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-DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E PARLAMENTARISMO (prof. PAOLO RIDOLA)-



CAPITOLO I - PARTITI POLITICI ,DEMOCRAZIA E PARLAMENTARISMO

1. Dal partito in parlamento alla democrazia dei partiti
In ogni epoca storica sono esistiti partiti e in ogni comunit politica la lotta per il potere ha
condotto alla formazione di gruppi in competizione tra loro. In senso lato quindi si possono
definire partiti: i gruppi di potere formatisi nelle citt stato greche e nella repubblica romana,
le fazioni medievali e le formazioni antagoniste delle guerre di religione.
Ma la storia costituzionale dei partiti ha origini pi recenti, discende dal consolidamento
dello statocostituzionale rappresentativo per arrivare agli ordinamenti democratici contemporanei.
In questo arco di tempo i partiti politici assumono lattuale fisionomia di istituzioni capaci di
esercitare una crescente influenza nel funzionamento degli organi costituzionali, fino a divenire
effettivi detentori del potere politico dello stato.

Triepel ha individuato 4 fasi di questa evoluzione, tra la prima met del 19 secolo e la prima
met del 20 secolo:
a) Atteggiamento di ostilit dello stato verso il partito;
b) Indifferenza del diritto costituzionale verso il fenomeno dei partiti;
c) Riconoscimento giuridico dei partiti;
d) Inserimento di essi nellorganizzazione statuale.
La vicenda storica tratteggiata dal Triepel si svolge lungo il filo conduttore dellavvento delle masse
sulla scena politica. Ma levoluzione stata determinata soprattutto dalla radicale trasformazione
della stessa idea di partito politico rispetto a quella che era la concezione liberale.
Questultima riteneva che il partito fosse espressione della competizione e della libera
aggregazione delle opinioni, e quindi il riflesso nella vita pubblica della sfera di autonomia
individuale dei privati.
Ci spiega perch per molti costituzionalisti dell800 la libert di azione e di propaganda dei partiti
resti assorbita nella libert di riunione e di opinione e, sul piano pi strettamente giuridico,
la tendenza allacompleta attrazione delle associazioni politiche nella sfera delle garanzie del pi
generale diritto dissociazione.
Occorre anche sottolineare che nella trattazione liberale ottocentesca il rilievo dei partiti era
inquadrato in un contesto istituzionale caratterizzato dal suffragio elettorale ristretto, dove
quindi la partecipazione politica era limitata ad un ambito sociale omogeneo e quindi a questa
concezione era estranea la complessa trama di interessi contrapposti esistente nella societ civile.
Il partito era generalmente identificato con il gruppo parlamentare la cui
presenza nel paese era assicurata da uno sporadico e saltuario collegamento tra il partito
parlamentare e i comitati elettorali.
Solo con lallargamento del suffragio elettorale e quindi lemancipazione politica di pi ampi stra
ti della societ della popolazione, i partiti divennero espressione della maggiore
complessit sociale della cittadinanza politicamente attiva e cominciarono a riflettere
quindi gruppi di potere caratterizzati da divisioni sociale ed economiche.
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Per tale motivo accanto ai partiti di origine parlamentare compaiono e si rafforzano
partiti sorti al di fuori del quadro parlamentare, espressione di formazioni di lavoratori, di
categoria o di gruppi confessionali.
Il distacco dal modello liberale che restringeva larappresentazione entro lambito della borghesia p
oliticamente attiva e che faceva del parlamento il centro del processo di formazione della
volont dello stato non potrebbe essere pi evidente.
Lazione del partito tende ad estendersi dal parlamento alla societ civile.
Si passa cos dal partito di notabili al partito di massa, capace di unintensa azione di aggregazione
e mobilitazione collettiva.
Tuttavia il processo che ha condotto i partiti ad uscire dal terreno propriamente sociologico
e a trovare riconoscimento a livello costituzionale stato sicuramente pi lento e graduale.
Mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra dove i moderni partiti hanno avuto origine parlamentare,
il riconoscimento di essi avvenuto molto indietro nel tempo, nellEuropa continentale nei quali,
come abbiamo visto, il processo di formazione dei partiti si svolto al di fuori del parlamento
occorre attendere i primi del 900 per trovare menzione dei partiti nellalegislazione costituzionale
mentre solo nel secondo dopoguerra questa tendenza si consolidata.

2. I partiti politici nello stato costituzionale di democrazia pluralistica
Con lallargamento del suffragio elettorale e con la democratizzazione del processo politico,
i partiti hanno assunto il ruolo di canali permanenti di partecipazione politica e di fattori
di organizzazione del pluralismo sociale. Inoltre se lo stato, per effetto della frammentariet
della societ, non rifletteva pi (come invece accadeva in epoca liberale) una volont politica
unitaria, si era per trasformato, grazie al ruolo dei partiti, in un luogo unitario di confluenza degli
articolati processi politici al suo interno, cosa che avrebbe permesso la trasformazione dello
stato in una forma politicamente aperta.
Di particolare interesse la riflessione di Heller, uno dei protagonisti del dibattito costituzionale
weimariano.
Secondo Heller la Costituzione la forma di organizzazione della sovranit del popolo, che deve
quindi esprimersi in ununit di decisione e di azione. In questa cornice i partiti sono le strutture
fondamentali dellorganizzazione del dominio del popolo nelle democrazie.
Sono quindi elementi di unificazione di una rappresentativit legittimata dal basso.
Nella riflessione dei costituzionalisti sul ruolo del partito negli anni della repubblica di Weimar
veniva messo in luce come, con il diffondersi del pluralismo democratico. Il popolo non fosse pi
in grado di esprimere una volont unitaria e quindi come i partiti politici potessero svolgere
il necessario compito di mediare tra il pluralismo della volont popolare e la necessaria unitariet
dei processi di decisione statale.
E evidente che questo approccio alla comprensione del ruolo dei partiti oggi, nelle societ
del capitalismo maturo, difficilmente accettabile.
Infatti nelle moderne societ esistono canali di collegamento della societ civile con le istituzioni,
diversi dai partiti e che operano con criteri differenti: basti pensare ad. esempio alla concertazione
delle politiche dei redditi tra governo ed associazioni sindacali o ad alcune forme di raccordo
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tra associazionismo privato e pubbliche amministrazioni nel campo dei servizi sociali,
del volontariato o della tutela ambientale.
Assistiamo quindi a svariati fenomeni di collegamento tra la sfera pubblica e quella privata che
hanno sicuramente incrinato il monopolio dei partiti nel processo politico.
Inoltre a seguito dellaccresciuta competitivit tra la societ civile e i partiti, il partito oggi
non tanto il centro di aggregazione di settori dellopinione pubblica accomunati dalla identit di
classe o di idee, quanto il luogo di mediazione di interessi diversi e domande sociali diverse,
mediazioni che sono necessarie per estenderne il consenso.
Questi sviluppi hanno determinato un atteggiamento diverso del rapporto tra societ,
partiti ed istituzioni, ed il partito tende sempre pi ad operare come strumento,
utilizzato da forzee soggetti sociali che sono divenuti gli effettivi protagonisti del processo politico,
per avere accessoal parlamento e agli altri luoghi di potere.

CAPITOLO II LEVOLUZIONE STORICO-COSTITUZIONALE DEL PARTITO POLITICO

1. I costituzionalisti e il partito politico. Questioni di metodo
Nella riflessione della dottrina costituzionalistica sui partiti si possono individuare 3 indirizzi
principali.

- Il primo comprende posizioni anche diverse che comunque si collocano tutte
nellambito del formalismo giuridico e si basano sullidea che occorre porre argini al
rischio che i partiti politici possano interferire e distorcere le regole predisposte
dalle norme costituzionali.
- Sul versante opposto possiamo collocare le tesi del positivismo sociologico, che invece
mettono in luce come sugli assetti istituzionali e sulle forme di governo incida
profondamente il funzionamento del sistema politico e in primo luogo dei partiti (vedi
riflessione di Elia).
- Fra i due indirizzi contrapposti possiamo collocare il terzo indirizzo che a differenza degli
altri due pone costituzione formale e partito politico in un rapporto che non fatto di
contrapposizione ma solo di distinzione stabilendo che spetta ai soggetti della sfera
pubblica (ed in primis ai partiti) il compito di attualizzare continuamente la costituzione
rendendola effettiva e concretamente aderente alla realt sociale.

Le tre tendenze sopra citate dimostrano come la riflessione sui partiti sia stata centrale per i
costituzionalisti ed abbia inoltre messo in primo piano lesigenza di un legame tra forza
normativa della costituzione e sua concreta effettivit.
Per tale motivo per comprendere il diritto costituzionale occorre fare riferimento alla realt e
ai suoi mutamenti in quanto se vero che le norme costituzionali restano invariate nella
loro formula testuale anche vero che lintepretazione di esse non pu prescindere dai
mutamenti della realt sociale e in tal modo, attraverso linterpretazione, le norme costituzionali
possono adeguarsi ai mutamenti della realt sociale.

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2. I partiti nellesperienza costituzionale italiana - Alla ricerca di un paradigma del rapporto
tra costituzionalismo e democrazia -La
collocazione dei partiti nellesperienza italiana ha sollevato sin dagli albori dellordinamento
repubblicano molti interrogativi . Dopo la fine della dittatura e il ritorno alla democrazia e
alle libert politiche, i partiti furono non solo elementi costitutivi dellordinamento costituzionale
provvisorio ma divennero addirittura protagonisti della fase costituente, svolgendo i grandi
partiti di massa un ruolo fondamentale in seno allAssemblea costituente.
Non deve sorprendere quindi che la costituzione italiana fosse pensata e costruita sulla base
dellegemonia del sistema dei partiti.
Daltro lato per la forte polarizzazione e il pluralismo dei partiti ha contribuito a fissare nella
costituzione le basi di un pluralismo politico ad ampissimo raggio, privilegiando nello statuto
costituzionale dei partiti la dimensione associativa rispetto a quella istituzionale.
Lo statuto dellassociazionismo politicoquindi avrebbe trovato le sue basi nella disciplina generaled
ellart. 18, allinterno della quale si collocava la disposizione espressamente dedicata ai partiti
dallart. 49.
Nella formulazione di questultimo inoltre la titolarit del diritto di concorrere a determinare
la politica nazionale spetta ai cittadini e i partiti pertanto sarebbero rilevanti solo come strumento
di tale partecipazione.
Tuttavia il fatto che il quadro costituzionale sia stato disegnato a maglie molto ampie permettendo
quindi una forte flessibilit, ha determinato il sorgere di prassi che avrebbero ridimensionato
il disegno costituzionale determinando un ruolo dei partiti come autentici monopolisti di tutte
le fasi del processo politico. Il sistema dei partiti sarebbe diventato quindi lautentico perno
della costituzione materiale, facendo s che il concorso dei cittadini attraverso i partiti
(di cui allart. 49) fosse completamente assorbito nel concorso dei partiti.
Tale ambiguit avrebbe influenzato il dibattito sui partiti che a partire dagli anni 60 sarebbe
oscillato tra posizioni antipartitiche e posizioni pi equilibrate, come quella di Elia che sosteneva
che i caratteri del sistema politico non erano solo fattori che condizionavano la forma dei governo
ma veri e propri elementi strutturali di essa.
A partire dagli anni 70 la riflessione sui partiti ha condotto, sulla base dellaccentuazione della
dimensione associativa dei partiti, ad una concezione integralmente privatistica della loro natura
giuridica, che rivendicava al solo diritto privato il compito della tutela e garanzia della libert
dei partiti, ispirando una giurisprudenza totalmente indifferente alla dimensione istituzionale del
partito stesso.
Sul dibattito degli anni 70 pesava anche la crisi di legittimazione del partito politico che si
dimostrava impreparato alle nuove sfide poste da una societ pluralistica molto complessa,
che produceva una forte frammentariet delle domande provenienti dai vari strati sociali.
Questi fattori hanno aperto una nuova stagione di ripensamento che tuttavia non pu limitarsi
alla discussione di aspetti quali il diritto dei partiti e le regole della competizione politica,
il finanziamento dei partiti o i meccanismi della selezione della leadership politica, ma deve
anche verificare se i partiti siano ancora in grado di sorreggere i luoghi della comunicazione
politica e di orientare i processi di interpretazione e attualizzazione della costituzione.

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3. Il partito e lassetto fondamentale della comunit politica: i nodi problematici che vengono da
lontano -
Nei sessantanni della nostra storia costituzionale i partiti sono stati di volta in volta considerati
Come:
- fattori di crescita o di disgregazione delledificio costituzionale,
- come canali di legittimazione dellordinamento repubblicano o come alimentatori
del dissenso allinterno della societ,
- come fattori di libert politica o di blocco delle dinamiche sociali.
Questa controversia affonda le radici gi nellantichit.
In generale possiamo dire che laffermarsi delle teorie della concordia del corpo politico, della
costituzione mista e dellequilibrio delle parti in cui divisa la societ hanno condotto a
valutazioni negative sul ruolo della divisione in partiti nella societ.
Tale orientamento fu consolidato in et moderna in quanto laffermarsi dei regimi assolutistici
spingeva nella direzione dellaccentramento politico.
Sempre in et moderna si ebbe un approccio diverso nella riflessione sui partiti da parte
delpensiero costituzionale inglese del 700, sviluppatosi a seguito del consolidamento del regime
parlamentare , che pose le basi teoriche dellinnesto tra organizzazione politica della societ e
assetto della forma di governo.
In tal modo lidea di partito veniva sganciata definitivamente dal riferimento al nemico politico e
alla fazione avversa per diventare invece, fondamento del governo della societ.
Negli sviluppi del costituzionalismo nella Francia rivoluzionaria e in seguito nello stato liberale
europeo lidea del partito fu sostanzialmente smarrita.
Nella Francia rivoluzionaria infatti lidea del partito rimase ai margini di quella che era lunit
politica della societ in quanto il terzo stato non veniva considerato come un contenitore di gruppi
e opinioni antagonistiche, ma come il fondamento e la personificazione dellunit politica e
della sovranit della nazione.
NellEuropa liberale invece, a causa del carattere elitario della partecipazione politica,
le divisioni politiche restavano allinterno dellunico ceto politicamente attivo e quindi alla sfera
pubblica borghese, per scomparire nel fondamento personale del legame tra elettori ed eletti
e nella centralit della discussione parlamentare.

4. Lavvento della democrazia di massa e il ruolo del partito politico.
Il contributo della scienza costituzionalista ed il realismo politico
Il costituzionalismo liberale si era fondato su una base sociale omogenea, quella della borghesia,
unica classe politicamente attiva e quindi le varie costituzioni riflettevano lorizzonte e gli interessi
dello stato monoclasse borghese.
Dopo la fine della prima guerra mondiale per con lavvento della democrazia di massa questo
sistema viene messo in crisi.
La nascita dei grandi partiti organizzati, infatti apre il processo politico alla partecipazione
delle masse e i partiti stessi assumono il ruolo di canali della partecipazione politica,
attraverso la rielaborazione delle svariate domande espresse dalla societ, la selezione
del ceto politico e la partecipazione alla formazione delle decisioni vincolanti per la societ.
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Lambiguit del ruolo dei partiti che sono al tempo stesso strumento dellopinione pubblica e
strumento delle dinamiche oligarchiche del potere nelle societ di massa, viene messa in luce
anche dagli studiosi delle scienze sociali.
Possiamo ad esempio accennare alla teoria di Max Weber, il quale afferma che i vari tipi di
potere sidifferenziano solo per i meccanismidella selezione dei capi, e per cui la stessa
democrazia, che dovrebbe reggersi sulla premessa della sovranit del popolo, viene esercitata
comunque da una oligarchia di capi e la sua particolarit sta nei meccanismi attraverso i quali
questi capi vengono scelti, che quello dellelezione popolare.
Nella teoria di Weber quindi la democrazia viene a configurarsi solo dal punto di vista funzionale e
la sovranit popolare si risolve nella sola leadership espressa dal popolo.
Il motivo conduttore della selezione della leadership lo ritroviamo anche nelle concezioni della
Democrazia elaborate nella prima met del 20secolo, nelle quali viene sempre affermato
che i vari tipi di potere si differenziano solo per il metodo della scelta della leadership ma questa
affermazione, rispetto alle teorie di Weber, viene argomentata non su basi sociologiche ma con
modelli derivati dalle scienze economiche.
Possiamo citare Schumpeter, il quale afferma che in democrazia il metodo delle decisioni pi
importante dei contenuti e quindi occorre guardare pi che alla decisione dei problemi da parte
dellelettorato, allelezione di coloro che dovranno prendere tali decisioni.
Nella teoria di Schumpeter la democrazia viene identificata con il fatto che il governo venga
affidato al concorrente che ottiene appoggi superiori rispetto agli altri e il processo politico viene
concepito come il luogo dove, attraverso le elezioni, viene scelto chi comanda e non come il luogo
di confronto o di compromesso.
La concezione della democrazia come metodo ha sollevato parecchie obiezioni e critiche,
la principale delle quali quella che essa presuppone che la societ sia quasi totalmente
omogenea e una condivisione di valori e orientamenti di fondo.
Infatti in una democrazia caratterizzata da valori comuni anche il principio della maggioranza
acquista un significato pi forte in quanto la maggioranza di voti coincide con il modo migliore per
realizzare i valori comuni.
Se invece si muove dalla tesi per cui la societ non pu avere valori comuni allora il principio
di maggioranza perde ogni legittimazione in quanto non si capisce perch sia la maggioranza
a dover decidere dal momento che tale decisione maggioritaria equivarrebbe alla sottomissione
passiva della minoranza allavversario politico.
Ci ci fa comprendere linsufficienza di tutti quegli approcci che non muovano dalla premessa
di una base di valori e contenuti condivisi in una democrazia.

5. Alcuni snodi del dibattito sui partiti nel 900. Il partito come parte totale
Nel dibattito sul legame tra partito politico e costituzione del 1900, furono elaborate tesi diverse.
Ci occuperemo in particolare di alcune di queste tesi:
- la dottrina del partito come parte totale,
- la teoria della costituzione materiale,
- la teoria dello stato di partiti,
- la riflessione sul ruolo del partito tra componenti rappresentative e plebiscitarie nelle dem.
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Il partito come Parte Totale
La teoria del partito come parte totale nasce dalle riflessioni della dottrina weimariana dopo
la prima guerra mondiale. Infatti in quel periodo la divisione della base sociale con lavvento
delle democrazia di massa aveva fatto s che lo stato non poteva pi identificarsi, come
in epoca liberale, con una volont politica unitaria. I partiti costituivano quindi lo strumento per
dare unit ad un processo politico frammentario e articolato al suo interno.
Tra gli anni 20 e 30 del 1900 viene quindi elaborata la teoria del partito come parte totale,
nel quadro della quale il partito politico viene raffigurato come un organismo capace di superare
il particolarismo della societ e di farsi portatore di visioni politiche generali.
Infatti il popolo non pu essere pi configurato come soggetto capace di esprimere una volont
unitaria ma solo una variet di opinioni e di correnti politiche e per questo motivo il partito
diventa strumento fondamentale per mediare tra il pluralismo sociale e la necessaria unitariet
dei processi di decisione statali.
Se dubbio che i partiti siano riusciti in realt a svolgere questa funzione nella Germania di
Weimar va dato il merito a questateoria di aver messo in luce la complessit del rapporto tra stato
e societ nelle democrazie pluralistiche, spunto questultimo che sarebbestato ripreso e
rielaborato dalla successiva riflessione novecentesca sui partiti.

6. La costituzione in senso materiale Dal partito unico al sistema dei partiti
La teoria della costituzione materiale, incentrata sul ruolo del partito nella societ di massa
frutto delle riflessioni di Costantino Mortati.
Secondo Mortati con lingresso delle masse nella vita politica il partito diventato lo strumento
necessario perch le masse stesse assumano una fisionomia politica e il soggetto fondamentale
della costituzione materiale. Il partito infatti fa s che la forma concreta di stato sia la realizzazione
di una idea politica e conferisce allassetto costituzionale la necessaria omogeneit politica.
Nella teoria di Mortati il partito lo strumento necessario per far si che le forze politiche
dominanti possano rendere concretamente ed effettivamente operante lassetto costituzionale
dandole la necessaria forma giuridica. Tali forze politiche dominanti quindi, attraverso il partito,
rendono consapevole la vocazione gi esistente nel popolo, uniscono in ununica realt
maggioranza ed opposizione e formano il presupposto necessario per lesistenza di una volont
coerente ed armonica nello stato.

7. Democrazia di partiti e stato di partiti
La teoria dello stato di partiti si deve a Leibholz che inizi la sua riflessione in epoca weimariana e
in seguito adatt la sua teoria alla comprensione delle democrazie pluralistiche.
Secondo Leibholz lo stato liberale, essendo fondato su basi oligarchiche, produce una relazione
rappresentativa tra il popolo e lo stato, in quanto ilparlamento rappresenta il popolo ma non
il popolo. Le democrazie pluralistiche invece producono una relazione di tipo identitario
(o plebiscitario) tra popolo, partiti e direzione politica degli stati.
Ci avviene grazie allopera dei partiti che influenzano tutte le fasi del processo politico sia a
livello della societ civile che dello stato e quindi determinano il rapporto tra popolo e stato come
un rapporto di identificazione.
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Lo stato dei partiti, quindi, fondato sul principio di identit costituisce una forma di democrazia
plebiscitaria e un surrogato di democrazia diretta in quanto in esso la volont popolare si forma
attraverso i partiti grazie ai quali il popolo politicamente attivo, determinando che la volont
politica, cos formata, coincida direttamente con la volont del popolo.
Secondo la tesi di Leibholz quindi lincidenza diretta dei partiti sulla formazione della volont
popolare determina il superamento del principio rappresentativo grazie al rapporto identitario
che si viene a creare tra popolo e partiti e, attraverso questi, tra societ e stato.
La critica principale che pu essere posta alla teoria di Leibholz sta nel fatto che il rapporto di
identificazione diretta tra stato e societ in antitesi con il principio pluralistico che richiede
invece la presenza di contropoteri e il fatto che la formazione della volont popolare debba essere
il risultato di un confronto pubblico, aperto e dialettico.
Senza contare il fatto che nellesperienza delle democrazie pluralistiche, anche quando
la partecipazione politica sia aggregata da un sistema di partiti molto coeso, la competizione
tra i partiti produce comunque nel processo politico elementi di fluidit e di diversificazione
che sono irriducibili allo schema identitario disegnato da Leibholz.

8. Il partito tra componenti rappresentative e componenti plebiscitarie nelle democrazie
Intorno agli anni 50 del 1900 Ernst Frankel ha sviluppato una tipologia degli ordinamenti
democratici secondo il criterio del dosaggio tra componenti rappresentative e componenti
plebiscitarie.
Secondo la teoria di Frankel il sistema rappresentativo di governo si basa sullassunto per cui
linteresse generale pu essere raggiunto solo a posteriori, come risultato di un procedimento
dialettico di confronto. Il sistema plebiscitario di governo invece presuppone a priori lesistenza
di una volont popolare unitaria tesa al raggiungimento dellinteresse collettivo.
Il sistema rappresentativo quindi richiede lesistenza di una societ, intesa come struttura mobile
composta da opinioni e interessi differenti mentre il sistema plebiscitario richiede lesistenza di u
na comunit ossia di una struttura unitaria e sorretta da forti legami spirituali.
Da ci derivano conseguenze anche per gli assetti costituzionali in quanto:
La costituzionerappresentativa la struttura politica di una societ che consapevole del suo
carattere pluralistico, che punta al confronto tra idee e interessi di gruppi e partiti diversi e mira a
garantire ai gruppi di minoranza un massimo di sicurezza e di influenza politica.
La costituzione plebiscitaria invece vede negli interessi delle minoranze dei fattori di disturbo
che impediscono la creazione di una volont popolare unitaria e quindi devono essere neutralizzati
ed espulsi dal processo politico.
E quindi vero che i sistemi di governo rappresentativo e plebiscitario poggiano su diversi criteri
di legittimit in quanto il primo consente che linteresse collettivo si formi sulla base di interessi e
prospettive diverse mentre il secondo configura la sovranit popolare come un potere collettivo
illimitato ed inviolabile.
Frankel, pur recuperando il motivo conduttore della centralit dei partiti in democrazia, lo
sviluppa in modo diverso rispetto a Leibholz, ritenendo che debba essere compito dei partiti
quello di restare ancorati saldamente alla societ e di garantire larmonizzazione della
componente plebiscitaria con quella rappresentativa.
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9. Futuro della costituzione e futuro dei partiti-Partiti e processo pubblico ad integrazione esclusiva
Considerazioni conclusive.
Quanto detto sopra richiede alcune considerazioni conclusive.
E indubbio che, nonostante i molteplici segnali di una crisi di legittimazione i partiti continuano a
svolgere oggi un ruolo decisivo nel processo politico. Infatti se i partiti sono stati penalizzati nella
loro capacit di aggregazione delle domande provenienti dalla societ (dato che le societ di mass
a esprimono oggi domande ed interessi diversi e difficilmente aggregabili) fuori dubbio che essi
abbiano conservato pienamente la loro funzione di strumento utilizzato di volta in volta dai
protagonisti del processo politico per avere accesso alle sedi dove le domande provenienti dalla
societ possano tradursi in decisioni politiche. In defintiva quindi le trasformazioni del partito
politico non ne hanno ridimensionato lmpatto sui processi democratici di formazione della
volont politica.
Tali trasformazioni tuttavia richiedono di trovare soluzioni adeguate al problema della disciplina
legislativa del partito per allineare a standard minimi di democraticit quei processi decisionali
interni che incidono sulla formazione degli organi elettivi (es. la selezione delle candidature) e
per garantire la trasparenza dei processi decisionali e dei legami con le fonti di finanziamento.
Infatti, come ben ricostruito da Konrad Hesse, i partiti operano allinterno della sfera pubblica ma
non sono interamente riconducibili n alla sfera del diritto privato n alla sfera del diritto pubblico.

Tuttavia essi pur non potendo essere incorporati nella statualit svolgono una funzione
costituzionale in quanto permettono il processo di integrazione che a sua volta consente
alla costituzione di operare concretamente e quindi possono essere definiti come partecipi della
costituzione stessa.
Tale funzione pubblica richiede che i titolari di essa debbano sottostare ai criteri di legittimazione
richiesti dallordinamento nel suo complesso e quindi non solo che il loro agire si rivolga
alla generalit dei consociati ma soprattutto che ai consociati sia possibile, attraverso adeguati
congegni di responsabilit e trasparenza, di controllare i processi che questo agire produce.

CAPITOLO III LE TRASFORMAZIONI DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA

1. Le origini delle teorie della rappresentanza politica: il mandato libero tra mediazione e
separatezza della sfera politica
La riflessione sulla rappresentanza politica si storicamente sviluppata secondo due indizzi
Fondamentali:
- Il primo vede la funzione principale della rappresentanza nella formazione di un
interesse generale della societ che supera quello dei singoli gruppi sociali e quindi
nellespressione di una unit politica pi alta rispetto alle divisioni della societ.
- Il secondo ritiene invece che la volont popolare, di cui la rappresentanza deve essere
interprete, non pu considerarsi staccata dallarticolazione del popolo in
gruppi, categorie e comunit territoriali.
Non c dubbio che dei due indirizzi lo stato liberale avesse privilegiato nettamente il primo.
- Ci avvenne in modo pi sfumato nel parlamentarismo inglese dove il parlamento veniva
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considerato s come portatore di un solo interesse, quello dellintero popolo, ma si trattava di
un parlamento composito nei quali confluivano i diversi strati della societ. In questo senso le
prime formulazioni della teoria del mandato libero si inserivano in un sistema parlamentare di tipo
pluralistico.
- La stessa cosa non si pu dire per il liberalismo continentale, in primo luogo quello francese
Post-rivoluzionario, dove lo sviluppo della teoria del mandato libero, era invece funzionale
al mantenimento dellegemonia politica della borghesia. In
tal modo infatti identificando la volont dei rappresentanti e la volont della nazione, la stessa vol
ont della nazione era il risultato di
una discussione parlamentare che tagliava fuori i conflitti esistenti nella societ che quindi
rimanevano estranei al processo politico.
La teoria della rappresentanza senza vincoli di mandato era quindi nel liberalismo continentale
strumentale al rafforzamento di un assetto oligarchico ma anche al raggiungimento di una unit
politica che per era separata dalla societ civile sottostante. Ne derivavano conseguenze quali
quella che la rappresentanza non pu dare luogo ad alcuna relazione
giuridica tra rappresentanti e rappresentati o che le elezioni esprimono solo una scelta basata sul v
alore personale del rappresentante o anche che non vi alcun legame necessario tra
rappresentanza e rappresentativit.
- Diversa lesperienzastatunitense dove si sarebbe sviluppata una teoria della rappresentanza
basata sulla comunicazione tra rappresentanti e rappresentati e quindi sul controllo dei
rappresentanti da parte dei rappresentati.

2. Principio di rappresentanza e principio di identit nella democrazia pluralista
Nel costituzionalismo democratico contemporaneo lalternativa tra i due indirizzi fondamentali
della rappresentanza visti sopra si ripropone con forza. Infatti le moderne democrazie hanno
permesso di superare la divisione liberale tra stato e societ, riconoscendo al tempo
stesso lesistenza di una societ divisa e conflittuale (principio pluralistico) e lesigenza di una diffu
sapoliticizzazione della popolazione (principio democratico). Tuttavia mentre il principio pluralistic
o presuppone lidea che il conflitto nella societ sia insuperabile ma anche positivo, il principio
democratico richiede lesistenza di un comune catalogo di valori fondamentali che permettano
lunificazione della societ. Gi i giuristi weimariani avevano avvertito questo problema tanto
vero che gi Heller sosteneva che il popolo non poteva diventare soggetto della sovranit se non
attraverso un processo di unificazione della volont popolare, unificazione che doveva essere
raggiunta tramite la rappresentanza. Tuttavia se in tal modo veniva posta una linea di netta
separazione tra la democrazia pluralistica e lo stato oligarchico liberale si poneva il problema
relativo al ruolo dei partiti nello schema tradizionale della rappresentanza. Infatti ci si chiedeva se
una democrazia pluralista che riconosce il ruolo dei partiti come soggetti principali del processo
politico potesse continuare ad usare gli schemi della rappresentanza. Ci in quanto non poteva
sfuggire la contraddizione tra un parlamentarismo fondato sulla discussione libera dove la
rappresentanza realizzava lunit politica del popolo e un assetto dove la dipendenza del deputato
dal partito poteva degradare la discussione parlamentare al calcolo dei rapporti di forza e
degli interessi in gioco.
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A tale problema i giuristi tendevano a dare risposte diverse.
- Secondo Schmitt ipartiti non dovevan essere considerati come soggetti del sistema
rappresentativo ma solo espressione del principio di identit e quindi lunit politica poteva
essere raggiunta solo tramite la rappresentanza senza ricorrere al principio di identit.
- Secondo Leibholz invece la contraddizione tra parlamentarismo rappresentativo e sistema
dei partiti dimostra linadeguatezza degli schemi
della rappresentanza richiedendo invece il recupero
del principio di identit che pu essere raggiunto tramite lo stato dei partiti che, come abbiamo
visto viene da lui ricostruito come un surrogato della democrazia diretta o plebiscitaria e realizza
lidentit della relazione popolo-partitistato.
Leibholz quindi realizzava una saldatura tra lespressione della volont del popolo attraverso i part
iti e la formazione dellindirizzo politico statale.
Non si pu negare tuttavia che lo stato dei partiti con la sua base plebiscitaria richieda e
presupponga una certa omogeneit della societ civile e un forte nesso tra essa e il sistema dei
partiti.
Non a caso infatti tale teoria fu elaborata riflettendo lesperienza tedesco federale degli anni 50
caratterizzata da un forte livello di istituzionalizzazione dei partiti.
Lo studio delle esperienze del parlamentarismo tra le due guerre avrebbe invece dimostrato che
linserimento di congegni di tipo plebiscitario pu contribuire invece ad aumentare il
distacco tra il processo politico e il pluralismo della societ. Si anche osservato che proprio in qu
elle societ dove la formazione della volont politica si presenta pi frammentata e diversificata
utilericorrere a congegni di mediazione legati alla struttura della rappresentanza piuttosto che
al modello plebiscitario.

3. Rappresentanza politica, stato dei partiti e organizzazione del pluralismo sociale
C un altro filone di pensiero il quale hacollocato il ruolo dei partiti nellambito del parlamentarismo.
Si tratta di un filone culturale molto diversificato che unisce autori di tendenza diversa.
Possiamo citare ad esempio:
- Kelsen, il quale vedeva nella formazione del popolo in partiti una organizzazione necessaria
per
il funzionamento parlamentare;
- o Mortati secondo il quale il ruolo dei partiti avrebbe condotto non al superamento ma
allo sdoppiamento del rapporto di rappresentanza politica nel duplice rapporto tra elettori e partit
i e partiti e rappresentanti.
Si tratta di filoni culturali assai diversi che hanno in comune lidea che la presenza di una pluralit d
i partiti in tutte le fasi delle decisioni politiche assolve alla importante funzione di organizzare
il pluralismo, vedendo il ruolo dei partiti comepreminente rispetto a tutte le altre formazioni soci
ali esistenti nella societ.
Occorre tuttavia tenerepresente nelle moderne democrazie pluraliste laccresciuta capacit di
penetrazione nella sfera politica, oltre ai partiti, di altre associazioni e di gruppi di interesse.
Ci ha reso sicuramente pi complessi i processi di rappresentanza politica in quanto il pluralismo
sociale non pi rappresentato in modo esclusivo dai partiti e ci ha costretto i partiti stessi
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a misurarsi e a competere con le altre espressioni della societ civile.
Da ci il concetto di rappresentanza politica esce profondamente mutato in quanto mentre le teorie
del parlamentarismo basate sullo stato dei partiti avevano fatto leva sul ruolo totale dei partiti
come elementi di integrazione politica, adesso il ruolo del partito deve trasferirsi e misurarsi nel
confronto con le altre espressioni del pluralismo sociale.
Ne deriva che la rappresentanza politica non si esaurisce solo in una situazione rappresentativa
qualificata dallindipendenza del deputato ma potrebbe dar luogo ad un processo dinamico di
adattamento e di legittimazione dei rappresentanti, non solo nelperiodo delle scadenze elettorali,
ma in continuo confronto con lopinione pubblica ed i gruppi di interesse i quali tendono a
stabilire canali autonomi nella relazione con i pubblici poteri.

4. Assetto della rappresentanza politica e configurazione delle libert associative (paragrafo 4 e 5)
5. Lanalisi di alcune esperienze di democrazia pluralistica dimostrano che un assetto fondato sulla
prevalenza della rappresentanza risulta pi flessibile e pi idoneo a rispecchiare il pluralismo
sociale. Possiamo fare lesempio della stessa costituzione italiana dove i costituenti hanno
privilegiato un assetto che tendesse a fare dei partiti il perno della democrazia politica.
I costituenti avevano compreso che il tentativo di coniugare il principio rappresentativo con
lallargamento della partecipazione politica poteva riuscire solo collocando il momento
dellunificazione politica nel pluralismo sociale nel quadro di una forma di governo che avesse
il suo centro in una rappresentanza parlamentare a caratterizzazione partitica.
Nel modello disegnato dai costituenti tuttavia vi era una ambivalenza di fondo che stava nellaver
sottolineato la caratterizzazione partitica delle camere ma nel contempo nellaver collocato i
partiti in una dimensione pre-statuale dove essi dovevano misurarsi con le altre espressioni della
societ civile.
E vero anche tuttavia che tale soluzione rispecchiava un sistema politico come quello italiano,
diviso e disomogeneo e quindi rispondeva al problema di fondo di coniugare lesigenza unificante
e aggregante con il principio pluralistico.
Ci ha comportato ovviamente a livello costituzionale lattrazione del regime dellassociazionismo
politico nellarea del diritto privato delle associazioni, la prevalenza della dimensione associativa
dei partiti rispetto a quella istituzionale, e la mancata introduzione di limiti legali e di controlli
statali nel sistema dei partiti stesso.

6. Il divieto del mandato imperativo e la trasformazione della rappresentanza politica
Il recente e significativo aumento del fenomeno del trasformismo parlamentare (cio il passaggio
nel corso della legislatura di parlamentari dal partito per cui sono stati eletti ad un altro)
ha contribuito a riaccendere il dibattito intorno alla vera portata normativa che si deve attribuire
oggi allart. 67 della nostra costituzione che stabilisce ogni membro del parlamento rappresenta
la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Secondo lopinione prevalente lart. 67 conterrebbe due principi di matrice diversa in quanto
nella prima parte si richiamerebbe al principio per cui ogni membro del parlamento rappresenta
lintera nazione (e quindi non il solo ambito partitico, geografico o sociale dal quale proviene) e
nella seconda parte invece al principio di stampo chiaramente liberale, costituito dal cosiddetto
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divieto di mandato imperativo che in sostanza garantisce alleletto di esercitare il suo mandato
in piena libert ed autonomia nei confronti di tutti (compresa la frazione del corpo elettorale che
lo ha eletto).
Da questo secondo principio discenderebbe il corollario della cosiddetta irresponsabilit politica
del parlamentare nel corso del mandato che si basa sulla impossibilit per il corpo elettorale di
rimuovere un suo eletto e comunque sul principio pe cui dalle vicende del rapporto tra
parlamentare e partito non debbono derivare conseguenze a carico del singolo.
Tuttavia, seguendo tale indirizzo si giungerebbe alla conclusione che lart. 67 configura la
rappresentanza non come rapporto (e quindi come legame stabile e permanente tra corpo
elettorale e rappresentanti) ma come situazione (che conferisce al rappresentante un potere che,
una volta ricevuta linvestitura dagli elettori; pu esercitare liberamente) ed anche alla
conclusione per cui il divieto di mandato imperativo vada a svolgere la funzione principale di
protezione dello status individuale del parlamentare.
'E pertanto pi corretta una chiave di lettura unitaria dellart. 67 che tenendo conto del rapporto
creatosi nelle moderne democrazie pluralistiche tra parlamento, partiti e societ civile, colga il
nesso intercorrente tra lo stesso art. 67 e lart. 49 della costituzione.
Nelle moderne democrazie pluraliste infatti il tema della corrispondenza tra elettori ed eletti che
costituisce il nucleo della rappresentanza politica, dipende in primo luogo dalla capacit di
mediazione dei partiti che sono il vero e proprio strumento di partecipazione politica dei cittadini.
I partiti quindi operano un ruolo di intermediazione e di integrazione tra stato e societ essendo
i principali strumenti di esercizio della sovranit popolare e lunico strumento per cui tale
esercizio pu essere continuo e non limitato al solo momento delle elezioni come avveniva nei
sistemi liberali.
In questa ottica il divieto di mandato imperativo si colloca in una concezione della rappresentanza
non come situazione ma come rapporto continuo e dialettico tra politica e societ e in questo
modo non va letto in chiave individualistica come garanzia dello status individuale del
parlamentare, ma in chiave collettiva come garanzia della democrazia interna dei partiti politici e
della libert e pubblicit del processi di formazione della politica nazionale.
Infatti se non ci fosse il divieto di mandato imperativo il partito potrebbe revocare in ogni
momento il parlamentare che voglia rappresentare punti di vista divergenti dalla linea ufficiale del
partito e questo minerebbe non solo la democrazia interna del partito ma anche la democrazia
parlamentare nel suo insieme mettendo a rischio anche la libert e la pubblicit del processo di
formazione della politica nazionale.
Il deputato deve essere invece tendenzialmente libero di scegliere se sostenere o meno le
indicazioni del suo partito e quindi non deve essere soggetto al pieno ed incontrollato dominio del
partito per cui stato eletto cos da divenire, sotto la minaccia di revoca del mandato, docile
esecutore delle direttive impartite dai dirigenti del partito stesso.
In questo senso il divieto di mandato imperativo costituisce una garanzia contro la tendenza al
completo assorbimento della determinazione della politica nazionale allinterno degli apparati di
partito. Il divieto di mandato imperativo di cui allart. 67 quindi deve essere interpretato in modo
costituzionalmente compatibile con il ruolo fondamentale svolto dai partiti politici nel nostro
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sistema democratico rappresentativo espressamente riconosciuto dallart 49 cost. (i partiti
concorrono a determinare la politica nazionale).
Il parlamentare non rappresenta solo chi lo ha eletto ma lintera nazione e grazie al divieto di
mandato imperativo pu svincolarsi non solo, come in origine, dagli interessi particolari dei suoi
elettori, ma oggi anche dai partiti per meglio conseguire gli interessi generali della intera
collettivit.
Ma se da un lato il divieto di mandato imperativo necessario per impedire il soggiogamento
totale del deputato sancito con la sanzione giuridica, esso rende dallaltro lato possibile il
fenomeno del transfughismo fenomeno censurato dalla maggior parte dei cittadini per i quali
il trasferimento delleletto ad un altro gruppo parlamentare rappresenta un tradimento della
volont elettorale e che quindi si sente defraudata della propria sovranit e confermata nei suoi
sentimenti di disaffezione e sfiducia nei confronti della politica, come dimostra il crescente
fenomeno dellastensionismo elettorale.
A tale proposito occorre dire che tale atteggiamento dellopinione pubblica non deve essere
sottovalutata o ignorata, ma la soluzione non pu essere trovata tramite interventi normativi
che non sarebbero giustificati da un punto di vista di legittimit costituzionale.
Occorre invece interpretare il divieto di mandato imperativo in modo costituzionalmente
compatibile con il ruolo fondamentale svolto dai partiti politici nel nostro sistema democratico
rappresentativo espressamente riconosciuto dallart. 49 cost. e da questo punto di vista occorre
riconoscere che il divieto di mandato imperativo ha un ruolo centrale nel quadro dei contropoteri
che sono necessari per una democrazia pluralistica.
Daltro canto il riconoscimento dellautonomia del parlamentare deve essere controbilanciato
mediante delle regole di trasparenza che rendano possibile il controllo dellopinione pubblica sulla
reale dinamica dei soggetti che contribuiscono ai processi di decisione politica in una societ
complessa. Queste regole di trasparenza sono infatti strumenti necessari sia per la garanzia e la
limitazione del potere ma anche come strumenti di legittimazione del processo politico.
Molto importante in questo contesto la discussione che si svolta in GERMANIA, dove nella
legge fondamentale del 1949 veniva affermato il principio che i deputati del Bundenstag sono i
rappresentanti dell'intero popolo, essi non sono vincolati a mandati, n a direttive, sono
unicamente soggetti alla loro coscienza, tutto questo convive con il ruolo che viene riconosciuto ai
partiti politici dall'articolo 21 G.G. il quale qualifica i partiti come strumenti essenziali della
formazione della volont politica del popolo.
In questo contesto dobbiamo annoverare due sentenze storiche degli anni 50 sulla
anticostituzionalit del partito neonazista e del partito comunista.
Il punto di partenza del tribunale costituzionale fu che l'incorporazione dei partiti nel sistema
costituzionale, non poteva configurarsi come un mero dato fattuale o sociologico, ma andava ad
esprimere la funzione dei partiti come istituzione chiamate ad assicurare la tenuta complessiva
dell'ordinamento fondamentale democratico-liberale.
Quindi secondo il tribunale il partito che si pone in contrasto con questo principio basilare viene
meno, o difetti sin dall'inizio i presupposti che legittimano la partecipazione alla formazione della
volont politica del popolo.
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La collocazione dell'articolo 21 nel quadro dei principi di struttura della costituzione, ci conduce
alla concludere che la dichiarazione di incostituzionalit comporta la decadenza del mandato dei
deputati appartenenti al partito colpito dalla relativa sentenza. Il tribunale afferma che attraverso
questa interpretazione dell'articolo 21, l'articolo 38 comunque non smarrisce il suo significato di
garantire al deputato il libero esercizio del mandato anche in relazione alle vicende del rapporto
con il suo partito, in quanto tale garanzia per poter operare presuppone il possesso da parte del
deputato della qualit di rappresentante del popolo intero, che l'appartenenza ad un partito
dichiarato anticostituzionale fa venire meno.
Nei successivi sviluppi giurisprudenziali e dottrinali questa concezione cos rigida ha trovato
significativi temperamenti.
Infatti, secondo le interpretazioni dell'articolo 38, il divieto di mandato imperativo si pu inscrivere
in un quadro pi comprensivo volto a definire gli assetti costituzionali del processo politico.

CAPITOLO QUARTO RAPPRESENTANZA, UNITA POLITICA, PLURALISMO

1. Il rapporto tra costituzione e pluralismo nel dibattito sulla trasformazione della rappresentanza
politica
La letteratura costituzionalistica europea degli anni 1920/1930 si posta linterrogativo se le
teorie della rappresentanza politica, modellate sullindipendenza del parlamentare e sul modello
dei parlamenti borghesi, possano ancora essere utilizzate per spiegare la complessit del
processo politico nelle democrazie pluralistiche contemporanee.
Il dibattito ha investito in primo luogo il tema del rapporto tra costituzione e pluralismo e quindi
la possibilit degli assetti costituzionali di poter far convivere al proprio interno un insieme
diversificato di valori e nello stesso tempo esprimere un livello di unificazione politica che
lomogeneit della sfera pubblica borghese avevano fino ad allora assicurato allo stato liberale
ottocentesco.
A questo quesito alcuni giuristi (come Schmitt) hanno risposto negativamente mentre altri come
Smend hanno ritenuto invece possibile la coesistenza di pluralismo sociale ed unit politica
fondando la costituzione su un insieme di valori condiviso dalla comunit.
Per un altro verso il dibattito si incentrato sulla possibilit di far convivere le dinamiche delle
democrazie di massa con le logiche del parlamentarismo rappresentativo.
Anche a tale proposito alcuni, come Schmitt, hanno sostenuto che il parlamentarismo
rappresentativo legato in maniera indissolubilmente alle condizioni storico culturali dello stato
borghese ottocentesco, mentre altri hanno affermato che la discussione parlamentare non
avrebbe invece perso i suoi caratteri di pubblicit e creativit, anche se svolta allinterno di
gruppi o partiti, a condizione che fosse stata capace di influenzare allesterno la formazione
dellopinione pubblica.





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2. La democrazia pluralistica fra identit e rappresentanza
- Altro tema del dibattito, tracciato dalla posizione di Leibholz, il quale ha sostenuto che i partiti
sono diventati il perno centrale del processo di integrazione politica del popolo e la democrazia
plebiscitaria si fonda sul rapporto identitario tra popolo-partiti e stato.
Nel pensiero di Leibholz quindi la democrazia basata sui partiti non pu ispirarsi agli schemi del
parlamentarismo rappresentativo ma pu trovare il suo momento unificatore proprio nel
principio di identit, lunico che pu conferire unit politica ad assetti costituzionali cui il ruolo dei
partiti conferisce una impronta pluralistica.
- Sul versante opposto invece Smend ed Heller erano convinti che il sistema rappresentativo pu
essere utilizzato nelle democrazie pluralistiche e che pu sviluppare una valenza unificante a
patto per di essere trasformato, attraverso il principio dellindipendenza del parlamentare per
diventare il luogo delle mediazioni tra parlamento, partiti e gli altri soggetti del pluralismo.

3. Lo schema teorico della rappresentanza e la sua capacit di adattamento: gli spazi di mediazione
nel processo politico
Gi nel corso dell800 il dibattito sulla rappresentanza politica si era soffermato sul tema del
mandato libero del deputato. Si divideva infatti il tema della rappresentanza (legittimato dallatto
di elezione) dal rapporto permanente con gli elettori in modo tale che i rappresentanti potessero
conservare la loro indipendenza assicurando allinterno del parlamento un dibattito improntato a
canoni di libert e di pubblicit, facendo in modo che linteresse generale venisse perseguito a
seguito di un processo di confronto dialettico.
Non c dubbio quindi che nellEuropa dell800 si sia intesa la rappresentanza come
deresponsabilizzazione dello status del parlamentare come dimostrano le conclusioni cui
perveniva la dottrina circa latto di elezione come una scelta fondata sulle qualit personali
delleletto, o circa lesclusione di una relazione giuridica tra rappresentanti e rappresentati, o circa
la scissione, come abbiamo detto, della rappresentanza dallorigine elettiva della investitura.
La riflessione pi recente della scienza politica sulla rappresentanza appare anche influenzata dagli
sviluppi del costituzionalismo statunitense dove, se pure presente il principio per cui gli elettori
possono dare istruzioni o far conoscere le proprie opinioni ai rappresentanti, non sempre si
ritrova invece il principio per cui i rappresentati siano revocabili dagli elettori.
Questo ha indotto a ritenere che lesperienza statunitense non abbia accolto universalmente il
principio del mandato imperativo, ad essere accolta solo lidea che i rappresentanti siano
sottoposti al controllo democratico degli elettori.
La rappresentanza politica stata quindi considerata come processo collegato ad uno stabile
rapporto di comunicazione tra eletti ed elettori. Rimangono per gli interrogativi di fondo e
precisamente se sia conciliabile listanza democratica del controllo sui rappresentati con
lautonomia decisionale dei rappresentanti, senza la quale il processo politico perderebbe la sua
libert di azione per ridursi a pura amministrazione, e soprattutto la possibilit per le societ
pluralistiche di essere rappresentate.



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4. La controversia mandato/indipendenza e gli assetti della forma di governo
Si tratta di interrogativi cui non possibile dare una risposta esaustiva in questa sede. Quello che
pu essere sottolineato il fatto che su questi temi non possibile generalizzare in quanto il tema
della rappresentanza va inquadrato nei concreti e differenti assetti della forma di governo.
Non c alcun dubbio che il principio del libero mandato parlamentare non diretto solo alla
protezione dello status individuale del parlamentare, ma indirettamente rappresenta anche una
garanzia di libert del processo politico e opera come fattore di democrazia interna dei partiti. Si
pu dire quindi che:
- nelle forme di governo in cui presente un minor livello di conflittualit tra i partiti e le
altre espressioni della societ civile e dove lorganizzazione interna dei partiti fortemente
istituzionalizzata, la garanzia del libero mandato dei parlamentari pu rimanere sullo
sfondo e ha meno possibilit di produrre effetti;
- mentre negli assetti di governo dove vi una minore coesione del sistema politico tale
garanzia pu esplicare maggiormente i suoi effetti e le sue potenzialit.

CAPITOLO V ORGANIZZAZIONE DELLA POLITICA E FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE

1. Lo studio dei regimi parlamentari tra storia e teoria generale. La classificazione dei governi
parlamentari e le trasformazioni della forma di stato
E fuori di dubbio che il governo parlamentare si sia presentato storicamente in una molteplicit di
varianti tanto che gli studiosi hanno avvertito la necessit di individuare i principi fondamentali
comuni, la presenza dei quali avrebbe permesso di qualificare come parlamentare una forma di
governo distinguendola dalle forme di governo di tipo diverso.
Tuttavia per arrivare ad una sistemazione per tipi delle forme di governo parlamentare
necessario tenere presente linterdipendenza tra forma di stato e forma di governo e quindi le
articolazioni della relazione tra governanti e governati, tra sistema politico e societ civile.

2. Lopposizione tra monismo e dualismo nella storia dei regimi parlamentari
Una prima linea di distinzione tracciata dagli studiosi per classificare i regimi parlamentari quella
tra assetti di governo di tipo dualista e quelli di tipo monista.
- I primi (dualista) sono quelli dove il potere principale delle assemblee rappresentative
fronteggiato e controbilanciato da un capo dello stato titolare del potere esecutivo, del potere di
revoca dei ministri e del potere di scioglimento.
- Gli assetti di tipo monista invece si basano sulla relazione tra parlamento e gabinetto.

Su questa distinzione, in seguito, si innestata, soprattutto in Francia ad opera dei costituzionalisti
della III repubblica, una diversa ricostruzione del regime parlamentare alla luce della divisione dei
poteri, secondo due indirizzi fondamentali.
- Il primo indirizzo, detto dellequilibrio, si basa su un dualismo paritario tra capo dello stato
e parlamento e quindi su un sistema di equilibrio realizzato grazie alla funzione di
cerniera affidata al gabinetto.
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- Il secondo indirizzo invece ritiene lassetto dellequilibrio incompatibile con laffermazione
del principio della sovranit nazionale e prevede invece un assetto parlamentare dove
lattivit di governo dipenda dalla volont della camera elettiva.

C da dire che sia le teorie dualistiche che quelle monistiche permettevano sia uno studio fondato
sullelaborazione di un modello parlamentare astratto cui di volta in volta ricondurre le varie
esperienze costituzionali che uno studio tendente invece a storicizzare e classificare i regimi
parlamentari che concretamente si realizzavano nel periodo tra le due guerre.

3. Il parlamentarismo razionalizzato e lintegrazione tra stato dei partiti e forma di governo
parlamentare
Un altro criterio distintivo, alternativo alla coppia monismo-dualismo quello tra regime
parlamentare classico e parlamentarismo razionalizzato introdotto da Mirkine-Guetzevch.

- Il parlamentarismo razionalizzato sarebbe secondo questo studioso caratterizzato da una
tendenza a razionalizzare il potere, sottoponendo lattivit dei vari attori politici ad un
sistema di obblighi giuridici e regole di comportamento, dirette soprattutto ad assicurare
allesecutivo una maggioranza stabile.

Sebbene lautore sia giunto a questa tesi in base allesigenza di rispondere alla trasformazione
della competizione politica avutasi nellepoca del suffragio universale e dei partiti di massa, essa si
rivela solo parzialmente idonea alla comprensione di una trasformazione costituzionale cos
imponente. In quanto essa una formula riassuntiva troppo schematica per fissare i caratteri dei
regimi parlamentari del novecento.
Tuttavia utile per sintetizzare lideologia del pensiero costituzionale di larga parte delle forze
politiche della resistenza dopo la seconda guerra mondiale, in quanto offre una risposta politica ai
rischi degli esiti autoritari e totalitari della democrazia di massa.
Inoltre la teoria del parlamentarismo razionalizzato stata utile per riconsiderare i congegni della
responsabilit politica nei rapporti tra parlamento e governo spostando lattenzione dalla
situazione di crisi del rapporto a quello dellinstaurazione della fiducia.
In tal modo superando la concezione tardo assolutista dellonnipotenza del potere politico e
portando a compimento una istanza fondamentale del costituzionalismo.
Inoltre la formula del parlamentarismo razionalizzato utile per sistemare la tendenza
allintegrazione tra regime parlamentare e stato dei partiti attraverso la sottolineatura del
rapporto tra mediazione dei partiti e stabilit dellesecutivo. E anche vero che tale formula
tuttavia non era in grado di giustificare lincidenza del tessuto pluralistico sulle variabili delle forme
di governo.
Non a caso infatti quando, nella seconda met del 900, questo aspetto sarebbe divenuto rilevante
nello studio dei regimi parlamentari, la formula del parlamentarismo razionalizzato sarebbe caduta
in disuso mentre sarebbe riemersa lopposizione tra monismo e dualismo per spiegare i diversi
livelli di strutturazione del principio maggioritario.

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4. Forma di governo parlamentare, sistema politico e complessit sociale
Il problema dellincidenza del tessuto pluralistico della societ sulla forma di governo stato al
centro della fase pi recente del dibattito sui regimi parlamentari.
Tale dibattito ha preso in primo luogo in considerazione il numero dei partiti distinguendo tra
regimi parlamentari bipartitici e multipartitici (con al centro il tipo intermedio dei regimi a
multipartitismo temperato), o lincidenza dei modi di selezione dei leaders del partito sul tipo di
legame tra premier e maggioranza parlamentare, distinguendo regimi a strutturazione rigida dai
regimi a strutturazione flessibile.
Ancora, stato preso in considerazione anche le forme attraverso le quali si realizza il principio
democratico distinguendo:
- tra regimi a democrazia mediata, dove il sistema dei partiti molto frammentato e quindi
determina una certa separazione tra corpo elettorale e indirizzo politico;
- e regimi a democrazia diretta, dove il sistema partitico molto strutturato e quindi
determina la capacit dei rappresentanti di influire in modo decisivo sugli orientamenti del
governo, tendenza questultima che pu essere accentuata con linnesto di meccanismi di
tipo plebiscitario (elezione diretta del capo dello stato o del premier).
o Sono stati poi distinti regimi ad alternanza assoluta dove il passaggio dalla
maggioranza allopposizione deriva direttamente dalle consultazioni elettorali
o e regimi ad alternanza mediata dove essa non risultato diretto delle elezioni ma
di successivi mutamenti di alleanza tra i partiti.
Tutti questi indirizzi testimoniano lo sforzo della dottrina di sistemare una serie di esperienze
costituzionali concrete intorno ad un nucleo di principi ritenuti fondamentali, il cui obiettivo
comune il rapporto tra lintegrazione del tessuto pluralistico della societ e la struttura della
forma di governo.

5. Lesperienza inglese e lo studio dei regimi parlamentari - Il governo parlamentare come governo
dei partiti nellinterpretazione dei vari regimi parlamentari
La dottrina ha tenuto ben presente il rapporto tra lo sviluppo storico del regime parlamentare e
lesperienza inglese.
E fuori di dubbio che il sistema parlamentare inglese sia stato fin dalle origini un sistema di
governo dei partiti. Infatti non solo il consolidamento del regime parlamentare inglese avvenuto
di pari passo con lo sviluppo dei partiti politici ma soprattutto si venuto formando un sistema di
convenzioni che hanno determinato il fatto che lindirizzo politico sia conseguenza dellopinione
pubblica strutturata in partiti.
Se ci vero per il regime britannico nella fase pi matura (successiva al Reform Act del 1832) il
cui funzionamento stato condizionato sicuramente dal grado di organizzazione del sistema
partitico (basti pensare al fatto che il Cabinet sia configurato come il comitato del partito che
dispone della maggioranza nella camera dei comuni o al fatto che il prestigio del premier dipende
dallinvestitura dl leader del partito vincitore delle elezioni).
Tutto ci tuttavia ha radici profonde nella storia del costituzionalismo inglese, infatti sin da quando
si pass dal governo dualistico bilanciato, al governo parlamentare, la supremazia del parlamento
era caratterizzata da una forte componente rappresentativa e lo stesso era considerato non come
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il luogo di unificazione politica attraverso la discussione ma come luogo della mediazione di
interessi contrapposti, che andavano confrontati e conciliati.
Tale conciliazione era per resa possibile dal partito politico che andando ad unire gli interessi
della societ civile intorno ad alcuni principi fondamentali rendeva possibile il collegamento del
corpo elettorale al parlamento.

6. Governo parlamentare e governo rappresentativo. Modelli della forma di governo parlamentare
e teorie della rappresentanza politica
La riflessione da parte dei giuristi sul governo parlamentare fra l800 e il 900 aveva quindi ben
presente come il sistema britannico potesse essere un prezioso oggetto di studio per valutare gli
adattamenti del sistema di governo alla trasformazione del sistema partitico.
Era evidente per gli studiosi come la funzionalit del sistema parlamentare fosse legato al
crescente radicamento sociale dei partiti politici e quindi la consapevolezza del fatto che
lorganizzazione della societ politica in partiti fosse essenziale al sistema di governo britannico.
A questa intuizione di fondo del dibattito di quegli anni si collegano due importanti temi di
discussione.

- Il primo riguarda il rapporto tra governo parlamentare e governo rappresentativo.
A tale proposito si riteneva che il governo parlamentare potesse essere considerato come variante
del pi ampio genere dei governi rappresentativi, questo perch alle camere legislative
spetterebbe non solo il giudizio sugli uomini preposti al governo ma anche la direzione su di esso.

Tuttavia se lo studio dellesperienza inglese poteva condurre a concepire il regime parlamentare
come una variante democratica del governo rappresentativo, nellesperienza continentale
europea tale legame rispondeva ad esigenze diverse.
Il parlamentarismo inglese infatti era costruito su un nesso permanente tra opinione pubblica
organizzata in partiti e formazione dellindirizzo politico, mentre nellesperienza continentale (in
special modo francese) questo nesso era concentrato solo sul potere di investitura delle
assemblee rappresentative da parte del corpo elettorale.

Diversi erano anche le esigenze alla base dellassetto di governo:
- in quanto mentre il governo parlamentare inglese, mirava alla composizione e al
compromesso tra i diversi interessi,
- mentre il governo continentale (in special modo francese) mirava al raggiungimento della
unificazione della societ politica, attraverso una superiore razionalit da ricercare
attraverso la discussione, motivo per il quale scopo del governo rappresentativo sarebbe
quello di concentrare la ragione che esiste sparsa per la societ e di applicarla al governo.

C da dire che in Francia gli equilibri del governo parlamentare erano comunque legati ad una
concezione della rappresentanza costruita sulla separazione tra societ civile e societ politica;
mentre in Inghileterra era possibile uno sviluppo in senso democratico grazie ad una grande
omogeneit politico-sociale della societ.
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7. Legal soverignty e political sovereignty nella storia del regime parlamentare inglese

- Il secondo tema di discussione riguarda il carattere giuridico del governo parlamentare.

Si spesso ritenuto che il governo britannico non si sia mai tradotto in un complesso di relazioni
giuridicamente vincolanti per i vari soggetti costituzionali, ma si sia limitato a rispecchiare gli
equilibri che si sono formati sulla base convenzionale tra i vari soggetti costituzionali.
Occorre per dire che questo sistema di governo basato su regole volontariamente rispettate da
tutti, in quanto rispondenti ad una necessit politica, pu cominciare a delinearsi nella storia
costituzionale inglese solo dopo la rivoluzione del 1688.
Infatti nella fase precedente, caratterizzata da un rapporto conflittuale tra corona e parlamento, il
sistema di governo era pi basato su una prospettiva contrattualistica di unificazione del
processo politico che aveva come obiettivo quello di imporre il primato del parlamento allinterno
di una cornice legale a sfondo garantista.
Infatti il primato del parlamento e del potere legislativo in questa fase veniva considerato come la
conseguenza e come tale veniva posto in continuit con lantico monopolio della giurisdizione di
epoca medievale.
Questa fase della storia costituzionale inglese pu essere messa in luce attraverso la filosofia
politica di Locke.
Possiamo infatti dire che lopera di Locke si colloca allinterno del filone giusnaturalistico-
contrattualistico, in quanto lautore ritiene che il potere civile derivi dai diritti dellindividuo nello
stato di natura e pertanto ci che va ad unificare tutti i diversi poteri dello stato il fatto che essi
sono tutti finalizzati alla protezione dei diritti individuali, che costituiscono loggetto del contratto
sociale.
La teoria di Locke anche una teoria della gerarchia dei vari poteri statali in quanto tra di essi un
ruolo primario affidato al potere legislativo in quanto fondato sul consenso della cittadinanza
politicamente attiva.
Alla sovranit politica della maggioranza della borghesia politicamente attiva, si affianca cos nel
pensiero di Locke la supremazia giuridica della legge e laffermazione del vincolo degli altri poteri
allesecuzione di essa.
Nel pensiero di Locke pertanto il principio della separazione dei poteri si realizzava nella garanzia
della prevalenza del diritto creato dal parlamento, e costituiva un sostegno alla lotta della
borghesia culminata con la rivoluzione del 1688.
Successivamente per si sarebbero avuti altri sviluppi della storia costituzionale per trovare
soluzioni pi aderenti alla nuova realt sociale venutasi a creare dopo il consolidamento della
posizione dei ceti borghesi e linizio di una fase pi fluida dei rapporti tra la borghesia e le altre
componenti della societ inglese.
Tali sviluppi avrebbero risolto la questione della giuridicit dei rapporti tra i soggetti costituzionali
in un sistema di equilibrio tra le componenti politiche chiamate a concorrere allesercizio della
sovranit. E questo un passaggio fondamentale per capire i presupposti del parlamentarismo
inglese nel quale la tendenza a modellare gli assetti di governo sul tessuto pluralistico della societ
fu sempre accompagnata dalla ricerca dei limiti del potere politico.
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Possiamo citare ad esempio il principio di una legge pi alta in grado di limitare lonnipotenza del
parlamento, principio basato sul consenso tra re, lords e comuni, o al principio di una superiore
lealt costituzionale tra i partiti capace di sorreggere lequilibrio del potere, sia il principio di
porre il motivo centrale della costituzione nel principio rappresentativo riconducendo la
legittimazione del parlamento ad un potere non originario ma fondato sullelezione da parte del
popolo, non considerato come una entit unitaria ma come rispecchiante la struttura organica
della societ. Il rapporto tra gli assetti della forma di governo e il tessuto pluralistico della societ
assumeva quindi un rilievo ben maggiore rispetto alle teorie costituzionali precedenti la
rivoluzione. Sebbene comunque anche queste teorie non si muovessero del tutto al di fuori del
contrattualismo era gi presente comunque lidea di un assetto di governo fondato su un
profondo radicamente dello spirito costituzionale nellopinione pubblica.
In seguito il regime parlamentare britannico si sarebbe trasformato rispetto agli assetti originari
evolvendosi in senso monista ma la tendenza a collegare la forma di governo con lequilibrio tra le
componenti politiche della societ non sarebbe mai venuta meno.
- La riflessione di Harold Laski, si colloca nel XX secolo, periodo in cui il Cabinet era divenuto, pi
che la fibbia che aggancia lesecutivo al legislativo, il vero motore del sistema di governo ma anche
periodo dei grandi conflitti della democrazia di massa.
Per tale motivo il collegamento tra il tessuto pluralistico della societ e il governo parlamentare
secondola riflessione di Laski avviene mediante la lealt e il compromesso nelle relazioni tra i vari
gruppi sociali, ossia tra i partiti.
Se infatti il baricentro della forma di governo si spostato verso il Cabinet tale regime non
rappresenta per Laski una forma di concentrazione del potere politico ma solo di stabilizzazione
del compromesso tra i partiti, in quanto proprio il sistema partitico che consente, di esprimere
un governo e di mantenerlo al potere.
Inoltre Larski cerca di adattare questo schema, sviluppatosi storicamente con lespansione
delleconomia capitalistica, ad un momento storico che vende lo sviluppo del movimento operaio
e dello stato sociale interventista. Infatti secondo Larski la conciliazione della democrazia politica,
fondata sullinvestitura plebiscitaria del Cabinet con la democrazia sociale richiede un sistema di
partiti molto coeso e capace di assorbire al suo interno tutti i contrasti presenti nella societ
civile.
Anche in ci linterpretazione di Laski del governo parlamentare come di un sistema basato sul
compromesso e sulla conciliazione dei conflitti rientra nellorbita tradizionale del
costituzionalismo inglese.

8. Tessuto pluralistico della societ e assetti della forma di governo parlamentare. Il dibattito sulle
conventions della costituzione
La dottrina costituzionale inglese si posto linterrogativo se le regole convenzionali che nascono
dai rapporti tra i vari soggetti costituzionali:
- siano in grado da sole di fissare limiti al potere politico
- o se al contrario esse possono solo concorrere a fissare un quadro di limiti al potere
politico che affondano le radici soprattutto nella legge.
Significativo a questo proposito il contrasto dottrinale tra Dicey e Jennings.
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- Per entrambi gli autori i rapporti tra i vari soggetti costituzionali danno vita a regole e a
convenzioni che sono al tempo stesso espressione della loro autonomia e parte integrante
dellassetto costituzionale.
- Per entrambi gli autori, le convenzioni hanno un ruolo centrale nella definizione e nello
sviluppo del regime parlamentare.
La differenza tra le due posizioni sta nel fatto che:
- Jennings ritiene che le convenzioni concorrano liberamente con le altre fonti del diritto
costituzionale. Per Jennings le convenzioni sono lespressione di una libert dei soggetti
costituzionali che funzionale a raggiungere laderenza della forma di governo alle
caratteristiche del sistema politico.
- Mentre Dicey ritiene invece che le convenzioni possano avere una funzione solo sussidiaria
rispetto al sistema legale. Per Dicey invece le convenzioni contribuiscono a definire un
quadro di limiti al sistema politico, limiti accettati e concordati nellambito delle relazioni
tra i soggetti costituzionali.
Entrambi gli approcci tuttavia ci fanno comprendere il forte legame nel regime parlamentare tra il
fenomeno delle regole convenzionali e il grado di omogeneit sociale e di stabilita politica
esistente nella societ, con la conseguenza della difficolt di utilizzare le convenzioni al di fuori
dellesperienza costituzionale inglese nellambito di contesti sociali pi conflittuali.
Infatti le convenzioni danno luogo ad una serie di regole basate sullaspettativa reciproca
dellazione altrui nellambito di un calcolo di utilit e per tale motivo si fondano su equilibri che
richiedono un alto grado di stabilit politico-sociale e di condivisione di principi dellassetto
costituzionale.
Secondo Laski, il quale riprende un tema gi formulato da Burke, le convenzioni riescono ad
affermarsi come prevalenti in base allaccordo tra i partiti sullelaborazione della costituzione.
Il fatto che si voglia sottolineare laccordo tra i partiti come fondamento del fenomeno delle
convenzioni, mette in luce quello che abbiamo affermato pocanzi, ossia lo stretto legame tra il
fenomeno convenzionale e le condizioni di omogeneit sociale.
Non a caso infatti in periodi pi conflittuali della storia costituzionale inglese la supremazia del
parlamento veniva ricondotta al riconoscimento del primato della legge e dellesigenza di fondare
su basi strettamente giuridiche i rapporti tra i soggetti costituzionali (non pi attraverso le
convenzioni, ma mediante la legge).
Allo stesso modo la supremazia della legge avrebbe avuto fine al momento in cui in conflitti
sarebbero stati superati, andando a ridimensionare la supremazia politica del parlamento a favore
dellasse corpo elettorale-Cabinet (attraverso la mediazione del partito di maggioranza).
Infine di fronte ai fattori di difficolt dati dalla crisi economica del primo dopoguerra e dallo
sviluppo del movimento operaio che producevano contraccolpi nellomogeneit sociale della
societ , stato necessario utilizzare la legge nelle regole del gioco del parlamentarismo.




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9. Leadership democratica e parlamentarismo: il problema della storicit della forma di governo
parlamentare
Nella riflessione di Larski le convenzioni che nascono dai rapporti tra i vari soggetti costituzionali
costituiscono anche una espressione della libert del sistema politico e una garanzia contro il
pericolo che la forma di governo funzioni in modo da determinare la separatezza tra il sistema
politico e la societ civile.
La posizione centrale delle convenzioni costituisce quindi la risposta di Laski al problema della
compatibilit tra democrazia e forma di governo parlamentare, problema che ha focalizzato
lattenzione della letteratura costituzionalistica tra le due guerre.
La posizione di Laski, quindi, si basa su un raccordo permanente tra societ politicamente
organizzata e formazione dellindirizzo politico; essa si trova in netta antitesi con le teorie della
razionalizzazione della forma di governo parlamentare diffuse nelle esperienze costituzionali
europee gi dal primo dopoguerra che andavano ad introdurre a loro volta, nel sistema
parlamentare, dei correttivi e congegni di tipo plebiscitario.
Nelle esperienze costituzionali europee quindi si andava a sovrapporre al rapporto tra
maggioranze e opposizione, centrato sulla rappresentazione, alcuni congegni che mirando a
legittimare democraticamente i soggetti costituzionali attraverso linvestitura diretta da parte di
una volont popolare presupposta come un tutto unico, delineavano tuttavia una forma di
governo basata sulla separatezza delle istituzioni dalla societ politicamente organizzata.
Occorre riconoscere anche che il trasferimento del modello parlamentare britannico (nato in un
contesto pluralistico omogeneo ed ordinato), nellEuropa Continentale ha incontrato resistenze e
difficolt.
Infatti gli stati dellEuropa continentale erano caratterizzati da una maggiore frammentariet del
tessuto pluralistico sociale senza contare che lo stato di recessione economica e di crisi
sopravvenuto dopo la prima guerra mondiale, che richiedeva un maggiore intervento statale in
campo economico, impediva alle forze politiche ed economiche di raggiungere compromessi ed
equilibri in modo autonomo.
Non deve quindi stupire come questi fattori abbiano spinto verso ladozione di sistemi che
tendevano a rafforzare i poteri di decisione nellambito della sfera politica svincolandoli dai
compromessi e dalla mediazione del sistema partitico cercando nel contempo di fronteggiare gli
antagonismi sociali tipici di una democrazia di massa attraverso lintroduzione di congegni
plebiscitari fondati sulla premessa di una volont popolare unitaria identificata in modo astratto
con linteresse collettivo.
In questo modo gli interessi minoritari e quindi il pluralismo sociale venivano lasciati fuori dal
terreno politico. Questa fu la scelta della costituzione di Weimar che cerc di far coesistere a
forma di governo parlamentare con lelezione popolare del presidente del Reich, al fine di
contenere la conflittualit politico-sociale.
Illuminante a questo proposito lanalisi sulla costituzione di Weimar elaborata da Max Weber il
quale giustificava la necessit dellelezione diretta del capo dello stato sulla base di alcuni
presupposti:
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- In primo luogo solo lelezione diretta poteva assicurare contro la frammentazione partitica
la creazione di un vertice statale che poggiasse sulla volont del popolo intero, senza
intermediari.
- In secondo luogo lo stesso progetto di trasformazione in senso sociale delleconomia
richiedeva un vertice politico che fosse legittimato da una investitura plebiscitaria, che solo
un presidente del Reich sostenuto dal voto di milioni di persone poteva assicurare.

- Sul versante opposto Carl Schmitt ritiene invece che la costituzione di Weimar abbia tentato un
compromesso impossibile tra democrazia di massa e parlamentarismo ,la quale ha trascurando il
profondo radicamento di questultimo nella tradizione dello stato liberale ottocentesco.
Schmitt sosteneva invece una visione dello stato come trascendente rispetto alle divisioni
politiche e agli antagonismi sociali, e quindi un radicale dualismo tra stato e societ , il primo
inteso come luogo esclusivo della politica e la seconda come luogo sostanzialmente a-politico.

Il dibattito sul rapporto tra componenti rappresentative e componenti plebiscitarie che riprende
nel secondo dopoguerra sembra sostanzialmente ancora ispirato allesperienza Weimariana.
Tratto comune a questi indirizzi la convinzione che il ruolo dei partiti non sia pi riconducibile
agli schemi del principio rappresentativo in quanto negli ordinamenti di democrazia pluralistica
lelemento plebiscitario consenta lorganizzazione delle masse nel processo politico.
- Possiamo citare Leibholz secondo il quale lidea della rappresentanza sarebbe una tipica
espressione della societ liberal-borghese e quindi non pi adeguata alla comprensione delle
democrazie di massa, dove il processo politico si svolge allinterno del sistema dei partiti, dove la
cittadinanza attiva si organizza ed esprime la sua volont. Lo stato dei partiti sarebbe quindi una
forma di democrazia plebiscitaria in quanto i partiti rendendo il popolo capace di agire secondo
una volont unitaria sarebbero in pratica lautorganizzazione del popolo stesso.

- Possiamo citare anche Ernst Frankel, il quale muovendo dal presupposto che nelle forme di
governo democratico si combinano elementi rappresentativi ed elementi plebiscitari, ritiene che
nelle democrazie parlamentari i due elementi vengano unificati attraverso lazione dei partiti.
Infatti i partiti, in quanto gruppi parlamentari sono esponenti di un sistema rappresentativo di
governo e in quanto organizzatori delle masse sono rappresentanti di un sistema plebiscitario di
governo. Secondo Frankel quindi lequilibrio tra i due elementi interamente riposto nella
capacit dei partiti di rispondere alle domande che provengono dalla societ e di evitare che la
tensione tra i due elementi raggiunga un punto di rottura e che la richiesta di istituzioni
plebiscitarie si mantenga in limiti politicamente accettabili.
Questo tipo di interpretazione delle democrazie parlamentari presuppone non solo un elevato
grado di coesione del sistema politico, ma anche una fiducia eccessiva nella possibilit di
democratizzazione interna dei partiti in quanto, come osservato dallo stesso Frankel, solo se
allinterno dei partiti viene conservato un sufficiente spazio di azione alle forze plebiscitarie si pu
avere una costituzione veramente rappresentativa.

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A questo proposito dobbiamo mettere in risalto le difficolt di far prevalere allinterno dei partiti la
democrazia interna sulla naturale tendenza al rafforzamento degli apparati, e cosa ancora pi
problematica, il fatto di collocare lelemento plebiscitario unicamente nel sistema dei partiti.

Questultimo fatto appare infatti molto problematico nelle moderne democrazie di massa dove le
tendenze plebiscitarie tendono a collocarsi anche in canali diversi e dove la crescente
frammentazione e diversificazione delle domande provenienti dai vari strati delle societ tendono
a mettere in crisi lo stesso sistema partitico.

Nel dibattito pi recente ci si orientati verso forme di governo parlamentare che contengono
ibridamente sia elementi rappresentativi che plebiscitari.
Ma anche in questo caso sorgono degli interrogativi, dati dal fatto che luso di elementi tratti da
forme di governo diverse potrebbe privare il modello parlamentare delle sue caratteristiche di
flessibilit, senza contare che occorrerebbe valutare la funzionalit di tali congegni anche rispetto
alla forma di stato e non solo alla forma di governo.
Occorre ricordare infatti che i meccanismi plebiscitari vanno a realizzare la legittimazione degli
organi politici sulla base solo del voto popolare di investitura, evitando cosi il collegamento
permanente tra il governo politico e la societ politicamente organizzata.
Mentre i meccanismi rappresentativi invece tendono a spostare il centro del sistema di governo
dallinvestitura popolare, alla dipendenza permanente degli organi politici da parte dellopinione
pubblica organizzata.

La compatibilit tra i due meccanismi resta quindi problematica perch richiede che linnesto di
componenti plebiscitarie trovi il necessario contrappeso in un sistema partitico coeso, che riesca a
legare la societ civile e lorganizzazione politica dello stato, obiettivo che i sistemi di governo
sbilanciati in senso plebiscitario non sembrano in grado di assicurare.

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