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IL LIBERALISMO

PREMESSA. Il periodo della storia europea compreso tra il 1789 e il 1848 è stato definito dalla storiografia come
“età delle rivoluzioni”: infatti si assiste a una grande lotta sul piano politico ed economico-sociale. In questa fase
storica nascono nuove ideologie, e altre si consolidano e trovano concreta applicazione storica: da un lato il
socialismo, a difesa dei lavoratori, dall’altro il liberalismo, con lo scopo di instaurare uno Stato costituzionale ed
abbattere ogni forma di assolutismo.
LIBERALISMO E DEMOCRAZIA. Per capire la differenza fra liberalismo e democrazia classica, bisogna chiarire
che la democrazia, come dottrina politica e come realtà storica, presenta due aspetti fra di loro non sempre
conciliabili. Da un lato si parla di «democrazia formale» come sistema di regole per realizzare il più ampiamente
possibile il principio del «governo del popolo» e garantire i diritti civili e politici. Dall’altro lato si parla di
«democrazia sostanziale» come sistema di valori che lo Stato democratico deve attuare, che ha il merito di aver
rivendicato il suffragio universale e un ampio sistema di decentramento del potere. Il modello originario, classico,
era basato sulla «democrazia diretta», cioè sul diretto governo del popolo riunito in assemblea. La democrazia
ha preferito, anche in tempi moderni, le istituzioni assembleari e le forme dirette di partecipazione politica.
Inoltre la democrazia tende a fare dell’unanimismo un valore fondamentale. Inoltre la democrazia tende a fare
dell’unanimismo un valore fondamentale, tanto da dare molto più peso alla maggioranza e meno ai diritti della
minoranza. La democrazia in senso sostanziale ha storicamente rivendicato la realizzazione di diritti che nascono
dall’affermazione della giustizia e necessità di una maggiore ed effettiva uguaglianza sul piano concreto delle
condizioni sociali. La democrazia in senso classico, ed anche in senso moderno, in sintesi si differenzia dal
liberalismo perché considera prevalente il valore dell’uguaglianza rispetto a quello della libertà. Se poi
sacrificando la libertà si finisce anche per mancare l’obiettivo di una maggiore uguaglianza, ciò è un altro tema di
continuo confronto fra liberalismo e democrazia. In sintesi, la democrazia si differenzia dal liberalismo e si
contrappone ad esso in almeno due punti, carichi di conseguenze: la democrazia privilegia l’uguaglianza, anche
a scapito della libertà, mentre il liberalismo privilegia la libertà, anche a scapito dell’uguaglianza; il liberalismo
ha della libertà una concezione che fa leva sull’individuo, mentre per la democrazia la libertà deve far leva sulla
società. La libertà dei democratici è la libertà di partecipare, direttamente e collettivamente, alla gestione dello
Stato. La libertà democratica non è la libertà del singolo ma la realizzazione collettiva del bene comune come
valore e virtù uniforme per tutti.
LIBERALISMO E SOCIALISMO. Discorso analogo a quello dei rapporti fra liberalismo e democrazia va in parte
fatto per il rapporto fra liberalismo e socialismo. Il confronto fra le due dottrine politiche è uno scontro, essendo
inconciliabili i motivi di fondo del liberalismo con quelli del socialismo e del comunismo, accentuando questi
ultimi le dottrine democratiche dell’uguaglianza e sottovalutando o negando il problema della libertà e
dell’autonomia degli individui e delle garanzie costituzionali di difesa dei diritti individuali. Ciò che più ha
determinato il successo di alcune rivendicazioni socialiste è il vasto movimento politico e sindacale che, dalla
prima metà dell’Ottocento ad oggi, ha posto con forza i problemi delle classi operaie e contadine. Col tempo è
diventata patrimonio del pensiero liberale l’esigenza di far fronte alle sfide della realtà sociale non chiudendosi
a difesa ma rispondendo con nuove spinte riformiste. Il riformismo liberale tende ad ampliare la concezione di
libertà.
LO STATO COSTITUZIONALE. Secondo il modello liberale classico il potere dello Stato è limitato dalla legge e il
sovrano stesso è subordinato alla legge. La legge non è l’espressione della volontà del sovrano, ma della «volontà
popolare» in cui è collocata la fonte originaria del potere. È pertanto la «sovranità popolare» la nuova formula
che caratterizza lo Stato costituzionale.
Il potere sovrano del popolo concretamente si realizza nel «governo della maggioranza». Il principio del «governo
della maggioranza» non è però assoluto, come tende ad essere nella concezione democratica, ma è temperato dal
principio della «garanzia dei diritti delle minoranze» e da quello della «inviolabilità dei diritti naturali», che si
riassumono nel diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà privata. Il governo della maggioranza, altrimenti,
potrebbe facilmente assumere le forme di un governo dispotico ed iniquo. Il modello di Stato costituzionale e il
sistema di garanzia dei diritti si completa con la dottrina della «divisione dei poteri» secondo la quale i tre poteri
dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) non devono essere riuniti in un unico organo, ma divisi e separati,
in modo che la divisione e la distribuzione dei poteri porti ad un bilanciamento di essi e ad un reciproco controllo,
impedendo la prevaricazione e la concentrazione e quindi la trasformazione del potere costituzionale in potere
dispotico. La prima Costituzione in cui la divisione dei poteri è attuata in forma completa è quella del 1787 degli
Stati Uniti d’America.
IL LIBERALISMO IN FILOSOFIA
LOCKE. Locke è considerato il fondatore del liberalismo: egli è il primo ad affermare che il
potere politico non può essere assoluto, né unitario. Il potere politico si esercita quindi in tre
ambiti separati: il potere legislativo, il potere esecutivo e quello federativo, in cui rientrano le
relazioni diplomatiche. Locke ritiene che nello stato di natura l’uomo possiede alcuni diritti
inalienabili. Essendo dominato dalla legge naturale, e quindi dalla ragione, lo Stato di natura
non è violento. Lo Stato nasce dal patto che gli uomini stipulano per tutelare i loro diritti
naturali.
MONTESQUIEU. Il percorso alle radici del pensiero liberale continua con Montesquieu. A lui
viene attribuita la teoria della separazione dei poteri in legislativo, esecutivo, giudiziario che
rappresenta uno dei princìpi necessari dello Stato di diritto e una condizione oggettiva per
l’esercizio del potere. Per Montesquieu, è giusto che la sovranità appartenga al popolo, ma il
popolo deve esprimerla necessariamente attraverso rappresentanti. E in più questi
rappresentanti devono farsi classe dirigente o élite, assumere nei suoi confronti una funzione
«educativa»: il popolo «deve essere illuminato dalle persone più importanti e tenuto in rispetto
dalla gravità di alcune personalità». Montesquieu afferma che il potere non può, non deve, mai
concentrarsi in un centro unico o addirittura in una sola persona. Lo scrittore politico francese
sostiene infatti che l’unica garanzia di fronte al dispotismo risiede nell’equilibrio costituzionale
di cui godono i paesi in cui i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono nettamente separati
e distinti, capaci di controllarsi a vicenda. È qui che si inserisce il discorso di Montesquieu sulla
separazione o divisione del potere. Il giurista francese trasforma la sua ricerca scientifica e
sociologica in un programma morale e politico: come strutturare un sistema di leggi che
produca il massimo di libertà perché la libertà è “Il diritto di fare tutto quello che le leggi
permettono.”
KANT. Kant può essere considerato uno dei pensatori più influenti nell’ambito della cultura
liberale. Il Progetto per “una pace perpetua” è un’opera di carattere fortemente illuministico.
L’Illuminismo era improntato all’ottimismo: secondo l’Illuminismo la storia fino a quel
momento è stata oscurata da ignoranza e superstizione, ma i lumi della ragione porteranno il
progresso. La prima premessa di tale progetto è la visione per la quale la storia converge la
creazione di una situazione in cui il bene si possa realizzare. La seconda premessa è che per
arrivare a quel punto c’è un passaggio obbligato, che è la creazione dello Stato. Kant afferma che
lo Stato è un’organizzazione che permette di regolare i rapporti tra gli uomini in maniera stabile.
La storia e la natura convergono verso la finalità morale dell’uomo, ma punto di passaggio
obbligato è la creazione di un’istituzione che sorvegli la naturalità e faccia sviluppare, invece, la
ragione. Questa istituzione è lo Stato. Kant avanza la considerazione, sviluppata poi anche
dall’idealismo, che il diritto riguarda solo la sfera esterna: gli uomini sono costretti a
comportarsi in maniera civile, ragionevole, ma al loro interno possono mantenere istinti
aggressivi, tendenze a prevaricare gli uni rispetto agli altri, ma il diritto, almeno nella sfera
esteriore, fa sì che gli egoismi non si sfrenino e che gli uomini vivano una vita civile, premessa
per la finalità del bene. Kant sostiene che bisogna vedere lo Stato come frutto di un patto fra gli
individui, di un contratto. Gli individui per loro convenienza si accordano reciprocamente sulla
base di leggi che accettano tutti perché lo trovano vantaggioso e ragionevole. Ripreso il discorso
di Hobbes, Kant vi aggiunge la considerazione che il diritto è qualche cosa di esterno, che viene
molto spesso avvertito come una costrizione, ma che in effetti l’uomo ragionevole riconosce
come cosa propria, utile anche a sé stesso. Perché si apra la strada alla realizzazione dei fini
umani è necessario che si strutturi lo Stato con una costituzione. Secondo Kant gli uomini sono
insieme socievoli e insocievoli. Sono insocievoli perché ogni uomo è lupo per l’altro uomo, ma
se si mettono insieme e si regolano gli egoismi, è possibile agli uomini crescere, svilupparsi e
progredire meglio. L’uomo ha una specie di oscillazione tra l’insocievolezza e la socialità:
tenderebbe a essere egoista, ma quando poi, in maniera forzata, lo Stato unisce gli individui e fa
superare questo momento di insocievolezza, la socialità si manifesta e l’uomo crea una civiltà,
si sviluppa molto meglio di come invece si può sviluppare nella selvatichezza, nello stato di
natura, nell’isolamento. Lo Stato giuridico kantiano è liberale nel senso che esso vuole rispettata
il più possibile la libertà esterna dell’individuo. Lo Stato non può subordinare i fini degli
individui ai fini propri. La giustizia è il fondamento e la ragione dello Stato. È a Kant che si deve
un’ulteriore razionale sistemazione della teoria della separazione dei poteri. In ogni
organizzazione politica ci sono tre poteri, distinti tra loro e attribuiti a soggetti diversi: il potere
sovrano (sovranità) nella persona del legislatore, il potere esecutivo (dopo la legge) nella
persona del governo, ed il potere giudiziario (come riconoscimento del mio di ciascuno secondo
la legge) nella persona del giudice. Colui che comanda il popolo (il legislatore) non può dunque
essere allo stesso tempo colui che lo governa.

IL LIBERALISMO NELLA STORIA


CONTESTO STORICO. A quel tempo, la Spagna era dilaniata dalla Guerra d'indipendenza
spagnola, seguita alla invasione napoleonica del 1808. Nel corso del proprio breve regno,
Napoleone convocò a Bayonne un'assemblea di 65 rappresentanti spagnoli. Essa accettò la
cosiddetta Costituzione di Bayonne, redatta dall'Imperatore e promulgata dal nuovo sovrano.
La Costituzione di Bayonne metteva fine alla tradizionale monarchia assoluta, introducendo un
regime costituzionale di impronta napoleonica. A seguito della insurrezione di Madrid contro il
regime napoleonico, in tutta la Spagna si era manifestato un fenomeno di resistenza, che si
esprimeva in innumerevoli Giunte di Difesa. Tali divisioni riflettevano il vivace dibattito politico
che divideva il fronte legittimista, favorevole a Ferdinando VII. Vi erano, schematicamente,
rappresentati tre partiti:
* i conservatori, favorevoli al mantenimento della monarchia assoluta;
* i liberali, favorevoli a rispondere alla Costituzione di Bayonne con una nuova carta legittimista
ma liberale;
* i cosiddetti Jovellanos, favorevoli alle riforme ma ostili alle tendenze rivoluzionarie.

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