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prof. F.Musella
Capitolo 1
La separazione dei poteri esposta da Montesqui rappresenta un vero e proprio mito
della democrazia occidentale, questo schema sopravvissuto in epoche pi recenti
anche se l'osservazione empirica continuava a mostrarne le fragilit: per esempio il
tema delle relazioni tra governo e Parlamento stato interpretato spesso con una
prospettiva di analisi che d per scontato un dualismo istituzionale, esecutivo e
legislativo sono considerati come due organi autonomi di cui si pu misurare la forza.
Pi difficile adottare la medesima prospettiva dopo lo sviluppo dei moderni partiti di
massa, quando le formazioni collettive agiscono come potente collegamento tra
governo e Parlamento, determinandone di fatto una sorta di fusione istituzionale. Il
partito domina il Parlamento, essendo in grado di dettare la disciplina ai suoi aderenti,
esso agisce infatti in assemblea come unico possibile principio ordinativo: come
afferma Calise grazie allo sviluppo del partito politico che un'assemblea litigiosa di
rappresentanti del popolo si trasforma in un numero limitato di gruppi parlamentari,
tenuti insieme dai medesimi valori e, soprattutto, dalla consapevolezza che unendosi
fosse possibile conquistare il governo a tenere saldamente in pugno le redini.
I governi assumono la forma di una semplice emanazione del potere partitico, si pensi
alla quantit di decisioni di rilevanza collettiva prese nelle sedi partitiche e alla
predominante partitizzazione del personale ministeriale. I partiti riescono a
determinare la formazione degli esecutivi spartendosi le spoglie ministeriali, e
gettando poi le principali linee del policy-making nazionale, il cosiddetto governo di
partito/party governement. Perch si possa parlare pienamente di un governo con
una legittimazione indipendente da quella del Parlamento stata necessaria un'ritorno
al passato monocratico, anche in questo caso sono gli Stati Uniti a presentare
all'Europa il proprio destino istituzionale. All'inizio del secolo scorso i presidenti, infatti,
hanno cominciato a prendere pieno vantaggio dal instaurazione di una relazione
diretta con l'elettorato, affermando la propria leadership sui processi di decisionmaking, in modo via via sempre pi indipendente rispetto ai partiti. Il caso italiano ha
conosciuto negli ultimi anni una linea di cambiamento che ricorda quella registrata
oltre oceano, a partire dagli anni 90 la tradizione partitocratica italiana rimessa in
discussione, contrastata, dall'emergere di un diverso principio di regolazione dei
poteri: quello che affida al leader della responsabilit di governare sulla base di un
rapporto di tipo diretto, elettorale o mediatico, con la cittadinanza.
In Italia i partiti hanno assunto un posto di primo piano fin dagli esordi della
costituzione repubblicana, cio nei lavori dell'assemblea costituente infatti il confronto
tra due significativi ordini del giorno segnalava molto chiaramente la direzione verso
cui si indirizzava, dalle sue origini, il sistema politico italiano:
- il primo ordine del giorno, Dossetti, affermava la necessit del riconoscimento
giuridico dei partiti politici e dell'attribuzione ad essi di compiti costituzionali. I partiti
erano considerati la vera architrave del regime nascente. Nel testo finale della
costituzione non si fisser la rilevanza del partito come organo dello Stato: Tranfaglia,
proprio nel momento in cui i partiti si stanno affermando come fattore essenziale di
tutta la politica, anche di quella parlamentare, si decise di far finta che contassero
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party government, mettendo a fuoco tratti definito di che si riveleranno validi anche
per la comprensione del caso italiano, Richard Katz nel suo lavoro lo legava
l'emergere di tre caratteristiche: tutte le principali decisioni di governo sono prese
da persone scelte dai cittadini in elezioni basate su contrapposizioni di partito; le
politiche sono elaborate dai partiti di governo; che le pi alte cariche sono nominati
all'interno dei partiti e sono responsabili nei confronti dei cittadini attraverso i loro
partiti. In questo modo si proponeva di considerare il grado di penetrazione dei partiti
nelle istituzioni statali, attraverso la considerazione del controllo sviluppato da questi
sul decision-making.
Ma come si pu inquadrare il party-government italiano alla luce dei canoni della
modellistica costituzionale?
- In primo luogo, bisogna considerare la legittimazione del capo del governo, questa
nei regimi partitocratici per di +1 fatto extra elettorale, dal momento che la
designazione del vertice dell'esecutivo proviene dai partiti. Tuttavia malgrado la carta
costituzionale assegna al capo dello Stato significativi poteri nei processi di formazione
del governo, l'osservazione empirica ha lasciato riscontrare l'assunzione di un ruolo
solo ratificato olio rispetto alla volont dei partiti, con spazi molto limitati di
discrezionalit. Il presidente della Repubblica ha potuto agire da ago della bilancia solo
in circostanze di difficile accordo tra i partiti, in generale si pu asserire che i partiti
sembrano consentire al presidente di esercitare un effettivo potere di nomina in
ragione della loro temporanea debolezza nella formare maggioranze. La designazione
del primo ministro, dunque, era da considerarsi una prerogativa dei partiti, ed era
all'origine dell'intrinseca debolezza dell'istituzione governativa. Ne conseguiva che
anche la crisi del governo costituisse un fatto assolutamente extraparlamentare.
- Un secondo elemento, che appare utile per definire il regime partitocratico, riguarda i
rapporti tra governo e Parlamento. Tale regime si caratterizza per dar vita ad una
fusione dei poteri tra i due rami istituzionali, producendo fra questi un continuum
politico: Calise tanto legislativo quanto l'esecutivo dipendono dall'organizzazione di
partito, sia per l'appoggio elettorale, che per il reclutamento delle elite di governo.
Ben si inserisce in questo quadro la prima Repubblica italiana, dove il predominio dei
partiti anche accentuato dall'impianto proporzionale del sistema elettorale. I membri
del Parlamento sono, infatti, in una condizione di subordinazione rispetto alle gerarchie
di partito, che ne determinano le candidatura e condizionano l'attivit politica.
- Infine un terzo elemento caratterizzante la partitocrazia, riguarda la struttura
dell'esecutivo, che assume forme marcatamente collegiali. In Italia, nonostante le
prerogative formalmente riconosciute al presidente del consiglio nella formazione della
squadra di governo, la compagine ministeriale era nominata dalle forze della
maggioranza secondo una logica compromissoria. Il primo ministro si qualificava come
un primus inter pares senza significative possibilit di nomina, direzione e
coordinamento dei ministri, Sartori. Adottando la prospettiva di tipo C, il ruolo del
primo ministro in Italia viene classificato senza incertezze tra i pi deboli d'Europa, il
suo rafforzamento avverr solo negli ultimi anni, quando il declino del partito come
attore chiave nei processi della rappresentanza, porter alla perdita della sua
centralit nell'attivit governativa. La conduzione dell'esecutivo in queste fasi stata
definita a direzione plurima dissociata: in esso impallidisce il ruolo del presidente
del consiglio, perch la funzione di stimolo e coordinamento del capo dell'esecutivo
degrada a semplice mediazione, e si indebolisce allo stesso tempo anche l'identit del
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metafora della repubblica delle citt ma che le realt locali che compongono il
nostro paese avrebbero assunto un ruolo propulsivo per il sistema politico nel suo
complesso. Cambiavano profondamente le pratiche di governo locale, che trovavano
un nuovo baricentro nella capacit di indirizzo politico dei nuovi sindaci: in tale fase
stata registrata la tendenza massima al presidenzialismo sostanziale, alla
marginalizzazione dei partiti dalle decisioni di governo, e il pi alto uso di tecnocrati
privi di affiliazione partitica. Il meccanismo dell'investitura diretta del presidente della
regione viene fissato solo a fine anni 90, il presidente sfrutta appieno i nuovi poteri di
nomina e revoca dei componenti della giunta, sempre pi spesso formando compagini
governative interamente composte da non consigli, quasi a sottolineare la propria
autonomia rispetto ai partiti. Alla luce di queste nuove prerogative, in media hanno
accolto i nuovi leader demo-eletti attribuendo loro il titolo, forse improprio, di
governatori.
Un cambio di regime.
Il passaggio dalla repubblica dei partiti a quella dei presidenti negli anni 90 si pu
analizzare prendendo in considerazione gli elementi gi utilizzati per definire la
partitocrazia: le modalit di formazione del governo, i rapporti esecutivo assemblea,
gli equilibri all'interno del Consiglio dei Ministri.
- In primo luogo, prende vita una nuova fonte di legittimit del primo ministro. Le
alleanze elettorali si formano prima delle elezioni, cos che gli elettori possano
conoscere all'atto del voto, in nome della guida del governo. Si realizz un
meccanismo di elezione quasi diretta del presidente del consiglio, per effetto da una
parte dell'indicazione del nome del primo ministro imposizione di capolista della
coalizione, dall'altra, del processo di bipolarizzazione del sistema dei partiti, che
spinge a pensare alle competizioni elettorali come uno scontro tra due candidati. Il
premier si propone come interprete della maggioranza degli elettori sulla base di un
proprio mandato a decidere. Una tendenza che ha riguardato in particolare Silvio
Berlusconi. L'attacco alla politica tradizionale ritenuta corrotta, il decisionismo e
l'insofferenza verso l'opposizione, il richiamo al popolo come fonte di legittimazione
dell'operato politico e rappresentano i pi limpidi segnali.
- Cambiano anche gli equilibri di potere all'interno delle compagini ministeriali, dove il
presidente del consiglio inizia ad affermarsi come primus super pares. Un nuovo ruolo
del premier si rileva gi nelle attivit di nomina dei ministri; questa dipende dalla
natura composita delle maggioranze, che spinge, e costringe, a cercare un punto di
accordo tra i partiti che la compongono. Tuttavia il primo ministro acquista, rispetto
alla fase precedente, un surplus di potere politico, di cui ha approfittato per nominare
ministri da lui scelti direttamente, Pasquino.
- Il processo di rafforzamento del primo ministro avviene inoltre anche nella prassi
amministrativa, nei primi decenni dell'Italia repubblicana, la presidenza del consiglio
stata un'istituzione debole dal punto di vista strutturale, priva di adeguati mezzi
logistici ed economici. Un mutamento silenzioso riguarda invece, a partire dai primi
anni 80, l'introduzione di nuovi mezzi di direzione dell'esecutivo, che assicurano al
capo dell'esecutivo maggiore centralit capacit di coordinamento. La legge 400/88,
rappresenta un punto di svolta sia nel potenziare gli apparati della presidenza, sia nel
creare un rapporto fiduciario tra ministro il suo scafo, introducendo nel nostro paese
un importante nucleo di spoil system controllato direttamente dal primo ministro. Si
definiscono anche due nuove figure istituzionali: il sottosegretario alla presidenza, che
rappresenta il principale collaboratore politico istituzionale del primo ministro; e il
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La prima fase vede il dominio incontrastato dei partiti politici. Essi hanno
costituito un attore chiave nel processo di consolidamento democratico,
favorendo l'ancoraggio della societ alle neonate istituzioni democratiche,
Morlino. I partiti politici non si sono limitati a mobilitare le masse nel nuovo
progetto democratico, a costruire degli intermediari tra Stato e societ. Nel
corso dei primi decenni repubblicani essi hanno conquistato una posizione di
piena egemonia, non solo nei processi di rappresentanza ma anche nel decisionmaking, assumendo il controllo sulle risorse statali. L'espressione party
government fra le pi lucide nel ritrarli come gli attori preminenti sulla scena
pubblica. Il sistema di governo basato sui partiti stato per rimesso in
discussione, nel nostro paese questo entrata in crisi in un lasso di tempo
molto breve: stato detto che va attivi sono stati come dei giganti dai piedi di
argilla, cotta. Di quelli che componevano l'arco costituzionale repubblicano molti
sono scomparsi, tutti hanno cambiato immagine e natura. In molti si
attendevano da questi cambiamenti una trasformazione maggioritaria delle
nostre istituzioni, un altro governo di partito, questa volta pi vicino al modello
inglese.
La seconda Repubblica ha preso invece una direzione diversa. Un processo di
valorizzazione del potere monocratico ha spezzato il predominio dei partiti sulle
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Capitolo 2
l'America il paese dei presidenti: questa l'immagine che subito si fa presente nella
mente dei cittadini. In realt gi le prime costituzioni vedevano nell'assemblea il cuore
della nascente democrazia. La tensione rinvenibile negli scritti dei padri fondatori
avrebbe poi animato a lungo la teoria politica statunitense. Per tutto il 19 secolo lo
sviluppo del governo presidenziale stato ostacolato dal processo di consolidamento
istituzionale dei partiti politici, che, controllando sia il legislativo che l'esecutivo, hanno
dato vita ad un assetto di fusione tra i due rami istituzionali. I partiti, infatti,
controllavano i canali di accesso alle cariche sia e elettive che amministrative, e su
questa base sono divenuti il cuore dell'indirizzo politico; anche la nomina del
presidente, che secondo i padri fondatori avrebbe dovuto essere espressione della
volont popolare, stata fortemente condizionata dalle macchine di partito.
L'interruzione del dominio dei partiti legata a particolari contingenze storiche, e alla
finestra di opportunit apertasi per i presidenti nel periodo di crisi economica degli
anni 30. allora che inizia a formarsi un circuito di consenso autonomo per il leader di
governo, dal quale egli ricava il sostegno per le sue iniziative politiche, e la forza per
superare i veti incrociati di altri attori concorrenti come il congresso e la corte. La
costruzione della moderna presidenza fa leva su nuove e accurate strategie di
comunicazione di massa che promuovono le azioni e l'immagine del capo dello Stato
presso l'opinione pubblica, anche con il ricorso delle pi evolute modalit di rilevazione
degli orientamenti degli elettori. L'ascesa dei presidenti non sarebbe immaginabile
senza la qualit, il temperamento e l'esperienza di coloro che hanno occupato questa
carica: secondo molti osservatori, la fondazione della presidenza moderna prima di
tutto personale a cui segue un percorso di crescita organizzativa, cresce lo staff del
presidente. Allo stesso tempo crescono per quantit e irrilevanza i poteri normativi del
presidente, grazie alla scelta volontaria del congresso di delegare una quota
consistente delle proprie funzioni legislative, sia per lappropriazione indebita da parte
dell'esecutivo di alcune prerogative del governo, si parlato di usurpazione o abuso.
Per analizzare le diverse fasi costituzionali vissute dagli Stati Uniti, in particolare il
passaggio dal governo dei partiti al governo del presidente, si utilizzer il sistema delle
fonti normative come specchio di questa evoluzione.
La prima repubblica americana. Il primo imprinting costituzionale degli Stati Uniti
di tipo assembleare. Dopo l'indipendenza, la reazione alla figura del governatore come
rappresentante della madrepatria spinse le ex colonie ad adottare assetti istituzionali
nei quali il capo dell'esecutivo fosse eletto dall'assemblea legislativa e conservasse
poteri molto limitati. Le costituzioni dell'epoca ampliarono i poteri parlamentari.
Successivamente, per motivi di ordine geopolitico, innanzitutto per garantire l'unit di
un paese di vaste dimensioni come gli Stati Uniti e per assicurare la centralizzazione
del comando delle operazioni militari, i padri fondatori si convinsero di rafforzare la
figura del presidente, attribuendogli un'investitura popolare al pari del potere
legislativo. Fin da subito era per chiara la tensione fra due concezioni dei poteri, fra
due diverse posizioni sul governo: l'una che ne postulava la sottomissione; l'altra che,
nell'ambito di generosi limiti, lo riteneva completamente autonomo. La stessa apertura
della costituzione americana costituir poi la premessa per la realizzazione di diversi
assetti politico-istituzionali nel corso della storia repubblicana, permettendo dapprima
il rafforzamento del potere dei partiti, e in un secondo momento il loro spot
testamento a favore del presidente. Lungo il 19 secolo, i partiti furono al centro della
scena pubblica americana. Gi a fine 700 le fazioni che componevano il primo
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l'ampliamento dei compiti dello Stato, che stimolato verso interventi sempre pi ampi
in campo economico sociale deve contare sulla maggior forza degli organi di direzione
politica. Ma non la crescita quantitativa dei decreti l'elemento che maggiormente
caratterizza questa fase. La novit principale riguarda, infatti, i rapporti tra legislativo
ed esecutivo, che trovavano nel decreto-legge uno strumento di collaborazione. Il
governo non pi il solo protagonista della legislazione d'urgenza, poich la
decretazione diveniva un punto di contatto tra le volont dei due rami istituzionali.
3)La collaborazione tra legislativo ed esecutivo nella produzione di decreti non viene
meno nella terza fase, che comprende gli anni 80 fino alla met degli anni 90. Tale
arco temporale sembra caratteri zar si per per il deciso sviluppo di una vera e propria
anomalia procedurale: la prassi della reiterazione. I decreti non approvati sono
ripresentati alle camere nella stessa forma, allo scadere dei 60 giorni utili per la loro
conversione in Parlamento, cos da preservarne gli effetti normativi per altri due mesi.
Nei primi anni 90 l'utilizzo della prassi della reiterazione divenne sempre pi
ingestibile. Si pu affermare che la procedura della ripresentazione dei decreti
diventava la modalit ordinaria attraverso la quale si producevano norme primarie nel
nostro ordinamento. In questo modo non solo si produceva un'evidente contraddizione
con l'eccezionalit che dovrebbe contraddistinguere la decretazione d'urgenza, ma si
ingolfava no anche le attivit parlamentari con un numero abnorme di decreti. Si
scontravano inoltre significative ripercussioni sull'ordinamento giuridico nel suo
complesso. Il sistema della reiterazione voleva produrre solo norme transitorie, legate
alla ripresentazione dei decreti. questo un altro elemento che porta ad una
differenziazione con la fase precedente: l'ordinamento stesso vive in una sua
precariet intrinseca. Una simile caratteristica porter a volte il giudice ordinario a non
applicare per i contenuti dei decreti legge reiterati nelle controversie, secondo un
processo che stato definito di ribellione organizzata. Tuttavia, nonostante i segnali di
malessere sistemico, la prassi della reiterazione continuer fino alla met degli anni
90, quando si interromper per l'intervento di un organo di garanzia.
4)L'interruzione della reiterazione rappresenta il primo a elemento che caratterizza la
quarta fase della decretazione. La corte costituzionale ha in genere evitato di
esprimere giudizi sui requisiti di necessit e urgenza dei decreti legge: era infatti noto
che la maggior parte dei decreti n fosse sguarnito. La corte si invece espressa sulla
prassi della reiterazione sul finire degli anni 80, quando questa sembrava raggiungere
i livelli pi elevati. Fino a pronunciare voi una sentenza storica nel 96, con la quale gli
vietava la reiterazione dei decreti legge, in quanto tale pratica mostrava di incidere in
maniera significativa sulla stessa forma di governo. Dopo la sentenza della consulta,
inizia un'altra parte dei decreti, che per non ha condotto, a dispetto delle aspettative
diffuse, ad un ridimensionamento quantitativo del ricorso allo strumento. La corte,
infatti, mostrava di soffermare la propria attenzione pi sull'anomalia della
ripresentazione dei decreti che sugli altri numerosi aspetti che segnalavano i loro
scostamento dalle disposizioni costituzionali e in primo luogo la perdita del requisito di
necessit e urgenza. La produzione di decreti durante i decenni repubblicani, al netto
di quelli reiterati, resta pressoch costante e si stabilizza attorno ad un numero di 3-4
al mese. Sembra esistere, da questo punto di vista, un tasso strutturale di
decretazione d'urgenza. Se si considera, inoltre, la quantit di legislazione ordinaria
rispetto ad altre fonti, si riscontra la crescita significativa dei decreti legge durante gli
anni 1996-2011, quando questi raggiungono il 17% della produzione normativa. Una
percentuale che ancora pi interessante per l'incremento nello stesso periodo di un
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altro tipo di decretazione governativa, quella che prende avvio da una delega
parlamentare. I decreti legislativi raggiungono, nei 10 anni considerati, circa il 30%
della legislazione complessiva. I due processi di espansione dei decreti legge e
legislativi portano, cos, la legislazione ordinaria a decrescere fino a scendere in media
al 52,8% della produzione normativa. Anche mettendo in conto che la riduzione del
numero delle leggi possa essere ricondotto alla minore quantit di interventi
normativi, la legge ordinaria sempre meno veicolo di politica organica, assumendo un
carattere residuale nel complessivo sistema delle fonti del diritto.
Classificazione. Dal punto di vista formale, le regole che circoscrivono le finalit e la
natura dei decreti legge pongono pochi limiti di carattere contenutistico: un vincolo
espresso dalla costituzione rimanda l'di vedove un decreto di contenere deleghe
legislative; la legge 400/88 prevede che un decreto legge non possa contenere
disposizioni che siano state gi respinte. Di fatto, eluso il presupposto di necessit e
urgenza che le legittima, i decreti legge sono intervenuti numerosi ambiti. Soprattutto
negli ultimi anni la missione della decretazione d'urgenza sembra essere quella di
prendersi carico dell'implementazione dei principali obiettivi del governo. Una prassi
consolidata e dei decreti proposti dal presidente del consiglio congiuntamente ai
ministri competenti per materia. Si pu cos constatare la straordinaria variet dei
temi affrontati dai decreti legge. In questo modo, l'ampio ventaglio delle materie
trattate pu essere interpretato come un segnale qualitativo della progressiva
autonomizzazione del governo e della flessibilit dell'uso della decretazione. Una
diversa classificazione dei decreti legge pu essere operata adottando la nota quattro
ripartizione delle politiche pubbliche introdotta da Lowi, sulla base dell'equivalenza
che lo stesso autore ha posto per il concetto di policy, in giurisprudenza norma. Lowi
cerca di cogliere la razionalit che esprime l'azione politica associata agli atti
normativi, che si pu caratterizzare da una parte per il grado di coercizione di cui
investita, prossima o remota, e dall'altra per l'ambito del suo intervento, individuale o
collettivo. L'incrocio fra queste due dimensioni analitiche porta a identificare 4 diverse
arene di azione pubblica o 4 tipi di policy. Le politiche regolative incidono direttamente
sulla condotta individuale imponendo obbligazione sanzioni; le politiche distributive
hanno l'immediata possibilit di applicazione, non imponendo per delle obbligazioni
ma distribuendo benefici e facilitazione su base particolaristica; le politiche
redistributive agiscono sull'ambiente della condotta dei cittadini piuttosto che sulla
condotta in s; le politiche costituenti definiscono l'ambiente della condotta dei
cittadini esprimendo regole sull'esercizio del potere. Se si analizzano i circa 500
decreti prodotti tra il 1996-2011, con lo schema di Lowi si pu consacrare la variet di
funzioni a loro associate. I decreti di natura regolativa, seppur numerosi e
predominanti, lasciano spazio ad atti di natura finalit diverse. Una parte consistente
di decreti si dedica ad concedere benefici a categorie ristrette di persone, tali
interventi legislativi comportano un incremento delle spese pubbliche a beneficio dei
destinatari gi identificati in modo esplicito nel testo del decreto. I decreti la novit, in
una quantit pi contenuta di casi, anche altri interventi di natura redistributiva e
costitutiva: sono questi campi in cui la presenza dei decreti legge dovrebbe essere pi
limitata, perch propri di una politica che adotta una prospettiva di medio lungo
periodo che mal si adatta al carattere emergenziale della decretazione. Un elemento
da sottolineare poi la natura mista di numerosi decreti legge che appaiono di difficile
classificazione, trattando diversi argomenti senza alcun collegamento organico. Gi
Lowi avvertiva come questa categoria possa mettere in luce una significativa
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caratteristica degli atti legislativi: per esempio i capitoli di una legge omnibus
possono far riferimento a diverse caselle della categorizzazione utilizzata. La
disomogeneit degli atti non , infatti, causale ma rimandata ad una concreta
strategia politica volta ad accrescere le probabilit di approvazione di provvedimenti
che avrebbero poco successo se presentati da soli.
Aspetti procedurali. Oltre che la natura dell'oggetto, la decretazione d'urgenza
appare anche problematica in relazione ai rapporti esecutivo legislativo, dal momento
che sembrata ridimensionare modo significativo le occasioni di discussione
compromesso associate alla sua adozione. Si riscontra per esempio un netto
incremento del numero delle questioni di fiducia poste nel corso dell'iter parlamentare
di conversione dei decreti, con uno stratagemma che ha l'effetto di abbreviare i tempi
di approvazione, di ridurre al minimo il dibattito in assemblea e di azzerare le capacit
di emendamento. La dottrina ha definito questa prassi come un orrore legislativo.
Durante il IV governo Berlusconi, le questioni di fiducia riguardano quasi un terzo dei
processi di conversione dei decreti legge, 22. A ci si aggiunga che molto spesso la
questione di fiducia si esercita su maxiemendamenti presentati dallo stesso esecutivo.
Questa prassi non una novit nel nostro paese, nelle prime legislature essa era per
utilizzata come atto finale di una maggioranza ormai in frantumi e di un governo ormai
prossimo ad annunciare la crisi. Il combinato maxiemendamento questione di fiducia
assume invece un diverso significato nel periodo maggioritario, rispondendo alla
disomogeneit e alla poca compattezza della maggioranza, e diventando una modalit
pi o meno ordinaria per imporre l'indirizzo politico governativo in Parlamento. Negli
ultimi anni sembra essersi registrato un ulteriore forzatura procedurale del suo uso,
nel periodo della cdtt. Transizione, una caratteristica che riguarda la loro eterogeneit:
sempre pi frequente ricorso ai decreti omnibus, nei quali si pongono norme che
riguardano materie differenti in un solo contenitore, sia in risposta motivazioni di
velocit decisionale sia per superare il vaglio parlamentare sulle singole norme.
Attraverso il voto su interi pacchetti di legge, i governi possono sottrarsi al rischio di
veder votare distintamente disposizioni di cui si sono fatti promotori alcuni settori
della maggioranza che li sostiene. Si pu fare, inoltre, riferimento almeno a due
tipologie che per propria natura denunciano la perdita del presupposto di necessit: il
primo, e il fenomeno delle catene di decreti, vale a dire la presentazione di decreti
legge sulla stessa materia in tempi diversi che contraddice in modo evidente il criterio
dell'urgenza della decretazione; il secondo, si riferisce alla prassi dei decreti a perdere:
talvolta il governo preferisce lasciar decadere un decreto per poi riprendere i suoi
contenuti nell'ambito di un altro decreto, destinato alla conversione; questo
soprattutto nei governi Berlusconi. Un altro modo riguardare all'abuso dei decreti
legge negli ultimi anni quello di osservare il crescente attivismo degli organi di
garanzia, che a pi riprese sono intervenuti per denunciare il ricorso anomalo alla
decretazione: la corte costituzionale nel 2007 per la prima volta dichiara l'illegittimit
di un decreto che mancava dei presupposti di necessit ed urgenza, anche se questo
era gi stato convertito. Anche il presidente della Repubblica ha assunto un ruolo
molto + attivo che in passato, stata, infatti, notato che proprio a fronte della perdita
di influenza del capo dello Stato nel procedimento di formazione del governo,
avvenuto uno contro bilanciamento attraverso il rafforzamento dei poteri presidenziali
di controllo-garanzia. Ci sono alcuni segnali, dunque, dell'affermazione di una funzione
di tutela dell'ordinamento da parte del capo dello Stato che lo pone come legittimato a
verificare la corrispondenza della decisione governativa ai parametri che ne
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delegata prodotta, senza necessit di una nuova legge, come avviene nelle cosiddette
deleghe di correzioni e integrazione. In particolare, il Parlamento offre la possibilit al
governo di produrre un decreto legislativo nel termine fissato, e poi altri decreti ad una
data distanza temporale da quello principale, attraverso i quali l'esecutivo possa
intervenire nuovamente sulla stessa materia. Si profila cos il pericolo che si assicurino
al governo poteri stabili per attuare serie temporali di interventi che necessitano di atti
aventi forza di legge. Assistiamo in questo modo allo svuotamento dei presupposti
formali dell'atto di delega: l'oggetto, le modalit e gli ambiti temporali dell'esercizio
del potere delegato diventano sempre pi indeterminati e fumosi.
La grande espansione. L'incremento delle deleghe legislative nel nostro paese un
fenomeno improvviso, che coincide col passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.
Per le prime cinque legislature, sono poche le deleghe e Parlamento attribuisce al
governo, e tutte motivate con la complessit tecnica della normativa da trattare. A
partire dagli anni 70, la legislazione delegata inizia essere utilizzata, anche se in modo
contenuto, per permettere al governo di intervenire su importanti materie, in modo
continuativo nel corso del tempo, ad esempio l'attuazione dell'ordinamento regionale.
Si profilano, inoltre, i primi segnali di un uso della delega per la risoluzione dei
problemi dell'instabilit della maggioranza parlamentare. Dal punto di vista
procedurale ci si accompagna a un mutato atteggiamento dei parlamentari nei
confronti della delega, con la rivalutazione dell'attivit consultiva svolta dalle
commissioni parlamentari, quasi a delineare un possibile modello nuovo di relazioni
governo Parlamento ci che accadr negli anni 90 un processo del tutto imprevisto,
sia dal punto di vista procedurale che sostanziale. La delega, anzich essere
interpretata come un momento di collaborazione e di fusione istituzionale, fra governo
e Parlamento, diviene uno strumento nelle mani dell'esecutivo per aggirare la difficolt
di conduzione del procedimento legislativo ordinario. Avviene dunque un impetuoso
trasferimento di competenze legislative in capo al governo, di cui si possono
facilmente constatare le dimensioni quantitative:nell'11 legislatura di decreti
legislativi raggiungono quasi quota 100 in solo 23 mesi. Un cos alto numero di atti
normativi si spiega da una parte dello spazio che iniziano a ricoprire le deleghe
comunitarie di natura tecnica, per l'adeguamento del diritto interno a quello
comunitario. D'altra parte per la fase di particolare emergenza in cui versava il paese
per il deficit della finanza pubblica e per i vincoli stringenti posti da Maastricht.
L'estensione della legislazione delegata non per legata solo ai governi tecnici
formatisi in seguito agli scandali di Tangentopoli. Dall'11 legislatura questa diventa un
tratto stabile della produzione normativa complessiva. I governi del periodo della
cosiddetta transizione, sulla base della nuova quasi diretta legittimit del presidente
del consiglio, chiedono deleghe sempre pi ampie, facendosi nella maggior parte dei
casi, anche promotori dell'iniziativa di legge con cui la delega viene disposta. In altre
parole, la delega diviene uno strumento di attuazione delle linee programmatiche che
il governo ritiene prioritarie in materia di particolare complessit.
Contenuti. In merito ai contenuti dei decreti legislativi possibile individuare tre
macroaree, anni 96-11:
1) la classe pi numerose si riferisce agli atti di adeguamento alla normativa
comunitaria: ci anche un effetto dell'impostazione della nota legge La Pergola, che
introduceva all'inizio degli anni 90 la legge annuale comunitaria come legge di
organizzazione della futura legislazione in materia di ricezione del diritto comunitario.
Tale strumento, infatti, ha agito come volano della legislazione delegata, perch
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predisponeva una rete di atti normativi a cascata al cui vertice era posta proprio la
delega legislativa, dalla quale discendevano poi una serie di decreti legislativi
attuativi, integrativi e correttivi. La legge comunitaria ha costituito uno dei canali per
l'ampliamento degli spazi di azione dell'esecutivo, a discapito del ruolo dell'assemblea
legislativa.
2) un gruppo pi residuale di decreti si riferisce all'attuazione degli statuti delle regioni
speciali. Anche questo tipo di decreto sembra un caso particolare rispetto al modello
tracciato dalla costituzione. Esso, infatti, non necessita di una delega preventiva da
parte del Parlamento, in quanto per questo sembra sussistere una sorta di delega
permanente. Gli statuti delle regioni ad autonomia speciali approvati con legge
costituzionale attribuiscono al governo la competenza per approvare norme di
attuazione degli stessi. In 4 dei 5 statuti stabilito inoltre che queste ultime siano
inserite in decreti legislativi. I decreti legislativi in attuazione degli statuti delle regioni
speciali hanno come caratteristica il fatto di non trovare origine in una legge
parlamentare.
3) infine il gruppo pi importante dei decreti trae origine da un'espressa delega
dell'assemblea. Solo in questo caso si pu riconoscere il modello per il quale il decreto
legislativo scaturisca da un volontario atto di trasferimento di competenze legislative
del Parlamento al governo senza un input esterno come avviene invece negli altri casi.
Con riferimento allo schema di Lowi, si pu notare che la maggior parte delle norme
prodotte dal sud delega sembra far capo alla categoria degli atti costitutivi, volti a
stabilire principi e norme generali nelle materie delegate, a istituire nuovi enti o a
produrre gli assetti organizzativi. La legislazione delegata si presenta dunque come
uno strumento utilizzato per promuovere riforme di particolare complessit normativa
ove realizzare punti programmatici di ampio respiro. Di particolare rilevanza sono i
decreti legislativi per la riforma della presidenza del Consiglio dei Ministri, 99, che
rappresentano una tappa fondamentale per quel percorso incrementare di
rafforzamento degli uffici del primo ministro che nel nostro paese ha ormai durata
trentennale, con l'obiettivo di valorizzare le funzioni di impulso e di indirizzo del
presidente del consiglio.
Il vantaggio del governo. Se stupisce l'ampiezza e la rilevanza delle arene sulle
quali intervengono i decreti legislativi, sono da segnalare anche le forzature di ordine
procedurale operate dal governo nell'ambito delle attivit delegate, che hanno finito
per indebolire le camere. E proprio la frequente adozione di procedure atipiche a
spiegare perch una fonte d'uguale, che mette insieme la potest normativa del
Parlamento, che si esprime nella legge di delega, e quella del governo, che culmina
nell'adozione del decreto legislativo, divenga uno strumento nelle mani dell'esecutivo
per realizzare il proprio programma. Numerosi sono gli esempi di tale tendenza. Non
raro all'introduzione di norme di delega all'interno di provvedimenti collegati alla
manovra finanziaria talvolta anche attraverso la posizione della questione di fiducia
sulla loro approvazione. Altre volte sia arrivato a inserire le disposizioni di delega
legislativa nel testo di un decreto legge, secondo una modalit di attribuzione di
competenze legislative che lede in pieno la natura negoziale della legislazione
delegata, in particolare le prerogative del Parlamento. In altre occasioni, sono i tempi e
le modalit delle deleghe a porre l'assemblea nell'impossibilit di esercitare un
compito effettivo di indirizzo e controllo. Si rileva poi l'incremento dell'emanazione di
disposizioni integrative correttive con le quali il governo si riappropria di una delega
gi utilizzata in passato senza che intervenga una nuova legge parlamentare.
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Considerati gli ampi margini di discrezionalit con i quali opera il governo, sembra
realizzarsi in questi casi una delega non gi per oggetti definiti, ma per settori, o
addirittura per materia, una sorta di stabile trasferimento della funzione normativa in
capo all'esecutivo. Si ricordi anche che a partire dagli anni 90 il governo ha potuto
avvalersi di un ulteriore strumento per assicurarsi la delega sostanziale di alcune
competenze legislative: si tratta della delegificazione, che ha aderito al governo
produrre atti di tipo secondario, regolamenti di delegificazione, in ambiti
tradizionalmente associati alla legislazione primaria. Anche la delegificazione conosce
infatti un nuovo uso nel passaggio tra prima e seconda Repubblica: l'utilizzo di tale
strumento mirava ad alleggerire la legge ordinaria dalle prescrizione di dettaglio in
risposta al problema della proliferazione di leggine. La delegificazione stata
utilizzata per produrre interventi innovativi e di ampio respiro: riordino e
razionalizzazione della spesa pubblica; riforma della pubblica amministrazione;
l'organizzazione dei ministeri; nel pubblico impiego. Negli ultimi anni i regolamenti di
delegificazione sono stati chiamati dunque a disciplinare materie di grande rilievo
acquisendo i tratti di veri e proprie leggi, divenendo in molti casi una sorte di assegno
in bianco a favore del governo, data la mancanza di criteri e principi direttivi espressi
dal Parlamento.
Capitolo 5: i regolamenti.
Alla luce dell'aumento della legislazione governativa non sorprende che uno dei campi
di battaglia tra esecutivo e Parlamento sia rappresentato dal tentativo di cambiare le
regole in assemblea. La modifica dei regolamenti parlamentari stato oggetto di un
processo di lungo corso che ha visto come punti salienti la costruzione di una corsia
preferenziale per le proposte iniziate dall'esecutivo e l'abolizione del voto segreto. Tutti
elementi che miravano ad assicurare all'esecutivo piena responsabilit sull'attuazione
dell'indirizzo politico. Tuttavia il collasso di tale progetto mostrato dal fatto che il
dibattito sulle riforme dei regolamenti sia rimasto uno dei temi caldi del confronto
politico. Il potere di agenda del governo indubbiamente cresciuto rispetto alla fase
del parlamentarismo integrale della prima Repubblica, quando i legislativo lavorava
soprattutto sotto il controllo della conferenza dei capigruppo. I cambiamenti apportati
dopo Tangentopoli non sembrano per offrire al governo il controllo della sua
maggioranza. Se il nuovo impianto elettorale ha stimolato la formazione di ampie
coalizioni capeggiate da un leader, e con un proprio programma politico, il destino di
tali alleanze dopo le consultazioni rappresenta il nodo problematico di tali innovazioni.
Il nuovo scenario porta il governo a non fidarsi delle camere per la realizzazione dei
punti pi importanti del proprio programma politico. La legge ordinaria dedicata cos
sempre pi spesso alla micro-regolamentazione. Un processo che non fa per che
alienare ulteriormente il premier e la compagine ministeriale dalla loro base
parlamentare.
Il percorso dei regolamenti parlamentari. Le regole parlamentari possono essere
considerate lo specchio delle trasformazioni nel sistema governo-Parlamento.
1) i regolamenti del 1971 rappresentavano per esempio la consacrazione del
parlamentarismo integrale. La loro ispirazione di fondo si rintraccia nella volont di
valorizzare l'assemblea come luogo dove l'indirizzo politico si forma con il concorso sia
della maggioranza che dell'opposizione, secondo la logica del compromesso. Fra i
punti cruciali del nuovo regolamento, concordi con questa impostazione si ritrovano
l'elevazione del principio unanimistico e consensuale a criterio fondante della
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programmazione dei lavori; l'istituzione della conferenza dei capigruppo come ambito
dell'accordo tra i partiti; la regolamentazione dell'attivit delle commissioni in sede
deliberante. Non si poneva alcun argine alla costituzione dei gruppi parlamentari,
questi potevano essere informati anche in un numero al di sotto del requisito minimo
disposto dal regolamento. Il problema degli strumenti da assicurare al governo per
guidare il processo legislativo era estraneo all'agenda e alla cultura politica
dominante, ben propensa non solo riconoscere il compromesso come logica di governo
principale, ma anche a erger lo ha principio fondante della vera democrazia, Kelsen.
2) negli anni 80 viene rimesso in discussione lo schema del consensualismo: da una
parte si inizia ad affrontare il problema di velocizzare i tempi della decisione
parlamentare e di migliorare la posizione del governo in assemblea potrebbe, dall'altra
si mira ad incrinare il principio consociativo e unanimistico. Per esempio si mette fine
all'idea per la quale i gruppi siano equi ordinati nell'esercizio dei poteri procedurali,
essi impedisce ai piccoli gruppi di poter svolgere azioni che possano mettere a
repentaglio il regolare svolgimento dei lavori. Si disciplinano le modalit di
presentazione degli emendamenti e i tempi di discussione, introducendo regole pi
restrittive. Si riducono, inoltre, i poteri dei presidenti dei gruppi.
3) nel 1992 si interviene sul ruolo e le funzioni delle strutture decentrate
dell'assemblea: in particolare ridimensionato lo spazio dedicato alle commissioni
come produttrici di legislazione, a vantaggio di nuovi compiti di natura consultiva ma
la novit pi significativa riguarda il ruolo destinato al governo nell'attivit
parlamentare: si registra una diversa sensibilit, infatti, nel fornire all'esecutivo gli
strumenti idonei per la realizzazione dell'indirizzo politico di maggioranza. Nel 1990 si
d ingresso ufficiale al governo nei lavori di programmazione si introducono timidi
tentativi di contingentamento dei tempi a suo favore. Nel nuovo quadro normativo
l'esecutivo, a differenza del passato, non pi solo un invitato a prendere parte al
procedimento legislativo ma ne diviene un soggetto legittimo. Le innovazioni che
riguardano il governo non si fermano per alle prime fasi del processo deliberativo,
altre misure infatti favoriscono il governo nel controllo dei tempi di approvazione delle
proposte legislative. Si determina, per esempio, l'estensione del voto di fiducia come
strumento di affermazione della volont governativa. Un posto a parte merita, per
l'importanza di tale provvedimento, l'abolizione del voto segreto, che trasforma una
prassi consolidata e diffusa in una scelta eccezionale ristretta alle votazioni sui diritti
di libert e sul funzionamento degli organi costituzionali, Calise. Anche tale modifica
tende a garantire maggiormente il governo rispetto all'azione dissidente di alcuni
parlamentari all'interno della stessa maggioranza.
4) le modifiche del biennio 1997 98 rappresentano una frastagliata serie di innovazioni
in cui per pu individuarsi un filo logico nella rafforzamento del governo nel processo
legislativo. Per quanto riguarda la definizione dell'agenda parlamentare, per esempio,
la posizione del governo miglior attraverso l'acquisizione da parte del presidente della
camera di poteri arbitrali decisivi nell'orientare la programmazione dei lavori. Si cerca,
inoltre, di istituire corsie preferenziali per il governo all'interno dei lavori parlamentari,
prevedendo procedure accelerate per i suoi disegni di legge. Allo stesso tempo si
rende pi difficoltoso il ricorso a manovre parlamentari a scopo puramente de
faticatore ho, con la generalizzazione della regola del contingentamento dei tempi per
la discussione parlamentare in contrasto ai fenomeni di ostruzionismo o sulla base di
tali innovazioni il governo avrebbe dovuto guadagnare incisivit non solo attraverso
1+ veloce calendarizzazione delle attivit parlamentari ma anche contenendo
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Conclusioni.
In Italia il premier diviso, sospeso tra due diverse forme di personalizzazione: l'una
che ha favorito l'emergere del governo monocratico; l'altra che invece provoca la
frammentazione dell'assemblea parlamentare e in particolare la fragilit della
maggioranza.
1) grazie alla prima forma di personalizzazione i presidenti hanno conquistato una
nuova centralit, prima di tutto nei processi di acquisizione del consenso. Con il
declino degli attori collettivi di intermediazione politica, i leader si sono affermati come
centri di identificazione e appartenenza, divenendo rilevanti quasi indispensabili ai
fini della vittoria elettorale. Anche se dal punto di vista formale non si introduce
l'elezione diretta del capo del governo, in concreto quest'ultimo sembra guadagnare
una sorta di investitura popolare. La personalizzazione di natura plebiscitaria
importanti conseguenze sull'attivit di governo. Agisce, si vuol dire, come forza
centripeta, valorizzando il potere monocratico come cuore dell'indirizzo politico. Dopo
la ferita della dittatura fascista sembravano escluse nel nostro paese le ipotesi di
presidenzialismo, tuttavia, negli ultimi anni si assistito ad una brusca inversione di
tendenza, sia politica che culturale. Senza che si affrontasse il nodo della riforma
organica della costituzione, la centralit del leader nel nostro sistema politico stata
incoraggiata da alcune importanti micro-riforme incrementali: dagli interventi
sull'amministrazione dello Stato alle nuove disposizioni elettorali, fino alle modifiche
ha i regolamenti parlamentari, sono stati diversi gli elementi a sostenere il processo di
rafforzamento del governo e del suo leader. Per quanto riguarda gli equilibri interni
all'esecutivo, inoltre, il premier divenuto il baricentro della compagine ministeriale,
che chiamato a formare e a indirizzare verso la realizzazione del proprio programma.
2) La seconda forma di personalizzazione si sviluppa invece all'interno del Parlamento,
dove conduce alla formazione di partitini personali e alla esasperazione
dell'individualismo. I parlamentari si sentono artefici delle proprie fortune elettorali,
sviluppando relazioni dirette con la propria base elettorale in campagna elettorale.
Una volta eletti, inoltre, ricorrono spesso comportamenti opportunistici, in modo da
rafforzare la propria posizione le possibilit di rielezione. Le scelte individuali
sembrano prendere il sopravvento sulla fedelt che lega i membri del Parlamento al
partito di appartenenza, e contribuiscono alla destrutturazione del quadro della
rappresentanza. I dati sulla frammentazione dell'assemblea elettiva nel nostro paese
sono impietosi: basta considerare numero di gruppi parlamentari per accorgersi di
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come l'avvento della seconda Repubblica non faccia rilevare una sua riduzione. Anzi
proprio in legislature recenti si segnalano alcuni record per la moltiplicazione delle
articolazioni interne al Parlamento. Segnalano, inoltre, la spregiudicatezza dei singoli
parlamentari i dati sulla transfughismo che ha assunto dimensioni eclatanti. Se prima
era poco frequente, l'eletto sente ora di rispondere ad un mandato espresso
direttamente dagli elettori e quindi, su questa base, scopre una nuova indipendenza
dal partito di riferimento. Anche alcuni osservatori stranieri hanno considerato le
camere italiane come uno dei casi pi eclatanti di alta incidenza del party switching,
sullo scenario internazionale, che si manifesta come espressione dell'ambizione
individuale pi che sotto forma di movimento di gruppo di parlamentari da un partito
all'altro. Anche le nuove regole elettorali hanno contribuito a tratteggiare questo
scenario: il maggioritario divide, per definizione, l'elettorato in una maggioranza in un
opposi ione, spingendo la creazione di cartelli elettorali utili per ottenere pi voti degli
avversari. L'entrata in vigore della disciplina elettorale del 2005 presentava diverse
novit, ma alimentava per altre vie la logica della frantumazione dei partiti. La soglia
di sbarramento del 4% viene abbassata per le coalizioni al 3% al Senato 2% alla
camera. Si rende conveniente, inoltre, la creazione di larghissime maggioranze per la
presenza di un consistente premio di maggioranza, con il voto dei piccoli partiti, anche
quelli che fuori dalla coalizione non avrebbero superato la soglia, a divenire molto
spesso indispensabile per vincere le elezioni. Ci ha fatto in modo che partito da di
una rappresentanza esigua potessero poi avanzare richieste non proporzionate al loro
peso elettorale. Infine un terzo fattore sembra contraddire la logica della coalizione: il
voto di lista bloccato affida i partiti pieni poteri per determinare le candidature,
riaffermandone il primato sulla coalizione. A importanti incentivi alla coesione della
coalizione subentrano dunque altri significativi fattori che svuotano dall'interno la
forza istituzionale della stessa. Bisogna anche ricordare dei regolamenti delle camere
contengono ancora alcuni incentivi alla disaggregazione delle coalizioni i numerosi
gruppi parlamentari: in corso di legislatura, infatti, la moltiplicazione dei
raggruppamenti, oltre che essere dettata dalla ricerca di maggiore identit e visibilit
e incentivata anche dalle regole che privilegiano criteri distribuzione delle risorse
logistico-finanziarie pi vantaggiose ai gruppi minori.
Anche la personalizzazione parlamentare presenta importanti conseguenze dal punto
di vista dell'attivit di governo, agendo rispetto a queste come forza centrifuga. La
ricerca di visibilit da parte dei parlamentari si rende manifesta con l'aumento
dell'azione adottate in autonomia dal gruppo se per si guarda al tasso di
approvazione di tali proposte ci si accorge che solo una quota minima di esse conclude
l'iter legislativo. I membri dell'assemblea presentano sempre pi proposte solo per fini
simbolici ed espressivi, visto le poche ciance di trovare successo. La frammentazione
anche alla base delle frequenti fughe dell'esecutivo dal Parlamento, proprio quando si
allargano le basi di legittimit del primo ministro e si rafforzano i suoi strumenti
operativi, diviene infatti problematico per il capo del governo compiere scelte di
indirizzo politico ricercando una sponda istituzionale in una maggioranza poco guisa,
aperta la contrattazione particolaristica e alla logica del micro accordo. Per superare
veti incrociati presenti in assemblea, il governo utilizza sempre pi gli strumenti della
normazione autonoma, qui si rivolge con grande spregiudicatezza formale e in un
ampio ventaglio di materie. La constatazione del progressivo rafforzamento degli
esecutivi personalizzati si associa spesso alle preoccupazioni per il declino dell'organo
parlamentare come cuore della democrazia: man mano che i vecchi attori di
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