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la crisi degli anni 30 (Stato imprenditore). La sola presenza dello Stato in economia determinò un grande
aumento della spesa pubblica, e questo determinò l’indebitamento statale, a causa dell’impossibilità di
inasprire la pressione fiscale oltre i limiti. Furono poi avviate politiche di privatizzazione (Stato regolatore),
lo stato rinunciò a dirigere attività economiche e sociali predisponendo solo una cornice di regole e
strumenti di controllo per l’attività dei privati.
In Italia la svolta si ebbe con l’unificazione nazionale: la Costituzione del 1948 rifonda lo Stato di diritto su
basi democratiche. Negli anni 70, con la creazione del regionalismo, furono istituiti nuovi apparati regionali
anch’essi con sotto articolazioni: l’amministrazione pubblica assunse le sembianze di una costellazione su
più livelli di enti pubblici affiancati ai ministeri centrali. Gli anni 90 videro anche affermarsi una concezione
dello Stato basata sul decentramento e sulla valorizzazione delle autonomie. Il processo culmina nel 2001
con la riforma del titolo V della Costituzione, che ridisegnò l’assetto delle competenze legislative tra Stato e
Regione in base al principio di sussidiarietà. In sostanza il DA cerca di conciliare due esigenze: quella di
curare gli interessi della collettività e quella di garantire le libertà dei singoli.
Il DA rientra nella nozione del diritto pubblico, che include le discipline giuridiche che si occupano
dell’ordinamento dello Stato e del complesso dei poteri pubblici. bisogna distinguerlo dal diritto
costituzionale, che riguarda i rami alti dell’ordinamento e le fonti del diritto; il DA riguarda il complesso
apparato pubblico e la sua attività.
Il DA è autonomo rispetto al diritto privato, ma non riuscendo a coprire tutta la disciplina dell’attività e
dell’organizzazione delle PA, attinge a moduli privatistici: a certe condizioni si applica anche a soggetti
privati. Questa autonomia emerge dalla l241/1990, che regolamenta gli accordi tra PA e privati per la
determinazione del contenuto del provvedimento. L’attività delle PA, quindi, è regolata in parte da leggi
amministrative e in parte dal diritto privato: le PA godono, come le persone giuridiche private, di una
capacità giuridica generale (attitudine di essere titolari di diritti e obblighi in conformità alle norme del
Codice civile). Le PA possono instaurare rapporti giuridici con altri soggetti. Il limite è il fatto che la
capacità giuridica generale è attribuita alle PA per fini di interesse pubblico. Quelli assunti dalle PA sono atti
autoritativi, caratterizzati dall’unilateralità nella produzione degli effetti e dalla loro sottoposizione al regime
del DA. La capacità di diritto privato consente alle PA di ricorrere al modello della società di capitali di
diritto comune per servizi pubblici e per altre attività di rilevanza pubblicistica. Quando ci sono i
presupposti, anche soggetti formalmente privati sono sottoposti in parte al regime di DA: succede per i
privati che in base ai criteri della normativa sono qualificati come organismi di diritto pubblico. La
costituzione di SPA da parte di soggetti pubblici regolate dal diritto privato non comporta che esse si
qualifichino come persone giuridiche private, perché la trasformazione deve essere accompagnata dalla
dismissione del controllo azionario da parte dello Stato. Il DA si caratterizza per la vastità del materiale
normativo e l’ampiezza delle materie, si deve distinguere tra DA speciale e generale: il DA speciale è
costituito dai filoni legislativi che disciplinano i campi di intervento delle PA (urbanistica, sanità, BC); il DA
generale invece è trasversale e opera della scienza giuridica perché essa rielabora il materiale giuridico, lo
classifica e individua le strutture portanti, elabora i concetti giuridici che sono il nucleo del DA.
Da un lato il diritto amministrativo si colloca in una posizione di specialità nei confronti del diritto privato,
dall’altro progressivamente il diritto privato ha contaminato gli istituti del diritto amministrativo.
2.2.1 la Costituzione
Il sistema delle fonti è plurale, ma quella più importante è la ① Costituzione del 1948: l’atto supremo
dell’ordinamento italiano, quello dal quale tutte le altre fonti derivano e che si colloca al vertice di una
ideale scala gerarchica perché contiene direttamente norme e principi, ed è al tempo stesso l’origine di tutti
gli altri atti giuridici. È una fonte rigida, perché serve un procedimento aggravato per modificarla rispetto
alle leggi ordinarie, così facendo i costituenti del ’48 volevano tutelare il testo; è lunga, perché non individua
solo i diritti dei cittadini e l’assetto generale dello Stato, ma tratta anche i compiti di cui lo Stato deve farsi
carico nell’interesse collettivo.
Ha una duplice natura, è fonte di produzione del diritto (contiene norme) ed è anche fonte sulla produzione
del diritto (ci dice come si fanno le leggi e come si fanno tutte le altre fonti del diritto). È composta di più
parti ma le prime norme costituiscono il nucleo di principi fondamentali immodificabili. Le leggi
costituzionali sono le uniche leggi che possono modificare la fonte suprema.
La riforma del Titolo V nel 2001 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dell’equi
ordinazione tra competenze legislative statali e regionali, che devono essere esercitate nel rispetto della
Costituzione, e dell’attribuzione alle regioni di una competenza legislativa generale residuale, con
indicazione delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello stato.
2.2.3 L’UE
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Le PA emanano gli atti amministrativi, ma non tutti gli atti sono provvedimenti, alcuni non hanno le caratteristiche specifiche
del provvedimento. Esistono i pareri, che non sono provvedimenti amministrativi perché non definiscono una situazione
giuridica, non la modificano in maniera coercitiva. Il parere è un atto strumentale rispetto al procedimento che la PA svolge, è
atto amministrativo perché deriva dalla PA ma non incide su una situazione giuridica perché ha carattere non finale ma
strumentale.
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Sulla base dell’art.117Cost ②le fonti UE sono gerarchicamente sopraelevate rispetto alle fonti primarie,
vige il principio secondo il quale le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere
disapplicate (Es. concessioni balneari: i comuni devono disapplicare le norme nazionali che ne prevedono
la proroga automatica della durata perché in contrasto con la normativa europea che impone una
procedura di gara per la scelta del concessionario).
L’Unione Europea emana delle norme comuni agli stati membri, che entrando a farne parte rinunciano ad
una porzione della loro sovranità. Le fonti previste dal trattato costitutivo dell’unione:
Regolamenti: una volta adottati nell’Unione entrano a far parte del regolamento di tutti gli stati
indipendentemente dalla loro volontà, non necessitano di nessuna forma di recepimento e non
possono essere derogati. Hanno efficacia diretta e immediata in tutti i loro elementi in tutti gli stati
membri, sono la fonte più importante e sono obbligatori in tutti i loro elementi. È uno strumento che
l’Unione utilizza quando vuole disciplinare una materia senza lasciare spazio di discrezionalità agli
stati.
Direttive: vengono adottate a livello europeo e indirizzate agli stati membri, che però devono
svolgere un’azione di recepimento perché in questo caso l’Unione fissa un obiettivo, ma lascia
definire agli Stati membri, ognuno secondo le proprie esigenze e caratteristiche, il modo e i mezzi
per raggiungere tale obiettivo. La direttiva non produce effetti finché non viene tradotta e recepita
dallo stato, è necessaria una mediazione (L’insediamento di un nuovo governo è un momento di
blocco e paralisi per lo stato, in Italia è molto frequente. l’attuazione e il recepimento delle direttive
viene messo in stop durante questi periodi politici, anche per questo l’Italia è spesso in ritardo
rispetto agli altri stati nel recepimento delle direttive). Una volta scaduto il termine previsto per il
recepimento da aprte degli Stati membri, hanno efficacia diretta negli stati. Fonti derivate.
Trattati: è come se fosse la costituzione dell’UE. Meritano menzione anche la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo. Fonti primarie.
Decisioni: hanno contenuto puntuale, sono vincolanti per gli Stati ma non hanno efficacia diretta.
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Le regioni sono state istituite nel 1970, ma fino al 2001 la loro capacità e competenza sono state limitate.
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2. D’attuazione; emanati nelle materie non coperte da riserva assoluta, normativa di dettaglio;
3. Indipendenti: intervengono se manca una disciplina di rango primario;
4. Di organizzazione: disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle PA;
5. Delegati: previsti nelle materie senza riserva assoluta e attuano la delegificazione. Sostituiscono la
disciplina posta da una fonte primaria con una di una disciplina secondaria. Occorre legge di
autorizzazione. Fine anni 90 ci fu un intervento di riforma molto ampio che copre vari aspetti,
avviene con le leggi Bassanini. Propone degli interventi riconducibili a tre aspetti tutti orientati alla
semplificazione del sistema amministrativo. Semplificazione organizzativa (si toccano le strutture
pubbliche cercando di eliminare sovrapposizioni per snellire l’apparato), semplificazione
procedimentale (come velocizzare i procedimenti amministrativi), semplificazione normativa (troppe
norme sugli stessi argomenti, necessità di razionalizzare). Per semplificare le norme, le Bassanini3
introdusse il regolamento di delegificazione, perché il regolamento ha un procedimento più snello,
per evitare di fare nuove leggi di modifica, si attribuiscono questi poteri ai regolamenti del governo,
che semplifica più velocemente la norma. A monte c’è una legge del parlamento che li autorizza, è
questo il fondamento. Il parlamento autorizza il governo ad emanare un regolamento che può
modificare una legge già esistente.
6. Ministeriali: previsti nelle materie attribuite ala competenza di uno o più ministri.
In base al principio della preferenza della legge, i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte
del giudice ordinario.
Conflitti tra norme giuridiche: per redimere le controversie tra le fonti, quindi ci si pone la domanda di
quale legge andare ad applicare in un caso specifico, sono stati emanati dei criteri:
1. Gerarchico: una fonte subordinata non può modificarne una sovraordinata, c’è una gerarchia. La
fonte più in basso non può essere in contrasto con una fonte più in alto.
2. Cronologico: la fonte più recente prevale sulla meno recente. Il criterio si applica a fonti equi
ordinate perché se le fonti sono di grado diverso non si pone il problema di quale fonte prevalga
sull’altra. La legge successiva modifica immediatamente la legge precedente.
3. Competenza: si applica perché il 117Cost indica le materie di competenza esclusiva dello stato
(tutela), le materie di competenza concorrente (valorizzazione) e tutte le materie che non sono
indicate nel 117 sono di competenza residuale regionale. La Corte costituzionale è l’organo che deve
vigilare sulla coerenza tra le leggi, ma anche sulla competenza: se la tutela è compito statale le
regioni non possono legiferare, se lo facessero emanerebbero una legge incostituzionale4.
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subordinata al rispetto dei criteri del bando stesso. Il bando, in ragione della rilevanza che assume per la
gara, deve essere oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale UE: la pubblicazione del bando deve
garantire la più ampia diffusione del procedimento e quindi la più ampia partecipazione dei concorrenti. I
bandi hanno contenuto concreto poiché esauriscono i loro effetti al completamento della procedura, quindi
con l’approvazione della graduatoria finale. Nel bando, oltre i requisiti di partecipazione alla gara, viene
individuata la procedura che la PA concretamente sceglierà di seguire per la valutazione delle offerte.
Le procedure di scelta stabilite nel codice di contratti pubblici sono:
- Aperta: procedura che nelle norme di contabilità pubblica è definita come asta pubblica. Chiunque
faccia domanda di partecipazione al bando viene ammesso a quella procedura (Es. comuni che
vogliono dismettere beni di loro proprietà). Tutti coloro che rispondono al bando vengono invitati
alla procedura di asta pubblica. Il contraente viene scelto: nel caso in cui sia il comune a vendere si
sceglie l’offerta più conveniente (chi offre il prezzo più alto)
- Ristretta: procedura definita come licitazione privata. Rispetto al caso dell’asta pubblica cambia il
fatto che tra quelli che rispondono al bando, la PA ne invita alcuni. Solo quelli invitati dalla PA
partecipano alla procedura, è come se ci fosse una preselezione. Nella prassi dei contratti pubblici, di
fatto le PA tendono comunque a invitare tutti coloro che fanno domanda perché chi fa domanda e
non è invitato potrebbe fare ricorso. La PA non se ne avvale.
- Negoziata: nelle norme di contabilità pubblica era la trattativa privata. Era l’ipotesi in cui la PA
negoziava con un contraente specifico le condizioni e il contenuto del contratto. Questa procedura si
discosta nettamente dalle due precedenti perché non c’è concorrenza. Perché è legittima, se si è detto
che l’obiettivo prioritario è allargare la concorrenza e tutelarla? Il codice dei contratti pubblici
prevede esattamente le ipotesi in cui la trattativa privata può essere fatta, la legge la prevede quando
ci siano condizioni di necessità e urgenza tali che la procedura ordinaria non sia possibile, o quando
il servizio può essere fornito da una sola ed unica impresa quindi non posso acquistare da nessun
altro. Quindi la motivazione deve essere ancora più forte e solida perché la scelta di un contraente
comporta l’esclusione di altri concorrenti.
Vengono indicati nei bandi anche i criteri di scelta: possono partecipare chiunque o solo alcuni, vengono
istituite una commissione per la scelta e stabilite una serie di scadenze. Quando la commissione di
aggiudicazione riceve le offerte pervenute, dovrà valutarle sulla base dei criteri di aggiudicazione:
- Il criterio del prezzo più basso;
- Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il criterio prende in considerazione una
pluralità di aspetti caratteristici dell’offerta, non solo il prezzo ma anche la qualità. Ci devono essere
una serie di criteri per guidare la commissione verso la scelta più economica, che prende in
considerazione il prezzo ma anche altri parametri, indicati nel bando, che assicurano la scelta
migliore.
Ciascuna delle offerte che partecipano alla procedura di gara ottiene un primo punteggio, che deriva dalla
valutazione che la commissione fa in base al prezzo e un secondo punteggio per tutti gli altri criteri (Es.
numero dipendenti). Sommando i punteggi risulta la graduatoria. La scelta della commissione rientra nella
discrezionalità tecnica: la commissione ha potere di scelta, ma è vincolata nell’aggiudicazione dei punti, al
rispetto di alcuni parametri. Una volta che le offerte pervenute sono formalmente accettabili, si valutano (Es.
busta non sigillata= irregolarità).
Il vincitore della graduatoria è l’aggiudicatario.
I requisiti di partecipazione sono dichiarati dall’offerente al momento della richiesta di partecipazione al
bando, questi non vengono accertati dalla PA per motivi di tempo; la PA verificherà l’effettiva esistenza dei
requisiti solo per quanto riguarda il profilo del vincitore, per questo si distingue tra aggiudicazione
provvisoria e definitiva. Quindi l’aggiudicazione è un provvedimento amministrativo che produce effetti
ampliativi nella sfera giuridica del destinatario a fronte del quale la posizione del destinatario è interesse
legittimo pretensivo. L’aggiudicazione è il provvedimento che chiude la fase di evidenza pubblica, che si
apre con la delibera a contrarre; la fase appena descritta è disciplinata dal diritto amministrativo, mentre è il
diritto civile a disciplinare l’esecuzione del contratto. Una volta che la PA, all’esito della procedura, ha
individuato il suo contraente, stipula un contratto secondo le stesse regole con cui i soggetti privati stipulano
lo stesso tipo di contratto.
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Se viene meno il presupposto (provvedimento di aggiudicazione) che cosa succede al contratto stipulato con
quel contraente? C’è stato un periodo in cui alla domanda venivano date risposte diverse: secondo il giudice
amministrativo l’annullamento dell’aggiudicazione travolge il contratto perché il contratto si fonda su
qualcosa che non esiste più, quello che succede nella procedura di scelta travolge il contratto; a questa si
popone il giudice ordinario, per il quale il contratto, una volta stipulato, deve rimanere efficace a prescindere
dal fatto che la procedura a monte sia viziata. La diatriba si risolve nel codice che disciplina il processo
amministrativo che prevede che il contratto stipulato rimanga efficace, salvo che l’aggiudicazione sia stata
annullata per vizi gravi, che vengono indicati dallo stesso articolo di legge, cioè: se la procedura è stata
annullata perché è stata svolta senza pubblicazione del bando, o perché la scelta del contraente è stata fatta
con procedura negoziata privata fuori dai casi previsti, allora il contratto viene travolto.
Una materia attribuita alla competenza esclusiva del giudice amministrativo è quella dei contratti
pubblici; questa materia è particolare anche rispetto alla competenza del giudice perché nel codice il
legislatore ha rafforzato i poteri del giudice, che fuori dai casi gravi in cui il contratto viene travolto, valuta
se mantenere o meno l’efficacia del contratto. Al giudice amministrativo viene attribuito l’onere di valutare
le conseguenze del contratto, acquisisce dei poteri diversi rispetto al passato perché diventa come il gestore
del contratto perché deve controllare se, rispetto al soddisfacimento pubblico, è meglio che il contratto
rimanga o meno efficace. (Es. Uni appalta servizi pulizia locali, partecipano X, Y, e Z. X è 1, Y 2. Se Z
impugna l’aggiudicazione perché la ritiene illegittima, e il giudice gli dà ragione, il provvedimento è
annullato. Però X ha cominciato a dare esecuzione al contratto. Il giudice, quando deciderà
sull’annullamento dell’aggiudicazione dovrà valutare cosa farne del contratto stipulato valutando che Z è
stato effettivamente penalizzato da una procedura illegittima, che verrà annullata, ma dovrà anche decidere
se Z ha diritto ad un risarcimento del danno. Come? Valutando la fondatezza della pretesa, tramite il
controllo dei criteri, e se in assenza della violazione commessa, Z avrebbe vinto. In quel caso avrebbe
diritto al risarcimento del danno. Ma se Z fosse stato comunque 3, non dovrebbe essere risarcito. Se invece
fosse stato Y a vincere, avrebbe avuto diritto al risarcimento. Discrimine è anche la cattiva o buona fede di
X). Il giudice in questo contesto ha poteri penetranti.
Nell’ambito del processo amministrativo, la tutela delle norme in materia di contratti pubblici è
caratterizzata da norme diverse dalle generali, che tendono a privilegiare quelle che tendono alla celerità
della conclusione dei contenziosi. Un mezzo per tutelare questo principio è il fatto che le PA devono
aspettare 35gg per dare esecuzione al contratto, per dar modo di fare ricorso.
Il codice dei contratti pubblici disciplina una pluralità di tipi di contratti che la PA può stipulare, tipi di
contratti in cui tutti i contraenti sono scelti tramite la procedura illustrata. Le macrocategorie sono: appalti e
concessioni. Entrambi sono contratti onerosi (c’è una prestazione di A, a fronte della quale B eroga la sua
controprestazione. Entrambi sono suscettibili di valutazione economica).
La differenza?
- La ripartizione del rischio tra i soggetti. Il concessionario può guadagnare di più se l’attività o
l’opera pubblica produce meno (rischio di mancato guadagno) o guadagnare di più; L’appaltatore
viene pagato.
- La remunerazione del contraente privato. Se il comune dà in appalto il servizio di realizzazione di
un parcheggio pubblico, fa una procedura di evidenza pubblica all’esito della quale verrà individuato
un contraente, che realizzerà l’opera e che verrà pagato direttamente dalla PA. Se il comune dà in
concessione la costruzione e gestione di un parcheggio pubblico fa la stessa procedura di evidenza
pubblica, ma al soggetto contraente non solo fa realizzare il parcheggio ma glielo da anche in
concessione. La remunerazione del soggetto privato viene in parte dal comune, ma anche dagli
introiti che il contraente ha dall’attività di gestione.
Gli atti di pianificazione: una delle esigenze che presiedono l’esercizio dei poteri amministrativi è che esso
avvenga in modo coerente con una strategia complessiva, pertanto, per molte materie la legge prevede
un’attività di pianificazione o programmazione con la quale di prefigurano obiettivi, priorità, limiti e criteri
che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi (Es. il rilascio dei permessi di costruire avviene nel
rispetto dei piani regolatori). L’attività di programmazione è utile a creare raccordi tra i diversi livelli di
governo, secondo il metodo della pianificazione a cascata (Es. PNRR-piano regolatore generale urbano).
Le ordinanze contingibili e urgenti: gli stati devono disporre di strumenti per far fronte a emergenze
imprevedibili (Es. Covid), che possono mettere a repentaglio interessi fondamentali della società ma che non
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possono essere classificate e disciplinate ex ante. Con la Costituzione questo tipo di potere viene assorbito
quasi completamente dal governo, che in casi straordinari può emanare decreti-legge. Anche il sindaco ha
poteri di questo tipo, egli infatti può adottare provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Le ordinanze comunali
contingibili e urgenti sono atipiche perché caratterizzate da un alto tasso di discrezionalità, il loro contenuto
non è predeterminato dalla legge perché la legge non può prevedere astrattamente quale è la soluzione
migliore per risolvere un’emergenza e quindi lascia una maggiore discrezionalità al soggetto che deve
adottare il provvedimento per risolverlo al meglio. Le leggi attributive di questo tipo solitamente si limitano
all’individuazione della PA competente ad adottarli, descrivendo generalmente il presupposto che ne
legittima l’emanazione e a specificare il fine pubblico da perseguire; esse lasciano indeterminato il
contenuto del potere e i destinatari del provvedimento. L’autorità competente è titolare di un’ampia
discrezionalità, sia nel momento in cui valuta la situazione di fatto tale da giustificare l’esercizio del potere
di ordinanza, sia nel momento in cui individua le misure da adottare. È difficile individuare i limiti entro i
quali i poteri di ordinanza devono muoversi, ciò che è certo è che non possono essere emanate in contrasto
con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione. È basilare
però il principio di proporzionalità: il contenuto delle ordinanze deve essere ovviamente calibrato in
funzione dell’emergenza specifica da fronteggiare, da qui il carattere provvisorio. Essendo uno strumento
extra ordinem, il potere di ordinanza ha carattere residuale, non può quindi essere esercitato in luogo di
poteri tipici previsti dalle norme vigenti già idonei a far fronte a quel tipo di situazione. Le ordinanze
comunali hanno natura non normativa, riferendosi ad accadimenti specifici hanno quindi un carattere
concreto. Se la situazione di emergenza tende a protrarsi le ordinanze però acquistano un carattere di
astrattezza e finiscono per essere simili ai regolamenti comunali.
Direttive e atti di indirizzo: affini agli atti di pianificazione sono le direttive amministrative, il cui contenuto
non è costituito da prescrizioni puntuali e vincolanti, ma indica fini e obiettivi da raggiungere. Esse, quindi,
attribuiscono ai loro destinatari ampi spazi di valutazione e decisione, questi ultimi possono anche
disattenderle. Le direttive possono essere
- Intraorganiche: l’organo sovraordinato orienta l’attività dell’organo sottordinato;
- Intersoggettive: ad esempio il ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei
confronti di enti pubblici strumentali, la cui attività deve essere resa coerente con fini istituzionali
propri del ministero o della regione.
Le norme interne e le circolari: le organizzazioni complesse, anche private, si dotano di regole per
disciplinare il funzionamento e i raccordi tra le unità operative aziendali. La distinzione tra norme interne ed
esterne si è attenuata anche grazie alla l.241/1990, che aveva introdotto un obbligo generalizzato alla
pubblicazione, questo per rendere conoscibile le norme interne al di là della cerchia dei titolari e degli
addetti agli uffici interni. Esse fanno sorgere nella generalità degli amministrati l’aspettativa che essere
costituiranno una guida dell’azione amministrativa. Il mezzo principale di comunicazione delle norme
interne è quello delle circolari, che sono uno strumento di orientamento e guida degli uffici. Le circolari
sono quindi atti di un’autorità superiore che stabiliscono in via generale e astratta regole di condotta per le
autorità inferiori per lo svolgimento degli affari d’ufficio interni. Il contenuto è vario, ed esse perdono il
carattere di atto amministrativi tipico diventando uno strumento di comunicazione di atti ciascuno dei quali
ha configurazione tipica. Nella prassi ce ne sono almeno 3 tipi:
- Interpretative: mirano a rendere omogenea l’applicazione di nuove normative da parte delle PA;
hanno un maggior grado di vincolatività quando vengono emanate in apparati organizzati secondo
una gerarchia: l’inferiore gerarchico si deve attenere all’interpretazione indicata dal superiore;
- Normative: hanno la funzione di orientare l’esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di
poteri amministrativi; esse non hanno per oggetto l’interpretazione delle norme da applicare ma gli
spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all’autorità amministrativa. Con queste
circolari l’organo sovraordinato indirizza l’attività dell’organo subordinato, specificando le finalità
ecc. Il destinatario può tenerne conto, ma può disattendere.
- Informative: sono emanate per diffondere all’interno dell’organizzazione notizie, informazioni e
messaggi disparati.
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tutela giurisdizionale: la legge determina quali sono gli organi giurisdizionali che hanno il poter di annullare
gli atti della PA nei casi e con gli effetti previsti dalla legge. Emergono due aspetti:
1. La sottoposizione necessaria degli atti e provvedimenti amministrativi a un controllo giurisdizionale
operato dal giudice amministrativo e da quello ordinario;
2. La loro annullabilità nei casi di accertata difformità rispetto alle norme;
la nozione di “atto amministrativo” nasce alla fine del XIX secolo, quando viene istituito in Italia un giudice
speciale diverso da quello ordinario; subito si pose la questione della determinazione di quali atti avessero le
caratteristiche necessarie ad essere sottoposti all’attenzione di questo giudice: doveva trattarsi di un atto
emanato da un’autorità amministrativa, ritenuto illegittimo, che fosse lesivo di una situazione giuridica
soggettiva del privato.
Dalle disposizioni legislative emerge subito la differenza tra atto e provvedimento: atto è ogni dichiarazione
di volontà, di desiderio e conoscenza compiuta da un soggetto dell’amministrazione pubblica nell’esercizio
di una potestà amministrativa”, provvedimento è invece la subcategoria più importante degli atti
amministrativi ed è una manifestazione di volontà, espressa dall0amministrazione titolare del potere all’esito
di un procedimento, volta alla cura del pubblico nel concreto, tesa a produrre in maniera unilaterale degli
effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari.
È la legge 7 agosto 1990 n.241 nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi” a fornire le disposizioni legislative di base.
La norma ha segnato un cambiamento epocale su questi temi, segna il passaggio da un modello di rapporto
tra PA e cittadino in cui secondo è il destinatario dell’azione pubblico, a un modello in cui il cittadino è
coinvolto e collabora all’esercizio dell’attività amministrativa, con limiti e precisazioni. Per descrivere il
cambiamento si usava la metafora della “casa di vetro”, tutto ciò che succede dentro le PA deve essere
visibile all’esterno. Non interessa più solo la decisione assunta dalla PA, ma il modo in cui questa perviene
alla decisione, questo è lo strumento del cittadino per verificare le azioni della PA perché l’attività
amministrativa è funzionalizzata perciò tutte le PA operano al servizio dei cittadini. La legge definisce un
procedimento amministrativo valido in generale, norme che valgono per tutti i procedimenti a meno che non
ci siano norme specifiche e speciali. Definisce uno standard minimo di garanzie per il cittadino di fronte
all’attività della PA.
La legge 241/90 è composta da:
- Un primo gruppo di articoli che riguardano i principi fondamentali che orientano l’attività
amministrativa;
- Una parte dedicata allo svolgimento del procedimento;
- Un riguardo la semplificazione del procedimento;
- Una parte dedicata all’accesso ai documenti amministrativi;
- Una parte riguardo l’invalidità del processo amministrativo;
Principi fondamentali: art.1, che si richiama alla norma costituzionale dell’art97Cost. Il principio di
legalità viene menzionato subito, l’attività amministrativa è organizzata e orientata secondo la legge (le
funzioni sono definite dalla legge, è l’indirizzo dell’attività amministrativa), questo rimanda anche alla
tipicità dei provvedimenti amministrativi (corrispondono a un modello previsto dalla legge). È una legalità-
garanzia per il cittadino, che sa che il provvedimento è stato adottato nel rispetto della legge, quando questo
non è conforme alla legge è illegittimo. Prima della norma l’attività della PA era coperta da segreto
d’ufficio, il cittadino non era libero di sapere. Si fa riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario
(principio di precauzione e proporzionalità, l’azione amministrativa deve comportare il minimo sacrificio
per il privato).
Comma 1-bis: l’atto amministrativo è la categoria generale ed ampia entro la quale rientrano i
provvedimenti, che sono una particolare tipologia di atti amministrativa perché hanno 3 caratteristiche.
Tutti i provvedimenti amministrativi hanno:
- Destinatario;
- Concretezza del dispositivo contenuto (oggetto concreto);
- Autoritatività;
- La capacità di incidere sulla situazione giuridica del destinatario;
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Ci sono anche atti di natura non autoritariva, la PA spinge per atti privatistici per cercare il consenso del
destinatario. Le PA, quando non devono emanare provvedimenti, utilizzano il diritto privato, perché
ottenendo il consenso dell’interessato eliminano la probabilità dei ricorsi.
Comma 1-ter: tratta le PA in senso sostanziale, i risultati delle privatizzazioni. Si razionalizza un principio
derivato dalla prassi. Viene prima l’applicazione concreta, sulla base dell’osservazione del fenomeno si
codifica il principio, è un processo inverso.
Comma 2: l’istruttoria è la fase centrale del procedimento, la PA studia la questione per decidere. Si parla
del divieto di aggravamento: il termine del procedimento è previsto dalla legge, ma a volte scade e la PA
non ha deciso. In altri casi il termine viene prorogato perché la PA non ha abbastanza elementi, oltre quale
limite questo può avvenire? C’è una tendenza del procedimento tra esigenze opposte: quanta attività
conoscitiva devo fare per prendere la giusta decisione (buona decisione), rispettare un termine che sia
ragionevole (decisione veloce).
Art2: la conclusione del procedimento. La regola generale è che il procedimento si conclude con un
provvedimento espresso. Non sempre il procedimento di conclude così, il legislatore ha qualificato in senso
positivo e negativo il silenzio dovuto all’inerzia. Modalità di interpretazione del silenzio.
Art3: motivazione del provvedimento. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli
sull’organizzazione dei concorsi, deve essere motivato. Fissa un obbligo generale di motivazione dei
provvedimenti amministrativi perché solo questi incidono sulla sfera giuridica, solo per i provvedimenti si
può fare ricorso. La motivazione serve al privato per strutturare il ricorso. Essa indica: le norme che la PA
ha applicato per l’adozione del provvedimento, e i fatti su cui si è basata per arrivare alla decisione. È il
momento che lega il provvedimento all’istruttoria.
Comma 2: La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale perché
manca il requisito della concretezza.
Art4: ogni volta la PA avvia un procedimento, deve anche indicare un soggetto responsabile, che risponde
dell’istruttoria, di tutti gli adempimenti procedurali e dell’adozione del provvedimento finale. Questo si
richiama al principio di trasparenza e pubblicità, la figura del responsabile è una delle applicazioni concrete
di questo principio. È colui che coordina e sovrintende la parte istruttoria.
Art7: Il destinatario del procedimento e altri enti possono intervenire e partecipare al procedimento. La
partecipazione si lega:
- Garanzia, partecipare l procedimento il provato può accedere agli atti e tutelarsi assumendo anche lui
informazioni;
- Pubblicità
- Quadro completo di informazioni
Possono partecipare, non solo il destinatario, ma anche altri soggetti che hanno interessi opposti rispetto al
destinatario. La PA deve valutare quale tra gli interessi prevale. La partecipazione viene disciplinata al Capo
III, che cerca di disciplinare la massima partecipazione equilibrandola anche ai tempi di decisione (più
soggetti partecipano più è lento). Un soggetto viene a conoscenza dell’avvio del procedimento tramite una
comunicazione di avvio del procedimento, che si inoltra a coloro verso i quali il procedimento produrrà
effetti, a coloro che per legge devono intervenire, anche a coloro ai quali l’adozione del provvedimento
possa arrecare pregiudizio.
La comunicazione deve contenere:
- L’amministrazione competente;
- L’oggetto del procedimento;
- L’ufficio responsabile
- La data entro cui il procedimento deve concludersi;
- La modalità di pubblicazione degli esiti;
sempre in base all’art7 si può partecipare al procedimento quando questo sia cominciato dietro una notifica e
comunicazione dell’avvio del procedimento.
Art9 stabilisce chi è legittimato ad intervenire nel procedimento: qualunque soggetto che porti interessi
pubblici o privati o portatori di interessi diffusi. I soggetti che hanno preso parte al procedimento hanno il
diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti che
l’amministrazione ha l’obbligo di valutare.
Art13 Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione.
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Art11 Il legislatore prevede un collegamento diretto tra la partecipazione e l’esito del provvedimento.
L’amministrazione può concludere un provvedimento, ma non è obbligato alla stipula dell’accordo. Si
ribadisce che il provvedimento vuole tutelare il pubblico interesse. Ci sono due ipotesi di accordo, uno che
sostituisce integralmente il provvedimento, e uno che integra il provvedimento, alcuni aspetti sono frutto
dell’accordo tra privato e PA (quando l’attività è vincolata non c’è una porzione elastica in cui si può avere
discrezionalità, gli accordi che siano integrativi o sostitutivi sono realizzabili solo quando l’attività è
discrezionale). Questo richiama il fatto che l’ipotesi degli accordi rientra comunque nell’esercizio del potere,
che viene esercitato in maniera consensuale, attraverso l’accordo con il privato che definisce alcuni aspetti
ed evitare che il privato faccia ricorso. È una forma ibrida a cavallo tra provvedimento e contratto.
In un caso l’accordo serve solo a definire alcuni aspetti del provvedimento (integrativo), in altri casi
l’accordo sostituisce il provvedimento quindi il procedimento amministrativo si conclude con un accordo e
non con un provvedimento (sostitutivo).
Per i contratti di diritto privato vale la regola della libertà delle forme (anche non scritti), per gli accordi
amministrativi non è così, essi devono essere stipulati a forma scritta pena nullità; non si applica agli accordi
la disciplina dei contratti, si applicano i principi del Codice civile che valgono per i contratti quando questi
sono compatibili e non ci siano prescrizioni differenti (la forma scritta è già una differenza rispetto ai
contratti. Se si applicasse la disciplina dei contratti gli accordi si potrebbero fare anche oralmente, ma non si
può). Anche gli accordi, come i provvedimenti (art3) devono essere motivati. Si applicano agli accordi
amministrativi gli strumenti di controllo previsti per i provvedimenti. Dagli accordi amministrativi solo la
PA può recedere dall’accordo, in nome dell’interesse pubblico (la relazione è comunque impari); se il
privato subisce un danno dal recesso, può ricevere un indennizzo, il giudice deve verificare la fondatezza del
ricorso (risarcimento del danno dato a fronte di condotta illegittima, indennizzo a fronte di una condotta
legittima). L’accordo amministrativo è quindi una forma di esercitazione consensuale del potere, perché
siamo nell’ambito di un procedimento amministrativo (forma esteriore dell’esercizio del potere); può essere
sostitutivo o integrativo del provvedimento.
Art15 Esistono accordi tra PA e privati oppure tra PA e PA. Non si applica il comma4 dell’art12, quindi la
possibilità di recedere di una sola parte dell’accordo (deroga rispetto ai principi del Codice civile). La Pa
può recedere solo per sopravvenuti interessi di carattere pubblico, il recesso deve essere eseguito in base ad
una circostanza oggettiva.
Il procedimento: la l241/1990 richiama la nozione di procedimento amministrativo, una sequenza
individuata dalla legge di operazioni e atti strumentali utili all’emanazione di un provvedimento finale
produttivo di effetti giuridici nei rapporti esterni; la legge non ne fornisce una definizione precisa. Il
procedimento è in sostanza la modalità ordinaria di esercizio delle funzioni pubbliche, in considerazione
delle esigenze di trasparenza, di garanzia degli utenti coinvolti di fronte ad atti che sono l’espressione
dell’autorità statale. La funzione amministrativa si manifesta nel procedimento amministrativo, che si
conclude con un provvedimento autoritativo o imperativo; nel diritto privato ciò che precede i negozi è
irrilevante.
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astrattamente gli elementi della fattispecie e l’effetto che le si ricollega (es. illecito> risarcimento danno).
Ma il diritto conosce anche lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico, diversa poiché viene meno
l’automatismo della produzione dell’effetto; infatti, il verificarsi di un fatto concreto conforme alla norma
attributiva del potere determina in capo al titolare del potere la possibilità di produrre l’effetto giuridico
individuato a livello di fattispecie normativa attraverso una dichiarazione di volontà. Tra fatto ed effetto di
interpone il potere, e il titolare è libero di decidere se provocare o meno, con una propria manifestazione,
l’effetto tipizzato dalla norma. È questo lo schema del diritto potestativo, che può essere di due tipi:
stragiudiziale, la produzione dell’effetto discende direttamente dalla manifestazione di volontà del titolare
del potere (è unilaterale; Es. licenziamento per giusta causa); a necessario esercizio giudiziale, il prodursi
dell’effetto giuridico presuppone, oltre alla volontà del titolare, anche un accertamento giudiziale per la
verifica della fattispecie concreta (Es. annullamento del contratto).
Il potere amministrativo viene ricondotto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale perché la
produzione dell’effetto giuridico discende in modo immediato dalla dichiarazione di volontà
dell’amministrazione che emana il provvedimento; questo trova giustificazione nell’esigenza prevalente di
garantire la realizzazione immediata dell’interesse pubblico. Il potere amministrativo trova fondamento nella
legge, nella norma di conferimento del potere, piuttosto che nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si
produce l’effetto (Es. esproprio). D’altronde il potere della PA non è sempre vincolato: di regola la legge
attribuisce all’amministrazione margini più o meno ampi di apprezzamento e valutazione discrezionale che
possono modulare il contenuto degli effetti.
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l’interesse legittimo incorpora una pretesa risarcitoria, ha per forza come oggetto un bene della vita
suscettibile di lesione da un provvedimento illegittimo. Questo bene della vita viene tutelato anche
attraverso l’azione di adempimento, con cui il giudice condanna la PA all’emanazione di un provvedimento
richiesto da un privato attribuendogli il bene della vita desiderato (Es. autorizzazione). L’interesse legittimo
è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della PA e tutelata direttamente dalla norma di
conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà per influire sull’esercizio
del potere allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita. Questi poteri e facoltà si concretizzano nel
procedimento con l’istituto della partecipazione, che consente al privato di rappresentare il proprio punto di
vista presentando memorie e documenti. La partecipazione tende a riequilibrare la posizione di soggezione
nei confronti del titolare del potere; l’interesse legittimo ha sia una dimensione passiva (soggezione al
potere) sia una dimensione attiva (pretesa a un esercizio corretto del potere al quale corrispondono poteri e
facoltà verso la PA).
L’interesse legittimo è la posizione del soggetto quando l’amministrazione esercita un potere
discrezionale. Il rapporto tra PA e privato cambia a seconda di quale siano le modalità; il cittadino, nei
confronti della PA è titolare di un interesse legittimo (posizione giuridica soggettiva, in presenza di un
provvedimento, il giudice a cui si deve rivolgere per le controversie con la PA è il giudice amministrativo).
Oppure il cittadino può essere titolare di un diritto soggettivo (si stipula un contratto quindi la relazione è
paritaria/ se il privato ha una controversia legata all’inadempimento del contratto il giudice di riferimento è
quello ordinario). Ci sono alcuni ambiti in cui la scissione tra i due è difficile perché ciò che c’è a monte non
è propriamente né un provvedimento né un contratto.
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- Potestà legislativa esclusiva dello Stato: le materie indicate sono riservate allo Stato, in questo
senso una disposizione regionale che si discosta da queste materie è valida. La regione, tuttavia, può
specificare il contenuto delle norme statali emanando normative di dettaglio volte a specificare e
chiarire il contenuto. Le materie scelte e riservate alla competenza esclusiva statale, richiedono una
disciplina uniforme e omogenea definita a livello centrale (tutela dei beni culturali, le Regioni non
hanno nessuna competenza, laddove una Regione facesse una legge in materia di tutela con
variazioni rispetto alla legge statale sarebbe dichiarata dalla Corte costituzionale come illegittima e
quindi sarebbe abrogata. Se attuasse una legge statale senza variare nulla rispetto alla legge statale
sarebbe ammissibile).
- Potestà legislativa concorrente Stato-Regioni: riguardo queste materie spetta alle Regioni la
capacità legislativa, nel rispetto dei principi quadro fondamentali stabiliti dallo Stato (stabiliti dal
Codice2004) (valorizzazione, la Regione può fare delle leggi nelle materie specificate fatti salvi i
principi fondamentali, che devono essere definiti dallo stato. In materia di valorizzazione si possono
avere delle leggi regionali che devono sottostare ai principi fondamentali stabiliti dallo Stato). Il
limite delle norme di principio generale previste dalla normativa statale rimangono.
- Potestà residuale delle Regioni: l’ultima parte avrebbe dovuto rappresentare la novità della riforma
del titolo V poiché indica il principio della potestà residuale delle Regioni. Nella versione precedente
venivano elencate le materie in cui la Regione aveva possibilità di decidere, la situazione con la
riforma si ribalta perché se prima erano elencate le materie di cui si dovevano occupare le regioni,
ora l’elenco riguarda le materie su cui legifera lo stato (per tutte le materie che non sono
esclusivamente riservate allo Stato, il criterio è rovesciato rispetto al precedente prima si diceva
dove le Regioni potevano intervenire, oggi si dice dove lo Stato può intervenire quindi le Regioni ne
escono rafforzate nel loro ruolo).
L’elenco poi contiene materie eterogenee e trasversali, sono materie che possono riguardare diversi settori
(Es. tutela della concorrenza, è un ambito che può riguardare i settori più svariati come il turismo, in
concreto significa che anche laddove la materia sia affidata alla competenza residuale delle regioni poi ci
sono queste clausole che incidono, riducono e comprimo gli spazi regionali perché se una norma regionale
legittima viola la concorrenza tra le imprese turistiche, in quel caso la norma è illegittima. Gli ambiti
statale sono quindi numerosi ma oltre a quelli ci sono delle clausole che consentono allo stato di intervenire
i settori anche non dichiaratamente ad esso affidati.)
La riforma è stata condotta da una parte con l’idea di dare attuazione all’art5 rendendo le regioni
protagoniste e paritarie, di fatto il legislatore del 2001 aveva il timore che le regioni, con la classe politica
dell’epoca, non fossero in grado di soddisfare le aspettative, riportando quindi tutto all’accentramento delle
funzioni nelle mani dello stato. Si è provato ad innovare, con il timore che non fosse la scelta giusta. Lo
sdoppiamento degli ambiti riguardo i beni culturali, quindi tutela e valorizzazione, è una distinzione che
nella pratica è difficile individuare, è complicato stabilire cosa si intenda per uno e per l’altro termine; dal
2001 al 2015 la Corte costituzionale continuamente veniva chiamata a giudicare una legge regionale che
invadeva la competenza di tutela o viceversa una legge statale che invadeva il campo regionale della
valorizzazione.
Un principio basilare in questo contesto è quello della sussidiarietà, enunciato nella Costituzione
dall’ARTICOLO 118, la norma speculare all’art117, che riguarda l’esercizio delle funzioni amministrative
(chi concretamente compie le attività). Nel sistema pre-2001 l’esercizio delle attività concrete di tutela degli
interessi pubblici in una certa materia veniva svolto dallo Stato, le attività erano centralizzate, così come era
lo Stato a svolgere le funzioni legislativa e amministrativa; lo Stato poteva delegare ad altri soggetti
affidando alle Regioni o ai Comuni il compito di svolgere le attività; vigeva il parallelismo tra funzione
amministrativa e legislativa. Questo sistema fu spezzato nel 2001 perché l’esercizio delle funzioni
amministrative fu attribuito ai Comuni. La funzione amministrativa è stata attribuita secondo il principio di
sussidiarietà. Lo Stato agisce in maniera sussidiaria rispetto ai Comuni. Se nella ripartizione delle potestà si
segue un criterio per materia, nell’attribuzione delle funzioni amministrative si applica la sussidiarietà
verticale, le funzioni amministrative sono attribuite a quello che si pensa essere il livello più idoneo alla
soddisfazione dei bisogni dei cittadini, quindi i Comuni (Es. il comune può gestire servizi come la raccolta
rifiuti, ma non può gestire la difesa militare dei cittadini). Il comma3 fa riferimento alla possibilità che lo
stato preveda delle norme di coordinamento tra Stato e Regioni per quanto riguarda la tutela, la legge
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statale può prevedere delle norme di coordinamento anche laddove la competenza sarebbe solamente statale.
Sussidiarietà orizzontale: preferire l’intervento del privato rispetto al pubblico, che interviene solamente
quando il privato non è interessato. L’intervento della PA è sussidiario rispetto a quello del privato, deve
avvenire solo quando il privato manca nell’esercizio di alcune attività. Tradizionalmente, pre-2001, l’attività
di erogazione di servizi pubblici (economici e non) veniva esercitata dalla PA in regime di monopolio: era il
comparto pubblico a gestire tutti i servizi (Telecom, ENEL, Alitalia…). Tre fattori hanno mandato in crisi il
modello era costoso (gli enti pubblici pesavano sul bilancio), inefficiente (i servizi non erano adeguati), era
incompatibile con le norme europee (all’inizio l’obiettivo di base era la creazione di un mercato comune
affermando tra gli operatori commerciali parità). È seguito un processo di privatizzazione delle aziende
pubbliche (da azienda pubblica a spa) e liberalizzazione dei mercati (dal monopolio alla concorrenza).
L’intervento della PA nell’erogazione dei servizi pubblici subentra al privato solo quando il privato non è
interessato a svolgere tale servizio; l’intervento dell’azienda è legittimo quando manca l’operatore privato e
quindi quando il mercato sulla determinata materia non esiste. Il pubblico in concorrenza potrebbe svolgere
attività economica di interesse generale qualora vincesse una gara pubblica e risultasse preferibile rispetto al
privato; è importante che le condizioni di scelta siano paritarie in quest’evenienza.
Principi sull’attività: è stata di recente elaborata la definizione di “amministrazione di risultato”, che si
aggancia ai principi enucleati nell’art97Cost;
si tratta di una nozione sfumata che però
mette in risalto come nell’attuale fase
evolutiva dell’ordinamento sia cresciuta
l’attenzione nei confronti dell’economicità
dell’azione amministrativa. Il legislatore ha
anche disciplinato il cd. “ciclo delle
performance”, individuandone le fasi:
definizione di obiettivi, allocazione delle
risorse, monitoraggio in corso di esercizio, misurazione e valutazione della performance e dei dipendenti,
utilizzo di sistemi premianti. La performance si riferisce al grado di soddisfazione dei cittadini e degli utenti,
all’efficienza nell’impiego delle risorse, alla quantità e qualità dei servizi erogati. L’ARTICOLO 97 è la
base: modificato di recente in coerenza con l’ordinamento europeo, prevede l’obbligo di assicurare la
sostenibilità economica e la non eccessività del debito. Nell’articolo si enucleano i principi fondamentali del
buon andamento e dell’imparzialità, insieme a pubblicità, trasparenza e legalità (104). Buon
andamento significa che le PA devono assicurare, nella loro funzione efficienza (parametro con cui si
valuta l’attività amministrativa nel rapporto tra obiettivi della legge e risorse utilizzate), efficacia (misura
la capacità della PA di ottenere risultati rispetto agli obiettivi fissati), economicità (parametro usato per
indicare la capacità della PA di utilizzare in maniera adeguata e coerente le risorse disponibili senza
sprechi. Utilizzare in maniera efficiente le risorse raggiungendo in maniera efficace gli obiettivi).
L’imparzialità della PA riguarda l’esercizio del potere discrezionale ed è il trattamento nello stesso modo di
situazioni simili e la differenziazione di situazioni differenti; non privilegiare alcuni, non differenziare
situazioni ecc. I due principi si bilanciano a vicenda perché se ci fosse stato solo il riferimento al buon
andamento, la PA avrebbe rischiato di essere parziale (concorso pubblico: strumento che la costituzione ha
individuato come garanzia di imparzialità), ma deve anche rispettare il buon andamento, ponderando le
risorse e le finalità. Quando si propone un ricorso amministrativo si fanno valere solitamente questi due
principi, che sono i principi per antonomasia della PA e hanno molte sottocategorie. In base al secondo
comma le attribuzioni e le responsabilità sono definite dalla legge; la regola della competenza di ciascun
organo è idoneo a stabilire l’annullabilità del provvedimento amministrativo.
Negli anni ’90 è emersa la tendenza a valutare l’azione amministrativa non solo rispetto alla sua aderenza al
dato normativo (rispetto della forma) ma anche rispetto alla concreta idoneità delle PA a soddisfare le
esigenze della comunità. L’attività amministrativa deve essere “di risultare”, non interessa solo che sia
rispettosa della legge, ma anche e soprattutto che raggiunga gli obiettivi previsti. L’organizzazione degli
uffici pubblici è una riserva di legge relativa, può quindi essere affidata alla regolamentazione da parte di
fonti secondarie.
Il regolamento ha una procedura più snella e veloce, l’organizzazione delle PA non è una materia delicata;
quindi, per questo non è riserva di legge assoluta ma relativa.
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Il principio di pubblicità e trasparenza rileva in due ambiti: l’organizzazione e l’attività della PA, nel
senso che questa è tenuta a mettere a disposizione agli interessati delle informazioni, trasparenza intesa
come totale accessibilità alle informazioni della PA per favorirne il controllo; e il diritto di accesso ai
documenti amministrativi. È stata prevista, sotto il profilo organizzativo, la nomina all’interno di ogni PA di
un responsabile della trasparenza.
Principi sull’esercizio del potere discrezionale: prima di tutto la già citata imparzialità, quindi
l’amministrazione non può essere guidata nelle sue decisioni da interessi politici, gruppi di pressione o
singoli individui. L’imparzialità è posta a garanzia della parità di trattamento, quindi dell’uguaglianza dei
cittadini di fronte all’Amministrazione. Anche la proporzionalità, rilevante nel caso di poteri che incidono
in maniera negativa nella sfera giuridica del destinatario, si richiedono all’amministrazione 3 criteri:
Idoneità, relazionare il mezzo con l’obiettivo;
Necessarietà, confronto sulle misure idonee e orientare la scelta verso la misura che comporta il
minor sacrificio degli interessi incisi;
Adeguatezza, valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità della restrizione;
è opportuno menzionare anche il principio di precauzione, che comporta che quando ci sono incertezze in
ordine dell’esistenza o al livello di rischio per le persone, le autorità possono adottare misure protettive
senza dover attendere una dimostrazione della realtà e della misura del rischio.
Principi sul provvedimento: in aggiunta alla legalità, ci sono il principio di motivazione e di sindacabilità
degli atti. Stabiliti entrambi nella l241/1990 la motivazione è il presupposto del legittimo esercizio del potere
perché è attraverso questa che il destinatario del provvedimento e il giudice possono ricostruire le ragioni
poste a fondamento della decisione; la sindacabilità riguarda il fatto che gli atti amministrativi che ledono i
diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice
ordinario o di quello amministrativo.
Principi sul procedimento: il contraddittorio: ogni individuo ha diritto di essere ascoltato prima che nei
suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio. Talora il diritto dei
privati di esporre le proprie ragioni prima che venga emanato un provvedimento limitativo per loro viene
assimilato al principio del giusto processo. La certezza del tempo: l’agire amministrativo deve essere
celere, ognuno ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate entro un termine ragionevole. La
l241/1990 rende concreto questo principio individuando per ogni tipo di procedimento un termine massimo
entro il quale l’A deve emanare il provvedimento. La durata ragionevole e il rispetto dei termini massimi
tutelano gli interessi dei soggetti coinvolti e promuovono l’economicità dell’azione amministrativa. I
rapporti tra il cittadino e l’A devono svolgersi sulla buona fede.
C4- IL PROVVEDIMENTO
L’espropriazione, l’autorizzazione, la sanzione ecc, sono provvedimenti per mezzo dei quali l’autorità
amministrativi provvede alla cura in concreto dell’interesse pubblico. Il provvedimento, quindi, è la
manifestazione dell’autorità dello Stato. In un sistema in cui vo
vige la separazione dei poteri il provvedimento, espressione dell’esecutivo si colloca accanto agli altri due
atti tipici riconducibili agli altri poteri statali: la legge, espressione del potere legislativo, che innova
l’ordinamento definendo obblighi e diritti dei cittadini; e la sentenza, espressione del potere giudiziario che
risolve controversie tra le parti imponendo una regola. Il provvedimento, come la legge e la sentenza, è
assunto all’esito di un procedimento atto a garantire trasparenza e tutela degli interessi coinvolti. La sua
disciplina è contenuta nella l241/1990.
Non necessariamente un procedimento amministrativo si conclude con il provvedimento amministrativo,
esiste l’opzione dell’accordo amministrativo, una forma di esercizio consensuale del potere. Ancora il
procedimento si può risolvere con l’inerzia, che può avere valore positivo o meno. Ci sono dei procedimenti
amministrativi complessi o pluristrutturati, come la conferenza di servizi: istruttoria (la PA può decidere di
usarla quando deve svolgere un’attività istruttoria a fini di semplificazione) decisoria (la determinazione
assunta conclude il procedimento e sostituisce il provvedimento.
Il provvedimento è un atto di una PA che è in grado di incidere in maniera autoritativa sulla sfera giuridica
del destinatario. Il provvedimento è UN atto, perché non tutti gli atti amministrativi sono provvedimenti:
nella macrocategoria degli atti amministrativi alcuni sono provvedimenti e altri no. Cosa li distingue dagli
altri atti adottati dalla PA? Solo il provvedimento ha l’idoneità lesiva, può quindi incidere sulla sfera
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giuridica del destinatario modificandola ampliandola o comprimendola a seconda della particolare tipologia
del provvedimento. I provvedimenti non sono tutti dello stesso tipo, ma sono favorevoli (autorizzazione,
concessione, aggiudicazione) o sfavorevoli (sanzione amministrativa, esproprio, ordine di demolizione), a
seconda del modo in cui incidono sulla situazione giuridica del privato; a queste due tipologie corrisponde
un’ulteriore implicazione: i favorevoli vengono adottati in linea di massima su istanza di parte, gli
sfavorevoli iniziano tendenzialmente d’ufficio. Al provvedimento favorevole si applica un’altra situazione
perché chi chiede l’avvio è titolare di un interesse legittimo pretensivo (si ha la pretesa che la PA eserciti
un potere che a me serve per realizzare un’attività o un intervento/ diverso da oppositivo, in cui il privato
ha un interesse opposto rispetto a quello della PA). A seconda nella natura dei due interessi legittimi si
possono ottenere oltre l’annullamento del provvedimento, anche un risarcimento del danno (nel caso
dell’interesse legittimo pretensivo è necessaria valutazione della fondatezza della pretesa, altrimenti si
ottiene solo l’annullamento/ nel caso dell’interesse legittimo oppositivo il risarcimento del danno è
automatico sulla base del Codice civile).
4.3 b) imperatività
L’atto amministrativo si differenzia dai negozi di diritto privato perché dotato di una particolare forza
giuridica atta a far prevalere l’interesse pubblico sugli interessi dei privati. L’imperatività o autoritarietà è
sancita dall’art1L241/1990. Consiste nel fatto che la PA titolare di un potere attribuito per legge può imporre
al privato destinatario del provvedimento le proprie determinazioni operando in modo unilaterale una
modifica della sfera giuridica del privato (Es. esproprio). Nell’imperatività si manifesta la dimensione
verticale di sovra ordinazione dei rapporti tra stato e cittadino, che si contrappone a quella orizzontale di
equi ordinazione delle relazioni private.
I provvedimenti sono autoritativi perché sono in grado di incidere sulla sfera giuridica del destinatario
prescindendo dal suo consenso (non vuol dire che il provvedimento produce effetti di compressione, ma che
produce effetti senza che ci sia consenso o che il provvedimento è in grado di modificare la sfera giuridica
del soggetto imponendogli una serie di prescrizioni rispetto all’esercizio di una certa attività).
L’imperatività coincide con l’unilateralità della produzione di un effetto giuridico. L’esercizio del potere
però può avvenire anche in modo consensuale, con un accordo tra A e soggetto privato. L’imperatività
emerge con più forza negli atti amministrativi restrittivi: la volontà contraria del soggetto non preclude il
prodursi dell’effetto giuridico. Il destinatario è una posizione di pura passività. La relazione giuridica con
l’A non è paritaria e consensuale nemmeno nel caso degli atti amministrativi ampliativi emanati su domanda
dell’interessato perché la domanda fa sorgere in capo all’A un dovere di avvio del procedimento e di
emanazione all’esito di questo, del provvedimento richiesto. Ma l’effetto viene prodotto in via unilaterale
dal provvedimento emanato.
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nessuna ulteriore attività da parte della PA (art21-quater); sono esecutori (esecutorietà) perché gli effetti del
provvedimento si producono senza che ci sia, per la PA, la necessità di rivolgersi ad un giudice laddove il
procedimento non fosse eseguito (la PA non deve attivare processi di fronte al giudice, l’A può procedere
all’esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione del provato senza doversi
rivolgere a un giudice per ottenere l’esecuzione forzata). La PA ha la possibilità di portare a esecuzione
provvedimenti con i propri uomini e mezzi. Se l’imperatività opera sul piano della produzione degli effetti
giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiali necessarie per conformare la realtà di fatto
alla situazione di diritto come viene modificata dal provvedimento. Prima della l241/1990 l’esecutorietà si
fondava sulla presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo: la giustificazione teorica
proveniva dal fatto che l’atto proveniva da organi espressione della sovranità. Questo porta a ritenere che i
provvedimenti siano emanati in modo legittimo e quindi possono essere portati ad esecuzione
immediatamente. È l’art21L241/1990 ad occuparsene, precisando all’art21-ter che il potere di imporre
coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito all’A sono nei casi e con le modalità stabilite dalla
legge (esecutorietà). In relazione agli obblighi nascenti da un provvedimento amministrativo, questo deve
indicare il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. L’esecutorietà presuppone
l’efficacia del provvedimento: secondo l’art21-bis il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei
privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario (atto recettizio).
4.5 d) l’inoppugnabilità
Gli atti amministrativi sono anche inoppugnabili (inoppugnabilità) o incontestabili, il ricorso nei confronti
del provvedimento è subordinato al rispetto di un termine temporale fissato a 60gg, dopodiché il
provvedimento diventa inoppugnabile (se non si agisce entro 60gg dopo non può più essere oggetto di
ricorso). Alla base della regola dell’inoppugnabilità sta un altro principio base, il principio della certezza
del diritto: il legislatore ha dato precedenza al fatto di sapere in tempi rapidi se il provvedimento è valido o
meno, perché il ricorso si svolge in tempi prolissi. Se il termine fosse più ampio di quel che è i cittadini
sarebbero esposti all’incertezza.
L’azione di annullamento va proposta entro 60gg, l’azione di nullità entro 180gg e l’azione risarcitoria entro
120gg. Esigenze di certezza e stabilità del diritto giustificano la brevità dei termini decadenziali. Nei
rapporti di diritto privato i termini sono più lunghi. L’inoppugnabilità non esclude il fatto che l’A possa
mettere in discussione il rapporto giuridico esercitando l’autotutela (annullamento d’ufficio),
l’inoppugnabilità garantisce la stabilità del rapporto giuridico solo sul versante delle possibili contestazioni
del privato. L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in seguito all’acquiescenza del
destinatario, una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento.
Tutti i provvedimenti sono concreti e puntuali (hanno un destinatario preciso), si distinguono da altri atti
amministrativi che non hanno queste due caratteristiche (piano regolatore/bando/regolamento governativo).
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- La motivazione, perché la PA è giunta alla decisione, quali sono le norme che ha applicato e quali
sono le circostanze di fatto che hanno motivato l’inizio del procedimento (distinzione tra parte
normativa e parte fattuale, fatti e norme sulla base dei quali si adotta il provvedimento). L’obbligo
di motivazione, la cui violazione è causa di annullabilità, è uno dei principi generali del regime degli
atti amministrativi, che lo differenzia sia dagli atti legislativi che da quelli negoziali. Quindi la
motivazione è espressione di un altro principio generale: la trasparenza dell’azione
amministrativa perché la motivazione permette al destinatario di ricostruire l’iter logico e giuridico
che la PA ha seguito per adottare il provvedimento. Sono gli unici a dover essere motivati perché
sono gli unici che hanno idoneità lesiva. La motivazione adempie a 3 funzioni principali:
①promuove la trasparenza dell’azione ammnistrativa perché palesa le ragioni sottostanti le scelte
amministrative; ②agevola l’interpretazione del provvedimento; ③è una garanzia per il soggetto
privato che subisce il provvedimento perché consente un controllo giurisdizionale incisivo
sull’operato dell’amministrazione.
La motivazione deve dar conto di tutti gli elementi rilevanti acquisiti nel corso dell’istruttoria
procedimentale che hanno indotto l’A a compiere la scelta. Nella motivazione devono emergere
anche le valutazioni dell’A sugli apporti partecipativi dei privati, e da essa deve essere possibile
ricostruire puntualmente l’iter logico seguito dall’A per arrivare ad una certa scelta. La motivazione
assume importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre in quelli vincolati può essere
limitata all’enunciazione ei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’esercizio del potere.
Essa, infatti, è lo strumento principale per sindacare la legittimità delle scelte dell’A. Quanto più
ampio è l’ambito discrezionale, più stringente è l’obbligo di motivazione. L’art21-octies esclude che
il provvedimento possa essere annullato per vizi formali o procedurali quando il contenuto del
medesimo in ogni caso non avrebbe potuto essere diverso. Ciò che importa è che la decisione sia
sorretta da ragioni valide.
- La forma scritta, in alcuni casi l’atto può essere esternato oralmente (ordini di polizia);
In tutti i provvedimenti, nella parte finale, si trova l’indicazione riguardo l’autorità contro cui proporre
ricorso e anche la data entro la quale farlo. Per stabilire la legittimità del provvedimento l’avvocato a cui si
affida il destinatario andrà a studiare le motivazioni del provvedimento.
Laddove mancasse uno degli elementi base del provvedimento, questo sarebbe non solo annullabile
(comincia a produrre effetti e continua finché non è annullato, e se il termine decorre pur essendo illegittimo
continua a produrre i suoi effetti), ma anche nullo (come se non fosse esistito, non può esercitare nessun
effetto). Se il provvedimento non ha la data è nullo, e questo è sempre accertabile; Il risarcimento del
danno è un ristoro di fronte ad un provvedimento illegittimo, mentre l’indennizzo è conseguente ad un atto
legittimo, ogni volta che viene espropriato un terreno ha diritto all’indennizzo (o uno o l’altro).
L’art21-septies contiene un richiamo agli elementi essenziali del provvedimento, la mancanza dei quali è
causa di nullità; questi elementi non sono individuati in modo puntuale dalla legge. Su un piano di
redazione formale l’atto amministrativo indica nell’intestazione l’autorità emanante, contiene nel
preambolo i riferimenti alle norme legislativi e regolamenti che fondano il potere esercitati, richiama gli atti
endoprocedimentali e gli altri atti ritenuti rilevanti, sviluppa la motivazione ed enuncia nel dispositivo la
determinazione finale. Reca anche data e ora della sottoscrizione e menziona i destinatari e l’organo
giurisdizionale presso il quale si può ricorrere e il termine entro cui lo si può fare.
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d’azione di questo strumento. Si esclude, in una prima fase, l’intervento e la certificazione della PA. Il terzo
che desideri contrastare l’avvio dell’attività deve invitare l’A a emanare un provvedimento che vieti la
prosecuzione dell’attività e se questa non procede può rivolgersi al giudice (nella SCIA manca un
provvedimento per poter ricorrere al giudice amministrativo). La SCIA è uno degli strumenti generali di
correzione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, ci sono degli istituti a caratteri generali:
- Conferenza di servizi (14 e ss.), strumento di coordinamento dell’azione ammnistrativa di cui la PA
si può servire durante la fase istruttoria quando deve acquisire diversi pareri da più soggetti, è una
modalità di svolgimento dell’istruttoria; in realtà è uno degli strumenti più complessi del diritto
amministrativo. Nasce dall’idea che i procedimenti amministrativi, prevedendo la presenza di più
interessi pubblici e privati, sono complessi. L’amministrazione procedente si trova ad agire per la
tutela di un interesse pubblico, ma quando avvia un procedimento di tutela, si dovrà confrontare con
altre amministrazioni che anch’esse tutelano interessi pubblici (Es. impianto per la produzione
energetica: un privato chiede autorizzazione alla regione per realizzare l’impianto, la Regione avvia
un procedimento, ma per arrivare al provvedimento necessita di una serie di nulla-osta da parte delle
altre amministrazioni (sanità, paesaggio). Prima della conferenza di servizi il privato faceva richiesta
e la Regione chiedeva le autorizzazioni alle diverse PA in maniera separata; invece, di consultare le
PA separatamente, queste sono convocate insieme in modo che contestualmente si esprimano sul
progetto da realizzare. È uno strumento poco usato perché presenta alcune questioni:
1. L’espressione del dissenso: posto che non si potesse decidere all’unanimità, e vedendo che la
regola della maggioranza fosse poco applicabile (dissenso della PA della salute). Si è introdotto il
principio delle posizioni prevalenti in cui non si valuta dal punto di vista numerico ma da quello
qualitativo, si verificano le posizioni e si cercano di bilanciare i diversi interessi coinvolti tenendo in
adeguato conto le posizioni di alcune PA. Successivamente si è introdotto un ulteriore meccanismo
che riconduce la scelta al Consiglio dei ministri (è come se si sorpassi il pluralismo istituzionale
paritario perché il CdM è organo centrale e alla conferenza partecipano PA riferite a più livelli di
amministrazione, e se tutto viene riportato al livello centrale allora è come se non fosse vero che le
amministrazioni sono sullo stesso livello come stabilito dal principio). La conferenza può essere
decisoria (la PA è obbligata a richiederla e riguarda tutte le ipotesi in cui la PA deve, per poter
decidere, acquisire l’autorizzazione o nulla osta da parte delle altre PA, una decisione che incide in
maniera diretta sul contenuto della decisione finale) e istruttoria (strumento facoltativo che la PA
può utilizzare durante lo svolgimento dell’istruttoria); la conferenza in ogni caso non è un organo
collegiale ma uno strumento di collegamento e coordinamento delle PA. La conferenza può anche
essere richiesta da un privato per presentare il progetto, affinché tutti i soggetti coinvolti possano
esprimere il loro parere contestualmente.
- Scia (19), (segnalazione certificata inizio attività), l’attività vincolata, riguarda i provvedimenti
favorevoli ampliativi;
- Silenzio assenso (20), nei provvedimenti a istanza di parte, il silenzio della PA equivale ad un
assenso, quando l’eventuale diniego non viene manifestato entro il termine stabilito. L’istanza si
intende accolta se entro la scadenza del termine non c’è un provvedimento di diniego. C’è una prima
fase del procedimento, quello che cambia rispetto alla scia è la fase decisoria, la fase finale perché il
legislatore ha deciso che il decorso del tempo e il mancato esprimersi della PA equivale ad un
assenso. Oltre il termine del procedimento, se il provvedimento negativo non c’è stato, la propria
istanza è stata accolta. Il procedimento è semplificato ma esiste. Come la scia è un procedimento a
istanza di parte. In quest’opzione però si tratta di attività discrezionale, non vincolata. Il legislatore
esclude che maccanismi di semplificazione come questi possano essere applicabili a materie delicate
e sensibili.
In ogni caso la PA, al verificarsi di determinate evenienze, può annullare il provvedimento
ampliativo, esponendo comunque il cittadino ad una situazione di precarietà e instabilità. Il senso
della norma non era quello di dare al cittadino la possibilità per il cittadino di fare cose senza un
provvedimento, ma quello di stimolare le PA ad agire in fretta per evitare che si verifichi il silenzio-
assenso. È un’ipotesi in cui il procedimento amministrativo si conclude in maniera tacita senza un
provvedimento esplicito, in questo caso l’effetto è positivo, ma ci sono casi in cui il silenzio della PA
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equivale a silenzio-inadempimento, quindi un effetto negativo, se la PA non si esprime entro il
termine si consideri un no.
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4.11 atti collegiali, collettivi, plurimi e di alta amministrazione
I provvedimenti possono essere classificati sulla base di altri criteri:
1. La provenienza soggettiva del provvedimento. Accanto ai casi in cui il provvedimento è emanato
da un singolo organo, si pongono casi in cui il provvedimento è riconducibile alla volontà di più
organi o soggetti e quindi è un atto complesso (Es. decreto interministeriale);
2. I destinatari del provvedimento. Consente di individuare la categoria degli atti amministrativi
generali. Questi atti si rivolgono anziché a singoli destinatari a classi omogenee più o meno ampie di
soggetti. Dagli atti generali si distinguono gli atti collettivi e gli atti plurimi: i primi si indirizzano a
categorie ristrette di soggetti considerati in modo unitario, i quali però, diversamente dagli atti
generali, sono individuati singolarmente; i secondi sono rivolti a una pluralità di soggetti, ma i loro
effetti, a differenza di quanto vale per gli atti collettivi, sono scindibili in relazione ad ogni
destinatario.
3. La natura della funzione esercitata e l’ampiezza della discrezionalità.
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L’invalidità può essere totale o parziale: la prima investe l’intero atto, la seconda una sola parte, lasciando
inalterata la validità e l’efficacia della parte non viziata. L’invalidità di una parte dell’atto si estende alle
altre parti solo se essere sono strettamente dipendenti dalla parte viziata. L’invalidità di un provvedimento
può essere:
- Propria o derivata: propria, assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto. Nel caso di
invalidità derivata, l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto
presupposto (Es. l’invalidità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di
aggiudicazione). L’invalidità derivata può essere a effetto caducante, quando travolge
automaticamente l’atto assunto sulla base dell’atto invalido; si verifica quando c’è un rapporto di
stratta causalità tra i due atti: il secondo è esecuzione del primo. A effetto invalidante, quando l’atto
affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta invalido, conserva i suoi effetti fino
all’annullamento.
- Originaria o sopravvenuta: vale il principio del tempus regit actum, la validità di un
provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Si ha
invalidità sopravvenuta dei provvedimenti nei casi di legge retroattiva, di interpretazione autentica o
illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi la retroattività della nuova legge rende viziato il
provvedimento emanato in base alla legge abrogata; nella terza ipotesi, poiché le sentenze della CC
sono retroattive, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate
illegittime e dei rapporti giuridici sorti prima.
La giurisprudenza ha interpretato la formula dell’eccesso di potere, intendendo non uno straripamento dello
stesso, ma come un suo sviamento: un’autorità amministrativa sconfina dall’ambito di competenza. Ma si
sono individuate anche ipotesi di carenza di potere, nelle quali il provvedimento devia dalla norma
attributiva o è emanato in assenza di questa.
L’annullabilità è disciplinata dall’art21-octies L241/1990, la nullità dall’art21-septies.
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clausole generali (imparzialità, buona fede) che fanno sorgere obblighi nel rapporto giuridico PA-
cittadino.
3. Violazione di legge: è una categoria generale residuale, in essa confluiscono i vizi non qualificati
come incompetenza o eccesso di potere. Raggruppa quindi tutte le ipotesi di contrasto tra il
provvedimento emanato e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario o
secondario che definiscono il potere. L’art21-octies si inserisce nella tendenza del nostro
ordinamento a valorizzare il principio di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa a scapito
del rispetto della forma: il regime degli atti amministrativi si avvicina a quello degli atti processuali,
per i quali vale il principio che la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a
cui tendeva.
L241/1990: Capo IV Bis, parte che è stata introdotta in un momento successivo rispetto al testo originale, in
particolare nel 2005 come tentativo di codificare legalmente una questione relativa a nullità e illegittimità. In
queste norme si trova il risultato dell’azione interpretativa che il giudice amministrativo ha svolto negli anni
sul tema.
Art21-octies: prima del 2005 tutte le volte che un provvedimento amministrativo era adottato in violazione
di ogni disposizione amministrativa, veniva annullato dal giudice, secondo il principio di formalità del
diritto (che doveva essere solo rispetto delle norme giuridiche). Così facendo le PA si trovavano a dover
riadottare provvedimenti, all’esito di ricorsi persi, che avevano lo stesso contenuto di quelli che erano stati
annullati (se la PA avesse violato una norma, il provvedimento sarebbe stato illegittimo quindi annullato ma
magari il contenuto era corretto, frutto di adeguata istruttoria e ponderazione degli interessi). Di fronte a
questa questione problematica in termini di tempistiche e spese, si decide di ridimensionare il valore della
violazione formale (errores in procedendo): se la violazione della norma incide o meno sul contenuto del
provvedimento, perché se non fosse così sarebbe più utile ignorare la cosa, lasciando il provvedimento
produttivo di effetti e per concentrare l’attenzione su altri punti. Bisogna accertare la “natura vincolata” e se
il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato.
L’interpretazione andava definita, come le sue ipotesi:
- Violazione di norme procedimentali;
- Il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe cambiato in assenza della violazione; quindi,
quando si tratta di un provvedimento vincolato. Viene meno la possibilità sia del giudice che della
stessa A di annullare il provvedimento.
- Violazione procedimentale dell’art7, la comunicazione dell’avvio del procedimento
amministrativo. In precedenza, ci si è riferiti a tutte le violazioni procedimentali, in questo caso ci si
riferisce ad una sola. In questo caso poi è l’amministrazione che deve dare prova in giudizio del fatto
che il contenuto del provvedimento nona avrebbe potuto essere diverso. C’è un sovraccarico
dell’onere probatorio sulle spalle dell’amministrazione, che deve dimostrare tutto “in giudizio”. Il
giudice è giunto al compromesso per l’emergere di diverse esigenze, come la celerità, il
soddisfacimento, il raggiungimento di un risultato. Non si fa più cenno al carattere vincolato
dell’attività, quindi si deve pensare che ci si riferisca anche ad attività discrezionale. Se il soggetto
partecipa può produrre elementi utili per il giudizio.
Emerge un diverso rapporto tra giudici e amministrazione: il ruolo del giudice è rafforzato perché prima il
giudice non doveva fare valutazioni, ora il giudice ha poteri ampliati può incidere in maniera più netta sulle
scelte della PA.
Prima del 2005 il giudice non doveva fare valutazioni ulteriori, venendo meno l’automatismo ha più peso il
giudizio del giudice. Al giudice viene chiesto di fare delle valutazioni che prima non doveva fare, si rafforza
il suo potere di incidere sullo svolgimento delle attività dell’amministrazione.
C5- IL PROCEDIMENTO
5.1 Nozione e funzioni del procedimento
Il procedimento amministrativo è dato da quella sequenza di atti e operazioni posti in essere in vista
dell’emanazione di un provvedimento produttivo di effetti nella sfera giuridica di un soggetto privato. Il
procedimento è una nozione di teoria generale collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico,
che si produce a volte al verificarsi di un singolo accadimento (fatto giuridico semplice), altre volte al
verificarsi di una pluralità di accadimenti (fatti complessi).
Nel diritto privato il procedimento ha avuto uno sviluppo limitato, ma p nel diritto pubblico che il
procedimento diventa la modalità ordinaria di esercizio dei poteri dello stato in relazione alle esigenze di
trasparenza e garanzia dei soggetti interessati. Con la l241/1990 il procedimento diventa istituto cardine del
sistema. Il procedimento entra nel diritto amministrativo negli anni ’30: viene elaborata la nozione di atto
complesso, cioè del provvedimento che è frutto della confluenza di manifestazioni di volontà provenienti da
più soggetti, tutte necessarie ai fini della produzione dell’effetto giuridico. Il procedimento assolve alcune
funzioni:
1. Consente un controllo sull’esercizio del potere attraverso una verifica del rispetto della sequenza di
atti e operazioni predefinita dalla norma. Si tratta di legalità procedurale.
2. Fa emergere gli interessi incisi dal provvedimento, questo nell’interesse sia dell’A, che può colmare
così le asimmetrie informative che ci sono nei rapporti con i privati, che a loro volta rappresentano il
loro punto di vista. Partecipazione collaborativa: la partecipazione del privato è utile si all’A in
relazione alle esigenze di completezza dell’istruttoria, sia al privato che così ha la possibilità di
sottoporre all’A gli elementi necessari per indurla ad emanare un provvedimento favorevole. L’A
deve appurare tutti gli interessi coinvolti siano rappresentati e deve vagliare in maniera critica ogni
apporto privato.
3. Garantisce il contraddittorio, questo emerge soprattutto nei procedimenti individuali restrittivi;
quindi, il rapporto si configura sulla contrapposizione più che sulla collaborazione. Il contraddittorio
può essere verticale, in cui il rapporto è tra PA e cittadino, quindi la prima deve essere imparziale
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anche se allo stesso tempo deve curare l’interesse pubblico e garantire la posizione del privato
portatore di un interesse contrapposto; orizzontale, in cui si hanno due o più privati portatori di
interessi contrapposti, l’organo decidente è chiamato a garantire la parità.
4. Funge da fattore di legittimazione del potere dell’A e promuove quindi la democraticità
dell’ordinamento amministrativo. La legalità sostanziale, impossibile perché il legislatore non può
prefigurare in modo preciso tutte le situazioni che richiedono l’esercizio del potere, lascia posto alla
legalità procedurale. Il procedimento quindi diventa la sede in cui si individua la regola per il caso
concreto.
5. Promuove il coordinamento tra più A nei casi in cui un provvedimento incida su una pluralità di
interessi pubblici curati da ognuna di esse (pluralismo).
5.4 a) L’iniziativa
La prima fase è quella dell’iniziativa, cioè l’avvio del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento
finale produttivo di effetti nella sfera giuridica del destinatario. Bisogna distinguere tra obbligo di procedere
e obbligo di provvedere: in base al primo l’A competente è tenuta ad aprire il procedimento e a realizzare le
attività previste dalla sequenza procedimentale, il secondo pone in capo all’A il dovere di portarlo a
conclusione attraverso l’emanazione del provvedimento. Nei procedimenti su istanza di parte, l’atto di
iniziativa consiste in una domanda o istanza presentata all’A da un soggetto privato interessato al rilascio di
un provvedimento favorevole; tuttavia, non ogni istanza del privato fa sorgere l’obbligo di procedere, che
sorge solo in relazione a sequenze procedimentali tipiche. In alcuni casi il procedimento è aperto su impulso
di PA che formulano proposte all’A competente. Nei procedimenti d’ufficio, l’apertura del procedimento
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avviene su iniziativa della stessa A competente a emanare il provvedimento finale; essi riguardano per lo più
i poteri il cui esercizio determina un effetto restrittivo nella sfera del destinatario (esproprio). In alcuni casi
l’apertura del procedimento avviene all’esito di una serie di attività preistruttorie, condotte sempre d’ufficio,
dalle quali possono emergere fatti che rendono necessario l’esercizio di un potere (ispezioni). Lo
svolgimento di queste attività e l’avvio dei procedimenti d’ufficio possono avvenire anche in seguito a
denunce o istanze di privati, che non fanno sorgere in modo automatico il dovere dell’A di aprire il
procedimento, rientra infatti nella discrezionalità dell’A valutarne la serietà e fondatezza. L’A deve dare
comunicazione dell’avvio del procedimento al soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedimento; la
comunicazione viene inviata anche ad altri eventuali soggetti che per legge devono intervenire e in generale
a soggetti che possono subire pregiudizio dal provvedimento. La comunicazione deve indicare l’A
competente, l’oggetto del procedimento, il nome del responsabile, i termini del procedimento e l’ufficio in
cui visionare gli atti. L’omessa comunicazione rende annullabile il provvedimento finale.
5.5 b) l’istruttoria
L’istruttoria del procedimento ha lo scopo di accertare i fatti e di acquisire gli interessi rilevanti ai fini della
determinazione finale. Gli interessi da acquisire entra in gioco solo nei procedimenti relativi all’esercizio di
poteri discrezionali nei quali, l’interesse pubblico primario, deve essere valutato e ponderato insieme agli
interessi secondari, pubblici e privati. L’istruttoria è retta dal principio inquisitorio; nel procedimento
amministrativo l’A può compiere tutti gli accertamenti necessari con le modalità più idonee (accertamenti
tecnici, ispezioni). Il responsabile del procedimento deve anche verificare la documentazione prodotta dalle
parti. Nella scelta dei mezzi istruttori l’A deve attenersi ai principi di economicità ed efficienza.
Alcuni atti istruttori sono talvolta richiesti dalla legge: i pareri obbligatori e le valutazioni tecniche. I
pareri, espressione della funzione consultiva, possono essere obbligatori, quindi previsti dalla legge in
relazione a specifici procedimenti e l’omessa acquisizione rende illegittimo il provvedimento finale; o
facoltativi, sono richiesti quando l’amministrazione procedente ritenga possano essere utili alla decisione.
Oltre che obbligatori i pareri possono essere anche vincolanti quando l’A che li riceve non può
discostarsene. Le valutazioni tecniche invece sono richieste ad organismi con particolari competenze non
giuridiche e sono soggette ad un regime simile a quello dei pareri. L’art17-bis L241/1990, allo scopo di
accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti, introduce il meccanismo del silenzio-assenso tra le A; in
caso di mancato accordo tra le A statali la questione viene rimessa al Consiglio dei ministri. La tendenza più
recente in tema di adempimenti istruttori è di sgravare il più possibile i soggetti privati da oneri di
documentazione, imponendo all’A di acquisire d’ufficio i documenti necessari per l’istruttoria, ai privati può
essere richiesta solo l’autocertificazione.
L’istruttoria è aperta alla partecipazione dei soggetti che abbiano diritto di intervenire e partecipare al
procedimento; la partecipazione si sostanzia in due diritti:
- Prendere visione degli atti del procedimento;
- Possibilità di presentare memorie scritte e documenti che illustrano il punto di vista dell’interessato.
L’A ha l’obbligo di valutare questi apporti del privato facendone menzione nella motivazione del
provvedimento.
Sotto il profilo organizzativo l0istruttoria è affidata al responsabile del procedimento, che consente al
cittadino di avere un interlocutore certo con cui confrontarsi. Nei procedimenti a istanzia di parte il
responsabile è tenuto ad attivare una fase istruttoria supplementare nei casi in cui, sulla base di elementi già
acquisiti sia orientato a proporre o adottare un provvedimento di diniego dell’istanza. Al soggetto che ha
proposto l’istanza devono essere comunicati i motivi ostativi ed entro 10gg questo può presentare ulteriori
osservazioni nel tentativo di superare le obiezioni dell’A. il preavviso di rigetto si inserisce nella generale
tendenza del legislatore a favorire l’avvio di attività da parte dei privati.
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viene emanato ina attuazione dell’accordo, quindi il provvedimento mantiene la sua configurazione di atto
unilaterale produttivo di effetti; sostitutivi quando gli effetti giuridici si producono direttamente con la
conclusione dell’accordo, senza necessità di un atto formale di recepimento. L’A per sopravvenuti motivi di
interesse pubblico può recedere l’accordo, da questo deriva l’obbligo di liquidare un indennizzo per i danni
del privato. La disciplina degli accordi ha il valore simbolico di proporre l’immagine di un’A aperta al
dialogo e ai contributi propositivi dei privati, di fatto gli accordi sono poco utilizzati.
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determinazioni motivate delle altre A), la conferenza si conclude con determinazione motivata. Nel
caso di determinazioni complesse la conferenza p convocata in maniera simultanea. La conferenza
decisoria deve concludersi entro 45gg dalla data della riunione. È importante citare due fatti: il primo
è la partecipazione obbligatoria di tutte le A invitate i cui rappresentanti devono avere i poteri
necessari per assumere determinazioni vincolanti, l’assenza determina un effetto di silenzio-assenso;
il secondo attiene al dissenso manifestato da una o più A partecipanti: all’inizio la l241 richiedeva
l’unanimità, ma questo paralizzava la conferenza, quindi ora vige il fatto che la determinazione finale
motivata all’esito della conferenza adottata dall’A procedente è formulata sulla base delle posizioni
prevalenti espresse dalle A partecipanti. Se il dissenso non si supera la determinazione finale viene
rimessa al Consiglio dei ministri. La conferenza è uno strumento di coordinamento tra PA, ma in
alcuni casi partecipano anche privati.
3. Preliminare: può essere convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare
progetti complessi: il privato sottopone uno studio di fattibilità alle A competenti a rilasciare atti
autorizzativi.
Accanto alla conferenza di servizi ci sono altre forme di coordinamento previste dall’ordinamento, come il
Testo unico sull’ordinamento degli enti locali, che disciplina lo strumento dell’accordo di programma
promosso dal presidente della regione, della provincia o dal sindaco; la L241 prevede gli accordi tra PA;
l’autorizzazione unica, nella quale confluiscono più atti di assenso attribuiti alla competenza di più A (Es.
costruzione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili); lo sportello unico, un ufficio
istituito con la funzione di far da tramite tra privati e A competenti a emanare atti di assenso (Es. quello per
l’edilizia si rapporta con tutti gli uffici comunali e le altre A competenti per l’intervento edilizio in relazione
al quale il privato ha proposto la richiesta di permesso di costruire).
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La richiesta di accesso va presentata a una PA e può riferirsi solo a documenti individuati e già ormati:
individuati perché il diritto di accesso non è uno strumento di controllo sull’operato delle PA, e formati
perché la PA non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso per soddisfare richieste. Ci sono due modalità di
accesso:
- Formale, è necessario nei casi in cui l’A riscontri l’esistenza di potenziali controinteressati;
- Informale, si può avere quando non vi siano soggetti controinteressati nei confronti dei quali si pine
un problema di riservatezza;
l’accesso è gratuito e consiste nell0’esame dei documenti presso l’ufficio con la presenza, se necessaria, di
un addetto. È consentito trascrivere in tutto o in parte i documenti visionati. Il procedimento di accesso si
deve concludere entro 30gg dalla richiesta e il provvedimento che rifiuta l’accesso deve essere motivato.
C8- L’ORGANIZZAZIONE
8.1 Nozione, fonti normative e principi generali
L’organizzazione può essere definita come una unità di persone, strutturata e operante su base continuativa
al fine di perseguire scopi comuni che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente. Ogni
organizzazione ha una propria struttura gestionale che stabilisce funzioni e ruoli e attribuisce compiti e
responsabilità ai singoli appartenenti. Una distinzione è tra organizzazioni informali (gruppi sportivi) e
organizzazioni formali (partiti).
Quanto alle comunità statuali, il moderno stato di diritto, conforme al potere legale-razionale, presuppone
almeno due elementi: un sistema di regole oggettive precostituite, e l’istituzione di apparati burocratici
stabili, ordinati in maniera gerarchica con un’attribuzione precisa di competenze.
Il fenomeno organizzativo cominciò ad essere interessante nella fase in cui si ruppe la struttura monolitica
dello stato e si affermò il pluralismo istituzionale paritario, quindi il pluralismo dei livelli di governo e degli
apparati pubblici, con la conseguente necessità di inquadrare giuridicamente le relazioni tra di essi; di pari
passo iniziarono a premere esigenze di maggiore democraticità. organizzazione pubblica è disciplinata nel
nostro ordinamento da una pluralità di fonti che regolano la struttura degli apparati amministrativi. Al livello
maggiore si colloca la Costituzione, che enuncia i principi generali di imparzialità e buon andamento
(art97Cost), ai quali si devono ispirare sia l’attività che l’organizzazione pubblica, e il principio
autonomistico. Individua poi i livelli di governo chiarendo che la repubblica è costituita da comuni,
province, città metropolitane, regioni e Stato. Prevedendo come articolazioni fondamentali dello Stato i
ministeri. Dedica l’intero titolo V all’organizzazione e ai poteri di regioni, province e comuni e demanda alla
legge statale il compito di individuarne le funzioni fondamentali e gli organi di governo. A livello europeo
lìart298 del TFUE pone il principio di un’A aperta, efficace e indipendente. L’organizzazione statale è
disciplinata con regolamenti governativi e le PA individuano le linee fondamentali sull’organizzazione degli
uffici, gli uffici più rilevanti e le dotazioni complessive tramite atti organizzativi (statuti). A livello statale
l’organizzazione ministeriale è disciplinata in parte dal dlgs300/1999, che elenca i ministeri, individua le
strutture di primo livello (dipartimenti, direzioni generali), disciplina le agenzie e le attribuzioni dei singoli
ministeri; da regolamenti di delegificazione e da decreti ministeriali. A livello sub statale gli statuti e le leggi
regionali contengono una disciplina dell’organizzazione delle regioni e dei loro apparati.
Quanto a comuni e province, spetta al loro statuto lo stabilire le norme fondamentali dell’organizzazione
dell’ente specificando le attribuzioni degli organi. Per effetto di questo complesso di fonti normative
l0organizzazione delle POA è disciplinata da una trama fitta di norme giuridiche.
Dalle fonti costituzionali si possono ricavare alcuni principi generali nell’organizzazione:
1. Buon andamento (art97Cost): ha risvolti non solo in tema di attività della PA, ma anche di
organizzazione (Es. reclutamento del personale sulla base di un concorso, quindi in base al merito).
2. Imparzialità. Si esprime nelle regole volte a far in modo che la politica non ingerisca nell’A e in
particolare nel principio organizzativo della distinzione tra funzioni di indirizzo e di controllo proprie
dei vertici politici delle A e funzioni di gestione, riservate ai dirigenti.
3. Pubblicità e trasparenza: in riferimento al procedimento amministrativo (Es. normativa
anticorruzione); impone alle PA di pubblicare sui propri siti e di aggiornare le informazioni e i dati
riguardanti la propria A. la dimensione organizzative del principio di trasparenza di esprime nella
figura del responsabile della trasparenza, che deve vigilare sul rispetto degli obblighi di
pubblicazione segnalando le inadempienze.
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4. Principio autonomistico: ispira i rapporti tra stato ed enti territoriali. Esso supera la tradizionale
visione del centralismo amministrativo e della preminenza dello stato su ogni altro apparato
amministrativo. Secondo l’art114Cost la Repubblica è composta, oltre che dallo Stato, dai comuni,
dalle province, dalle città metropolitane e dalle regioni, gli enti autonomi. Si scinde tra autonomia
statutaria e autonomia finanziaria.
5. Principio di leale collaborazione: tra i diversi livelli di governo, da questo derivano obblighi di
consultazione e informazione reciproci e doveri di coordinamento.
6. Equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito.
8.3 le PA
Nel corso del XX secolo accanto alle A tradizionali (Stato, enti territoriali), sono stati istituiti enti pubblici di
vario tipo e soggetti formalmente privati ma sottoposti a regimi pubblicistici. Il Consiglio dei ministri si
pone sul crinale tra politica e A, è allo stesso tempo organo costituzionali dato il suo ancoraggio al sistema
politico rappresentativo garantito dalla fiducia del parlamento, e organo di vertice. Nella prima veste adotta
atti politici e nella seconda esercita funzioni di indirizzo. Esistono anche soggetti formalmente privati a cui
si applicano norme di tipo pubblicistico (Es. procedure ad evidenza pubblica). Manca nel nostro
ordinamento una definizione legislativa di PA alla quale si ricolleghi l’applicazione di un corpo di regole e
principi omogeneo, da qui la necessità di costruire in via interpretativa la nozione di PA. Essa può essere
desunta da leggi amministrative settoriali che pongono definizioni o elenchi di enti e soggetti che rientrano
nel loro campo di applicazione. L’insieme degli enti che sono inclusi in tutti i regimi speciali in base alle
definizioni previste dalle singole leggi amministrative di settore costituiscono la PA in senso stretto. In esso
rientrano le amministrazioni statali, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici non economici e le autorità
indipendenti. Un primo gruppo di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel d.lgs. 165/2001 che pone la
disciplina generale dell’organizzazione degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro; ancora la disciplina del
procedimento amministrativo contenuta nella l241/1990; il Codice dei contratti pubblici che riguarda i
contratti per l’acquisto di beni, servizi e labori; il Patto di stabilità e crescita concordato in sede europea che
impegna gli stati aderenti a porsi obiettivi di pareggio di bilancio nel medio termine. In Italia è stato
approvato il Patto di stabilità interno che attribuisce al governo strumenti per vincolare al rispetto degli
obiettivi di finanza pubblica anche le regioni e gli enti locali. Le Pa a cui si applicano le norme di controllo
della spesa sono individuate da ISTAT. Come si stabilisce se un ente è pubblico o meno? In seguito alle
privatizzazioni si sono dovuti fissare dei criteri per la distinzione (indici di pubblicità dell’ente):
- L’attività che il soggetto svolge: se l’attività è di interesse generale, questo è un primo sintomo del
carattere pubblico dell’ente. Le Pa si collocano fuori dal mercato nel senso che non producono beni e
servizi resi sulla base di prezzi che contentano di realizzare ricavi, ma producono beni pubblici
materiali o meno che il mercato non è in grado di garantire in modo adeguato;
- Quali risorse l’ente utilizza: pubbliche o proprie private? Se utilizza risorse pubbliche si può
ricondurre alla categoria dell’ente pubblico. Il finanziamento delle attività pubbliche è posto in
prevalenza a carico della collettività attraverso la tassazione;
- La nomina degli organi di vertice: chi nomina presidente, consiglio di amministrazione dell’ente?
Se la scelta è operata da un’altra PA allora si vira verso il pubblico.
Esiste la distinzione tra PA in senso formale e PA in senso sostanziale.
PA FORMALE: tutti i soggetti classificati dalla legge (decreto n165/2001) come PA (Stato, Regioni,
Comuni, Università, scuole, enti pubblici, enti territoriali e autorità indipendenti). Quella degli enti pubblici
è una categoria generale ed indica una serie di soggetti ai quali si applica la disciplina del diritto
amministrativo. Tra questi enti pubblici ce ne sono alcuni che sono territoriali e che quindi si identificano
con un territorio definito (Regioni, Stato, Comuni, Province) anche detti enti ad appartenenza necessaria
(non si decide di appartenergli). Sono anche enti affini generali: le funzioni che esercitano sono quelle
attribuite dalla legge, ma che servono a soddisfare tutti gli interessi della collettività stanziata in quel luogo.
Gli enti pubblici possono essere economici (svolgono attività di impresa, AZIENDE PUBBLICHE. È la
categoria che ha subito la privatizzazione degli anni ’90, che le ha portate ad essere trasformate in società
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per azioni) e non economici (svolgono altre attività, INPS, INAIL, ISTAT, CONI. Hanno una disciplina
diversa da quelli economici, con i quali condividono gli animi. Non svolgono attività imprenditoriali).
L’ente pubblico definisce la pubblica amministrazione formale.
PA SOSTANZIALE: rientra in una nozione ampia di PA pur non avendo le caratteristiche specifiche. Ci
vanno le società per azioni che derivano dalla privatizzazione degli enti pubblici economici. Sono
soggetti formalmente privati (SPA) però nella sostanza vengono equiparati dalla giurisprudenza alle PA,
come? Utilizzando i criteri di pubblicità. Se si costituisce una società per legge che però ha le caratteristiche
dell’ente pubblico, è come se si volesse eludere l’applicazione della disciplina pubblicistica nei confronti di
quella privata (Es. assunzione del personale e acquisti, la spa sceglie liberamente, la PA no/ controllo
contabile/ acquisti). La privatizzazione era un primo step, il secondo sarebbe stato la vendita delle azioni e
così facendo le partecipazioni private avrebbero reso privata formalmente la società; in alcuni casi però la
vendita delle azioni non si è verificata e così le nuove società sono rimaste interamente a partecipazione
pubblica.
Società in house: tutte le azioni della società sono pubbliche, il pubblico gestisce e decide. Siccome la
società è come se fosse un ufficio interno della PA, allora può svolgere il servizio pubblico senza sostenere
gare. Le società avevano il vantaggio di evitare la gara perché era come se la PA esercitasse il servizio
direttamente. La giurisprudenza amministrativa ha deciso di riportare le società sotto il diritto pubblico
amministrativo.
Ci sono in alcuni ambiti imprese private che su concessione da parte dell’ente pubblico svolgono un’attività
sociale. Anche le fondazioni bancarie sono PA, derivano dalla privatizzazione delle banche, il cui
patrimonio è stato scorporato dal restante sistema bancario.
8.4 lo Stato
Fin dalla legge Cavour del 1853 la struttura amministrativa portante dello Stato è costituita da ministeri. Il
modello originario di ministero, al cui vertice si colloca il ministro, punto di raccordo tra politica e A e di
collegamento con il circuito politico, si connotava per la sua compattezza, secondo il principio gerarchico.
Gli uffici e le strutture operative di ogni ministero era inclusi in unità di livello superiore fino al vertice della
piramide, costituito dal ministero responsabile di dell’intera attività e centro di imputazione unitario delle
competenze. Nel corso del tempo i ministeri hanno cambiato fisionomia, il loro numero è aumentato e molte
delle loro funzioni sono state trasferite, in base alla sussidiarietà verticale, alle regioni; la loro
organizzazione è diventata meno compatta. Spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e
l’organizzazione dei ministeri, ponendo una disciplina generale della loro organizzazione centrale e
periferica, specificando le attribuzioni e le principali aree funzionali dei diversi ministeri. ogni ministero è
poi disciplinato da un regolamento governativo che ne specifica l’organizzazione. Accanto ai ministeri
indicati dal d.lgs.300/1999 possono essere predisposti singoli uffici o dipartimenti della presidenza del
Consiglio dei ministri, i “ministri senza portafoglio”, che non sono a capo di un dicastero, ma che esercitano
solo funzioni delegate dal PCM. L’organizzazione dei ministeri è di due tipi a seconda che le strutture di
primo livello siano formate da dipartimenti o direzioni generali: il modello dipartimentale è previsto per i
ministeri preposti a una pluralità di ambiti di intervento; quello per direzioni generali riguarda ministeri con
competenza circoscritte. I dipartimenti assicurano l’esercizio organico e integrato di funzioni e ad essi è
preposto un capo di dipartimento. I ministeri strutturati in direzioni generali invece prevedono un segretario
generale come figura di coordinamento. In tutti i ministeri sono istituiti uffici di diretta collaborazione con il
ministro. Alcuni compiti dei ministri possono essere delegati al sottosegretario di stato. In aggiunta a quelle
centrali, fanno parte dell’organizzazione di alcuni ministeri anche strutture periferiche (decentramento
burocratico). Tradizionalmente i ministeri si distinguono:
- Funzioni di ordine (interno, difesa, giustizia, esteri);
- Funzioni economiche e finanziarie (economia e finanze, politiche agricole, alimentari);
- Funzioni di servizio sociale e culturale (salute e istruzione, ricerca, università);
- Funzioni relative alle infrastrutture e servizi collettivi (Infrastrutture e mobilità).
Rispetto allo stato i singoli ministeri sono come degli organi. Ciascun ministero è titolare di fondi propri nel
bilancio statale e gode di autonomia di spesa, è assegnatario anche di beni mobili e immobili. Il ministero,
quindi, è una PA che appartiene all’organizzazione dello stato e si occupa di un certo settore di
amministrazione. All’interno del ministero c’è:
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- Vertice politico: Ministro
- Vertice amministrativo: Dirigenti generali
- Dirigenti
Fino a inizio anni ’90 anche i ministeri erano organizzati in maniera gerarchica e vedeva il ministro essere
sovraordinato rispetto al dirigente, potendo sostituirsi alla sua azione ogni volta che lo riteneva opportuno,
questo rendeva inefficiente il ministero. Il dirigente era nominato direttamente dal ministro. Con il decreto
normativo 29/93 si è introdotto il principio della separazione tra politica e amministrazione: non sono più,
ministro e dirigente, legati da un rapporto di sovra ordinazione ma hanno responsabilità e incarichi distinti. Il
principio è giustificato dal fatto che l’ingerenza continua della politica sulla gestione era causa di
inefficienza del sistema, le PA funzionavano male anche perché i dirigenti erano troppo condizionati dal
valore del vertice politico. Il principio comportava separazione. Le due funzioni hanno diverse
responsabilità: se il ministro definisce gli obiettivi dell’azione, il dirigente si fa carico della scelta di come
realizzare gli obiettivi usando le risorse di cui dispone nel modo migliore. Responsabilità politica-
responsabilità dirigenziale o di risultato.
L’azione del dirigente si valuta sulla base dei risultati che si sono raggiunti o meno. Con questo nuovo
modello il dirigente dovrebbe diventare autonomo rispetto al ministro: il ministro continua a nominarli e a
valutarne l’attività; il modello di autonomia, quindi, non è completo ma solo parzialmente applicato. Al
ministro però non è permesso adottate un provvedimento di competenza del dirigente. Se il dirigente non è
in grado di raggiungere gli obiettivi definiti dalla sede politica può incorrere nella revoca dell’incarico.
Afferiscono all’organizzazione dei ministeri le agenzie, definite dal d.lgs300/1999 come strutture preposte
allo svolgimento di attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, esse godono di autonomia
operativa ma sono sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza di un ministro. enti strumentali dei ministeri
che hanno competenze tecniche specialistiche (il ministero ha competenza generale sul settore di
riferimento, per svolgere l’attività si avvale delle agenzie). Questo serviva per scorporare dalle attività
ministeriale l’attività strumentale a supporto del ministero. Alcuni ministeri, già dal secolo scorso,
istituirono al proprio interno strutture, definite aziende, per l’erogazione di servizi pubblici nazionali. Quasi
tutte furono trasformate prima in enti pubblici economici e poi in SPA. All’organizzazione statale
afferiscono anche le autorità indipendenti (consom, garante privacy), figure che sono caratterizzate
dall’indipendenza rispetto al potere politico. Gli viene affidata la regolazione di servizi specifici e sensibili:
le autorità risolvono le eventuali controversie che si possono verificare in questi settori delicati. I vertici di
questi enti sono nominati dal parlamento e hanno una carica, la cui durata non coincide con quella della
legislatura; non possono essere rinominati per un secondo mandato. Hanno anche autonomia:
- Organizzativa
- Regolamentare
- Finanziaria
Queste tre forme di autonomia sono lo strumento che permetterebbe a questi soggetti di svolgere la propria
attività in maniera indipendente. Hanno funzione para giurisdizionale, si avvicina più alla funzione
giudiziaria che amministrativa. A tutti questi soggetti si applica il diritto amministrativo.
Il ministero dei beni culturali: Il ministero per i beni culturali e del turismo è relativamente giovane: esso
nasce negli anni ’70 per volere dell’allora ministro senza portafoglio Spadolini con delega ai beni culturali
ed ambientali, all’interno del contesto dell’esecutivo Moro IV, con d.l. del 14/12/1974 e convertito poi nella
l. 29/1/1975 n.5 (sintomo l’istituzione di questo ministero di una riconoscenza nei confronti di suddetto
settore, inizia ad emergere l’idea che il patrimonio deve essere tutelato, il ministero nasce di pari passo con il
concretizzarsi di una necessità comune).
Si delinea nell’apertura nella disposizione del 1974 il motivo per il quale si introduce questo nuovo
ministero, ovvero al fine ultimo di andare a rispondere alle necessità di organica tutela sia per aspetti
nazionali sia anche internazionali. Da quel momento le attività passano dal ministero dell’istruzione al
MIBAC il quale ha visto nel corso degli anni diversi tappe anche riguardanti l’aspetto organizzativo (riparto
delle funzioni), ultimo e più importante riordino del MIBAC fu fatto con il d.lgs. 20/10/98 n368 (che si
immette all’interno di quel processo di razionalizzazione tipico di quegli anni, nello specifico tale d.lgs. si
basa sulla l.15/3/1997 che conferiva al governo la “razionalizzazione, l’ordinamento della presidenza del
consiglio dei ministri e dei ministeri, anche con il riordino di questi o la loro fusione tra ministeri”.
Razionalizzazione in quel contesto necessaria al fine ultimo che ci si trovava dinanzi a più ridotte funzioni
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degli enti centrali, in virtù dell’aumento delle autonomie. con questa ri-organizzazione nasce quello che
noi conosciamo con l’acronimo di MIBAC ovvero il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’
CULTURALI
Anche il testo del ’98 è stato frutto di modifiche nel corso degli anni, soprattutto per quanto concerne
l’organizzazione interna del ministero; infatti secondo la carta costituzionale, nello specifico, all’art. 95
comma 3, spetta ad una legge (riserva assoluta) andare a determinare il numero, le attribuzione e
l’organizzazione dei ministeri ecco quindi che il d.lgs. 300/1999 è andato a delineare quelli che sono il
loro numero definitivo e le loro attribuzioni, mentre per l’organizzazione dei singoli si è ricaduto sulla
necessità di atti normativi secondari. Oggi ci troviamo al settimo regolamento in termini di organizzazione
interna del MIBAC, figlio del D.P.C.M. 2 dicembre 2019 n.169. All’art1dpcm169/2019, la tutela e la
valorizzazione vengono attribuite direttamente al ministero per una necessità di uniformità dell’azione.
I principi applicati al MIBAC valgono anche per gli altri ministeri, con degli adattamenti specifici per ogni
materia di riferimento.
Così come altri ministeri anche il MIBAC si articola in un’amministrazione centrale con sede in Roma ed
una periferica con uffici dislocati nei differenti luoghi sul territorio nazionale.
L’amministrazione centrale si fonda sulle cd. DIREZIONI GENERALI, quali strutture di primo livello, ove
a capo si immette il cd. Direttore generale. Esse divergono dalla semplice direzione solo per un fatto di
nomina, infatti il direttore generale viene nominato dal ministro, mentre invece quello normale no, questo
comporta di seguito anche la modifica del rapporto tra questi (direttore generale ha una diretta relazione con
il ministro, mentre il direttore ha come intermediario tra lui ed il ministro il direttore generale. (questo
modello si confà all’art. 3 del d.lgs 300/1999, ove per l’appunto i ministeri possono essere organizzati o per
dipartimenti o per direzioni generali, il primo caso riguarda le strutture pensate per apparati ministeriali con
ambiti di intervento molto ampi, mentre nel caso delle direzioni generali non vi è alcuna specifica da parte
del legislatore). Il MIBAC prima dal 98 venne concepito diviso in direzioni, poi dal 2004 invece fu diviso in
dipartimenti, per poi ritornare dopo nel 2006 a seguito di critiche al suo assetto originario impostato nel 98.
Esiste la figura del segretario generale, un organo di natura fiduciaria che viene nominato dal ministro;
essi sono legati da un rapporto di vicinanza stretta, che si traduce in maggiore precarietà dell’organo: gli
organi fiduciari possono essere revocati e istituiti con un cenno, se cambia il ministro (crisi, cambio delle
maggioranze), cambia anche il segretario generale perché i due sono legati da un rapporto molto stretto così
che se viene meno uno, viene meno anche l’altro fenomeno dello spoils system ove per l’appunto esso è
una pratica politica secondo cui alti dirigenti della p.a. cambino con il cambiare del governo. Egli “assicura
il coordinamento e l’unità dell’azione amministrativa elaborando direttive, gli indirizzi e le strategie
concernenti l’attività complessiva, coordina e vigila gli uffici e le attività del ministero”. In poche parole,
trasferisce l’indirizzo generale dal ministro alle direzioni generali che compongono il ministero. È la figura
di snodo e raccordo tra la parte politica e quella amministrativa e di garante all’interno di un panorama
complesso e articolato come quello dell’amministrazione dei beni culturali.
Il ministro si avvale di UFFICI DI DIRETTA COLLABORAZIONE (funzione di supporto del ministro
nell’azione di indirizzo politico), i quali per l’appunto lo aiutano, nella sua funzione di definizione
dell’indirizzo politico; essi sono una serie di uffici che non sono collocati in una posizione sott ordinata
rispetto al ministro, è come se lo avvolgessero, perché lo aiutano nell’elaborazione dell’indirizzo politico,
concorrono alla sua definizione. I vertici di tali uffici sono nominati direttamente dal ministro, sono su
incarico fiduciario che ha una durata corrispondente a quella del mandato governativo. Ogni ufficio è
disciplinato dal ministero stesso. Il provvedimento atto alla disciplina degli uffici di diretta collaborazione
del MIBAC è il già più volte citato D.P.C.M. 169/2019, in particolare nell’art. 3 ove essi sono costituiti
nell’ambito del Gabinetto, quale centro di responsabilità amministrativa e li individua in:
a. UFFICIO DI GABINETTO
b. SEGRETERIA DEL MINISTRO
c. UFFICIO LEGISLATIVO
d. UFFICIO STAMPA
e. SEGRETERIA DEI SOTTOSEGRETARI DI STATO
Nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione un rilievo particolare è dato al CAPO DI GABINETTO, il
quale insieme all’ufficio del Gabinetto coordina le attività affidate agli uffici di diretta collaborazione
assicurando il raccordo tra le funzioni del ministro e i compiti dell’altra figura al vertice ovvero il segretario
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generale. L’ufficio svolge una funzione di consulenza per il ministro, traduce l’idea del ministro in un
indirizzo politico definito (perché solitamente il politico ministro non è esperto della materia), quello che
concretizza le idee del ministro. Lorenzo Casini è oggi capo del Gabinetto.
Il MIC si articola in 12 direzioni generali: Una direzione generale è un insieme di uffici che si occupa di una
determinata materia coerente con le funzioni del MIBAC.
La loro articolazione, nomenclatura, attribuzioni e finalità si sono andate a modificare nel corso degli anni,
anche a seguito ad esempio di quelli che sono stati i tagli al pubblico/ o all’ottimizzazione della resa di
questo. Alcune di esse comunque hanno una competenza settoriale, ma altre come ad esempio quelle
riguardanti organizzazione e bilancio, le quali hanno una competenza trasversale ovvero che ha effetti anche
sulle altre direzioni.
IL MIC così come altri ministeri si avvale di un’amministrazione consultiva, il quale fine ultimo è quello
di andare a procurare elementi conoscitivi utili ad assumere decisioni spettanti ai vertici politici o
amministrativi. Essi sono: CONSIGLIO SUPERIORE BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI. Esso ha
attività consultiva e propositiva, nel caso della prima essa si concretizza con l’espressione di pareri. Se il
parere al consiglio è necessario per l’adozione del provvedimento e se non venisse richiesto l’atto potrebbe
essere annullato perché illegittimo (parere obbligatorio, ci si può discostare e non tenerne considerazione,
si esercita la discrezionalità amministrativa). Il parere vincolante invece è il parere a cui la PA deve
attenersi senza possibilità di discostamento; i casi sono disposti dalla legge. Ci sono anche pareri
facoltativi, la loro mancata richiesta non determina l’illegittimità dell’atto adottato. Tali pareri debbono
essere resi entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, riducibili a 10 in caso di urgenza. 7
COMITATI TECNICO-SCIENTIFICI articolati secondo gli ambiti di loro competenza, le loro attribuzioni
sono di natura consultiva o propositiva al fine di concorrere nella stesura di relativi programmi nazionali per
i settori a cui si richiamano anche con il fine ultimo di definirne i piani di spesa; questo conferma di nuovo
la complessità tecnica della materia e quindi una serie di organi in grado di esprimere pareri. Allo stesso
tempo abbiamo un’idea della complessità dei procedimenti amministrativi: più una materia è complessa e
più il procedimento che la riguarda è farraginoso. La legge generale sull’attività amministrativa prevede una
serie di strumenti che dovrebbero semplificare la macchina procedurale, questo è necessario nelle materie ad
elevata complessità tecnica.
Nell’amministrazione del MIBAC è interessante sottolineare come confluiscono numerose ed eterogenee
strutture organizzative che svolgono differenti funzioni idi natura molto tecnica, ove spiccano uffici dotati di
autonomia speciale e musei e parchi archeologici che in virtù del loro rilevante interesse nazionale sono
anch’essi dotati di autonomia speciale, sono una serie di istituti che in ragione delle loro funzioni e della
materia di cui si occupano, sono stati valutati dal legislatore come bisognosi di maggiore autonomia.
Il MIC come altri ministeri si avvale di un’amministrazione periferica per l’esercizio delle proprie funzioni,
con uffici che permettono nella teoria una risposta più repentina alle esigenze dei destinatari finali.
Anch’essa in virtù dei cambiamenti dell’amministrazione centrale è stata soggetta di ri-ordino, che hanno
portato alla conformazione attuale codificata dal dpcm 169/2019.
Da il via al capo VII riguardante per l’appunto l’amministrazione periferica di tale ministero e ne delinea
quelli che sono gli organi periferici, che adesso si andranno a delineare nel dettaglio (Es. segretari regionali,
soprintendenze archeologiche, direzioni regionali musei, musei aree e parchi archeologici, soprintendenze
archivistiche).
Il ministero per svolgere il suo lavoro si avvale anche di società per azioni. La spa è stata vista come il
modello sempre vincente: si sono allora costituite una molteplicità di società, anche a partecipazione
azionaria completamente pubblica, quindi, solo una facciata perché internamente la società sottostava alle
regole delle PA. Era uno spreco, ma la società nel dato momento storico era vista come il modello assoluto,
anche se non lo era (anche perché la dottrina in virtù del fatto che dietro vi fosse solo lo stato l’ha sempre
considerate come qualcosa di suscettibile al mondo del diritto amministrativo). CASO DI ARLES
(ARTE, LAVORO e SERVIZI S.P.A.) ove il Mibact è l’unico socio, ove esercita i poteri esclusivi di
direzione e vigilanza secondo il modello in HOUSE PROVIDING, locuzione usata per individuare quelle
ipotesi in cui la PA decide di ricorrere all’autoproduzione dei beni, servizi e lavori, anziché+ rivolgersi al
mercato rispettando procedure di evidenza pubblica. Arles nasce dopo il fallimento di Arcus nel 2003, nata
per promuovere il sostegno finanziario alle attività di restauro ma fallita anche per mancanza di risorse,
venne poi fusa in ARLES, istituita nel 1997 con una legge, nata come società necessaria per rispondere sia
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alle esigenze del settore culturale sia a quelle del lavoro. Essa svolge secondo il suo statuto l’esercizio di
attività e la realizzazione di iniziative volte alla gestione, valorizzazione e tutela dei beni culturali in ambito
nazionale ed internazionale; ivi si immette il compito che ha nella pubblicità attività di crowdfunding e il
monitoraggio dei movimenti da tale attività ottenuto.
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8.6 gli enti pubblici
Dal XX secolo furono istituiti molti enti pubblici diversi per struttura, funzioni e ambiti di autonomia.
Possono essere:
- Disciplinati da leggi generali o istituiti con legge ad hoc;
- Nazionali o regionali, a seconda che siano enti istituiti a livello statale o regionale;
- Associativi o non associativi, esponenziali o meno di categorie;
- Pubblici non economici o economici, a seconda nella natura imprenditoriale;
8.10 le relazioni intraorganiche e intersoggettive e 8.11 il disegno organizzativo degli enti pubblici e lo
spazio regolatorio.
Le relazioni delle PA possono essere interne o esterne ad esse. La gerarchia domina le relazioni e connota
sia il rapporto tra persone della stessa struttura ma anche il rapporto tra uffici. Il rapporto di gerarchia
presuppone che le competenze dell’organo sottordinato siano tutte incluse in quelle dell’organo
sovraordinato, per questo quello sopra può sostituirsi a quello sotto. Anche il concetto di controllo origina
un rapporto di sovra ordinazione tra l’organo o l’ufficio titolare del potere di controllo e il destinatario. Il
coordinamento poi è un’esigenza primaria in un sistema amministrativo che ha acquisito una dimensione
multilivello e di specializzazione delle funzioni. Nel modello gerarchico il coordinamento è assicurato dalla
presenza di un vertice unitario che assomma tutte le competenze. Il coordinamento si distingue tra
coordinamento politico-amministrativo che si riferisce ai rapporti interni al governo e quelli tra lo Stato, le
regioni e le autonomie; e il coordinamento amministrativo che fa riferimento agli strumenti che coordinano
le attività relative a uno o più procedimenti (Es. intese, pareri). A volte un ente si mette a disposizione di un
atro per lo svolgimento di compiti di quest’ultimo, così nei casi ammessi esiste la delega di funzioni tra enti.
Un’altra modalità è l’avvalimento, una figura organizzativa in base alla quale un ente mette a disposizione
di un altro la propria organizzazione a supporto di funzioni o attività dell’altro.
Il disegno organizzativo degli enti pubblici consiste in una griglia di parametri che consentono di
inquadrare ogni tipo di apparato pubblico: un primo indicatore sono le fonti, alcuni enti trovano nella legge
istitutiva la legge principale, per altri invece la fonte primaria ha margini più ampi. Altro parametro è la
tipologia di organi previsti per ogni ente, le loro modalità di nomina e la ripartizione delle competenze.
Ancora, si prendono in considerazione le funzioni e i poteri attribuiti all’ente dalla legge; si analizzano
anche i controlli e la vigilanza ai quali è sottoposto l’ente. Un quinto indicatore è costituito dalle risorse
finanziarie sulle quali può far affidamento l’ente, alcuni dipendono dall’erario, altri sono autosufficienti. Il
disegno organizzativo invece fornisce un’immagine statica di ciascun apparato, la sua collocazione nello
spazio regolatorio ne coglie invece l’aspetto dinamico all’interno di un sistema di relazioni mobili tra PA.
Lo spazio regolatorio richiede una mappatura delle relazioni che ogni apparato intrattiene con gli
stakeholders.
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disponibili per uno lo sono necessariamente per tutti (Es. illuminazione pubblica strade), negli altri invece il
gestore intrattiene una relazione giuridica con gli utenti del sevizio, ai quali viene richiesto un compenso
(Es. bolletta). Esistono anche i servizi a rete, quelli erogati attraverso le infrastrutture (Es. rete ferrovie).
La disciplina europea in materia di servizi pubblici ha inciso sulla disciplina nazionale fondandosi su
principi integrati nel TFUE e su molte direttive. Questi principi seguono due direttive principali: la rilevanza
sociale dei servizi e il rispetto delle regole della concorrenza e del mercato. I servizi pubblici sono quindi un
elemento caratteristico del modello europeo di società. Gli stati membri possono individuare le attività da
annoverare tra i servizi pubblici e le modalità di erogazione degli stessi. In generale le direttive di
liberalizzazione operano una distinzione tra:
- Concorrenza nel mercato: riguarda i servizi pubblici per i quali la fornitura del servizio piò essere
svolta da più operatori in concorrenza;
- Concorrenza sul mercato: si riferisce alle situazioni in cui per ragioni tecniche o economiche il
servizio può essere svolto da un solo operatore (monopolio naturale).
Servizi pubblici: attività svolte dalle PA per soddisfare interessi e bisogni della collettività. Si distingue tra
attività provvedimentale (regolativa di comportamenti privati) definisce i comportamenti dei privati, attività
prestazionale quindi quello che le PA fanno per i cittadini (servizio sanitario, d’istruzione), attività che non
si caratterizzano attraverso l’uso di provvedimento quindi attività impositiva, ma che per la maggior parte
utilizzano il mezzo contrattuale.
9.3 la regolazione e le forme di gestione dei servizi pubblici e 9.4 le autorità di regolazione
La disciplina dei servizi pubblici ha 3 fasi:
1. L’assunzione: di un servizio pubblico è il frutto di una decisione politica che constata l’insufficienza
del mercato nell’offrire alla collettività tale bene; mette quindi in opera interventi di regolazione per
garantire livelli minimi di prestazione. L’atto di assunzione del servizio è responsabilità esclusiva
dello stato. I servizi e i beni necessari per il benessere della collettività sono mutati nel tempo in
funzione delle esigenze della società e del perimetro del servizio, quindi a seconda del contesto
locale o meno.
2. La regolazione: è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico e all’attuazione
in concreto dei principi giuridici in materia di servizi pubblici. Si basa sulla doverosità, una volta
presa la decisione di assumere il servizio, il pubblico deve garantire l’erogazione dello stesso
secondo criteri predeterminati; sulla continuità, perché l’erogazione non può essere interrotta
arbitrariamente; sulla parità di trattamento per cui tutti gli utenti hanno diritti a ottenere prestazioni
uguali; sull’universalità, quindi le prestazioni devono essere garantite a tutti; sull’abbordabilità, il
servizio deve essere fornito agli utenti a prezzi accessibili sull’economicità, il gestore del servizio
deve essere messo nella condizione di svolgere l’attività in modo imprenditoriale, con la possibilità
di conseguire utili. L’architettura della regolazione è funzionale a concretizzare questi principi e gli
strumenti di regolazione sono vari, individuati nelle leggi settoriali.
3. La gestione: si ha gestione diretta se l’attività è svolta da strutture dell’ente titolare del servizio; si ha
gestione indiretta se essa è affidata a un ente pubblico incaricato dello svolgimento del servizio; si
possono avere società in house; si possono avere società miste, a partecipazione pubblica e privata in
una prima esternalizzazione parziale del servizio. La società mista è una forma di partenariato
pubblico-privato che realizza una collaborazione stabile e di lunga durata attraverso l’istituzione di
un’organizzazione comune. Il partenariato può essere di tipo istituzionale: si instaura una relazione
organizzativa tra pubblici e provato che interagiscono all’interno della società mista in sede
assembleare; o può essere istituzionale, un’A stipula con un’impresa un contratto per acquisire beni o
servizi realizzando un’esternalizzazione completa. Esiste anche il partenariato contrattuale, in cui
si concede il servizio a soggetti terzi selezionati su procedure competitive nei casi in cui per ragioni
tecniche il servizio possa essere erogato da un solo gestore. Quando invece sul mercato ci sono più
gestori, viene rilasciata loro un’autorizzazione. Una volta scelta la forma dio gestione del servizio e
individuato il gestore, questo provvede a svolgere tutto il necessario per avviare il servizio.
L’erogazione deve rispettare il contratto di servizio (regola i rapporti PA-titolare servizio-gestore), le
carte dei servizi (stabilisce i livelli da rispettare) e i contratti di utenza (rapporti gestore-utente).
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Esistono le autorità di regolazione dei servizi pubblici aventi rilevanza economica, questo perché il
passaggio dal monopolio alla concorrenza pone il problema della regolazione e dei soggetti a cui affidarla.
In un contesto di liberalizzazione dei mercati l’architettura della regolazione è complessa e riguarda:
- I rapporti tra gestori dei servizi e autorità di regolazione, perché i regolatori devono predisporre una
cornice di regole tali da consentire lo sviluppo di un mercato concorrenziale.
- I rapporti tra gestori in concorrenza, perché sono sottoposti a obblighi reciproci;
- I rapporti tra gestori e utenti, disciplinati da regole poste dalle autorità di settore e dalle carte dei
servizi.
C11- I BENI
11.1 la disciplina pubblicistica dei beni e 11.2 i beni di interesse privati e di interesse pubblico
Per svolgere le loro attività le PA hanno bisogno, oltre che di personale, anche di beni immobili e mobili.
Sono beni che le PA possono possedere a titolo di proprietà privata o a titolo civilistico e devono essere
acquistati con procedure di evidenza pubblica. Quindi le PA, a differenza dei privati, sono titolari e
gestiscono dei beni, però non per finalità proprie, ma per metterli a disposizione della collettività (Es. strade
e musei). Il regime dei beni pubblici trova un fondamento nel Codice civile, che pone la distinzione tra beni
demaniali, disciplinati da regole pubblicistiche e beni patrimoniali (disponibili e indisponibili), che sono
sottoposti a regole particolari. Nell’individuare i beni che ricadono nelle due categorie il codice segue un
criterio formale legato alle caratteristiche dei beni (elenchi). Anche i beni privati possono essere oggetto di
un regime pubblicistico: la proprietà privata infatti può essere conformata dal potere pubblico allo scopo di
assicurarne la funzione sociali e renderla fruibile a tutti (Es. esproprio di proprietà fondiaria). Molte leggi
amministrative infatti introducono limiti al diritto di proprietà allo scopo di tutelare interessi pubblici.
Rispetto ai beni i pubblici poteri possono quindi assumere la duplice veste di Stato proprietario (lo stato ha
la titolarità) e gestore o Stato regolatore (si tratta della conformazione del diritto di proprietà privato). I beni
privati e pubblici possono essere sistemati lungo un alinea che pone a un estremo i beni privati sottoposti al
regime di diritto comune e all’estremo opposto i beni pubblici sottoposti al regime pubblicistico, tra i due
estremi ci sono i beni privati di interesse pubblico e i beni patrimoniali indisponibili.
Può essere posta la distinzione oggettiva tra:
- Beni di interesse privato: sono disciplinati integralmente dal Codice civile; i proprietari hanno
diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, anche a questi beni
possono essere applicati regimi pubblicistici che attribuiscono così poteri conformativi ad apparati
pubblici. molte tipologie di prodotti immessi sul mercato sono posi soggetti ad una regolazione
pubblica volta a garantire sicurezza e qualità (potenziale barriera al commercio). Nella categoria
rientrano anche alcuni beni che possiamo definire come beni pubblici in senso soggettivo, cioè i beni
patrimoniali appartenenti allo Stato e agli enti territoriali e regolati dal diritto comune, che sono
sottoposti al diritto privato e che sono commerciabili.
- Beni di interesse pubblico: sono beni che sotto il profilo oggettivo hanno rilevanza pubblica. Se nei
beni privati l’interesse pubblico se c’è è esterno al bene, nei beni di interesse pubblico l’interesse è
interno (Es. beni culturali).
ARTICOLI UTILI
ARTICOLO 3: costituito da 2 commi, nel primo viene
affermato un principio di uguaglianza formale ed è diretta al
parlamento è vincolato nel definire il contenuto delle norme ad
evitare qualunque forma di discriminazione (la Costituzione è
stata emanata nel 1948 e quindi bisogna tener conto del
periodo storico). È l’obiettivo verso il quale il legislatore deve
tendere. Nel comma2 viene fissato un principio di uguaglianza
sostanziale, il Costituente nel 1948 ha stabilito che sia compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli per creare un percorso di
uguaglianza. È compito della Repubblica rimuovere le differenze
che per forza di cose ci sono tra i cittadini (Es. borse di studio,
sussidi, strumenti che cercano di riequilibrare le differenze tra i
cittadini). Il termine Stato in questo caso non viene utilizzato, viene utilizzato “Repubblica” e così il
legislatore vuole riferirsi a tutti gli enti che comprende il sistema (tutte le componenti a prescindere dal loro
livello). Nel primo comma c’è una norma di carattere programmatico, un obiettivo, nel secondo comma la
norma stabilisce che la norma elimini gli ostacoli. L’articolo 3 è una delle norme che più spesso ricorre nella
proposizione dei ricorsi amministrativi perché la norma è talmente ampia e generale che può essere declinata
in modi diversi.
ARTICOLO 5: individua un principio cardine del diritto
amministrativo, l’autonomia. Si doveva coinvolgere nella
funzione amministrativa altri enti. La Costituzione conserva
un’enorme attualità, già nel 1948 disponeva una serie di
principi che sono stati attuati solo molti anni dopo, ancora oggi
l’articolo ha lo stesso testo. Si riconosce il principio del
decentramento ma si ricorda anche che la Repubblica è una ed indivisibile, sarebbe impossibile qualsiasi
processo di divisione e spezzettamento della Repubblica (no federalismo). Fino al 2001 la legislazione
regionale era meramente attuativa di quella statale, e oggi, sebbene ci sia stato uno sforzo per il
potenziamento dell’autonomia sancendo il pluralismo istituzionale paritario, gli spazi di legislazione delle
regioni sono compressi. Perché la norma non è stata attuata subito? Le prime norme risentono del dovere di
bilanciare esigenze contrapposte, tra chi spingeva per il decentramento o chi temeva che questo
determinasse una perdita di autorità per lo Stato centrale. Le norme di principio sono la sintesi di posizioni
distanti.
ARTICOLO 9: è dedicato al paesaggio e al
patrimonio artistico. La Repubblica (il
costituente si riferisce a tutte le componenti,
nel 48 i costituenti immaginavano che tutte le
componenti avrebbero dovuto avere un ruolo
nello sviluppo della cultura, in realtà la
gestione dei beni culturali fino al 2001 è stata
completamente in capo allo Stato). Il
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costituente pone l’accento sulla promozione dello sviluppo della cultura (valorizzazione), l’attenzione del
costituente era volta allo sviluppo, il fatto che lo sviluppo sia anteposto alla tutela del paesaggio fa
supporre che nell’intenzione del costituente la tutela fosse strumentale all’obiettivo primario che era lo
sviluppo della cultura. La relazione definita nella Costituzione è inversa rispetto a quella stabilita dal
Codice2004. Nel Codice dei Beni Culturali a tutela è l’elemento fondante e centrale, quello attorno a cui si
plasma il sistema, la CC ha dichiarato che la valorizzazione è stata fino a poco fa un orpello della tutela. Il
Codice contiene un ribaltamento rispetto alla Costituzione: per la Cost il paesaggio viene tutelato prima del
patrimonio storico. Infine, il termine Nazione non è casuale, lo si fa intendendo la comunità, collettività tutta
nel suo insieme. La costituzione prevedeva la tutela primaria del paesaggio e poi del patrimonio storico
artistico.
Il contenuto dell’articolo è innovativo rispetto al percorso che si è fatto negli anni. Nel febbraio 2022 si è
inserito nell’articolo il tema della sostenibilità ambientale, l’affermazione nell’articolo può essere letta in
due accezioni: la relazione tra sostenibilità e valorizzazione del patrimonio culturale è sempre più stretta
perché ①da una parte il patrimonio deve essere gestito in maniera sostenibile per permetterne la fruizione
in futuro; ②dall’altra la gestione sostenibile del patrimonio contribuisce anche allo sviluppo dei territori (c.
di Faro 2005). La Costituzione recupera recentemente una lacuna, un tassello mancante, chiarendo la stretta
relazione tra sostenibilità e patrimonio culturale; questo ha un risvolto specifico nell’individuazione di
alcune forme di valorizzazione del patrimonio culturale che trovano gli strumenti di rigenerazione culturale.
ARTICOLO 11: è la Costituzione che
giustifica la rinuncia a una quota di
sovranità in favore della partecipazione
della Repubblica all’organismo
internazionale dell’Unione Europea,
questo giustifica la prevalenza delle
norme europee rispetto alle altre ma
allo stesso tempo la loro sottomissione rispetto alla Costituzione, perché e quest’ultima che le legittima.
ARTICOLO 24: i cittadini possono sempre
reagire in giudizio nei confronti delle PA.
Non hanno la possibilità accertata di
ottenere il bene a cui aspirano. Le PA
tutelano interessi pubblici, che sono
considerati superiori rispetto agli interessi
dei singoli, come valuta un giudice quando
un privato propone un ricorso contro un
provvedimento amministrativo? Sebbene il
provvedimento produca danno, se legittimo continua a produrre i suoi effetti, se illegittimo viene abrogato.
La tutela che viene assicurata al privato nei confronti delle PA non è piena, ma mediata: il giudice verifica il
comportamento della PA, legittima o meno. Non soddisfa l’esigenza del privato perché il suo interesse p
subordinato all’interesse pubblico della PA.
ARTICOLO 28: la responsabilità di
un soggetto appartenente ad una
persona giuridica o PA, non si limita
a lui e basta ma la responsabilità si
estende all’ente. Questo è uno
strumento di garanzia per i cittadini:
se un diritto di un cittadino viene leso
da parte di un dipendente pubblico nell’esercizio delle sue funzioni, egli potrà far valere i suoi diritti nei
confronti dell’istituzione pubblica di cui il dipendente è parte.
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ARTICOLO 34: è il fondamento dello stato del Welfare, del benessere. La norma prevede le prestazioni di
carattere sociale e sanitario che lo stato è tenuto a garantire ai cittadini. ARTICOLO 41: l’intervento
economico dello stato nel pubblico ha avuto un andamento ondivago.
C8 p.303
ARTICOLO 95: il Governo è potere esecutivo ma
anche l’ultimo anello del sistema amministrativo. È
cioè Pubblica Amministrazione. Ogni Ministero
disciplina o gestisce un settore di amministrazione, che
trova il suo vertice nell’organo politico /(Ministro) e al
di sotto del ministro si colloca l’apparato
amministrativo in senso proprio (dirigenti che si fanno
carico della gestione delle risorse per mandare avanti il settore). Questi due livelli: politico e amministrativo,
hanno competenze responsabilità diverse; il Ministro ha responsabilità politica perché organo politico e
quindi risponde della propria azione al parlamento; il Dirigente che è vertice amministrativo professionale
ha una responsabilità dirigenziale o di risultato che fa valere di fronte al Ministro, che deve valutarne le
capacità rispetto agli obiettivi definiti dal livello politico ministeriale. La direttiva è lo strumento attraverso
cui il ministro assegna al dirigente una serie di obiettivi: il ministro non dice in che modo l’obiettivo va
perseguito, lascia il dirigente libero di determinare i modi, stabilisce l’obiettivo.
All’ultimo comma si stabilisce che i ministeri possono essere istituiti solo per legge; l’organizzazione
interna può invece fatta attraverso fonti secondarie, regolamenti, perché l’art97 contiene una riserva di legge
relativa, cioè la materia può essere disciplinata anche da fonte di legge.
ARTICOLO 100: riguarda il Consiglio di Stato, che è il secondo grado di giudizio. Nelle sue sentenze
stabilisce la correttezza o meno della sentenza del
primo grado, il giudice d’appello potrebbe ribaltare
la situazione o confermare la precedente. Il
Consiglio di Stato è per eccellenza il consulente
delle PA: quando la PA, in particolare i ministeri,
devono adottare atti amministrativi o compiere
scelte che incidono possono chiedere pareri al
consiglio, che assolve funzione giurisdizionale e di consulenza. Questo lo rende un organo speciale tra le
PA perché da una parte è giudice, e questo necessita dell’imparzialità del giudizio, ma dall’altra è consulente
della PA, quindi, ha una posizione non del tutto esterna; il Consiglio di Stato ha una serie di giudici divisi in
sezioni: alcune sezioni si occupano della giustizia, altre della consulenza, quindi, le funzioni sono svolte da
persone diverse ma l’organo è unico. Il diritto amministrativo è speciale perché per i suoi ricorsi è stato
creato un giudice speciale, il Consiglio di Stato; se il cittadino vince il ricorso e il giudice accerta il danno
che si è prodotto nei confronti del cittadino, questi ha diritto ad un risarcimento. Il giudice decide di
annullare il provvedimento e di stabilire un risarcimento, la cui somma è presa dai soldi pubblici.
I centri storici: sono stati oggetto negli anni della sovrapposizione tra discipline diverse, quella del governo
del territorio (urbanistica) e del Codice dei beni culturali. I centri storici sono porzione di una città
caratterizzata da elementi di rilevanza storici e culturali. Questi nuclei delle città sono stati inizialmente
ambito esclusivo di intervento della disciplina del governo del territorio, quindi dal punto di vista di un
corretto e razionale utilizzo del territorio comunale. I centri storici erano sottoposti a particolari divieti e
norme per le costruzioni. Nella carta di Gubbio degli anni 70 si afferma il principio della salvaguardia dei
centri storici, è quindi il comune con i suoi strumenti di pianificazione che deve tutelare il centro storico.
Perché il comune? perché è l’amministrazione che ha il dovere di definire con i propri strumenti di
pianificazione, i piani regolatori, come il proprio territorio deve essere utilizzato, e perché il centro storico è
parte del territorio de comune, è al comune che spettano le decisioni al riguardo. Il comune si è trovato a
dover bilanciare interessi quasi contrapposti come l’esigenza di innovazione e quella di conservazione dei
centri storici.
Nel codice dei beni culturali è confluita la definizione dei centri storici come beni paesaggistici; nel 2008 il
codice viene modificato, con l’introduzione di un esplicito riferimento nell’art.136 ai centri storici. Ci si
interessa del centro storico come insieme, agglomerato e oggetto unitario, a prescinder dei beni singoli
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all’interno del centro storico. L’individuazione, quindi l’attribuzione di un vincolo specifico, sono
imprescindibili per la tutela del centro storico, questo determina la sovrapposizione delle discipline: il
governo del territorio e il codice. Musealizzazione dei centri storici: per tutelare il centro storico lo si è
svuotato, così da farlo rimanere privo di vivibilità perché non rispondente alle esigenze delle persone. La
tendenza alla conservazione è stata come esasperata. Per risolvere la questione si dovrebbe ricorrere a tutta
una serie di strumenti per rendere nuovamente vivibile il centro storico.
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