazione deve rispettare il contratto di servizio (regola i rapporti PA-titolare servizio-gestore), le
carte dei servizi (stabilisce i livelli da rispettare) e i contratti di utenza (rapporti gestore-utente).

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Esistono le autorità di regolazione dei servizi pubblici aventi rilevanza economica, questo perché il
passaggio dal monopolio alla concorrenza pone il problema della regolazione e dei soggetti a cui affidarla.
In un contesto di liberalizzazione dei mercati l’architettura della regolazione è complessa e riguarda:
- I rapporti tra gestori dei servizi e autorità di regolazione, perché i regolatori devono predisporre una
cornice di regole tali da consentire lo sviluppo di un mercato concorrenziale.
- I rapporti tra gestori in concorrenza, perché sono sottoposti a obblighi reciproci;
- I rapporti tra gestori e utenti, disciplinati da regole poste dalle autorità di settore e dalle carte dei
servizi.

C11- I BENI
11.1 la disciplina pubblicistica dei beni e 11.2 i beni di interesse privati e di interesse pubblico
Per svolgere le loro attività le PA hanno bisogno, oltre che di personale, anche di beni immobili e mobili.
Sono beni che le PA possono possedere a titolo di proprietà privata o a titolo civilistico e devono essere
acquistati con procedure di evidenza pubblica. Quindi le PA, a differenza dei privati, sono titolari e
gestiscono dei beni, però non per finalità proprie, ma per metterli a disposizione della collettività (Es. strade
e musei). Il regime dei beni pubblici trova un fondamento nel Codice civile, che pone la distinzione tra beni
demaniali, disciplinati da regole pubblicistiche e beni patrimoniali (disponibili e indisponibili), che sono
sottoposti a regole particolari. Nell’individuare i beni che ricadono nelle due categorie il codice segue un
criterio formale legato alle caratteristiche dei beni (elenchi). Anche i beni privati possono essere oggetto di
un regime pubblicistico: la proprietà privata infatti può essere conformata dal potere pubblico allo scopo di
assicurarne la funzione sociali e renderla fruibile a tutti (Es. esproprio di proprietà fondiaria). Molte leggi
amministrative infatti introducono limiti al diritto di proprietà allo scopo di tutelare interessi pubblici.
Rispetto ai beni i pubblici poteri possono quindi assumere la duplice veste di Stato proprietario (lo stato ha
la titolarità) e gestore o Stato regolatore (si tratta della conformazione del diritto di proprietà privato). I beni
privati e pubblici possono essere sistemati lungo un alinea che pone a un estremo i beni privati sottoposti al
regime di diritto comune e all’estremo opposto i beni pubblici sottoposti al regime pubblicistico, tra i due
estremi ci sono i beni privati di interesse pubblico e i beni patrimoniali indisponibili.
Può essere posta la distinzione oggettiva tra:
- Beni di interesse privato: sono disciplinati integralmente dal Codice civile; i proprietari hanno
diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, anche a questi beni
possono essere applicati regimi pubblicistici che attribuiscono così poteri conformativi ad apparati
pubblici. molte tipologie di prodotti immessi sul mercato sono posi soggetti ad una regolazione
pubblica volta a garantire sicurezza e qualità (potenziale barriera al commercio). Nella categoria
rientrano anche alcuni beni che possiamo definire come beni pubblici in senso soggettivo, cioè i beni
patrimoniali appartenenti allo Stato e agli enti territoriali e regolati dal diritto comune, che sono
sottoposti al diritto privato e che sono commerciabili.
- Beni di interesse pubblico: sono beni che sotto il profilo oggettivo hanno rilevanza pubblica. Se nei
beni privati l’interesse pubblico se c’è è esterno al bene, nei beni di interesse pubblico l’interesse è
interno (Es. beni culturali).

11.3 i beni patrimoniali disponibili e i beni demaniali e 11.4 i beni comuni


Il Codice civile distingue tra demanio pubblico e beni patrimoniali:
①beni patrimoniali indisponibili, sono sottoposti a regole speciali e al Codice civile, che ne fornisce un
elenco tassativo. Anche i beni degli enti pubblici destinati al pubblico servizio rientrano nella categoria. Il
carattere indisponibile dei beni si manifesta nel fatto che essi, per quanto suscettibili di alienazione, non
possono essere sottratti alla loro destinazione pubblica se non nei modi stabiliti per legge.
②beni demaniali, ineriscono al demanio necessario (possono appartenere solo allo Stato e sono in un
elenco tassativo) o al demanio eventuale (fanno parte del demanio solo se appartengono allo Stato o agli
enti territoriali). Sono beni che in ragione delle proprie caratteristiche presentano un regime giuridico
completamente diversi rispetto ai beni privati (Es. aree archeologiche, spiagge). Sono esclusi dalle regole
ordinarie di circolazione dei beni. I beni demaniali sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti
a favore dei terzi se non nei limiti stabiliti dalla legge. Sono beni incommerciabili e non usucapibili. I beni
demaniali sono in gran parte destinati alla fruizione pubblica, tuttavia, essi possono essere attribuiti in uno a
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singoli utilizzatori attraverso la concessione amministrativa (Es. concessioni balneari). Gli elenchi dei beni
demaniali del Codice civile includono beni naturali e artificiali.
③beni disponibili: sono beni esattamente uguali ai beni dei privati (Es. il comune ha un bene senza
caratteristiche specifiche di cui vuole disfarsi, può farlo con le stesse regole dei beni privati, ma con
procedure di evidenza pubblica).
Tradizionalmente i beni comuni sono le cose che non possono formare oggetto di diritti perché non hanno
la caratteristica dell’appropriabilità. Da qualche anno i beni comuni sono al centro di un dibattito diviso su
due temi: da un lato alcuni beni stanno scarseggiando e richiedono perciò una disciplina; dall’altro, si è
prospettata l’esigenza di garantire accesso e fruizione paritarie. Sono beni che dovrebbero essere gestiti in
base a solidarietà e uguaglianza e pertanto dovrebbero sfuggire alla dimensione proprietaria pubblica o
privata (Es. acqua).

ARTICOLI UTILI
ARTICOLO 3: costituito da 2 commi, nel primo viene
affermato un principio di uguaglianza formale ed è diretta al
parlamento è vincolato nel definire il contenuto delle norme ad
evitare qualunque forma di discriminazione (la Costituzione è
stata emanata nel 1948 e quindi bisogna tener conto del
periodo storico). È l’obiettivo verso il quale il legislatore deve
tendere. Nel comma2 viene fissato un principio di uguaglianza
sostanziale, il Costituente nel 1948 ha stabilito che sia compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli per creare un percorso di
uguaglianza. È compito della Repubblica rimuovere le differenze
che per forza di cose ci sono tra i cittadini (Es. borse di studio,
sussidi, strumenti che cercano di riequilibrare le differenze tra i
cittadini). Il termine Stato in questo caso non viene utilizzato, viene utilizzato “Repubblica” e così il
legislatore vuole riferirsi a tutti gli enti che comprende il sistema (tutte le componenti a prescindere dal loro
livello). Nel primo comma c’è una norma di carattere programmatico, un obiettivo, nel secondo comma la
norma stabilisce che la norma elimini gli ostacoli. L’articolo 3 è una delle norme che più spesso ricorre nella
proposizione dei ricorsi amministrativi perché la norma è talmente ampia e generale che può essere declinata
in modi diversi.
ARTICOLO 5: individua un principio cardine del diritto
amministrativo, l’autonomia. Si doveva coinvolgere nella
funzione amministrativa altri enti. La Costituzione conserva
un’enorme attualità, già nel 1948 disponeva una serie di
principi che sono stati attuati solo molti anni dopo, ancora oggi
l’articolo ha lo stesso testo. Si riconosce il principio del
decentramento ma si ricorda anche che la Repubblica è una ed indivisibile, sarebbe impossibile qualsiasi
processo di divisione e spezzettamento della Repubblica (no federalismo). Fino al 2001 la legislazione
regionale era meramente attuativa di quella statale, e oggi, sebbene ci sia stato uno sforzo per il
potenziamento dell’autonomia sancendo il pluralismo istituzionale paritario, gli spazi di legislazione delle
regioni sono compressi. Perché la norma non è stata attuata subito? Le prime norme risentono del dovere di
bilanciare esigenze contrapposte, tra chi spingeva per il decentramento o chi temeva che questo
determinasse una perdita di autorità per lo Stato centrale. Le norme di principio sono la sintesi di posizioni
distanti.
ARTICOLO 9: è dedicato al paesaggio e al
patrimonio artistico. La Repubblica (il
costituente si riferisce a tutte le componenti,
nel 48 i costituenti immaginavano che tutte le
componenti avrebbero dovuto avere un ruolo
nello sviluppo della cultura, in realtà la
gestione dei beni culturali fino al 2001 è stata
completamente in capo allo Stato). Il

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costituente pone l’accento sulla promozione dello sviluppo della cultura (valorizzazione), l’attenzione del
costituente era volta allo sviluppo, il fatto che lo sviluppo sia anteposto alla tutela del paesaggio fa
supporre che nell’intenzione del costituente la tutela fosse strumentale all’obiettivo primario che era lo
sviluppo della cultura. La relazione definita nella Costituzione è inversa rispetto a quella stabilita dal
Codice2004. Nel Codice dei Beni Culturali a tutela è l’elemento fondante e centrale, quello attorno a cui si
plasma il sistema, la CC ha dichiarato che la valorizzazione è stata fino a poco fa un orpello della tutela. Il
Codice contiene un ribaltamento rispetto alla Costituzione: per la Cost il paesaggio viene tutelato prima del
patrimonio storico. Infine, il termine Nazione non è casuale, lo si fa intendendo la comunità, collettività tutta
nel suo insieme. La costituzione prevedeva la tutela primaria del paesaggio e poi del patrimonio storico
artistico.
Il contenuto dell’articolo è innovativo rispetto al percorso che si è fatto negli anni. Nel febbraio 2022 si è
inserito nell’articolo il tema della sostenibilità ambientale, l’affermazione nell’articolo può essere letta in
due accezioni: la relazione tra sostenibilità e valorizzazione del patrimonio culturale è sempre più stretta
perché ①da una parte il patrimonio deve essere gestito in maniera sostenibile per permetterne la fruizione
in futuro; ②dall’altra la gestione sostenibile del patrimonio contribuisce anche allo sviluppo dei territori (c.
di Faro 2005). La Costituzione recupera recentemente una lacuna, un tassello mancante, chiarendo la stretta
relazione tra sostenibilità e patrimonio culturale; questo ha un risvolto specifico nell’individuazione di
alcune forme di valorizzazione del patrimonio culturale che trovano gli strumenti di rigenerazione culturale.
ARTICOLO 11: è la Costituzione che
giustifica la rinuncia a una quota di
sovranità in favore della partecipazione
della Repubblica all’organismo
internazionale dell’Unione Europea,
questo giustifica la prevalenza delle
norme europee rispetto alle altre ma
allo stesso tempo la loro sottomissione rispetto alla Costituzione, perché e quest’ultima che le legittima.
ARTICOLO 24: i cittadini possono sempre
reagire in giudizio nei confronti delle PA.
Non hanno la possibilità accertata di
ottenere il bene a cui aspirano. Le PA
tutelano interessi pubblici, che sono
considerati superiori rispetto agli interessi
dei singoli, come valuta un giudice quando
un privato propone un ricorso contro un
provvedimento amministrativo? Sebbene il
provvedimento produca danno, se legittimo continua a produrre i suoi effetti, se illegittimo viene abrogato.
La tutela che viene assicurata al privato nei confronti delle PA non è piena, ma mediata: il giudice verifica il
comportamento della PA, legittima o meno. Non soddisfa l’esigenza del privato perché il suo interesse p
subordinato all’interesse pubblico della PA.
ARTICOLO 28: la responsabilità di
un soggetto appartenente ad una
persona giuridica o PA, non si limita
a lui e basta ma la responsabilità si
estende all’ente. Questo è uno
strumento di garanzia per i cittadini:
se un diritto di un cittadino viene leso
da parte di un dipendente pubblico nell’esercizio delle sue funzioni, egli potrà far valere i suoi diritti nei
confronti dell’istituzione pubblica di cui il dipendente è parte.

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ARTICOLO 34: è il fondamento dello stato del Welfare, del benessere. La norma prevede le prestazioni di
carattere sociale e sanitario che lo stato è tenuto a garantire ai cittadini. ARTICOLO 41: l’intervento
economico dello stato nel pubblico ha avuto un andamento ondivago.
C8 p.303
ARTICOLO 95: il Governo è potere esecutivo ma
anche l’ultimo anello del sistema amministrativo. È
cioè Pubblica Amministrazione. Ogni Ministero
disciplina o gestisce un settore di amministrazione, che
trova il suo vertice nell’organo politico /(Ministro) e al
di sotto del ministro si colloca l’apparato
amministrativo in senso proprio (dirigenti che si fanno
carico della gestione delle risorse per mandare avanti il settore). Questi due livelli: politico e amministrativo,
hanno competenze responsabilità diverse; il Ministro ha responsabilità politica perché organo politico e
quindi risponde della propria azione al parlamento; il Dirigente che è vertice amministrativo professionale
ha una responsabilità dirigenziale o di risultato che fa valere di fronte al Ministro, che deve valutarne le
capacità rispetto agli obiettivi definiti dal livello politico ministeriale. La direttiva è lo strumento attraverso
cui il ministro assegna al dirigente una serie di obiettivi: il ministro non dice in che modo l’obiettivo va
perseguito, lascia il dirigente libero di determinare i modi, stabilisce l’obiettivo.
All’ultimo comma si stabilisce che i ministeri possono essere istituiti solo per legge; l’organizzazione
interna può invece fatta attraverso fonti secondarie, regolamenti, perché l’art97 contiene una riserva di legge
relativa, cioè la materia può essere disciplinata anche da fonte di legge.
ARTICOLO 100: riguarda il Consiglio di Stato, che è il secondo grado di giudizio. Nelle sue sentenze
stabilisce la correttezza o meno della sentenza del
primo grado, il giudice d’appello potrebbe ribaltare
la situazione o confermare la precedente. Il
Consiglio di Stato è per eccellenza il consulente
delle PA: quando la PA, in particolare i ministeri,
devono adottare atti amministrativi o compiere
scelte che incidono possono chiedere pareri al
consiglio, che assolve funzione giurisdizionale e di consulenza. Questo lo rende un organo speciale tra le
PA perché da una parte è giudice, e questo necessita dell’imparzialità del giudizio, ma dall’altra è consulente
della PA, quindi, ha una posizione non del tutto esterna; il Consiglio di Stato ha una serie di giudici divisi in
sezioni: alcune sezioni si occupano della giustizia, altre della consulenza, quindi, le funzioni sono svolte da
persone diverse ma l’organo è unico. Il diritto amministrativo è speciale perché per i suoi ricorsi è stato
creato un giudice speciale, il Consiglio di Stato; se il cittadino vince il ricorso e il giudice accerta il danno
che si è prodotto nei confronti del cittadino, questi ha diritto ad un risarcimento. Il giudice decide di
annullare il provvedimento e di stabilire un risarcimento, la cui somma è presa dai soldi pubblici.

I centri storici: sono stati oggetto negli anni della sovrapposizione tra discipline diverse, quella del governo
del territorio (urbanistica) e del Codice dei beni culturali. I centri storici sono porzione di una città
caratterizzata da elementi di rilevanza storici e culturali. Questi nuclei delle città sono stati inizialmente
ambito esclusivo di intervento della disciplina del governo del territorio, quindi dal punto di vista di un
corretto e razionale utilizzo del territorio comunale. I centri storici erano sottoposti a particolari divieti e
norme per le costruzioni. Nella carta di Gubbio degli anni 70 si afferma il principio della salvaguardia dei
centri storici, è quindi il comune con i suoi strumenti di pianificazione che deve tutelare il centro storico.
Perché il comune? perché è l’amministrazione che ha il dovere di definire con i propri strumenti di
pianificazione, i piani regolatori, come il proprio territorio deve essere utilizzato, e perché il centro storico è
parte del territorio de comune, è al comune che spettano le decisioni al riguardo. Il comune si è trovato a
dover bilanciare interessi quasi contrapposti come l’esigenza di innovazione e quella di conservazione dei
centri storici.
Nel codice dei beni culturali è confluita la definizione dei centri storici come beni paesaggistici; nel 2008 il
codice viene modificato, con l’introduzione di un esplicito riferimento nell’art.136 ai centri storici. Ci si
interessa del centro storico come insieme, agglomerato e oggetto unitario, a prescinder dei beni singoli
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all’interno del centro storico. L’individuazione, quindi l’attribuzione di un vincolo specifico, sono
imprescindibili per la tutela del centro storico, questo determina la sovrapposizione delle discipline: il
governo del territorio e il codice. Musealizzazione dei centri storici: per tutelare il centro storico lo si è
svuotato, così da farlo rimanere privo di vivibilità perché non rispondente alle esigenze delle persone. La
tendenza alla conservazione è stata come esasperata. Per risolvere la questione si dovrebbe ricorrere a tutta
una serie di strumenti per rendere nuovamente vivibile il centro storico.

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