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18 LUGLIO 2018

Il referendum “a contenuto positivo”


nella democrazia che cambia

di Marco Galdi
Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli Studi di Salerno
Il referendum “a contenuto positivo”
nella democrazia che cambia *
di Marco Galdi
Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli Studi di Salerno

Abstract [It]: Negli ultimi anni si registra la tendenza, anche sulla scorta di modelli stranieri, al
superamento della portata “oppositiva” dei referendum previsti nella Costituzione italiana a favore di
nuove forme di consultazione a contenuto positivo, tanto nell’esperienza delle nostre Regioni quanto
nelle proposte di revisione costituzionale. Se la previsione in Costituzione di referendum di portata
deliberativo/approvativa è da valutare per più ragioni inopportuna, non altrettanto si può dire per
l’introduzione di un “referendum di indirizzo vincolante”, che riproponga lo schema logico-giuridico
delle “leggi cornice”, a cui favore militano ragioni di ordine etico-politico e di sistema. Non vi è dubbio,
però, che sulle prospettive di questo istituto, come più in generale sul tema della qualità della democrazia,
sia in corso una partita dall’esito ancora molto incerto.

Abstract [En]: In recent years there has been a tendency, also on the basis of foreign models, to
overcome the “opposing” scope of the referendums provided for in the Italian Constitution in favor of
new forms of consultation with positive content, both in the experience of our Regions and in the
proposals for constitutional revision. If the constitutional forecast of a referendum with a deliberative /
approvative scope is to be evaluated inappropriate for more than one reason, we cannot say the same for
the introduction of a “referendum of binding guidelines”, reintroducing the logical-legal
pattern of the “framework laws”, in whole favour ethical-political and system reasons militate. There is
no doubt, however, that on the prospects of this institution, as more generally on the subject of
democracy quality, the game is still going on with a very uncertain outcome.

Sommario: 1. La tendenza a valorizzare gli istituti di democrazia diretta: dalla portata “oppositiva” dei
referendum previsti nella Costituzione alla previsione di nuove forme di consultazione a contenuto
positivo, favorite anche dalla comparazione con esperienze straniere. 2. I referendum “consultivi”,
“propositivi” e “approvativi” nell’esperienza regionale. 3. I referendum a contenuto positivo nelle
proposte di revisione costituzionale. Critica: l’inopportuna introduzione del referendum
deliberativo/approvativo nella Costituzione. 4. De iure condendo: l’opportuna introduzione di un
“referendum di indirizzo vincolante”. Ragioni di ordine etico-politico e di sistema. 5. Il futuro del
referendum si intreccia con il futuro della democrazia.

* Articolo sottoposto a referaggio.

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1. La tendenza a valorizzare gli istituti di democrazia diretta: dalla portata “oppositiva” dei
referendum previsti nella Costituzione alla previsione di nuove forme di consultazione a
contenuto positivo, favorite anche dalla comparazione con esperienze straniere
Le recenti vicende della Scozia e della Catalogna, il referendum ungherese sulle quote degli immigrati, il
caso Brexit e le forse più innocue ma comunque significative esperienze dei referendum celebratisi in
Veneto ed in Lombardia, per l’ampliamento dell’autonomia regionale ai sensi dell’art. 116, comma 3 della
Costituzione, pongono al centro del dibattito giuridico europeo il tema della partecipazione democratica
dei cittadini, inducendo a riflettere sul ruolo che legittimamente può e deve avere negli ordinamenti
contemporanei il loro “diritto di cittadinanza attiva”1.
D’altronde, non si tratta di un fenomeno meramente contingente, se è vero che già da alcuni anni si
registra la tendenza negli Stati democratici a valorizzare gli istituti di «partecipazione istituzionale» 2, o –
detto in modo tradizionale - di “democrazia diretta”3, fra i quali occupa un ruolo centrale il referendum
nelle sue svariate forme4.

1 Non è certo un caso se il XXXII Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, svoltosi a
Mantova il 10 e l’11 novembre 2017, abbia avuto come tema “Democrazia, oggi”.
Ritiene che il frequente ricorso alla “voce del popolo”, di recente registratosi, sia funzionale a ritrovare una
“legittimazione che sembra perduta”, ad investire “il popolo delle decisioni che le Istituzioni (o meglio, i partiti
politici) non sembrano in grado di compiere” ovvero abbiano “finalità puramente plebiscitarie o di rafforzamento
autoritario del potere governativo” S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta. L'iniziativa popolare nell'esperienza
svizzera e statunitense, con uno sguardo all'Italia, in Riv.trim.dir.pubbl., 2/2017, p. 496. Pongono in stretta correlazione il
referendum con lo ius activae civitatis A. LOIODICE - A. BRIGHINA, Referendum, in Enc.giur., XXVI, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia italiana, 1991, p. 2, secondo i quali il referendum si colloca “fra gli strumenti istituzionali diretti
a consentire al cittadino elettore l’esercizio di un personale, inalienabile, diretto ius activae civitatis, inteso come
situazione soggettiva che si esprime in atti di volontà via via disciplinati dalla legge, incidenti sulla gestione della
civitas”.
2 A. MORELLI, La trasformazione del principio democratico, in Consulta on linee, 1/2015, p. 211, secondo il quale “tali

congegni, infatti, non possono essere qualificati, a rigore, come meccanismi di democrazia diretta, la quale, come
si è visto, corrisponde a specifiche esperienze storiche oggi difficilmente riproducibili. La partecipazione
«istituzionale» è piuttosto quella che «si articola in istituti e procedimenti formalizzati e tipizzati dal diritto (in
genere, dalla Costituzione o tutt’al più dalla legge)», è diretta «all’attivazione, completamento o definizione dei
procedimenti decisionali pubblici (in particolare, di quelli politici)», «si struttura attraverso l’attribuzione di specifici
diritti politici» e può essere praticata da tutti i cittadini titolari dei medesimi diritti politici”.
3 Configura questi istituti tradizionali come espressione di “democrazia diretta” U. ALLEGRETTI, La democrazia

partecipativa in Italia e in Europa, in Rivista AIC, 01/2011, p. 4, distinguendoli dalla democrazia partecipativa, in
considerazione della loro natura per lo più occasionale e puntuale; inoltre, essi, come nel caso del referendum,
“possono esprimere una decisione superiore rispetto all’agire delle istituzioni rappresentative e, nella normalità dei
casi, hanno rispetto a esso un valore esterno”.
4 Rileva che il ricorso agli istituti di democrazia diretta, specialmente ai referendum, si sia incrementato negli Stati

democratici sia da un punto di visto quantitativo che qualitativo (cioè dell’importanza degli effetti sul sistema
istituzionale) M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare: quale riforma?, in Costituzionalismo.it, 2/2016, p. 1, il quale
giustifica il fenomeno tanto alla luce della crisi della rappresentanza quanto alla luce del superamento della logica
bipolare. In generale analizza, fra gli altri, il fenomeno del populismo come rifiuto per la politica, che nasce dalla
diffusa presa d’atto della corruzione delle élite e che si traduce nell’ostilità per la rappresentanza Y. MÉNY - Y.
SUREL, Populismo e democrazia, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 148 ss. Viceversa, ritiene che la crisi della democrazia

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Il tema si pone in modo del tutto peculiare nel nostro ordinamento, in quanto, nonostante ci sia stato in
seno all’Assemblea Costituente il tentativo di attribuire all’istituto referendario una portata più ampia 5, è
stata infine adottata in Italia una versione del referendum che potremmo definire di tipo “negativo” o
“oppositivo”, costruendosi l’istituto essenzialmente come lo strumento attraverso il quale si attribuisce al
corpo elettorale il potere di ribaltare un orientamento espresso dai corpi rappresentativi: è quanto avviene
con il referendum abrogativo di cui all’art. 75 Cost.; con i referendum confermativi di variazioni
territoriali, ai sensi degli articoli 132 e 133 Cost.; con il referendum sugli statuti regionali, di cui al terzo
comma dell’art. 123 Cost.; e con il referendum costituzionale, ex art. 138 Cost.6.
Conscio di questo valore oppositivo, proprio chi in Assemblea Costituente aveva proposto di ampliare
lo spettro applicativo dell’istituto, è giunto ad ipotizzare lo scioglimento anticipato delle Camere, quando
con referendum sia stato ribaltato dal popolo un indirizzo legislativo strategico per la maggioranza
parlamentare (“leggi di notevole rilievo politico”), in quanto ciò costituirebbe indice di rottura del
rapporto di rappresentatività fra corpo elettorale e Parlamento7.
Il valore oppositivo del referendum sembra di recente ribadito dalla Corte costituzionale8, la quale ha
dichiarato l’inammissibilità del quesito referendario concernente l’abrogazione totale del Jobs Act9 e
l’abrogazione parziale dell’art. 18 dello “Statuto dei Lavoratori”10, come riformulato dalla “legge
Fornero”11, proprio sul presupposto che il referendum, come proposto, non avrebbe natura abrogativa

non ha risparmiato il referendum abrogativo e, in generale, la partecipazione popolare, G.M. SALERNO,


Referendum abrogativo e partecipazione popolare, in Il Filangieri, Quaderno 2006, pp. 91 ss.
5 In Assemblea Costituente fu oggetto di discussione la proposta di Costantino Mortati, che ipotizzava referendum

di iniziativa governativa, per sospendere una legge approvata dalle Camere e per sottoporre a consultazione
popolare una legge bocciata dal Parlamento; nonché di iniziativa popolare, per sospendere una legge già approvata,
per abrogare una legge in vigore e per introdurre modifiche legislative in seguito al rigetto di una iniziativa popolare.
Cfr. M. LUCIANI, Commentario della Costituzione. Il Referendum. Art. 75, Bologna, Zanichelli, 2005, pp. 154 ss.; ma
già G. M. SALERNO, Il referendum, Padova, Cedam, 1992, pp. 24 ss. e, da ultimo, S. RODRIQUEZ, I limiti della
democrazia diretta, p. 487. Esaminano le ragioni, che portarono a rigettare in Assemblea Costituente le proposte di
Mortati, A. LOIODICE - A. BRIGHINA, Referendum, cit., 3, in cui si ricorda come la scelta cadde piuttosto sulla
democrazia dei partiti, guardandosi con una certa diffidenza alla democrazia diretta.
6 Conferma la natura “oppositiva” del referendum costituzionale M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p.

20, secondo il quale “l’opzione del Costituente italiano per la facoltatività del referendum costituzionale era dettata
con ogni evidenza dalla volontà di configurare il referendum costituzionale come uno strumento di garanzia posto
a tutela delle minoranze. Dai lavori costituenti e dalle caratteristiche del referendum costituzionale deriva la sua
qualificazione come «oppositivo nei confronti della maggioranza che ha approvato la legge», analoga per questo
aspetto a quella del referendum abrogativo”. Sul tema si rinvia da ultimo a G. BARCELLONA, Votare contro: il
referendum come opposizione e norma, Milano, Angeli, 2016.
7 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, Cedam, 1976, p. 667.
8 Corte cost., 27 gennaio 2017, n. 26, in Giur.cost., 2017, pp. 197 ss.
9 D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23.
10 L. 20 maggio 1970, n. 300.
11 L. 28 giugno 2012, n. 92.

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ma propositiva e, pertanto, non rientrerebbe nell’ambito applicativo dell’art. 75 Cost.12. Ora, al di là delle
critiche sollevate in dottrina, per altro condivisibili, sull’applicazione del criterio in esame alla precipua
fattispecie13, ai fini che qui interessano va rilevato come l’istituto referendario, nella concreta attuazione
datane dalla Consulta, tenda a mantenere – a giudizio di chi scrive - quell’impostazione “negativa”, che i
Costituenti gli hanno impresso14, coerentemente ad una forma di governo parlamentare, in cui le scelte
di indirizzo di rango legislativo spettano appunto al Parlamento (salvo le due deroghe di cui agli artt. 76
e 77 Cost., che in ogni caso prevedono ex ante o ex post il passaggio parlamentare)15 e non ad altre forme
di espressione della sovranità popolare16.

12 A giudizio della Corte costituzionale, infatti, manipolando la struttura linguistica della disposizione prevista
dall’art. 18, tramite la tecnica del ritaglio, si sarebbe prodotto l’effetto di abbassare la soglia di applicabilità della
tutela del reintegro da 15 a 5 dipendenti, rendendo generale una norma particolare prevista dal legislatore per le
imprese agricole, in tal modo producendo l’effetto di dare alla disposizione stessa un assetto normativo nuovo ed
imputabile alla volontà propositiva di creare diritto, non già a quella di eliminare una scelta legislativa. Cfr. Punto
6 delle considerazioni in diritto.
13 V. COCOZZA, Il quesito referendario sull’art. 18 della l. 300/1970 è veramente propositivo?, in Costituzionalismo.it.,

1/2017, pp. 9 s. Sul tema v. anche A. ARENA, Brevi considerazioni sulla discrezionalità del legislatore e sulla legge del mercato
(a partire dalla lettura della sent. n. 26 del 2017), in Osservatorio costituzionale, 2/2017.
14 Configura una funzione di stimolo e di controllo del referendum in Italia A. BALDASSARRE, Referendum e

legislazione, in M. LUCIANI - M. VOLPI (a cura di), Referendum, Roma-Bari, Edizioni Laterza, 1992, pp. 32 ss.
15 G. AMBROSINI, Referendum, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 121.
16 Di differente avviso, invece, è la dottrina maggioritaria (v. gli Autori citati, infra, alla nt. 112) e, da ultimo, A.

MORRONE, Il referendum manipolativo: abrogare per decidere, in Quad.cost., 2/2017, pp. 305 ss., il quale, nel ricostruire
in modo assai puntuale la giurisprudenza della Consulta in tema di referendum manipolativi, perviene alla
conclusione - opposta rispetto a quella accolta in questo studio - che questo tipo di referendum (ma alla fine tutti
i referendum abrogativi) avrebbero una portata innovativa in positivo dell’ordine giuridico: “pensato come
strumento per ripristinare il raccordo tra volontà del Parlamento e volontà popolare, il referendum ha espresso in
concreto natura di mezzo di decisione politico-legislativa, concorrente e, in misura maggiore nella crisi della
politica, sostitutiva delle istituzioni di governo, con forza positiva non predeterminata o predeterminabile, potendo
esprimere, per il collegamento al principio di sovranità popolare, persino bagliori di potere costituente” (p. 332).
In vero, non si condivide questa pur autorevolissima e diffusa lettura. Peraltro, non si intravvede, nella più recente
giurisprudenza della Consulta, una inversione di tendenza tale da giustificare questa impostazione, se si considera
che lo stesso A. MORRONE (Un istituto referendario che non c'è, in Quad.cost., 2/2003, 386), in un contributo di
circa quindici anni fa, affermava: “A differenza del sindacato esperito nei confronti degli atti del legislatore
rappresentativo, il legislatore referendario è soggetto a un rigoroso onere di coerenza o aderenza al sistema
normativo esistente, rispetto al quale il referendum ha senso solo se «a rime obbligate». La conseguenza è
l’amputazione di ogni vis innovativa all’abrogazione referendaria, e la cristallizzazione (fino al parossismo della
costituzionalizzazione, v. sent. n. 17/97 relativamente alla funzione statale di indirizzo e coordinamento, e sent. n.
42/2000 in materia di patronati) dell’ordinamento giuridico vigente”. Che anzi, si ritiene che con la recente
decisione n. 26/2017 la Corte abbia ulteriormente ristretto la sua lettura in termini “negativi” dell’abrogazione
referendaria, non limitandosi a considerare inammissibili i “ritagli” volti a creare «una disciplina totalmente diversa
ed estranea al contesto normativo» (essendo invece ammissibili quelli «espansivi» di una disciplina già prevista nello
stesso contesto), come ad es. già nelle sentenze nn. 36 e 39/1997, ma avendo escluso anche quei ritagli che
lascerebbero colmare la lacuna normativa, provocata dall’abrogazione referendaria, attraverso l’estensione di «un
dato normativo previsto con tutt’altra finalità, che si giustifica nell’ordito legislativo esclusivamente in ragione delle
peculiarità cui si è innanzi accennato». Sulla distinzione v. A. PERTICI, L’inammissibilità del referendum sui licenziamenti
illegittimi, in Quad.cost., 1/2017, pp. 115 ss. in particolare pp. 116 s. Sulla decisione Corte cost., 10 febbraio 1997, n.
36 si segnalano i commenti di R. ROMBOLI, L’ammissibilità del referendum abrogativo nella giurisprudenza costituzionale:

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In vero, com’è noto, non è mancato nella nostra esperienza costituzionale un caso in cui il referendum
sia stato utilizzato in chiave positiva: il c.d. “referendum di indirizzo”, indetto nel 1989 per rafforzare il
processo di integrazione europea. Tuttavia, questa consultazione si svolse in base ad un’apposita legge di
revisione costituzionale17, che operò quindi una “rottura della Costituzione”18, non idonea a smentire la
natura strutturalmente negativa del referendum nel nostro sistema19.
Rilevata la portata “oppositiva” dei referendum previsti nella Costituzione, merita, tuttavia, di essere
segnalata la recente propensione del nostro ordinamento a valorizzare gli istituti di democrazia diretta, in
particolare prevedendo nuove forme di consultazione popolare a contenuto, questa volta, positivo.
Detta tendenza, come si vedrà, ha trovato una significativa manifestazione nell’esperienza delle regioni20,
nonché in reiterati tentativi di revisione costituzionale21, mentre non sono mancate significative
sperimentazioni negli statuti degli enti territoriali minori22.
La mancata previsione in Costituzione di consultazioni popolari a contenuto positivo, infatti, non deve
certo far concludere nel senso che questi tipi di referendum non possano essere legittimamente introdotti
negli ordinamenti sub-statali autonomi, come pure la dottrina più risalente ha talora sostenuto23; ovvero
che contrasti con i principi fondanti del nostro sistema una futura previsione in sede di revisione
costituzionale: ciò è confermato dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, da una

conferme e novità, in Foro it., 3/1997, parte I, p. 652 e di R. CALVANO, Il "falso problema" dei referendum manipolativi, in
Giur. cost., 1/1997, pp. 322 ss. Ribadiscono la stessa impostazione Corte cost., 7 febbraio 2000, n. 38; Id., 7 febbraio
2000, n. 50; Id., 6 febbraio 2003, n. 46 e Corte cost., 24 gennaio 2012, n. 13, in cui la Consulta esclude recisamente
la possibilità della “reviviscenza” di norme dapprima abrogate, in quanto a ciò osterebbe il carattere
“esclusivamente abrogativo” del referendum, non pure “approvativo di nuovi principi” (Punto 5.4 cons. in dir.).
Sul punto critico A. RUGGERI, Davvero inammissibili i referendum elettorali per la (supposta) impossibilità di “reviviscenza”
della normativa previgente rispetto a quella oggetto di abrogazione popolare?, Nota a prima lettura di Corte cost. n. 13 del 2012,
in Consulta online, 2012, 8 ss.
17 La l. cost. 3 aprile 1989, n. 2, votata all’unanimità dai due rami del Parlamento.
18 B. PEZZINI, Il referendum consultivo nel contesto istituzionale italiano, in Dir.soc., 1992, 434. Sulla nozione di “rottura

della Costituzione” si rinvia a C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., II, p. 1236, nt. 1, pp. 1237 s.
19 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 18.
20 V., infra, § 2.
21 V., infra, § 3.
22 Si veda, ad esempio, il caso del referendum “propositivo” introdotto nello statuto dal Comune di Modena

(www.mo24.it/modena/politica/2017/04/23/notizie/referendum_propositivo_modena-1226583.html) e, da ultimo, nel


Comune di Roma con la delibera di revisione statutaria n. 99/2017, approvata definitivamente in terza lettura il 30
gennaio 2018 dall'Assemblea capitolina con 27 voti favorevoli, 6 contrari e nessun astenuto. Cfr. Redazione, Statuto,
via libera alle modifiche: petizioni on-line e referendum senza quorum, in www.romatoday.it/politica/statuto-roma-modifiche.html. La
modifica statutaria si segnala anche per la previsione della sperimentazione del voto elettronico e telematico per il
referendum, il c.d. “E-voting”.
23 T. MARTINES, Il referendum negli ordinamenti particolari, in Opere, III, Ordinamento della Repubblica. Lo Stato. Le

autonomie territoriali, Milano, Giuffrè, 2000, p. 351, per il quale gli statuti regionali erano legittimati a prevedere solo
referendum di tipo abrogativo e consultivo; E. SPAGNA MUSSO, Il referendum regionale: aspetti problematici, in Scritti
di diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 1383 s., per il quale la disciplina nazionale del referendum
abrogativo costituiva per gli statuti regionali addirittura un vincolo stringente.

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parte, lascia gli enti locali liberi di disciplinare questi istituti come meglio ritengono 24; dall’altra esclude
che la sovranità popolare si esaurisca necessariamente nella rappresentanza25.
Peraltro, la tendenza a valorizzare consultazioni popolari dal contenuto positivo trova conforto nella
comparazione con altri Stati democratici, che hanno adottato questi istituti da molti decenni e fanno
regolarmente ricorso ad essi: emblematico, in questo senso, è il caso di alcuni Stati nordamericani, ove
addirittura esiste da oltre un secolo un istituto di democrazia diretta paragonabile a quello che nel nostro
Paese si usa denominare referendum “approvativo” o “deliberativo”, conosciuto con il nome di
“initiative”26. Ovviamente, l’initiative è disciplinata diversamente nei differenti Stati nordamericani27; ma
può dirsi che consista, in linea generale, nella raccolta di un definito numero di sottoscrizioni, che
permette di sottoporre all’approvazione degli elettori, a seconda dei casi, direttive, progetti di legge o,
addirittura, emendamenti costituzionali28. Il caso nordamericano appare, per la diffusione del fenomeno29,
particolarmente significativo; anche se non è certo l’unico oggetto di considerazione da parte dei
comparatisti30. Sta di fatto che queste esperienze rappresentano sempre di più un punto di riferimento

24 Corte cost., 2 dicembre 2004, n. 372, in Giur.cost., 2004, pp. 4022 ss., per la quale “la materia referendaria rientra
espressamente, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, tra i contenuti obbligatori dello Statuto, cosicché si deve
ritenere che alle Regioni è consentito di articolare variamente la propria disciplina relativa alla tipologia dei
referendum previsti in Costituzione, anche innovando ad essi sotto diversi profili, proprio perché ogni regione può
liberamente prescegliere forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai processi di controllo democratico
sugli atti regionali” (punto 8 delle cons. in dir.).
25 Corte cost., 12 aprile 2002, n. 106, in Giur.cost., 2002, pp. 885 ss., per la quale “l’articolo 1 della Costituzione,

nello stabilire, con formulazione netta e definitiva, che la sovranità “appartiene” al popolo, impedisce di ritenere
che vi siano luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale nella quale essa si possa insediare esaurendovisi. Le
forme e i modi nei quali la sovranità del popolo può svolgersi, infatti, non si risolvono nella rappresentanza, ma
permeano l’intera intelaiatura costituzionale” (punto 3 delle cons. in dir.).
26 M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare: l’esempio nordamericano e la prospettiva delle regioni italiane,

in Le Regioni, 3/2008, pp. 471 ss.


27 M. GORLANI, op.cit., p. 484, il quale distingue la c.d. iniziative, in “diretta” e “indiretta”, a seconda che la proposta

di legge popolare venga direttamente sottoposta al vaglio popolare; ovvero che sia preliminarmente sottoposta agli
organi legislativi e solo nel caso in cui questi non la esaminino, ovvero la rigettino, è sottoposta al voto popolare.
28 Ibidem. L’initiative, non prevista nella Costituzione federale USA (Idem, p. 476), è diffusa in circa la metà degli Stati

nordamericani (Idem, p. 479): il primo Stato ad adottarlo fu il Nebraska nel 1897, seguito dal Sud Dakota, dall’Utah,
dall’Oregon, dal Montana, dall’Oklahoma, dal Maine, dal Michigan e dalla California, che ha adottato l’istituto nel
2011 (Idem, p. 478).
29 L’utilizzo dell’initiative è molto ricorrente, se si considera che ad esempio nel solo 2006 ben 79 leggi di iniziativa

popolare sono state sottoposte al vaglio degli elettori, di cui 32 risultano approvate (Idem, p. 481), e che solo l’8
novembre 2016, contestualmente all’elezione di Tramp, negli Stati Uniti si sono svolti ben 162 referendum di
questo tipo. Cfr. S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta, cit., p. 497. Fra i temi più ricorrenti sottoposti
all’initiative si rinviene la materia fiscale. Cfr. M. GORLANI, op.cit., p. 483.
30 Sulle esperienze straniere v., da ultimo, X. CONTADIES - A. FOTIADOU, Participatory Constitutional Change: the

People as Amenders of the Constitution, London – New York, Routhedge, 2017, in cui si esaminano, in particolare, i
casi della V Repubblica francese, di Svizzera, California, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Grecia e del processo di
integrazione dell’UE. Da ultimo sulle esperienze in Svizzera e negli Stati Uniti v. anche S. RODRIQUEZ, I limiti
della democrazia diretta, cit., pp. 451 ss.

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per i riformatori nostrani, che iniziano a prendere in considerazione i modelli “positivi” di partecipazione
istituzionale31.

2. I referendum “consultivi”, “propositivi” e “approvativi” nell’esperienza regionale


Passando ad esaminare l’esperienza delle Regioni italiane, occorre partire dal dato che la “prima
generazione” degli statuti regionali non ha conosciuto referendum a contenuto positivo32, sulla scorta di
quella dottrina che li aveva esclusi dal “paniere di scelte praticabili”, in virtù dell’art. 121 Cost., che
attribuisce la funzione legislativa chiaramente (e, si riteneva all’epoca, esclusivamente) al Consiglio
regionale33.
Si è però, a giusta ragione, sostenuta l’insussistenza (rectius: il superamento) di un simile limite, se non
altro in ragione della disponibilità da parte degli Statuti della “forma di governo” delle Regioni, ottenutasi
in seguito alla riforma dell’art. 123 Cost. operata dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, la
quale consentirebbe, appunto, agli statuti di sottrarre al Consiglio regionale parte del potere legislativo34.
In vero, è opinione diffusa che il nostro ordinamento abbia fatto la scelta di fondo di sperimentare le
forme più avanzate di democrazia diretta proprio a livello locale, per poi eventualmente riproporle ai
“rami alti” dell’ordinamento35. In tal senso depone già la lettura dell’originario testo dell’art. 123 Cost.,
che nel suo primo comma, secondo allinea, non è stato inciso dalla riforma del ‘99: “Lo statuto regola

31 Dichiara di ispirarsi al modello svizzero e “californiano” la riforma che introduce il referendum propositivo nel
Comune di Roma, deliberata in via definitiva lo scorso 31 gennaio 2018. Cfr. Redazione, Statuto, via libera alle
modifich, cit.
32 C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni, in attesa dell’introduzione a

livello nazionale, in Rass. Parl., 2/2016, p. 248, la quale tuttavia ricorda come figure simili fossero state inizialmente
previste negli statuti delle regioni ordinarie, ma poi eliminate in sede di controlli parlamentari.
33 Ibidem.
34 G.U. RESCIGNO, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Diritto pubblico, 3/2002, p. 818. In vero,

questo assunto andrebbe ulteriormente indagato alla luce della circostanza che, anche dopo la riforma dell’art. 123
Cost., intervenuta con la legge costituzionale n. 1/99, la derogabilità da parte dello statuto della “forma di governo”
regionale potrebbe limitarsi, ad una interpretazione più restrittiva della novella, alle sole funzioni attribuite in
Costituzione direttamente al Presidente ed alla Giunta regionale, non anche al Consiglio, come potrebbe sostenersi
sulla base della lettura degli artt. 121 e 122 Cost., che rispettivamente attribuiscono in modo reciso il potere di fare
le leggi al Consiglio regionale (“Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione”) e
consentono limitatamente al Presidente ed alla Giunta modalità alternative di elezione, ove lo Statuto lo richieda
(“Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio
universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta”). Tuttavia, considerata
l’accezione lata e consolidata che in dottrina si attribuisce all’espressione “forma di governo”, intesa quale
distribuzione della funzione di indirizzo politico di maggioranza fra i diversi organi costituzionali, non pare di
potersi accogliere la lettura restrittiva, poc’anzi prospettata, dell’attitudine innovativa dello statuto regionale, se non
altro in attuazione del fondamentale principio democratico di cui all’art. 1 Cost.
35 S. TROILO, Fra tradizione e innovazione: la partecipazione popolare tramite consultazioni e referendum consultivi, a livello

regionale e locale, in federalismi.it, 11/2016, p. 4, secondo il quale in Assemblea Costituente il referendum fu sostenuto
soprattutto a livello regionale e locale. Ma in questo senso v., già, T. MARTINES, Il referendum negli ordinamenti
particolari, cit., p. 367.

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l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione
delle leggi e dei regolamenti regionali”. Infatti, la disposizione non detta alcun limite alla potestà statutaria delle
Regioni ad autonomia ordinaria nel disciplinare l’istituto referendario, la cui natura non necessariamente
dovrà essere meramente oppositiva36; anzi ne amplia già la portata potenziale, estendendo la sua possibile
applicazione, oltre che alle leggi, ai provvedimenti amministrativi adottati dalla Regione37.
Tuttavia, non pare dubbio che proprio in seguito alla riforma del ’99 si registrino negli Statuti regionali
nuove discipline degli istituti di partecipazione popolare, che contemplano referendum a contenuto
positivo; così come è indubbio che la previsione di rango costituzionale (legge costituzionale 31 gennaio
2001, n. 2), che abilita le Regioni ad autonomia speciale ad introdurre referendum a contenuto positivo
(consultivi e propositivi), abbia dato un ulteriore significativo slancio all’istituto referendario in ambito
regionale38.
Sui referendum inseriti negli statuti regionali di “seconda generazione” esiste un’ampia bibliografia39. Ad
un primo approccio, si può evidenziare come, accanto alla generalizzata previsione di referendum

36 Fra i primi ad esprimersi a favore di una lettura estensiva dell’art. 123 Cost. V. CRISAFULLI, Norme regionali e
norme statali in materia di referendum, in Riv. amm., 1955, pp. 461 ss., dove l’A. arriva a configurare anche la possibilità
di referendum di approvazione di leggi regionali.
37 Si parla di “portata potenziale” perché ben può la Regione scegliere di non disciplinare, ad esempio, il referendum

su provvedimenti amministrativi regionali, come fa, ad esempio, lo Statuto della Regione Campania.
38 Di fatto tutte le Regioni speciali e le Province autonome si sono dotate di leggi statutarie di disciplina del

referendum regionale e del diritto di iniziativa popolare: l.r. Friuli-Venezia Giulia 7 marzo 2003, n. 5 (“Articolo 12
dello Statuto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Norme relative alla richiesta, indizione e svolgimento
dei referendum abrogativo, propositivo e consultivo e all’iniziativa popolare delle leggi regionali”); l.r. Valle d’Aosta
25 giugno 2003, n. 19 (“Disciplina dell’iniziativa legislativa popolare, del referendum propositivo, abrogativo e
consultivo, ai sensi dell’art. 15, secondo comma, dello statuto speciale”); l.r. Sicilia 10 febbraio 2004, n. 1
(“Disciplina dell’istituto del referendum nella Regione siciliana e norme sull’iniziativa legislativa popolare e dei
consigli comunali e provinciali”); l.p. Bolzano 18 novembre 2005, n. 11 (“Iniziativa popolare e referendum”) e l.p.
Trento 5 marzo 2003, n. 3 (“Disposizioni in materia di referendum propositivo, referendum consultivo,
referendum abrogativo e iniziativa popolare delle leggi provinciali”). La Sardegna, invece, ha fatto la scelta, anziché
adottare una pluralità di leggi statutarie per ciascuno degli oggetti individuati nella legge costituzionale n. 2/2001,
di adottare un’unica legge statutaria (la “Legge statutaria della Regione autonoma della Sardegna” 10 luglio 2008,
n. 1), la cui entrata in vigore, però, è stata impedita dalla Consulta. Cfr. Corte cost., 8 maggio 2009, n. 149, in
Giur.cost., 2009, pp. 1619 ss., con commenti di D. NOCILLA, Quandoque bonus dormitat Homerus, ivi, pp. 1630 ss. e
S. PAJNO, Il regime giuridico del controllo di costituzionalità della legge statutaria nella sentenza n. 149 del 2009, ivi, pp. 1642
ss. Con la conseguenza che trova ancora applicazione, come si vedrà, la l.r. 17 maggio 1957, n. n. 20, recante
“Norme in materia di referendum popolare regionale”. Sul tema si rinvia a M. ROSINI, Le leggi statutarie delle regioni
speciali: uno sguardo alla disciplina dell’istituto referendario, in Osservatoriosullefonti.it, 3/2013, passim, nonché, con
riferimento alla Sardegna, pp. 4 s., nt. 11.
39 Ex plurimis, F. BIONDI, Il referendum negli statuti regionali tra innovazione e continuità, in E. ROSSI (a cura di), Le

fonti del diritto nei nuovi statuti regionali, Cedam, Padova, 2007, pp. 303 ss.; M. GORLANI, Il referendum propositivo e
l’iniziativa popolare: l’esempio nordamericano e la prospettiva delle regioni italiane, in Le Regioni, 3/2008, pp. 471 ss.; F.
PASTORE, Il referendum negli Statuti delle regioni ad autonomia ordinaria “di seconda generazione”, in federalismi.it, 2/2009;
Id., Problematiche costituzionale relative agli statuti regionali ordinari di seconda generazione, Padova, Cedam, 2012; V. DE
SANTIS, Il referendum nei nuovi statuti regionali: molti elementi di continuità e qualche tentativo di innovazione, in AA.VV., Studi
in onore di Vincenzo Atripaldi, Napoli, Jovene, 2010, I, pp. 479 ss.; M. OLIVETTI, I referendum e gli altri istituti

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“abrogativi”, siano state previste ulteriori tipologie di referendum, definiti dal legislatore regionale di volta
in volta “consultivi”, “propositivi” e, talora anche “approvativi”, per ciascuno dei quali, se si eccettuano
quelli consultivi di modifica delle circoscrizioni territoriali, non si rinviene a livello statale un modello di
riferimento40.
E’ bene, tuttavia, precisare, prima di entrare nel merito della legislazione regionale, che non esiste un
prototipo definito delle differenti tipologie referendarie, in quanto ogni previsione regionale si atteggia in
modo diverso, talora sfuggendo ad una precisa classificazione. In altre parole, il nomen juris, con il quale
gli Statuti o le leggi regionali qualificano le particolari consultazioni popolari, non è detto che coincida
con una specifica tipologia: omnis definitio in iure civili periculosa est; parum est enim, ut non subverti posset”, ci
ricorda Giavoleno41… e non pare, certo, che questa preoccupazione sia estranea al diritto pubblico42!
Tuttavia, si ritiene opportuno provare a delineare una definizione delle differenti tipologie di referendum
a contenuto positivo che si rinvengono negli ordinamenti regionali43, se non altro allo scopo di sistemare
una materia ancora, per la sua relativa attualità, in larga misura informe44.
Procedendo con ordine, la forma più diffusa di referendum, accanto a quello abrogativo, è senz’altro
quella c.d. “consultiva”.
a) Il referendum “consultivo” consiste in una votazione popolare, talora non ristretta al corpo elettorale
che si esprime per le elezioni politiche o amministrative (questa caratteristica è propria solo di questa
forma referendaria)45, avente come obiettivo di ottenere dalla popolazione consultata un parere, che

di democrazia partecipativa nei nuovi statuti delle Regioni ordinarie, ivi, pp. 719 ss.; M. ROSINI, Le leggi statutarie delle regioni
speciali, cit.; S. TROILO, Fra tradizione e innovazione, cit.; C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e
nell'esperienza di alcune Regioni, cit., pp. 245 ss.
40 S. TROILO, Fra tradizione e innovazione, cit., pp. 8 s.
41 Lucio Giavoleno Prisco, in Digesto, 50. 17. 202.
42 Con riferimento specifico ai referendum, parla di “anarchia terminologica” M. LUCIANI, Commentario della

Costituzione, cit., p. 122.


43 M. JORI - A. PINTORE, Introduzione alla filosofia del diritto, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 23 s., il quale ricorda

come in passato nella cultura giuridica europea si fosse affermata la tesi che escludeva il carattere vincolante delle
definizioni legislative, spettando l’attività definitoria alla scienza giuridica e non al legislatore, al quale invece
atterrebbe il compito pratico di emanare regole di comportamento. L’A. critica questa impostazione, ritenendo che
il legislatore nel definire i termini adoperati non teorizza, quanto “prescrive all’interprete che tali termini vadano
intesi nel modo indicato”.
44 Peraltro, si condivide l’impostazione tradizionale secondo cui “la scienza tradisce se stessa laddove rinuncia a

definire i concetti con cui opera” (P. GASPARRI, Teoria giuridica della Pubblica amministrazione: nozioni introdutive,
Cedam, Padova, 1964, p. 135) ovvero che “ogni scienza ha bisogno del suo tecnicismo, di un suo dizionario
convenzionale” (E. FINZI, Il possesso dei diritti, 1915, rist. Milano, Giuffrè, 1968, p. 49).
45 Ad esempio, negli Statuti di Emilia Romagna e Basilicata è previsto il diritto di voto per il referendum consultivo

agli stranieri residenti o ai minori di anni diciotto. In Toscana, ai sensi dell’art. 45 della l..r 23.11.2007, n. 62
(“Disciplina dei referendum regionali previsti dalla Costituzione e dallo Statuto”), possono votare al referendum
consultivo (comma 1, lett. c) “i cittadini stranieri e gli apolidi in possesso di entrambi i seguenti requisiti: 1)
residenza in un comune della Regione da almeno cinque anni antecedenti alla data della consultazione referendaria;
2) titolarità di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del decreto

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consenta di acquisire all’organo, cui lo statuto attribuisce il potere di deliberare (generalmente, ma non
necessariamente, il Consiglio Regionale46) ed in capo alla quale permane in ogni caso integra la
discrezionalità, elementi di giudizio circa il merito della decisione.
Questo tipo di consultazione popolare è “obbligatoria” per l'istituzione di nuovi Comuni ed i mutamenti
delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali e provinciali, ai sensi dell’art. 133 Cost.; è, invece,
facoltativa ove abbia ad oggetto ulteriori temi di interesse regionale.
Nell’esperienza regionale il referendum consultivo è previsto praticamente ovunque, o in sede statutaria
o, per le Regioni ad autonomia speciale, in sede di leggi statutarie regionali47. E’ assunto, però, secondo
modelli a propria volta differenti: possono, infatti, essere indetti su richiesta del Consiglio Regionale (sia
a maggioranza semplice che qualificata, sia con richiesta di una minoranza dei consiglieri)48 ovvero su

legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero) da ultimo modificato dal d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito dalla l. 31 luglio
2005, n. 155”. Sul tema v. T. GIOVANNETTI - E. MALFATTI - P. PASSAGLIA, L'attività della Regione, in
Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Toscana, in P. CARROZZA - R. ROMBOLI - E. ROSSI (a cura di),
Torino, Giappichelli, 2015, pp. 234 ss. Senza entrare nel merito dei referendum regionali, tuttavia invoca che nella
prospettiva di rivedere lo statuto siciliano esso si doti di “enunciati normativi nei quali largo spazio dovrà darsi ai
rapporti tra la Regione e quanti, cittadini e non, si trovino nel suo territorio, stabilmente residenti oppure di
passaggio” A.RUGGERI, Per un nuovo Statuto della Regione siciliana, in Consulta online, II/2017, p. 255. Connessa con
questa istanza è la proposta di ammettere a partecipare al referendum consultivo, oltre agli elettori regionali, “altri
soggetti, anche non cittadini, legalmente residenti da almeno due anni in un Comune della Regione”, contenuta
nell’art. 47, comma 4, della BOZZA DI NUOVO STATUTO DELLA REGIONE SICILIA predisposta dai
costituzionalisti delle Università siciliane e consegnata al Presidente dell'ARS, allegata alla relazione del Prof.
Ruggeri (p. 279).
46 Quando gli statuti affermano che il referendum può svolgersi su materie di interesse regionale e quindi non

necessariamente su proposte di legge o questioni di competenza consiliare, nulla può escludere, infatti, che la
consultazione possa essere funzionale alla decisione di organi ulteriori rispetto al Consiglio, come la Giunta
regionale o il Presidente della Regione. Si veda, ad esempio, l’art. 14 dello Statuto della Regione Campania, il quale
consente il referendum consuntivo “su tutte le iniziative e i provvedimenti di competenza della Regione”; l’art. 12
dello Statuto della Regione Calabria, il quale si riferisce a “questioni di interesse regionale”; l’art. 23 dello Statuto
della Regione Umbria, che si riferisce a “tematiche che interessano l’iniziativa politica e amministrativa della
Regione”; l’art. 52 dello Statuto della Regione Lombardia e l’art. 44 dello Statuto della Regione Marche. In vero,
non mancano Statuti che consentono il referendum consultivo esclusivamente quando siano in questione
competenze del Consiglio regionale, come nel caso dell’art. 64 dello Statuto della Regione Lazio, l’art. 9 dello
Statuto della Regione Liguria, l’art. 27 dello Statuto della Regione Veneto. Infine, si segnala lo Statuto della Regione
Friuli Venezia Giulia, che all’art. 21 fa esplicito riferimento alla possibilità di svolgere il referendum consuntivo su
materie di competenza della Giunta regionale.
47 V. le leggi citate, supra, a nt. 38.
48 E’ questo il caso degli statuti regionali della Lombardia, della Puglia, della Campania, del Molise, dell’Umbria,

della Liguria, del Piemonte e del Lazio. Ad esempio, lo Statuto della Regione Lombardia richiede addirittura, all’art.
52, il voto dei due terzi del consiglio Regionale per deliberare l’indizione del referendum consultivo (parimenti
accade per gli statuti delle Regioni Toscana e Marche). Lo Statuto della Regione Puglia, adottato nel 2003, all’art.
19 prevede che il referendum consultivo possa essere richiesto solo dal Consiglio regionale “a maggioranza assoluta
dei suoi componenti”. Così l’art. 13 dello Statuto della Regione Molise, per il quale si rinvia a M. A. GLIATTA, Il
referendum e gli altri istituti della democrazia partecipativa, in Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Molise, in M.
DELLA MORTE, G. MELONI (a cura di), Torino, Giappichelli, 2017, pp. 177 ss. Parimenti la maggioranza
assoluta è richiesta dall’art. 23 dello Statuto della Regione Umbria, dall’art. 9 dello Statuto della Regione Liguria,

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dall’art. 83 dello Statuto della Regione Piemonte. Invece, lo statuto della Campania, all’art. 14 prevede che “il
Consiglio regionale può deliberare l’indizione di referendum consultivi”, con ciò richiedendosi la maggioranza
semplice, occorrente per tutte le delibere del Consiglio regionale. Similmente accade per l’art. 21 della l.r. Friuli
Venezia Giulia 7 marzo 2003, n. 5. Parla genericamente della delibera del Consiglio regionale anche l’art. 64 dello
Statuto della Regione Lazio.
Talora la richiesta del referendum consultivo costituisce prerogativa di una minoranza, sia pure qualificata, di
consiglieri regionali: è questo il caso dell’art 12 dello Statuto della Regione Calabria (secondo il quale la richiesta
può essere fatta dal “quaranta per cento dei Consiglieri regionali”); dell’art. 19 dello statuto della Regione Basilicata
(che riserva questa prerogativa ad “un terzo dei Consiglieri”; anche se non è del tutto chiaro se successivamente
sia richiesto il voto dell’intero Consiglio: da un’interpretazione letterale della norma, infatti, l’intervento del
Consiglio sembrerebbe dovuto solo “nei casi previsti dalla legge” ove la richiesta di referendum provenga “da
rappresentanti delle categorie o dei settori interessati” ovvero “da cittadini, che abbiano compiuto sedici anni,
residenti nei Comuni della Basilicata”).
Peculiare è il caso dell’art. 17 della l.p. Trento 5 marzo 2003, n. 3, recante “disposizioni in materia di referendum
propositivo, referendum consultivo, referendum abrogativo e iniziativa popolare delle leggi provinciali”, il quale
individua come “promotori del referendum consultivo” a) il Consiglio provinciale, con deliberazione assunta a
maggioranza dei suoi componenti; b) da almeno dieci consigli comunali, che rappresentino almeno il cinque per
cento dei residenti nella provincia di Trento; c) dalla Giunta provinciale; d) dal Consiglio delle autonomie, se
costituito”; nonché sulle questioni che coinvolgono interessi delle minoranze linguistiche ladina, mochene o
cimbre, su richiesta dei “consigli comunali della maggioranza” dei rispettivi comuni.
Peculiare è anche il caso dell’art. 45 della l.r. Valle d’Aosta 25 giugno 2003, n. 19 e successive modifiche e
integrazioni (da ultimo integrata dalla l.r. 20 marzo 2017, n. 3), che attribuisce al “Consiglio della Valle” la
deliberazione a maggioranza assoluta dei suoi componenti del referendum consultivo, ma ammette che la richiesta
possa essere avanzata “dalla Giunta regionale, o da almeno un terzo dei consiglieri regionali o da almeno un
cinquantesimo degli elettori (…)”. Infatti questo tipo di consultazione, specie nella parte in cui contempla
l’iniziativa popolare, pur recando il nome di “referendum consultivo”, sembra rispondere piuttosto alla logica
funzionale del referendum “propositivo”, condividendo con la figura meramente “consultiva” la mancanza di
vincolo, che non sia meramente politico, sulle successive determinazioni del Consiglio regionale (o “della Valle”).

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richiesta della frazione di popolazione abilitata dallo statuto ad esprimersi (o anche di altri soggetti o
categorie), ovvero su istanza di entrambi49/50; il referendum può avere un’efficacia consultiva in senso
stretto, paragonandosi a quella di un parere non vincolante51, ovvero impegnare l’organo decidente ad
una obbligatoria presa in considerazione dell’argomento ed, eventualmente, a motivare la scelta
dissenziente rispetto al pronunciamento popolare52, ovvero talvolta, in spregio alla stessa qualificazione

49 Entrambe le iniziative referendarie sono previste dall’art. 76 dello Statuto della Regione Toscana e dall’art. 12,
comma 3 dello Statuto della Regione Calabria. Lo Statuto del Veneto, all’art. 27, parimenti prevede la richiesta del
Consiglio regionale o di “cittadini o enti locali, secondo quanto previsto dalla legge regionale”.
Una strada intermedia è scelta, invece, dallo Statuto della Regione Emilia Romagna, il cui art. 21 prevede che il
referendum consultivo sia “indetto” su richiesta di “a) ottantamila residenti nei Comuni della nostra Regione; b)
dieci Consigli comunali che rappresentino almeno un quinto degli abitanti della Regione; c) quattro Consigli
provinciali”. In attuazione della previsione statutaria, la l.r. Emilia Romagna 22 novembre 1999, n. 34, recante
“testo unico in materia di iniziativa popolare, referendum e istruttoria pubblica”, all’art. 34 dispone che
“l'Assemblea legislativa regionale delibera l'indizione di referendum consultivi - a norma dell'art. 21 dello Statuto -
per l'espressione di una valutazione della comunità regionale su materie o leggi di competenza regionale”. In ciò si
può cogliere una prima contraddizione con lo Statuto, che parla direttamente di “indizione”, ad indicare la fase
della procedura referendaria che spetta al Presidente della Regione, che dunque dovrebbe operarsi direttamente e
non, come invece previsto nella legge di attuazione, previa deliberazione del Consiglio regionale. Ma le
contraddizioni non si esauriscono qui: l’art. 35 della l.r. n. 34/99 prevede che la “richiesta di referendum consultivo
di cui all'articolo 34”, oltre che dai Consigli comunali e provinciali, possa “essere presentata almeno da: a)
ottantamila iscritti nell'anagrafe della popolazione residente dei Comuni della Regione, purché maggiorenni, ivi
compresi gli iscritti privi di cittadinanza italiana se regolarmente e continuativamente residenti da almeno due anni in
Comuni dell'Emilia-Romagna” (il corsivo non è nel testo in vigore). Si ritiene, infatti, contrastante con lo statuto -
e quindi da considerare illegittima - la previsione che restringere a quanti siano residenti da almeno due anni nei
Comuni dell’Emilia Romagna l’elettorato attivo per il referendum consultivo, visto che lo Statuto non pone, al
riguardo, alcuna limitazione temporale.
Simile è la scelta operata dallo Statuto della Regione Abruzzo nel 2007, dove si prevede una proposta “diffusa” ma
l’approvazione riservata al Consiglio regionale: l’art. 31, infatti, richiede la delibera del Consiglio regionale a
maggioranza assoluta dei suoi componenti; il successivo art. 32, invece, prevede che “la richiesta di referendum
consultivo per le proposte di cui all'articolo 31 può essere presentata dagli elettori della Regione in numero non
inferiore a cinquemila, calcolati sulla base del numero totale di essi accertato nell'ultima revisione delle liste elettorali
per l'elezione del Consiglio regionale in carica, da più Consigli comunali che rappresentano almeno un quinto degli
abitanti della Regione, secondo i dati dell’ultimo censimento ufficiale, da due Consigli provinciali, da ciascun
Consigliere regionale e dalla Giunta regionale”.
50 S. TROILO, Fra tradizione e innovazione, cit., p. 13, secondo il quale il referendum consultivo è stato disciplinato

dalle Regioni secondo due modelli nettamente distinti fra loro: l’uno caratterizzato dall’iniziativa popolare, secondo
una dinamica bottom-up; l’altro basato sull’iniziativa del Consiglio dell’ente (ma non dell’esecutivo, salvo che in
Trentino), secondo una dinamica top-down.
51 Si deve ritenere che ciò accada anche quando gli Statuti tacciono del tutto sugli effetti della consultazione

referendaria, come ad esempio accade per l’art. 21 dello Statuto della Regione Emilia Romagna, per l’art. 9 dello
Statuto della Regione Liguria, per l’art. 19 dello Statuto ella Regione Puglia, per l’art. 21 dello Statuto della Regione
Friuli Venezia Giulia, nonché in tutti i casi in cui lo Statuto si limiti ad operare un rinvio alla legge regionale, su cui
v., infra, nt. 58.
52 Ad esempio, lo Statuto della Regione Calabria prevede, in caso di esito positivo del referendum consultivo, un

vincolo di valutazione per il Consiglio regionale (art. 12, comma 3); lo Statuto toscano contempla un obbligo di
valutazione ed una esplicita motivazione in caso di scelta diversa del Consiglio regionale rispetto all’esito del
referendum (si veda anche l’art. 56 della l.r. 23.11.2007, n. 62). Analogamente lo Statuto della Regione Veneto,
all’art. 27, prevede che il Consiglio sia tenuto “ad esaminare l’argomento entro novanta giorni dalla proclamazione
dei risultati e a motivare le decisioni eventualmente adottate in difformità” (sia pure solo qualora vi abbia

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“consultiva”, gli si attribuisce un’efficacia tendenzialmente vincolante53; possono essere previsti limiti
espliciti al referendum consultivo54 ovvero non esserlo (anche se, in ogni caso, sulla legge che lo abbia
indetto può intervenire la Consulta, ove i quesiti riguardino argomenti che eccedano la competenza della

partecipato la maggioranza degli aventi diritto). Lo Statuto della Regione Abruzzo rinvia alla legge, la quale (l.r. 19
dicembre 2007, n. 44., art. 35), a sua volta, prevede un effetto di sospensione dell’iter legislativo durante lo
svolgimento del referendum consultivo e l’obbligo di motivazione in caso di scelta del Consiglio regionale non
conforme all’esito referendario. L’art. 83 dello Statuto della Regione Piemonte, infine, prevede, al secondo comma,
che “entro sessanta giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum, se l'esito è stato favorevole, il Presidente
della Giunta regionale è tenuto a proporre al Consiglio un disegno di legge sull'oggetto del quesito sottoposto a
referendum; al terzo comma prevede che “entro lo stesso termine, se l'esito è stato negativo, il Presidente della
Giunta ha facoltà di proporre egualmente al Consiglio un disegno di legge sull'oggetto del quesito sottoposto a
referendum”.
53 Il comma 2 dell’art. 13 dello Statuto della Regione Molise testualmente recita “il Consiglio regionale delibera

sulla questione oggetto del referendum tenendo conto delle indicazioni scaturite dalla consultazione”, potendosi in esso
scorgere la disciplina di un referendum di indirizzo ad efficacia vincolante. La previsione secondo cui il Consiglio
regionale delibera sulla questione oggetto del referendum “tenendo conto delle indicazioni scaturite dalla
consultazione”, infatti, da una parte sembra alludere ad un vincolo non puntuale dove utilizza l’espressione
“indicazioni”, che è affine ad “indirizzi”; dall’altra, nella sua perentorietà, non sembra lasciare margini alla
discrezionalità del Consiglio regionale quanto all’an dell’attuazione dell’indirizzo, ponendosi quindi al di fuori della
funzione meramente consultiva, ad onta della rubrica dell’art. 13, che reca appunto la dicitura “Referendum
consultivo”. La vincolatività della previsione, peraltro, appare attenuata dalla circostanza che il vincolo sia da
assumere come una sorta di “auto-vincolo”, in quanto, ai sensi del primo comma dell’art. 13 dello Statuto molisano,
è lo stesso Consiglio regionale, a maggioranza assoluta, a decidere l’indizione del referendum. Quindi si ritiene che
in questo caso sia lo stesso Consiglio regionale ad “autolimitarsi” e a dettare i termini del quesito da sottoporre al
popolo, impegnandosi quindi successivamente a “tener conto” dell’esito della consultazione.
54 E’ questo il caso, ad esempio, per la Regione Toscana della l.r. 23.11.2007, n. 62 (recante “Disciplina dei

referendum regionali previsti dalla Costituzione e dallo Statuto”), il cui art. 46, rubricato “Limiti di ammissibilità”
prevede che “non sono sottoposti a referendum consultivo: a) quesiti relativi agli oggetti e alle materie di cui
all’articolo 20, comma 1; b) quesiti in materia di nomine e designazioni”. Seguono, poi, ulteriori disposizioni per
evitare il contestuale svolgimento di referendum abrogativi e consultivi. Ma si veda, analogamente, anche il comma
3 dell’art. 27 dello statuto della Regione Veneto.

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Regione55); può essere previsto un controllo preventivo da parte di Consulte di garanzia statutaria56, organi
regionali eventuali con funzione di controllo; diverse possono essere le modalità concrete di espletamento
delle procedure elettorali, per lo più rinviate dagli statuti ad ulteriori leggi regionali57; talora il rinvio alla
legge regionale è pressoché totale, nel senso che scarne sono le indicazioni fornite direttamente dallo
statuto58.

55 Il referendum consultivo deve riguardare esclusivamente materie di competenza della Regione: infatti, a giudizio
della Consulta, esso «non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento», non solo nei confronti
del Consiglio regionale, ma anche nelle «fasi del procedimento di formazione della legge statale», condizionando le
scelte discrezionali di competenza esclusiva degli organi centrali o svolgendo un indebito «ruolo di propulsore della
innovazione costituzionale» (ove abbia ad oggetto un’iniziativa di revisione costituzionale). Cfr. Corte cost., 24
novembre 1992, n. 470, in Giur.cost., 1992, pp. 4252 ss., con commento di N. ZANON, I referendum costituzionali
regionali, la nozione di procedimento e le esigenze del diritto costituzionale materiale, ivi, pp. 4267 ss. Conf. Corte cost., 14
novembre 2000, n. 496, in Giur.cost., 2000, pp. 3798 ss., con commenti di F. CUOCOLO, Leggi di revisione
costituzionale e referendum consultivo regionale, ivi, pp. 3810 ss; S. BARTOLE, Riforme federali e consultazioni referendarie
regionali: un abbinamento discutibile, ivi, pp. 3818 ss.; di N. ZANON, Il corpo elettorale in sede referendaria non è il propulsore
dell’innovazione costituzionale, ivi, pp. 3823 ss.; di G. PAGANETTO, Uso discorsivo del referendum consultivo e dell’autonomia
regionale, ivi, pp. 3828 ss.; nonché di A. RUGGERI, Ancora in tema di referendum regionali consultivi e di teoria delle fonti,
in Le Regioni, 1/2001, pp. 224 ss. Da ultimo ripropone la questione Corte cost., 25 giugno 2015, n. 118, in Giur.cost.,
2015, pp. 919 ss., con commento di S. BARTOLE, Pretese venete di secessione e storica questione catalana, convergenze e
divergenze fra Corte costituzionale italiana e Tribunale costituzionale spagnolo, anche con ripensamenti della giurisprudenza della
prima, ivi, pp. 939 ss. Quest’ultima pronuncia è stata emessa dalla Consulta in seguito dell'impugnazione statale delle
leggi regionali venete n. 15 e n. 16 del 2014. La Corte ha sancito l'illegittimità costituzionale del referendum
consultivo indetto sull'indipendenza del Veneto dall'Italia, nonché di ulteriori quattro quesiti sull'autonomia
regionale. Sul punto v. anche R. ROMBOLI, In tema di referendum consultivi, Nota a ord. Corte cost. 28 aprile 2015, n.
s.n.; Corte cost. 25 giugno 2015, n. 118, in Il Foro italiano, 10/2015, pp. 3033 ss.; nonché G. FERRAIUOLO, La Corte
costituzionale in tema di referendum consultivi regionali e processo politico: una esile linea argomentativa per un esito (in parte)
prevedibile, in federalismi.it, 20/2015.
56 Si veda, ad esempio, l’art. 21, comma 2, dello Statuto della Regione Emilia Romagna. Sul tema si rinvia a S.

Aloisio, R. Pinardi, Il ruolo degli organi di garanzia statutaria alla luce di una visione complessiva delle competenze loro assegnate:
tra aspettative e pessimismi eccessivi?, in Consulta online, 2010.
57 Ad esempio, solo per il referendum consultivo è previsto nella Regione Lombardia il voto elettronico: la l.r.

Lombardia 23 febbraio 2015, n. 3 ha, infatti, previsto che, per i soli referendum consultivi, la votazione possa
avvenire mediante sistemi elettronici e procedure informatiche, che siano chiari e comprensibili agli elettori e
garantiscano il pieno rispetto della personalità, dell’uguaglianza, della libertà e della segretezza del voto. Peraltro,
in ogni Comune devono essere sorteggiate alcune sezioni elettorali nelle quali al voto elettronico si deve affiancare
la stampa dello stesso. Sul tema v., in generale, P. Gay, E-voting, in A.CELOTTO - G.PISTORIO, Le nuove “sfide”
della democrazia diretta, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, cit., pp. 119 ss.
58 E’ questo il caso della Regione Abruzzo, il cui statuto, all’art. 78, dopo aver richiamato nel primo comma le

consultazioni relativi ai mutamenti delle circoscrizioni territoriali, nel secondo comma si limita a dire: “E’ ammesso
referendum consultivo per materie che interessano particolari categorie e settori della popolazione regionale” (così
aprendo la strada esclusivamente a referendum “parziali”, che cioè non investono l’intera popolazione regionale),
e poi soggiunge in modo lapidario quanto conclusivo: “la legge stabilisce i casi e i modi di svolgimento del
referendum consultivo”. Ma altrettanto scarne sono le indicazioni che si ricavano dall’art. 52 dello statuto della
Regione Lombardia, dall’art. 44 dello statuto della Regione Marche e dall’art. 23 dello statuto della Regione Umbria,
dove pure si fa esplicito riferimento a particolari “ambiti territoriali”. Considera con una disposizione a parte la
“consultazione di particolari categorie o settori della popolazione”, rubricando l’articolo “consultazione popolare”,
lo statuto della Regione Piemonte all’art. 86.

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In ogni caso, l’elemento essenziale, che consente di identificare un referendum come “consultivo”,
sembra sia che esso, al di là del valore politico che indubbiamente riveste59, non produca effetti vincolanti
per il decisore finale (salvo che, come avviene nel caso del Molise, lo stesso Consiglio regionale non abbia
deliberato l’indizione del referendum, definendone anticipatamente il quesito e quindi accettando di
autolimitare la sua discrezionalità legislativa ad una delle opzioni dallo stesso Consiglio predeterminate
nel sottoporle al vaglio del corpo elettorale regionale).
Un tipo particolare di referendum consultivo, che merita una specifica analisi perché suscettibile di
rappresentare un significativo modello anche per una possibile previsione in Costituzione, è il referendum
“di indirizzo” contemplato nell’ordinamento della Regione Sicilia. L’art. 13 bis dello Statuto Siciliano -
come accade per tutte le Regioni ad autonomia speciale, in attuazione della legge costituzionale n. 2 del
2001 - prevede che “con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea regionale
sono disciplinati l'ambito e le modalità del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo”.
La legge che dà attuazione a questa previsione statutaria (legge 10 febbraio 2004, n. 1, recante “Disciplina
dell'istituto del referendum nella Regione siciliana e norme sull'iniziativa legislativa popolare e dei consigli
comunali o provinciali”), all’art. 25 prevede che l’Assemblea regionale possa “deliberare, a maggioranza
assoluta dei suoi componenti, l'indizione di referendum consultivi a norma dell'articolo 13 bis dello
Statuto, tendenti a conoscere l'opinione della popolazione regionale circa i principi, gli indirizzi o gli
orientamenti relativi ai progetti di legge regionali”60. La peculiarità di questa previsione è quella di
circoscrivere l’oggetto della consultazione non a generiche questioni di interesse generale (referendum
consultivo proprio) e neppure a disposizioni compiute e dettagliate di progetti di legge regionali
(referendum propositivo), ma solo a principi, indirizzi ovvero orientamenti61. Ne risulta, sul piano della legge

59 Sull’efficacia dei referendum consultivi, merita di essere ricordata una pronuncia, sia pur risalente della Consulta,
secondo la quale i referendum consultivi, “anche se sul piano giuridico formale non sono vincolanti e non
concorrono a formare la volontà degli organi, restano, però, espressione di una partecipazione politica popolare
che trova fondamento negli artt. 2 e 3 della Costituzione: manifestazione che ha una spiccata valenza politica ed
ha rilievo sul piano della consonanza tra la comunità e l’organo pubblico nonché della connessa responsabilità
politica, quale espressione di orientamenti e valutazioni in ordine ad atti che l’organo predetto intende compiere”.
Cfr. Corte cost., 18 maggio 1989, n. 256, in Giur.cost., 1989, pp. 1194 ss., con commento di V. LIPPOLIS, Regioni,
teatry power e giurisprudenza della Corte costituzionale, ivi, pp. 1206 ss. e di P. BARRERA, Referendum consultivo e limiti
dell’«interesse regionale», ivi, pp. 1223 ss.
60 Il corsivo non è nel testo vigente.
61
Conferma questa impostazione la nuova proposta di Statuto regionale della Sicilia, di recente predisposta dai
costituzionalisti delle Università siciliane e consegnata al Presidente dell'ARS, il cui art. 47, al comma 4, recita: “Il
referendum consultivo è proposto su richiesta dei Deputati regionali o della Giunta ed è indetto, a seguito di deliberazione
dell’Assemblea, al fine di conoscere l’opinione della popolazione regionale, o di frazioni di essa qualificate per un
rilevante interesse locale, circa i principi o gli indirizzi relativi ad attività o progetti di legge di competenza regionale,
incluse le iniziative regionali di leggi statali, anche costituzionali e di modifica statutaria. Al referendum consultivo sono
ammessi a partecipare, oltre agli elettori regionali, altri soggetti, anche non cittadini, legalmente residenti da almeno due
anni in un Comune della Regione”. Cfr. BOZZA DI NUOVO STATUTO DELLA REGIONE SICILIA, allegato ad A.
RUGGERI, Per un nuovo Statuto della Regione siciliana, cit., p. 279.

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regionale siciliana, una potenziale ripartizione di competenze fra la consultazione popolare, che deve
avere ad oggetto i “principi” della materia, ed il Consiglio Regionale, cui rimane in via esclusiva la
competenza a disciplinarla compiutamente. Il “referendum di indirizzo” siciliano, tuttavia, rimane
indubbiamente inquadrato nella tipologia “consultiva”, in ragione della previsione di cui all’art. 29 della
legge regionale 10 febbraio 2004, n. 1, secondo la quale, ove “le proposte sottoposte a referendum
continuino il loro corso, si fa menzione dell'intervenuto referendum e si motivano le eventuali difformità
del contenuto del progetto di legge rispetto all'esito del referendum nella relazione presentata dalla
Commissione assembleare referente”. Infatti, detta disposizione lascia al Consiglio regionale inalterata la
discrezionalità tanto di non procedere nell’esame del progetto di legge, quanto di disattendere l’esito del
referendum, impegnandolo solo a darne menzione ed a motivare le difformità dalla scelta espressa in sede
referendaria.
2) L’altra forma di referendum a contenuto positivo che è assurta al rango di previsione costituzionale è
quella c.d. “propositiva”, in quanto prevista nella legge costituzionale n. 2 del 2001, che l’ha introdotta
negli Statuti di tutte le Regioni ad autonomia speciale. Tuttavia, non in tutte queste Regioni esso trova
poi una disciplina attuativa nelle leggi regionali; e non dovunque la sua efficacia è omogenea. Peraltro,
come si vedrà, referendum propositivi sono contemplati anche negli Statuti di alcune Regioni ad
autonomia ordinaria.
Dal primo punto di vista, basti ricordare il caso della già menzionata legge regionale siciliana 10 febbraio
2004, n. 1, la quale si limita a disciplinare il referendum abrogativo e quello consultivo, nonostante l’art.
13 bis dello Statuto contempli espressamente anche il referendum propositivo.
Quanto alla disomogeneità delle previsioni, essa è particolarmente accentuata con riferimento agli effetti
che è in grado di produrre: il referendum propositivo, infatti, in alcune Regioni è configurato come una
forma di consultazione popolare in cui il corpo elettorale si limita a proporre una delibera al Consiglio o
alla Giunta (non necessariamente solo progetti di legge62); in altre Regioni esso consiste in una forma di
consultazione in cui, sia pure in seguito alla mancata attuazione della proposta popolare per un
determinato lasso di tempo, il voto referendario sia in grado di produrre esso stesso gli effetti della
deliberazione auspicata63.

62 Si veda, ad esempio, l’art. 16 della l.p. Trento 5 marzo 2003, n. 3, recante “Disposizioni in materia di referendum
propositivo, referendum consultivo, referendum abrogativo e iniziativa popolare delle leggi provinciali”, che si
riferisce tanto alla Giunta quanto al Consiglio provinciale.
63 Distingue in tal senso un referendum propositivo “in senso debole” da uno “in senso forte” C. PETRILLO, Il

referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni, cit., p. 262. Analoga distinzione, con riferimento
al vincolo che ne scaturisce, si trova in M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare, cit., pp. 471 ss.

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Alla prima categoria appartengono i referendum propositivi disciplinati dagli Statuti delle Regioni Friuli
Venezia Giulia e Lazio64, che possono qualificarsi come una sorta di “iniziativa legislativa rafforzata”65.
Così, si configura privo di effetti vincolanti per il Consiglio regionale il referendum disciplinato della legge
regionale 7 marzo 2003, n. 5, adottata in attuazione dell’art. 12, comma 2 dello Statuto della Regione
Friuli Venezia Giulia. In base all’art. 23 della legge regionale citata, infatti, il referendum propositivo
friulano consiste in una consultazione popolare, che coinvolge il corpo elettorale delle elezioni politiche
o amministrative66, il cui elemento caratterizzante è l’espressione di voto su una proposta di legge redatta
in articoli per iniziativa popolare, non presa in considerazione dal Consiglio regionale per un determinato
lasso di tempo (nella fattispecie, un anno). Esso ha l’obiettivo di dimostrare all’organo titolare del potere
legislativo, tramite il suffragio popolare, il particolare interesse che riveste una proposta di legge per i
cittadini della Regione; in ogni caso lasciando integra, in capo all’organo cui lo Statuto attribuisce il potere
di deliberare, la discrezionalità circa il merito della decisione. Il Consiglio regionale, se il referendum ha
esito positivo, infatti, è solo tenuto ad esaminare la proposta entro sessanta giorni dalla proclamazione
dei risultati67.
Procedura ed effetti del referendum propositivo sono sostanzialmente identici nell’art. 62 dello Statuto
della Regione Lazio, unica regione a Statuto ordinario che recepisce questa tipologia referendaria68.

64 Anche la “Legge statutaria della Regione autonoma della Sardegna” 10 luglio 2008, n. 1, annullata dalla Consulta,
come si è visto, supra, a nt. 38, prevedeva un istituto sostanzialmente analogo all’art. 4. Rimane quindi in vigore in
quella Regione la l.r. 17 maggio 1957, n. 20, recante “Norme in materia di referendum popolare regionale”, come
modificata dalla legge regionale 15 luglio 1986, n. 48, che prevede all’art. 1 due particolari forme di referendum,
rispettivamente alle lettere e) ed f) (“e) esprimere parere prima della loro approvazione su progetti di legge ovvero
di regolamenti o atti e provvedimenti amministrativi di competenza del Consiglio o della Giunta regionale”; f)
“esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale”), la cui natura consultiva è resa
evidente dall’utilizzo in entrambe le ipotesi dell’espressione “parere”.
65 M. OLIVETTI, I referendum e gli altri istituti di democrazia partecipativa, cit., pp. 719 ss.
66 Evidentemente, la maggiore incidenza del referendum propositivo rispetto a quello consultivo ha consigliato di

non ampliare la partecipazione popolare al di là di quella costituente il corpo elettorale delle assemblee legislative.
67 Il rapporto con l’iniziativa legislativa non si coglie solo nella rubrica del Capo V, in cui è inserita anche la

disciplina del referendum propositivo e che, non a caso, è rubricato “iniziativa legislativa popolare e referendum
propositivo”, ma anche nell’impostazione stessa degli articoli 22, che disciplina la “modalità di presentazione delle
proposte di legge d'iniziativa popolare”, e 23, che disciplina il “referendum propositivo”. L’art. 23, infatti,
testualmente recita: “1. Gli elettori titolari dell’iniziativa legislativa possono, con le modalità e i limiti previsti nel
capo II, presentare al Consiglio regionale una proposta di legge da sottoporre a referendum popolare ai sensi del
presente articolo. 2. Decorso un anno dalla data della deliberazione che accerta la regolarità della richiesta degli
elettori, qualora il Consiglio regionale non abbia deliberato sulla proposta di legge, il Presidente della Regione, con
decreto, indice referendum popolare sulla proposta di legge medesima. 3. L'esito del referendum è favorevole se
ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi. 4. Entro sessanta giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum propositivo, se l'esito è
favorevole, il Consiglio regionale è tenuto a esaminare la proposta di legge sottoposta a referendum”.
68 Proprio la discrezionalità piena che permane in testa al Consiglio Regionale ha spinto parte della dottrina a

ritenere questa forma di referendum non sostanzialmente dissimile da quello consultivo: G. D’ALESSANDRO,
La partecipazione popolare, in M. RUOTOLO - G. SERGES (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione

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Ben diverso è il caso dei referendum, parimenti qualificati dal legislatore regionale come “propositivi”,
che si realizza allorché, in seguito alla mancata attuazione della proposta di iniziativa popolare per un
determinato lasso di tempo, il voto referendario sia in grado di produrre esso stesso gli effetti della
deliberazione auspicata, facendo insorgere in capo al vertice rappresentativo dell’ente territoriale il dovere
di promulgazione della legge69. In questo senso operano, in attuazione dell’art. 47, comma 2, dello Statuto
della Regione Trentino Alto Adige, la legge provinciale di Trento 5 marzo 2003, n. 3 e la legge provinciale
di Bolzano 17 luglio 2002, n. 10; nonché, in attuazione dell’art. 15 dello Statuto della Regione Valle
d’Aosta, la legge regionale della Valle d’Aosta 25 giugno 2003, n. 1970. Pur essendo espressamente

Lazio, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 285 ss.; F. BIONDI DAL MONTE, Il referendum negli statuti regionali tra
innovazione e continuità, in E. ROSSI (a cura di), Le fonti del diritto nei nuovi statuti regionali, Padova, Cedam, 2007, p.
331.
69 Dubita della legittimità costituzionale di questa tipologia di referendum regionali, in particolare con riferimento

al caso previsto dallo Statuto della Regione Campania, V. DE SANTIS, Il referendum approvativo nel nuovo Statuto della
Regione Campania, in www.federalismi.it, n. 10/2009, sia pure rinviando la questione all’attuazione legislativa
dell’istituto, tuttora carente. Parimenti considerano questa tipologia come incostituzionale con riferimento al caso
della Valle D’Aosta G. GUZZETTA - F. S. MARINI, Parere in merito ai profili di legittimità della disciplina e del
procedimento per il referendum propositivo su proposte di legge di iniziativa popolare nella Regione Valle D’Aosta ed alle particolari
attribuzioni e responsabilità del Presidente della Regione, in federalismi.it, n. 14/2007.
70 L’attuazione dell’identica previsione statutaria (dettata, com’è noto, dalla l. cost. n. 2/2001) ha dato origine ad

istituti analoghi, ciascuno però con peculiarità proprie.


La l. p. di Trento 5 marzo 2003, n. 3, recante “disposizioni in materia di referendum propositivo, referendum
consultivo, referendum abrogativo e iniziativa popolare delle leggi provinciali”, rileva, ai fini che ci interessano,
per due istituti, qualificati dalla legge rispettivamente “referendum propositivo” (artt. 1 ss.) e “iniziativa popolare”
(artt. 19 ss.). Il referendum propositivo trentino attiene a “specifiche questioni di particolare interesse provinciale”;
è proposto da almeno ottomila elettori (art. 5) ed impegna, in caso di esito positivo, la Giunta o il Consiglio
provinciale, secondo la rispettiva competenza, ad adottare, entro tre mesi, le iniziative e i provvedimenti per
l'attuazione dei risultati del referendum (art. 16). Si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una iniziativa a vasto
spettro, ma non relativa a proposte di legge provinciale, per la quale è dettato l’istituto apposito disciplinato
successivamente agli artt. 19 ss. e rubricato “iniziativa popolare”. In dottrina si è inserita questa esperienza fra
quelle “deboli”. Cfr. C.PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni, cit., p. 264,
che rinvia per analoga qualificazione agli autori citati nella nt. 62. Si rileva, tuttavia, che l’A. citata non abbia
considerato l’istituto disciplinato all’art. 19, dove, ad onta della rubrica (“iniziativa popolare”), la stessa legge
provinciale n. 3/2003 configura un tipo di referendum propositivo indubbiamente “forte”. Questa disposizione,
infatti, dopo aver precisato i soggetti legittimati a proporre l’iniziativa popolare (duemilacinquecento elettori o
cinquecento, in caso di minoranze linguistiche), redatta in articoli ed accompagnata da una relazione illustrativa
(commi 1 e 2) e ad aver escluso la materia tributaria e di bilancio (comma 3), prevede l’inizio della trattazione entro
45 giorni dal ricevimento della iniziativa “proponibile” (comma 7); stabilisce, altresì, al comma 8, che qualora il
“Consiglio provinciale non abbia iniziato l'esame di una proposta di legge d'iniziativa popolare entro ventiquattro
mesi dalla sua presentazione presso il Consiglio stesso, essa è sottoposta a referendum secondo la procedura
prevista da questa legge per il referendum propositivo, senza necessità di raccolta delle sottoscrizioni. Il Presidente
della Provincia promulga la legge di iniziativa popolare qualora nel referendum prevalgono i voti favorevoli, a
condizione che alla consultazione abbia partecipato almeno il cinquanta per cento degli aventi diritto al voto”.
La legge statutaria provinciale di Bolzano 18 novembre 2005, n. 11 prevede, all’art. 15, che 13.000 elettori possono
presentare un progetto di legge, diviso per articoli, redatto nelle lingue italiana e tedesca (comma 1); i casi di non
ammissibilità (comma 2); il rinvio alla disciplina prevista per il referendum abrogativo (comma 3). Prevede, altresì,
che entro 180 giorni dalla verifica della regolarità delle firme raccolte, il Consiglio provinciale possa approvare una
legge “che corrisponde al progetto di legge da sottoporre a referendum, apportando unicamente eventuali

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qualificati nella disciplina statutaria e nelle leggi attuative come referendum “propositivi”, i casi da ultimo
richiamati configurano una peculiare tipologia, che più propriamente viene qualificata nelle Regioni ad
autonomia ordinaria che hanno recepito l’istituto, cioè la Campania (art. 15 dello Statuto) e la Basilicata
(art. 20 dello Statuto), come “approvativa”, in ragione della circostanza che il voto popolare completa la
fase deliberativa, permanendo in capo al Presidente della Regione la sola funzione della promulgazione
della legge71.
Ne discende che possa intendersi con l’espressione referendum “approvativo” o “deliberativo”, quel tipo
particolare di referendum propositivo, che coinvolge il corpo elettorale delle elezioni politiche o
amministrative (al pari del referendum propositivo semplice), il cui elemento caratterizzante è
l’espressione di voto su una proposta di legge redatta in articoli, destinata ad essere direttamente

adeguamenti tecnici, redazionali e linguistici”; altrimenti si procede alla celebrazione del referendum e, in caso di
esito favorevole, alla promulgazione della legge da parte del Presidente della Provincia. La successiva legge
provinciale 7 settembre 2009, n. 4 ha previsto anche la possibilità di un voto referendario su proposte di legge
“concorrenti”. Analizza in modo più ampio e dettagliato questa procedura C. PETRILLO, op.cit., pp. 266 s.
Infine, quanto alla Valle d’Aosta, la l.r. 25 giugno 2003, n. 19, recante “disciplina dell'iniziativa legislativa popolare,
del referendum propositivo, abrogativo e consultivo, ai sensi dell'articolo 15, secondo comma, dello Statuto
speciale”, come modificata, da ultimo, dalla legge regionale 20 marzo 2017, n. 3, all’art. 12 prevede che almeno il 5
per cento degli elettori dei Comuni della regione può presentare al Consiglio della Valle una proposta di legge di
iniziativa popolare, indicando “sui fogli destinati alla raccolta delle firme (…) che tale proposta di legge potrà essere
sottoposta a referendum propositivo”. Il successivo art. 13 stabilisce che, decorsi “sessanta giorni dalla
assegnazione alle Commissioni consiliari della proposta di legge senza che le stesse si siano pronunciate, la proposta
di legge è iscritta all'ordine del giorno della prima seduta del Consiglio, il quale deve deliberare nel merito entro i
successivi sessanta giorni. Qualora il Consiglio della Valle non approvi la proposta di legge di iniziativa popolare o
una legge che, su conforme parere della Commissione di cui all'articolo 40, recepisca i principi ispiratori ed i
contenuti essenziali della proposta di legge di iniziativa popolare, il Presidente della Regione, con decreto da
pubblicare sul Bollettino ufficiale della Regione, indice, entro i successivi trenta giorni, referendum propositivo
sulla proposta di legge. L’art. 14, infine, stabilisce che “la proposta di legge di iniziativa popolare sottoposta a
referendum propositivo è approvata se alla votazione partecipa almeno il 50 per cento del numero di votanti alle
ultime elezioni regionali precedenti al referendum e se la risposta affermativa raggiunge la maggioranza dei voti
validamente espressi, con la conseguenza che il Presidente della Regione provvede alla promulgazione della legge
e alla sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione”. Su questo istituto si rinvia a R. LOUVIN, Riforme
elettorali in Valle d’Aosta: il referendum propositivo apre la via verso nuovi scenari, in www.federalismi.it, 14/2007.
71 Gli statuti di Campania e Basilicata ripropongono sostanzialmente la stessa procedura già esaminata per la

Regione Valle d’Aosta. Lo statuto campano, all’art. 15, dispone che cinquantamila elettori possono presentare al
Consiglio o alla Giunta una proposta di legge o di regolamento. Qualora nel termine di sei mesi la proposta non
sia approvata, o sia approvata ma con modifiche sostanziali, essa è sottoposta al voto popolare ed è approvata se
alla votazione referendaria partecipa la maggioranza degli aventi diritto e sia raggiunta la maggioranza dei voti
validamente espressi. Il caso campano si segnala per l’ampiezza dei limiti al referendum approvativo, che non è
ammesso “per le leggi di bilancio, tributarie, finanziarie, di governo del territorio, di tutela ambientale e sullo stato
giuridico dei consiglieri regionali, per le leggi relative ai rapporti internazionali e con l’Unione Europea nonché
sullo Statuto e sulle leggi di revisione statutaria”. Sull’istituto si rinvia a V. DE SANTIS, Il referendum approvativo nel
nuovo statuto della Regione Campania, cit.
Lo statuto della Regione Basilicata, all’art. 20, rinvia per quanto riguarda la richiesta, la partecipazione, i limiti, la
validità, il procedimento e gli effetti del referendum approvativo (che ha ad oggetto solo proposte di legge
regionale), alle disposizioni previste per il referendum abrogativo. Prevede altresì un periodo di novanta giorni
perché il Consiglio regionale adotti la legge o ne recepisca i principi e i contenuti essenziali.

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promulgata dal Presidente della Regione in caso di inerzia prolungata o di dissenso del Consiglio
regionale, ove votata da quorum qualificati del corpo elettorale. In sostanza si ha in questo caso una
proposta di legge popolare ancor più rafforzata, nella misura in cui la sua mancata considerazione o la
sua bocciatura da parte del Consiglio regionale apra la strada del referendum, dotato di efficacia sostitutiva
della mancata determinazione del Consiglio72.
Resta da chiarire il motivo per il quale le regioni Campania e Basilicata qualificano direttamente questa
forma referendaria come “approvativa”, mentre le province autonome di Trento e Bolzano e la regione
Valle d’Aosta utilizzano il nomen iuris “referendum propositivo”, pur disciplinando l’istituto in modo
sostanzialmente analogo. In vero, il motivo appare evidente: la legge costituzionale n. 2 del 2001 ha
espressamente previsto per le regioni a statuto speciale solo la possibilità di adottare referendum
abrogativi, consultivi e “propositivi” e non anche ulteriori forme; con la conseguenza che il legislatore
regionale, per attribuire al referendum efficacia deliberativa, si è visto costretto a forzare la qualificazione
del referendum “propositivo”. Né, a ben riflettere, questa apparente forzatura si palesa incostituzionale73,
nella misura in cui anche le regioni ad autonomia speciale sono state abilitate dalle modifiche introdotte
con la legge costituzionale n. 2 del 2001 a determinare “la forma di governo della Regione”, attraverso
legge regionale approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati74; esse sono, quindi,
legittimate, al pari delle Regioni ad autonomia ordinaria ex art. 123 Cost., a trasferire in capo al corpo
elettorale una quota della funzione legislativa, altrimenti spettante al Consiglio regionale75. Unico caso in
cui non si rinviene una previsione espressamente abilitante al trasferimento in capo al corpo elettorale di
quota della funzione legislativa sembrerebbe quello della Regione Sicilia, il cui Statuto all’art. 9 prevede
che “in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con
l'osservanza di quanto stabilito dal presente Statuto, l'Assemblea regionale, con legge approvata a
maggioranza assoluta dei suoi componenti, stabilisce (…) i rapporti tra l'Assemblea regionale, il Governo
regionale e il Presidente della Regione”76. Quest’ultima formulazione, infatti, nelle intenzioni del legislatore
costituzionale (legge cost. n. 2/2001) doveva essere evidentemente analoga all’espressione “forma di
governo della Regione”… sennonché, invece, nel fare espressamente riferimento ai rapporti “tra

72 Sulla concreta esperienza attuativa dei referendum di tipo approvativo si rinvia per i casi della Valle d’Aosta e
della Provincia di Bolzano a C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni,
cit., pp. 267 ss. Va segnalato, invece, che né la Campania né la Basilicata hanno adottato leggi per dare attuazione
alle previsioni statutarie sul referendum approvativo.
73 Diff. gli autori richiamati, supra, alla nt. 68.
74 In tal senso v., rispettivamente, l’art. 2 dello Statuto della Regione Valle d’Aosta, l’art. 3 dello Statuto della

Regione Sardegna, l’art. 4 dello Statuto della Regione Trentino Alto Adige, l’art. 5 dello Statuto della Regione Friuli
Venezia Giulia.
75 G.U. RESCIGNO, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, cit., p. 818.
76 Il corsivo non è nel testo vigente.

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l'Assemblea regionale, il Governo regionale77 e il Presidente della Regione”, lo Statuto siciliano finisce
per restringere solo a questi il novero degli organi fra cui distribuire la funzione di indirizzo politico, non
potendosi attribuire al corpo elettorale regionale una compartecipazione diretta alla funzione legislativa,
che invece si registra con i referendum di tipo approvativo/deliberativo. Insomma, indipendentemente
dal nomen juris con cui gli Statuti qualificano le possibili consultazioni referendarie ed alla luce delle
considerazioni di sistema che precedono, sembrerebbe che per la sola Regione Sicilia sia preclusa la
possibilità di prevedere un referendum di tipo propositivo - approvativo, non potendosi sottrarre, alla
luce del tenore letterale della disciplina statutaria, una quota di indirizzo politico alla competenza
legislativa del Consiglio Regionale78.

3. I referendum a contenuto positivo nelle proposte di revisione costituzionale. Critica:


l’inopportuna introduzione del referendum deliberativo/approvativo nella Costituzione
La proposta di introdurre referendum a contenuto positivo nella nostra Costituzione non è propriamente
una novità: auspicava, fra l’atro, una sorta di referendum deliberativo/approvativo come sbocco
dell’iniziativa legislativa popolare Costantino Mortati in Assemblea Costituente79; e proposte simili sono
state oggetto di plurimi progetti di revisione costituzionale80, nonché di discussione in seno alla

77 E quindi alla Giunta ed al suo Presidente, ai sensi dell’art. 2 dello Statuto della Regione Sicilia.
78 Per la verità, come si è visto, la problematica evidenziata è solo potenziale, nella misura in cui, allo stato, nella
regione Sicilia risultano disciplinati i soli referendum abrogativo e consultivo. Tuttavia la questione potrebbe
diventare attuale, qualora il Consiglio Regionale, e sulla scorta di questo il Parlamento nazionale, dovessero adottare
il nuovo Statuto della Regione Sicilia proposto in un recente incontro dei costituzionalisti delle Università siciliane,
il cui art. 47, comma 3, espressamente prevede che “il referendum propositivo concerne una proposta di legge
d’iniziativa popolare o comunale che non sia stata approvata dall’Assemblea ovvero sia stata approvata con
sostanziali modifiche. È indetto su richiesta di almeno ventimila elettori iscritti nelle liste elettorali dei Comuni
siciliani o di un numero di Comuni rappresentativo di almeno un quinto degli abitanti della Regione, secondo
l’ultimo censimento ufficiale. Qualora il risultato del referendum propositivo sia favorevole, la proposta di legge si
considera approvata nel testo presentato dai proponenti; se sfavorevole, resta confermato il testo approvato
dall’Assemblea”. Cfr. BOZZA DI NUOVO STATUTO DELLA REGIONE SICILIA predisposta dai
costituzionalisti delle Università siciliane e consegnata al Presidente dell'ARS, allegata ad A. RUGGERI, Per un
nuovo Statuto, cit., p. 279.
79 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 16, il quale ricorda come all’interno della Seconda

Sottocommissione, Prima Sezione, dell’Assemblea Costituente fu respinta la proposta di Mortati di referendum


finale, nel caso di voto negativo o di inerzia del Parlamento entro il termine di sei mesi sul progetto di legge
presentato da centomila elettori. In generale sulle proposte di Mortati in Assemblea Costituente v., supra, nt. 5. In
particolare sulla proposta in tema di iniziativa popolare v. M. VOLPI, Mortati costituente e teorico delle forme di governo e
alcuni momenti dell’esperienza costituzionale svizzera, in M. GALIZIA (a cura di), Forme di Stato e forme di governo. Nuovi
studi sul pensiero di Costantino Mortati, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 1168 ss.
80 Analizzate compiutamente da C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune

regioni, cit., pp. 272 ss. Si segnalano, in particolare, le proposte elaborate in seno alla Commissione per la riforma
della Costituzione istituita dal Governo Letta, in Per una democrazia migliore, a cura della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Roma, s.d., pp. 73 ss.

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Commissione Bozzi81 ed alla Commissione Bicamerale DʼAlema82, pur non essendo state sempre trasfuse
nei relativi testi definitivi83.
Filo conduttore di queste proposte e di questo dibattito è la previsione di un istituto di democrazia diretta,
molto simile nella struttura all’initiative statunitense84 ed ai referendum approvativi oggi disciplinati in
alcuni statuti regionali85, culminante, appunto, nella approvazione di una legge come esito diretto della
consultazione popolare86.
Non previsti nella riforma costituzionale, bocciata dal corpo elettorale nel 2006, inizialmente nemmeno
la riforma Renzi-Boschi87 aveva disciplinato i referendum a contenuto positivo, essendo stati introdotti
con un emendamento nel corso dei lavori parlamentari dai relatori Anna Finocchiaro e Roberto
Calderoli88. Cosicché, il testo dell’ultimo comma dell’art. 71 Cost., come emendato e sottoposto al vaglio
popolare il 4 dicembre 2016, recitava: “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle
politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo,
nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono
disposte le modalità di attuazione”89.
La previsione nella delibera legislativa costituzionale ha costituito il più recente tentativo di introdurre in
Costituzione il referendum a contenuto positivo ed anche l’occasione per tornare a riflettervi. Si deve
registrare, tuttavia, come essa non sia stata salutata con particolare enfasi: i giudizi più diffusi sottolineano

81 G. GEMMA, Il referendum e la Commissione Bozzi, in Quad.cost., 2/1985, pp. 393 ss. La Commissione Bozzi, nella
relazione finale, si limitava a prevedere “la possibilità del referendum consultivo per questioni di alta rilevanza
politica, su richiesta del Governo o di un terzo dei parlamentari, approvata dal Parlamento in seduta comune”.
82 E. PAPARELLA, Referendum abrogativo e referendum deliberativo (art. 97), in V. ATRIPALDI - R. BIFULCO (a

cura di), La Commissione parlamentare per le riforme costituzionali della XIII legislatura. Cronaca dei lavori e analisi dei risultati,
Torino, Giappichelli, 1998, pp. 498 ss.
83 P. OLIMPIERI, Il referendum deliberativo, in G. AZZARITI (a cura di), Quale riforma della Costituzione?, Torino,

Giappichelli, 1999, pp. 29 ss.; M. DELLA MORTE, Rappresentanza vs. partecipazione? L’equilibrio costituzionale e la sua
crisi, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 145 ss.
84 V., supra, § 1.
85 V., supra, § 2.
86 Possono farsi rientrare nello schema descritto, sia pure evidentemente con diverse varianti, gran parte (oltre

venti) delle proposte di revisione costituzionale ricostruite da C. Petrillo, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e
nell’esperienza di alcune regioni, cit., pp. 272 ss.
87 D.d.l. Renzi–Boschi (n. 1429 AS; n. 2613 AC), approvata dalle Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il

15 aprile 2016, n. 88.


88 www.tgcom24.mediaset.it/politica/2014/notizia/si-del-senato-entra-nella-costituzione-il-referendum-propositivo-e-d-indirizzo_
2061777.shtml: “Sì del Senato, entra nella Costituzione il referendum propositivo e d'indirizzo. Con 220 sì, Palazzo
Madama approva l'emendamento. Salgono invece a 150mila le firme necessarie per la presentazione di leggi di
iniziativa popolare”. Sul tema v. E. DE MARCO, Il referendum propositivo nell’attuale progetto di riforma della Costituzione.
Aspetti problematici e spunti di riflessione, in Scritti in onore di Gaetano Silvestri, I, Torino, Giappichelli, 2016, p. 776 ss.
89 Art. 11 legge di revisione costituzionale sottoposta a referendum confermativo il 4 dicembre 2016, com’è noto

con esito negativo.

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l’inutilità della previsione, in quanto essa si limita a rinviare a successive riforme legislative, tanto
costituzionali quanto ordinarie, denunciando una mera operazione di facciata90.
Non è mancato chi sia entrato nel merito della scelta, criticando l’idea stessa del referendum propositivo,
nella misura in cui attribuisce “al popolo una funzione legislativa piena e senza confronto nel caso del
silenzio delle Camere”91. La critica, condivisibile se appuntata a tipologie referendarie di tipo deliberativo
(come quelle adottate in Campania, Basilicata, Valle d’Aosta o nelle province autonome di Trento e di
Bolzano) non lo è se rivolta alla formula generica accolta nella disposizione della riforma Renzi-Boschi,
nella misura in cui in essa si fa riferimento ad un referendum “propositivo”, senza descriverne in alcun
modo il funzionamento92. Considerato, tuttavia, che appare difficile immaginare la previsione di un
referendum privo di effetti vincolanti a livello nazionale, se non altro per gli alti costi cui occorre far
fronte per la sua organizzazione su tutto il territorio italiano, la critica appuntata, soprattutto dove
evidenzia la carenza di confronto, appare pienamente condivisibile93.

90 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 27, a giudizio del quale “la legge di revisione costituzionale Renzi-
Boschi in materia di istituti di democrazia diretta o non interviene o propone innovazioni che rinviano a norme
future creando confusione e incertezza o introduce modifiche peggiorative alla disciplina vigente”. Ma v. anche G.
FERRI, Le prospettive di riforma del referendum (alla luce del procedimento di revisione costituzionale in corso), in AA.VV., Scritti
in ricordo di Paolo Cavaleri, Napoli, E.S.I., 2016, pp. 328 s.; E. DE MARCO, Il referendum propositivo nellʼattuale progetto
di riforma della Costituzione, cit., 783; A. PACE, Referendum 2016 sulla Riforma costituzionale, Milano, Giuffrè, 2016, p.
25; A. PERTICI, La Costituzione spezzata, Torino, Lindau, 2016, p. 126. Solo voci isolate esprimono giudizi positivi:
di previsione “densa di aspettative” parla G. PISTORIO, Referendum e partecipazione popolare, in www.treccani.it.
91 A. VALASTRO, Gli istituti di partecipazione, cit, p. 51, il quale richiama le opinioni di C. CHIOLA, Il referendum

come atto legislativo: conflitto tra richieste e limiti, in Pol.dir., 1987, pp. 335 ss; Id., Intervento, in S.P. PANUNZIO (a cura
di), I costituzionalisti e le riforme, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 265 ss.; G. AZZARITI, Intervento, ivi, p. 281. Valastro è
perplesso perché l’istituto finirebbe “per produrre un semplice accostamento di potere rappresentativo e potere
diretto «in assenza di ogni accordo fra i detentori dei poteri concorrenti», nella totale elusione del problema del
rapporto fra rappresentanza politica ed espressioni della sovranità”.
92 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 29, il quale reputa problematico esprimere un giudizio di merito

sulla previsione della riforma Renzi, che nel rinviare a successive leggi la disciplina dell’istituto lo lascia nella più
totale incertezza: “La configurazione sostanziale dei «nuovi» istituti è avvolta dalla nebbia più totale. Intanto, il
referendum propositivo senza ulteriori specificazioni è un istituto sul quale in dottrina sono state espresse le
opinioni più diverse. In sintesi, esso può essere ritenuto equiparabile all’iniziativa popolare, al referendum di
indirizzo, al referendum consultivo”. Inquadra, invece, decisamente il referendum propositivo disciplinato nella
riforma Renzi secondo il modello deliberativo-approvativo S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta, cit., p.
493.
93
Questa critica è peraltro consolidata e risalente nel dibattito giuspubblicistico, se si considera che già Max Weber
nel 1918 (Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland, ora in ID., Gesammelte Schriften, II ed.,
Tübingen 1958, 370 ss.) evidenziava la “elementarità espressiva della democrazia diretta”, la quale, potendo contare
su due sole parole – Ja oder Nein -, non può efficacemente concorrere all’assunzione di decisioni complesse. Cfr.
Max Weber, citato da A. D’Atena, Tensioni e sfide della democrazia, in Rivista AIC, 1/2018, 13. E’ dello stesso avviso
anche H. KELSEN, (Il primato del Parlamento, Milano, Giuffrè, 1982), citato da F. GALLO, Democrazia 2.0. La
Costituzione, i cittadini e la partecipazione, Lectio magistralis svolta a chiusura del Festival Lector in fabula organizzato
dalla Fondazione Giuseppe Di Vagno, Conversano, domenica 15 settembre 2013,
www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_ seminari/20130915_ Gallo.pdf , p. 5 per il quale mediazione
“significa ascoltare, nella formazione delle leggi, le ragioni degli altri e, perciò, approfondire e rimeditare le proprie”,

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E con essa altre perplessità desta l’introduzione di un referendum di tipo approvativo in Costituzione: 1)
si pone il problema della modificabilità immediata e non dopo un definito periodo di tempo (ad esempio
il quinquennio richiesto dalla legge 372/1970 per rivedere le scelte fatte oggetto di referendum
abrogativo) della legge approvata con referendum deliberativo/approvativo, che comporterebbe da una
parte (ove non si preveda un termine minimo) la possibilità dell’Assemblea legislativa di frustrare la
volontà popolare espressa nel referendum; dall’altra, ove detta modificabilità fosse interdetta per un
definito periodo di tempo, la situazione per cui, pur determinando eventualmente la nuova legge criticità
applicative anche gravi, l’Assemblea legislativa non sarebbe nelle condizioni di porvi rimedio94; 2) si pone
il problema dell’intervento della Consulta sulle leggi approvate con referendum deliberativo/approvativo,
se cioè esso debba prevedersi preventivamente rispetto al referendum; ovvero successivamente, in tal
caso evidentemente creando la grave diseconomia rappresentata dal possibile annullamento di una legge
sulla quale si è svolta una costosa consultazione elettorale; 3) né va sottaciuto l’eccessivo ruolo che
andrebbero ad assumere ridotte élites, pur scarsamente rappresentative (altrimenti avrebbero,
evidentemente, la possibilità di incidere sui processi nelle Assemblee legislative), cioè i proponenti del
referendum propositivo, specie se sostenute da considerevoli risorse economiche, che consentano una
ampia campagna pubblicitaria per favorire la raccolta delle firme per l’indizione del referendum: è
indubbio, infatti, che questi meccanismi finirebbero per attribuire a dette élites un ruolo di
condizionamento eccessivo delle decisioni delle Assemblee rappresentative, indotte a cedere alle pressioni
da esse espresse, pena il ricorso ad una incerto voto popolare che potrebbe consacrare forzature e
contenuti normativi inaccettabili95. Criticità queste che, unite ad una prassi applicativa non ancora
sufficientemente ampia e diffusa a livello regionale, che permetta una adeguata sperimentazione
dell’istituto, ne sconsiglia fortemente, sul piano della opportunità, la previsione in Costituzione96.

con la conseguenza che “introdurre il mandato vincolante significherebbe perdere il luogo della sintesi e, dunque,
sopprimere di fatto quel presidio della democrazia moderna, in qualunque forma declinata, che è il Parlamento”.
94 Ritengono che “una legge approvata direttamente dal popolo non può essere successivamente rottamata dal

Parlamento” J. VERHULST - A. NIJEBOER, Democrazia diretta: fatti e argomenti sull'introduzione dell'iniziativa e dei
referendum, Traduzione di E. Piccoli, Brussels, Democracy International, 2010, http://www.arjennijeboer.nl/wp-
content/uploads/dd-italiaans.pdf, p. 18.
95 Esprime questi dubbi circa l’estensione del referendum propositivo in Costituzione M. GORLANI, Il referendum

propositivo e l’iniziativa popolare, cit., pp. 490 ss. In particolare denuncia il rischio di iniziative demagogiche sostenute
da gruppi di interesse dotati di risorse per una campagna elettorale che possa orientare il consenso (p. 491). In tal
senso già G. AMBROSINI, Referendum, cit., p. 122, a giudizio del quale l’attività propositiva si presta a spinte di
tipo corporativo, e, da ultimo S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta, cit., p. 497.
96 Peraltro, anche nei Paesi in cui l’istituto è da tempo previsto, esso opera a livello sub-statale, come negli USA, in

Germania ed in Svizzera, dove addirittura nel 2000 la proposta di prevedere l’istituto a livello di Confederazione è
stata respinta dal corpo elettorale. Cfr. C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di
alcune regioni, cit., p. 281, nt. 107.

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Sembra, d’altronde, che la questione possa porsi, in un ordinamento dotato di costituzione rigida, proprio
e solo sul piano dell’opportunità, palesandosi ictu oculi come eccessivo il solo ipotizzare un contrasto del
referendum di tipo approvativo con i principi supremi della nostra Costituzione, costituenti limite
implicito alla sua revisione97.
Non altrettanto può dirsi per altri ordinamenti, come quello inglese, dove la natura consuetudinaria della
Costituzione ha posto di recente il problema dell’efficacia del referendum sulla Brexit, che da solo non è
stato ritenuto in grado di produrre la scelta di uscita dall’UE, senza il necessario successivo intervento del
Parlamento, a pena di produrre un ridimensionamento del ruolo della democrazia rappresentativa
inconciliabile con la garanzia costituzionale di natura consuetudinaria della forma di governo
parlamentare98. Estremamente significativa, al riguardo, si presenta la lettura della decisione della Corte
Suprema inglese sulla Brexit99, la quale ha ribadito con forza la sovranità del Parlamento, che implica

Individua una ulteriore serie di obiezioni J. VERHULST - A. NIJEBOER, Democrazia diretta, cit., pp. 71 ss. Fra esse
si segnalano le seguenti: “a) L’incompetenza: in una società moderna i problemi sono troppo complessi per lasciare
prendere decisioni ben ponderate all’uomo della strada; b) La mancanza di senso di responsabilità: la gente non
considera nient'altro che il proprio interesse. Ad esempio, si abolirebbero le tasse senza considerare le conseguenze
di un tale provvedimento, oppure si chiederebbero più spese al governo che faranno deragliare il bilancio. Agli
uomini politici si può sempre domandare il rendiconto delle loro decisioni, ma nessuno è responsabile della
decisione referendaria; c) Minacce alle minoranze: la democrazia diretta potrebbe essere un mezzo per approvare
decisioni che violino i diritti umani e le libertà fondamentali. In questo modo le minoranze sarebbero
particolarmente minacciate; d) nella democrazia diretta i demagoghi hanno la libertà di lanciare proposte
rozzamente populiste (…); i) Manipolazione del modo in cui viene posto il quesito: il quesito può essere formulato
in modo suggestivo, cosicché gli elettori vengono dirottati su un voto contrario alle proprie reali convinzioni”. M.
GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare, cit., pp. 488 s. individua come ulteriori criticità la circostanza
che, votando prevalentemente le classi sociali più ricche e culturalmente evolute, il voto non rappresenti realmente
la volontà popolare; che la volontà della maggioranza può avere un effetto discriminatorio nei confronti delle
minoranze, a differenza di quanto avviene con la democrazia rappresentativa, nella quale si realizza più facilmente
una mediazione di interessi; l’influenzabilità dell’elettorato.
97 Sul punto v., da ultimo, R. NANIA, Principi supremi e revisione costituzionale (annotazioni sulla progressione di una

controversia scientifica), Relazione al Convegno “Costantino Mortati. Potere costituente e limiti alla revisione costituzionale”,
Roma, 14 dicembre 2015, in Nomos, 1/2016, pp. 7 ss.
Non sembra casuale che nell’ordinamento nordamericano, parimenti dotato di una Costituzione rigida, il nodo
dell’incostituzionalità dei referendum a contenuto positivo sia stato sciolto in senso negativo. Cfr. M. GORLANI,
Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare: l’esempio nordamericano, cit., p. 488, il quale ricorda come nel 1912 fu
sostenuta l’incostituzionalità degli strumenti di democrazia diretta alla luce della “Republican Form of Government
Clause” di cui all’art. 4, comma 4, della Costituzione federale, innanzi alla Corte Suprema americana, la quale,
tuttavia, ritenne che la questione fosse eminentemente politica e, come tale, non giustiziabile (Caso Pacific States Tel.
& Tel. Co. Vs. Oregon).
98 G. REBUFFA, Le radici della Costituzione inglese, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2/2006, pp. 327 ss.,

secondo il quale l’espressione “Costituzione inglese” sarebbe riferita proprio ad un peculiare equilibrio tra i poteri
oltre che ad un insieme di tradizioni. Sul tema v., anche, P. LEYLAND, Constitutional conventions and the preservation
of the spirit of the British Constitution, Relazione al XXIX Convegno annuale dell'Associazione Italiana Costituzionalisti su “Prassi,
convenzioni e consuetudini nel diritto costituzionale”, Catanzaro, 17 e 18 ottobre 2014, in Rivista AIC, 4/2014, passim.
99 Supreme Court of the United Kingdom, Miller et al. c. The Secretary of State for Exiting the European Union (Appellant)

(Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord), 24 gennaio 2017.

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l’ammissibilità in quel Paese tutt’al più di referendum consultivi, ma non deliberativi100, soprattutto nei
casi in cui si discuta dei diritti dei cittadini del Regno Unito101.

4. De iure condendo: l’opportuna introduzione di un “referendum di indirizzo vincolante”.


Ragioni di ordine etico - politico e di sistema
Se, come si è visto, si registra e si condivide un giudizio tendenzialmente negativo sulla previsione in
Costituzione delle nuove forme referendarie di tipo approvativo/deliberativo, non sembra del pari
condivisibile l’estensione di questa valutazione a tutte le forme di referendum a contenuto positivo, in
particolare al referendum di indirizzo102, con esso dovendosi intendere quel modello di consultazione
popolare con la quale il corpo elettorale sia chiamato a formulare un’indicazione orientativa, che spetta
poi al Parlamento tradurre in un testo articolato di legge103.

100 N. DEGLI INNOCENTI, Brexit, la Corte Suprema dà torto a May: voti il Parlamento, in Il Sole 24 ore del 24 gennaio
2017, la quale riporta le parole pronunciate dal giudice David Neuberger, presidente della Corte Suprema: “il
Governo non può invocare l'articolo 50 senza l’approvazione del Parlamento” perché altrimenti sarebbe “una
violazione della Costituzione” rispettata da secoli.
101 Significativo è, in particolare, il § 83 della decisione citata: “The fact that withdrawal from the EU would remove some

existing domestic rights of UK residents also renders it impermissible for the Government to withdraw from the EU Treaties without
prior Parliamentary authority”. Annotano la pronuncia M.P. CHITI, La "Supreme Court" e la "Brexit": molto rumore per
nulla?, Nota a Corte Suprema, Miller et al. c. Segretario di Stato per l'uscita dall'Unione Europea 24 gennaio 2017 (Regno Unito
di Gran Bretagna e Irlanda del Nord), in Gior.dir.amm., 3/2017, pp. 349 ss.; S. GIANELLO, Il caso "Miller" davanti alla
UK Supreme Court: i principi del costituzionalismo britannico alla prova della "Brexit" (The "Miller" case before the UK Supreme
Court: the principles of British constitutionalism to the test of "Brexit"]), in Osservatorio costituzionale, 1/2017, pp. 28 ss.; C.
GRAZIANI, La difesa giurisdizionale della prerogativa parlamentare nel quadro del diritto costituzionale britannico (a proposito
della Brexit), in Rass.Parl., 1/2017, pp. 161 ss.; C. NAPOLITANO, Recesso dall'Unione, Nota a Corte Suprema - Miller et
al. c. The Secretary of State 24 gennaio 2017 (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord), in Riv.it.dir.pubbl.com., 1/2017,
pp. 243 ss.; F. VIOLINI, L'avvio di "Brexit" nella contesa tra "parliamentary sovereignty" e "royal prerogative powers" ([The
start of "Brexit" in the contention between "parliamentary sovereignty" and "royal prerogative powers"]), Nota a Supreme Court
of the United Kingdom, (on the application of Miller and another) (Respondents) c. Secretary of State for Exiting
the European Union (Appellant) 24 gennaio 2017 (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord),
in Osservatorio costituzionale,1/2017; A.W. BRADLEY, Pressures on a historical constitution: The Brexit decision in the UK
Supreme Court (Pressioni su una costituzione storica: la decisione "Brexit" della Corte Suprema del Regno Unito),
in Dir.pubbl., 1/2017, pp. 3 ss. Si veda, infine, C. MARTINELLI, Il referendum Brexit e le sue ricadute costituzionali,
Bologna, Maggioli, 2017.
102 Lo considera, al pari del referendum propositivo, strutturalmente “inadeguato a consentire forme di confronto

dialogico” A. VALASTRO, Gli istituti di partecipazione fra retorica delle riforme e umiltà dell’attuazione, cit., p. 52, per il
quale “neanche le figure del referendum di indirizzo e del referendum consultivo sembrano poter assolvere a questo
compito: nonostante le promesse evidentemente affidate allʼuso di termini (indirizzo e consultazione) che
sembrano presupporre una maggiore apertura al confronto, la strutturale destinazione dellʼistituto referendario alla
sola possibilità di esprimere favore o contrarietà esclude in radice la produzione di quel valore aggiunto che nasce
dal confronto argomentato, suscettibile di portare a modificare le reciproche posizioni e la proposta originaria”.
103 E. ROSSI, Una Costituzione migliore?, Contenuti e limiti della riforma costituzionale, Pisa University Press, 2016, p. 158

ricorda che “la differenza tra referendum propositivo e di indirizzo dovrebbe intendersi nel senso che il primo ha
riguardo ad una proposta di legge da sottoporre al corpo elettorale per la sua approvazione; quello di indirizzo
dovrebbe invece essere finalizzato all’espressione di un orientamento del corpo elettorale da rivolgere al
Parlamento, affinché questi ne tenga conto per elaborare ed approvare una propria proposta. Ovviamente ciò è

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Non mancano nel nostro ordinamento esperienze in questo senso: un esempio di referendum di indirizzo
lo rinveniamo, come si è visto104, in Regione Sicilia, dove però ha una funzione meramente consultiva; un
ulteriore caso, in vero dubbio, di referendum di indirizzo, questa volta a contenuto vincolante ad onta
del nomen iuris che lo qualifica come “consultivo”, sembra potersi considerare quello previsto all’art. 13
dello Statuto regionale per il Molise105; un’esperienza storica per il nostro ordinamento è stata quella del
referendum di indirizzo indetto nel 1989 per rafforzare il processo di integrazione europea, del quale
parimenti si è detto106 ed il cui valore concretamente orientativo è tuttavia difficile da configurare107;
referendum di indirizzo sono stati oggetto, infine, di alcune, in vero rare, proposte di revisione
costituzionale108.
Tuttavia, in nessun caso l’istituto è stato chiaramente costruito in modo non meramente consultivo, come
produttivo, cioè, di principi vincolanti per il Parlamento. La circostanza desta una qualche meraviglia,
perché nel nostro ordinamento non è affatto sconosciuta l’esperienza di principi vincolanti, che lasciano
ad altre fonti il compito di dettagliarne il contenuto normativo ed il cui rispetto sia garantito dalla
Consulta, attraverso il meccanismo della norma interposta: bastino i riferimenti alla delega legislativa (art.
76 Cost.) o alla legge cornice (art. 117, comma 3 Cost.). Certo, non si rileva quella omogeneità di natura

del tutto ipotetico perché non è facile individuare dal nome la cosa”. Sulla difficoltà anche con riferimento al
referendum di indirizzo di desumere i possibili contenuti dell’istituto dalla legge di riforma costituzionale Renzi –
Boschi v. M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 30, secondo cui “interrogativi altrettanto seri pone
l’individuazione del referendum di indirizzo. Si può ipotizzare che, per differenziarsi da quello propositivo, non
dovrebbe avere ad oggetto una proposta di legge, ma un orientamento rivolto agli organi competenti. Ma anche
qui l’iniziativa apparterrebbe al popolo o a un organo dello Stato? Il referendum sarebbe decisionale, vincolando
l’organo competente a dare attuazione all’orientamento approvato dal corpo elettorale, o meramente consultivo?
Infine nella prima ipotesi chi e con quali modalità sarebbe chiamato a verificare l’attuazione dell’indirizzo voluto
dal popolo?”.
104 Supra, al § 2.
105 L’art. 13 dello statuto regionale per il Molise (l.r. 18 aprile 2014, n. 10) testualmente recita: “1. Il Consiglio

regionale può deliberare, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, l'indizione di referendum consultivi
della popolazione dell'intero territorio regionale o di parte di esso, su questioni di particolare interesse. 2. Il
Consiglio regionale delibera sulla questione oggetto del referendum tenendo conto delle indicazioni scaturite dalla
consultazione”. Sul punto si rinvia alle considerazioni già svolte, supra, alla nt. 53.
106 Supra, al § 1.
107 Infatti, in questo caso si chiedeva al corpo elettorale italiano di dettare un indirizzo che avrebbe dovuto portare

a compimento l’intero Parlamento europeo, in ciò solo cogliendosi tutta la stravaganza e l’inutilità dell’iniziativa.
Sul tema si rinvia alle considerazioni critiche di B. CARAVITA DI TORITTO, Il referendum sui poteri del Parlamento
europeo: riflessioni critiche, in Pol.dir., 1989, pp. 322 ss.
108 Fra le proposte presentate in seno alla Commissione Bozzi, il PCI chiedeva di modificare l’art. 71 Cost.

introducendo la possibilità di sottoporre a referendum progetti di legge di iniziativa popolare, che il Parlamento
non avesse approvato entro 18 mesi oppure che lo stesso Parlamento avesse approvato “con modifiche che ne
tocchino i principi fondamentali”. In questo caso, ottocentomila elettori avrebbero potuto chiedere al Parlamento
di deliberare un referendum sui “principi fondamentali contenuti in tale progetto”, “entro i successivi sei mesi
dalla scadenza del precedente termine”. Cfr. C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza
di alcune regioni, cit., p. 273.

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tra la legge statale e quella regionale o tra la legge di delega e il decreto legislativo sul piano dei rapporti
tra il referendum e la legge successiva chiamata a darvi seguito: ma il meccanismo principio/dettaglio si
atteggia assai similmente.
De iure condendo, quindi, merita di essere presa in considerazione l’introduzione in Costituzione di un
referendum di indirizzo: 1) che, ove approvato, produca nel sistema delle fonti la stessa efficacia dei
“principi fondamentali” della potestà legislativa concorrente o dei “principi e criteri direttivi” della legge
delega, determinando nell’ordinamento giuridico pari conseguenze, compresa la possibilità del successivo
giudizio della Corte costituzionale sulla legge attuativa dell’indirizzo, per eventuale violazione del
parametro interposto; 2) la cui iniziativa possa attribuirsi tanto al corpo elettorale quanto al Parlamento,
come strumento nel primo caso sollecitatorio e nel secondo risolutorio rispetto a tematiche controverse
e di peculiare rilievo; 3) che conosca un sindacato preventivo di legittimità costituzionale sulla
formulazione del quesito, in modo da evitare la deriva verso forme più spiccatamente “deliberative”109, e
sui limiti specifici che vanno posti al suo svolgimento; ed un sindacato successivo, non solo da parte della
Consulta a garanzia della corretta attuazione dei principi – norme interposte approvati in via referendaria,

109 Il tema del controllo di costituzionalità preventivo sul referendum merita una, sia pure incidentale,
considerazione. Già con riferimento al referendum abrogativo ex art. 75 Cost., in dottrina si invoca la necessità di
precisare in Costituzione in modo più compiuto i limiti di ammissibilità, notandosi come, allo stato, si sarebbe
attribuito alla Corte costituzionale il compito di controllare l’ammissibilità del referendum abrogativo, senza
delimitarne esattamente i confini, con la conseguenza che si sarebbe sviluppata una casistica incoerente nelle
decisioni della Consulta, impossibile da controllare o prevedere. Cfr. A. BARBERA - A. MORRONE, La repubblica
dei referendum, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 243, secondo i quali, quindi, il giudizio della Consulta, resosi autonomo
dai parametri dell’art. 75 Cost., sarebbe diventato un “controllo di ragionevolezza” del quesito e dei suoi effetti
normativi, arrivando ad accertare se il risultato dell’abrogazione sia potenzialmente e non in concreto
costituzionalmente legittimo. L’esperienza attuativa dei referendum regionali, però, sta evidenziando la necessità
di prevedere in Costituzione anche un controllo preventivo su di essi, parimenti da attribuirsi alla Consulta, per
evitare che si registrino casi come quello della legge regionale della Valle d’Aosta 23 novembre 2012, n. 33, prima
approvata con referendum propositivo dai cittadini valdostani e poi annullata dalla Corte costituzionale, per
violazione delle competenze legislative statali in tema di ambiente, con evidente ed inutile dispendio di danaro
pubblico. Cfr. Corte cost., 2 dicembre 2013, n. 285, in Giur.cost., 2013, pp. 4579 ss. Con riferimento a questa vicenda
processuale, merita di essere ricordata anche Corte cost., Ord. 17 luglio 2013, n. 201, in Giur.cost., 4/2013, pp. 2807
ss., con la quale la Corte, riprendendo suoi precedenti in materia, esclude che i promotori di un referendum
regionale siano equiparabili agli “organi statali competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui
appartengano”, dovendo assimilarsi ai poteri di istituzioni autonome e non sovrane, quali sono gli enti territoriali;
e pertanto dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto, appunto,
dai promotori del referendum regionale. Critica questa decisione J.DI GESÙ, Il corpo elettorale “regionale” come potere
dello Stato nel referendum propositivo legislativo”, ivi, pp. 2812 ss., il quale reputa irrilevante la circostanza che nella
fattispecie si tratti di “corpo elettorale regionale”. Anche per questa problematica di ordine processuale, sarebbe
dirimente la previsione espressa in Costituzione di un controllo preventivo sui referendum regionali in capo alla
Consulta, perché in quella specifica sede i promotori del referendum avrebbero certamente il diritto di costituirsi
per difendere le proprie ragioni, superandosi così l’aporia registratasi nella vicenda processuale qui sommariamente
riportata. Riferisce come anche nella prassi statunitense sia frequente il caso in cui l’esito delle initiatives, approvate
dal corpo elettorale, sia di frequente invalidato dalle Corti M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare:
l’esempio nordamericano, cit., p. 490.

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quanto da parte del Capo dello Stato, che possa esercitare il potere di scioglimento anticipato delle Camere
a garanzia della concreta attuazione dell’indirizzo, in caso di prolungata inerzia del Parlamento, anche in
seguito ad atti sollecitatori posti in essere dallo stesso Presidente 110.
Una simile previsione costituzionale del referendum di indirizzo lascerebbe impregiudicato il ruolo del
Parlamento, quale sede del confronto dialogico per tutto ciò che riguarda l’attuazione dell’indirizzo,
riservando le sole scelte di fondo al diretto titolare della sovranità, con la conseguenza di apportare una
modifica meno traumatica e più rispettosa della forma di governo parlamentare e, complessivamente, di
resistere alle valutazioni critiche che, numerose, sono state evidenziate anche in questo studio nei
confronti del referendum deliberativo/approvativo.
Peraltro, la recente modifica della legge elettorale in senso nuovamente proporzionale ridà vigore
all’istituto referendario111: a quello abrogativo, certamente, ma ancor più, nella prospettiva della sua
introduzione in Costituzione, a quello di indirizzo, che consentirebbe, come ulteriore portato virtuoso,
di far rientrare il referendum abrogativo nell’alveo oppositivo suo proprio, evitando forzature nel suo
utilizzo, che in passato taluno ha voluto intravvedere anche nella giurisprudenza sull’ammissibilità del
referendum abrogativo della Consulta112.

110 Si applica il ragionamento sviluppato da C. MORTATI, citato supra alla nt. 7, all’ipotesi in cui il Parlamento per
un tempo prolungato ometta di dare attuazione dell’indirizzo popolare espresso nel referendum, che evidenzia il
venir meno del rapporto di rappresentatività fra corpo elettorale ed eletti nelle Camere.
In vero, l'ipotesi dello scioglimento delle Camere, per un verso, può rivelarsi eccessiva, e, per un altro verso, non
è garanzia che le nuove Camere si attiveranno per colmare la lacuna lasciata scoperta dalle vecchie. Potrebbe in tal
senso essere risolutiva l’ipotesi di un referendum di indirizzo che contenga anche una normativa di dettaglio a
corredo, destinata ad entrare in vigore decorso un significativo lasso temporale (ad esempio un anno dal voto
referendario), trasformandosi così il referendum di indirizzo in “”approvativo” nel caso di inerzia delle Camere
(per intenderci, un meccanismo simile alle direttive comunitarie self - executing). In ogni caso, l’indirizzo
referendario, anche se non corredato da applicazione legislativa, avrebbe comunque il pregio di orientare le
applicazioni giurisprudenziali in modo indubbiamente più stringente di quanto non accada oggi, in carenza assoluta
e prolungata di decisione politico-legislativa.
111 A. BARBERA - A. MORRONE, La repubblica dei referendum, cit., pp. 249 s., a giudizio dei quali il referendum

abrogativo ha contribuito a “bipolarizzare” il sistema politico (a partire dal referendum sul divorzio, a quelli
elettorali, a quelli sulle televisioni), con la conseguenza che la capacità decisionale dell’esecutivo in un sistema
bipolare tendenzialmente riduca a sua volta lo spazio dei referendum. Argomentando a contrario, alla luce della
recente evoluzione del sistema elettorale in senso proporzionale, si dovrebbe, pertanto, concludere per la ripresa
di vigore per l’istituto referendario.
112 Sul tema v. P. CARNEVALE, Qualche considerazione sparsa in tema di abrogazione “innovativa” e manipolazione

referendaria e di rapporti fra referendum elettorali e legislazione parlamentare, in R.BIN (a cura di), Elettori legislatori? Il problema
dell’ammissibilità del quesito referendario elettorale, Atti del Seminario svoltosi a Ferrara il 13 novembre 1988, Torino,
Giappichelli, 1999, p. 77, dove si afferma l’avvenuta “trasformazione del referendum da strumento di legislazione
negativa in mezzo di positiva normazione”. Sul tema v., in generale, P. VIPIANA, La legislazione negativa: Saggio su
un'insolita e controversa nozione, Torino, Giappichelli, 2017, passim, ma anche i riferimenti citati, retro, alla nt. 16.

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Né va sottaciuto che la previsione nel nostro ordinamento di questo istituto appare sia funzionale alla
soluzione di delicati problemi di natura etica sia conforme ad una più compiuta attuazione del principio
democratico, di cui all’art. 1 Cost.
Dal primo punto di vista, la previsione del referendum di indirizzo si palesa utile per la soluzione degli
attuali e sempre nuovi nodi etici, frutto dell’evoluzione delle scienze e dei costumi, che dividono
trasversalmente tanto le forze politiche quanto l’opinione pubblica: temi come la brevettabilità del DNA,
la depenalizzazione dell’uso di cannabis, l’eutanasia, l’adozione da parte di coppie omosessuali, il divorzio
immediato senza passare dalla separazione, l’utilizzo degli embrioni criocongelati soprannumerari a scopi
di ricerca, l’introduzione del gender nelle scuole a partire dalle materne, per citarne alcuni, possono essere
affrontati in modo più risoluto ove a decidere sia direttamente il popolo, anziché attendere la convergenza
di forze politico-parlamentari, che su questi temi sono esse stesse divise al proprio interno113. Non è un
caso se l’emendamento introduttivo nella riforma Renzi – Boschi delle nuove forme referendarie, anche
di quello di indirizzo, sia nato da un’iniziativa della componente cattolica del PD 114, particolarmente
sensibile sulle questioni di natura etica; anche se l’idea del ricorso al popolo, per decidere il da farsi sui
temi etici, è condivisa da altre importanti forze politiche (dai Cinque Stelle a Forza Italia)115.

113 Sulla necessità che scelte simili siano fatte direttamente dal corpo elettorale v. A. RICCIARDI, La Corte
costituzionale, decidendo di non decidere, lascia aperta la questione degli embrioni crioconservati. Nota a Corte costituzionale, 22 marzo
2016, n.84, in Osservatorio AIC, 2/2016. Diversa è l’impostazione di R. DAHRENDORF, Dopo la democrazia,
Intervista a cura di A. Polito, Roma – Bari, Editori Laterza, 2001, p. 112, il quale di fronte ai temi etici giudica
“inappropriato procedere secondo i meccanismi tradizionali della democrazia e applicare il principio di
maggioranza”, proponendo “una sorta di Senati etici, che, per quanto estranei ai Parlamenti eletti, godano della
necessaria fiducia del pubblico e siano in grado di prendere decisioni meditate e non frutto di scelte partigiane”.
Idem, p. 115. In vero, sui temi etici non è sempre sufficiente un approccio solo nazionale, richiedendosi soluzioni
e interventi sovranazionali, come dimostra in tema di maternità surrogata G. Luccioli, Questioni eticamente sensibili:
quali diritti e quali giudici. La maternità surrogata, in Consulta online, II/2017, 331 s.
114 P. DI NICOLA, Temi etici, Fioroni: referendum d’indirizzo per nozze gay, eutanasia e fecondazione, 28 maggio 2015, in

www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/28/temi-etici-fioroni-referendum-dindirizzo-per-nozze-gay-eutanasia-e-fecondazione/1725840
/, in cui Giuseppe Fioroni, cattolico e leader della corrente ex popolare del Pd precisa: “L’idea è di presentare un
emendamento al ddl costituzionale approdato in Senato per meglio far decidere i cittadini, la vera coscienza civile
del Paese”. E conclude: “Mi sembra la cosa migliore giunti a questo punto: questioni come matrimonio gay,
eutanasia, fecondazione, adozioni e tutte le altre innescate dalla medicina più innovativa, sono problemi
così intimi che mi pare fuori luogo lasciare alla sola determinazione degli eletti. Meglio far decidere i
cittadini attraverso referendum di indirizzo ai quali il Parlamento dovrà poi adeguarsi elaborando le relative
proposte di legge”. Ma si veda anche A. CHELLO, Fioroni: «Referendum sui temi etici: così si tutelano i minori», in Il
Mattino di domenica 18 ottobre 2015, in cui il parlamentare del PD afferma: “Il referendum di indirizzo su temi di
bioetica è la cosa migliore e rispettosa delle molteplici sensibilità e della coscienza di ciascuno”.
115 Che da differenti parti politiche si ritenga opportuno il ricorso al referendum, per dare alla politica una sorta di

“delega rafforzata” sui temi etici, si evidenzia attraverso la lettura di interventi di qualificati esponenti. Così Camilla
Doninelli, addetto stampa di Forza Italia, afferma: “nella stessa famiglia, nello stesso partito, nelle nostre comunità,
questi temi (e le convinzioni su questi) sono così gelosamente custoditi che l’esercizio della delega è complesso. E’
complesso ipotizzare che su questi temi si possa considerare unicamente la disciplina di partito, perché è la
sommatoria di orientamenti prevalenti”. Cfr. C. DONINELLI, Referendum d’indirizzo sui temi etici, in
www.lindro.it/referendum-dindirizzo-sui-temi-etici/, di venerdì 5 giugno 2015. Ma anche esponenti di spicco dei Cinque

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Questa riforma della Costituzione, peraltro, appare indifferibile compito della legislatura incipiente, nella
misura in cui ad oggi, nello stallo delle forze politiche, incapaci di trovare in sede parlamentare una sintesi
fra posizioni diametralmente opposte sui temi etici, si sta già producendo, di fatto, la paradossale
conseguenza che le Assemblee legislative siano espropriate della concreta possibilità di operare dette
scelte, a vantaggio di altri soggetti del tutto privi di legittimazione democratica; con la conseguenza che,
nel silenzio del Parlamento, si inizino a determinare situazioni giuridiche di fatto irreversibili 116.
Dal secondo punto di vista, cioè di una migliore attuazione del principio democratico di cui all’art. 1
Cost., l’introduzione dell’istituto potrebbe avrebbe significative conseguenze positive sia sul riassetto delle
forze politiche, favorendo finalmente nel nostro Paese una reale democrazia dell’alternanza, sia sul
miglioramento sostanziale della qualità stessa della democrazia. Di recente è stato segnalato come, in
seguito alla campagna elettorale referendaria sulla riforma Renzi - Bossi, si stia realizzando una
trasformazione della politica italiana, che finalmente potrebbe superare la conflittualità insanabile del
passato fra le forze politiche di ispirazione popolare117. Ma ancor più potrebbe favorire una
ricomposizione virtuosa del quadro politico l’introduzione del referendum di indirizzo, ove,
sistematicamente applicato ai temi etici, consentirebbe alla “frattura economica”, rappresentata
dall’incremento delle diseguaglianze resesi drammatiche nel nostro Paese a partire dall’inizio della crisi
nel 2008118, di svolgere quel reale ruolo di definizione del posizionamento politico, fino ad oggi condiviso

Stelle convergono su questa strada da percorrere. Si veda, ad esempio, L’intervista democristiana di Virginia Raggi ad
“Avvenire” di sabato, 19 marzo 2016, in cui il futuro Sindaco di Roma afferma: “Il tema delle adozioni va discusso
in modo serio e approfondito. È un tema delicato e mi limito a dire che la scelta dovrebbe avvenire sentendo il
parere di cittadini ed esperti. Lo strumento più adatto credo sia quello del referendum, preceduto da un ampio
dibattito pubblico”. Dello stesso avviso Luigi Di Maio, nella dichiarazione raccolta da S. CARBONI, Luigi Di Maio
e la «bufala» sul referedum popolare per le adozioni gay, in (Prime) Visioni, Interni, del 01/03/2016,
www.giornalettismo.com/archives/2041842/luigi-di-maio-referedum-popolare-adozioni-gay/: “per le coppie omosessuali
l’adozione sic et simpliciter va affrontata con un referendum popolare (…). Se parliamo di temi etici così importanti
è giusto coinvolgere il popolo italiano, non basta un Parlamento eletto con una legge incostituzionale”.
116 Emblematico, quanto all’inverarsi di una supplenza giudiziaria che rende superata la scelta legislativa, è ad

esempio la vicenda degli embrioni soprannumerari criocongelati, dove le decisioni della Consulta hanno di fatto
prodotto una situazione di non ritorno, che lascia in un “freddo oblio” un numero indefinito di embrioni umani.
Sul punto v. A. Ricciardi, La Corte costituzionale, cit., p. 3. Ma si può fare l’esempio della giurisprudenza maturata in
tema di maternità surrogata, sulla quale v., da ultimo, M. GERVASI, Vita familiare e maternità surrogata nella sentenza
definitiva della Corte europea dei diritti umani sul caso Paradiso et Campanelli, in Osservatorio Costituzionale, 1/2017, dove si
esamina gli sviluppi contraddittori della giurisprudenza Cedu, fra primo e secondo grado di giudizio; e, soprattutto,
per la novità del caso affrontato, F. PARUZZO, Status filiationis e assenza di legame genetico. La Corte d’Appello di
Trento riconosce la validità del certificato di nascita di due gemelli nati in seguito al ricorso alla maternità surrogata da parte di due
uomini, ivi, 2/2017. Da ultimo sul tema si segnala A.C. NAZZARO, Discrezionalità legislativa e ruolo del giudice nella
nuova dimensione (bio)etica della famiglia, in Rivista AIC, 1/2018.
117 Parla di una “maturazione di un nuovo accordo politico, finalmente inclusivo delle differenti forze popolari e

rispettoso delle reciproche diversità” V. TONDI DELLA MURA, Referendum/I “nemici” (e gli amici) del compromesso
possibile, in Ilsussidiario.net di martedì 15 novembre 2016.
118 J. E. STIGLITZ, La grande frattura. La diseguaglianza e il modo per sconfiggerla, Torino, Einaudi, 2016.

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con altre e pur rilevanti “fratture sociali”, determinate, fra l’altro, proprio dalle differenti scelte sui temi
etici119: un posizionamento politico che finalmente si strutturi in due schieramenti chiari e reciprocamente
alternativi, contrapposti in ragione delle politiche economiche da attuare e non anche di altri interessi o
valori.
Se, dunque, la previsione del referendum di indirizzo in seno alla riforma Renzi – Boschi è effettivamente
apparsa frettolosa e rispondente più a logiche di marketing elettorale che di architettura costituzionale, non
si deve escludere la necessità, nell’immediato futuro, di prevedere l’istituto nella nostra Costituzione,
anche per le ricadute virtuose che esso può avere sulla semplificazione e ricomposizione del quadro
politico nazionale120.
Ma militano a favore dell’introduzione di un referendum di indirizzo “vincolante” in Costituzione altre e
più profonde ragioni di natura sistemica, che investono i problemi di fondo, attinenti alla stessa
legittimazione della nostra democrazia. Soccorre, al riguardo, il pensiero di Jürgen Habermas, fautore di
quella che lo stesso definisce “democrazia deliberativa”, nella quale “la fonte della legittimità non è il
121
volere predeterminato di individui, ma piuttosto il processo della sua formazione” . Chiarisce il
pensatore tedesco che “una decisione legittimata (…) è quella che risulta dalla deliberazione di tutti. (…)
Il diritto legittimo è il risultato della deliberazione generale, e non l’espressione della volontà generale”122.
Non si tratta, tuttavia, della mera adesione ad una concezione “procedurale” della democrazia123, in
quanto la “libera deliberazione pubblica” presuppone il coinvolgimento della società civile
(Zivilgesellschaft), come l’insieme di “associazioni non statali e non economiche su base volontaria, di cui
alcuni esempi possono essere considerati in modo non sistematico chiese, associazioni culturali e
accademie, media indipendenti, associazioni sportive e del tempo libero, club di dibattito, fori di cittadine
ed iniziative di cittadini fino ad associazioni basate sulla professione, partiti politici, movimenti sindacali

119 La teoria classica sulle “fratture sociali” (cleavges), che determinerebbero la nascita dei sistemi di partito nelle
democrazie occidentali è di S. ROKKAN, Citizens, elections, parties, Olso e New York, Universitetsforlaget e D.
Mckay, 1970.
120 A. CAVALLI, Democrazia dell'alternanza. Che cos'è e come dev'essere, in “il Mulino", 1/1994, pp. 5 ss.
121 J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, cit., pp. 38 ss. Di “democrazia deliberativa” parla già J.

BESSETTE, Deliberative democracy. The Majority Principle in Repubblican Government, in How Democratic is the Constitution?,
Washington, American Enterprise Institute, 1980.
122 J. HABERMAS, op.loc.cit.
123 A. MORELLI, La trasformazione del principio democratico, cit., pp. 205 ss., il quale distingue le concezioni procedurali

(o formali) e le concezioni sostanziali. Esempio della prima impostazione è Kelsen, il quale configura la democrazia
come «metodo politico mediante il quale l’ordinamento sociale è creato ed applicato da coloro che sono soggetti
all’ordinamento stesso, in modo da assicurare la libertà politica nel senso di autodeterminazione». Esempio della
seconda è Tocqueville, che ne La democrazia in America (Parigi, 1835) configura una «democrazia sociale»,
caratterizzata dallo «spirito egualitario» che la anima. Conclude l’A. che nelle Costituzioni europee del secondo
dopoguerra la democrazia si risolva “essenzialmente in un insieme di procedure assiologicamente connotate”.

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e fondazioni alternative”124. Ebbene, se è dal coinvolgimento della società civile nel dibattito pubblico
che precede l’adozione delle decisioni che deriva la legittimazione delle scelte125, il referendum di indirizzo,
per le sue caratteristiche di orientamento per grandi linee, ancor più di altri istituti, costituisce uno
strumento privilegiato per realizzare una compiuta “democrazia deliberativa” nel senso auspicato da
Habermas, nella misura in cui consente un ampio, consapevole ed approfondito confronto dialogico,
capace di coinvolgere larga parte della pubblica opinione.

5. Il futuro del referendum si intreccia con il futuro della democrazia


A conclusione di queste riflessioni sembra opportuno interrogarsi sulle prospettive reali dell’istituto
referendario nel nostro ordinamento, a partire dalla considerazione, forse banale quanto centrale per il
ragionamento che ci occupa, che il suo futuro sia strettamente collegato al futuro stesso della democrazia
nel nostro Paese.
Il contesto nel quale ci muoviamo, per costatazione diffusa, può definirsi di “crisi” della democrazia
rappresentativa126: la crisi si misura chiaramente attraverso la percezione, ormai pacificamente
riconosciuta, della profonda distanza fra cittadini e istituzioni127, testimoniata peraltro dal drastico

124 J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, .cit., p. 46.


125 In una società culturalmente o ideologicamente pluralistica il pluralismo può comporsi «tramite un consenso di
fondo, preferibilmente formalizzato» e procedurale. In questo senso si esprime Habermas nel confronto avvento
il 19 gennaio 2004 a Monaco con Joseph Ratzinger su «I fondamenti morali e prepolitici dello Stato liberale», pubblicato
in italiano su Humanitas, n. 2/2004, pp. 232-260. Per una analisi del dibattito v. V. Possenti, Stato, diritto, religione, Il
dialogo fra JürgenHabermas e Joseph Ratzinger, in ROCZNIKI FILOZOFICZNE, Tom LXII, 1/2014, pp. 71 ss.
126 S. TORMEY, The end of representative politcs, Cambridge, John Wiley & Sons, 2015; A. MORELLI, La

trasformazione, cit., p. 214 e, da ultimo, P. ROSANVALLON, Controdemocrazia. La politica nell'era della sfiducia, trad. di
Bresolin, Castelvecchi, Roma, 2017.
127 J. VERHULST - A. NIJEBOER, Democrazia diretta, cit., p. 9.

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aumento dell’astensionismo nelle competizioni elettorali128, che fa oggi parlare di “malessere
democratico”129, di “postdemocrazia”130, di «democrazie senza democrazia»131.
Tuttavia, è possibile cogliere nelle aspettative diffuse dei cittadini, nelle concrete potenzialità delle
tecnologie applicate alle relazioni sociali132, nelle esperienze in atto, soprattutto a livello locale, di

128 F. FORNARO, Fuga dalle urne. Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 a oggi, Novi Ligure, Edizioni
Epoké, 2016; M. CERRUTO, La partecipazione elettorale in Italia, in Quaderni di Sociologia, 60/2012, pp. 17 ss., dove si
esamina la costante crescita dell’astensionismo, che peraltro è giunto, nelle ultime consultazioni elettorali, a toccare
punte fino ad oggi mai raggiunte (ad esempio nelle ultime elezioni regionali del 2017 in Sicilia non ha partecipato
al voto il 53,24% degli aventi diritto). Cfr. N. CATTONE, In Sicilia ha vinto il partito dell’astensione: più di un elettore su
due non ha votato, in Il Sole 24ORE, del 6 novembre 2017. Nelle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018, in vero,
si temeva una drastica riduzione dell’affluenza alle urne. Di fatto l’affluenza si è ridotta di soli due punti percentuali
rispetto alle Politiche del 2013 (72,93 % alla Camera, in calo del 2,31 % rispetto alle precedenti politiche; 72,99%,
in calo del 2,27% rispetto al 2013): si tratta, in ogni caso, della affluenza alle urne più bassa registratasi nel nostro
Paese dal 1948. Cfr. Elezioni, affluenza al 73%, due punti in meno del 2013, in
www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/04/news/affluenza-190418979/.
129 Y. MÉNY - Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., p. 26.
130 C. CROUCH, Postdemocrazia, trad. di C. Paternò, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, pp. 25 s. L’A. rileva che

“l’idea di postdemocrazia ci aiuta a descrivere situazioni in cui una condizione di noia, frustrazione e disillusione
fa seguito a una fase democratica; quando gli interessi di una minoranza potente sono divenuti ben più attivi della
massa comune nel piegare il sistema politico ai loro scopi; quando le élite politiche hanno appreso a manipolare e
guidare i bisogni della gente; quando gli elettori devono essere convinti ad andare a votare da campagne
pubblicitarie gestite dall’alto (…). Molti sintomi segnalano che questo sta accadendo nelle società contemporanee
avanzate, dimostrando che ci stiamo dunque allontanando dall’ideale più elevato di democrazia per andare verso
un modello postdemocratico”.
131 Cfr. M. L. SALVADORI, Democrazie senza democrazia, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, pp. 10 ss., in cui l’A.

denuncia lo strapotere delle oligarchie politiche e della plutocrazia tipico dei sistemi liberaldemocratici di ultima
generazione, che lascia alla legittimazione popolare dei governi un ruolo meramente passivo, al punto da dubitare
che questi sistemi possano ancora definirsi democratici.
132 La centralità del tema è dimostrata dalla circostanza che addirittura ne abbia parlato il Presidente emerito della

Repubblica, GIORGIO NAPOLITANO, in occasione del discorso tenuto subito dopo la Sua rielezione a
Presidente: “La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di
intervento politico e anche stimoli all'aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c'è
partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza
il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare
all'imperativo costituzionale del metodo democratico”, in www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-
repubblica-edizione2013/2013/04/22/news/ napolitano il testo integrale_del_discorso_di_ insediamento-57257266/.

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democrazia “deliberativa” e “partecipativa”133 e nelle relative codificazioni normative134, nelle
sperimentazioni regionali di nuove forme di democrazia diretta e nel dibattito in corso sull’introduzione
di referendum a contenuto positivo in Costituzione - fenomeni questi ultimi indagati nelle pagine che
precedono -, altrettanti segnali nella direzione di una concreta e più coinvolgente attuazione del principio
democratico, in cui l’integrazione fra la democrazia rappresentativa e forme nuove e più spinte di

133 Negli ultimi decenni si stanno sperimentando forme innovative di coinvolgimento popolare, soprattutto a livello
di enti locali, di concezione rispettivamente anglosassone o sudamericana, che la dottrina è solita far rientrare negli
istituti della cd. democrazia “deliberativa” e “partecipativa”: con la prima espressione si rinvia ad una serie
differente di ipotesi, che presuppone l’assunzione diretta di decisioni (donde la qualificazione “deliberativa”);
mentre la seconda espressione indicherebbe una serie di procedure pubbliche, che implicano il coinvolgimento dei
cittadini nella fase istruttoria e preliminare, attraverso moduli organizzati nei quali sia ammesso il dialogo ed il
confronto democratico, salva in ogni caso la spettanza della scelta finale in capo a chi ne abbia la competenza
istituzionale. Cfr. A. MORELLI, La trasformazione, cit., p. 210. Se la “democrazia deliberativa” si afferma
nell’ambiente culturale anglosassone, la “democrazia partecipativa” origina da note esperienze sudamericane. Cfr.
L. BOBBIO, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Dem. dir., 4/2006, p. 14; R. BIFULCO, Democrazia deliberativa e
democrazia partecipativa, in www.astrid-online.it, 2009, p. 2. Sui concetti di democrazia partecipativa e deliberativa si
sofferma anche A. MENGOZZI, Idee democratiche e spazi politici della governance partecipativa. Un modello e due leggi regionali
a confronto, in Istituzioni del Federalismo, 2/2011, pp. 255 ss., in cui l’A. analizza le leggi regionali della Toscana (27
dicembre 2007, n. 69) e dell’Emilia-Romagna (9 febbraio 2010, n. 3) per la promozione dei processi partecipativi
(pp. 284 ss.). Sulla successiva legge regionale della Toscana si sofferma M. CIANCAGLINI, Un’ulteriore tappa nel
processo di consolidamento della democrazia partecipatia. La legge regionale Toscana 46/2013, in Osservatoriosullefonti.it, 1/2014.
Lo stesso autore esamina anche la legge regionale umbra 14/2010: Id., La disciplina organica della democrazia
partecipativa nella legislazione regionale, in www.astrid-online.it, 2012, pp. 7 s. Sulla differenza fra i due tipi di democrazia
v. anche L. MAZZUCA, Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: alcune riflessioni sul modello di Fung e Wright,
Venezia, Università IUAV, 16-18 settembre 2010, XXIV Convegno Sisp, pp. 3 ss.; R. BIFULCO, Democrazia
deliberativa, partecipativa e rappresentativa. Tre diverse forme di democrazia?, in U. ALLEGRETTI (a cura di) Democrazia
partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze, University Press, 2010, pp. 65 ss., nonché, da ultimo,
E. ROSSI, Le finalità e gli strumenti della democrazia partecipativa nell’ordinamento giuridico italiano, in Dir.soc., 3/2016, pp.
502 ss., secondo il quale, “obiettivo della democrazia partecipativa” sarebbe quello di “offrire al decisore tutti (o il
maggior numero possibile de-)gli elementi necessari per una decisione ponderata” (p. 503): importazione questa
che colloca il fondamento degli istituti di democrazia partecipativa a cavallo fra il principio democratico di cui
all’art. 1 Cost., il richiamo espresso alla “partecipazione” dei cittadini di cui al’art. 3, comma 2 Cost., ed il principio
di imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97, comma 2 Cost.
134 Conferma questa nuova tendenza la legge n. 124/2015 (c.d. legge Madia), all’art. 1, co. 1, lett. c), che ha delegato

il Governo a modificare il “Codice dell’amministrazione digitale”, prescrivendo tra i criteri direttivi la garanzia della
«partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche»; cosicché l’art. 10 del
d.lgs. n. 179/2016, in attuazione della delega, ha modificato lʼart. 9 del Codice (Partecipazione democratica elettronica),
richiedendo il ricorso alle “forme di consultazione preventiva per via telematica sugli schemi di atto da adottare”.
V. art. 10, d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, recante “modifiche ed integrazioni al Codice dell'amministrazione digitale,
di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell'articolo 1 della l. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”. Il citato art. 9 del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs.
82/2005), come modificato dal d.lgs. 179/2016, testualmente recita: “I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2,
favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini,
anche residenti all'estero, al processo democratico e per facilitare l'esercizio dei diritti politici e civili e migliorare la
qualità dei propri atti, anche attraverso l'utilizzo, ove previsto e nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione
vigente, di forme di consultazione preventiva per via telematica sugli schemi di atto da adottare”. Sul tema, v., da
ultimo, P. OTRANTO, Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a., in federalismi.it, 2/2018.

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partecipazione consenta ai cittadini di venir fuori dal limbo della delega una tantum per acquistare un ruolo
sempre più attivo e consapevole.
Questo processo, ove dovesse compiersi nel senso auspicato, potrà - sia pure marginalmente - incidere
sulla forma di governo del nostro Paese, come, peraltro, sarebbe per alcuni auspicabile135. Limitata
incidenza, invero, potrà avere sul “tipo” di Stato, incontrando come limite da una parte il principio
fondamentale di “unità e indissolubilità della Repubblica” (come dimostra il recente tentativo di indire
un referendum sull’indipendenza del Veneto136 e conferma, sia pure in altro ordinamento, l’evolversi della
crisi catalana137) e, dall’altra, le disposizioni costituzionali che sanciscono l’appartenenza dell’Italia
all’U.E.138, a meno di una preventiva e specifica quanto improbabile riforma costituzionale.
La crescita della partecipazione da parte dei cittadini potrà, infine, incidere sulla stessa forma di Stato;
ove, però, concorrano più condizioni: perché ancor prima di riforme sul piano giuridico, affinché muti

135 A. CELOTTO, Premessa al volume A. CELOTTO - G. PISTORIO, Le nuove “sfide” della democrazia diretta, cit., p.
VIII, il quale parte dall’assunto che “il modello della forma di governo è analogo a quello dello Stato ottocentesco”
e si chiede: “è possibile far partecipare i cittadini con questi meccanismi?”, considerando questa una “domanda
centrale del diritto costituzionale”.
136 Le vicende delle leggi regionali del Veneto nn. 15 e 16 del 2014 sono ricostruite, supra, alla nt. 55.
137 Dovendosi, quindi, escludere dal novero delle possibilità compatibili con la Costituzione quella delle secessione

di parti del territorio nazionale. Sul punto si rinvia a G. DELLEDONNE, I "Länder" non sono i padroni della
Costituzione: il "Bundesverfassungsgericht" di fronte a un tentativo secessionista bavarese,
Nota a Tribunale federale costituzionale 16 dicembre 2016, n. 349, in Quad.cost., 1/2017, pp. 145 ss.;
D. TRABUCCO, "Popoli regionali", principio di autodeterminazione ed indivisibilità della Repubblica, in Nuove
autonomie, 1/2017, pp. 87 ss.; V. F. COMELLA, La Catalogna e il diritto di decidere,
in Lo Stato, 6/2016, p. 227; I. RUGGIU, Referendum e secessione. L'appello al popolo per l'indipendenza in Scozia e in
Catalogna, Relazione al Seminario “Referendum e appelli al popolo. La progressiva deformazione del sistema delle fonti del diritto”,
Università degli Studi di Pisa, 19 settembre 2016 in Costituzionalismo.it, 2/2016; S. BARTOLE, Pretese venete di
secessione e storica questione catalana, cit., pp. 939 ss.; A.J.M. CASTELLÀ, The proposal for Catalan secession and the crisis of
the Spanish autonomous State, in Dir.pubbl.comp.eur., 2/2015, pp. 429 ss.; T.E. FROSINI, Costituzione, autodeterminazione,
secessione, in Rivista AIC, 1/2015; S. MANCINI, Ai confini del diritto: una teoria democratica della secessione , in Osservatorio
costituzionale, 1/2015. Si segnala, in particolare quest’ultimo contributo, dove si analizzano, al § 4, le teorie
democratiche della secessione, secondo cui, ad esempio, i confini degli Stati debbono determinarsi rispettando la
libertà di associazione ed il principio democratico (H. BERAN, A Liberal Theory of Secession (1984) 32 Political Studies,
p. 21) e secondo cui, ancora, la libertà di associarsi include anche il diritto di uscirne, fosse anche l’associazione
politica per eccellenza e cioè lo Stato, purché sussista in capo ad un gruppo politico la capacità di realizzare un
nuovo Stato (C. H. WELLMAN, A Theory of Secession: The Case for Political Self-determination, Cambridge, Cambridge
University Press, 2005, p. 168). In questa logica, bisognerebbe riflettere sulla possibilità di prevedere in Costituzione
espressamente il “diritto di secessione” e di prevedere quorum particolarmente qualificati per l’espletamento di
referendum di indirizzo, che consentano al popolo, sia nella parte che intende operare la secessione, che in quella
residua, di esprimersi democraticamente. Ovviamente, questa ipotesi teorica incontra l’ostacolo, che appare
insormontabile nel nostro ordinamento, del principio di unità e indissolubilità della Repubblica, su cui v. F.
MODUGNO, Unità e indivisibilità della Repubblica come principio, in Diritto e società, 1/2011, pp. 73 ss.
138 D.E. TOSI, Il ricorso al referendum nel processo di integrazione europea, in Dir. pubbl. comp. eur., 2014, pp. 1591 ss., il

quale ricorda come tra il 1972 e il 2012 vi sono stati ben quarantasette referendum statali sui rapporti con la UE;
A. MORELLI, È possibile svolgere un “referendum d’indirizzo sulla permanenza dell’Italia nell’Unione europea?, in Osservatorio
costituzionale, 2/2016, ove, in particolare, si analizzano i limiti costituzionali ai "referendum" che incidono sugli
obblighi internazionali.

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realmente il rapporto fra i cittadini e i pubblici poteri, è necessaria una rivoluzione culturale, che elevi la
capacità di comprensione e di giudizio delle masse; è necessario un ripensamento del ruolo stesso dello
Stato, affinché siano garantiti effettivamente i diritti sociali cosicché, come prescrive la nostra
Costituzione, sia consentita “l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica,
economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2 Cost.); è necessaria un’Europa diversa, che punti
decisamente sulla coesione economico – sociale, come unico reale strumento per costruire un futuro di
unità e di prosperità139; in altre parole, occorre tornare alla Costituzione, ancor’oggi sede delle speranze e
delle attese più profonde del nostro Popolo.
D’altronde, l’Italia, l’Europa, il mondo globalizzato sono posti, in questi tempi complessi, di fronte ad un
bivio: con l’introduzione di sempre nuove forme di automazione nella produzione e nei servizi140 anche
le masse potranno godere, grazie a significative riduzioni dell’orario di lavoro, di più tempo a propria
disposizione, avendo l’opportunità di dedicarsi, come accadeva al kyrios ateniese, all’esercizio del proprio
diritto di cittadinanza attiva141; ma potrà viceversa accadere che altri modelli economici spingano verso
un mondo fatto di poveri ed ignoranti (i “nuovi schiavi”) 142, controllati da tecnologie sempre più

139 Nell’anno appena trascorso si colgono diversi segnali incoraggianti in questa direzione: dalla Raccomandazione
(UE) 2017/761 della Commissione del 26 aprile 2017 sul “pilastro europeo dei diritti sociali”, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 113 del 29.4.2017; al Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e
consumatori” del 23 ottobre 2017, durante il quale i ministri dell’occupazione e degli affari sociali degli Stati membri
dell’Unione europea hanno approvato all’unanimità il “Pilastro europeo dei diritti sociali” (COM (2017) 251 del 26
aprile 2017) su proposta della Commissione europea (http://www.europeiunite.eu/aree-tematiche/approvato-dal-
consiglio-dellunione-europea-il-pilastro-europeo-dei-diritti-sociali-reale-possibilita-per-uneuropa-sociale-o-tigre-
di-carta-13-11-2017/); all’incontro del 17 novembre 2017, a Göteborg, in Svezia, in cui i Primi ministri dell’Ue
hanno operato la proclamazione inter-istituzionale del “Pilastro europeo dei diritti sociali”, che si compone di 20
principi e diritti fondamentali in ambito sociale, dalla “tutela delle condizioni di lavoro”, al “diritto a un salario
dignitoso”, fino alla “garanzia di livelli minimi di inclusione e coesione sociale”
(http://www.linkiesta.it/it/article/2017/11/16/pilastro-europeo-dei-diritti-sociali-lue-vuole-mettere-le-tutele-
lavor/36193/); all’accordo del 18 novembre 2017 sul bilancio dell’UE per il 2018, che rispecchia le priorità politiche
della Commissione Juncker, secondo cui gran parte del bilancio dell’UE dovrà essere utilizzata per favorire la
creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani, e per stimolare la crescita, gli investimenti strategici e la
convergenza (http://www.euroconsulting.be/2017/11/22/ bilancio-ue-2018-occupazione-investimenti-
migrazione-e-sicurezza/). Sul tema, v. S. GIUBBONI, Appunti e disappunti sul pilastro europeo dei diritti sociali, in
Quad.cost., 4/2017, 953 ss. e, sia pure non aggiornato agli ultimi sviluppi, A. CIANCIO, Verso un “pilastro europeo dei
diritti sociali”, Intervento alla Tavola Rotonda “Verso una dimensione costituzionale dei diritti in Europa?”, Catania, 20
maggio 2016, in federalismi.it, 13/2016.
140 Esperto Lavoro, “In Italia ci sono 3,2 milioni di posti a rischio automazione”, in www.repubblica.it dell’11 ottobre 2017.
141 Portata straordinaria ha il recente accordo firmato tra il sindacato dei metalmeccanici IG Metall e gli industriali

nel Baden-Wurttemberg, in Germania, con il quale non solo si incrementa il salario del 4,3%, ma soprattutto si
stabilisce la possibilità di introdurre una considerevole flessibilità nell’orario di lavoro, che può essere ridotto da 40
a 28 ore settimanali (al momento per un periodo limitato da 6 a 24 mesi). Cfr. www.agi.it/economia/
germania_metalmeccanici_28_ore-3456842 /news/2018-02-07/del 7 febbraio 2018. Di “Storico accordo” parla il
Corriere della Sera / Esteri in www.corriere.it/esteri/18_febbraio_06/settimana-lavorativa-28-ore-storico-accordo-germania-
edb3a390-0b67-11e8-8265-d7c1bfb87dc9.shtml, del 6 febbraio 2018.
142 K. BALES, I nuovi schiavi. La merce umana nell'economia globale, trad. di M. Nadotti, Milano, Feltrinelli, 2002, secondo

il quale nel mondo globalizzato, anche nelle ricche capitali dell’occidente, esisterebbero oltre ventisette milioni di

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invadenti143… Un bivio che introduce a vie senza ritorno, cui ciascuno ha il dovere di guardare,
consapevole del contributo che può e deve dare perché si imbocchi la strada giusta. Una strada che, infine,
superata la crisi odierna, conduca a nuove forme di democrazia … Perché, per dirla con Ralf Dahrendorf:
“dopo la democrazia, noi dobbiamo e possiamo costruire una nuova democrazia”144.

schiavi: donne e uomini senza libertà, condannati a lavori disumani o alla prostituzione, privi di tutela e malpagati,
in condizioni di estrema povertà.
143
Emblematica appare in proposito la recente inchiesta condotta da Guardian, Observer e New York Times, la quale
ha svelato come la società Cambridge Analytica abbia proceduto alla violazione di 87 milioni di profili Facebook, al
fine di prevedere e influenzare scelte elettorali (in particolare le elezioni del Presidente Trump ed il referendum
sulla Brexit) attraverso annunci politici personalizzati. Cfr. J. D’Alessandro, Scandalo Cambridge Analytica, parla
Facebook: "I profili social coinvolti sono 87 milioni", in Repubblica.it del 4 aprile 2018.
144 R. DAHRENDORF, Dopo la democrazia, cit., p. 130.

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