Sei sulla pagina 1di 27

I MEDIA E LA DEMOCRAZIA –

MICHELE SORICE
Sociologia Della Comunicazione
Università degli Studi di Bergamo
26 pag.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
I MEDIA E LA DEMOCRAZIA – MICHELE SORICE

CAPITOLO 1: LE DEMOCRAZIE

Non esiste una definizione univoca di democrazia. Una prima definizione è quella che connette la
democrazia al ruolo dei cittadini che svolgono una funzione legittimante e solo attraverso di essi e
per essi, infatti, la democrazia trova possibilità di espressione e realizzazione.

La democrazia è potere dal popolo, del popolo e per il popolo: esso deriva dal popolo, appartiene
al popolo e deve essere usato per il popolo. Il potere dei governanti deriva dunque dall’investitura
popolare.

La variabile rappresentata dalla funzione dei governi e dei governanti introduce un elemento
normativo, la capacità della democrazia risiederebbe nella “capacità dei governi a soddisfare, in
misura continuativa, le preferenze dei cittadini, in un quadro di eguaglianza politica” (nota di Dahl).
Morlino (politico italiano del 1900) si chiedeva come fosse possibile fornire risposte ai bisogni
dei cittadini. Dahl (scrittore britannico del 1900) si affida a una definizione procedurale, in cui cioè
la garanzia di congruenza è affidata a procedure stabili e certificate, capaci di permettere ai cittadini
di dare voce alle proprie preferenze (continua capacità di risposta del governo alle preferenze dei
suoi cittadini). Un regime democratico è un regime in cui chiunque può:
• formulare liberamente le proprie preferenze
• essere libero di presentare agli altri cittadini e al governo le proprie istanze (Richiesta
fatta pervenire a una pubblica autorità, allo scopo di provocarne l'intervento o
l'interessamento nei limiti e nei modi prescritti dalla legge).
• vedere riconosciuto il diritto affinchè le proprie proposte abbiano lo stesso peso
sull’esecutivo, senza che vi siano discriminazioni.
Ma affinchè queste condizioni si realizzino è necessario che siano poste in essere otto garanzie
istituzionali:
• libertà di associazione e organizzazione
• libertà di pensiero ed espressione
• diritto di voto
• diritto di competere per il sostegno elettorale
• fonti alternative di informazioni
• possibilità di essere eletti a pubblici uffici
• elezioni libere e correte
• istituzioni che rendono le politiche governative dipendenti dal voto.
Possiamo definire un regime come democratico quando esso è caratterizzato dal almeno quattro
variabili:
• suffragio universale maschile e femminile
• elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette
• pluralità di partiti
• diverse e alternative fonti di informazione.
La definizione minima di democrazia si fonda sulla centralità della forma elettorale come modalità
di selezione della classe politica e dei governanti, non è l’unica forma possibile cmq, ci sono altre
forme di selezione, come per esempio il sorteggio.
La centralità della selezione elettorale costituisce l’elemento dirigente di una definizione di
democrazia che individua proprio nella pratica elettiva il suo dato caratterizzante, esso
rappresenta uno dei cardini della democrazia liberale.
La democrazia liberale è una forma di Stato che si fonda sul principio della separazione dei
poteri: legislativo (parlamento: crea le leggi), esecutivo (governo: applica le leggi) e giudiziario
(magistratura: si giudica un cittadino in base alle leggi – fa rispettare la legge).
Deriva dalla stato liberale (forma di Stato che si pone come obiettivo la tutela delle libertà o diritti
inviolabili dei cittadini, assicurata dalla legge).
1

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
?!? La democrazia liberale presuppone un potere costituzionale, limitato. Ogni tipo di potere è
sottoposto a un controllo giurisdizionale.
Il diritto delle minoranze è cosi tutelato dalla costituzionalizzazione di diversi diritti fondamentali,
idonei a evitare forme di arbitrio da parte della maggioranza. Nelle cosiddette democrazie
consolidate si è spesso discusso sul presunto diritto della maggioranze di scavalcare le leggi o di
disporre cambiamenti radicali del tessuto costituzione dello stato, il dibattito parlamentare fa
muovere nella direzione di una sostanziale legittimazione del diritto della maggioranza di decidere
per tutti, questo processo trasforma le vecchie democrazie liberali in democrazie della maggioranza,
modificando la natura stessa del potere.

La postdemocrazia non è costituita da una svolta antidemocratica ma, si radica proprio dentro una
cornice formale pienamente democratica: mentre le forme della democrazia rimangono pienamente
in vigore, la politica e i governi cedono progressivamente terreno cadendo in mano alle élite
privilegiate, come accadeva tipicamente prima dell’avvento della fase democratica. Lo
spostamento complessivo dell’azione di government a quella di governance tende a svuotare di
senso il ruolo dei parlamenti, a enfatizzare il valore della leadership esecutiva e a provocare una
caduta di centralità del valore dell’eguaglianza.
Colin Crouch individua diversi snodi importanti della delineazione del concetto di postdemocrazia.
Il primo risiede nella relazione fra liberalismo e democrazia, Courch (sociologo e politico
britannico) individua qui un primo cortocircuito: la tendenza all’uguaglianza (tipica della
democrazia) e le libere opportunità del liberalismo tendono a entrare in conflitto, spesso a
vantaggio delle seconde sulla prima.
Crouch insiste molto sulle reazioni fra perdita di centralità del welfare state e ruolo dei partiti,
questo è il secondo snodo.( Lo stato sociale (anche detto dall'inglese welfare state) è una
caratteristica dei moderni stati di diritto che si fonda sul principio di uguaglianza.)
I partiti hanno perduto la loro base di militanza (partecipazione diretta all’attività) a favore di una
crescente professionalizzazione della politica, quest’ultima richiede sempre più denaro (che può
essere assicurato solo con ricorso a capitali privati).
Terzo snodo: l’azienda diventa il modello istituzionale per eccellenza (processo di privatizzazione)
Il quarto snodo riguarda quella che Crouch chiama commercializzazione della cittadinanza, il
processo di mercificazione (commodification) ha portato dentro la sfera del mercato anche attività
sociali che ne erano tradizionalmente tenute fuori. Col risultato di trasformare il mercato da mezzo
a fine assoluto. Il processo di privatizzazione tende a trasformare le attività delle amministrazioni
secondo logiche acquirente – fornitore, più si ha privatizzazione e applicazione del modello
mercantile per l’erogazione del servizio pubblico più si deve imporre il modello giacobino di
democrazia centralizzata e una cittadinanza senza livelli intermedi di azione politica.
Nuovi approcci neoistituzionalisti e, in particolare, quelli che riconosco alla politica un ruolo
specifico nell’elaborazione di norme e valori con i quali gli individui si identificano. L’identità
collettiva è considerata come presupposto per le utilità individuali e l’ideologia risulta come
collante della solidarietà di gruppo. Approccio identitario. La democrazia presenta problemi di
definizione ma le sue diverse definizioni riguardano l’essenza stessa della democrazia.

DEMOCRAZIA LIBERALE:
la democrazia liberale si appoggia anche sull’estensione dei diritti civili, politici e sociali. I diritti
più importanti sono:
• diritti civili: necessari alla libertà personali del soggetto
• diritti politici: possibilità della partecipazione politica
• diritti sociali: possesso di un sufficiente benessere economico nonché la garanzia a uno
standard minimi di vita, i diritto sociali sono fondamentali per godere anche dei diritti
politici.
Gli studi sui processi di democratizzazione si concentrano sull’estensione sociale dei diritti
politici. Rokkan (sociologo norvegese del 1900) ha elaborato un processo di affermazione dei
diritti politici, “soglie istituzionali” che tutti i movimenti politici-sociali devono superare e che
2

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
devono progressivamente essere raggiunte affinché si realizzi il processo di prima
democratizzazione.
Le soglie sono quattro:
• Soglia di legittimazione: riguarda il riconoscimento effettivo dei diritti civili – cittadinanza
civile.
• Soglia di incorporazione: riguarda il tempo necessario a garantire all’opposizione la
possibilità di partecipare alla scelta dei propri rappresentanti (estensione al suffragio
universale– cittadinanza politica).
• Soglia di rappresentanza: riguarda l’accesso di nuovi partiti e l’abbassamento dei vincoli
che impediscono un’ampia rappresentanza sociale e politica.
• Soglia del potere esecutivo: riguarda il controllo parlamentare del governo ovvero la
responsabilità politica del governo nei confronti del parlamento. Principio di responsabilità.
Scatola di Dahl: costituisce un’ottima esemplificazione idealtipica sui meccanismi di
consolidamento della democrazia. Due fattori nell’affermazione della democrazia: il diritto di
opposizione e il grado di inclusione.
Dahl individua quattro diversi regimi politici: le egemonie chiuse dove i cittadini non hanno diritti;
le oligarchie competitive, dove il diritto di opposizione è limitato a piccoli gruppi; le egemonie
inclusive dove tutti i cittadini godono di alcuni diritti; le poliarchie dove i diritti di opposizione
sono estesi a tutti. Il processo di liberalizzazione è quello che consente di ottenere diritti di
opposizione, mentre il processo di partecipazione concerne l’estensione dei diritti a un numero
crescente di cittadini. Tre processi di democratizzazione: da forme di egemonia chiusa a oligarchie
competitive fino alle poliarchie; da egemonia chiusa a egemonia inclusiva fino alla poliarchia
(secondo Dahl pericoloso); da egemonie chiuse a poliarchie. Una caratteristica centrale della
democrazia liberale risiede proprio nella sua attenzione ai diritti di cittadinanza.
La democrazia liberale per funzionare ha bisogno della compresenza di tre condizioni: la prima
risiede nell’esistenza di partiti politici funzionanti e socialmente legittimati. La seconda, che
riguarda il presupposto maggioritario su cui il sistema sembra reggersi, ha la sua ragion d’essere
nell’esistenza di uno stato-nazione chiaramente definito e il cui potere sulle politiche
economiche e sociali sia reale. La terza condizione riguarda la necessità di ridurre le
diseguaglianze sociali come condizione strutturale per l’accesso alla politica.
Le democrazie liberali evidenziano una trasformazione delle logiche di potere: dai partiti agli
esecuti; dagli stati nazionali alle organizzazioni intergovernative; dallo stato al mercato (questo
riduce il ruolo dei cittadini a favore di corporazioni finanziari e apparati industriali). La democrazia
liberale sembra scontare la difficoltà sostanziali a mantenere la promessa dell’uguaglianza che
costituiva uno dei suoi assets strategici, non riesce a nascondere la propria crisi che è strettamente
connessa alla crisi dei partiti e con la delegittimazione sostanziale dei meccanismi di
rappresentanza.
LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA.
La democrazia liberale è una democrazia rappresentativa, essa si basa su un processo di delega,
oggi la democrazia liberale presenta quattro caratteristiche principali:
• la sovranità del popolo espressa mediante l’elezione dei rappresentanti
• la rappresentanza come relazione di libero mandato
• un meccanismo elettorale che assicuri un certo grado di responsabilità verso il popolo da
parte dei rappresentanti che parlano e agiscono in suo nome
• il suffragio universale che fonda la rappresentanza sull’uguaglianza politica
La rappresentanza elettiva si basa sull’autonomia del soggetto che è alla base delle definizioni
normative di democrazia liberale.

Hanna Pitkin gli da una duplice valenza alla parole “rappresentanza”: “parlare a nome di” (standing
for) è una rappresentanza descrittiva e simbolica, “agire per conto di” (acting for) è un
autorizzazione con responsabilità.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
La rappresentanza politica democratica implica una prima relazione basata da una parte sulla
dimensione territoriale e dall’altra sulla sua capacità di fornire legittimazione al potere
politico, che però deve essere controllato attraverso processi di accountability (rendere conto delle
proprie azioni ai soggetti rappresentanti). La rappresentanza elettiva ha bisogno dei partiti politici,
dal momento che svolge un ruolo di mediazione fra elettore e rappresentante. I rappresentanti
svolgono un ruolo attivo (funzione legislativa) e devono quindi godere di una certa autonomia,
capace di andare oltre l’esercizio elettorale; al tempo stesso, proprio in virtù di tale ruolo, essi
devono in qualche modo dipendere dall’elettorato. La democrazia rappresentativa funziona solo a
patto di evitare una contrapposizione fra mandato imperativo e mandato libero facendo in modo che
quest’ultimo sia temperato da qualche forma di controllo popolare.
• poiché i rappresentanti fanno leggi che tutti i cittadini, non solo coloro che li hanno eletti,
devono rispettare, il mandato politico implica che essi rappresentano l’intera nazione, non
solo il collegio elettorale che li ha eletti
• il mandato giuridico rande il rappresentante direttamente responsabile verso il suo cliente, al
quale deve legalmente rendere conto. Ma il rappresentante politico non è né legalmente
responsabile nei confronti di coloro che lo hanno votato, né obbligato da relazioni
personali. Il libero mandato consente ai rappresentanti di prendere decisioni che non
tradiscono il carattere generale del diritto.
• Gli elettori non hanno alcun potere legale per rendere le loro opinioni costrittive.
La relazione fiduciaria fra eletto ed elettore si realizza solo nella cornice rappresentata dal partito
depositario e garante del mandato politico, i partiti costituiscono una dimensione normativa della
democrazia. Ma che succede se i partiti sono delegittimati e non godono di una sufficiente
fiducia da parte dell’elettorato, crisi di rappresentanza. Si sono sviluppati veri e propri “partiti
personali” all’interno di una tendenza più ampia che possiamo definire presidenzializzazione della
politica. I partiti sono diventanti organizzazioni molto adattive, capaci di investire risolte in
campagne mirate e spesso molto lontane dalle loro tradizionali posizioni ideologiche. I partiti sono
più vicino allo stato e, talvolta, alla grande impresa di quanto non siano contigui alla società. La
sovrapposizione fra partiti e stato è stata individuata da diversi autori come una della cause
dell’assenza di consolidamento delle democrazie o di disancoraggio democratico.
Il processo di presidenzializzazione può essere definito come una tendenza per cui i regimi o
forme di governo divengono più presidenziali senza che cambi la struttura tradizionale delle regole
caratteristiche del loro tipo di regime. Il punto di partenza consiste nel riprendere consapevolezza
dei tratti più importanti della forma di governo parlamentare, presidenziale e
semipresidenziale. La fusione tra legislativo ed esecutivo consente che il governo controlli la sua
maggioranza in modo da attuare legislativamente il programma presentato agli elettori. Le note
caratteristiche della presidenzializzazione consistono in una visibile mimesi, nei comportamenti dei
primi ministri dei governi parlamentari, della accumulazione di risorse potestative e di mezzi propri
della presidenza statunitense, nella autonomia del vertice dell’esecutivo americano dalle camere ma
soprattutto dal partito di provenienza, da ultimo nella estrema personalizzazione della campagna
elettorale, concentrata sul protagonista candidato-presidente, lasciando sempre più in ombra la
formazione politica che pure lo ha designato dopo numerose primaria. In questa prospettiva il
funzionamento del governo di quanti si presidenzializza di tanto di departizza. Nel contesto
consensuale il potere del premier è affidato soprattutto alle sua capacità mediatorie tra i cosiddetti
veto players mentre nelle democrazie maggioritarie, specie se aperte al processo di
presidenzializzazione, la competizione tende ad essere bipartitica o bipolare e consente al premier
larghe zone di autonomia.

Cartellizzazione: quando la presidenzializzazione si fonde con la trasformazione dei partiti in


cartelli elettorali. Elemento di crisi per la democrazia rappresentativa perché riduce il ruolo dei
partiti. Comporta delle modalità di scelta politica. Duplice variabile sociale: allentamento dei
vincoli identitari e la crescita dell’alfabetizzazione e della cultura diffusa. Altre alle variabili
sociali è possibile evidenziare il rapporto fra cartelizzazione dei partiti e volatilità elettorale. Se
queste variabili determinano inevitabilmente una diminuzione di fiducia nelle competenze dei
4

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
partiti, i cittadini non solo non si fidano più dei partiti ma tendono a considerarli inutili o addirittura
dannosi per i propri interessi.
Advocacy democracy: democrazia in cui la politica perde progressivamente il suo ruolo
progettuale per limitarsi alla discussione e adozione di policies funzionali a interessi contingenti,
più o meno estesi.
Quando il potere tende a concentrarsi nel leader avviene un’instaurazione di un modello
plebiscitario. La deriva plebiscitaria si accompagna all’emersione di linguaggi e tendenze populiste.
Il populismo, che non è esterno alla democrazia è pronto a provocare una specie di malattia
autoimmune in cui un elemento che appartiene di fatto alla democrazia contribuisce alla sua crisi.
In questa situazione, il richiamo alla democrazia diretta, appartiene totalmente alla cornice della
democrazia liberale. La crisi della democrazia liberale rischia di trasformarsi nella fine della
democrazia.

ANTAGONISMO E CONFLITTO: LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA.


La manualistica e gli studi sulla democrazia mettono in risalto la necessità di attivare forme ampie
di partecipazione sociale e politica: anzi, la partecipazione è spesso considerata una condizione
necessaria al funzionamento della democrazia rappresentativa. La principale qualità della
democrazia liberale risiede nella sua dimensione elettorale. Nel corso degli ultimi 40 anni si sono
affermate altre concezioni della democrazia, capaci di ripartire proprio dalla necessità di
riconoscere alla partecipazione attiva e continuativa uno dei caratteri dirimenti del processo
democratico. Concetti come quelli di partecipazione e di deliberazione. L’idea di partecipazione
attiva e quella di deliberazione (in opposizione al concetto di democrazia maggioritaria) hanno
prodotto un’ampia riflessione. La democrazia liberale privilegia la forma della rappresentanza per
delega all’interno di un meccanismo di voto “maggioritario” in cui cioè una maggioranza decide.
Nelle democrazia liberali, la maggioranza vince e governa e poco importa che questo accasa con
affermazioni nette o come risultato di alchimie elettorali più o meno accettabili.
La democrazia rappresentativa riguarda principalmente le istituzioni pubbliche e non considera
gli spazi pubblici alternativi dove si crea consenso e si avviano procedure di decisione condivisa.
La partecipazione dovrebbe promuovere il cambiamento dal passo in forme endogene. La delega, al
contrario, presume l’esistenza di identità esogene. Incrociando queste due dimensioni con i processi
di voto (a maggioranza) o di decisione condivisa (deliberazione) si ottengono quattro modelli di
democrazia. Accanto alla democrazia liberale (basata su meccanismi di delega in una cornice
maggioritaria), troviamo la democrazia deliberativa radicale, in cui i meccanismi di rappresentanza
si inseriscono in processi deliberativi; sul versante della partecipazione, abbiamo la democrazia
partecipativa (radicale) quando essa insiste sull’esistenza si una decisione presa attraverso un voto
di tipo referendario (e in questo caso abbiamo un modello che somiglia molto alla democrazia
diretta o almeno alla sua narrazione sociale), oppure la democrazia partecipativa e deliberativa,
quando la partecipazione si coniuga con un processo decisionale di tipo deliberativo. La differenza
fra democrazia partecipativa e democrazia diretta è netta, diversi istituti della democrazia diretta
vengono usati nelle forme di democrazia partecipativa ma non la esauriscono. Mentre la
democrazia partecipativa investe una seria di pratiche partecipative che hanno la caratteristica di
essere continuative nel tempo, la democrazia diretta si realizza invece in istituti specifici (come il
referendum) per lo più occasionali. Le pratiche di democrazia diretta, non modificano il ruolo
abituale delle istituzioni che pure vanno teoricamente a modificare.
L’idea che una democrazia debba essere partecipata appartiene strutturalmente ai principali concetti
di democrazia. La democrazia partecipativa ha bisogno di cittadini che abbiamo una
partecipazione piena, in cui ogni soggetto ha uguale potere nella determinazione delle decisioni.
È una forma di autodifesa dal potere arbitrario e deve sostanziarsi di un’ampia e approfondita
informazione al fine di far crescere consapevolezza e legittimità delle decisioni, le opportunità
offerte alla partecipazione stimolano la fiducia e l’attivismo sociale, che in questo modo
riproducono stimoli di partecipazione che a loro volta migliorano qualitativamente la stessa
dinamica partecipativa. I cinque pilasti della democrazia partecipativa:
• promozione di nuove forme di decisione (deliberazione)
5

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
• decisione diretta (forme referendarie)
• democratizzazione del livello locale (democrazia locale), incremento di efficacia nelle
dinamiche di policy marketing
• democratizzazione di funzioni definite dell’organizzazione pubblica (segmentazione)
• implementazione della rappresentanza come delega, partiti e candidati: da responsabili a
soggetti dotati di responiveness, funzione educativa della politica.
Il rischio, per le forme di democrazia partecipativa, risiede in quel fenomeno chiamato
“mobilitazione del pregiudizio”, in pratica, i soggetti che hanno più ampie risorse di potere
possono evitare di sottoporre a discussione pubblica alcuni temi, attraverso il ricorso a espedienti
normativi o meccanismi formali, si attuano pratiche di selezione dei temi che rischiano di escludere
dal dibattito e dalla decisione questioni nuove o complicare da gestire, la paura del conflitto
determina la riduzione dei temi sotto discussione e riduce la portata innovativa della democrazia
partecipativa. Un tentativo di superare tale problema risiede nelle forme di auto organizzazione dei
cittadini, la democrazia partecipativa presenta punti di contatto con la democrazia associativa. La
democrazia associativa auspica forme di collaborazione e di solidarietà sociale.

RAPPRESENTANZA E PARTECIPAZIONE: LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA.


La dimensione distintiva della democrazia deliberativa risiede nell’idea che non esistano
necessariamente preferenze definite e irriducibili ma che, al contrario, le preferenze degli attori
sociali possano trasformarsi nel corso dell’interazione, la democrazia deliberativa trova il suo fine
proprio nella formazione condivisa di opinioni e preferenze, si basa sulla generazione endogena
delle preferenze sociali, si basa sull’idea che le preferenze degli attori sociali possano trasformarsi
nel corso dell’interazione, flussi orizzontali di comunicazione, molteplici produttori di contenuti,
ampie occasioni di interattività, confronto sulla base di argomentazioni raziocinanti e propensione
all’ascolto reciproco, la democrazia deliberativa è discorsiva. Nella democrazia deliberativa la
comunicazione assume un ruolo centrale.
Tre diversi studi moderno sulla democrazia deliberativa. La prima è quella che si sviluppa a partire
dall’analisi sulla legittimità democratica e si inscrive nell’area di ricerca sulle teorie della
democrazia, principale esponente Jurgen Habermas. La seconda generazione di studi è quella che,
a partire dagli anni 90 del 900, si è confrontata con la complessità della tarda modernità e ha dovuto
inquadrare il tema della democrazie deliberativa nella cornice dei fenomeni della globalizzazione.
In questa fase si fa strada la consapevolezza che i soggetti siano motivati principalmente dei propri
interessi, che possono ovviamente essere armonizzati con la deliberazione pubblica ma sono in via
temporanea e senza che questo conduca a una risoluzione del deliberative disagreement, emerge
l’idea che la trasformazione delle preferenze possa essere in realtà limitata e proprio il pluralismo
costituisca un ostacolo al raggiungimento si un consenso ampio. Le terza generazione infine, è
quella che si muove dalla considerazione che esistono strategie diverse, micro e macro, per
l’istituzionalizzazione della democrazia deliberativa. La democrazia deliberativa a livello micro si
concentra sulle procedure deliberative ideali, dentro spazi pubblici limitati, orientati alla decisione
e con partecipanti imparziali all’interno dello stesso spazio e nello stesso tempo. Di contro, la
democrazia deliberativa in una dimensione macro fornisce dinamiche comunicativa informali,
spontanee e non strutturate, miranti alla formazione di opinione all’interno della società civile, al di
fuori, quando non decisamente in contrasto, delle istituzioni decisionali formali.
La terza generazione si contraddistingue per l’adozione di una prospettiva decisamente empirica.
La dimensione empirica ha favorito uno sguardo più ampio e plurale sui possibili scenari
istituzionali, contribuendo a un’attenuazione dei caratteri normativi che esano presenti nelle prime
teorizzazioni habermasiane. All’interno degli studi contemporanei (la terza generazione) un posto di
rilievo è occupato dalla questione del rapporto fra democrazia deliberativa e istituzioni della
democrazia liberale. Cause di interesse: lo sviluppo dei modello tecnocratici di democrazia, basati
sull’assunto che gli obiettivi economici possano essere raggiunti attraverso il ricorso a esperti, lo
sviluppo di un democrazia dei media, e persino del pubblico, che favorisce una legittimazione
6

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
interna al sistema dei media, indebolendo il dibattito critico. Nel primo caso la legittimazione
sociale delle tecnocrazie tende a espropriare i cittadini dei loro diritti di scelta e a togliere loro
qualunque forma di potere, nel secondo caso, invece, lo scivolamento verso tendenze populiste e,
nello stesso tempo, verso il rischio di pesanti manipolazioni della vita pubblica. In questo scenario
di crisi della democrazia, la svolta deliberativa è apparsa come una sorta di soluzione o di
potenziale risposta al bisogno di maggiore partecipazione dei cittadini e delle cittadine.
Due principali snodi concettuali che distinguono la democrazia liberale da quella deliberativa. La
prima si fonda su una dimensione aggregativa, in cui le preferenze degli individui devono essere
solamente contate, assunte come date e come espressione diretta della loro volontà, la seconda si
basa su una dimensione trasformativa e discorsiva, le preferenze degli individui non sono esogene,
ma possono trasformarsi e trasformarsi nel corso stesso della pratica di deliberazione.

La democrazia deliberativa presuppone alcune condizioni:


• la stabilità dei valori: valori condivisi, quelli che costituiscono l’asse di stabilità del regime
democratico
• il cambiamento nelle preferenze, nelle scelte, nei gusti, la pratica della deliberazione risiede
nel suo carattere discorsivo e prevede che le opinioni si formino nello stesso processo di
deliberazione
• il cambiamento nelle preferenze è strutturale del processo decisionale
• la deliberazione ha successo se si trova d’accordo, poiché il cambiamento è un dato
strutturale, il raggiungimento di un accordo dovrebbe rappresentare un esito necessario
• la deliberazione riduce le forme di conflitto, al tempo stesso, però essa si nutre del conflitto.
L’attenuazione del conflitto come lacerazione non implica alcuna omogeneizzazione, al
contrario, la pratica della deliberazione si basa su forme di conflitto gestito.
Quest’ultimo aspetto deriva principalmente dalla visione esclusiva della sfera pubblica
habermasiana, Habermas è stato criticato perché riflette norme elitiste: la razionalità comunicativa
a spese dello storytelling o l’educazione a scapito della passione.
Cosa succede se l’esito della deliberazione non è il consenso? Riduzione delle forme di conflitto
non significa espulsione dal conflitto, bisogna ricordare che le diverse sfere pubbliche sono
propriamente degli spazi di conflitto. Il presupposto della reciprocità nelle argomentazioni non
esclude il conflitto né cerca di omogeneizzare le differenze. La dimensione del conflitto porta
l’attenzione sul problema dell’interesse personale, non è necessariamente egoistico, purché venga
inglobato in specifiche modalità di deliberazione.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Ci sono quattro tipo di deliberazione:

Il self interest non rappresenta solo un’istanza personale ma è utilizzabile nelle dinamiche
comunicative. Il self interest può non intaccare la natura eminentemente dialogica della democrazia
deliberativa, a patto ovviamente che esso sia inquadrato in un processo di reason giving, in cui i
diversi soggetti non delegittimano le prospettive degli altri e non procedono a forme di
negativizzazione delle posizioni diverse.
I processi deliberativi qui implicati sono di due tipi. Nel primo, la deliberazione presume l’esistenza
dell’intenzionalità deliberativa e stabilisce una chiara distinzione tra azione comunicativa e azione
strategica. Lo scopo è di raggiungere la comprensione delle diverse posizioni e/o il consenso. Nel
secondo tipo, invece, la deliberazione riguarda tutte le attività che funzionano come influenza
comunicativa in condizioni di conflitto. In questo caso il processo di deliberazione ingloba lo
storytelling e le forme della comunicazione politica che, quindi, può non essere considerata solo
come strumento di propaganda e/o costruzione del consenso. Al contrario, essa può assumere un

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
ruolo di connessione dei processi informativi, nonché attivare forme relazionali di tipo dialogico. Si
sviluppa cosi una forma specifica e partecipativa di democrazia deliberativa, la democrazia
deliberativa partecipativa si realizza quando in condizioni di uguaglianza, inclusività e trasparenza,
un processo comunicativo, aperto a tutti coloro che sono potenzialmente interessati e basato sulla
ragione, trasforma le preferenze individuali, portando a decisioni orientate al bene pubblico. Ha
trovato applicazione e un volano di diffusione nei movimenti sociali e, in particolare, in quelli per
la giustizia globale. La dimensione comunicativa dei movimenti costituisce un asse strategico,
costituisce la norme culturale su cui s’innestano le forme della democrazia partecipativa. Si sono
sviluppate pericolose strategia di personalizzazione della politica, nate anche in risposta ai processi
di disallineamento ideologico e alla crisi di fiducia verso i partiti e il loro ruolo sociale. Lo spazio
della comunicazione diventa lo spazio pubblico, in cui l’identificazione fra leader ed elettori trova il
luogo privilegiato della sua realizzazione.
La caratteristica principale dei movimenti sociali nati dopo la crisi del 2008 risiede proprio
nell’adozione di un modello di democrazia deliberativa – partecipativa non comparabile in alcun
modo con le forme più semplicistiche di democrazia diretta, dove la comunicazione ha per lo più
valore organizzativo e lo stesso modello comunicativo adottato è molto spesso top-down o
trasmissivo. La democrazia deliberativa e partecipativa supera l’idea della sfera pubblica borghese
a favore di uno sguardo più ampio sulle sfere pubbliche alternativa in cui si attuano i meccanismi
della deliberazione. I movimenti sociali si muovono proprio in queste sfere pubbliche alternativa,
che consentono ai cittadini la sperimentazione di nuove forme di partecipazione, all’interno di una
logica politica di tipo inclusivo.

METODI E STRUMENTI DELLA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA

La democrazia deliberativa presenta tre grandi virtù:


• virtù civiche: la discussione teoricamente ha anche una valenza pedagogica, dal momento
che potrebbe formare cittadini più informati, più attivi e più responsabili: al tempo stesso, la
pratica deliberativa riduce la propensione ai comportamenti utilitaristici o può comunque
attenuarli, grazia al fatto che l’esito del processo dovrebbe comunque essere conveniente per
molti, oltre che eticamente più orientato ai beni comuni.
• Virtù della governance: le decisioni prese nelle assemblee deliberative hanno solitamente
una maggiore legittimazione, proprio perché provengono da un processo condiviso, la
partecipazione di una numero elevato di soggetti, peraltro, migliora la qualità della
decisione. La ridondanza informatica, è anestetizzata dalla necessità di ricorrere a
informazioni ampie e approfondite nonché dalla crescente richiesta di competenza specifica
sui temi di discussione.
• Virtù cognitive: la pratica deliberativa favorisce lo sviluppo e l’articolazione di punti di
vista differenziati, nonché l’ingresso di nuove posizioni e preferenze: è molto importante,
allora, pensare la deliberazione dentro la cornice di una sfera pubblica plurale in cui il
consenso non è mai unanimismo, il processo di discussione di posizioni diverse e articolate
rappresenta anche un vantaggio per la conoscenza.
Fishkin ritiene, affinché si possa realizzare un’effettiva e legittimata deliberazione, sono necessarie
cinque caratteristiche:
• informazione: tutti i partecipanti ai gruppi di deliberazione devono riceve informazioni
accurate e tutti i dati disponibili sulle questione in discussione.
• Equilibrio sostanziale: le diverse posizioni presentate devono essere comparate sulla base si
dati empirici e di prova
• Diversità: tutte le posizioni che possono essere rilevanti per le questioni discusse devono
essere rese disponibili e prese in considerazione
• Coscienziosità: accompagnata da una forte onestà intellettuale, i partecipanti dovrebbero
considerare tutti gli argomenti intorno a una questione, senza escludere niente.
• Considerazione egualitaria: le differenti prospettive e posizioni dovrebbero essere pesate
solo sulla forza delle evidenze e non sui testimonial di particolari posizioni.
9

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Sempre secondo fishkin nelle assemblee deliberative si riscontrano sempre tre caratteristiche: il
cambiamento delle preferenze avviene regolarmente; i punti di accordo disegnano una tendenza
generale verso posizioni più progressiste; si assiste solitamente a una moderazione delle posizioni.
Finalità: incremento della conoscenza, risoluzione dei conflitti, costruzione di strategie di azione
politica fino alla definizione di policies.
Deliberative polls: elaborati da Fishkin all’interno del center for deliberative polling, assemblee
composte da una campione rappresentativo di una determinata popolazione (soggetti tra 130 e 5oo
persone) i deliberative polls sono pensati per mettere in evidenza cosa il pubblico potrebbe pensare
su determinati temi se fosse più informato, viene realizzata una survey per conoscere le loro
opinioni intorno a un determinati tema, i membri del campione ricevono un’ampia documentazione
sul tema in oggetto, i partecipanti vengono poi suddivisi in piccoli gruppi per discutere le diverse
questioni emerse e/o emergenti sul tema oggetto del dibattito, infine viene creata una seconda
survey che consente di misurare il cambiamento di opinione. Si sono sviluppati altri strumenti e
spazi di discussione che hanno coinvolto mini-pubblici. Le posizioni teoriche più recenti si sono
cosi concentrate sui mini-pubblici, gruppi piccoli in cui più facilmente si può procedere a una
selezione più o meno casuale di soggetti imparziali. La scelta preferenziale per i mini-pubblici
evidenzia ancora una volta le potenzialità della democrazia deliberativa partecipativa anche come
processi che si affianca alla democrazia rappresentativa. I mini pubblici sono progettati per essere
abbastanza piccoli da risultare genuinamente deliberativi e sufficientemente rappresentativi per
essere genuinamente democratici.
Principali tipi di mini-pubblici:
• giurie di cittadini (citizens juries): 12-25 soggetti, scelti come metodo casuale, che
discutono su un tema in assemblee che durano 4-5giorni, lo scopo è quello di produrre
raccomandazioni pubbliche e fornire linee di indirizzo per la politica.
• Cellule di pianificazione (planning cells): da 5 a 10 cellule di pianificazione, gruppi
composti da 25 persone che discutono in contemporanea per 3-4 giorni sullo stesso tema. I
responsabili di ciascun gruppo aggregano poi le preferenze emerse dalle varie cellule, il
rapporto finale deve poi essere approvato da una selezione di cittadini estratti dalle varie
cellule. Il risultato finale viene reso pubblico e distribuito ai principali decisori pubblici e
privati nonché agli stakeholders investiti dal tema in discussione.
• Conferenze del consenso (consensus conference): strumento di democrazia deliberativa
molto noto. Sono organizzati in due parti: nella prima parte uno o più gruppi di cittadini
partecipano a due fine-settimana preparatori, in cui cercano di apprendere quanto più è
possibili sul tema. Nella seconda parte, si svolge un convegno in cui i partecipanti ascoltano
le presentazioni di esperti e fautori delle diverse posizioni, entrando in relazione dialogica
con loro. Il prodotto finale è costituito da una rapporto collettivo.
• Workshop deliberativi (deliberative workshop): impegnano fra 8 e 15 persone, fortemente
focalizzati sugli oggetti specifici della deliberazione, possono durare anche diversi giorni.
• Mappatura deliberativa (deliberative mapping): si tratta si un metodo che combina metodi
quantitativi e qualitativi per valutare come i partecipanti considerano diverse opzioni
politiche riguardo a una serie di temi e a partire da criteri predefiniti. In realtà non si tratta di
un vero mini-pubblico ma di un’analisi secondaria su altri mini-pubblici.
• Assemblee dei cittadini (citizens’ assemblies): più complesse ma anche potenzialmente più
efficaci. La selezione causale fra gli scritti ai registri elettorali cha hanno manifestato la
disponibilità a partecipare. Nella prima fase vengono studiate le questioni in campo, nella
seconda fase i membri dell’assemblea riportano le informazioni nei loro territori e realtà
locali. La terza fase è quella propriamente deliberativa, in cui l’assemblea discute le singole
proposte ed elabora una rapporto finale.
I mass media costituiscono quasi sempre il destinatario degli esiti della liberazione. Negli ultimi
anni sono stati fatti molti sforzi per standardizzare i mini pubblici, però, sono rimaste molte e
spesso connesse alle specificità territoriali. I diversi mini-pubblici favoriscono lo sviluppo di
quattro qualità indispensabili alla democrazia deliberativa partecipativa: l’inclusione, il controllo
popolare, il giudizio ponderato e la trasparenza.
10

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Una qualità è il processo di costruzione del bilancio partecipativo che prevede tre livelli decisionali:
il primo è costituito da un set di assemblee locali aperte a tutti, il secondo è rappresentato dai forum
per il bilancio, i cui membri sono eletti dalle assemblee locali su base regionale del primo livello, il
terso livello è costituito dal consiglio municipale per il bilancio, eletto dalle assemblee. Un
meccanismo complesso che mescola elementi deliberativi con pratiche rappresentative e che
coinvolge migliaia di soggetti.
Molti strumenti deliberativi possono essere usati all’interno dei processi della democrazia
rappresentativa o affiancarsi a questa per incrementarne le potenzialità partecipative. Le procedure
deliberative, possono rappresentare strumenti importanti fra i diversi processi politici decisionali,
accanto a procedure non deliberative e in opposizione a procedure non democratiche e non
deliberative.

VERSO UNA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA E DIALOGICA.


L’importanza della comunicazione (e dei media in particolare) costituisce un elemento importante,
sia come piattaforma sia come forma comunicativa, per l’emergenza della democrazia digitale, di
forme di condivisione della governance (e-governance) nonché di modalità partecipative di governo
(open government).
L’emergenza di internet coincide con la crescita di attenzione alla democrazia deliberativa e
partecipativa. Internet è stato spesso considerato come una sorta di luogo salvifico per le sorti della
democrazia, perché garantirebbe una maggiore possibilità di partecipazione orizzontale. Accanto ai
vantaggi innegabili che le tecnologie della comunicazione consentono al dibattito e a forme inedite
di partecipazione, si manifestano anche rischi, talvolta sottovalutati in nome di una vulgata iper-
ottimista e decisamente semplificatoria. Internet rappresenta uno spazio di condivisione e
connessione di straordinaria importanza per i singoli cittadini e per movimenti sociali, non si
possono non considerare con preoccupazione sia i tentativi di monopolizzazione della rete operata
da governi e grandi imprese sia le minacce alla privacy dei cittadini. Il dibattito sul rapporto fra
media e democrazia si è spesso concentrato esclusivamente sulla dimensione tecnologica della
comunicazione, una sempre maggiore importanza comunicativa ha assunto l’area che veniva
tradizionalmente definita subpolitica. In media, in tale mutata situazione non sono più soltanto
strumenti di supporto alle istituzioni politiche ma possono diventare veicolo politico. I media,
rappresentano un luogo di condivisione pubblica e la vasta area dei movimenti, delle associazioni di
cittadini e di quella che, appunto, veniva definita subpolitica si nutre spesso proprio delle pratiche
discorsive mediali. Il successo e lo sviluppo di internet e, in particolare, del web 2.0 hanno
evidenziato un uso diverso della comunicazione, e di quella politica in particolare, e della stessa
partecipazione alla vita sociale. Nelle cornice della democrazia liberale, internet viene considerato
un importante strumento per l’attivazione di una rapporto orizzontale fra istituzioni e cittadini: dai
l’attenzione a temi come l’e-government o alle forme orizzontali di governance. Le dinamiche di
e-government (tendenzialmente top-down) e quelli di e-governance (tendenzialmente orizzontali)
sono infatti cose diverse, e altra cosa ancora è la e-democracy. La prima si muove nell’alveolo della
democrazia liberale-rappresentativa, la seconda si sviluppa su un terreno di confine fra democrazia
rappresentativa a partecipativa (rappresentando grosse opportunità ma anche rischi maggiori di
quanto normalmente di pensi). Le forme di e-democracy riguardano da più vicino la dimensione
deliberativa della democrazia, pur con qualche cautela. La e-democracy, infatti, riguarda le logiche
democratiche attivate attraverso la rete e nella rete.
Il ciberspace è diventato un’altra arena di lotta per il potere economico e politico. In questo
contesto, i governi sono sempre stati determinati a rivendicare la giurisdizione sulla rete. I media e
internet costituiscono dunque un territorio importante per la democrazia, Pierre Rosanvalon ha
definito come “forma politica”. La comunicazione può rappresentare anche uno strumento efficace
di analisi della democrazia, soprattutto se intendiamo la comunicazione nella sua dimensione
dialogica.

CAPITOLO 2: LA PARTECIPAZIONE POLITICA

11

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Ricapitolando: nell’idealtipo della democrazia rappresentativa la partecipazione si declina come
pratica istituzionale ma necessaria per l’esercizio della rappresentanza e l’attenzione al bene
comune, nelle forme idealtipiche di democrazia diretta, invece, essa richiama al valore del
coinvolgimento personale e si esercita attraverso il rifiuto della delega. Una reale partecipazione è
tale solo se porta una redistribuzione delle risorse a vantaggio di chi ne ha meno. La principale
funzione della partecipazione è quella educativa, che include sia gli aspetti psicologici che
l’acquisizione di una pratica nelle capacità e procedure democratiche. La partecipazione politica si
rivela per essere contemporaneamente fine e mezzo dello sviluppo sociale ed economiche, poiché
essa favorisce, o dovrebbe favorire, l’incremento di potere decisionale dei gruppi sociali più
emarginati e dare rappresentanza alle voci di tali gruppi sociali. L’inclusione di fasce sempre più
ampie di popolazione può sostituire un elemento importante per giungere a una situazione di
giustizia sociale. La partecipazione ha anche valore di responsabilità, essa implica il sentirsi parte di
una collettività. Nella tradizionale connessione fra democrazia e partecipazione c’è il
riconoscimento etico-sociale dei soggetti come uomini e donne dotati di razionalità e portatori/
portatrici di interessi e preferenze. La partecipazione assume anche un valore di autodifesa, da qui
la condanna sociale verso le forme di non-partecipazione. Il richiamo al dovere civico del voto
evidenzia come esso costituisca, nella democrazia rappresentativa, lo strumento principale per far
sentire la propria voce. Maurizio Cotta individua due dimensioni specifiche della partecipazione,
due poli di riferimento: il primo è costituito dalla partecipazione come prendere parte, ovvero nel
coinvolgimento in azioni di tipo decisionale, il secondo è invece rappresentato dalla partecipazione
come essere parte, cioè dalla partecipazione come appartenenza e solidarietà. Essere e prendere
parte riflettono anche un’altra polarità, quella fra: partecipazione strumentale (o efficiente) e
partecipazione espressiva (o simbolica). La partecipazione strumentale è la capacità di tutelare (o
promuovere) specifici interessi, magari ricavandone anche dei vantaggi. La partecipazione
espressiva o simbolica, invece, si risolve nella gratificazione che la stessa partecipazione ci offre,
facendoci sentire attivi o dando risposta a nostri bisogni etici, alle nostre sensibilità e ovviamente al
nostro senso di appartenenza. Nella partecipazione espressiva, le azioni politiche rivestono una
forza integrante verso l’interno ed espressiva verso l’esterno, cioè, la partecipazione ci consente di
sentirci parte di un progetto comune e di essere riconosciuti da altri soggetti come parte di quel
percorso condiviso di esperienze, sensibilità e preferenze. La partecipazione per eccellenza è
costituita dal voto e dall’attività politica attraverso i partiti. Ci sono anche le forse di civic
engagement e cittadinanza attiva, pur prescindendo dalla partecipazione alla vita dei partiti, hanno
sicuramente valenza di partecipazione politica, spesso di tipo sia strumentale sia espressivo.
La partecipazione svolge anche una funzione performativa, attraverso forme di influenza che essa
può avere sulle politiche pubbliche e nella definizione delle relazioni di autorità a potere. Nel primo
caso si parla di azione tese a influenzare le decisioni e le scelte di governo, si tratta di quella che
viene definita policy related partecipation. Nel secondo caso, l’azione partecipativa tende a
influenzare l’attribuzione delle cariche e ha quindi un legame anche con il voto, si parla a questo
proposito di polity related participation.
Forme convenzionali di partecipazione (Milbrath) 14 tipi di comportamento che vanno da un
minimo di impegno e attività a un massimo di azione e responsabilità: esporsi a sollecitazioni
politiche, votale, avviare una discussione politica, cercare di convincere gli altri a votare in un certo
modo, portare o esporre un dispositivo politico, avere contatti usuali con un funzionario o con un
dirigente politico, versare offerte in denaro a un partito o a un candidato, assistere a un comizio o a
un’assemblea politica, dedicare tempo e risorse a una campagna politica, diventare membro attivo
di un partito politico, partecipare a riunioni in cui prendono decisioni politiche, sollecitare
contributi in denaro per cause politiche, candidarsi a una carriera elettiva, occupare cariche
politiche o di partito. Milbrath individua tre tipi di soggetti: i gladiatori, gli spettatori (soggetti poco
impegnati), gli apatici cioè totalmente disinteressati alla politica. Sette anni dopo in una famosa
ricerca Verba e Nie individuarono sei tipi di partecipanti: i passivi cioè soggetti disinteressati alla
politica, i soggetti che si limitavano al voto, i localisti cioè persone interessati sono a questioni
legate al proprio territorio, i parrocchiali, interessati a questioni che li toccavano direttamente e nel
contempo disinteressati a tutto ciò che non li riguardava, i contendenti capaci di mobilitarsi su
12

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
campagne specifiche e infine gli attivisti globali cioè i soggetti con uno spiccato senso di
partecipazione politica. Il gruppo degli attivisti globali (in percentuale) era nettamente minore
rispetto ai primi due gruppi che avevano quasi la metà dei soggetti (48%). La partecipazione
politica era strettamente connessa a questioni sociali e appartenenze di gruppo. La partecipazione
riguardava i soggetti più istruiti, gli uomini più delle donne e le persone di età intermedia. Alla fine
degli anni 70 la ricerca nelle scienze sociali cominciò a considerare come partecipazione politica
anche le attività definite non convenzionali, Dalton ne individua 11: scrivere a un giornale, aderire
a un boicottaggio, autoridurre tasse o affitto, occupare edifici, bloccare il traffico, firmare una
petizione, fare un sit-in, partecipare a uno sciopero selvaggio, prendere parte a cortei pacifici,
danneggiare beni materiali, utilizzare violenza contro le persone. Le tradizionali distinzioni fra
partecipazione convenzionale e non-convenzionale sembrano essere poco adatte a descrivere e
interpretare una realtà profondamente mutata. Emergono infatti due elementi che dovremmo
considerare con attenzione: il primo riguarda quella che veniva definita partecipazione non-
convenzionale, che ha assunto nel tempo una dimensione chiaramente rituale, i movimenti sociali
hanno nel tempo attivato forme stabili e organizzate di partecipazione e gli stessi social forum
costituiscono momenti importanti di auto-organizzazione e di delineazione di linee politiche che
mirano ad avere un impatto sulle istituzioni rappresentative. Il secondo elemento riguarda le
dinamiche di istituzionalizzazione delle forme partecipative della democrazia: pratiche non-
convenzionali di partecipazione sono state assunte in tattiche di civic engagement e hanno talvolta
accompagnato processi di deliberazione. La partecipazione non convenzionale si è evoluta
diventando sempre più normale e pragmatica e più lontana dalla politica tradizionale. Bisogna
notale che si stanno sviluppando forme ibride di partecipazione politica, con cui i soggetti
transitano continuamente fra esperienze diverse e non necessariamente omogenee.

MOBILITIZZAZIONE COGNITIVA E DISALLINEAMENTO POLITICO


Russel Dalton cominciò a parlare di mobilitizzazione cognitiva negli anni 80, studiando la crescente
sfiducia nei partiti tradizionali da parte dell’elettorato statunitense e, successivamente, analizzando
i fenomeni simili in Europa. La mobiltizzazione cognifiva è un fenomeno definito da Dalton come
13

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
un coinvolgimento astratto e psicologico nella politica, che si ha quando gli individui dispongono
delle risorse necessaria per essere politicamente mobilitati, senza la necessità di supporti e
indicazioni esterne. Tale tipo di mobilitizzazione tenderebbe a non rafforzare, ma a sostituire le
tradizionali forme di mobilitazione politica, attivando forme di coinvolgimento innovative, fino alla
sindrome del cittadino critico. Tale sindrome è ben descritta da un evidente paradosso: sempre più
paesi sono conquistati alla causa della democrazia, sempre più cittadini delle vecchie e nuove
democrazie sono insoddisfatti per come la democrazia funzione. Un elevato livello di istruzione
connesso a una maggiore attenzione ai beni immateriali possono determinare la mobilitazione
cognitiva dei cittadini. Quest’ultimi adottano una prospettiva postomaterialista e ripongono una via
via crescente attenzione su obiettivi individuali, in tale dimensione, la partecipazione politica tende
a spostarsi della cornice aggregativa dei partiti a forme molto differenziate. Gli anni 60 possono
essere definiti come uno dei rati momenti nella storia in cui si produce un radicale mutamento di
prospettiva nel modo di concepire la società e la politica, le proteste degli anni 60 e i movimento
che si svilupparono in quegli anni rappresentano l’emersione sociale di valori che egli definisce
postmaterialisti. I soggetti portatori di valori non materialisti si trovano, peraltro e non
casualmente, nella promozione di movimenti che basano la loro azione politica sull’idea di una
maggiore partecipazione. Le questioni sociali sono rientrate nell’agenda dei movimenti sociali e
dei soggetti che ancora possiamo ascrivere a valori postmaterialisti, essi sono stati ricollocati
all’interno di una cornice chiaramente espressiva, com’è accaduto alla maggior parte dei movimenti
per la giustizia globale, in cui la richiesta di una maggiore equità sociale si è inscritta nell’ideale
postmaterialista di superamento dei modelli di democrazia a scarsa vocazione partecipativa e delle
economie neoliberiste. D’altra parte, valori materialisti (funzionali) e postmaterialisti (espressivi) si
sono sempre variamente intrecciati. L’adozione di una prospettiva meramente materialista
sopravvive in gruppi e movimenti con un forte portato populista. Ci sono stati altri cambiamenti che
hanno accompagnato l’evoluzione della partecipazione politica a partire dagli anni 80. Il più
evidente è il voto. Esso ha perduto la sua caratteristica di esercizio abituale per trasformarsi in
azione valutativa, al tempo stesso si è fatta strada nell’opinione pubblica la consapevolezza che
esso non costituisca più una forma efficiente di partecipazione sociale. In tale scenario si situa
l’analisi di Dalton che individua la perdita di fiducia nei confronti della istituzioni politiche e dei
partiti come fenomeno transnazionale, che coinvolge sicuramente tutte le democrazie industriali
avanzate, i politici vengono considerati sempre più inadeguati al compito, su questo aspetto c’è da
segnalare che il recruting personalistico e leaderistico della classi dirigenti politiche favorisce
l’ascesa di soggetti fedeli al capo ma non necessariamente dotati di un appropriato curriculum e
spesso nemmeno si un sia pur minimo radicamento territoriale. In questo scenario i cittadini più
mobilitati tendono a compiere un doppio processo logico, da una parte, incrementano la loro
sfiducia verso i politici, dall’altra invece, continuano a ritenere fondamentale la democrazia, anzi ne
reclamano un allargamento e lo sviluppo di nuove pratiche partecipative. Dalton nota che proprio i
portatori di valori postmaterialisti tendono a essere convintamente fautori dei sistemi democratici e
molto più critici nei confronti dei governi. In alcune realtà nazionali la situazione è poi aggravata
da elementi di architettura istituzionale che possono favorire la rottura di un rapporto fiduciario fra
cittadini e politica, uno di questi elementi è il sistema elettorale. In effetti, sistemi elettorali basati
su liste chiuse o senza la possibilità di votare un candidato riconoscibile funzionano da
moltiplicatori della sfiducia nei confronti della politica e delle sua istituzioni formali. Dalton ha
incrociato la mobilitazione cognitiva con il minore o maggiore grado di allineamento politico. Il
grado di attaccamento al partito e la mobilitazione cognitiva definiscono categorie diverse di
cittadine e cittadini che evidenziano comportamenti elettorali molto differenziati. Un’altra
mobilitazione cognitiva determina un comportamento non partigiano, si tratta di soggetti che
cercano forme di impegno civico e ritengono la democrazia un valore da difendere. Un
atteggiamento simile è quello di chi ha una mobilitazione cognitiva alta, ma continua a identificarsi
con il partito. Si identificano col partito ma hanno una mobilitazione cognitiva bassa quei soggetti
che aderiscono in forma ritualizzata a un partito. Una quarta categoria comportamentale è
rappresentata dagli indipendenti apolitici: soggetti con una bassa mobilitazione cognitiva e con
comportamenti elettorali dettati da una forte variabilità.
14

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Gli apartisan sono soggetti ad alta mobilitazione cognitiva, ma con uno scarso grado di
attaccamento a un partito.

I MOVIMENTI SOCIALI E LA SFIDA ALL’INDIFFERENZA


La fine del 900 e l’inizio del XXI secolo hanno evidenziato il legame funzionale fra sviluppo della
globalizzazione, sconfitta del cosiddetto socialismo reale e affermazione del pensiero unico
neoliberista. Lo scrive molto bene Crouch, per il neoliberalismo il nucleo fondativo è rappresentato
dagli azionisti e dagli investimenti della grandi imprese. Da qui la necessità di evitare interferenze
da parte dello stato. Crouch nota che il dogma principale del neoliberalismo risiede proprio
nell’idea che i risultati ottimali si ottengono se la domanda e l’offerta di beni e servizi sono definiti
senza interferenze da parte del governo o di altre forze, sebbene poi i prezzi e le condizioni siano di
fatto definite da imprese oligopolistiche. Tale dinamica conduce a una vera e propria
deresponsabilizzazione delle istituzioni rappresentative di fronte alla domanda dei cittadini. L’esito
finale è la crisi di legittimazione sia delle istituzioni rappresentative sia della politica. Le spinte
sociali che si sono susseguite (es. battaglia di Seattle) hanno messo in evidenza cambiamenti
decisivi nelle modalità di presa di parola dei cittadini. I nuovi movimenti, mostrano caratteristiche
peculiari. Sul versante delle rivendicazioni sociali le richieste non riguardano un cambiamento
strutturale dei modelli economici, molto spesso i soggetti che manifestano nelle strade chiedono la
possibilità di usare le proprie competenze e il diritti a retribuzioni dignitose in un quadro
economico più equo. Sul versante delle richieste politiche, i nuovi movimenti reclamano una
ridefinizione della stessa democrazia in cui le persone e non il denaro vengano poste al centro del
quadro sociale. Ci sono tuttavia elementi che accomunano i diversi movimenti, in particolare, il
basso livello di istituzionalizzazione e strutture organizzative molto incerte e segmentate. I membri
dei movimenti non hanno solitamente una tessera e vivono la loro appartenenza in maniera per lo
più “liquida”, queste caratteristiche costituiscono la cifra distintiva dell’auto-narrazione dei
movimenti stessi, che si percepiscono come aperti, partecipatori e non centralizzati. Un’altra
caratteristica dei movimenti è quella di essere spesso policentrici, di adottare logiche inclusive e
favorire forma di partecipazione “dal basso”, caratteristiche che, com’è evidente, favoriscono
l’adozione di pratiche democratiche non limitate alla logica della rappresentanza. I movimenti
sociali possono essere definiti in quanto: essi sono reti di interazione, prevalentemente informali;
hanno credenze condivise e attivano dinamiche di solidarietà; si mobilitano su tematiche
conflittuali, adottano varie e differenziate forme di protesta. Quattro variabili dei movimenti sociali:
• organizzazione: in questo quadro i movimenti sono studiati e definiti a partire dalla loro
organizzazione, nonché dalle proprie specifiche capacità di mobilitazione.
• Interazioni: la specificità dei movimenti è rappresentata dalla loro dimensione processuale e
dalla loro capacità di sfidare il potere.
• Variabile simbolica e la capacità dei movimenti di autorappresentarsi come identità
collettive.
• Narrazione ideologica: riguarda lo specifico dei contenuti politici tendenti a un fine.
Rucht: i movimenti sociali sono reti di gruppi e/o organizzazioni, per quando riguarda i loro scopi
essi sono dei tentativi di cambiare la società dalle fondamenta o di resistere a tali cambiamenti, in
termini operazionali, la protesta è una risorsa chiave attraverso cui i movimenti sociali si presentano
al pubblico, sfidano i loro oppositori e rafforzano la loro identità collettiva. I movimenti sociali si
differenziano dalle organizzazioni specifiche o dalle campagne politiche su temi particolari e/o
mirate a un obiettivo contingente, e sono ovviamente totalmente diversi dai comportamenti
collettivi non strutturati. I movimenti sociali hanno come scopo principale il cambiamento sociale
e non la semplice adozione di specifiche public policies. I movimenti sociali rappresentano
un’importante risosta all’indifferenza e all’apatia sociale. Presuppongono la possibilità di legami
sociali e inverano la potenzialità della partecipazione come azione di solidarietà con altri soggetti. I
movimenti devono costruire un’identità. Ma tale identità, spesso in continua ridefinizione, pur
all’interno di cornici di valore certe, ha bisogno di essere riconosciuta, essa deve produrre
identificazione (rispetto al gruppo) ma anche una sorta di individuazione collettiva che consenta al
gruppo di essere chiaramente distinto da altri e socialmente riconoscibile. In questo processo, un
15

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
ruolo importante deve essere attribuito alle azioni simboliche (linguaggi, marchi, slogan) e, più in
generale, alla comunicazione. In quest’ottica, la comunicazione assolve quindi una funzione
strategica, perché consente, da una parte, la conoscenza del gruppo e la sua riconoscibilità,
dall’altra, favorisce la sua definizione identitaria. Sono forme di comunicazione di prossimità fisica
(azione sul territorio, informazione porta a porta) e di prossimità simbolica (il web, i social
network). Il web rappresenta uno straordinario strumento di organizzazione e azione, da una parte
esso funziona come strumento di democrazia interna, dentro la cornice di procedure decisionali
partecipative, spesso di tipo deliberativo, dall’altra parte, esso può costituire uno strumento di
promozione, diffusione e consultazione dell’azione politica. Ricordo a piattaforme di “democrazia
partecipativa, tali piattaforme sono spesso usate da partiti e movimenti parlamentari come strumenti
di democrazia diretta online, un uso sostanzialmente diverso da quello auspicato dai movimenti
sociali.

IL RUOLO DEI MEDIA


Nell’idea politica come realtà di secondo livello, viene evidenziata la centralità dei media e, di
conseguenza, la normalità di processi come la distorsione informativa e la manipolazione
dell’informazione politica. Un’ulteriore conseguenza dell’analisi di Nimmo e Combs è costituita
dal fatto che gli attori politici dedicano molte energie alla creazione di un pubblico, composto da
soggetti per lo più isolati. I media, in questo schema, funzionano come strumenti di coesione, una
specie di grande collante sociale, capace di creare aggregati si soggetti che non hanno alcune
relazione l’uno con l’altro. Per le nozioni di pubblico, di interesse pubblico e di rappresentazione
pubblica, come peraltro per la stessa concettualizzazione dell’attività politica, i media sono di
fondamentale importanza. Questi diversi processi, appartengono a quel grande processo che negli
studi di comunicazione politica vengono ormai normalmente definiti come mediatizzazione.
David Easton, nel 1965 costruiva un modello del sistema politico come insieme di interazioni
attraverso le quali si realizza l’assegnazione autoritativa di valori scarsi in una data società. Il
sistema politico rappresenta un ambiente con confini dati e si basa su alcuni modi specifici di
funzionamento. Il sistema politico, nello scheda di Easton, è considerato un insieme di modelli di
interazione, capace di assorbile in maniera discreta le domande, ma per rendere possibile la sua
stessa sopravvivenza, il sistema deve selezionale le domande accettabili: questo avviene attraverso
specifici filtri (gatekeepers). I gatekeepers sono stanzialemte due: quelli che consentono un accesso
strutturale (rappresentati dai partiti) e quelli che consensono un accesso culturale (altri corpi
intermedi). Il processo di elaborazione delle decisioni pubbliche avviene poi nella scatola nera della
politica che a sua volta produce politiche pubbliche (output) ed esisti di tali politiche (policy
outcomes). Nonostante il modello sistemico di Easton sia oggi sostanzialmente superato esso,
tuttavia, mette in luce il ruolo dei partiti quali gatekeepers e dei media come strumenti di diffusione,
disseminazione e legittimazone delle domande politiche. In tempi più recenti, Peter Dahlgren, ha
sostenuto che le donamiche della democrazia sono intimamente connesse con le pratiche della
comunicazone, e la comunicazione sociale cresce con l’affermazione dei mass media. Il processo
di mediatizzazione non riguarda solo la politica ma costituisce un fenomeno più generale che
investe l’intero arco della attività sociali. Nel caso della politica, esso è molto evidente e si è
affermato accanto a una serie di concause che possiamo sintetizzare nel modo seguente:
• l’industria dello spettacolo si è integrata nella politica, diventando una parte inestricabile
e di grande importanza, in questa tendenza si collocano il successo e l’importanza
dell’attività di spin doctoring e di agenda building.
• Lo sviluppo di un forte e pervasivo immaginario televisivo ha cambiato il ruolo stesso dei
politici nonché le aspettative del pubblico, ciò che viene richiesto al politico, infatti, è la
capacità di giocare un ruolo scenico (indossare una maschera) ed evidenziare buona capacità
performative, possibilmente apparendo attraente e simpatico, senza necessariamente
esprimere proposte concrete.
• L’affermazione di forme di delegittimazione della politica tradizionale e dei suoi
meccanismi di mediazione sociale, un fenomeno peraltro pericoloso per la democrazia, a cui

16

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
non è estraneo il sistema giornalistico che ha contribuito a spettacolarizzare il sistema
politico che, a sua volta, ha subito un forte processo di personalizzazione.
• Lo spostamento del potere dalle oligarchie ideologizzate della politica tradizionale a elite
tecnocratiche, depositarie del funzionamento della macchina politica e legittimate dagli
spazi pubblici costituiti dai media stessi, nonché molto spesso assolutamente funzionali alle
dinamiche di commercializzazione della cittadinanza.
• Il processo di disallineamento ideologico, in virtù del quale gli elettori abbandonano la
fedeltà ideologico . culturale al partito in favore di scelte di altri tipo, economiche, personali
emozionali. Tale disallineamento provoca una crescente volatilità elettorale, che a sua volta
determina cambiamenti delle strategie e nei comportamenti dei partiti , che cosi alimentano
ulteriormente le forse di disaffezione ideologica. Le forme di disallineamento determinano
un cambiamento nel comportamento degli elettori, meno ancorati alle appartenenze
identitarie e più disponibili a lasciarsi persuadere e a cambiare partito. Il processo di
mediatizzazione produce un altro e ormai noto fenomeno di reciprocità fra politici e media,
per assicurarsi la presenza nei media, i politici accettano di perdere parte della propria
autonomia nonché di regolare i propri comportamenti sulle necessitò dello spettacolo
mediale, i media, nel contempo, provvedono a creare un’aura di visibilità e attenzione su
quegli attori politici che meglio rispondono alle proprie necessità di intercettare e
fidelizzare l’audience. L’incremento di competitività elettorale richiede, inoltre, a partiti e
candidati di adottare profili strategici nel loro rapporto con i media.
Spin doctor: professionista chiamato a mostrare in una luce positiva e favorevole l’azione e il
progetto di un attore politico, un professionista capace di mostrare il leader come una personale
normale con poteri particolari, lo spin doctor è l’artefice delle strategie di media management e si
muove alla confluenza fra media relations, marketing politico, analisi sociale e progettualità
politica. L’adozione dei sondaggi e lo scivolamento verso la cosiddetta sondocrazia enfatizzano il
ruolo del marketing politico, il cui scopo non è certo quello di soddisfare gli interessi dell’elettorato
ma il conseguimento degli interessi dei partiti e dei candidati. Non è un caso che prevalga
l’attenzione verso segmenti specifici dell’elettorato, quelli che vengono definiti swing voters,
gruppi sociali solitamente poco ideologizzati e per lo più posizionali al centro dello scacchiere
politico.
L’adozione di sondaggi e l’uso massiccio degli strumenti del marketing tendono a sovvertire
l’ideale di un cittadino impegnato e politicamente attivo con il modello del citizen consumer.
L’azione politica rischia di diventare subordinata al marketing e/o alla mera registrazione del clima
di opinione, rendendo concreto il rischio di caduta verso forme più o meno evidenti di populismo.
L’incrocio fra ricorso ai sondaggi e uso del marketing politico rappresenta un elemento molto
delicato. Il sogno di James Bryce è il governo dell’opinione pubblica, un sistema in cui la volontà
popolare, costantemente monitorata dai sondaggi, possa divenire il vero motore della democrazia.
La visione secondo cui il ricorso alla democrazia dell’opinione costituirebbe uno strumento di
empowerment popolare rappresenta tuttavia un’illusione, non a caso queste prospettive si
coniugano perfettamente con le ipotesi elitiste, secondo cui il leader non risentirebbe dell’influenza
esercitata dall’opinione pubblica, mantenendo invece un alto grado di autonomia (leadership
forte). Ipotesi di segno opposto sono quelle che individuano nel ricorso ai sondaggi il pericolo
dell’insorgenza di una leadership populista, spesso vittima della mutevolezza del clima di opinione,
finalizzata esclusivamente alla sua riconferma elettorale. Tale leadership sarebbe responsabile della
scelta preferenziale per un elettorato mediano e comunque costituito da grandi numeri. Le ipotesi
elitiste peccano di un eccesso di fiducia nelle capacità dei leader di essere autonomi dallo spettacolo
politico.
Il ricorso ai sondaggi costituisce secondo diversi autori un elemento di disaffezione, insieme alla
più generale crisi di credibilità dei partiti, dei cittadini verso la politica.
La relazione di mutua interdipendenza fra sistema politico e sistema dei media produce una
dinamica di doppio spin: da una parte la tendenza alla spettacolarizzazione della politica,
dall’altra la necessità degli attori politici ad assumere toni, linguaggi e issues dello spettacolo
mediale. Il circolo vizioso designa la dinamica processuale che conduce verso forme di
17

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
disaffezione del pubblico per la scena politica. Questo scenario delle relazioni fra media e sistema
politico ha permesso a Bernard Manin di ipotizzare un’evoluzione dalla democrazia dei partiti a una
vera e propria democrazia del pubblico, che, come detto, mette in secondo piano anche le
dinamiche di rappresentanza a favore di quelle della rappresentazione.
La democrazia del pubblico si sviluppa inizialmente proprio a partire dalla necessità di accorciare le
distanze fra i partiti e i cittadini elettori. Il processo di popolarizzazione delle politica rappresenta
un percorso importante di trasformazione. I media hanno profondamente modificato le forme
della visibilità degli attori politici, nell’età premediale la visibilità dei leader era connessa con la
capacità dei soggetti di condividere uno spazio pubblico, solitamente abbastanza limitato. Lo
sviluppo dei media elettrici ha trasformato lo stesso significato dell’idea di pubblico. Con lo
sviluppo della fotografia gli attori politici divennero visibili a prescindere dalle loro capacità
di stare in luoghi di visibilità. Con la televisione il processo raggiunge un livello molto alto:
vengono infatti rotti i confini fra il noto e l’incognito. Con la disseminazione mediale di notizie
e informazioni, non solo dei politici ma anche dei loro familiari, si è affermata anche una nuova
forma di intimità basata sulla conoscenza reciproca ma sulla visibilità mediatizzata. In questo modo
i cittadini non solo riconoscono l’immagine dei leader politici che non hanno mai incontrato
personalmente ma conoscono molto della loro vita personale, grazia alla presenza delle
informazioni sui politici nei media. Insomma, la nuova intimità senza reciprocità favorisce a sua
volta il processo di personalizzazione: il politico è più o meno appealing, più o meno simpatico, più
o meno da votare anche in virtù della sua vita personale. Lo scandalo appare come il livello più alto
di trasgressione rispetto alle norme e alle aspettative sociali sull’attore politico. Gli esiti dello
svelamento degli scandali è duplice: le dimissioni del politico o la rapida caduta nel dimenticatoio.
Essi sono meccanismi di rimozione sociale che rafforzano a un tempo i processi di
personalizzazione e di popolarizzazione della politica. Si sviluppano così strano e complesse
logiche di reciproco legame fra giornalisti e politici: i primi hanno bisogno di personalizzare la loro
narrazione e trovano nelle informazioni personali un notevole serbatoio per la costruzione di una
narrazione sociale della politica sostanzialmente semplificata, i secondi temono l’invasione delle
propria sfera privata da parte dei media ma al tempo stesso la richiedono perché essa garantisce
visibilità e notorietà. Proprio dentro questi processi, si verifica la riallocazione del pubblico della
politica che tende ad acquisire alcune delle caratteristiche del pubblico emozionale tipico di alcune
forme di intrattenimento. Le forme di conflitto emozionale (le stesse che si riscontrano nelle
fruizione di reality show) costituiscono un elemento importante di ripensamento della stessa sfera
pubblica, superando persino la tradizionale distinzione hebermasiana fra emozionale e razionale.
I pubblici avvicinati alla politica dai media sono quelli più interessati per la politica e la sua
comunicazione elettorale: sono infatti composti da soggetti molto diversi fra di loro, in cui spesso di
possono rintracciare buona parte di quei floating voters che spesso sono molto importanti nelle
determinazione degli esiti di una competizione elettorale. Su questi pubblici, l’influenza dei media
è ancora molto forte. Alcuni studiosi, infatti, individuano nella popolarizzazione del dibattito
civile un elemento di democratizzazione della vita politica. Alla politica riservata alle élite
culturali si sostituirebbe una partecipazione più ampia, in cui anche i soggetti tradizionalmente
meno attivi troverebbero nuovi spazi di protagonismo. Altri studioso, mettono in guardia circa i
pericoli che il combinato disposto dei processi di popolarizzazione e di personalizzazione
provocherebbe. Se è vero che la narrazione della politica ha subito un processo di semplificazione
è altrettanto vero che segmenti di cittadini tradizionalmente poco interessati alla vicende
istituzionali della politica hanno iniziato a interessarsi di tali questioni. Le forme di
tabloidizzazione dell’informazione sono solo in parte legate al successo dell’infotainment
televisivi, in realtà i giornali popolari più noti di Gran Bretagna sono addirittura pretelevisivi. Tutti
avevano come loro stile distintivo quello dell’abbondanza di immagini, l’uso di una scrittura
semplice, o semplificata, e la scelta di puntare sui fatti che richiamavano un maggiore
interesse umano. Fra le posizioni di chi ritiene i media responsabili del degrado della sensibilità
civica e quelle di chi saluta con ottimismo i processi di semplificazione informativa come
strumento di allargamento della democrazia, si collocano comunque anche posizioni intermedia e,
a opinione di chi scrive, più idonee ad afferrare la complessità sociale. Innanzitutto, i fenomeni di
18

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
disallineamento determinano nuova partizioni dell’opinione pubblica che non riflettono più le
preferenze di un elettorato, sviluppandosi invece al di fuori dei partiti. La riduzione delle distanze
fra politici e cittadini favorisce in teoria una maggiore interlocuzione, ma di fatto accentua la
trasformazione degli attori politici in personaggi mediali o celebrities, che rispondono cosi alle
logiche dello spettacolo. La spettacolarizzazione della politica tende a trasformare le stesse logiche
della rappresentanza in fenomeni di rappresentazione, in cui le dimensioni programmatiche
diventano secondarie. Si sviluppano fenomeni di personalizzazione dal punto di vista comunicativo
e di leaderizzazione dal punto di vista dell’organizzazione, con risultato che i partiti cessano
definitivamente di essere corpi intermedi, diventano invece comitati elettorali del leader o
dell’oligarchia che li controlla. La retoriche dell’efficienze diventa prevalente, perché più
facilmente mediatizzabile di quando non sia la profondità dell’analisi e la competenza delle
assemblee elettive. Connessa alla retorica dell’efficienza, si sviluppa il mito della democrazia come
azienda, che produce un sostanziale deficit democratico, spostando la bilancia sul piatto della
governabilità a totale detrimento della rappresentanza. La democrazia rappresentativa non viene
affianca da processi deliberativi e partecipativi ma da dinamiche di democrazia del pubblico in cui
la partecipazione viene limitata all’accesso nella cornice rappresentata dai media. La situazione
cambia solo in parte con i media digitali.
Oggi siano in una nuova fase storica, contrassegnata dalla sovrapposizione e ibridazione di
linguaggi tecnologie e modalità espressive. Emergono diverse forme di partecipazione online e
si sviluppano differenti livelli del cyber-attivismo, da quello organizzativo a quello ideologico, da
quello populista a quelli che si sostanzia della pratica del trolling. Nuovi linguaggi si sono
accompagnati all’uso di tecnologie avanzate, logiche di marketing si sono fuse con le
dinamiche della personalizzazione delle campagne elettorali. Dall’uso artigianale e pioneristico
della rete di passa all’uso consapevole e strategico del web, diventato improvvisamente luogo di
diffusione dell’informazione, di promozione di attività politica, di connessione fra militanti e
finanche di fund raising. Lo stesso spazio della rete rappresenta un luogo importante per movimenti
sociali, organizzazioni non governative, gruppi di pressione, attori politici collettivi e individuali, al
punto che anche per i partiti, la vecchia divaricazione fra reale e virtuale appare totalmente priva di
senso. Ciononostante i partiti italiani hanno continuato a riproporre il modello reale vs virtuale,
spesso tradotto nella contrapposizione semplicistica tra forma e contenuto. Bisogna abbandonare
l’idea che i media rappresentino l’unica variabile delle trasformazioni della politica, il tempo
presente è contraddistinto dalla forte presenza dei media, al tempo stesso però, si dimentica spesso
che il pregiudizio mediacentrico è responsabile di non pochi errori di prospettiva analitica, nonché
di molti risultati superficiali. È assolutamente importante mettere in risalto la centralità dei media
nei processi di costruzione della sfera pubblica, è altrettanto importante mettere in luce tutte le
diverse variabili che concorrono all’affermazione di leader e partiti politici. Buone pratiche di spin
doctor sono importanti per la costruzione dell’immagine pubblica dell’attore politico e
giocano un ruolo non secondario nella sua affermazione popolare, al tempo stesso, esse hanno
bisogno di sostanziarsi di una complessa e competente analisi sociale. Per considerare nel modo
più adeguato le forme d’influenza dei media sull’affermazione delle nuove soggettività politiche,
bisogna prendere in considerazione diversi parametri, non solo mediali ma anche politici e sociali.
Il successo e lo sviluppo di Internet per la politica e, in particolare del web 2.0 hanno evidenziato
un uso diverso sia delle strategie comunicative sia delle dinamiche di partecipazione alla vita
sociale, la rete sembra garantire un rapporto più diretto fra attori politici e cittadini. La rete consente
nuove forme di accesso alla politica, spesso estremamente semplificate ma anche più complesse,
come per le azioni promosse sul territorio o finanche per la delineazione di strategie organizzative.
Accesso e partecipazione sono due processi distinti: l’accesso alla rete è un diritto democratico
fondamentale, ma l’idea che tale accesso costituisca automaticamente una forma di partecipazione
e di civic engagement è ingenua.
Sondocrazia: processo che produce una diminuzione di centralità dei militanti (colui che partecipa
attivamente in organizzazioni o partiti in difesa di un di un'idea o ideale) dei simpatizzanti dei
grandi partiti di massa, che nel passato costituivano un elemento di misurazione della società per la
classe dirigente politica.
19

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Schema di analisi del social network: analisi delle mention, presenza di hashtag specifici, abbozzi
di sentiment analysis, numero di followers. I medi digitali hanno giocato un ruolo importante
quando sono entrati in rapporto diretto con il broadcasting televisivo e sono diventati parte di una
narrazione strategica della politica, capace di connettere insieme i diversi mediatised public spaces
che costituiscono una nuova sfera pubblica sempre più complessa e articolata. I cyber-ottimisti
individuano diverse caratteristiche peculiari del mondo ICT e in particolare dei media digitali: lo
sviluppo di numerose comunità di senso all’interno della cybersfera, l’incremento delle fonti di
informazione con la conseguente maggiore libertà di scelta da parte dei soggetti, lo sviluppo del
citizen journalism (il termine con cui si indica la forma di giornalismo che vede la "partecipazione
attiva" dei lettori, grazie alla natura interattiva dei nuovi media e alla possibilità di collaborazione
tra moltitudini offerta da Internet.) e dei contenuti prodotti dagli utenti capaci di produrre una sorta
di democratizzazione del sistema dell’informazione, l’affermazione di dinamiche di
disintermediazione che favorirebbero un compatto più diretto e genuino fra attori politici e cittadini.
Internet costituisce il punto di forza di una trasformazione delle possibilità di partecipazione
e influenza persino la vita dei partiti, con la rete crescerebbero a un tempo l’autonomia di
militanti e cittadini e il loro controllo sui leader. Alla obiezioni sulla permanenza del problema
globale del digital devide, i cyber ottimisti replicano solitamente facendo riferimento alla crescita
inevitabile nella penetrazione di internet. Il ruolo delle tecnologie digitali della comunicazione può
rendere possibile la costruzione di reti autonome di comunicazione orizzontale. La libera
circolazione dell’informazione e delle idee in rete favorisce l’adozione di pratiche politiche le più
disparate. Fra gli aspetti positivi della rete va sicuramente individuato lo sviluppo di nuove forme
organizzative degli stessi movimenti sociali, resta tuttavia un problema di base: non basta essere
presenti, è necessario essere ascoltati e poter partecipare ai processi decisionali o incidere nelle
dinamiche di policy making. La rete può avere un ruolo importante, nell’allargamento dell’accesso,
soprattutto per le potenzialità offerte dalle piattaforme di democrazia partecipativa, tuttavia, sono
ancora molti i problemi connessi al controllo democratico delle stesse piattaforme, all’effettiva
partecipazione garantita ai soggetti, alla reale possibilità di controllo dei leader da parte di militanti
e semplici cittadini interessati. Una vera comunicazione partecipata dovrebbe essere in grado di
attivare forme di effettiva partecipazione o comunque di accesso orizzontale.

I PARTITI: CORPI INTERMEDI O STRUMENTI DI CONTROLLO?


I partiti politici hanno subito, nel corso degli ultimi anni, una crescente crisi di credibilità che si
è congiunta a una strutturale crisi di fiducia nel sistema dei partiti e della cosiddetta democrazia dei
partiti, ovvero della forma democratica su base rappresentativa che avuto al suo centro l’esistenza
di associazioni di cittadini. La crisi ha diverse cause. Possiamo sicuramente rintracciare, fra le
cause, il processo di restringimento oligarchico del potere interno, in sostanza quella nota come la
legge ferrea delle oligarchie di Michels, che afferma che i partiti politici tendono a trasformarsi
con il tempo in strutture dominate da una oligarchia (cioè da un numero ristretto di dirigenti).
Weber definisce i partiti come associazioni fondate su un’adesione (formalmente) libera,
costituite dal fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo
sociale e ai propri militanti attivi possibilità (ideali e materiali) per il perseguimento di fini oggettivi
o per il perseguimento di vantaggi personali o per tutti e due gli scopi. Una definizione più semplice
è quella di Anthony Downs, è più coerente con l’idea di una democrazia in cui gli interessi
personali possano essere considerati solo in subordine, i partiti, infatti, sono definiti come una
compagine di persone che cercano di ottenere il controllo dell’apparato governativo a seguito
di regolari elezioni. Le elezioni inquadrano i partiti proprio come strumento elettorale, in una
dimensione competitiva, in qualche modo indispensabili come elementi di semplificazione della
vita politica oltre che come aggregatori di interessi e progetti di vita sociale. I partiti strutturano il
voto e in tal modo operano una semplificazione del quadro sociale.
I partiti svolgono sei funzioni fondamentali:
• semplificazione della complessità degli interessi, funzionano come mediatori tra
istituzioni e cittadini e organizzano la complessità sociale.

20

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
• Strutturazione del voto: determinano identificazione degli elettori e, stabilizzano
comportamenti di voto e scelte individuali.
• Socializzazione politica: i partiti svolgono una funzione educativa, sia costruendo l’agenzia
politica dei cittadini sia contribuendo alla legittimazione delle procedure democratiche
• Reclutamento dei governanti: i partiti rappresentano uno straordinario strumento di
reclutamento delle classi dirigenti, sia attraverso l’azione educativa sia mediante le
procedure elettorali
• Controllo sul governo: i partiti funzionano come elementi di collegamento tra i governo e
l’opinione pubblica, in questo modo garantiscono il controllo sugli eletti e indirettamente
sul governo delle democrazie rappresentative.
• Partecipazione alla formazione delle politiche pubbliche, i partiti definiscono linee
strategiche, propongono programmi e in caso di successo, li attuano.
I partiti garantiscono la rappresentanza individuale e al tempo stesso esercitano la
rappresentanza collettiva. Queste sei funzioni sono tarate su uno specifico idealtipo, quello del
partito ideologico di massa. Affermatosi con le democrazie liberali e con l’irruzione delle masse
popolari nella storia occidentale. Il problema delle masse era la loro conquista. Sviluppo di una
nuova categoria che Weber definirà “politici di professione” con la bipartizione fra quelli che
vivono per la politica e quelli che vivono di politica (differenza negli stili di partecipazione a
partire da differenze economiche. Le diverse misure nascono dalla considerazione
dell’importanza della partecipazione di soggetti non appartenenti al notabilato e, quindi, privi di
risorse autonome, i finanziamenti pubblici dovrebbero evitare che vivere di politica si trasformi in
attività miranti solo all’arricchimento personale. La logica del partito di massa si fonda su unità
territoriali, quattro diversi tipi di organizzazione del partito di massa: partito di sezione, partito di
comitati, partico di cellule, partico di milizie. La sezione è una struttura aperta, pronta ad accogliere
sia persone note e influenti sia cittadine e cittadini qualunque. Al contrario, il comitati sono
strutture chiuse e per lo più autodefinite. Il partito di sezione è centralizzato, quello di comitati
può esserlo ma spesso non lo è o lo è solo parzialmente. Anche la divisione delle funzioni è
diversa, la cariche politiche dei comitati hanno per lo più valore onorifico, quelle delle sezioni
rimandano a una logica organizzativa funzionale. Il partito di cellule è quello fondato su strutture
permanenti ed è spesso il risultato di situazioni di repressione o di scarsa libertà di espressione. La
struttura organizzativa per cellule è stata tipica dei partiti comunisti e si fonda su un chiaro
radicamento sociale. I partiti di milizie sono quelli che hanno a propria base una struttura
militare. Mentre il partito di comitati è una lascito del XIX secolo e quelli di sezione e di cellule
sono tipici dei partiti ideologici di massa di sinistra, il partito di milizie è invece tipico dei
partiti fascisti. I partiti di massa hanno rappresentato un serbatoio per la definizione di identità.
Nel secondo dopoguerra si è andato via via affermando questo nuovo tipo di partito, il partito
pigliatutto (catch all party), caratterizzato per le seguenti dimensioni:
• forte ridimensionamento del bagaglio ideologico.
• Rafforzamento della leadership, valutata per la sua efficienza elettorale.
• Ridimensionamento del ruolo dei membri del partito.
• Un minore legame con una classe sociale o con un segmento fortemente definito
dell’elettorato.
• Una notevole apertura ai più differenziati gruppi di interesse, sempre allo scopo di
intercettare i segmenti più ampi possibile dell’elettorato.
L’emersione del catch all party si deve a molteplici fattori, fra cui l’indebolimento dei legami di
classe, la diminuzione del senso di appartenenza religiosa, l’attenuazione dei conflitti sociali.
Aggiungendo al concetto di partito pigliatutto la variabile della professionalizzazione delle
organizzazioni di partito, si è proposto il concetto di partito professionale-elettorale. Il partito
professionale-elettorale sia quello pigliatutto hanno delle caratteristiche fondative: si finanziano
attraverso gruppi di interesse e rivolgono un’attenzione decisa alla leadership, determinano una
sovra-rappresentazione di carrieristi. Il cambiamento strutturale derivante dalla mutazione del corpo
di militanti e attivisti produce anche un marcato allentamento nel rapporto fra i partiti e la loro base
sociale, tale allineamento produce una marcata attenuazione nella dimensione identitaria, le persone
21

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
non si riconoscono più nel proprio partito che produce meccanismi di exit, che s’inverano nella
crescita dell’astensionismo elettorale. Questo cambiamento è definito cartel party. Il processo di
cartellizzazione produce alleanze collusive di partiti che hanno il loro scopo primario
nell’acquisizione di risorse economiche (accordo tra più produttori indipendenti di un bene o un
servizio). Il cartel party tende a penetrare nello stato, quasi a sovrapporsi ad esso. La progressiva
occupazione dello stato da parte dei partiti-cartello incrementa la partecipazione di singoli soggetti,
dal punto di vista della militanza, però, si assiste a una diminuzione numerica degli iscritti che si
accompagna alla diminuita centralità della loro stessa presenza. Il cartel party presenza
un’organizzazione partitica leggera. Il predominio del massaggio sul programma determina una
grossa attenzione sulla comunicazione politica, controllata in maniera verticistica dal leader e/o
dai suoi spin doctors. I nuovi leader accentuano il disinteresse dei militanti, cercando invece di
intercettare i soggetti più distanti.
La sfera parlamentare è chiaramente istituzionalizzata, ha le sue regole, suoi tempi, suoi
codici comunicativi, suoi sbarramenti all’entrata, le sue determinazioni di quando si è avuto
successo o quando invece fallimento. Mentre nello spazio pubblico non parlamentare le variazioni
sono numerose: nelle possibilità di accesso, nel numero dei partecipanti, nella tipologia dei
protagonisti, differenza tra professionisti da una parte e leader dall’altra, nelle durata dei gruppi e
movimenti che si formano, nelle alleanze possibili, nell’intensità delle azioni volte a conseguire
questo o quell’obiettivo.
I partiti di massa possiedono una struttura a cerchi concentrici.

I processi di cartelizzazione determinano però alcune conseguenze: la verticalizzazione ovvero la


centralizzazione dei processi decisionali, e la dissociazione fra partiti e mobilitazione politica.
Con la perdita di centralità degli iscritti e dei militanti vengono a mancare sia le antenne sul
territorio sia i testimoni di una costruzione identitaria. Il partito allora è costretto a intercettare
22

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
nuove esigenze sociali e nuovi gruppi attraverso i sondaggi d’opinione ma si corre il rischio che i
partiti tenderanno a trasformarsi in comitati elettorali per il leader. Nasce un’ulteriore variante: il
partito personale, è una peculiare vincenda che rinvia alla contaminazione postmoderna di risorse
pubbliche e patrimoniali nell’allestimento di disciplinate macchine di sostegno al capo inamovibile.
Mentre la personalizzazione è un fenomeno antico e per certi versi congenito alla competizione di
massa, richiesto ai partiti per definire immagini e simboli nella espressione della rappresentanza. Il
partito personale è stato declinato in molti modi diversi nei vari contesti in cui si è sviluppato. Un
caso di partito personale, in questo caso di tipo patrimoniale è rappresentato da forza Italia.
Accanto alle caratteristiche usuali dei partiti personali forza Italia evidenzia altre due caratteristiche
peculiari: la dimensione aziendale del partito e la centralità della comunicazione e del suo potere si
costruzione dell’agenda politica.
Negli ultimi anni, accanto ai diversi tipo di partito personale, si è infine sviluppato quello che molti
studiosi definiscono partito liquido presidenzializzato. Tale forma-partito, si nutre della retorica
della partecipazione e di un’apertura democratica della sua struttura interna. I partiti liquidi
presidenziali presenta una struttura interna debole che si innesta su un’alta propensione alla
comunicazione- il partito liquido-presidenzializzato nonostante viva della retorica dell’apertura alla
società e rifiuta programmaticamente un’organizzazione interna basata su logiche di tipo
deliberativo e partecipativo.
Nella logica dei cerchi concentrici si tratta di un partito in cui la connessione fra leader ed elettorato
non si realizza nell’ambito di un processo partecipativo capace di coinvolgere i diversi attori sociali
e politici ma è resa possibile proprio dalla sostanziale delegittimazione di tutti gli altri cerchi.
Il populismo rivendica la comunanza con il popolo ma al tempo stesso enfatizza la distanza dal
sistema delle élite, generando sospetto sistemico nei confronti di coloro che rappresentano
l’autorità. Il sospetto e la sfiducia sono elementi indispensabili al populismo. Il conflitto fra le élite
e il popolo produce una sorta di adattabilità guidata dal basso, presente per esempio sia nel
populismo autoritario sia nel concetto di people power che è alla base dell’idea di Big Society e
anche nel tele-populismo di Silvio Berlusconi e in quelle forme di populismo che si sviluppano nel
e grazia al web. I populismi hanno in comune, comunque, proprio la rottura del rapporto fiduciario.
Non riconoscono più l’esistenza di una differenziazione sociale e ripropongono uno schema
preottocentesco: quello della società omogenea e indivisibile, in cui popolare si oppone a regale. In
altre parole, si rifanno a una costruzione sociale in cui esiste una contrapposizione fra il re e il
popolo-gente che è ovviamente, a sua volta, un corpo omogeneo e unitario. Questa visione, si
sostanzia invece di un popolo ridotto a folla: un popolo che non ha coscienza né identità, non a caso
visto con sospetto a suo tempo anche da Marx.
I partiti personali e quelli liquidi-presidenzializzati hanno in comune questo ricorso alla logica
argomentativa dei due corpi (quello del re e quello della gente) che il leader può ricomporre in unità
grazia alle sua capacità performative. All’incrocio fra cartel party e partito personale, si situa il
franchise party. Il partito franchise costituisce un’evoluzione del cartel party e la trasformazione
della sua struttura organizzativa da gerarchia a stratarchia. Il partito franchise è una struttura
integrata, in cui le unità periferiche devono avere una forte autonomia ma, al tempo stesso, una
marcata interdipendenza. L’elemento di raccordo è rappresentato dal simbolo (dal brand) che
può essere una proprietà collettiva, ma, più spesso, è controllato dal leader o da un’oligarchia. Il
partito franchise, in altre parole, attiva forme di strutturazione come quelle del franchising.
Le forme di enfatizzazione degli avvenimenti e dell’immagine dei politici si basano su alcune
tendenze generali che possiamo riassumere nel modo seguente:
• commercializzazione delle politiche e dei sistemi di credenza
• popolarizzazione del discorso
• gestione e costruzione di eventi e pseudo-eventi allo scopo di orientare l’agenda dei media
• uso di personali pubblici e trasformazione dei politici in star da offrire al pubblico di massa
queste tendenze sono funzionali proprio alla logica argomentativa dei due corpi.

QUALI PARTITI PER QUALE DEMOCRAZIA.

23

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Approcci scientifici che si sono confrontati nello studio dei partiti e del loro ruolo sociale. Si fa
riferimento a quegli approcci che
• hanno privilegiato gli studi sul comportamento degli elettori (voter-centerd)
• studi che si sono occupati principalmente del ruolo e della funzione dei partiti (party
centred)
nel primo versante si collocato gli studi che possiamo etichettare come Columbia Model, il
protagonista principale è Lazarsfeld che costruì un indice delle predisposizioni politiche consistente
in tre variabili: lo status socio-economico, la religione e la residenza rurale (campagna) vs
urbana (città). Gli studi di Lazarsfeld, Berelson e il loro gruppo individuarono nella classe,
nell’appartenenza etnico e nella geografia della residenza i cleavages sociali fondamentali nella
delineazione delle scelte politico-elettorali.
I cleavages operano a tre diversi livello:
• la posizione oggettiva dell’elettore (la classe, la razza, il gender)
• l’identificazione del soggetto nel gruppo di riferimento e le eventuali posizioni di
conflitto
• le interazioni individuali, il rapporto con le istituzioni e i partiti politici.
Gli studi più recenti hanno registrato forme di incontro fra gli approcci voter-centred e quelli party-
centred e hanno riscoperto l’importanza dei partiti, nonostante la crisi di legittimità che li ha
investiti nel corso degli ultimi anni.
Bisogna evitare che i partiti si trasformino da mezzi in fini e ridurre la divaricazione fra
rappresentanza e governo. La mancanza di corrispondenza fra governo e rappresentanza
costituisce un volano per l’astensionismo e disillusione e si pone come momento critico per la
stessa legittimità democratica.
Secondo Raniolo i principali problemi che insistono sulle dinamiche organizzative dei partiti sono
4:
• problema dell’azione collettiva. Riguarda le motivazioni alla partecipazione e, di
conseguenza, le questioni connesse al reclutamento e al ruolo della militanza.
• Problema del coordinamento. Riguarda gli aspetti strutturali dell’organizzazione
• Problema della mobilitizzazione delle risorse. Riguarda diverse questioni, dal
finanziamento al rapporto con i media, dall’uso di figure professioni alla modalità
discorsiva della leadership
• Problema strategico. Riguarda le scelte, le logiche e la conquista del consenso, dentro un
quadro di relazioni con istituzioni, gruppi di interesse e territorio.
L’adozione di pratiche di democrazia deliberativa può costituire un vantaggi strategico per la
democratizzazione della vita dei partiti e quindi per la crescita di attenzione e partecipazione. Molto
spesso l’incremento di partecipazione può essere strumentale al conflitto fra elite e diventare quindi
una semplice operazione di immagine.
Parte di questa ambivalenza deriva dal cortocircuito tra verticalizzazione per cui, paradossalmente,
la loro legittimazione dal basso finisce per allargare il solco tra potere che hanno e responsabilità,
ovvero i controlli interno ai quali devono sottostare.
Non è il referendum sul leader che può garantire una maggiore partecipazione ma una militanza
attiva, scandita su diversi livelli di impegno e con differenti risorse da mettere a disposizione. Una
membership che non si lasci ingannare dalle sirene dei partiti elettorali e presidenzializzati, affinché
questo possa avvenire, è necessario che i partiti smettano si voler essere i depositari unici
dell’impegno politico ed entrino in connessione da una parte con i movimenti sociali e dall’altra
con le esperienze di cittadinanza attiva. I partiti devono avere il coraggio di cambiare la loro natura
riuscendo a recuperare il nesso partecipazione-identità dentro il quadro di un sistema sociale in cui
le forme stesse della politica sono profondamente mutate.

24

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Democrazia forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo, tramite rappresentanti
liberamente eletti

Democrazia rappresentativa una forma di governo nella quale gli aventi diritto al voto eleggono
dei rappresentanti per essere governati (in contrapposizione alla democrazia diretta).

Democrazia deliberativa una forma di governo democratica, nella quale la volontà del
popolo non viene espressa tramite l'elezione di rappresentanti (democrazia rappresentativa),
ma direttamente dal popolo stesso, tramite la cosiddetta deliberazione. La teoria della
democrazia deliberativa dice che, per la soluzione dei problemi di decisione politico-
amministrativa, si devono creare delle assemblee alle quali possa partecipare ogni singolo
cittadino, nelle quali i cittadini vengano informati da esperti riguardo al problema in gioco, e nelle
quali i cittadini possano discutere tra di loro, difendendo le proprie posizioni. La caratteristica
veramente importante è che, almeno nella teoria, la decisione può essere presa solo quando tutti
i partecipanti alle arene trovano un accordo. Dal punto di vista teorico anche solo un dissenso
dovrebbe far continuare la discussione.
Ovviamente nei casi reali non ci si può permettere, per problemi di tempo, di aspettare una
soluzione che sia condivisa da tutti, a meno che non si tratti di assemblee con pochissimi
partecipanti. Si trovano quindi delle soluzioni pratiche approssimate. Esistono comunque dei
paesi, specialmente in Sudamerica, dove questo tipo di democrazia viene regolarmente
utilizzata per la gestione delle amministrazioni locali.

Le democrazie rappresentative si distinguono in democrazie parlamentari, se il parlamento ha i più


ampi poteri (a partire dalla fiducia obbligatoria all'esecutivo) oppure presidenziali o
semipresidenziali se il presidente della repubblica o il capo dello stato ha poteri abbastanza estesi
da essere concorrenziali a quelli dell'assemblea legislativa. Sono forme di democrazie
rappresentative anche le monarchie costituzionali e le monarchie parlamentari.
Democrazie rappresentativa le democrazie in cui è presente un Parlamento o più in generale
un'assemblea legislativa.

Democrazia liberale forma di Stato che si fonda sul principio della separazione dei poteri:
legislativo, esecutivo e giudiziario.

Repubblica parlamentare (italiana) gli elettori italiani votano i rappresentanti del parlamento che
riuniti in seduta comune eleggono il presidente della repubblica.
Il capo del governo viene nominato dal presidente della repubblica.
Le elezioni parlamentari avvengono ogni 5 anni, mentre il presidente della repubblica ogni 7.

Repubblica presidenziale (americana) gli Stati uniti gli elettori eleggono direttamente il
presidente della repubblica, il quale diventa sia capo di stato che di governo.
in questo paese si vota ogni 4 anni.

Repubblica semi-presidenziale (francese) gli elettori francesi eleggono sia il presidente della
repubblica sia il parlamento. il presidente non è capo del governo, ma nomina un altro.
si vota ogni 5 anni

Repubblica federale Unione di stati che sono autonomi che devono sottostare a delle leggi prese
democraticamente. (Modello federale di Australia, Canada e India)

Repubblica popolare Uno Stato socialista, o Stato comunista (cinese)

25

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)
Repubblica forma di stato di carattere rappresentativo in cui l'organo supremo (capo dello stato)
viene eletto o direttamente dal corpo elettorale o dai membri del parlamento.

Monarchia forma di governo in cui la carica di capo di Stato è esercitata da una sola persona. Può
succedersi per dinastia oppure per elezioni.

26

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: angelica-pantarelli (angelicapantarelli@hotmail.com)

Potrebbero piacerti anche