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Il partito politico e la legge ferrea dell’oligarchia

https://www.liceogramsciolbia.edu.it/moodle/mod/url/view.php?id=44179

Lezione I
 Preconoscenze: concetto di democrazia
La Costituzione italiana dà una definizione di democrazia più procedurale o più sostanziale? Forse sostanziale.
Dimostrazione:
Articolo 1: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle
forme e nei limiti della Costituzione.
Articolo 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove
si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
 Democrazia sostanziale o effettiva: punta ad ottenere un’uguaglianza effettiva. È una democrazia di tipo
socialista.
 Democrazia procedurale o formale: la democrazia è la risoluzione pacifica dei conflitti, senza ricorrere alla
violenza. È nella dittatura che si ricorre alla violenza. È una democrazia di tipo liberale. 

Tratto da Norberto Bobbio, Democrazia formale e democrazia sostanziale – in Dizionario di politica UTET:
“Ognuno dei due tipi di regime è democratico secondo il significato di « D. » prescelto dal difensore e non è democratico secondo
il significato prescelto dall'avversario. L'unico punto su cui gli uni e gli altri potrebbero convenire è che una D. perfetta – sinora
in nessun luogo realizzata e quindi utopica - dovrebbe essere insieme formale e sostanziale.”

Liberalismo → parola chiave: libertà


Democrazia → parola chiave: eguaglianza

Una democrazia liberale, ossia una democrazia che vuole far incontrare queste due ideologie così diverse e
contrastanti, probabilmente deve puntare più ad un significato procedurale che ad uno sostanziale di democrazia. La
democrazia liberale è una democrazia rappresentativa, mentre nei regimi comunisti si hanno democrazie popolari.
Bobbio è un difensore della democrazia liberale, ossia rappresentativa. 

Ci sono alternative alla democrazia rappresentativa? 


La democrazia rappresentativa è una democrazia dei partiti, in cui il popolo elegge i propri rappresentanti. Norberto
Bobbio ritiene che non ci siano alternative. Regole imprescindibili della democrazia rappresentativa:
1- suffragio universale: tutti devono votare
2- suffragio non rafforzato: una testa, un voto
3- pluralismo: possibilità di scelta tra alternative diverse
4- possibilità di costituire partiti
5- principio di maggioranza
6- diritti delle minoranze

Churchill: la democrazia è la peggiore forma di governo ma le altre sono ancora peggiori.


Criticità della democrazia: discorso di Rousseau → siamo liberi nel momento in cui votiamo e diventiamo schiavi
dopo aver votato. Rousseau, infatti, credeva nella democrazia diretta.
Perché Rousseau poteva essere considerato sia democratico che totalitario? 
In quanto riteneva che la democrazia si basasse sulla volontà generale, ossia la volontà razionale, alla quale bisogna
sottomettersi totalmente. L’individuo non possiede i diritti in quanto individuo, bensì è totalmente annullato nella
volontà generale, la quale non lascia spazio all’iniziativa individuale. Rousseau, in definitiva, per un verso vuole una
democrazia autentica e non accetta la delega, però per l’alto verso c’è il rischio che l’individuo perda completamente la
sua autonomia e si annulli nel corpo sociale. Il giacobinismo è stato espressione di ciò.

 Il partito politico e la legge ferrea dell’oligarchia


Robert Michels è famoso nelle scienze sociali. Egli ha scritto un libro che si intitola “Sociologia del partito politico”,
un grande classico della sociologia scientifica. È un libro assai importante, ricollegabile alla legge ferrea
dell’oligarchia. 

Tratto dalla lettura 8 del manuale:


L’inevitabile nesso tra le esigenze organizzative e la formazione di oligarchie nei partiti di massa è il tema centrale della
riflessione di Robert Michels (1876-1938). Per partiti di massa si intendono i partiti che nascono a partire dalla seconda
metà dell’800 sulla falsariga di due grandi ideologie: la socialdemocrazia e la dottrina della Chiesa. Per partiti di massa
si intendono, dunque, i partiti socialisti, o socialdemocratici, e i partiti popolari (Democrazia Cristiana). 

 Democrazia Cristiana: formata nel 1900


 Partito Popolare: formata nel 1919
Questi partiti di massa di ispirazione cristiana si richiamano alla enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891). 

 Partito socialista italiano: fondato nel 1892


 Partito socialdemocratico tedesco: nasce nel 1875
Questi partiti di massa di ispirazione socialista, o socialdemocratica, si richiamano a Karl Marx

R. Michels fa parte del partito socialdemocratico tedesco, un partito importantissimo, in quanto la Germania,
superando l’Inghilterra, è la più avanzata dal punto di vista economico nella seconda metà dell’800 e di conseguenza
c’è un forte movimento operaio. Michels rimane profondamente deluso da questo partito, tant’è vero che esce, proprio
perché i partiti di massa diventano inevitabilmente delle oligarchie. 
Legge ferrea dell’oligarchia: qualunque organizzazione sviluppa una oligarchia. L’organizzazione ha una struttura
verticistica e non può essere democratica.
Un partito di massa dovrebbe essere un partito democratico, dal momento che rappresenta gli interessi della classe
operaia. Tuttavia, essendo il partito una organizzazione, esso è destinato a tradire la sua funzione in quanto sviluppa
una oligarchia. Ciò è particolarmente grave nel caso del partito socialista, in quanto esso dovrebbe essere il più
democratico dei partiti. 

Secondo la definizione procedurale di democrazia, quest’ultima o è una democrazia dei partiti o non è. Tuttavia, se si
considera la legge ferrea dell’oligarchia, la democrazia dei partiti diventa un controsenso. 
In definitiva, esiste un nesso inevitabile tra le esigenze organizzative e la formazione di oligarchie dei partiti di massa.
partito → organizzazione → oligarchia= caratteristica antidemocratica

Questo è il motivo per cui Michels è militante, in gioventù, nella socialdemocrazia tedesca, però è simpatizzante per le
correnti rivoluzionarie all’interno della socialdemocrazia (seconda internazionale). 

Il movimento operaio è un movimento internazionalista. Marx, alla fine del Manifesto del partito comunista, dice
“Proletari di tutto il mondo unitevi”. 
Prima internazionale (1864-1875): scontro tra marxisti e anarchici
Seconda internazionale (1889- 1916): scontro all’interno del partito socialdemocratico tedesco, dove emerge la
distinzione tra:
 i riformisti: vogliono riformare la società borghese, senza abbatterla
 i rivoluzionari o massimalisti: vogliono abbattere la società borghese

Paradossalmente, Michels successivamente si orienta verso posizioni più conservatrici, ossia guarda con favore al
fascismo. Qual è la soluzione a questo paradosso?
Nel fascismo il Duce si rivolge direttamente al popolo, scavalcando i corpi intermedi (parlamento, partiti): è una forma
di populismo. Dunque il fascismo disprezza le oligarchie, i partiti e il parlamento. Michels vede in Mussolini una
possibile soluzione alla tendenza delle organizzazioni a diventare oligarchie. Per questo motivo non c’è
contraddizione. 
Un grande maestro di Michels è Max Weber, il quale ritiene che la democrazia deve fare i conti con la burocrazia. La
democrazia per sua natura produce la burocrazia (in quanto la democrazia si occupa dei cittadini e, di conseguenza, in
qualche modo appesantisce lo Stato), tuttavia quest’ultima è la morte della democrazia stessa. Questo è il paradosso
della democrazia. Inoltre, nella democrazia bisogna affidarsi ai tecnici, i quali tuttavia non sono espressione dei
cittadini. 
Infine, la teoria dell’ideologia di Marx: la visione personale del mondo non è oggettiva, bensì è espressione dei propri
interessi economici. La visione del ricco è diversa da quella del povero. Il leader del partito di massa conduce una vita
diversa rispetto a quella delle masse che rappresenta. 

Norberto Bobbio ci parla del “feticcio della democrazia diretta”: la democrazia o è rappresentativa o non è. La
democrazia diretta è una grande illusione. Michels dice il contrario: la democrazia dei partiti è un’illusione, un
ossimoro.
Attualità:
Prima del referendum   Dopo il referendum
630 deputati                  400 deputati
315 senatori                  200 senatori

La legge ferrea dell’oligarchia di Michels


Presupposti: 
 Marx e la teoria dell’ideologia
 Weber e la teoria della burocrazia
o la burocrazia come paradosso della democrazia
o la necessità della tecnicizzazione delle decisioni

Tesi: 
 La democrazia implica una qualche forma di organizzazione 
 Ogni organizzazione produce un processo di burocratizzazione e centralizzazione che dà origine a una
leadership, che col tempo si trasforma in una casta chiusa e inamovibile

Estratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera:


https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Legge_ferrea_dell%27oligarchia&oldid=105908062
La legge ferrea dell'oligarchia è una teoria formulata nel 1911 dal politologo tedesco Robert Michels nel suo libro
Sociologia del partito politico. Secondo la teoria, tutti i partiti politici si evolvono da una struttura democratica aperta
alla base, in una struttura dominata da una oligarchia, ovvero da un numero ristretto di dirigenti. Questo deriva dalla
necessità di specializzazione, la quale fa sì che un partito si strutturi in modo burocratico, creando dei capi sempre più
svincolati dal controllo dei militanti di base. Con il tempo, chi occupa cariche dirigenti si "imborghesisce",
allontanandosi dalla base e andando a costituire un'élite compatta, dotata di spirito di corpo. Nello stesso tempo, il
partito tende a moderare i propri obiettivi: l'obiettivo fondamentale diventa la sopravvivenza dell'organizzazione, e non
la realizzazione del suo programma. Michels, che elabora le sue idee soprattutto sulla base dell'osservazione delle
dinamiche del Partito Socialdemocratico di Germania, fornisce quattro prove a sostegno della sua tesi: 
1. La democrazia non è concepibile senza una qualche organizzazione.
2. L'organizzazione genera una solida struttura di potere che finisce per dividere qualsiasi partito o sindacato in una
minoranza che ha il compito di dirigere e una maggioranza diretta dalla prima. 
3. Lo sviluppo di un'organizzazione produce burocratizzazione e centralizzazione, che creano una leadership stabile,
che col tempo si trasforma in una casta chiusa e inamovibile. 
4. L'insorgenza dell'oligarchia deriva anche da fattori psicologici, in particolare dalla "naturale sete di potere" di chi fa
politica e dal "bisogno" delle persone di essere comandate. 

Questo approccio è stato criticato, in tempi più recenti, da Angelo Panebianco, il quale ha osservato che l'evoluzione
dei partiti è più complessa e contraddittoria di quanto ipotizzato da Michels. Panebianco evidenzia come la base di un
partito non abbia un ruolo del tutto passivo, in quanto anch'essa (e non solo i leader) possiede risorse. Inoltre, le
ideologie non sono del tutto manipolabili: quindi, gli obiettivi di un partito possono essere articolati e adattati alle
mutate esigenze, ma non abbandonati del tutto.
Simone Weil, a conclusione del saggio Manifesto per la soppressione dei partiti politici, scriveva che «quasi ovunque
l'operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all'operazione del pensiero. Si tratta
d'una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici, e si è espansa, attraverso tutto il Paese, alla quasi totalità del
pensiero. Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra, che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla
soppressione dei partiti politici» Erano i partiti in sé, non tanto l'idea politica che li sorreggeva (i partiti, pensava
Simone Weil, non hanno alcuna idea, specie politica), quanto i propositi di dominio che li animavano, più o meno
morbidi che fossero, a dettare le sue parole d'allarme: «La democrazia, il potere della maggioranza non sono un bene.
Sono mezzi in vista del bene, stimati efficaci a torto o a ragione. Se la Repubblica di Weimar, al posto di Hitler, avesse
deciso, per vie più rigorosamente parlamentari e legali, di mettere gli ebrei nei campi di concentramento e di torturarli
con metodi raffinati fino alla morte, le torture non avrebbero avuto un atomo di legittimità in più di quanta ne abbiano
adesso.» 

Lezione II
La democrazia rappresentativa non è una democrazia poiché i partiti sono inevitabilmente delle organizzazioni
oligarchiche che rappresentano la negazione del principio democratico.
Bobbio invece dice che l’unica democrazia possibile è quella rappresentativa.

Nel 1946: referendum per la scelta fra monarchia o repubblica. Votarono per la prima volta anche le donne. Vince la
repubblica.
Dunque inevitabilmente viene istituita un’assemblea costituente con il compito di scrivere la costituzione della
repubblica, che entra in vigore il 1 gennaio 1948.
La nostra costituzione prevede una democrazia rappresentativa, quindi un sistema di partiti. La nostra costituzione
non prevede che i partiti debbano darsi un ordinamento democratico, cosa che invece prevede per i sindacati.
Questo perché in realtà la costituzione è stata scritta dalla costituente (assemblea elettiva: eletta da italiani uomini e
donne) e qui i partiti forti erano il partito comunista e la democrazia cristiana.

Il partito comunista è un partito marxista-leninista che prevede come sua organizzazione interna il centralismo
democratico: non possono esserci correnti all’interno dei partiti, si deve essere tutti d’accordo altrimenti si viene
allontanati.
Invece altri partiti (come la democrazia cristiana) ammettono al proprio interno la presenza di correnti, quindi
ammettono la possibilità del dissenso (quindi troviamo un certo tipo di ordinamento democratico dentro questo
partito).
La storia italiana per quanto riguarda i partiti ha avuto due fasi fondamentali, si parla di:
 prima repubblica: dal 1945 fino alla vicenda di Tangentopoli del 1992, quando la procura di Milano ha
azzerato gli altri partiti in quanto responsabili del reato di violazione della legge sul finanziamento pubblico
dei partiti.
 seconda repubblica 

È entrata un po’ in crisi la partitocrazia (potere oligarchico dei partiti): la prima repubblica è crollata perché è crollata
la partitocrazia (i partiti si sono concretizzati come una sorta di realtà autoreferenziale e staccata dai cittadini).
Il male della democrazia rappresentativa è che produce assenteismo: la democrazia si trasforma in un’oligarchia
partitica e quindi è normale che i cittadini non vadano neanche a votare. Tuttavia, nemmeno il sistema fondato su una
piattaforma che avrebbe voluto incrementare la partecipazione dal basso ha funzionato.

Perché si ricorre al governo dei tecnici? Si ricorre al governo dei tecnici quando la politica si dimostra incapace di
risolvere i problemi. Può essere considerato un paradosso della democrazia.
Spesso in Italia si è ricorso ai tecnici: 
 il governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi nel 93 (diventato anche presidente della repubblica nel 99) in
concomitanza di una grande crisi finanziaria; 
 il governo Monti nel 2011: rischiavamo la bancarotta, il collasso;
 ora ricorriamo ancora una volta ad un tecnico: Draghi. 

Platone è il primo teorico del governo dei tecnici: “i filosofi al potere”; “deve governare colui in cui prevale l’anima
razionale”;  “deve governare chi ha le competenze per occuparsene”. Platone è avversario durissimo della democrazia.
Questa logica è la negazione del principio democratico: stesso discorso che fa Michels.
Il trasformismo è un limite della democrazia perché:
Una democrazia funzionante è una democrazia dell’alternanza (quando c’è una chiara maggioranza e una chiara
opposizione e c’è alternanza fra le due). Un sistema del genere dà ai cittadini la sensazione di avere un potere
decisionale che condizioni la vita politica.
Mentre la prima repubblica è caratterizzata da un’impostazione profondamente centrista, la seconda repubblica (che
nasce quando scende in campo Berlusconi e quando viene cambiata la legge elettorale) è una fase di bipolarismo:
centrodestra e centrosinistra si alternano al governo.

Adesso siamo in una fase che non è più quella della seconda repubblica: è da molto che i presidenti del consiglio non
sono scelti dai cittadini: né Draghi, né Conte, né Renzi.
In realtà la nostra costituzione non prevede che i cittadini scelgano il presidente del consiglio (lo sceglie il presidente
della repubblica), però durante la seconda repubblica si andava a votare avendo due schieramenti definiti, con dei
leader: 
-Berlusconi: leader del Centro-Destra 
-Centro-Sinistra con altri leader (Occhetto sconfitto da Berlusconi, Prodi che ha sconfitto più volte Berlusconi, Rutelli
e Veltroni sconfitti da Berlusconi).
Il potere decisionale dei cittadini era dunque più esplicito.

I problemi evidenziati da Michels (il problema dell’oligarchia, il problema dell’autoreferenzialità dei partiti e della
politica, il problema dell’impossibilità dei cittadini di decidere e di condizionare la politica) sono più evidenti quando
non c’è alternanza. Una democrazia funzionante è una democrazia dell’alternanza, una democrazia competitiva.

La teoria competitiva della democrazia:


La teoria competitiva della democrazia di Joseph Schumpeter rappresenta, nell’ottica di Sartori, una possibile via
d’uscita, forse l’unica, rispetto al paradosso di Michels, che, applicando la teoria weberiana della democrazia
all’analisi del partito politico, ripropone il pessimismo di Rousseau intorno alla possibilità di una democrazia
rappresentativa.
Analisi lettura 8 “Robert Michels Organizzazione e oligarchia”:
Michels formula il concetto secondo cui il partito (quindi l’organizzazione) è lo strumento migliore per tutelare gli
interessi degli operai (dei deboli). Di questo sono convinti i socialdemocratici. Gli anarchici la pensano diversamente.

Socialdemocrazia: 
1)non bisogna abbattere la società capitalista, ma riformarla. 
2)Storicamente questa idea nasce all’interno della seconda internazionale dei lavoratori: dal 1889 al 1916. 
3)Il cuore della seconda internazionale è il partito social-democratico tedesco. 
4)Un evento fondamentale all’interno della seconda internazionale è la pubblicazione della Bibbia della
socialdemocrazia, il libro di Eduard Bernstein “i presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia” del
1999.

Il libro di Eduard Bernstein “I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia” nasce nel contesto del
problema del revisionismo.
Revisionismo: bisogna rivedere le tesi di Marx perché la previsione fatta da Marx intorno alla fine inevitabile del
capitalismo non si è realizzata. Il movimento operaio non ha abbattuto il sistema capitalistico, perché preferisce
piuttosto integrarsi nel sistema capitalistico (cosa che in Inghilterra è evidentissima).
Un socialdemocratico è tale perché prende atto di questo: io rappresento gli operai, ma se gli operai preferiscono
accettare la società capitalistica, io ne devo prendere atto e quindi devo puntare a riformare il sistema capitalistico.

Gli anarchici ci fanno venire in mente la Russia (Michail Bakunin) e la prima internazionale dei lavoratori (1864-1875
che vede lo scontro tra Marx e Bakunin).
Per Marx, Bakunin è un romantico, uno che sogna (il politico per Marx deve essere realista). Per Marx fare la
rivoluzione significa instaurare la dittatura del proletariato (si arriva al comunismo attraverso una dittatura del
proletariato). Quindi lo Stato è destinato ad estinguersi solo in un secondo momento. Per Bakunin lo Stato deve essere
abrogato immediatamente.
I socialdemocratici sono dunque revisionisti di Marx e credono addirittura nella democrazia borghese (non nella
dittatura del proletariato), quindi credono nei partiti (ritengono che il partito social democratico sia lo strumento con
cui gli operai -cioè gli oppressi- si servono per tutelare i propri interessi).

Michels in questo periodo è più vicino agli anarchici, perché è illusorio ritenere che un partito possa difendere gli
interessi delle masse, degli oppressi, proprio perché il partito (organizzazione) finisce per essere governato da una
minoranza, quindi assume una connotazione oligarchica. Hanno ragione gli anarchici a sostenere che tutte le
organizzazioni siano inevitabilmente soppressive. Si vede che Michels è allievo di Weber: Weber ritiene che la
democrazia porti all’oligarchia passando attraverso l’oligarchia. Questo perché la democrazia ha bisogno della
burocrazia, la quale però deve essere gestita necessariamente da una cerchia ristretta di persone.

Lezione III
Sociologia del partito politico, un libro importante di Michels pubblicato nel 1911.
Michels fu molto legato all’Italia e il periodo della storia d’Italia fu quello giolittiano (1903-1914). Fu una svolta per la
politica italiana, sintetizzabile nella frase che Giolitti disse quando si candidò alla presidenza del consiglio: “E’
opportuno che il movimento operaio capisca che ha da guadagnare più dalla conservazione del sistema capitalistico
che dalla sua soppressione.” 
Non è un caso che Giolitti facesse un discorso del genere nel 1903 perché l’orizzonte era quello della II Internazionale.
Crispi, mazziniano puro, era nemico giurato dei socialisti, in quanto il socialismo era divisivo con la sua lotta di
classe;  bisogna credere nel popolo. Il grande leader politico che precede Giolitti, Crispi è il leader dello scontro
frontale con il partito socialista, fondato nel 1892. Invece con Giolitti ci sono le condizioni di una svolta, ma anche
perché nel mentre, all’interno del mondo e della cultura socialista, si è verificata un’evoluzione in senso riformistico.  
Questo programma è l’espressione politica del compromesso tra la borghesia e il movimento operaio, questo è il
giolittismo che sarebbe inconcepibile al di fuori del contesto della II Internazionale. Giolitti fa questo discorso
trovando una sponda nel grande leader del riformismo italiano, Filippo Turati. Il programma politico di Giolitti può
realizzarsi perché la sua aspirazione a coinvolgere i socialisti trova una sponda in Turati, il quale rifiuta di entrare nel
governo ma accetta il dialogo con Giolitti. 
Tuttavia bisogna anche tenere conto che il partito socialista è profondamente diviso, caratteristica importante della
storia della sinistra in Italia. Socialisti intransigenti saranno quelli che organizzeranno il primo sciopero generale del
1904 (eccidio di Buggerru, avvenne a seguito della manifestazione fatta dai minatori che chiedevano un salario più
alto). Dietro lo sciopero generale c’è la componente  intransigente del partito socialista 

Cosa vuol dire componente intransigente del partito socialista?


Turati è riformista; Giolitti ha detto di collaborare e Turati collabora, ma gli intransigenti sono profondamente contrari
al compromesso e al dialogo con Giolitti, infatti sono dei massimalisti, non vogliono rinunciare al programma
massimo, che è l’abbattimento del mondo borghese.

Come la pensano i massimalisti? (Lettura, Il mito dello sciopero generale, numero 11)
George Sorel è un pensatore francese, autore di Considerazioni sulla violenza, pubblicato nel 1908. Egli è lontano
dall’impegno diretto nel movimento operaio, era un intellettuale non uno che abbia fatto politica attiva. Ha posto le
basi della prassi sindacalista al centro di un'originale concezione politica e filosofica che si collegava alle vivaci
correnti del pensiero anti-positivista del primo novecento. Il faro degli intransigenti è lui. La sua è una posizione
anarco-sindacalista.
Lo sciopero generale rappresenta il momento della prassi di Marx, ovvero l’azione rivoluzionaria (sindacalismo).
Anarco perché la differenza rispetto a Marx sta in una prospettiva anarchica, lo Stato deve essere soppresso subito.
Quindi recuperare il concetto di prassi, abbandonando la negatività di Marx, cioè la dittatura del proletariato.
La lettura parla di anti-positivismo (accenno al vitalismo anti-positivista di  Henri Bergson, vissuto a cavallo tra
ottocento e novecento. In questo contesto il vitalismo di bergson coincide con una strategia anti-positivista).

Cosa vuol dire positivismo?


Vuol dire avere una fiducia addirittura dogmatica nei confronti della scienza, un indirizzo filosofico che si sviluppa
nella seconda metà dell’ottocento che si caratterizza in una fiducia molto forte nella scienza, garanzia infallibile del
progresso. 
Cosa c’entra l'antipositivismo con Soler? Cosa c’entra il socialismo con questo discorso?
C’entra perché nella II Internazionale si è affermato il revisionismo. Bernstein I presupposti del socialismo e i compiti
della socialdemocrazia. Il revisionismo nasce sulla base della reinterpretazione delle tesi di Marx. Il capitalismo subirà
una catastrofe perché il movimento operaio inevitabilmente si rivolterà contro il capitalismo, ciò non è accaduto perché
non è vero che il ceto medio è sparito, anzi si è rafforzato, e questo ha favorito una attenuazione dello scontro di classe.
E’ molto importante, perciò, dire che bisogna rivedere Marx su basi scientifiche. Quest’ultimo si riteneva un uomo di
scienza ma in ambito scientifico quando le previsioni non si realizzano si cambia strategia: questa è la mentalità della
scienza.

Perchè qua si parla di antipositivismo sulla falsariga del vitalismo di Bergson? La posizione di Soler è
antipositivista? 
E’ una posizione antipositivista perché non si accetta di impostare in termini scientifici, quindi in termini
economicistici, il discorso del socialismo, nel senso che non è una questione di economia. Se si afferma che siccome le
previsioni economiche di Marx non si sono realizzate, bisogna cambiare strategia, si fraintende il significato del
marxismo. Questo perché il marxismo non è economia, ma  una prospettiva ideale e morale. Il senso del marxismo è
l’obbligo morale che ha il proletariato di abbattere il mondo borghese. Il marxismo è una prospettiva molto più
idealistica. 
Proposizione che caratterizza la posizione di Soler: scissione del movimento operaio come obbligo morale.

Cosa dice il riformismo?


Che il movimento operaio può ricavare qualcosa di importante e significativo dal sistema borghese, siccome nel
sistema borghese, le condizioni degli operai non migliorano, ma neanche peggiorano come ha detto Marx. La teoria
economica di Marx prevede che le condizioni degli operai siano destinate a peggiorare. Nel sistema capitalistico essi
sono destinati ad impoverirsi progressivamente. Siccome la storia mostra che, invece, le condizioni degli operai
migliorano nel sistema capitalistico, allora i riformisti dicono che questa è una buona ragione per mantenerlo, quindi
non è strano che Turani assecondi Giolitti.

Ripasso: Bernstein fa tutto un discorso di scienza. Egli è un uomo di scienza, l’uomo di scienza cambia se le previsioni
sono sbagliate. Marx ha previsto la catastrofe del sistema capitalistico perché secondo lui il movimento operaio si
sarebbe progressivamente impoverito. La realtà storica mostra una cosa diversa: i salari crescono parallelamente ai
profitti, ragion per cui gli operai, anziché rivoltarsi contro il sistema capitalistico, ricercano il compromesso e
l’accettazione del sistema capitalistico. Si prende atto di questo e si accetta il capitalismo, pur volendolo riformare.
  
Quale può essere un errore ad una posizione del genere?
L’errore sta nel fatto che mettono le cose in termini scientifici ma in realtà dovrebbero essere messe in termini morali.
In questo senso antipositivismo. Creare il socialismo è una responsabilità morale. Questo è il punto fondamentale di
Soler e in questo credeva anche Lenin, protagonista della rivoluzione russa. Il movimento operaio è una classe sociale
che ha una forte responsabilità morale, ossia quella di abbattere il sistema capitalistico, un sistema ingiusto,
oppressivo.
Il  miglioramento delle condizioni di vita degli operai non è un buon argomento per accettare il sistema capitalistico.
La prassi di cui parla Marx è proprio un obbligo morale, la rivoluzione è un obbligo morale indipendentemente dai
vantaggi e dagli svantaggi materiali. Bisogna insistere sul fatto che la lotta di classe è la forza motrice della storia, cosa
detta da Marx, quindi è la premessa del progresso. La violenza deve essere quindi assolutamente accettata e
giustificata, la violenza come connaturata alla lotta di classe, perchè se insistiamo sulla necessità morale della lotta di
classe dobbiamo assumerci la responsabilità storica della violenza di classe. La prassi è lo sciopero generale che è
l’ideologia. 

(Sezione 5 del Blendspace)


Per produrre in modo certo tali risultati, il linguaggio non potrebbe bastare; bisogna fare appello a degli insiemi di
immagini capaci di evocare in blocco e per mezzo della sola intuizione, prima di ogni analisi ponderata, la massa dei
sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal socialismo contro la società
moderna.
Soler dice che la posizione riformista è completamente sbagliata, perché non vi è nessun procedimento che ci permetta
di prevedere l'avvenire in modo scientifico. 
Benedetto Croce apprezza molto questa declinazione etica del socialismo. Il riformismo è vendere la coscienza al
padrone che poi ti dà le briciole. Bisogna giudicare i miti come mezzi per agire sul presente.
Lo sciopero generale è un mito perché è il momento dell'aggregazione rivoluzionaria, della prassi, non è tanto
l'obiettivo che si realizza, l’obiettivo pratico. Perché questo tende ad essere sminuito? L’anarchico vuole una libertà
assoluta quindi non ammette alcun dover essere, un dio, un progetto di società (Il liberale riconosce il limite e la
propria libertà finisce dove comincia quella degli altri). In questo senso la rivoluzione è un mito, nel senso che ciò che
conta è la negazione del presente, non tanto la realizzazione di una società futura. Ecco perché chiama lo sciopero
generale mito. Solitamente gli anarchici vengono definiti insurrezionalisti.

Che differenza c’è tra insurrezione e rivoluzione?


Nella rivoluzione si ha un programma. L'insurrezione è un momento di semplice negazione. 
Bisogna giudicare i miti come mezzi per agire sul presente quindi l’azione. Il fascismo aveva come punto di
riferimento Mazzini, teorico dell’azione, tant’è vero che il suo si chiamava Partito d’Azione, conta più l’azione del
pensiero. La conoscenza rischia di interrompere l’azione. La politica non si fa con le analisi ma con le azioni.
Non è quindi di alcuna utilità ragionare sugli incidenti che si possono produrre nella pratica.
Perché si parla della violenza nel mondo socialista? Engels, amico e collaboratore di Marx, nel 1895, ripubblica il
libro Sulle lotte di classe in Francia. C’è stata l’esperienza della Comune Parigina nel 1871, prima forma concreta di
dittatura del proletariato. La Comune Parigina si è risolta in un bagno di sangue, questa è la dimostrazione che la
violenza non paga. Noi dobbiamo puntare alla dittatura del proletariato attraverso la democrazia borghese: questa è la
II Internazionale, nella quale, per iniziativa dello stesso Engels, la dittatura del proletariato coincide con la democrazia
borghese, attraverso la quale ci si arriva per vie legali. La violenza deve essere messa al bando, perché non ci sono più
le condizioni, ormai gli Stati sono diventati fortissimi, quindi uno scontro frontale con lo Stato non è ammissibile.
Soler insiste sulla violenza come metodo di lotta, la lotta di classe deve rimanere la forza motrice della storia. Quindi
quando parliamo di corrente intransigente dei socialisti ci riferiamo a questo orizzonte. Il leader della corrente
intransigente è Arturo Labriola, molto distante da Turati. Nel frattempo nasce la CGIL. Il leader è Maurizio Landini. Il
CGIL, è un sindacato, fondato nel 1906. E’ una CGIL perché all’estremo opposto degli intransigenti ci sono i
riformisti, ancora più riformisti di Turati. 

Lezione IV
 Riassunto della lezione precedente:
Anarco-sindacalismo: recupero della prassi di Marx → sciopero generale
Riformismo: ha perso di vista la prassi, ossia vuole rinunciare alla rivoluzione
Opinione dei massimalisti: non si può assolutamente derogare al programma massimo, non bisogna essere disposti a
fare compromessi con il sistema capitalistico. 
Turati deve fronteggiare questa opposizione interna fortissima, la quale ritiene che lui si stia vendendo a Giolitti.
Il socialismo deve recuperare la sua vocazione rivoluzionaria, la prassi rivoluzionaria. Lo sciopero generale è il
momento della prassi. Indubbiamente, fu un successo politico il primo sciopero generale del 1904 come conseguenza
dell’eccidio di Buggerru. All’interno del partito socialista, però, c’è l’anima riformista. 

Dal paragrafo “Le divisioni fra i riformisti”


I riformisti riassunsero il controllo del partito, ma conobbero nel contempo le prime serie divisioni interne. In questi
anni si andò infatti delineando una tendenza revisionista che faceva capo a Leonida Bissolati e a Ivanoe Bonomi.
Si può parlare di un riformismo “alla Turati” e di un riformismo ancora più radicale, ossia quello di Bissolati e
Bonomi, i quali si ispirano a Bernstein, che ha l’esperienza del laburismo inglese.
Il laburismo prende il nome dal labour party, cioè dal partito laburista (socialista) inglese, che esiste tuttora. Il
riformismo di Bernstein trova la sua realizzazione più evidente nel programma dei laburisti inglesi. Questo partito, nel
‘900 è avversario del partito conservatore, i Tories (prima del 900 si parla di opposizione tra Tories e Whigs). Il
laburismo inglese è la realizzazione delle aspettative di Bernstein: gli operai vogliono mantenere il capitalismo e i
socialisti accettano. Il laburismo inglese va ricollegato alle trade unions, cioè i sindacati inglesi. Il sindacato cerca di
migliorare le condizioni di vita dei lavoratori→secondo le aspettative del riformismo, ciò dovrebbe avvenire
all’interno del sistema capitalistico, senza auspicarne la fine.
Ivanoe Bonomi scrive un libro importante, intitolato “Le nuove vie del socialismo” (1907). La nuova via del socialismo
è proprio il laburismo inglese, che viene contrapposto alla socialdemocrazia tedesca.
 Socialdemocrazia tedesca: prevede che il partito deve guidare le masse (partito paternalista)
 Laburismo inglese: il partito prende atto di ciò che vogliono le masse. Se le masse operaie accettano il
capitalismo, quindi puntano più sulla linea sindacale che su quella politica, il partito ne prende atto. Se gli
operai vogliono la rivendicazione sindacale, ossia lottare per migliorare le condizioni di vita all’interno del
capitalismo, il partito ne prende atto. Qui è chiara l’importanza dei sindacati → nascita della CGIL
o Linea politica: rottura violenta con il capitalismo
o Linea sindacale:collaborazione con il capitalismo

Turati cerca di mantenere l’integrità del partito: una cosa molto difficile, considerate le profonde divisioni presenti al
suo interno. E’ più vicino al punto di vista dei revisionisti che al punto di vista degli intransigenti. Però, lui si sforza di
mantenere l’integrità del partito e, al contempo, di dialogare con Giolitti.
I riformisti vengono cacciati dal partito dopo l’impresa di Libia. 
Conoscenze pregresse: La guerra italo-turca (nota in italiano anche come guerra di Libia, impresa di Libia o
campagna di Libia) fu combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre
1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica.
Anche l’Italia ha tentato la sua vittoria imperialista, anche se Lenin dice che si trattava dell’imperialismo degli
straccioni. Dogali al tempo di Depretis, Adua al tempo di Crispi, l’Africa (Etiopia, Eritrea) e, con Giolitti, la Libia.

Il partito socialista è completamente contrario. A questo punto, i rapporti tra Giolitti e Turati sono completamente
rovinati, perché Turati giudica l’impresa libica come un'impresa criminale.
Bissolati e Bonomi non sono contrari all’impresa libica e, per questo motivo, vengono cacciati nel Congresso di
Reggio Emilia del 1912, con la cacciata dei riformisti. In seguito a ciò, i riformisti rimasti nel Psi furono ridotti
nuovamente in minoranza e la guida del partito tornò nelle mani degli intransigenti, tra i quali venne emergendo la
figura di un giovane agitatore romagnolo che si era distinto nelle manifestazioni contro la guerra libica ed era stato tra i
protagonisti del Congresso di Reggio Emilia: Benito Mussolini. Lui era direttore del quotidiano del partito “l’avanti” e
in origine era un anarco-sindacalista. Politicamente nasce come un rivoluzionario, un intransigente.

Michels, nel 1907, lascia la Germania e il partito socialdemocratico tedesco. Michels è molto attento all’Italia, gli
piace molto questo Paese e gli piace molto la politica italiana. Lui prova interesse per il partito socialista italiano
proprio perché mostra delle posizioni più intransigenti. Nel 1907, la corrente intransigente, guidata da Arturo
Labriola, decide di lasciare il partito→Congresso di Ferrara del 1907. Dopo la cacciata dei riformisti del 1912, una
componente intransigente, sotto la guida di Mussolini, si riforma e diventa maggioritaria all’interno del partito.
Michels, nel 1907, è deluso dalla decisione presa dagli intransigenti di lasciare il partito, perché lui spera che gli
intransigenti diventino egemonici all’interno del partito socialista. Allora, decide di abbandonare la politica attiva, si
dedica prevalentemente agli studi e lavora molto alla produzione di quel libro fondamentale, pubblicato nel 1911,
chiamato “Sociologia del partito politico”.
Mussolini verrà a sua volta espulso dal partito socialista con lo scoppio della prima guerra mondiale, perché lui si
dichiara favorevole all’intervento, mentre l’italia inizialmente assume una posizione neutralista e, infatti, entra in
guerra un anno dopo, nel 1915. Mussolini, cacciato dal partito socialista, fonda i Fasci di Combattimento del 1919, che
rappresenta il primo nucleo di quello che poi diventerà il partito nazionale fascista, fondato nel 1921.
I fasci di combattimento hanno un programma rivoluzionario, intransigente: ecco perché è improprio dire che Michels
si orientò verso posizioni più conservatrici. Michels, vede nel fascismo un movimento rivoluzionario,
l’intrasigentismo. D’altra parte, Mussolini è un rivoluzionario, un intransigente che, dopo essere stato cacciato dal
partito socialista perché interventista, fonda i fasci di combattimento. Il Programma di San Sepolcro, il programma dei
fasci di combattimento, è rivoluzionario. Il fascismo fu, alle origini, rivoluzionario. Poi divenne regime una volta che
andò al potere.

Giovanni Sartori è stato un politologo, sociologo e accademico italiano. È considerato uno dei massimi esperti di
scienze politiche a livello internazionale e il più importante scienziato politico italiano. In Italia si deve a lui la nascita
della scienza politica come disciplina accademica. Grande firma del corriere della sera. 
Sartori crede nella teoria competitiva della democrazia, la posizione di Joseph Schumpeter. Sartori scrive un libro
intitolato “Democrazia cosa è?”. Probabilmente, la teoria competitiva della democrazia è l’unica risposta possibile ai
grandi problemi evidenziati da Michels. Michels ha il pregio di rimandarci alla famosa questione che la democrazia è
molto precaria, al fatto che è sia cura che piaga. 
Schumpeter: storiografia dell’imperialismo. L’imperialismo viene considerato da alcuni come conseguenza del
capitalismo. Schumpeter, invece, grande autore liberale (e dunque grande fautore della democrazia liberale), dice il
contrario, cioè che il capitalismo supererà l’imperialismo. La teoria competitiva della democrazia è, dunque, il rilancio
dell'idea di democrazia liberale. 
Lezione V
Ripresa del testo di Sartori che parla di Schumpeter:
Il libro di Schumpeter a cui Sartori fa riferimento è “Capitalismo, socialismo e democrazia”, pubblicato nel 1942. È
una sorta di manifesto della democrazia liberale. Schumpeter è un grande autore liberale, in una fase storica in cui il
liberalismo non se la passa bene: siamo in guerra e lo scenario è dominato dai totalitarismi (regimi fortemente
illiberali), e dalle democrazie, che presentano in questa fase storica una vocazione molto statalista. Schumpeter in
questo libro vuole rilanciare le ragioni del liberalismo.
La teoria competitiva della democrazia rappresenta una giustificazione della democrazia liberale . Si usa la parola
competitiva, perché si descrive la democrazia prendendo come punto di riferimento l’economia: la teoria competitiva
della democrazia è una teoria economica della democrazia. La democrazia, quindi in questo caso la politica, viene
interpretata con le categorie dell’economia classica, che poi diventano i postulati della democrazia.
Quando parliamo di economia classica ci riferiamo alla scienza economica fondata da Adam Smith (la scienza
economica nasce nel 1776, quando Smith pubblica il suo libro sulla ricchezza delle nazioni).  
Le categorie dell’economia classica sono:
 L’interesse individuale
 Il comportamento razionale (efficiente, pragmatica)

Quindi, il singolo persegue il proprio interesse e attua delle strategie di tipo razionale. Trova dei mezzi che siano
idonei al raggiungimento di un fine. Questo è anche il modo di descrivere la democrazia. 
Al contrario di Aristotele, Schumpeter dice che la politica non è il perseguimento del bene comune. La classe politica
persegue il suo interesse, il bene comune è un sottoprodotto incidentale del perseguimento dell’interesse individuale.

La teoria competitiva della democrazia


“In linea di principio, la democrazia - la democrazia liberale - è da definire come un sistema politico fondato sul potere
popolare, nel senso che la titolarità del potere appartiene al demos mentre l'esercizio del potere è affidato a
rappresentanti periodicamente eletti dal popolo.”

La titolarità e l’esercizio
Art. 1: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione. 

Questo significa che il potere appartiene al popolo, che però lo esercita attraverso la forma della democrazia
rappresentativa: non lo esercita direttamente. In realtà, parliamo ancora di appartenenza della sovranità al popolo e di
esercizio della sovranità da parte del popolo. Il fatto che si usino queste parole, è anche dimostrativo del fatto che la
costituzione è stata scritta molto da forze non liberali. Altri costituenti avrebbero preferito una diversa formulazione:
alcuni insistevano affinché si dicesse che “la sovranità emana dal popolo”, proprio per indicare che il popolo non
esercita la sovranità. Il popolo è titolare della sovranità, ma non la esercita (è esercitata da coloro che sono scelti dal
popolo). Questo è lo scandalo di Rousseau: il popolo non è sovrano perché non esercita la sovranità. 

“Il meccanismo che più serve è la competizione, non l'elezione. Nella teoria 'classica' della democrazia - argomenta
Schumpeter - la selezione del rappresentante risulta "secondaria rispetto allo scopo primario di investire l'elettorato
del potere di decidere le questioni politiche"; ma la realtà è che questo potere è "secondario rispetto all'elezione delle
persone che andranno poi a decidere".”
Nonostante democrazia significhi “potere del demos”, quindi del popolo. In realtà il potere viene esercitato da coloro i
quali rappresentano il popolo, non dal popolo. Il popolo ha la titolarità della sovranità, ma non l’esercizio.

Come funziona la democrazia?


I cittadini pensano ai loro interessi (quando scelgono i propri rappresentanti). La domanda dei cittadini arriva
attraverso la mediazione dei partiti. La domanda poi viene raccolta dai rappresentati, coloro che esercitano
effettivamente la sovranità. I rappresentanti (la classe politica) pensano a loro volta ai propri interessi e, facendo ciò,
finiscono per intercettare gli interessi dei cittadini. Il partito politico è quindi un catalizzatore della domanda: il partito
è il mediatore tra i cittadini e i rappresentanti.

Qual è la funzione del popolo quando è titolare della sovranità?


Di fungere da arbitro quando ci sono le elezioni. Il sistema partitico non è dunque necessariamente un sistema
degenerativo (come invece dice Michels): attraverso i partiti arriva la domanda dal basso, i partiti competono, tentando
di intercettare questa domanda, e a decidere di questa competizione è il popolo. I partiti non sono di per sé esposti alla
degenerazione oligarchica, ma posso esserlo.

Quando si manifesta la degenerazione oligarchica dei partiti (partitocrazia)?


Quando il rapporto domanda-offerta cessa di essere un rapporto tra classe politica e cittadini, ma diventa un rapporto
interno ai partiti.
Basta pensare alla storia di Italia della prima repubblica: la prima repubblica è stata travolta da un’ondata giudiziaria,
probabilmente perché  i partiti hanno preso questa deriva partitocratica (si sono trasformati in un’oligarchia molto
staccata dai cittadini). Allora i partiti assumono le caratteristiche di una classe oligarchica, autoreferenziale. Si
allontanano dal popolo, ma questo non è un problema strutturale dei partiti, è una caratteristica che la democrazia può
assumere quando non si rispettano determinate condizioni.

La democrazia è il potere delle regole, la risoluzione pacifica dei conflitti. È il sistema di pesi e contrappesi (Popper),
che impedisce al potere di degenerare. Una di queste regole è il principio di alternanza (altrimenti si trasforma in
oligarchia autoreferenziale).

Il problema della rappresentanza:


1)il suffragio, che può essere:
 universale: si rappresentano bisogni
 ristretto: si rappresentano interessi (l’esercizio del diritto di voto è subordinato all’esercizio del diritto di
proprietà: non può votare chi non paga una certa imposta. La logica è quella di rappresentare gli interessi dei
proprietari) e competenze (vota chi sa leggere e scrivere), non bisogni.

2) il mandato, che può essere:


 mandato generale (senza vincolo di mandato): tipico della democrazia rappresentativa. 
Art.67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza  vincolo di mandato”
 mandato imperativo: controllo di tipo vincolante. Lo troviamo:
o nell’antico regime: ineguaglianza sul piano giuridico, il rappresentante esprime gli interessi particolari.
Ad es. il rappresentante della nobiltà rappresenta gli interessi della nobiltà, quello del clero gli
interessi del clero e quello del terzo Stato gli interessi del terzo Stato;
o nella democrazia diretta: sei sottoposto al controllo diretto del popolo che ti può deporre quando vuole.

3) il sistema elettorale, che può essere: 


 maggioritario: chi vince prende tutto. Il sistema maggioritario è generalmente un sistema uninominale, cioè dal
collegio ne viene eletto 1, colui che ha avuto più voti: il numero di rappresentanti corrisponde al numero di
collegi. Può essere anche secco (negli Stati Uniti ed in Inghilterra): chi prende più voti vince; o prevedere il
ballottaggio: a doppio turno (in Francia): i due che prendono più voti, si confrontano al ballottaggio. In Italia
un sistema del genere è previsto per l’elezione dei sindaci.
Positività: semplifica, tende a produrre due poli (bipolarismo) nel sistema inglese o due partiti (bipartitismo)
nel sistema americano. È più adatto ad una democrazia dell’alternanza. Al tempo della seconda repubblica,
quando avevamo un sistema maggioritario, avevamo alternanza. Negatività: talvolta chi prende più voti perde.
Trump ha vinto prendendo meno voti della Clinton.
 proporzionale: i seggi sono attribuiti in proporzione ai voti. Si parla liste: la lista del candidato nº1 ha preso il
5% di voti, allora avrà il 5% dei seggi; la lista del candidato nº2 ha preso il 10% di voti, allora avrà il 10% dei
seggi. Positività: è più democratico, riflette precisamente quello che gli elettori vogliono. Negatività:
frammenta e la frammentazione favorisce le tendenze oligarchiche.
 misto: noi abbiamo un sistema proporzionale con recupero maggioritario→ vorrebbero conciliare i primi due.

Nei grandi sistemi liberali (come quello americano, inglese) abbiamo una democrazia dell’alternanza fondata su un
tipo di sistema maggioritario. In un’ottica di una democrazia competitiva, è meglio quello maggioritario. Non può
andare d’accordo con un sistema proporzionale, perché una democrazia competitiva è una democrazia dell’alternanza,
cioè procedurale, in cui è molto importante salvaguardare le regole democratiche da possibili degenerazioni
oligarchiche. Questa salvaguardia avviene in primis con l’alternanza: se non c’è alternanza, non c’è competizione.
Lezione VI
Gli articoli 75 e 138 sono quelli che disciplinano l’esercizio del referendum, una forma di democrazia diretta prevista
dal nostro ordinamento istituzionale. Il nostro, essendo un sistema rappresentativo, dà spazio alla possibilità di una
democrazia diretta, per questo il referendum è sottoposto a delle limitazioni consistenti. 
Il referendum è abrogativo, serve solo per abrogare delle leggi, a norma dell’articolo 75. Questo vuol dire già limitare
l’esercizio della democrazia diretta.
Deve essere richiesto da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali, tuttavia si deve pronunciare anche la
Corte Costituzionale. Se vi sono 1000.000 di firme, è più difficile che questa si metta di traverso, se invece sono
500.001, ovviamente la Corte Costituzionale potrebbe essere tentata di non farlo passare. La Corte Costituzionale, è
l'organo che deve pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi, quindi se le leggi siano coerenti con la Costituzione.
Questo viene garantito innanzitutto dal Presidente della Repubblica, che le promulga o meno in base alla loro
costituzionalità, poi c’è la Corte Costituzionale. 
Su certe cose, inoltre, non è ammesso il referendum. Per esempio nelle leggi tributarie di bilancio, di amnistia, di
indulto e di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. Quindi tutto ciò che riguarda il bilancio delle tasse e la
legge finanziaria non può essere sottoposto a referendum; né amnistie, quindi cancellare reato e pena;   né indulto,
quindi può annullare o, più spesso, ridurre la pena, ma il reato rimane. Nè è possibile l’autorizzazione a ratificare i
trattati internazionali. Un esempio è la questione dell’euro. Sull’euro si può fare un referendum di tipo consultivo,
perché il referendum abrogativo non è possibile trattandosi di un trattato internazionale.

La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e
se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
Questa è la questione del quorum: se non partecipa la maggioranza degli aventi diritto al voto il referendum non è
valido. Se si è contrari al referendum non va a votare in modo tale da impedire il raggiungimento del quorum. 
Nell’articolo 138 anche le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali prevedono il referendum.
Ad esempio quello sulla riduzione dei parlamentari. Questa è una legge di riforma costituzionale. 
Si può cambiare la costituzione. La nostra costituzione non è come lo statuto albertino, è rigida e per modificarla ci
vogliono delle procedure speciali. L’Articolo 138 regola questa disciplina. Esso afferma che le leggi di revisione della
Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad
intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella
seconda votazione. Però, anche se approvate dalla maggioranza assoluta, possono essere oggetto di referendum. Si
parlerebbe in questo caso di referendum confermativo. 
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano
domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge
sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. In questo caso non si
parla di quorum ma di maggioranza dei voti validi e comunque non si fa luogo a referendum se la legge è stata
approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti. E’ quindi
a maggioranza qualificata se si raggiunge un consenso così vasto tra i nostri rappresentanti, quindi tale per cui abbiamo
una maggioranza qualificata di due terzi il referendum non si fa. Questo per limitare evidentemente l’esercizio della
democrazia diretta. 
Quindi il nostro è un sistema rappresentativo, l’articolo 67 e l’articolo 1 lo dimostrano con molto chiarezza che entro
in limiti comunque ristretti apre le porte alla democrazia diretta. Gli articoli che disciplinano il referendum sono
l’articolo 75 e l’articolo 138, dove si parla del referendum in relazione alle leggi di revisione della costituzione. 

L’ultimo spunto riguarda i partiti politici. Nel testo del politologo Gianfranco Pasquino, si tenta di rispondere alla
domanda sui partiti politici mettendo in evidenza cinque punti fondamentali:
1. Come nascono i partiti politici? 
a) approccio storico: 
1. Inghilterra fine '600: Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione 1688-1689 che si conclude con la cacciata
di Giacomo II, la cacciata definitiva degli Stuart in Inghilterra. Alcuni ritengono che questo sia l’atto fondativo
dello Stato liberale, e che la storia dei partiti comincerebbe in questo contesto. Due partiti, quello dei Wings e
dei Tories, liberali e conservatori, sono i gruppi che esistono in parlamento. I Tories sono i partigiani del Re e i
Wings gli avversari del re.
2. Riforma elettorale inglese del 1832: Nel 1832 abbiamo l’evoluzione dal sistema costituzionale al sistema
parlamentare in Inghilterra, che prevede la centralità del parlamento. I partiti cominciano ad esistere con
l’estensione del suffragio e con delle organizzazioni esterne al parlamento che condizionano dall’esterno il
parlamento e rappresentano interessi di classe. Il 1832 rappresenta, da un certo punto di vista, l'ingresso della
borghesia sulla scena politica, perché la legge elettorale precedente alla riforma del 1832 sotto rappresentava le
città, era la legge dei borghi putridi, piccoli borghi di campagna erano più rappresentati di grandi città
industriali. Quindi la riforma del 1832 è espressione del desiderio di partecipazione della borghesia emergente,
e quindi della borghesia industriale, una classe egemonica che ormai deve avere una rappresentanza politica
adeguata. Quindi secondo alcuni i partiti nascono in questo contesto perché i liberali rappresentano la nuova
borghesia emergente mentre i conservatori rappresentano i proprietari terrieri, partiti nel vero senso del
termine.  
3. Il 1848 e la nascita dei partiti di massa (extraparlamentari): Il 1848 rappresenta l’ingresso del
movimento operaio. Si parla del ‘48 francese, quindi la Repubblica di Febbraio in Francia, la Seconda
Repubblica 1848, una repubblica socialista. E’ come se il movimento operaio avesse fatto il suo ingresso nella
storia, quindi in un certo senso è il delinearsi di questa evoluzione importante che è la nascita dei partiti di
massa, che rappresentano le grandi masse, operaie nel caso dei partiti socialisti, e contadini nel caso dei partiti
di ispirazione cristiano-sociale. 
Perchè sono partiti extraparlamentari? Perchè sono costretti a stare al di fuori del parlamento, in quanto il
suffragio è ancora ristretto, le masse popolari non votano.
4. Il Novecento e la nascita dei partiti anti parlamentari: Con il Novecento arrivano, invece, i partiti anti
parlamentari, contrari al parlamento. Ne sono un esempio il partito comunista e il partito fascista. Non credono
al parlamento e lo contestano, entrambi per ragioni diverse. I comunisti perché credono nella Democrazia
diretta, autentica, non falsa come quella rappresentativa. Il comunista  accetta di stare all’interno del
Parlamento, lotta dentro il parlamento. Ad esempio, in Italia con il Delitto Matteotti, e la secessione
dell'Aventino, tutti i gruppi abbandonano il Parlamento ma il partito comunista rimane.   
Comunismo→ Dittatura del proletariato → Comune Parigina → Democrazia diretta
I fascisti non credono nel parlamento perché non credono nella Democrazia. I fascisti si scontrano
materialmente con il parlamento, addirittura lo bruciano, incendio di Reichstag.

b) approccio teorico: 
fratture all'interno degli Stati-nazione: i partiti sono da ricondurre ad uno spazio politico costitutivamente
conflittuale e che è tale perché si inserisce all’interno di fratture che si creano all’interno dello Stato-nazione e
che minano l’integrità dello Stato-nazione. Ad esempio le fratture centro/periferia, Stato/Chiesa,
città/campagna e proprietari/lavoratori. 
Lo Stato-nazione è un’entità che nasce in età moderna sulle ceneri del feudalesimo. Lo stato è stato descritto
da Marx Weber come “monopolio della violenza legittima”. Questo è lo stato-nazione: la sovranità, il
monopolio della violenza legittima. Esso è una forma di anarchia politica, qualcosa che accompagna la storia
moderna dalle monarchie feudali alla rivoluzione francese, qualcosa la cui integrità è minata da queste
fratture. 
Esempio di frattura  tra città e periferia è la Spagna, la Catalogna è una periferia, hanno una cultura e una
lingua diversa e se ne vorrebbero andare. In Italia abbiamo avuto un movimento secessionista, la lega di Bossi.
Al nord producono ricchezze e si stufano dell’inefficienza del sud, è la questione settentrionale. Quando si
parla di scontro tra centro e periferia, si parla di uno scontro culturale, ma nel caso della lega la padania si
propone come una periferia economica. Una periferia economica, per quanto concerne il mantenimento
dell’integrità di uno Stato è meno pericolosa di una periferia linguistica o religiosa. Si pensi alla Jugoslavia,
uno Stato che è imploso perché cattolici, ortodossi e musulmani si sono scontrati.
Questi sono i fattori di conflitto all’interno dei quali si colloca la dialettica dei partiti. Ad esempio il partito
tipico di centro è un partito che rappresenta i diritti del centro dello Stato, della città e dei proprietari. I partiti
di opposizione rappresentano gli altri interessi. Generalmente i partiti di centro sono quello liberale, quello
conservatore o quello socialdemocratico. In Italia nella prima repubblica il partito di centro è la DC. 
2)Cosa sono Partiti?
I partiti sono delle organizzazioni che hanno la funzione di modificare la distribuzione del potere e la struttura
di classe. Presentano due tipologie fondamentali:
Partiti di quadri (tipologia Partito di notabili – tipologia Partito marxista-leninista): sono partiti di carattere
elitario, governati da minoranze. Due cose diverse sono il partito di notabili e il partito marxista-leninista, che
sono partiti di quadri diversi. Quando parliamo di partito di notabili, parliamo di partiti che precedono
l’evoluzione democratica, che caratterizzano i sistemi a suffragio ristretto. Il partito marxista-leninista è
guidato da un’avanguardia rivoluzionaria. Il partito marxistaleninista, partito della Rivoluzione russa voluto da
Lenin, è polemico nei confronti della logica della II Internazionale.
Partiti di massa: organizzazioni molto, forti, presenti sul territorio. 
3) Cosa fanno i partiti?
I partiti sono strutture organizzative che possono presentare un’organizzazione, partiti di quadri o partiti di
massa. La loro funzione è quella di modificare la distribuzione del potere e la struttura di classe. Sono una
componente fondamentale della Democrazia, perché sono espressione del pluralismo. I partiti offrono
alternative per gli elettori. Attraverso i partiti si ha la partecipazione politica. Altra funzione dei partiti è quella
di reclutare il personale politico in base a determinati criteri. 
4) Come cambiano?
Cambiano nel senso che subiscono una trasformazione per effetto dei mezzi di comunicazione di massa.
Cambiano perché entrano in crisi i partiti di massa che lasciano il posto ai partiti di vocazione liberista. Per
inquadrare questa evoluzione dei partiti bisogna considerare Economia e società di Weber. Egli dice che lo
Stato è il monopolio della forza legittima, ma si chiede anche cosa giustifica il potere legittimo. Se lo Stato è il
potere legittimo cos’è che rende legittimo il potere? Il carisma, la legge e la proprietà. Il carisma e la
proprietà storicamente si associano al Medioevo, invece la legge allo Stato moderno, un ente fondato su
l'impersonalità della legge. Agli inizi dell’età moderna, governano il carisma e la proprietà. Quindi è come se,
per effetto dei partiti di massa si ritornasse ad una logica medievale, una democrazia di tipo liberistico. Questa
è una delle possibili chiavi di lettura del populismo. Un leader, un personaggio carismatico che sa sfruttare i
mezzi di comunicazione di massa facendo del partito una sorte di proprietà personale, ritornando così alle
categorie medievali. La politica cessa di essere impersonale, connotazione che ha assunto con l'affermazione
dello stato moderno. Questo vuol dire crisi dei partiti di massa. Questo è lo scenario del berlusconismo:
Berlusconi scende in campo nel 1994, sfruttando le televisioni e il partito di forza Italia è praticamente di sua
proprietà. Nel 1960 ci sono le elezioni americane, c’è lo scontro tra repubblicani e democratici. Kennedy era
un democratico, Nixon, il favorito, era reupubblicano. Vince Kennedy perché dimostra di saper utilizzare
meglio la televisione. 
5) Esistono alternative ai partiti? No.
Lezione VII
 Qual è la tesi generale dell’editoriale?
La stabilità della democrazia non dipende dal sistema elettorale, quanto dall’assetto istituzionale, cioè sono le riforme
istituzionali quelle di cui il nostro Paese avrebbe bisogno. 
 Perché s’intitola “La solita memoria corta”?
Perché ci si dimentica della nostra storia. Parliamo sia della prima repubblica che della seconda repubblica. La nostra
storia dimostra che, poi, la legge elettorale di per sé non influisce sulla stabilità della democrazia. La storia italiana del
secondo dopoguerra non si è caratterizzata da una grande stabilità politica, nel senso che si sono succeduti tanti
presidenti del consiglio. Il limite del nostro ordinamento è che gli esecutivi rimangono in carica troppo poco. Questo
da un lato è un bene, in quanto è tutelata la sovranità parlamentare. Il governo è espressione della fiducia del
parlamento. Non è come negli USA, in cui il capo dell’esecutivo è il risultato di un’elezione popolare. In italia non
eleggiamo il premier, ma i parlamentari. Quindi, da un certo punto di vista, è espressione della volontà parlamentare.
Tuttavia, è un fattore che crea instabilità, in quanto la persona in carica non ha neanche il tempo di prendere decisioni
impopolari ma che giovano al Paese. Il problema, dunque, è questo: abbiamo un ordinamento istituzionale
caratterizzato da esecutivi troppo deboli e ciò non apporta grande stabilità. 
 Da cosa dipende la stabilità della democrazia?
Essa dipende da tre cose:
1. Radicamento sociale dei partiti: quando un partito si rivolge anche a gruppi sociali determinati. I partiti
esprimono gli interessi di classe. I partiti hanno un forte radicamento sociale quando sono partiti di massa. I
partiti di massa hanno una struttura pesante, una presenza nel territorio e, tuttavia, la crisi dei partiti di massa è
una cosa diffusa. I mezzi di comunicazione di massa, infatti, trasformano il linguaggio della politica mettendo
in crisi i partiti di massa e, di conseguenza, anche il radicamento sociale dei partiti. Quando si parla di
populismo, si intende quando il popolo segue un leader carismatico, che si rivolge direttamente al popolo e si
pone come sua espressione diretta. Il popolo viene visto come una unità, tant’è vero che si parla più di plebe
che di classi: non si parla mai di classi sociali, ma solo del popolo nella sua unità. Dunque, c’è un leader che
interpreta direttamente quelli che sono i bisogni del popolo, che si propone come una figura simile al popolo. Il
nemico è chi infrange l’integrità del popolo (immigrati, poteri forti, intellettuali) e il populista, avendo un
rapporto diretto con il popolo non ama le mediazioni, ossia l’autorità dei corpi intermedi, che sono una
componente importante della democrazia rappresentativa. 
Perché la democrazia tende ad evolvere verso il populismo? Il populismo è una caratteristica abbastanza
diffusa nella politica odierna, non solo per i mezzi di comunicazione di massa, grazie ai quali la democrazia
tende ad assumere una componente più liberistica del passato. Questa è una caratteristica strutturale, che
appartiene a tutte le democrazie moderne. Un’altra causa è anche la crisi economica, soprattutto se
accompagnata da politiche rigide di austerità, quindi il malcontento popolare. Il populismo è, dunque,
l’espressione del cambiamento del linguaggio della politica, indotto dai mezzi di comunicazione di massa. 
Il venir meno del radicamento sociale dei partiti è, indubbiamente, un fattore di instabilità. Il populismo è il
superamento del radicamento sociale dei partiti, in quanto il leader, che reputa il partito come suo possesso
personale, si rivolge non a classi sociali determinate, ma al popolo nella sua unità. Ciò crea instabilità
all’interno della democrazia. 
2. Radicalizzazione degli elettorati: essa è una conseguenza della crisi economica, dunque è un fattore
contingente. Noi abbiamo avuto una grave crisi economica nel 2008. Questo ha indubbiamente contribuito alla
radicalizzazione degli elettorati anche alla deriva …?. Per radicalizzazione degli elettorati vuol dire che si
tende a crearsi un bipolarismo centrifugo, ossia una sorta di fuga dal centro. La de-radicalizzazione, invece, è
il movimento inverso, ossia il bipolarismo tende ad assumere una connotazione centripeta, ossia tende a
confluire verso il centro. Ad esempio, negli ultimi anni in Italia abbiamo avuto un sistema caratterizzato dalla
presenza di due forze antisistema: la Lega e i 5 stelle → bipolarismo centripeto. Indubbiamente, la
radicalizzazione degli elettorati crea instabilità.
3. Assetto istituzionale complessivo: per quanto riguarda il nostro Paese, il punto decisivo è questo. In paesi
come Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, la crisi economica favorisce, indubbiamente, una radicalizzazione
dello scontro sociale, che quindi si riflette anche a livello di scontro politico, però, nel momento in cui questa
contingenza viene meno, ci si può aspettare una stabilizzazione, perché il sistema istituzionale tende, per sua
natura, a produrre stabilità, cosa che invece in Italia non c’è. Secondo Panebianco, la democrazia italiana non
funziona tanto bene, perché è più instabile tendenzialmente delle altre. Se, infatti, noi consideriamo i tre fattori
della instabilità (ossia la tendenza al populismo, la tendenza alla radicalizzazione dello scontro sociale e la
componente istituzionale), il nostro paese presenta questa peculiarità rispetto alle altre democrazie: presenta un
assetto istituzionale strutturalmente instabile. Dunque, l’aspetto istituzionale è quello che a noi riguarda più da
vicino. Infatti, dice che il nostro assetto istituzionale è costituito in modo da garantire che in nessun caso
l’Italia possa essere una vera democrazia governante. La democrazia italiana è instabile indipendentemente da
fattori extra politici (negli USA, invece, Trump fu la conseguenza degli effetti prodotti dalla globalizzazione
→ fattore extra politico), bensì è una instabilità strutturale, legata all’assetto istituzionale del nostro Paese,
perché  la nostra costituzione è nata nel dopoguerra, c’è stata l’elezione dell’assemblea costituente (1946) e nel
1° Gennaio del 1948 è entrata in vigore. Nel dopoguerra,cioè dopo il periodo fascista e quindi, in qualche
modo, si porta appresso le conseguenze di quel periodo. Il fatto che venga contro il fascismo dà conto di quelli
che sono i limiti della nostra Costituzione, cioè vi è un regime assembleare con governi istituzionalmente
deboli, cioè c’è un forte sbilanciamento dalla parte del legislativo, con esecutivi troppo deboli. E’ normale che
i costituenti abbiano scritto una Costituzione del genere, in cui non c’è molto equilibrio tra poteri (equilibrio
tra poteri = esecutivo e legislativo hanno la stessa rilevanza, come avviene negli USA), in quanto il fascismo,
essendo una forma di bonapartismo, aveva avvilito il parlamento. Il bonapartismo rappresenta lo strapotere del
potere esecutivo e l’umiliazione di quello legislativo. Napoleone, in Francia, mantiene il parlamento, il quale
tuttavia non aveva più alcun potere decisionale. Il potere era tutto nelle mani del console. Quando Napoleone
fa il colpo di stato nel 18 Brumaio del 1799 istituisce il consolato, cioè crea un sistema a forte predominanza
del potere esecutivo, quindi a forte sbilanciamento. Il fascismo utilizza questo modello istituzionale, quindi la
costituzione, antifascista, fa il ragionamento opposto, dando molto potere al parlamento e ridimensionando il
potere esecutivo (logica asimmetrica). Questo, però, non depone a favore della stabilità del sistema. Quindi i
costituenti crearono contrappesi, ma si dimenticarono dei pesi. I contrappesi sono tutte quelle cose che
arginano la degenerazione del potere. 

Quando Panebianco parla di un partito dominante reso inamovibile dalla Guerra Fredda, si riferisce alla Democrazia
Cristiana. Questa è la storia della Prima Repubblica (48-93). Una repubblica caratterizzata dal partito democratico
cristiano, ma anche di un fortissimo partito comunista, il più forte di occidente, che non poteva governare, essendo un
partito comunista, e quindi c’è stata la conventio ad excludendum. Quindi c’è stata l’egemonia del DC, l'alleanza con le
altre forze filo-occidentali e l'esclusione del partito comunista. Quindi, la stabilità della prima repubblica ha coinciso
con questo scenario. 
Nel frattempo il sistema sovietico si è dissolto, il muro di Berlino è crollato (1989) e nel 93 l’Italia ha avuto una
riforma della legge elettorale, che prende il nome da Mattarella, colui che l’ha scritta. Quindi abbiamo avuto il
passaggio da un sistema proporzionale ad uno misto, ossia maggioritario al 75% con una correzione proporzionale del
25%. Questo ha rappresentato il passaggio dalla prima repubblica alla seconda, quindi il passaggio da un sistema
centrista ad egemonia democristiana ad un sistema bipolare, dove, per diversi anni, si sono alternati il centrodestra
(Berlusconi) e il centrosinistra (Prodi). A questo punto ci sono le condizioni dell’alternanza, perché è caduto il muro di
Berlino, il PC ha cambiato nome (inizialmente Partito Democratico di Sinistra, poi democratici di sinistra, poi partito
democratico). Quindi si è creato un cambiamento di sistema.
La prima repubblica, però, da un altro punto di vista, è stata caratterizzata anche da una grande instabilità politica,
proprio perché tanti governi deboli e brevi si sono succeduti. Non abbiamo avuto un governo forte e duraturo. 
Nella seconda repubblica (93), soprattutto a causa della fine della Guerra Fredda, le circostanze favorirono un
cambiamento in senso misto con la predominanza del maggioritario della legge elettorale. La legge Mattarella ha
creato un assetto diverso, non più centrista, ma di alternanza. Tuttavia, anche se quella legge è stata salutata con favore
da molti , tra cui anche Panebianco, anche coloro che avevano scritto questa legge non credevano che sarebbe stata
sufficiente per garantire la stabilità della democrazia. Ciò conferma la tesi iniziale, ossia che non sono le leggi
elettorali, ma sono le caratteristiche istituzionali che danno stabilità. Infatti, la seconda repubblica è stata, a sua volta,
piuttosto instabile. 
Nel 94 Berlusconi, inaspettatamente, vince le elezioni. Molti dicono che sia stato a causa delle televisioni, ma magari è
stato anche per il fatto che ha dato rappresentanza politica ai moderati. I moderati, infatti, dopo l’azzeramento dei
partiti politici (mani pulite azzera i partiti politici con una eccezione, ossia i post-comunisti, che sono l’unico partito
risparmiato dall’azione dei magistrati), si sentivano orfani di rappresentanza. [Mani pulite (comunemente nota anche
come tangentopoli) è il nome giornalistico dato a una serie di inchieste giudiziarie, condotte in Italia nella prima metà
degli anni novanta da parte di varie procure giudiziarie, che rivelarono un sistema fraudolento ovvero corrotto che
coinvolgeva in maniera collusa la politica e l'imprenditoria italiana.]
Immediatamente, però, deve lasciare il posto ad un governo tecnico, perché è alleato con la Lega di Bossi e questa
ritira la fiducia. 
Nel 96 vince Prodi e nel 98, ugualmente, Prodi deve lasciare, perché viene sfiduciato da un suo alleato, ossia la
riformazione comunista.
Al tempo della Seconda Repubblica, dunque, non abbiamo avuto un governo, con l’eccezione del governo Berlusconi
dal 2001 al 2006, che sia riuscito a completare la legislatura. Quindi, evidentemente, questa legge non ha dato stabilità,
perché la debolezza dell’esecutivo ha continuato a manifestarsi e dipende dalle caratteristiche della Costituzione.
Infatti, Panebianco dice che si sperava che la legge mattarella fosse solo il primo passo e che si arrivasse a cambiare la
Costituzione, quindi a trasformare il regime assembleare, cioè con una netta predominanza dell’assemblea
(parlamento), in una democrazia governante. 
Il referendum costituzionale del 2016 indetto da Renzi fu un tentativo di riscrivere la carta costituzionale, dando più
risalto al potere esecutivo e superando alcune caratteristiche tipiche del nostro sistema assembleare. Per esempio, il
nostro è un sistema di bicameralismo perfetto, dove camera e senato hanno la stessa funzione. Invece, il sistema
bicamerale dovrebbe avere una giustificazione. Il congresso americano ha due camere: al senato ogni stato manda due
senatori, indipendentemente dalla sua consistenza numerica, per garantire la rappresentanza degli stati minori; nella
camera bassa, dei rappresentanti, il numero dei rappresentanti è proporzionale a quello degli abitanti. Nello Statuto
Albertino abbiamo una camera bassa, la camera dei deputati, che è elettiva, mentre il senato è di nomina regia. Perché,
quando nasce lo Statuto Albertino, uno stato assoluto si trasforma in uno stato costituzionale, ma il potere del re è
ancora forte e, quindi, la presenza delle due camere deve garantire l’incidenza del re. Invece, in Italia, questo
bicameralismo perfetto, che è l’espressione tipica del regime assembleare, non fa altro che appesantire l’attività
legislativa.
La riforma costituzionale del 2016 è stata bocciata, in quanto le riforme costituzionali possono essere sottoposte a
referendum confermativo (art. 138). 
C’è stata un’altra riforma elettorale significativa, sottoposta anche questa a referendum, che è passata, che aveva come
obiettivo la riduzione del numero dei parlamentari. Sono ancora 630 alla Camera e 315 al Senato ma, a partire dalle
prossime elezioni, saranno 400 alla Camera e 200 al Senato. In questo caso, probabilmente l’antipolitica ha dato i suoi
frutti. L’antipolitica e il populismo sono due cose molto collegate. 

Governo tecnico → la politica ha fallito. Il governo tecnico non si dovrebbe fare, in quanto non rappresenta il popolo,
ma la volontà del presidente. Quindi, è proprio un’emergenza dal punto di vista democratico. Ciampi guidò un governo
tecnico nel 93; Monti nel 2011; ora Draghi. Questa è un’altra dimostrazione dell’instabilità della democrazia.
D’altronde, nelle altre democrazie non si ricorre mai a governi tecnici. 

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