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di Marco Galdi
Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli Studi di Salerno
Il referendum “a contenuto positivo”
nella democrazia che cambia *
di Marco Galdi
Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli Studi di Salerno
Abstract [It]: Negli ultimi anni si registra la tendenza, anche sulla scorta di modelli stranieri, al
superamento della portata “oppositiva” dei referendum previsti nella Costituzione italiana a favore di
nuove forme di consultazione a contenuto positivo, tanto nell’esperienza delle nostre Regioni quanto
nelle proposte di revisione costituzionale. Se la previsione in Costituzione di referendum di portata
deliberativo/approvativa è da valutare per più ragioni inopportuna, non altrettanto si può dire per
l’introduzione di un “referendum di indirizzo vincolante”, che riproponga lo schema logico-giuridico
delle “leggi cornice”, a cui favore militano ragioni di ordine etico-politico e di sistema. Non vi è dubbio,
però, che sulle prospettive di questo istituto, come più in generale sul tema della qualità della democrazia,
sia in corso una partita dall’esito ancora molto incerto.
Abstract [En]: In recent years there has been a tendency, also on the basis of foreign models, to
overcome the “opposing” scope of the referendums provided for in the Italian Constitution in favor of
new forms of consultation with positive content, both in the experience of our Regions and in the
proposals for constitutional revision. If the constitutional forecast of a referendum with a deliberative /
approvative scope is to be evaluated inappropriate for more than one reason, we cannot say the same for
the introduction of a “referendum of binding guidelines”, reintroducing the logical-legal
pattern of the “framework laws”, in whole favour ethical-political and system reasons militate. There is
no doubt, however, that on the prospects of this institution, as more generally on the subject of
democracy quality, the game is still going on with a very uncertain outcome.
Sommario: 1. La tendenza a valorizzare gli istituti di democrazia diretta: dalla portata “oppositiva” dei
referendum previsti nella Costituzione alla previsione di nuove forme di consultazione a contenuto
positivo, favorite anche dalla comparazione con esperienze straniere. 2. I referendum “consultivi”,
“propositivi” e “approvativi” nell’esperienza regionale. 3. I referendum a contenuto positivo nelle
proposte di revisione costituzionale. Critica: l’inopportuna introduzione del referendum
deliberativo/approvativo nella Costituzione. 4. De iure condendo: l’opportuna introduzione di un
“referendum di indirizzo vincolante”. Ragioni di ordine etico-politico e di sistema. 5. Il futuro del
referendum si intreccia con il futuro della democrazia.
1 Non è certo un caso se il XXXII Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, svoltosi a
Mantova il 10 e l’11 novembre 2017, abbia avuto come tema “Democrazia, oggi”.
Ritiene che il frequente ricorso alla “voce del popolo”, di recente registratosi, sia funzionale a ritrovare una
“legittimazione che sembra perduta”, ad investire “il popolo delle decisioni che le Istituzioni (o meglio, i partiti
politici) non sembrano in grado di compiere” ovvero abbiano “finalità puramente plebiscitarie o di rafforzamento
autoritario del potere governativo” S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta. L'iniziativa popolare nell'esperienza
svizzera e statunitense, con uno sguardo all'Italia, in Riv.trim.dir.pubbl., 2/2017, p. 496. Pongono in stretta correlazione il
referendum con lo ius activae civitatis A. LOIODICE - A. BRIGHINA, Referendum, in Enc.giur., XXVI, Roma, Istituto
dell’Enciclopedia italiana, 1991, p. 2, secondo i quali il referendum si colloca “fra gli strumenti istituzionali diretti
a consentire al cittadino elettore l’esercizio di un personale, inalienabile, diretto ius activae civitatis, inteso come
situazione soggettiva che si esprime in atti di volontà via via disciplinati dalla legge, incidenti sulla gestione della
civitas”.
2 A. MORELLI, La trasformazione del principio democratico, in Consulta on linee, 1/2015, p. 211, secondo il quale “tali
congegni, infatti, non possono essere qualificati, a rigore, come meccanismi di democrazia diretta, la quale, come
si è visto, corrisponde a specifiche esperienze storiche oggi difficilmente riproducibili. La partecipazione
«istituzionale» è piuttosto quella che «si articola in istituti e procedimenti formalizzati e tipizzati dal diritto (in
genere, dalla Costituzione o tutt’al più dalla legge)», è diretta «all’attivazione, completamento o definizione dei
procedimenti decisionali pubblici (in particolare, di quelli politici)», «si struttura attraverso l’attribuzione di specifici
diritti politici» e può essere praticata da tutti i cittadini titolari dei medesimi diritti politici”.
3 Configura questi istituti tradizionali come espressione di “democrazia diretta” U. ALLEGRETTI, La democrazia
partecipativa in Italia e in Europa, in Rivista AIC, 01/2011, p. 4, distinguendoli dalla democrazia partecipativa, in
considerazione della loro natura per lo più occasionale e puntuale; inoltre, essi, come nel caso del referendum,
“possono esprimere una decisione superiore rispetto all’agire delle istituzioni rappresentative e, nella normalità dei
casi, hanno rispetto a esso un valore esterno”.
4 Rileva che il ricorso agli istituti di democrazia diretta, specialmente ai referendum, si sia incrementato negli Stati
democratici sia da un punto di visto quantitativo che qualitativo (cioè dell’importanza degli effetti sul sistema
istituzionale) M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare: quale riforma?, in Costituzionalismo.it, 2/2016, p. 1, il quale
giustifica il fenomeno tanto alla luce della crisi della rappresentanza quanto alla luce del superamento della logica
bipolare. In generale analizza, fra gli altri, il fenomeno del populismo come rifiuto per la politica, che nasce dalla
diffusa presa d’atto della corruzione delle élite e che si traduce nell’ostilità per la rappresentanza Y. MÉNY - Y.
SUREL, Populismo e democrazia, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 148 ss. Viceversa, ritiene che la crisi della democrazia
di iniziativa governativa, per sospendere una legge approvata dalle Camere e per sottoporre a consultazione
popolare una legge bocciata dal Parlamento; nonché di iniziativa popolare, per sospendere una legge già approvata,
per abrogare una legge in vigore e per introdurre modifiche legislative in seguito al rigetto di una iniziativa popolare.
Cfr. M. LUCIANI, Commentario della Costituzione. Il Referendum. Art. 75, Bologna, Zanichelli, 2005, pp. 154 ss.; ma
già G. M. SALERNO, Il referendum, Padova, Cedam, 1992, pp. 24 ss. e, da ultimo, S. RODRIQUEZ, I limiti della
democrazia diretta, p. 487. Esaminano le ragioni, che portarono a rigettare in Assemblea Costituente le proposte di
Mortati, A. LOIODICE - A. BRIGHINA, Referendum, cit., 3, in cui si ricorda come la scelta cadde piuttosto sulla
democrazia dei partiti, guardandosi con una certa diffidenza alla democrazia diretta.
6 Conferma la natura “oppositiva” del referendum costituzionale M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p.
20, secondo il quale “l’opzione del Costituente italiano per la facoltatività del referendum costituzionale era dettata
con ogni evidenza dalla volontà di configurare il referendum costituzionale come uno strumento di garanzia posto
a tutela delle minoranze. Dai lavori costituenti e dalle caratteristiche del referendum costituzionale deriva la sua
qualificazione come «oppositivo nei confronti della maggioranza che ha approvato la legge», analoga per questo
aspetto a quella del referendum abrogativo”. Sul tema si rinvia da ultimo a G. BARCELLONA, Votare contro: il
referendum come opposizione e norma, Milano, Angeli, 2016.
7 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, Cedam, 1976, p. 667.
8 Corte cost., 27 gennaio 2017, n. 26, in Giur.cost., 2017, pp. 197 ss.
9 D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23.
10 L. 20 maggio 1970, n. 300.
11 L. 28 giugno 2012, n. 92.
12 A giudizio della Corte costituzionale, infatti, manipolando la struttura linguistica della disposizione prevista
dall’art. 18, tramite la tecnica del ritaglio, si sarebbe prodotto l’effetto di abbassare la soglia di applicabilità della
tutela del reintegro da 15 a 5 dipendenti, rendendo generale una norma particolare prevista dal legislatore per le
imprese agricole, in tal modo producendo l’effetto di dare alla disposizione stessa un assetto normativo nuovo ed
imputabile alla volontà propositiva di creare diritto, non già a quella di eliminare una scelta legislativa. Cfr. Punto
6 delle considerazioni in diritto.
13 V. COCOZZA, Il quesito referendario sull’art. 18 della l. 300/1970 è veramente propositivo?, in Costituzionalismo.it.,
1/2017, pp. 9 s. Sul tema v. anche A. ARENA, Brevi considerazioni sulla discrezionalità del legislatore e sulla legge del mercato
(a partire dalla lettura della sent. n. 26 del 2017), in Osservatorio costituzionale, 2/2017.
14 Configura una funzione di stimolo e di controllo del referendum in Italia A. BALDASSARRE, Referendum e
legislazione, in M. LUCIANI - M. VOLPI (a cura di), Referendum, Roma-Bari, Edizioni Laterza, 1992, pp. 32 ss.
15 G. AMBROSINI, Referendum, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 121.
16 Di differente avviso, invece, è la dottrina maggioritaria (v. gli Autori citati, infra, alla nt. 112) e, da ultimo, A.
MORRONE, Il referendum manipolativo: abrogare per decidere, in Quad.cost., 2/2017, pp. 305 ss., il quale, nel ricostruire
in modo assai puntuale la giurisprudenza della Consulta in tema di referendum manipolativi, perviene alla
conclusione - opposta rispetto a quella accolta in questo studio - che questo tipo di referendum (ma alla fine tutti
i referendum abrogativi) avrebbero una portata innovativa in positivo dell’ordine giuridico: “pensato come
strumento per ripristinare il raccordo tra volontà del Parlamento e volontà popolare, il referendum ha espresso in
concreto natura di mezzo di decisione politico-legislativa, concorrente e, in misura maggiore nella crisi della
politica, sostitutiva delle istituzioni di governo, con forza positiva non predeterminata o predeterminabile, potendo
esprimere, per il collegamento al principio di sovranità popolare, persino bagliori di potere costituente” (p. 332).
In vero, non si condivide questa pur autorevolissima e diffusa lettura. Peraltro, non si intravvede, nella più recente
giurisprudenza della Consulta, una inversione di tendenza tale da giustificare questa impostazione, se si considera
che lo stesso A. MORRONE (Un istituto referendario che non c'è, in Quad.cost., 2/2003, 386), in un contributo di
circa quindici anni fa, affermava: “A differenza del sindacato esperito nei confronti degli atti del legislatore
rappresentativo, il legislatore referendario è soggetto a un rigoroso onere di coerenza o aderenza al sistema
normativo esistente, rispetto al quale il referendum ha senso solo se «a rime obbligate». La conseguenza è
l’amputazione di ogni vis innovativa all’abrogazione referendaria, e la cristallizzazione (fino al parossismo della
costituzionalizzazione, v. sent. n. 17/97 relativamente alla funzione statale di indirizzo e coordinamento, e sent. n.
42/2000 in materia di patronati) dell’ordinamento giuridico vigente”. Che anzi, si ritiene che con la recente
decisione n. 26/2017 la Corte abbia ulteriormente ristretto la sua lettura in termini “negativi” dell’abrogazione
referendaria, non limitandosi a considerare inammissibili i “ritagli” volti a creare «una disciplina totalmente diversa
ed estranea al contesto normativo» (essendo invece ammissibili quelli «espansivi» di una disciplina già prevista nello
stesso contesto), come ad es. già nelle sentenze nn. 36 e 39/1997, ma avendo escluso anche quei ritagli che
lascerebbero colmare la lacuna normativa, provocata dall’abrogazione referendaria, attraverso l’estensione di «un
dato normativo previsto con tutt’altra finalità, che si giustifica nell’ordito legislativo esclusivamente in ragione delle
peculiarità cui si è innanzi accennato». Sulla distinzione v. A. PERTICI, L’inammissibilità del referendum sui licenziamenti
illegittimi, in Quad.cost., 1/2017, pp. 115 ss. in particolare pp. 116 s. Sulla decisione Corte cost., 10 febbraio 1997, n.
36 si segnalano i commenti di R. ROMBOLI, L’ammissibilità del referendum abrogativo nella giurisprudenza costituzionale:
conferme e novità, in Foro it., 3/1997, parte I, p. 652 e di R. CALVANO, Il "falso problema" dei referendum manipolativi, in
Giur. cost., 1/1997, pp. 322 ss. Ribadiscono la stessa impostazione Corte cost., 7 febbraio 2000, n. 38; Id., 7 febbraio
2000, n. 50; Id., 6 febbraio 2003, n. 46 e Corte cost., 24 gennaio 2012, n. 13, in cui la Consulta esclude recisamente
la possibilità della “reviviscenza” di norme dapprima abrogate, in quanto a ciò osterebbe il carattere
“esclusivamente abrogativo” del referendum, non pure “approvativo di nuovi principi” (Punto 5.4 cons. in dir.).
Sul punto critico A. RUGGERI, Davvero inammissibili i referendum elettorali per la (supposta) impossibilità di “reviviscenza”
della normativa previgente rispetto a quella oggetto di abrogazione popolare?, Nota a prima lettura di Corte cost. n. 13 del 2012,
in Consulta online, 2012, 8 ss.
17 La l. cost. 3 aprile 1989, n. 2, votata all’unanimità dai due rami del Parlamento.
18 B. PEZZINI, Il referendum consultivo nel contesto istituzionale italiano, in Dir.soc., 1992, 434. Sulla nozione di “rottura
della Costituzione” si rinvia a C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., II, p. 1236, nt. 1, pp. 1237 s.
19 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 18.
20 V., infra, § 2.
21 V., infra, § 3.
22 Si veda, ad esempio, il caso del referendum “propositivo” introdotto nello statuto dal Comune di Modena
autonomie territoriali, Milano, Giuffrè, 2000, p. 351, per il quale gli statuti regionali erano legittimati a prevedere solo
referendum di tipo abrogativo e consultivo; E. SPAGNA MUSSO, Il referendum regionale: aspetti problematici, in Scritti
di diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 1383 s., per il quale la disciplina nazionale del referendum
abrogativo costituiva per gli statuti regionali addirittura un vincolo stringente.
24 Corte cost., 2 dicembre 2004, n. 372, in Giur.cost., 2004, pp. 4022 ss., per la quale “la materia referendaria rientra
espressamente, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, tra i contenuti obbligatori dello Statuto, cosicché si deve
ritenere che alle Regioni è consentito di articolare variamente la propria disciplina relativa alla tipologia dei
referendum previsti in Costituzione, anche innovando ad essi sotto diversi profili, proprio perché ogni regione può
liberamente prescegliere forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai processi di controllo democratico
sugli atti regionali” (punto 8 delle cons. in dir.).
25 Corte cost., 12 aprile 2002, n. 106, in Giur.cost., 2002, pp. 885 ss., per la quale “l’articolo 1 della Costituzione,
nello stabilire, con formulazione netta e definitiva, che la sovranità “appartiene” al popolo, impedisce di ritenere
che vi siano luoghi o sedi dell’organizzazione costituzionale nella quale essa si possa insediare esaurendovisi. Le
forme e i modi nei quali la sovranità del popolo può svolgersi, infatti, non si risolvono nella rappresentanza, ma
permeano l’intera intelaiatura costituzionale” (punto 3 delle cons. in dir.).
26 M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare: l’esempio nordamericano e la prospettiva delle regioni italiane,
di legge popolare venga direttamente sottoposta al vaglio popolare; ovvero che sia preliminarmente sottoposta agli
organi legislativi e solo nel caso in cui questi non la esaminino, ovvero la rigettino, è sottoposta al voto popolare.
28 Ibidem. L’initiative, non prevista nella Costituzione federale USA (Idem, p. 476), è diffusa in circa la metà degli Stati
nordamericani (Idem, p. 479): il primo Stato ad adottarlo fu il Nebraska nel 1897, seguito dal Sud Dakota, dall’Utah,
dall’Oregon, dal Montana, dall’Oklahoma, dal Maine, dal Michigan e dalla California, che ha adottato l’istituto nel
2011 (Idem, p. 478).
29 L’utilizzo dell’initiative è molto ricorrente, se si considera che ad esempio nel solo 2006 ben 79 leggi di iniziativa
popolare sono state sottoposte al vaglio degli elettori, di cui 32 risultano approvate (Idem, p. 481), e che solo l’8
novembre 2016, contestualmente all’elezione di Tramp, negli Stati Uniti si sono svolti ben 162 referendum di
questo tipo. Cfr. S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta, cit., p. 497. Fra i temi più ricorrenti sottoposti
all’initiative si rinviene la materia fiscale. Cfr. M. GORLANI, op.cit., p. 483.
30 Sulle esperienze straniere v., da ultimo, X. CONTADIES - A. FOTIADOU, Participatory Constitutional Change: the
People as Amenders of the Constitution, London – New York, Routhedge, 2017, in cui si esaminano, in particolare, i
casi della V Repubblica francese, di Svizzera, California, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Grecia e del processo di
integrazione dell’UE. Da ultimo sulle esperienze in Svizzera e negli Stati Uniti v. anche S. RODRIQUEZ, I limiti
della democrazia diretta, cit., pp. 451 ss.
31 Dichiara di ispirarsi al modello svizzero e “californiano” la riforma che introduce il referendum propositivo nel
Comune di Roma, deliberata in via definitiva lo scorso 31 gennaio 2018. Cfr. Redazione, Statuto, via libera alle
modifich, cit.
32 C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni, in attesa dell’introduzione a
livello nazionale, in Rass. Parl., 2/2016, p. 248, la quale tuttavia ricorda come figure simili fossero state inizialmente
previste negli statuti delle regioni ordinarie, ma poi eliminate in sede di controlli parlamentari.
33 Ibidem.
34 G.U. RESCIGNO, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Diritto pubblico, 3/2002, p. 818. In vero,
questo assunto andrebbe ulteriormente indagato alla luce della circostanza che, anche dopo la riforma dell’art. 123
Cost., intervenuta con la legge costituzionale n. 1/99, la derogabilità da parte dello statuto della “forma di governo”
regionale potrebbe limitarsi, ad una interpretazione più restrittiva della novella, alle sole funzioni attribuite in
Costituzione direttamente al Presidente ed alla Giunta regionale, non anche al Consiglio, come potrebbe sostenersi
sulla base della lettura degli artt. 121 e 122 Cost., che rispettivamente attribuiscono in modo reciso il potere di fare
le leggi al Consiglio regionale (“Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione”) e
consentono limitatamente al Presidente ed alla Giunta modalità alternative di elezione, ove lo Statuto lo richieda
(“Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio
universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta”). Tuttavia, considerata
l’accezione lata e consolidata che in dottrina si attribuisce all’espressione “forma di governo”, intesa quale
distribuzione della funzione di indirizzo politico di maggioranza fra i diversi organi costituzionali, non pare di
potersi accogliere la lettura restrittiva, poc’anzi prospettata, dell’attitudine innovativa dello statuto regionale, se non
altro in attuazione del fondamentale principio democratico di cui all’art. 1 Cost.
35 S. TROILO, Fra tradizione e innovazione: la partecipazione popolare tramite consultazioni e referendum consultivi, a livello
regionale e locale, in federalismi.it, 11/2016, p. 4, secondo il quale in Assemblea Costituente il referendum fu sostenuto
soprattutto a livello regionale e locale. Ma in questo senso v., già, T. MARTINES, Il referendum negli ordinamenti
particolari, cit., p. 367.
36 Fra i primi ad esprimersi a favore di una lettura estensiva dell’art. 123 Cost. V. CRISAFULLI, Norme regionali e
norme statali in materia di referendum, in Riv. amm., 1955, pp. 461 ss., dove l’A. arriva a configurare anche la possibilità
di referendum di approvazione di leggi regionali.
37 Si parla di “portata potenziale” perché ben può la Regione scegliere di non disciplinare, ad esempio, il referendum
su provvedimenti amministrativi regionali, come fa, ad esempio, lo Statuto della Regione Campania.
38 Di fatto tutte le Regioni speciali e le Province autonome si sono dotate di leggi statutarie di disciplina del
referendum regionale e del diritto di iniziativa popolare: l.r. Friuli-Venezia Giulia 7 marzo 2003, n. 5 (“Articolo 12
dello Statuto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Norme relative alla richiesta, indizione e svolgimento
dei referendum abrogativo, propositivo e consultivo e all’iniziativa popolare delle leggi regionali”); l.r. Valle d’Aosta
25 giugno 2003, n. 19 (“Disciplina dell’iniziativa legislativa popolare, del referendum propositivo, abrogativo e
consultivo, ai sensi dell’art. 15, secondo comma, dello statuto speciale”); l.r. Sicilia 10 febbraio 2004, n. 1
(“Disciplina dell’istituto del referendum nella Regione siciliana e norme sull’iniziativa legislativa popolare e dei
consigli comunali e provinciali”); l.p. Bolzano 18 novembre 2005, n. 11 (“Iniziativa popolare e referendum”) e l.p.
Trento 5 marzo 2003, n. 3 (“Disposizioni in materia di referendum propositivo, referendum consultivo,
referendum abrogativo e iniziativa popolare delle leggi provinciali”). La Sardegna, invece, ha fatto la scelta, anziché
adottare una pluralità di leggi statutarie per ciascuno degli oggetti individuati nella legge costituzionale n. 2/2001,
di adottare un’unica legge statutaria (la “Legge statutaria della Regione autonoma della Sardegna” 10 luglio 2008,
n. 1), la cui entrata in vigore, però, è stata impedita dalla Consulta. Cfr. Corte cost., 8 maggio 2009, n. 149, in
Giur.cost., 2009, pp. 1619 ss., con commenti di D. NOCILLA, Quandoque bonus dormitat Homerus, ivi, pp. 1630 ss. e
S. PAJNO, Il regime giuridico del controllo di costituzionalità della legge statutaria nella sentenza n. 149 del 2009, ivi, pp. 1642
ss. Con la conseguenza che trova ancora applicazione, come si vedrà, la l.r. 17 maggio 1957, n. n. 20, recante
“Norme in materia di referendum popolare regionale”. Sul tema si rinvia a M. ROSINI, Le leggi statutarie delle regioni
speciali: uno sguardo alla disciplina dell’istituto referendario, in Osservatoriosullefonti.it, 3/2013, passim, nonché, con
riferimento alla Sardegna, pp. 4 s., nt. 11.
39 Ex plurimis, F. BIONDI, Il referendum negli statuti regionali tra innovazione e continuità, in E. ROSSI (a cura di), Le
fonti del diritto nei nuovi statuti regionali, Cedam, Padova, 2007, pp. 303 ss.; M. GORLANI, Il referendum propositivo e
l’iniziativa popolare: l’esempio nordamericano e la prospettiva delle regioni italiane, in Le Regioni, 3/2008, pp. 471 ss.; F.
PASTORE, Il referendum negli Statuti delle regioni ad autonomia ordinaria “di seconda generazione”, in federalismi.it, 2/2009;
Id., Problematiche costituzionale relative agli statuti regionali ordinari di seconda generazione, Padova, Cedam, 2012; V. DE
SANTIS, Il referendum nei nuovi statuti regionali: molti elementi di continuità e qualche tentativo di innovazione, in AA.VV., Studi
in onore di Vincenzo Atripaldi, Napoli, Jovene, 2010, I, pp. 479 ss.; M. OLIVETTI, I referendum e gli altri istituti
di democrazia partecipativa nei nuovi statuti delle Regioni ordinarie, ivi, pp. 719 ss.; M. ROSINI, Le leggi statutarie delle regioni
speciali, cit.; S. TROILO, Fra tradizione e innovazione, cit.; C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e
nell'esperienza di alcune Regioni, cit., pp. 245 ss.
40 S. TROILO, Fra tradizione e innovazione, cit., pp. 8 s.
41 Lucio Giavoleno Prisco, in Digesto, 50. 17. 202.
42 Con riferimento specifico ai referendum, parla di “anarchia terminologica” M. LUCIANI, Commentario della
come in passato nella cultura giuridica europea si fosse affermata la tesi che escludeva il carattere vincolante delle
definizioni legislative, spettando l’attività definitoria alla scienza giuridica e non al legislatore, al quale invece
atterrebbe il compito pratico di emanare regole di comportamento. L’A. critica questa impostazione, ritenendo che
il legislatore nel definire i termini adoperati non teorizza, quanto “prescrive all’interprete che tali termini vadano
intesi nel modo indicato”.
44 Peraltro, si condivide l’impostazione tradizionale secondo cui “la scienza tradisce se stessa laddove rinuncia a
definire i concetti con cui opera” (P. GASPARRI, Teoria giuridica della Pubblica amministrazione: nozioni introdutive,
Cedam, Padova, 1964, p. 135) ovvero che “ogni scienza ha bisogno del suo tecnicismo, di un suo dizionario
convenzionale” (E. FINZI, Il possesso dei diritti, 1915, rist. Milano, Giuffrè, 1968, p. 49).
45 Ad esempio, negli Statuti di Emilia Romagna e Basilicata è previsto il diritto di voto per il referendum consultivo
agli stranieri residenti o ai minori di anni diciotto. In Toscana, ai sensi dell’art. 45 della l..r 23.11.2007, n. 62
(“Disciplina dei referendum regionali previsti dalla Costituzione e dallo Statuto”), possono votare al referendum
consultivo (comma 1, lett. c) “i cittadini stranieri e gli apolidi in possesso di entrambi i seguenti requisiti: 1)
residenza in un comune della Regione da almeno cinque anni antecedenti alla data della consultazione referendaria;
2) titolarità di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero) da ultimo modificato dal d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito dalla l. 31 luglio
2005, n. 155”. Sul tema v. T. GIOVANNETTI - E. MALFATTI - P. PASSAGLIA, L'attività della Regione, in
Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Toscana, in P. CARROZZA - R. ROMBOLI - E. ROSSI (a cura di),
Torino, Giappichelli, 2015, pp. 234 ss. Senza entrare nel merito dei referendum regionali, tuttavia invoca che nella
prospettiva di rivedere lo statuto siciliano esso si doti di “enunciati normativi nei quali largo spazio dovrà darsi ai
rapporti tra la Regione e quanti, cittadini e non, si trovino nel suo territorio, stabilmente residenti oppure di
passaggio” A.RUGGERI, Per un nuovo Statuto della Regione siciliana, in Consulta online, II/2017, p. 255. Connessa con
questa istanza è la proposta di ammettere a partecipare al referendum consultivo, oltre agli elettori regionali, “altri
soggetti, anche non cittadini, legalmente residenti da almeno due anni in un Comune della Regione”, contenuta
nell’art. 47, comma 4, della BOZZA DI NUOVO STATUTO DELLA REGIONE SICILIA predisposta dai
costituzionalisti delle Università siciliane e consegnata al Presidente dell'ARS, allegata alla relazione del Prof.
Ruggeri (p. 279).
46 Quando gli statuti affermano che il referendum può svolgersi su materie di interesse regionale e quindi non
necessariamente su proposte di legge o questioni di competenza consiliare, nulla può escludere, infatti, che la
consultazione possa essere funzionale alla decisione di organi ulteriori rispetto al Consiglio, come la Giunta
regionale o il Presidente della Regione. Si veda, ad esempio, l’art. 14 dello Statuto della Regione Campania, il quale
consente il referendum consuntivo “su tutte le iniziative e i provvedimenti di competenza della Regione”; l’art. 12
dello Statuto della Regione Calabria, il quale si riferisce a “questioni di interesse regionale”; l’art. 23 dello Statuto
della Regione Umbria, che si riferisce a “tematiche che interessano l’iniziativa politica e amministrativa della
Regione”; l’art. 52 dello Statuto della Regione Lombardia e l’art. 44 dello Statuto della Regione Marche. In vero,
non mancano Statuti che consentono il referendum consultivo esclusivamente quando siano in questione
competenze del Consiglio regionale, come nel caso dell’art. 64 dello Statuto della Regione Lazio, l’art. 9 dello
Statuto della Regione Liguria, l’art. 27 dello Statuto della Regione Veneto. Infine, si segnala lo Statuto della Regione
Friuli Venezia Giulia, che all’art. 21 fa esplicito riferimento alla possibilità di svolgere il referendum consuntivo su
materie di competenza della Giunta regionale.
47 V. le leggi citate, supra, a nt. 38.
48 E’ questo il caso degli statuti regionali della Lombardia, della Puglia, della Campania, del Molise, dell’Umbria,
della Liguria, del Piemonte e del Lazio. Ad esempio, lo Statuto della Regione Lombardia richiede addirittura, all’art.
52, il voto dei due terzi del consiglio Regionale per deliberare l’indizione del referendum consultivo (parimenti
accade per gli statuti delle Regioni Toscana e Marche). Lo Statuto della Regione Puglia, adottato nel 2003, all’art.
19 prevede che il referendum consultivo possa essere richiesto solo dal Consiglio regionale “a maggioranza assoluta
dei suoi componenti”. Così l’art. 13 dello Statuto della Regione Molise, per il quale si rinvia a M. A. GLIATTA, Il
referendum e gli altri istituti della democrazia partecipativa, in Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Molise, in M.
DELLA MORTE, G. MELONI (a cura di), Torino, Giappichelli, 2017, pp. 177 ss. Parimenti la maggioranza
assoluta è richiesta dall’art. 23 dello Statuto della Regione Umbria, dall’art. 9 dello Statuto della Regione Liguria,
49 Entrambe le iniziative referendarie sono previste dall’art. 76 dello Statuto della Regione Toscana e dall’art. 12,
comma 3 dello Statuto della Regione Calabria. Lo Statuto del Veneto, all’art. 27, parimenti prevede la richiesta del
Consiglio regionale o di “cittadini o enti locali, secondo quanto previsto dalla legge regionale”.
Una strada intermedia è scelta, invece, dallo Statuto della Regione Emilia Romagna, il cui art. 21 prevede che il
referendum consultivo sia “indetto” su richiesta di “a) ottantamila residenti nei Comuni della nostra Regione; b)
dieci Consigli comunali che rappresentino almeno un quinto degli abitanti della Regione; c) quattro Consigli
provinciali”. In attuazione della previsione statutaria, la l.r. Emilia Romagna 22 novembre 1999, n. 34, recante
“testo unico in materia di iniziativa popolare, referendum e istruttoria pubblica”, all’art. 34 dispone che
“l'Assemblea legislativa regionale delibera l'indizione di referendum consultivi - a norma dell'art. 21 dello Statuto -
per l'espressione di una valutazione della comunità regionale su materie o leggi di competenza regionale”. In ciò si
può cogliere una prima contraddizione con lo Statuto, che parla direttamente di “indizione”, ad indicare la fase
della procedura referendaria che spetta al Presidente della Regione, che dunque dovrebbe operarsi direttamente e
non, come invece previsto nella legge di attuazione, previa deliberazione del Consiglio regionale. Ma le
contraddizioni non si esauriscono qui: l’art. 35 della l.r. n. 34/99 prevede che la “richiesta di referendum consultivo
di cui all'articolo 34”, oltre che dai Consigli comunali e provinciali, possa “essere presentata almeno da: a)
ottantamila iscritti nell'anagrafe della popolazione residente dei Comuni della Regione, purché maggiorenni, ivi
compresi gli iscritti privi di cittadinanza italiana se regolarmente e continuativamente residenti da almeno due anni in
Comuni dell'Emilia-Romagna” (il corsivo non è nel testo in vigore). Si ritiene, infatti, contrastante con lo statuto -
e quindi da considerare illegittima - la previsione che restringere a quanti siano residenti da almeno due anni nei
Comuni dell’Emilia Romagna l’elettorato attivo per il referendum consultivo, visto che lo Statuto non pone, al
riguardo, alcuna limitazione temporale.
Simile è la scelta operata dallo Statuto della Regione Abruzzo nel 2007, dove si prevede una proposta “diffusa” ma
l’approvazione riservata al Consiglio regionale: l’art. 31, infatti, richiede la delibera del Consiglio regionale a
maggioranza assoluta dei suoi componenti; il successivo art. 32, invece, prevede che “la richiesta di referendum
consultivo per le proposte di cui all'articolo 31 può essere presentata dagli elettori della Regione in numero non
inferiore a cinquemila, calcolati sulla base del numero totale di essi accertato nell'ultima revisione delle liste elettorali
per l'elezione del Consiglio regionale in carica, da più Consigli comunali che rappresentano almeno un quinto degli
abitanti della Regione, secondo i dati dell’ultimo censimento ufficiale, da due Consigli provinciali, da ciascun
Consigliere regionale e dalla Giunta regionale”.
50 S. TROILO, Fra tradizione e innovazione, cit., p. 13, secondo il quale il referendum consultivo è stato disciplinato
dalle Regioni secondo due modelli nettamente distinti fra loro: l’uno caratterizzato dall’iniziativa popolare, secondo
una dinamica bottom-up; l’altro basato sull’iniziativa del Consiglio dell’ente (ma non dell’esecutivo, salvo che in
Trentino), secondo una dinamica top-down.
51 Si deve ritenere che ciò accada anche quando gli Statuti tacciono del tutto sugli effetti della consultazione
referendaria, come ad esempio accade per l’art. 21 dello Statuto della Regione Emilia Romagna, per l’art. 9 dello
Statuto della Regione Liguria, per l’art. 19 dello Statuto ella Regione Puglia, per l’art. 21 dello Statuto della Regione
Friuli Venezia Giulia, nonché in tutti i casi in cui lo Statuto si limiti ad operare un rinvio alla legge regionale, su cui
v., infra, nt. 58.
52 Ad esempio, lo Statuto della Regione Calabria prevede, in caso di esito positivo del referendum consultivo, un
vincolo di valutazione per il Consiglio regionale (art. 12, comma 3); lo Statuto toscano contempla un obbligo di
valutazione ed una esplicita motivazione in caso di scelta diversa del Consiglio regionale rispetto all’esito del
referendum (si veda anche l’art. 56 della l.r. 23.11.2007, n. 62). Analogamente lo Statuto della Regione Veneto,
all’art. 27, prevede che il Consiglio sia tenuto “ad esaminare l’argomento entro novanta giorni dalla proclamazione
dei risultati e a motivare le decisioni eventualmente adottate in difformità” (sia pure solo qualora vi abbia
partecipato la maggioranza degli aventi diritto). Lo Statuto della Regione Abruzzo rinvia alla legge, la quale (l.r. 19
dicembre 2007, n. 44., art. 35), a sua volta, prevede un effetto di sospensione dell’iter legislativo durante lo
svolgimento del referendum consultivo e l’obbligo di motivazione in caso di scelta del Consiglio regionale non
conforme all’esito referendario. L’art. 83 dello Statuto della Regione Piemonte, infine, prevede, al secondo comma,
che “entro sessanta giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum, se l'esito è stato favorevole, il Presidente
della Giunta regionale è tenuto a proporre al Consiglio un disegno di legge sull'oggetto del quesito sottoposto a
referendum; al terzo comma prevede che “entro lo stesso termine, se l'esito è stato negativo, il Presidente della
Giunta ha facoltà di proporre egualmente al Consiglio un disegno di legge sull'oggetto del quesito sottoposto a
referendum”.
53 Il comma 2 dell’art. 13 dello Statuto della Regione Molise testualmente recita “il Consiglio regionale delibera
sulla questione oggetto del referendum tenendo conto delle indicazioni scaturite dalla consultazione”, potendosi in esso
scorgere la disciplina di un referendum di indirizzo ad efficacia vincolante. La previsione secondo cui il Consiglio
regionale delibera sulla questione oggetto del referendum “tenendo conto delle indicazioni scaturite dalla
consultazione”, infatti, da una parte sembra alludere ad un vincolo non puntuale dove utilizza l’espressione
“indicazioni”, che è affine ad “indirizzi”; dall’altra, nella sua perentorietà, non sembra lasciare margini alla
discrezionalità del Consiglio regionale quanto all’an dell’attuazione dell’indirizzo, ponendosi quindi al di fuori della
funzione meramente consultiva, ad onta della rubrica dell’art. 13, che reca appunto la dicitura “Referendum
consultivo”. La vincolatività della previsione, peraltro, appare attenuata dalla circostanza che il vincolo sia da
assumere come una sorta di “auto-vincolo”, in quanto, ai sensi del primo comma dell’art. 13 dello Statuto molisano,
è lo stesso Consiglio regionale, a maggioranza assoluta, a decidere l’indizione del referendum. Quindi si ritiene che
in questo caso sia lo stesso Consiglio regionale ad “autolimitarsi” e a dettare i termini del quesito da sottoporre al
popolo, impegnandosi quindi successivamente a “tener conto” dell’esito della consultazione.
54 E’ questo il caso, ad esempio, per la Regione Toscana della l.r. 23.11.2007, n. 62 (recante “Disciplina dei
referendum regionali previsti dalla Costituzione e dallo Statuto”), il cui art. 46, rubricato “Limiti di ammissibilità”
prevede che “non sono sottoposti a referendum consultivo: a) quesiti relativi agli oggetti e alle materie di cui
all’articolo 20, comma 1; b) quesiti in materia di nomine e designazioni”. Seguono, poi, ulteriori disposizioni per
evitare il contestuale svolgimento di referendum abrogativi e consultivi. Ma si veda, analogamente, anche il comma
3 dell’art. 27 dello statuto della Regione Veneto.
55 Il referendum consultivo deve riguardare esclusivamente materie di competenza della Regione: infatti, a giudizio
della Consulta, esso «non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento», non solo nei confronti
del Consiglio regionale, ma anche nelle «fasi del procedimento di formazione della legge statale», condizionando le
scelte discrezionali di competenza esclusiva degli organi centrali o svolgendo un indebito «ruolo di propulsore della
innovazione costituzionale» (ove abbia ad oggetto un’iniziativa di revisione costituzionale). Cfr. Corte cost., 24
novembre 1992, n. 470, in Giur.cost., 1992, pp. 4252 ss., con commento di N. ZANON, I referendum costituzionali
regionali, la nozione di procedimento e le esigenze del diritto costituzionale materiale, ivi, pp. 4267 ss. Conf. Corte cost., 14
novembre 2000, n. 496, in Giur.cost., 2000, pp. 3798 ss., con commenti di F. CUOCOLO, Leggi di revisione
costituzionale e referendum consultivo regionale, ivi, pp. 3810 ss; S. BARTOLE, Riforme federali e consultazioni referendarie
regionali: un abbinamento discutibile, ivi, pp. 3818 ss.; di N. ZANON, Il corpo elettorale in sede referendaria non è il propulsore
dell’innovazione costituzionale, ivi, pp. 3823 ss.; di G. PAGANETTO, Uso discorsivo del referendum consultivo e dell’autonomia
regionale, ivi, pp. 3828 ss.; nonché di A. RUGGERI, Ancora in tema di referendum regionali consultivi e di teoria delle fonti,
in Le Regioni, 1/2001, pp. 224 ss. Da ultimo ripropone la questione Corte cost., 25 giugno 2015, n. 118, in Giur.cost.,
2015, pp. 919 ss., con commento di S. BARTOLE, Pretese venete di secessione e storica questione catalana, convergenze e
divergenze fra Corte costituzionale italiana e Tribunale costituzionale spagnolo, anche con ripensamenti della giurisprudenza della
prima, ivi, pp. 939 ss. Quest’ultima pronuncia è stata emessa dalla Consulta in seguito dell'impugnazione statale delle
leggi regionali venete n. 15 e n. 16 del 2014. La Corte ha sancito l'illegittimità costituzionale del referendum
consultivo indetto sull'indipendenza del Veneto dall'Italia, nonché di ulteriori quattro quesiti sull'autonomia
regionale. Sul punto v. anche R. ROMBOLI, In tema di referendum consultivi, Nota a ord. Corte cost. 28 aprile 2015, n.
s.n.; Corte cost. 25 giugno 2015, n. 118, in Il Foro italiano, 10/2015, pp. 3033 ss.; nonché G. FERRAIUOLO, La Corte
costituzionale in tema di referendum consultivi regionali e processo politico: una esile linea argomentativa per un esito (in parte)
prevedibile, in federalismi.it, 20/2015.
56 Si veda, ad esempio, l’art. 21, comma 2, dello Statuto della Regione Emilia Romagna. Sul tema si rinvia a S.
Aloisio, R. Pinardi, Il ruolo degli organi di garanzia statutaria alla luce di una visione complessiva delle competenze loro assegnate:
tra aspettative e pessimismi eccessivi?, in Consulta online, 2010.
57 Ad esempio, solo per il referendum consultivo è previsto nella Regione Lombardia il voto elettronico: la l.r.
Lombardia 23 febbraio 2015, n. 3 ha, infatti, previsto che, per i soli referendum consultivi, la votazione possa
avvenire mediante sistemi elettronici e procedure informatiche, che siano chiari e comprensibili agli elettori e
garantiscano il pieno rispetto della personalità, dell’uguaglianza, della libertà e della segretezza del voto. Peraltro,
in ogni Comune devono essere sorteggiate alcune sezioni elettorali nelle quali al voto elettronico si deve affiancare
la stampa dello stesso. Sul tema v., in generale, P. Gay, E-voting, in A.CELOTTO - G.PISTORIO, Le nuove “sfide”
della democrazia diretta, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, cit., pp. 119 ss.
58 E’ questo il caso della Regione Abruzzo, il cui statuto, all’art. 78, dopo aver richiamato nel primo comma le
consultazioni relativi ai mutamenti delle circoscrizioni territoriali, nel secondo comma si limita a dire: “E’ ammesso
referendum consultivo per materie che interessano particolari categorie e settori della popolazione regionale” (così
aprendo la strada esclusivamente a referendum “parziali”, che cioè non investono l’intera popolazione regionale),
e poi soggiunge in modo lapidario quanto conclusivo: “la legge stabilisce i casi e i modi di svolgimento del
referendum consultivo”. Ma altrettanto scarne sono le indicazioni che si ricavano dall’art. 52 dello statuto della
Regione Lombardia, dall’art. 44 dello statuto della Regione Marche e dall’art. 23 dello statuto della Regione Umbria,
dove pure si fa esplicito riferimento a particolari “ambiti territoriali”. Considera con una disposizione a parte la
“consultazione di particolari categorie o settori della popolazione”, rubricando l’articolo “consultazione popolare”,
lo statuto della Regione Piemonte all’art. 86.
59 Sull’efficacia dei referendum consultivi, merita di essere ricordata una pronuncia, sia pur risalente della Consulta,
secondo la quale i referendum consultivi, “anche se sul piano giuridico formale non sono vincolanti e non
concorrono a formare la volontà degli organi, restano, però, espressione di una partecipazione politica popolare
che trova fondamento negli artt. 2 e 3 della Costituzione: manifestazione che ha una spiccata valenza politica ed
ha rilievo sul piano della consonanza tra la comunità e l’organo pubblico nonché della connessa responsabilità
politica, quale espressione di orientamenti e valutazioni in ordine ad atti che l’organo predetto intende compiere”.
Cfr. Corte cost., 18 maggio 1989, n. 256, in Giur.cost., 1989, pp. 1194 ss., con commento di V. LIPPOLIS, Regioni,
teatry power e giurisprudenza della Corte costituzionale, ivi, pp. 1206 ss. e di P. BARRERA, Referendum consultivo e limiti
dell’«interesse regionale», ivi, pp. 1223 ss.
60 Il corsivo non è nel testo vigente.
61
Conferma questa impostazione la nuova proposta di Statuto regionale della Sicilia, di recente predisposta dai
costituzionalisti delle Università siciliane e consegnata al Presidente dell'ARS, il cui art. 47, al comma 4, recita: “Il
referendum consultivo è proposto su richiesta dei Deputati regionali o della Giunta ed è indetto, a seguito di deliberazione
dell’Assemblea, al fine di conoscere l’opinione della popolazione regionale, o di frazioni di essa qualificate per un
rilevante interesse locale, circa i principi o gli indirizzi relativi ad attività o progetti di legge di competenza regionale,
incluse le iniziative regionali di leggi statali, anche costituzionali e di modifica statutaria. Al referendum consultivo sono
ammessi a partecipare, oltre agli elettori regionali, altri soggetti, anche non cittadini, legalmente residenti da almeno due
anni in un Comune della Regione”. Cfr. BOZZA DI NUOVO STATUTO DELLA REGIONE SICILIA, allegato ad A.
RUGGERI, Per un nuovo Statuto della Regione siciliana, cit., p. 279.
62 Si veda, ad esempio, l’art. 16 della l.p. Trento 5 marzo 2003, n. 3, recante “Disposizioni in materia di referendum
propositivo, referendum consultivo, referendum abrogativo e iniziativa popolare delle leggi provinciali”, che si
riferisce tanto alla Giunta quanto al Consiglio provinciale.
63 Distingue in tal senso un referendum propositivo “in senso debole” da uno “in senso forte” C. PETRILLO, Il
referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni, cit., p. 262. Analoga distinzione, con riferimento
al vincolo che ne scaturisce, si trova in M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare, cit., pp. 471 ss.
64 Anche la “Legge statutaria della Regione autonoma della Sardegna” 10 luglio 2008, n. 1, annullata dalla Consulta,
come si è visto, supra, a nt. 38, prevedeva un istituto sostanzialmente analogo all’art. 4. Rimane quindi in vigore in
quella Regione la l.r. 17 maggio 1957, n. 20, recante “Norme in materia di referendum popolare regionale”, come
modificata dalla legge regionale 15 luglio 1986, n. 48, che prevede all’art. 1 due particolari forme di referendum,
rispettivamente alle lettere e) ed f) (“e) esprimere parere prima della loro approvazione su progetti di legge ovvero
di regolamenti o atti e provvedimenti amministrativi di competenza del Consiglio o della Giunta regionale”; f)
“esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale”), la cui natura consultiva è resa
evidente dall’utilizzo in entrambe le ipotesi dell’espressione “parere”.
65 M. OLIVETTI, I referendum e gli altri istituti di democrazia partecipativa, cit., pp. 719 ss.
66 Evidentemente, la maggiore incidenza del referendum propositivo rispetto a quello consultivo ha consigliato di
non ampliare la partecipazione popolare al di là di quella costituente il corpo elettorale delle assemblee legislative.
67 Il rapporto con l’iniziativa legislativa non si coglie solo nella rubrica del Capo V, in cui è inserita anche la
disciplina del referendum propositivo e che, non a caso, è rubricato “iniziativa legislativa popolare e referendum
propositivo”, ma anche nell’impostazione stessa degli articoli 22, che disciplina la “modalità di presentazione delle
proposte di legge d'iniziativa popolare”, e 23, che disciplina il “referendum propositivo”. L’art. 23, infatti,
testualmente recita: “1. Gli elettori titolari dell’iniziativa legislativa possono, con le modalità e i limiti previsti nel
capo II, presentare al Consiglio regionale una proposta di legge da sottoporre a referendum popolare ai sensi del
presente articolo. 2. Decorso un anno dalla data della deliberazione che accerta la regolarità della richiesta degli
elettori, qualora il Consiglio regionale non abbia deliberato sulla proposta di legge, il Presidente della Regione, con
decreto, indice referendum popolare sulla proposta di legge medesima. 3. L'esito del referendum è favorevole se
ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi. 4. Entro sessanta giorni dalla proclamazione dei risultati del referendum propositivo, se l'esito è
favorevole, il Consiglio regionale è tenuto a esaminare la proposta di legge sottoposta a referendum”.
68 Proprio la discrezionalità piena che permane in testa al Consiglio Regionale ha spinto parte della dottrina a
ritenere questa forma di referendum non sostanzialmente dissimile da quello consultivo: G. D’ALESSANDRO,
La partecipazione popolare, in M. RUOTOLO - G. SERGES (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione
Lazio, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 285 ss.; F. BIONDI DAL MONTE, Il referendum negli statuti regionali tra
innovazione e continuità, in E. ROSSI (a cura di), Le fonti del diritto nei nuovi statuti regionali, Padova, Cedam, 2007, p.
331.
69 Dubita della legittimità costituzionale di questa tipologia di referendum regionali, in particolare con riferimento
al caso previsto dallo Statuto della Regione Campania, V. DE SANTIS, Il referendum approvativo nel nuovo Statuto della
Regione Campania, in www.federalismi.it, n. 10/2009, sia pure rinviando la questione all’attuazione legislativa
dell’istituto, tuttora carente. Parimenti considerano questa tipologia come incostituzionale con riferimento al caso
della Valle D’Aosta G. GUZZETTA - F. S. MARINI, Parere in merito ai profili di legittimità della disciplina e del
procedimento per il referendum propositivo su proposte di legge di iniziativa popolare nella Regione Valle D’Aosta ed alle particolari
attribuzioni e responsabilità del Presidente della Regione, in federalismi.it, n. 14/2007.
70 L’attuazione dell’identica previsione statutaria (dettata, com’è noto, dalla l. cost. n. 2/2001) ha dato origine ad
adeguamenti tecnici, redazionali e linguistici”; altrimenti si procede alla celebrazione del referendum e, in caso di
esito favorevole, alla promulgazione della legge da parte del Presidente della Provincia. La successiva legge
provinciale 7 settembre 2009, n. 4 ha previsto anche la possibilità di un voto referendario su proposte di legge
“concorrenti”. Analizza in modo più ampio e dettagliato questa procedura C. PETRILLO, op.cit., pp. 266 s.
Infine, quanto alla Valle d’Aosta, la l.r. 25 giugno 2003, n. 19, recante “disciplina dell'iniziativa legislativa popolare,
del referendum propositivo, abrogativo e consultivo, ai sensi dell'articolo 15, secondo comma, dello Statuto
speciale”, come modificata, da ultimo, dalla legge regionale 20 marzo 2017, n. 3, all’art. 12 prevede che almeno il 5
per cento degli elettori dei Comuni della regione può presentare al Consiglio della Valle una proposta di legge di
iniziativa popolare, indicando “sui fogli destinati alla raccolta delle firme (…) che tale proposta di legge potrà essere
sottoposta a referendum propositivo”. Il successivo art. 13 stabilisce che, decorsi “sessanta giorni dalla
assegnazione alle Commissioni consiliari della proposta di legge senza che le stesse si siano pronunciate, la proposta
di legge è iscritta all'ordine del giorno della prima seduta del Consiglio, il quale deve deliberare nel merito entro i
successivi sessanta giorni. Qualora il Consiglio della Valle non approvi la proposta di legge di iniziativa popolare o
una legge che, su conforme parere della Commissione di cui all'articolo 40, recepisca i principi ispiratori ed i
contenuti essenziali della proposta di legge di iniziativa popolare, il Presidente della Regione, con decreto da
pubblicare sul Bollettino ufficiale della Regione, indice, entro i successivi trenta giorni, referendum propositivo
sulla proposta di legge. L’art. 14, infine, stabilisce che “la proposta di legge di iniziativa popolare sottoposta a
referendum propositivo è approvata se alla votazione partecipa almeno il 50 per cento del numero di votanti alle
ultime elezioni regionali precedenti al referendum e se la risposta affermativa raggiunge la maggioranza dei voti
validamente espressi, con la conseguenza che il Presidente della Regione provvede alla promulgazione della legge
e alla sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione”. Su questo istituto si rinvia a R. LOUVIN, Riforme
elettorali in Valle d’Aosta: il referendum propositivo apre la via verso nuovi scenari, in www.federalismi.it, 14/2007.
71 Gli statuti di Campania e Basilicata ripropongono sostanzialmente la stessa procedura già esaminata per la
Regione Valle d’Aosta. Lo statuto campano, all’art. 15, dispone che cinquantamila elettori possono presentare al
Consiglio o alla Giunta una proposta di legge o di regolamento. Qualora nel termine di sei mesi la proposta non
sia approvata, o sia approvata ma con modifiche sostanziali, essa è sottoposta al voto popolare ed è approvata se
alla votazione referendaria partecipa la maggioranza degli aventi diritto e sia raggiunta la maggioranza dei voti
validamente espressi. Il caso campano si segnala per l’ampiezza dei limiti al referendum approvativo, che non è
ammesso “per le leggi di bilancio, tributarie, finanziarie, di governo del territorio, di tutela ambientale e sullo stato
giuridico dei consiglieri regionali, per le leggi relative ai rapporti internazionali e con l’Unione Europea nonché
sullo Statuto e sulle leggi di revisione statutaria”. Sull’istituto si rinvia a V. DE SANTIS, Il referendum approvativo nel
nuovo statuto della Regione Campania, cit.
Lo statuto della Regione Basilicata, all’art. 20, rinvia per quanto riguarda la richiesta, la partecipazione, i limiti, la
validità, il procedimento e gli effetti del referendum approvativo (che ha ad oggetto solo proposte di legge
regionale), alle disposizioni previste per il referendum abrogativo. Prevede altresì un periodo di novanta giorni
perché il Consiglio regionale adotti la legge o ne recepisca i principi e i contenuti essenziali.
72 Sulla concreta esperienza attuativa dei referendum di tipo approvativo si rinvia per i casi della Valle d’Aosta e
della Provincia di Bolzano a C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di alcune regioni,
cit., pp. 267 ss. Va segnalato, invece, che né la Campania né la Basilicata hanno adottato leggi per dare attuazione
alle previsioni statutarie sul referendum approvativo.
73 Diff. gli autori richiamati, supra, alla nt. 68.
74 In tal senso v., rispettivamente, l’art. 2 dello Statuto della Regione Valle d’Aosta, l’art. 3 dello Statuto della
Regione Sardegna, l’art. 4 dello Statuto della Regione Trentino Alto Adige, l’art. 5 dello Statuto della Regione Friuli
Venezia Giulia.
75 G.U. RESCIGNO, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, cit., p. 818.
76 Il corsivo non è nel testo vigente.
77 E quindi alla Giunta ed al suo Presidente, ai sensi dell’art. 2 dello Statuto della Regione Sicilia.
78 Per la verità, come si è visto, la problematica evidenziata è solo potenziale, nella misura in cui, allo stato, nella
regione Sicilia risultano disciplinati i soli referendum abrogativo e consultivo. Tuttavia la questione potrebbe
diventare attuale, qualora il Consiglio Regionale, e sulla scorta di questo il Parlamento nazionale, dovessero adottare
il nuovo Statuto della Regione Sicilia proposto in un recente incontro dei costituzionalisti delle Università siciliane,
il cui art. 47, comma 3, espressamente prevede che “il referendum propositivo concerne una proposta di legge
d’iniziativa popolare o comunale che non sia stata approvata dall’Assemblea ovvero sia stata approvata con
sostanziali modifiche. È indetto su richiesta di almeno ventimila elettori iscritti nelle liste elettorali dei Comuni
siciliani o di un numero di Comuni rappresentativo di almeno un quinto degli abitanti della Regione, secondo
l’ultimo censimento ufficiale. Qualora il risultato del referendum propositivo sia favorevole, la proposta di legge si
considera approvata nel testo presentato dai proponenti; se sfavorevole, resta confermato il testo approvato
dall’Assemblea”. Cfr. BOZZA DI NUOVO STATUTO DELLA REGIONE SICILIA predisposta dai
costituzionalisti delle Università siciliane e consegnata al Presidente dell'ARS, allegata ad A. RUGGERI, Per un
nuovo Statuto, cit., p. 279.
79 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 16, il quale ricorda come all’interno della Seconda
regioni, cit., pp. 272 ss. Si segnalano, in particolare, le proposte elaborate in seno alla Commissione per la riforma
della Costituzione istituita dal Governo Letta, in Per una democrazia migliore, a cura della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Roma, s.d., pp. 73 ss.
81 G. GEMMA, Il referendum e la Commissione Bozzi, in Quad.cost., 2/1985, pp. 393 ss. La Commissione Bozzi, nella
relazione finale, si limitava a prevedere “la possibilità del referendum consultivo per questioni di alta rilevanza
politica, su richiesta del Governo o di un terzo dei parlamentari, approvata dal Parlamento in seduta comune”.
82 E. PAPARELLA, Referendum abrogativo e referendum deliberativo (art. 97), in V. ATRIPALDI - R. BIFULCO (a
cura di), La Commissione parlamentare per le riforme costituzionali della XIII legislatura. Cronaca dei lavori e analisi dei risultati,
Torino, Giappichelli, 1998, pp. 498 ss.
83 P. OLIMPIERI, Il referendum deliberativo, in G. AZZARITI (a cura di), Quale riforma della Costituzione?, Torino,
Giappichelli, 1999, pp. 29 ss.; M. DELLA MORTE, Rappresentanza vs. partecipazione? L’equilibrio costituzionale e la sua
crisi, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 145 ss.
84 V., supra, § 1.
85 V., supra, § 2.
86 Possono farsi rientrare nello schema descritto, sia pure evidentemente con diverse varianti, gran parte (oltre
venti) delle proposte di revisione costituzionale ricostruite da C. Petrillo, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e
nell’esperienza di alcune regioni, cit., pp. 272 ss.
87 D.d.l. Renzi–Boschi (n. 1429 AS; n. 2613 AC), approvata dalle Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il
90 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 27, a giudizio del quale “la legge di revisione costituzionale Renzi-
Boschi in materia di istituti di democrazia diretta o non interviene o propone innovazioni che rinviano a norme
future creando confusione e incertezza o introduce modifiche peggiorative alla disciplina vigente”. Ma v. anche G.
FERRI, Le prospettive di riforma del referendum (alla luce del procedimento di revisione costituzionale in corso), in AA.VV., Scritti
in ricordo di Paolo Cavaleri, Napoli, E.S.I., 2016, pp. 328 s.; E. DE MARCO, Il referendum propositivo nellʼattuale progetto
di riforma della Costituzione, cit., 783; A. PACE, Referendum 2016 sulla Riforma costituzionale, Milano, Giuffrè, 2016, p.
25; A. PERTICI, La Costituzione spezzata, Torino, Lindau, 2016, p. 126. Solo voci isolate esprimono giudizi positivi:
di previsione “densa di aspettative” parla G. PISTORIO, Referendum e partecipazione popolare, in www.treccani.it.
91 A. VALASTRO, Gli istituti di partecipazione, cit, p. 51, il quale richiama le opinioni di C. CHIOLA, Il referendum
come atto legislativo: conflitto tra richieste e limiti, in Pol.dir., 1987, pp. 335 ss; Id., Intervento, in S.P. PANUNZIO (a cura
di), I costituzionalisti e le riforme, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 265 ss.; G. AZZARITI, Intervento, ivi, p. 281. Valastro è
perplesso perché l’istituto finirebbe “per produrre un semplice accostamento di potere rappresentativo e potere
diretto «in assenza di ogni accordo fra i detentori dei poteri concorrenti», nella totale elusione del problema del
rapporto fra rappresentanza politica ed espressioni della sovranità”.
92 M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 29, il quale reputa problematico esprimere un giudizio di merito
sulla previsione della riforma Renzi, che nel rinviare a successive leggi la disciplina dell’istituto lo lascia nella più
totale incertezza: “La configurazione sostanziale dei «nuovi» istituti è avvolta dalla nebbia più totale. Intanto, il
referendum propositivo senza ulteriori specificazioni è un istituto sul quale in dottrina sono state espresse le
opinioni più diverse. In sintesi, esso può essere ritenuto equiparabile all’iniziativa popolare, al referendum di
indirizzo, al referendum consultivo”. Inquadra, invece, decisamente il referendum propositivo disciplinato nella
riforma Renzi secondo il modello deliberativo-approvativo S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta, cit., p.
493.
93
Questa critica è peraltro consolidata e risalente nel dibattito giuspubblicistico, se si considera che già Max Weber
nel 1918 (Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland, ora in ID., Gesammelte Schriften, II ed.,
Tübingen 1958, 370 ss.) evidenziava la “elementarità espressiva della democrazia diretta”, la quale, potendo contare
su due sole parole – Ja oder Nein -, non può efficacemente concorrere all’assunzione di decisioni complesse. Cfr.
Max Weber, citato da A. D’Atena, Tensioni e sfide della democrazia, in Rivista AIC, 1/2018, 13. E’ dello stesso avviso
anche H. KELSEN, (Il primato del Parlamento, Milano, Giuffrè, 1982), citato da F. GALLO, Democrazia 2.0. La
Costituzione, i cittadini e la partecipazione, Lectio magistralis svolta a chiusura del Festival Lector in fabula organizzato
dalla Fondazione Giuseppe Di Vagno, Conversano, domenica 15 settembre 2013,
www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_ seminari/20130915_ Gallo.pdf , p. 5 per il quale mediazione
“significa ascoltare, nella formazione delle leggi, le ragioni degli altri e, perciò, approfondire e rimeditare le proprie”,
con la conseguenza che “introdurre il mandato vincolante significherebbe perdere il luogo della sintesi e, dunque,
sopprimere di fatto quel presidio della democrazia moderna, in qualunque forma declinata, che è il Parlamento”.
94 Ritengono che “una legge approvata direttamente dal popolo non può essere successivamente rottamata dal
Parlamento” J. VERHULST - A. NIJEBOER, Democrazia diretta: fatti e argomenti sull'introduzione dell'iniziativa e dei
referendum, Traduzione di E. Piccoli, Brussels, Democracy International, 2010, http://www.arjennijeboer.nl/wp-
content/uploads/dd-italiaans.pdf, p. 18.
95 Esprime questi dubbi circa l’estensione del referendum propositivo in Costituzione M. GORLANI, Il referendum
propositivo e l’iniziativa popolare, cit., pp. 490 ss. In particolare denuncia il rischio di iniziative demagogiche sostenute
da gruppi di interesse dotati di risorse per una campagna elettorale che possa orientare il consenso (p. 491). In tal
senso già G. AMBROSINI, Referendum, cit., p. 122, a giudizio del quale l’attività propositiva si presta a spinte di
tipo corporativo, e, da ultimo S. RODRIQUEZ, I limiti della democrazia diretta, cit., p. 497.
96 Peraltro, anche nei Paesi in cui l’istituto è da tempo previsto, esso opera a livello sub-statale, come negli USA, in
Germania ed in Svizzera, dove addirittura nel 2000 la proposta di prevedere l’istituto a livello di Confederazione è
stata respinta dal corpo elettorale. Cfr. C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza di
alcune regioni, cit., p. 281, nt. 107.
Individua una ulteriore serie di obiezioni J. VERHULST - A. NIJEBOER, Democrazia diretta, cit., pp. 71 ss. Fra esse
si segnalano le seguenti: “a) L’incompetenza: in una società moderna i problemi sono troppo complessi per lasciare
prendere decisioni ben ponderate all’uomo della strada; b) La mancanza di senso di responsabilità: la gente non
considera nient'altro che il proprio interesse. Ad esempio, si abolirebbero le tasse senza considerare le conseguenze
di un tale provvedimento, oppure si chiederebbero più spese al governo che faranno deragliare il bilancio. Agli
uomini politici si può sempre domandare il rendiconto delle loro decisioni, ma nessuno è responsabile della
decisione referendaria; c) Minacce alle minoranze: la democrazia diretta potrebbe essere un mezzo per approvare
decisioni che violino i diritti umani e le libertà fondamentali. In questo modo le minoranze sarebbero
particolarmente minacciate; d) nella democrazia diretta i demagoghi hanno la libertà di lanciare proposte
rozzamente populiste (…); i) Manipolazione del modo in cui viene posto il quesito: il quesito può essere formulato
in modo suggestivo, cosicché gli elettori vengono dirottati su un voto contrario alle proprie reali convinzioni”. M.
GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare, cit., pp. 488 s. individua come ulteriori criticità la circostanza
che, votando prevalentemente le classi sociali più ricche e culturalmente evolute, il voto non rappresenti realmente
la volontà popolare; che la volontà della maggioranza può avere un effetto discriminatorio nei confronti delle
minoranze, a differenza di quanto avviene con la democrazia rappresentativa, nella quale si realizza più facilmente
una mediazione di interessi; l’influenzabilità dell’elettorato.
97 Sul punto v., da ultimo, R. NANIA, Principi supremi e revisione costituzionale (annotazioni sulla progressione di una
controversia scientifica), Relazione al Convegno “Costantino Mortati. Potere costituente e limiti alla revisione costituzionale”,
Roma, 14 dicembre 2015, in Nomos, 1/2016, pp. 7 ss.
Non sembra casuale che nell’ordinamento nordamericano, parimenti dotato di una Costituzione rigida, il nodo
dell’incostituzionalità dei referendum a contenuto positivo sia stato sciolto in senso negativo. Cfr. M. GORLANI,
Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare: l’esempio nordamericano, cit., p. 488, il quale ricorda come nel 1912 fu
sostenuta l’incostituzionalità degli strumenti di democrazia diretta alla luce della “Republican Form of Government
Clause” di cui all’art. 4, comma 4, della Costituzione federale, innanzi alla Corte Suprema americana, la quale,
tuttavia, ritenne che la questione fosse eminentemente politica e, come tale, non giustiziabile (Caso Pacific States Tel.
& Tel. Co. Vs. Oregon).
98 G. REBUFFA, Le radici della Costituzione inglese, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2/2006, pp. 327 ss.,
secondo il quale l’espressione “Costituzione inglese” sarebbe riferita proprio ad un peculiare equilibrio tra i poteri
oltre che ad un insieme di tradizioni. Sul tema v., anche, P. LEYLAND, Constitutional conventions and the preservation
of the spirit of the British Constitution, Relazione al XXIX Convegno annuale dell'Associazione Italiana Costituzionalisti su “Prassi,
convenzioni e consuetudini nel diritto costituzionale”, Catanzaro, 17 e 18 ottobre 2014, in Rivista AIC, 4/2014, passim.
99 Supreme Court of the United Kingdom, Miller et al. c. The Secretary of State for Exiting the European Union (Appellant)
100 N. DEGLI INNOCENTI, Brexit, la Corte Suprema dà torto a May: voti il Parlamento, in Il Sole 24 ore del 24 gennaio
2017, la quale riporta le parole pronunciate dal giudice David Neuberger, presidente della Corte Suprema: “il
Governo non può invocare l'articolo 50 senza l’approvazione del Parlamento” perché altrimenti sarebbe “una
violazione della Costituzione” rispettata da secoli.
101 Significativo è, in particolare, il § 83 della decisione citata: “The fact that withdrawal from the EU would remove some
existing domestic rights of UK residents also renders it impermissible for the Government to withdraw from the EU Treaties without
prior Parliamentary authority”. Annotano la pronuncia M.P. CHITI, La "Supreme Court" e la "Brexit": molto rumore per
nulla?, Nota a Corte Suprema, Miller et al. c. Segretario di Stato per l'uscita dall'Unione Europea 24 gennaio 2017 (Regno Unito
di Gran Bretagna e Irlanda del Nord), in Gior.dir.amm., 3/2017, pp. 349 ss.; S. GIANELLO, Il caso "Miller" davanti alla
UK Supreme Court: i principi del costituzionalismo britannico alla prova della "Brexit" (The "Miller" case before the UK Supreme
Court: the principles of British constitutionalism to the test of "Brexit"]), in Osservatorio costituzionale, 1/2017, pp. 28 ss.; C.
GRAZIANI, La difesa giurisdizionale della prerogativa parlamentare nel quadro del diritto costituzionale britannico (a proposito
della Brexit), in Rass.Parl., 1/2017, pp. 161 ss.; C. NAPOLITANO, Recesso dall'Unione, Nota a Corte Suprema - Miller et
al. c. The Secretary of State 24 gennaio 2017 (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord), in Riv.it.dir.pubbl.com., 1/2017,
pp. 243 ss.; F. VIOLINI, L'avvio di "Brexit" nella contesa tra "parliamentary sovereignty" e "royal prerogative powers" ([The
start of "Brexit" in the contention between "parliamentary sovereignty" and "royal prerogative powers"]), Nota a Supreme Court
of the United Kingdom, (on the application of Miller and another) (Respondents) c. Secretary of State for Exiting
the European Union (Appellant) 24 gennaio 2017 (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord),
in Osservatorio costituzionale,1/2017; A.W. BRADLEY, Pressures on a historical constitution: The Brexit decision in the UK
Supreme Court (Pressioni su una costituzione storica: la decisione "Brexit" della Corte Suprema del Regno Unito),
in Dir.pubbl., 1/2017, pp. 3 ss. Si veda, infine, C. MARTINELLI, Il referendum Brexit e le sue ricadute costituzionali,
Bologna, Maggioli, 2017.
102 Lo considera, al pari del referendum propositivo, strutturalmente “inadeguato a consentire forme di confronto
dialogico” A. VALASTRO, Gli istituti di partecipazione fra retorica delle riforme e umiltà dell’attuazione, cit., p. 52, per il
quale “neanche le figure del referendum di indirizzo e del referendum consultivo sembrano poter assolvere a questo
compito: nonostante le promesse evidentemente affidate allʼuso di termini (indirizzo e consultazione) che
sembrano presupporre una maggiore apertura al confronto, la strutturale destinazione dellʼistituto referendario alla
sola possibilità di esprimere favore o contrarietà esclude in radice la produzione di quel valore aggiunto che nasce
dal confronto argomentato, suscettibile di portare a modificare le reciproche posizioni e la proposta originaria”.
103 E. ROSSI, Una Costituzione migliore?, Contenuti e limiti della riforma costituzionale, Pisa University Press, 2016, p. 158
ricorda che “la differenza tra referendum propositivo e di indirizzo dovrebbe intendersi nel senso che il primo ha
riguardo ad una proposta di legge da sottoporre al corpo elettorale per la sua approvazione; quello di indirizzo
dovrebbe invece essere finalizzato all’espressione di un orientamento del corpo elettorale da rivolgere al
Parlamento, affinché questi ne tenga conto per elaborare ed approvare una propria proposta. Ovviamente ciò è
del tutto ipotetico perché non è facile individuare dal nome la cosa”. Sulla difficoltà anche con riferimento al
referendum di indirizzo di desumere i possibili contenuti dell’istituto dalla legge di riforma costituzionale Renzi –
Boschi v. M. VOLPI, Referendum e iniziativa popolare, cit., p. 30, secondo cui “interrogativi altrettanto seri pone
l’individuazione del referendum di indirizzo. Si può ipotizzare che, per differenziarsi da quello propositivo, non
dovrebbe avere ad oggetto una proposta di legge, ma un orientamento rivolto agli organi competenti. Ma anche
qui l’iniziativa apparterrebbe al popolo o a un organo dello Stato? Il referendum sarebbe decisionale, vincolando
l’organo competente a dare attuazione all’orientamento approvato dal corpo elettorale, o meramente consultivo?
Infine nella prima ipotesi chi e con quali modalità sarebbe chiamato a verificare l’attuazione dell’indirizzo voluto
dal popolo?”.
104 Supra, al § 2.
105 L’art. 13 dello statuto regionale per il Molise (l.r. 18 aprile 2014, n. 10) testualmente recita: “1. Il Consiglio
regionale può deliberare, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, l'indizione di referendum consultivi
della popolazione dell'intero territorio regionale o di parte di esso, su questioni di particolare interesse. 2. Il
Consiglio regionale delibera sulla questione oggetto del referendum tenendo conto delle indicazioni scaturite dalla
consultazione”. Sul punto si rinvia alle considerazioni già svolte, supra, alla nt. 53.
106 Supra, al § 1.
107 Infatti, in questo caso si chiedeva al corpo elettorale italiano di dettare un indirizzo che avrebbe dovuto portare
a compimento l’intero Parlamento europeo, in ciò solo cogliendosi tutta la stravaganza e l’inutilità dell’iniziativa.
Sul tema si rinvia alle considerazioni critiche di B. CARAVITA DI TORITTO, Il referendum sui poteri del Parlamento
europeo: riflessioni critiche, in Pol.dir., 1989, pp. 322 ss.
108 Fra le proposte presentate in seno alla Commissione Bozzi, il PCI chiedeva di modificare l’art. 71 Cost.
introducendo la possibilità di sottoporre a referendum progetti di legge di iniziativa popolare, che il Parlamento
non avesse approvato entro 18 mesi oppure che lo stesso Parlamento avesse approvato “con modifiche che ne
tocchino i principi fondamentali”. In questo caso, ottocentomila elettori avrebbero potuto chiedere al Parlamento
di deliberare un referendum sui “principi fondamentali contenuti in tale progetto”, “entro i successivi sei mesi
dalla scadenza del precedente termine”. Cfr. C. PETRILLO, Il referendum c.d. propositivo nella disciplina e nell’esperienza
di alcune regioni, cit., p. 273.
109 Il tema del controllo di costituzionalità preventivo sul referendum merita una, sia pure incidentale,
considerazione. Già con riferimento al referendum abrogativo ex art. 75 Cost., in dottrina si invoca la necessità di
precisare in Costituzione in modo più compiuto i limiti di ammissibilità, notandosi come, allo stato, si sarebbe
attribuito alla Corte costituzionale il compito di controllare l’ammissibilità del referendum abrogativo, senza
delimitarne esattamente i confini, con la conseguenza che si sarebbe sviluppata una casistica incoerente nelle
decisioni della Consulta, impossibile da controllare o prevedere. Cfr. A. BARBERA - A. MORRONE, La repubblica
dei referendum, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 243, secondo i quali, quindi, il giudizio della Consulta, resosi autonomo
dai parametri dell’art. 75 Cost., sarebbe diventato un “controllo di ragionevolezza” del quesito e dei suoi effetti
normativi, arrivando ad accertare se il risultato dell’abrogazione sia potenzialmente e non in concreto
costituzionalmente legittimo. L’esperienza attuativa dei referendum regionali, però, sta evidenziando la necessità
di prevedere in Costituzione anche un controllo preventivo su di essi, parimenti da attribuirsi alla Consulta, per
evitare che si registrino casi come quello della legge regionale della Valle d’Aosta 23 novembre 2012, n. 33, prima
approvata con referendum propositivo dai cittadini valdostani e poi annullata dalla Corte costituzionale, per
violazione delle competenze legislative statali in tema di ambiente, con evidente ed inutile dispendio di danaro
pubblico. Cfr. Corte cost., 2 dicembre 2013, n. 285, in Giur.cost., 2013, pp. 4579 ss. Con riferimento a questa vicenda
processuale, merita di essere ricordata anche Corte cost., Ord. 17 luglio 2013, n. 201, in Giur.cost., 4/2013, pp. 2807
ss., con la quale la Corte, riprendendo suoi precedenti in materia, esclude che i promotori di un referendum
regionale siano equiparabili agli “organi statali competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui
appartengano”, dovendo assimilarsi ai poteri di istituzioni autonome e non sovrane, quali sono gli enti territoriali;
e pertanto dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto, appunto,
dai promotori del referendum regionale. Critica questa decisione J.DI GESÙ, Il corpo elettorale “regionale” come potere
dello Stato nel referendum propositivo legislativo”, ivi, pp. 2812 ss., il quale reputa irrilevante la circostanza che nella
fattispecie si tratti di “corpo elettorale regionale”. Anche per questa problematica di ordine processuale, sarebbe
dirimente la previsione espressa in Costituzione di un controllo preventivo sui referendum regionali in capo alla
Consulta, perché in quella specifica sede i promotori del referendum avrebbero certamente il diritto di costituirsi
per difendere le proprie ragioni, superandosi così l’aporia registratasi nella vicenda processuale qui sommariamente
riportata. Riferisce come anche nella prassi statunitense sia frequente il caso in cui l’esito delle initiatives, approvate
dal corpo elettorale, sia di frequente invalidato dalle Corti M. GORLANI, Il referendum propositivo e l’iniziativa popolare:
l’esempio nordamericano, cit., p. 490.
110 Si applica il ragionamento sviluppato da C. MORTATI, citato supra alla nt. 7, all’ipotesi in cui il Parlamento per
un tempo prolungato ometta di dare attuazione dell’indirizzo popolare espresso nel referendum, che evidenzia il
venir meno del rapporto di rappresentatività fra corpo elettorale ed eletti nelle Camere.
In vero, l'ipotesi dello scioglimento delle Camere, per un verso, può rivelarsi eccessiva, e, per un altro verso, non
è garanzia che le nuove Camere si attiveranno per colmare la lacuna lasciata scoperta dalle vecchie. Potrebbe in tal
senso essere risolutiva l’ipotesi di un referendum di indirizzo che contenga anche una normativa di dettaglio a
corredo, destinata ad entrare in vigore decorso un significativo lasso temporale (ad esempio un anno dal voto
referendario), trasformandosi così il referendum di indirizzo in “”approvativo” nel caso di inerzia delle Camere
(per intenderci, un meccanismo simile alle direttive comunitarie self - executing). In ogni caso, l’indirizzo
referendario, anche se non corredato da applicazione legislativa, avrebbe comunque il pregio di orientare le
applicazioni giurisprudenziali in modo indubbiamente più stringente di quanto non accada oggi, in carenza assoluta
e prolungata di decisione politico-legislativa.
111 A. BARBERA - A. MORRONE, La repubblica dei referendum, cit., pp. 249 s., a giudizio dei quali il referendum
abrogativo ha contribuito a “bipolarizzare” il sistema politico (a partire dal referendum sul divorzio, a quelli
elettorali, a quelli sulle televisioni), con la conseguenza che la capacità decisionale dell’esecutivo in un sistema
bipolare tendenzialmente riduca a sua volta lo spazio dei referendum. Argomentando a contrario, alla luce della
recente evoluzione del sistema elettorale in senso proporzionale, si dovrebbe, pertanto, concludere per la ripresa
di vigore per l’istituto referendario.
112 Sul tema v. P. CARNEVALE, Qualche considerazione sparsa in tema di abrogazione “innovativa” e manipolazione
referendaria e di rapporti fra referendum elettorali e legislazione parlamentare, in R.BIN (a cura di), Elettori legislatori? Il problema
dell’ammissibilità del quesito referendario elettorale, Atti del Seminario svoltosi a Ferrara il 13 novembre 1988, Torino,
Giappichelli, 1999, p. 77, dove si afferma l’avvenuta “trasformazione del referendum da strumento di legislazione
negativa in mezzo di positiva normazione”. Sul tema v., in generale, P. VIPIANA, La legislazione negativa: Saggio su
un'insolita e controversa nozione, Torino, Giappichelli, 2017, passim, ma anche i riferimenti citati, retro, alla nt. 16.
113 Sulla necessità che scelte simili siano fatte direttamente dal corpo elettorale v. A. RICCIARDI, La Corte
costituzionale, decidendo di non decidere, lascia aperta la questione degli embrioni crioconservati. Nota a Corte costituzionale, 22 marzo
2016, n.84, in Osservatorio AIC, 2/2016. Diversa è l’impostazione di R. DAHRENDORF, Dopo la democrazia,
Intervista a cura di A. Polito, Roma – Bari, Editori Laterza, 2001, p. 112, il quale di fronte ai temi etici giudica
“inappropriato procedere secondo i meccanismi tradizionali della democrazia e applicare il principio di
maggioranza”, proponendo “una sorta di Senati etici, che, per quanto estranei ai Parlamenti eletti, godano della
necessaria fiducia del pubblico e siano in grado di prendere decisioni meditate e non frutto di scelte partigiane”.
Idem, p. 115. In vero, sui temi etici non è sempre sufficiente un approccio solo nazionale, richiedendosi soluzioni
e interventi sovranazionali, come dimostra in tema di maternità surrogata G. Luccioli, Questioni eticamente sensibili:
quali diritti e quali giudici. La maternità surrogata, in Consulta online, II/2017, 331 s.
114 P. DI NICOLA, Temi etici, Fioroni: referendum d’indirizzo per nozze gay, eutanasia e fecondazione, 28 maggio 2015, in
www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/28/temi-etici-fioroni-referendum-dindirizzo-per-nozze-gay-eutanasia-e-fecondazione/1725840
/, in cui Giuseppe Fioroni, cattolico e leader della corrente ex popolare del Pd precisa: “L’idea è di presentare un
emendamento al ddl costituzionale approdato in Senato per meglio far decidere i cittadini, la vera coscienza civile
del Paese”. E conclude: “Mi sembra la cosa migliore giunti a questo punto: questioni come matrimonio gay,
eutanasia, fecondazione, adozioni e tutte le altre innescate dalla medicina più innovativa, sono problemi
così intimi che mi pare fuori luogo lasciare alla sola determinazione degli eletti. Meglio far decidere i
cittadini attraverso referendum di indirizzo ai quali il Parlamento dovrà poi adeguarsi elaborando le relative
proposte di legge”. Ma si veda anche A. CHELLO, Fioroni: «Referendum sui temi etici: così si tutelano i minori», in Il
Mattino di domenica 18 ottobre 2015, in cui il parlamentare del PD afferma: “Il referendum di indirizzo su temi di
bioetica è la cosa migliore e rispettosa delle molteplici sensibilità e della coscienza di ciascuno”.
115 Che da differenti parti politiche si ritenga opportuno il ricorso al referendum, per dare alla politica una sorta di
“delega rafforzata” sui temi etici, si evidenzia attraverso la lettura di interventi di qualificati esponenti. Così Camilla
Doninelli, addetto stampa di Forza Italia, afferma: “nella stessa famiglia, nello stesso partito, nelle nostre comunità,
questi temi (e le convinzioni su questi) sono così gelosamente custoditi che l’esercizio della delega è complesso. E’
complesso ipotizzare che su questi temi si possa considerare unicamente la disciplina di partito, perché è la
sommatoria di orientamenti prevalenti”. Cfr. C. DONINELLI, Referendum d’indirizzo sui temi etici, in
www.lindro.it/referendum-dindirizzo-sui-temi-etici/, di venerdì 5 giugno 2015. Ma anche esponenti di spicco dei Cinque
Stelle convergono su questa strada da percorrere. Si veda, ad esempio, L’intervista democristiana di Virginia Raggi ad
“Avvenire” di sabato, 19 marzo 2016, in cui il futuro Sindaco di Roma afferma: “Il tema delle adozioni va discusso
in modo serio e approfondito. È un tema delicato e mi limito a dire che la scelta dovrebbe avvenire sentendo il
parere di cittadini ed esperti. Lo strumento più adatto credo sia quello del referendum, preceduto da un ampio
dibattito pubblico”. Dello stesso avviso Luigi Di Maio, nella dichiarazione raccolta da S. CARBONI, Luigi Di Maio
e la «bufala» sul referedum popolare per le adozioni gay, in (Prime) Visioni, Interni, del 01/03/2016,
www.giornalettismo.com/archives/2041842/luigi-di-maio-referedum-popolare-adozioni-gay/: “per le coppie omosessuali
l’adozione sic et simpliciter va affrontata con un referendum popolare (…). Se parliamo di temi etici così importanti
è giusto coinvolgere il popolo italiano, non basta un Parlamento eletto con una legge incostituzionale”.
116 Emblematico, quanto all’inverarsi di una supplenza giudiziaria che rende superata la scelta legislativa, è ad
esempio la vicenda degli embrioni soprannumerari criocongelati, dove le decisioni della Consulta hanno di fatto
prodotto una situazione di non ritorno, che lascia in un “freddo oblio” un numero indefinito di embrioni umani.
Sul punto v. A. Ricciardi, La Corte costituzionale, cit., p. 3. Ma si può fare l’esempio della giurisprudenza maturata in
tema di maternità surrogata, sulla quale v., da ultimo, M. GERVASI, Vita familiare e maternità surrogata nella sentenza
definitiva della Corte europea dei diritti umani sul caso Paradiso et Campanelli, in Osservatorio Costituzionale, 1/2017, dove si
esamina gli sviluppi contraddittori della giurisprudenza Cedu, fra primo e secondo grado di giudizio; e, soprattutto,
per la novità del caso affrontato, F. PARUZZO, Status filiationis e assenza di legame genetico. La Corte d’Appello di
Trento riconosce la validità del certificato di nascita di due gemelli nati in seguito al ricorso alla maternità surrogata da parte di due
uomini, ivi, 2/2017. Da ultimo sul tema si segnala A.C. NAZZARO, Discrezionalità legislativa e ruolo del giudice nella
nuova dimensione (bio)etica della famiglia, in Rivista AIC, 1/2018.
117 Parla di una “maturazione di un nuovo accordo politico, finalmente inclusivo delle differenti forze popolari e
rispettoso delle reciproche diversità” V. TONDI DELLA MURA, Referendum/I “nemici” (e gli amici) del compromesso
possibile, in Ilsussidiario.net di martedì 15 novembre 2016.
118 J. E. STIGLITZ, La grande frattura. La diseguaglianza e il modo per sconfiggerla, Torino, Einaudi, 2016.
119 La teoria classica sulle “fratture sociali” (cleavges), che determinerebbero la nascita dei sistemi di partito nelle
democrazie occidentali è di S. ROKKAN, Citizens, elections, parties, Olso e New York, Universitetsforlaget e D.
Mckay, 1970.
120 A. CAVALLI, Democrazia dell'alternanza. Che cos'è e come dev'essere, in “il Mulino", 1/1994, pp. 5 ss.
121 J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, cit., pp. 38 ss. Di “democrazia deliberativa” parla già J.
BESSETTE, Deliberative democracy. The Majority Principle in Repubblican Government, in How Democratic is the Constitution?,
Washington, American Enterprise Institute, 1980.
122 J. HABERMAS, op.loc.cit.
123 A. MORELLI, La trasformazione del principio democratico, cit., pp. 205 ss., il quale distingue le concezioni procedurali
(o formali) e le concezioni sostanziali. Esempio della prima impostazione è Kelsen, il quale configura la democrazia
come «metodo politico mediante il quale l’ordinamento sociale è creato ed applicato da coloro che sono soggetti
all’ordinamento stesso, in modo da assicurare la libertà politica nel senso di autodeterminazione». Esempio della
seconda è Tocqueville, che ne La democrazia in America (Parigi, 1835) configura una «democrazia sociale»,
caratterizzata dallo «spirito egualitario» che la anima. Conclude l’A. che nelle Costituzioni europee del secondo
dopoguerra la democrazia si risolva “essenzialmente in un insieme di procedure assiologicamente connotate”.
trasformazione, cit., p. 214 e, da ultimo, P. ROSANVALLON, Controdemocrazia. La politica nell'era della sfiducia, trad. di
Bresolin, Castelvecchi, Roma, 2017.
127 J. VERHULST - A. NIJEBOER, Democrazia diretta, cit., p. 9.
128 F. FORNARO, Fuga dalle urne. Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 a oggi, Novi Ligure, Edizioni
Epoké, 2016; M. CERRUTO, La partecipazione elettorale in Italia, in Quaderni di Sociologia, 60/2012, pp. 17 ss., dove si
esamina la costante crescita dell’astensionismo, che peraltro è giunto, nelle ultime consultazioni elettorali, a toccare
punte fino ad oggi mai raggiunte (ad esempio nelle ultime elezioni regionali del 2017 in Sicilia non ha partecipato
al voto il 53,24% degli aventi diritto). Cfr. N. CATTONE, In Sicilia ha vinto il partito dell’astensione: più di un elettore su
due non ha votato, in Il Sole 24ORE, del 6 novembre 2017. Nelle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018, in vero,
si temeva una drastica riduzione dell’affluenza alle urne. Di fatto l’affluenza si è ridotta di soli due punti percentuali
rispetto alle Politiche del 2013 (72,93 % alla Camera, in calo del 2,31 % rispetto alle precedenti politiche; 72,99%,
in calo del 2,27% rispetto al 2013): si tratta, in ogni caso, della affluenza alle urne più bassa registratasi nel nostro
Paese dal 1948. Cfr. Elezioni, affluenza al 73%, due punti in meno del 2013, in
www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/04/news/affluenza-190418979/.
129 Y. MÉNY - Y. SUREL, Populismo e democrazia, cit., p. 26.
130 C. CROUCH, Postdemocrazia, trad. di C. Paternò, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, pp. 25 s. L’A. rileva che
“l’idea di postdemocrazia ci aiuta a descrivere situazioni in cui una condizione di noia, frustrazione e disillusione
fa seguito a una fase democratica; quando gli interessi di una minoranza potente sono divenuti ben più attivi della
massa comune nel piegare il sistema politico ai loro scopi; quando le élite politiche hanno appreso a manipolare e
guidare i bisogni della gente; quando gli elettori devono essere convinti ad andare a votare da campagne
pubblicitarie gestite dall’alto (…). Molti sintomi segnalano che questo sta accadendo nelle società contemporanee
avanzate, dimostrando che ci stiamo dunque allontanando dall’ideale più elevato di democrazia per andare verso
un modello postdemocratico”.
131 Cfr. M. L. SALVADORI, Democrazie senza democrazia, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, pp. 10 ss., in cui l’A.
denuncia lo strapotere delle oligarchie politiche e della plutocrazia tipico dei sistemi liberaldemocratici di ultima
generazione, che lascia alla legittimazione popolare dei governi un ruolo meramente passivo, al punto da dubitare
che questi sistemi possano ancora definirsi democratici.
132 La centralità del tema è dimostrata dalla circostanza che addirittura ne abbia parlato il Presidente emerito della
Repubblica, GIORGIO NAPOLITANO, in occasione del discorso tenuto subito dopo la Sua rielezione a
Presidente: “La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di
intervento politico e anche stimoli all'aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c'è
partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza
il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare
all'imperativo costituzionale del metodo democratico”, in www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-
repubblica-edizione2013/2013/04/22/news/ napolitano il testo integrale_del_discorso_di_ insediamento-57257266/.
133 Negli ultimi decenni si stanno sperimentando forme innovative di coinvolgimento popolare, soprattutto a livello
di enti locali, di concezione rispettivamente anglosassone o sudamericana, che la dottrina è solita far rientrare negli
istituti della cd. democrazia “deliberativa” e “partecipativa”: con la prima espressione si rinvia ad una serie
differente di ipotesi, che presuppone l’assunzione diretta di decisioni (donde la qualificazione “deliberativa”);
mentre la seconda espressione indicherebbe una serie di procedure pubbliche, che implicano il coinvolgimento dei
cittadini nella fase istruttoria e preliminare, attraverso moduli organizzati nei quali sia ammesso il dialogo ed il
confronto democratico, salva in ogni caso la spettanza della scelta finale in capo a chi ne abbia la competenza
istituzionale. Cfr. A. MORELLI, La trasformazione, cit., p. 210. Se la “democrazia deliberativa” si afferma
nell’ambiente culturale anglosassone, la “democrazia partecipativa” origina da note esperienze sudamericane. Cfr.
L. BOBBIO, Dilemmi della democrazia partecipativa, in Dem. dir., 4/2006, p. 14; R. BIFULCO, Democrazia deliberativa e
democrazia partecipativa, in www.astrid-online.it, 2009, p. 2. Sui concetti di democrazia partecipativa e deliberativa si
sofferma anche A. MENGOZZI, Idee democratiche e spazi politici della governance partecipativa. Un modello e due leggi regionali
a confronto, in Istituzioni del Federalismo, 2/2011, pp. 255 ss., in cui l’A. analizza le leggi regionali della Toscana (27
dicembre 2007, n. 69) e dell’Emilia-Romagna (9 febbraio 2010, n. 3) per la promozione dei processi partecipativi
(pp. 284 ss.). Sulla successiva legge regionale della Toscana si sofferma M. CIANCAGLINI, Un’ulteriore tappa nel
processo di consolidamento della democrazia partecipatia. La legge regionale Toscana 46/2013, in Osservatoriosullefonti.it, 1/2014.
Lo stesso autore esamina anche la legge regionale umbra 14/2010: Id., La disciplina organica della democrazia
partecipativa nella legislazione regionale, in www.astrid-online.it, 2012, pp. 7 s. Sulla differenza fra i due tipi di democrazia
v. anche L. MAZZUCA, Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: alcune riflessioni sul modello di Fung e Wright,
Venezia, Università IUAV, 16-18 settembre 2010, XXIV Convegno Sisp, pp. 3 ss.; R. BIFULCO, Democrazia
deliberativa, partecipativa e rappresentativa. Tre diverse forme di democrazia?, in U. ALLEGRETTI (a cura di) Democrazia
partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze, University Press, 2010, pp. 65 ss., nonché, da ultimo,
E. ROSSI, Le finalità e gli strumenti della democrazia partecipativa nell’ordinamento giuridico italiano, in Dir.soc., 3/2016, pp.
502 ss., secondo il quale, “obiettivo della democrazia partecipativa” sarebbe quello di “offrire al decisore tutti (o il
maggior numero possibile de-)gli elementi necessari per una decisione ponderata” (p. 503): importazione questa
che colloca il fondamento degli istituti di democrazia partecipativa a cavallo fra il principio democratico di cui
all’art. 1 Cost., il richiamo espresso alla “partecipazione” dei cittadini di cui al’art. 3, comma 2 Cost., ed il principio
di imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97, comma 2 Cost.
134 Conferma questa nuova tendenza la legge n. 124/2015 (c.d. legge Madia), all’art. 1, co. 1, lett. c), che ha delegato
il Governo a modificare il “Codice dell’amministrazione digitale”, prescrivendo tra i criteri direttivi la garanzia della
«partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche»; cosicché l’art. 10 del
d.lgs. n. 179/2016, in attuazione della delega, ha modificato lʼart. 9 del Codice (Partecipazione democratica elettronica),
richiedendo il ricorso alle “forme di consultazione preventiva per via telematica sugli schemi di atto da adottare”.
V. art. 10, d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, recante “modifiche ed integrazioni al Codice dell'amministrazione digitale,
di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell'articolo 1 della l. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”. Il citato art. 9 del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs.
82/2005), come modificato dal d.lgs. 179/2016, testualmente recita: “I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2,
favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini,
anche residenti all'estero, al processo democratico e per facilitare l'esercizio dei diritti politici e civili e migliorare la
qualità dei propri atti, anche attraverso l'utilizzo, ove previsto e nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione
vigente, di forme di consultazione preventiva per via telematica sugli schemi di atto da adottare”. Sul tema, v., da
ultimo, P. OTRANTO, Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a., in federalismi.it, 2/2018.
135 A. CELOTTO, Premessa al volume A. CELOTTO - G. PISTORIO, Le nuove “sfide” della democrazia diretta, cit., p.
VIII, il quale parte dall’assunto che “il modello della forma di governo è analogo a quello dello Stato ottocentesco”
e si chiede: “è possibile far partecipare i cittadini con questi meccanismi?”, considerando questa una “domanda
centrale del diritto costituzionale”.
136 Le vicende delle leggi regionali del Veneto nn. 15 e 16 del 2014 sono ricostruite, supra, alla nt. 55.
137 Dovendosi, quindi, escludere dal novero delle possibilità compatibili con la Costituzione quella delle secessione
di parti del territorio nazionale. Sul punto si rinvia a G. DELLEDONNE, I "Länder" non sono i padroni della
Costituzione: il "Bundesverfassungsgericht" di fronte a un tentativo secessionista bavarese,
Nota a Tribunale federale costituzionale 16 dicembre 2016, n. 349, in Quad.cost., 1/2017, pp. 145 ss.;
D. TRABUCCO, "Popoli regionali", principio di autodeterminazione ed indivisibilità della Repubblica, in Nuove
autonomie, 1/2017, pp. 87 ss.; V. F. COMELLA, La Catalogna e il diritto di decidere,
in Lo Stato, 6/2016, p. 227; I. RUGGIU, Referendum e secessione. L'appello al popolo per l'indipendenza in Scozia e in
Catalogna, Relazione al Seminario “Referendum e appelli al popolo. La progressiva deformazione del sistema delle fonti del diritto”,
Università degli Studi di Pisa, 19 settembre 2016 in Costituzionalismo.it, 2/2016; S. BARTOLE, Pretese venete di
secessione e storica questione catalana, cit., pp. 939 ss.; A.J.M. CASTELLÀ, The proposal for Catalan secession and the crisis of
the Spanish autonomous State, in Dir.pubbl.comp.eur., 2/2015, pp. 429 ss.; T.E. FROSINI, Costituzione, autodeterminazione,
secessione, in Rivista AIC, 1/2015; S. MANCINI, Ai confini del diritto: una teoria democratica della secessione , in Osservatorio
costituzionale, 1/2015. Si segnala, in particolare quest’ultimo contributo, dove si analizzano, al § 4, le teorie
democratiche della secessione, secondo cui, ad esempio, i confini degli Stati debbono determinarsi rispettando la
libertà di associazione ed il principio democratico (H. BERAN, A Liberal Theory of Secession (1984) 32 Political Studies,
p. 21) e secondo cui, ancora, la libertà di associarsi include anche il diritto di uscirne, fosse anche l’associazione
politica per eccellenza e cioè lo Stato, purché sussista in capo ad un gruppo politico la capacità di realizzare un
nuovo Stato (C. H. WELLMAN, A Theory of Secession: The Case for Political Self-determination, Cambridge, Cambridge
University Press, 2005, p. 168). In questa logica, bisognerebbe riflettere sulla possibilità di prevedere in Costituzione
espressamente il “diritto di secessione” e di prevedere quorum particolarmente qualificati per l’espletamento di
referendum di indirizzo, che consentano al popolo, sia nella parte che intende operare la secessione, che in quella
residua, di esprimersi democraticamente. Ovviamente, questa ipotesi teorica incontra l’ostacolo, che appare
insormontabile nel nostro ordinamento, del principio di unità e indissolubilità della Repubblica, su cui v. F.
MODUGNO, Unità e indivisibilità della Repubblica come principio, in Diritto e società, 1/2011, pp. 73 ss.
138 D.E. TOSI, Il ricorso al referendum nel processo di integrazione europea, in Dir. pubbl. comp. eur., 2014, pp. 1591 ss., il
quale ricorda come tra il 1972 e il 2012 vi sono stati ben quarantasette referendum statali sui rapporti con la UE;
A. MORELLI, È possibile svolgere un “referendum d’indirizzo sulla permanenza dell’Italia nell’Unione europea?, in Osservatorio
costituzionale, 2/2016, ove, in particolare, si analizzano i limiti costituzionali ai "referendum" che incidono sugli
obblighi internazionali.
139 Nell’anno appena trascorso si colgono diversi segnali incoraggianti in questa direzione: dalla Raccomandazione
(UE) 2017/761 della Commissione del 26 aprile 2017 sul “pilastro europeo dei diritti sociali”, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 113 del 29.4.2017; al Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e
consumatori” del 23 ottobre 2017, durante il quale i ministri dell’occupazione e degli affari sociali degli Stati membri
dell’Unione europea hanno approvato all’unanimità il “Pilastro europeo dei diritti sociali” (COM (2017) 251 del 26
aprile 2017) su proposta della Commissione europea (http://www.europeiunite.eu/aree-tematiche/approvato-dal-
consiglio-dellunione-europea-il-pilastro-europeo-dei-diritti-sociali-reale-possibilita-per-uneuropa-sociale-o-tigre-
di-carta-13-11-2017/); all’incontro del 17 novembre 2017, a Göteborg, in Svezia, in cui i Primi ministri dell’Ue
hanno operato la proclamazione inter-istituzionale del “Pilastro europeo dei diritti sociali”, che si compone di 20
principi e diritti fondamentali in ambito sociale, dalla “tutela delle condizioni di lavoro”, al “diritto a un salario
dignitoso”, fino alla “garanzia di livelli minimi di inclusione e coesione sociale”
(http://www.linkiesta.it/it/article/2017/11/16/pilastro-europeo-dei-diritti-sociali-lue-vuole-mettere-le-tutele-
lavor/36193/); all’accordo del 18 novembre 2017 sul bilancio dell’UE per il 2018, che rispecchia le priorità politiche
della Commissione Juncker, secondo cui gran parte del bilancio dell’UE dovrà essere utilizzata per favorire la
creazione di posti di lavoro, soprattutto per i giovani, e per stimolare la crescita, gli investimenti strategici e la
convergenza (http://www.euroconsulting.be/2017/11/22/ bilancio-ue-2018-occupazione-investimenti-
migrazione-e-sicurezza/). Sul tema, v. S. GIUBBONI, Appunti e disappunti sul pilastro europeo dei diritti sociali, in
Quad.cost., 4/2017, 953 ss. e, sia pure non aggiornato agli ultimi sviluppi, A. CIANCIO, Verso un “pilastro europeo dei
diritti sociali”, Intervento alla Tavola Rotonda “Verso una dimensione costituzionale dei diritti in Europa?”, Catania, 20
maggio 2016, in federalismi.it, 13/2016.
140 Esperto Lavoro, “In Italia ci sono 3,2 milioni di posti a rischio automazione”, in www.repubblica.it dell’11 ottobre 2017.
141 Portata straordinaria ha il recente accordo firmato tra il sindacato dei metalmeccanici IG Metall e gli industriali
nel Baden-Wurttemberg, in Germania, con il quale non solo si incrementa il salario del 4,3%, ma soprattutto si
stabilisce la possibilità di introdurre una considerevole flessibilità nell’orario di lavoro, che può essere ridotto da 40
a 28 ore settimanali (al momento per un periodo limitato da 6 a 24 mesi). Cfr. www.agi.it/economia/
germania_metalmeccanici_28_ore-3456842 /news/2018-02-07/del 7 febbraio 2018. Di “Storico accordo” parla il
Corriere della Sera / Esteri in www.corriere.it/esteri/18_febbraio_06/settimana-lavorativa-28-ore-storico-accordo-germania-
edb3a390-0b67-11e8-8265-d7c1bfb87dc9.shtml, del 6 febbraio 2018.
142 K. BALES, I nuovi schiavi. La merce umana nell'economia globale, trad. di M. Nadotti, Milano, Feltrinelli, 2002, secondo
il quale nel mondo globalizzato, anche nelle ricche capitali dell’occidente, esisterebbero oltre ventisette milioni di
schiavi: donne e uomini senza libertà, condannati a lavori disumani o alla prostituzione, privi di tutela e malpagati,
in condizioni di estrema povertà.
143
Emblematica appare in proposito la recente inchiesta condotta da Guardian, Observer e New York Times, la quale
ha svelato come la società Cambridge Analytica abbia proceduto alla violazione di 87 milioni di profili Facebook, al
fine di prevedere e influenzare scelte elettorali (in particolare le elezioni del Presidente Trump ed il referendum
sulla Brexit) attraverso annunci politici personalizzati. Cfr. J. D’Alessandro, Scandalo Cambridge Analytica, parla
Facebook: "I profili social coinvolti sono 87 milioni", in Repubblica.it del 4 aprile 2018.
144 R. DAHRENDORF, Dopo la democrazia, cit., p. 130.