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A cura di

Giulio de Jorio Frisari Fernando di Mieri

IL 1799 E LA CIVILTÀ NEL SUD


Riflessioni per nuove prospettive

RIPOSTES
© 2022 – Edizioni Ripostes
di Anna Carelli
Giffoni Valle Piana (SA)

ISBN 9791280038661

www.edizioniripostes.it
info@edizioniripostes.it

Questo volume è stato impresso nel 2022


dalla tipografia Universal Book (CS)
per conto delle Edizioni Ripostes
La questione giustizia nelle costituzioni francesi del periodo
rivoluzionario e
il progetto di Costituzione della Repubblica napoletana del 1799.

di Marco Galdi1

Sommario: 1. L’utilità di una rilettura degli articoli relativi al sistema


giudiziario nella Costituzione della Repubblica napoletana del 1799. 2. La
giurisdizione nella teoria della divisione dei poteri: il “potere neutro”. 3. La
giurisdizione nelle Costituzioni del periodo rivoluzionario francese; 4. Le
peculiarità dell’elaborazione Napoletana. 5. Segue: la “censura”; 6. Segue:
la “custodia della Costituzione”.

1. Oggetto del presente contributo è l’analisi del progetto di Costituzione,


predisposto dal Comitato di legislazione e presentata al Governo provvisorio
nell’aprile del 1799, al culmine della breve ed intensa esperienza della
Repubblica napoletana, durata dal 22 gennaio al 13 giugno di quell’anno; in
particolare nella parte relativa al sistema giudiziario2.
L’argomento necessariamente implica una valutazione relativa
all’organizzazione della giustizia nella Francia rivoluzionaria, a partire dalle
novità introdotte nella Costituzione del 1791 e in quella del 1795,
quest’ultima in larga misura e puntualmente ripresa dal testo partenopeo,
come peraltro accade per molti documenti costituzionali delle Repubbliche
sorte in seguito alle conquiste napoleoniche3. E, tuttavia, la Carta napoletana
presenta delle peculiarità sue proprie che meritano di essere indagate
specificamente, a dimostrazione della vitalità culturale presente nella Napoli

1
Professore Associato di Diritto pubblico nell’Università di Salerno.
2
Per una ricostruzione storica v. C. PETRACCONE, “La rivoluzione napoletana del
1799”, Studi Storici 4 (1985), pp. 929 ss.
3
Per l’approfondimento delle costituzioni repubblicane d’Italia nel triennio francese
v. A. TRAMPUS, Storia del costituzionalismo italiano nell’età dei Lumi, Editori
Laterza, Roma-Bari 2009; M. DA PASSANO, “Il processo di costituzionalizzazione
nella Repubblica ligure (1797-1799)”, Materiali per una storia della cultura giuridica
1 (1973), pp. 79; A. AQUARONE, M. D’ADDIO, G. NEGRI (a cura di), Le
Costituzioni italiane, Edizioni di Comunità, Milano 1958; C. GHISALBERTI, Le
costituzioni «giacobine» (1796-1799), Giuffrè, Milano 1957.

9
di fine XVIII secolo, che a tutti gli effetti può considerarsi una delle
principali capitali culturali d’Europa4.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento pare, però, necessario chiarire il
significato stesso della giurisdizione a cavallo fra Ancien Regime e
illuminismo. Si può dire, infatti, che l’emersione della funzione
giurisdizionale come categoria autonoma rispetto alle altre funzioni dello
Stato rappresenti uno dei portati più significativi dell’illuminismo, preludio
dello Stato di diritto liberale.
É risaputo che la funzione giurisdizionale non è facilmente distinguibile da
quella esecutiva, anche negli ordinamenti contemporanei5. Durante i secoli
dell’assolutismo regio, poi, la giurisdizione era a maggior ragione meno
percepibile come entità autonoma: se, infatti, nel pensiero medioevale si
rinviene una differenza fra gubernaculum e iurisdictio6, è indubbio che la

4
Sulla Carta napoletana v. F. MORELLI, A. TRAMPUS (a cura di), “Progetto di
Costituzione della Repubblica napoletana presentato al Governo provvisorio dal
Comitato di legislazione”, Centro di studi sull’Illuminismo europeo “G. Stiffoni”,
Venezia 2008; V. FERRONE, La società giusta ed equa. Repubblicanesimo e diritti
dell’uomo in Gaetano Filangieri, Editori Laterza, Roma-Bari 2003; A. CERRI, “La
Costituzione della Repubblica napoletana”, Critica del diritto 2-3 (1999), pp.
350-354; M. BATTAGLINI, Mario Pagano e il Progetto di costituzione della
Repubblica napoletana, Archivio Guido Izzi, Roma 1994; L. NEGRI, Genesi storica
e giuridica della costituzione napoletana del 1799, Baroni, Lucca 1916.
5
Alla ricerca dei caratteri differenziali fra le due funzioni dedica alcune pagine C.
MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova I 1975, pp. 375-378,
concludendo che il proprium della giurisdizione rispetto all’amministrazione
consisterebbe “nella funzione ‘sostitutiva’ del giudice alle parti dei rapporti
controversi, allo scopo di conferire certezza alla loro disciplina, allorché essa faccia
difetto, e di assicurare l’imparziale tutela degli interessi, di quella delle parti che li
veda a torto disconosciuti dall’altra. Diversamente avviene per l’amministrazione
che esplica una funzione ‘attiva’ rivolta all’immediata soddisfazione delle varie
esigenze”. Quindi, l’A. individua nella ‘terzietà’ del giudice il proprium della
giurisdizione.
6
Questa distinzione si fa comunemente risalire a Henry de Bracton, giurista inglese
del XIII secolo, secondo il quale il potere supremo di governo (gubernaculum) era
assolutamente libero e insindacabile, se non sub Deo; invece, il sovrano era tenuto
ad osservare le leggi del regno (consuetudini storicamente consolidate: sub lege)
nell’amministrare la giustizia (iurisdictio). Cfr. C.H. MCILWAIN,
Constitutionalism: ancient and modern, New York (1947), trad. it. a cura di N.

10
progressiva concentrazione delle funzioni nelle mani del sovrano finisce per
renderle sempre più omogenee7. Non sorprende, quindi, che John Locke, il
quale scrive la sua principale opera politica sul finire del XVII secolo (i
“Due tratti sul governo” sono del 1690), pur rimarcando come la garanzia
che principalmente consente la fuoriuscita dallo stato di natura consista
proprio nell’istituzione di giudici terzi ed imparziali, consideri ancora la
giurisdizione come parte integrante del potere esecutivo 8 ; così come non
sorprende che Montesquieu stesso, nell’introdurre il capitolo VI del libro
undicesimo del De Les sprit de Lois, ove teorizza la divisione dei poteri
come garanzia di libertà, utilizzi l’espressione “potere esecutivo” anche per
indicare la funzione giurisdizionale:

MATTEUCCI, Costituzionalismo antico e moderno, Il Mulino, Bologna 1990; J.F.


SPITZ, Lex supra regem chez Henry de Bracton: le sens d'un principe, Droits 31
(2000), pp. 159 ss.
7
Per cui, ancora nello Stato assoluto, legislazione e giurisdizione si confondono,
individuandosi nella persona del Re il potere tanto di normare, quanto di dare
esecuzione alle leggi per il tramite dei suoi ministri, quanto anche di giudicare le
condotte in violazione dei suoi precetti. Cfr. P. ALVAZZI DEL FRATE, Giustizia e
garanzie giurisdizionali, Giappichelli Editori, Torino 2011, pp. 5 ss., il qual richiama
la massima “toute justice émane du roi”. Fin dal XIV secolo, infatti, di pari passo
con la nascita dello Stato assoluto, la giustizia del re si affianca (appello al Re) e
gradualmente si sovrappone alla giustizia concessa ai signori feudali. Si diffonde, in
particolare, la giustizia delegata agli officiers, cariche venali ed ereditarie. Si
afferma, infine, la “giustizia ritenuta del re”, con funzione residuale e di riforma
delle sentenze dei tribunali.
8
J. LOCKE, Due tratti sul governo, 1690, a cura di B. CASALINI, Edizioni Plus,
Pisa University Press 2006, p. 240, per il quale “La presenza di un giudice è ciò che
fa uscire dallo stato di natura. Ciò pone gli uomini al di fuori dello stato di natura e li
fa entrare in uno stato, stabilendo un giudice sulla terra con l’autorità di decidere
tutte le controversie e di riparare le offese che siano recate a qualsiasi membro di
quella società politica; il quale giudice è il legislativo o i magistrati scelti da esso.
Ovunque vi sia un certo numero di uomini, comunque associati, che non hanno tale
potere ultimo al quale appellarsi, essi si trovano ancora nello stato di natura”. Idem,
p. 262: “nello stato di natura manca un giudice noto e imparziale, con l’autorità di
determinare le controversie secondo la legge stabilita”.

11
“in ogni Stato vi sono tre generi di poteri: il potere legislativo, il potere
esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere
esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile”9.
D’altronde, la stessa iurisdictio medioevale esprimeva una categoria non
riferibile esclusivamente all’attività di applicazione di norme preesistenti,
ricomprendendo in sé anche aspetti creativi del diritto, cosicché era facile
confonderla con la legislazione; non a caso, com’è stato autorevolmente
rilevato, la parola nel medioevo è spesso utilizzata anche come sinonimo di
“autonomia”10.
E tuttavia, a fronte del particolarismo medioevale, in cui concorrono una
serie di ordinamenti giuridici, di tipo civile e religioso, locale e centrale, che
si contendono le funzioni pubbliche generando una estrema frammentarietà,
a tutto discapito della certezza del diritto e della tutela reale dei diritti
individuali11; a fronte della tendenza centripeta del potere, che si manifesta
con il consolidarsi delle monarchie nazionali, è noto che proprio nel secolo
conclusosi con la Repubblica napoletana viene teorizzata prima, e poi
gradualmente attuata nei documenti costituzionali, la divisione dei poteri, in
cui si distingue cioè il potere di fare le leggi, quello di farle eseguire e quello
di giudicarne le violazioni; auspicandone la rispettiva separazione come
condizione per istituzioni che garantiscano la libertà dei cittadini12.
L’emersione di una giurisdizione come entità separata ed autonoma tanto dal
potere legislativo quanto da quello esecutivo individua, in pratica, l’anno
zero del “potere giudiziario”, destinato nel tempo a relazionarsi in modo
diverso, talora addirittura conflittuale con gli altri poteri dello Stato,
diventando in ogni caso protagonista della modernità.
Rispetto a questo esordio della giurisdizione, la Carta partenopea del ’99,
che peraltro è noto non ebbe modo di essere mai applicata a causa della
drammatica quanto precoce fine di quell’esperienza, costituisce per molti

9
C.L. DE SECONDAT DE MONTESQUIEU, De Les sprit de Lois, trad.it di B.
BOFFITO SERRA, Lo spirito delle leggi, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano
1989, pp. 309 s.
10
C. MORTATI, Istituzioni…, p. 374, nt. 2, il quale nota come questa accezione si
conservi ancora nell’uso della parola “giurisdizione” ad indicare la “sfera di
competenza territoriale (così si dice che il prefetto ha giurisdizione sulla provincia)”.
11
P. GROSSI, L'ordine giuridico medievale, Editori Laterza, Roma – Bari 2017.
12
Si rinvia per tutti a G. SILVESTRI, La separazione dei poteri, Giuffré, Milano
1984.

12
profili un momento esemplare, che merita di essere analizzato con
riferimento specifico al tema del “sistema giudiziario”, intendendosi con
questa espressione quell’insieme di relazioni fra organi dello Stato e
cittadini, funzionali ad assicurare decisioni imparziali e secondo diritto delle
controversie: lo merita perché è utile per la comprensione di ogni circostanza
della vita – e non sfugge a questa logica la storia delle istituzioni - andare
alle radici; a quando, cioè, tutto ha avuto inizio.

2. É necessario, quindi, partire da Montesquieu, generalmente riconosciuto


come il fondatore della moderna teoria della divisione dei poteri: libro
centrale nel De Les sprit de Lois è l’undicesimo, in cui si descrive la
Costituzione dell’Inghilterra (capitolo sesto), cui si attribuisce come “fine
diretto” quello di assicurare la “libertà politica”13. Qui si legge, a proposito
del “potere giudiziario”, che “non vi è libertà” se esso
“non è separato dal potere legislativo e dall’esecutivo. Se fosse unito al
potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe
arbitrario; infatti, il giudice sarebbe legislatore. Se fosse unito al potere
esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore”.
E, subito dopo, Montesquieu aggiunge la sua frase più celebre:
“Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o
di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi,
quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le
controversi dei privati”14.
E poi interviene un’ulteriore idea di Montesquieu, che in realtà sembra
superare il riferimento all’esperienza inglese e guarda indietro nel tempo,
all’Atene antica (dallo stesso richiamata in nota), allorché ritiene che
“il potere giudiziario non dev’essere affidato a un senato permanente, ma
dev’essere esercitato da persone tratte dal grosso del popolo, in dati tempi
dell’anno, nella maniera prescritta dalla legge, per formare un tribunale che
duri soltanto quanto lo richiede la necessità”15.
La ragione di questa scelta è chiarita subito dopo:
“in tal modo il potere giudiziario, così terribile fra gli uomini, non essendo
legato né a un certo stato né a una certa professione, diventa, per così dire,

13
C.L. DE SECONDAT DE MONTESQUIEU, De Les sprit de Lois…, p. 309.
14
Idem., p. 310.
15
Idem., p. 311.

13
invisibile e nullo. Non si hanno continuamente dei giudici davanti agli occhi,
e si teme la magistratura e non i magistrati”16.
Montesquieu conclude questa analisi richiamando un diritto ancora vigente
nei sistemi anglosassoni, quello cioè di recusare un certo numero di
componenti della giuria popolare:
“bisogna, inoltre che, nelle accusa gravi, l’imputato, d’accordo con le leggi,
si scelga i giudici; o per lo meno che possa rifiutarne un numero tale che
quelli che rimangono siano reputati essere di sua scelta”17.
Due ulteriori passaggi del Capitolo sesto vanno, infine, ricordati: 1) allorché
Montesquieu richiama la necessità che,
“se i tribunali non devono essere fissi, i giudizi devono esserlo a un punto
tale da costituire sempre un preciso testo di legge. Se fossero una opinione
particolare del giudice, si vivrebbe nella società senza conoscere esattamente
gli impegni che vi si contraggono”18;
2) allorché Montesquieu ammette che la legge potrebbe essere “troppo
severa”:
“Ma i giudici della nazione sono soltanto, come abbiamo detto, la bocca che
pronuncia le parole della legge: esseri inanimati, che non possono regolarne
né la forza né la severità”.
Dunque, deve prevedersi che la suprema autorità del corpo legislativo possa,
in questi casi, pronunciarsi meno severamente 19 . Nel primo passaggio,
infatti, si può cogliere il principio dello Stato di diritto, caratterizzante i
regimi liberali che emergeranno nel continente europeo soprattutto dopo la

16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
Idem., p. 312.
19
É chiaro in questo passo il riferimento al potere di grazia del sovrano. Riflette sul
tema, anche con riferimento al periodo illuministico, M. SERRAINO, “‘Gratia
Gratiae Gratia’. La clemenza individuale tra pienezza e divisione del potere”,
Materiali per una storia della cultura giuridica 1 (2019), pp. 227 ss.

14
Rivoluzione francese 20 ; nel secondo l’idea, tipicamente illuministica, del
giudice “bouche qui prononce les paroles de la loi”21.
É già evidente, sia pure in questi fugaci riferimenti, la profonda discontinuità
che Montesquieu segna, nel descrivere l’ordinamento inglese, con il sistema
giudiziario medioevale e con quello dello Stato assoluto proprio
dell’esperienza francese, prima sommariamente descritti, connotati il primo
da una sostanziale frammentarietà della giurisdizione, in un contesto di
sovranità sovrapposte e confuse; il secondo dal tentativo di ricondurre ad
unità la giurisdizione, nella persona del Sovrano, che incarna però anche il
potere legislativo e quello esecutivo22.
Resterebbe, evidentemente, da analizzare in modo più approfondito quale
fosse la reale esperienza inglese in quegli anni23. Ma non vi è dubbio che la
tradizione costituzionale d’oltre manica costituisca un unicum nel panorama
del tempo: dai primi riconoscimenti dell’habeas corpus nella Magna Charta
del 1215 alle fondamentali garanzie riconosciute nel XVII secolo 24 , fino
all’Act of settlement del 1701, che assicura ai giudici inglesi delle corti
superiori l’indipendenza e l’inamovibilità 25 , questa esperienza delinea un

20
Sullo Stato di diritto v., da ultimo, le considerazioni di C. DEODATO, “Brevi
riflessioni sul fondamento e sul declino dello Stato di diritto”, Federalismi.it 5
(2018).
21
Critica l’idea del “giudice bocca della legge”, in virtù della complessità della
decisione giudiziaria R. GAROFOLI, “Il giudice tra creatività interpretativa e
esigenze di legalità e prevedibilità”, Relazione al Convegno “I ruoli giuridici nel
diritto civile del postmoderno”, Bari, 20 settembre 2019, Federalismi.it 20 (2019)
pp. 5 ss.
22
Montesquieu conosceva molto bene l’organizzazione della giurisdizione
dell’Anciem regime, per essere stato egli stesso giudice, in quanto presidente del
parlamento di Bordeaux, carica che eredita da uno zio e che ricopre fino al 1726.
23
Lo stesso Montesquieu in qualche modo manifesta prudenza sul punto, quando
dice: “non sta a me di esaminare se gli Inglesi godono attualmente di questa libertà,
o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più”. C.L. DE
SECONDAT DE MONTESQUIEU, De Les sprit de Lois…, p. 320.
24
Dall’Act of Habeas Corpus del 1679, secondo cui per impedire arresti illegali i
sudditi possono ricorrere al writ of Habeas Corpus, ed essere sottoposti a regolare
processo con giurati, al Bill of Rights del 1689, che dichiara illegittimi gli atti
arbitrari della Corona e sancisce una serie importante di libertà del cittadino.
25
A. DE LUCA, Una rivoluzione all'inglese. La giustizia a dieci anni dal
Constitutional Reform act, Giappichelli Editore, Torino 2016, p. 58.

15
modello paradigmatico; solo a partire dal quale poteva poi prendere le mosse
quell’ulteriore e straordinario salto in avanti rappresentato dalla democrazia
americana26.

3. Il pensiero di Montesquieu ha influenzato in modo determinante


l’esperienza giuridica moderna, dalla rivoluzione americana 27 alla Francia
rivoluzionaria e, conseguentemente, tutta la cultura giuridica occidentale28.
In particolare, la sua lezione è fatta propria dapprima nella Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, il cui art. 16 enuncia la
chiave di volta del moderno costituzionalismo (e descrive puntualmente la
stessa struttura delle attuali Costituzioni), dove prevede che “ogni società in
cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri
determinata, non ha costituzione”29.

26
Per la descrizione della quale resta fondamentale lo scritto di A. DE
TOCQUEVILLE, La democrazia in America, 1840, Utet, Torino E-Book maggio
2017.
27
Basti, al riguardo, ricordare la Dichiarazione dei diritti Virginia, del 12 giugno
1776, la cui sezione 5 dichiara: “I poteri legislativo ed esecutivo dello Stato debbono
essere separati e distinti dal potere giudiziario. I membri dei due primi possono
essere impediti dalla oppressione; sentendo e condividendo agli oneri del popolo,
essi dovrebbero, in periodi fissi, essere ridotti allo stato privato, ritornare nel corpo
da cui originariamente furono presi, ed i posti vacanti essere riempiti mediante
frequenti, sicure e regolari elezioni, in cui tutti, o qualche parte dei membri
precedenti, possono essere ancora eleggibili o non eleggibili, come indicheranno le
leggi”. E poi, con riguardo alle giurie popolari, le Sezione 11 detta: “Nelle
controversie che riguardano la proprietà, e nelle liti che insorgano tra uomo e uomo,
l’antico giudizio a mezzo di giuria è da preferire a qualsiasi altro, e deve essere
tenuto sacro”.
28
D. FELICE (a cura di), Poteri Democrazia Virtù. Montesquieu nei movimenti
repubblicani all’epoca della Rivoluzione francese, Franco Angeli, Milano 2000; ma
v., anche, G. TARELLO, “Per una interpretazione sistematica di Montesquieu”,
Materiali per una storia della cultura giuridica I (1971), pp. 13 ss.; Idem, Storia della
cultura giuridica moderna, Il Mulino, Bologna 1976, pp. 259 ss., secondo il quale
l’opera di Montesquieu si pone all’origine di quasi tutte le formulazioni dei problemi
politici e giuridici dell’illuminismo.
29
Così, ad esempio, anche la Costituzione italiana attualmente vigente, dopo i
Principi fondamentali, prevede una prima parte dedicata ai “diritti e doveri dei

16
Centrale per gli ulteriori sviluppi del costituzionalismo illuministico fu
proprio la Dichiarazione dei diritti. Nel suo prologo si legge un’affermazione
che deve far riflettere sul valore che si attribuisce alla funzione
giurisdizionale: in essa “i rappresentanti del popolo francese costituiti in
Assemblea Nazionale”, intendono “esporre, in una solenne dichiarazione, i
diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo” […]
“affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi
semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento
della Costituzione e la felicità di tutti”30.
Se, cioè, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo costituiscono il “fine
di ogni istituzione politica”, per cui gli atti del Potere legislativo e quelli del
Potere esecutivo possano essere maggiormente rispettati nella misura in cui
tendono a realizzarli; è però dalla efficace risposta ai “reclami dei cittadini”
che si ottiene il risultato del “mantenimento della Costituzione” e, in ultima
analisi, della “felicità di tutti”.
Per comprendere appieno questa affermazione è necessario, sia pur
brevemente, richiamare il pensiero politico classico, che individua nella
conservazione della Costituzione, cioè nel suo equilibrio idoneo ad
assicurarne la durata, il metodo attraverso cui la comunità può conseguire la
felicità (i greci parlavano di eudaimonia)31 . E sempre il pensiero politico
classico, da Aristotele a Polibio a Cicerone, aveva elaborato la teoria della
“costituzione mista”, che punta sull’esistenza di un equilibrio fra classi
sociali e rapporti istituzionali, idoneo a garantire stabilità delle istituzioni,
come condizione per consentire ai singoli la piena realizzazione di sé 32 .

cittadini” e una seconda parte dedicata allo “Ordinamento della Repubblica”, cioè
alla divisione dei poteri.
30
Il corsivo nel testo è mio.
31
R. KRAUT, Aristotle on the Human Good, Princeton University Press, Princeton
New Jersey 1989.
32
Ritiene che “il contributo fondamentale del pensiero aristotelico all’elaborazione
del costituzionalismo consiste nell’aver teorizzato un modello di costituzione mista”
P. RIDOLA, Profilo storico del costituzionalismo, reperibile in rete all’indirizzo:
https://www.scienzegiuridiche.uniroma1.it/sites/default/files/docenti/ridola/profilo_s
torico_costituzionalismo.pdf, 4 per il quale “l’idea di costituzione mista venne
ripresa più tardi, in età romana, da Polibio, il quale, nel VI libro delle Storie,
sospinto dall’intento di spiegare le cause dell’ascesa della Repubblica romana,
elaborò una teoria delle forme di governo che traeva ispirazione dalle risorse

17
Ebbene, le parole richiamate del preambolo alla Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 riferiscono il risultato del
“mantenimento della Costituzione” e, in ultima analisi, della “felicità” dei
cittadini all’efficace e corretta risposta che lo Stato riesce a dare ai loro
“reclami”.
Non deve meravigliare questa impostazione: il pensiero liberale, che informa
di sé la Rivoluzione francese insieme al repubblicanismo33, infatti, ritiene
che lo Stato debba limitare la propria ingerenza, lasciando alle forze sane
dell’economia e del mercato di determinare le condizioni dello sviluppo. E
certamente fra i compiti che permangono allo Stato, oltre all’affermazione
dei diritti di libertà, è la loro garanzia effettiva, realizzata per mezzo della
tutela giurisdizionale.
Non a caso, d’altronde, subito dopo l’affermazione dei diritti nella
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, i rivoluzionari francesi
vollero riformare il sistema giudiziario, ponendo le basi per quella che, a
ragione, è stata definita “un’altra giustizia”34.
Prima ancora dell’adozione della Costituzione del 1791 (il cui preambolo è
costituito dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’89),
infatti, l’Assemblea Nazionale adottò la legge sull’ordinamento giudiziario
del 16-24 agosto 1790, basata sul principio della separazione dei poteri 35.
Sulla scorta di questa nuova legislazione si sviluppa poi il dibattito in seno
all’Assemblea Nazionale sul testo della Costituzione che sarà approvata nel

virtuose di stabilità e di elasticità dispiegate dalla costituzione repubblicana”. E


ancora: “questa sensibilità per lo spessore storico dei modelli costituzionali si
rinviene anche nel disegno di costituzione mista tratteggiato da Cicerone nel De re
publica, con l’intento di suggerire rimedi costituzionali nella crisi della Repubblica”.
33
J.F. SPITZ, Républicanisme et libéralisme dans lemoment révolutionnaire,
Annales historiques de la Révolution française (2009), pp. 21 ss.
34
R. BADINTER (a cura di), Une autre justice. Contributions à l’histoire de la
justice sous la Révolution française, Fayard, Paris 1989. Ma v., in particolare, R.
BADINTER, Avant-propos, ivi, 7, il quale si riferisce espressamente a “istituzioni
giudiziarie interamente nuove, basate sulla sovranità popolare e ispirate alla filosofia
illuminista”.
35
L. DUGUIT, “La séparation des pouvoirs et l’Assemblée constituante de 1789”,
Revue d’économie politique VII (1893), pp. 99 ss. e, più di recente, v. G. VEDEL,
La loi des 16-24 aout 1790: Texte? Prétexte? Contexte?, Revue française de droit
administratif VI (1990), p. 698.

18
179136 e le ulteriori previsioni contenute nelle successive Costituzioni del
periodo rivoluzionario.
La Costituzione del 1791, quindi, che manteneva ancora in vita la monarchia
nella formula costituzionale, riconosce a pieno l’indipendenza della
magistratura, da una parte affermando l’esigenza di scongiurare ingerenze
dei poteri legislativo ed esecutivo nell’esercizio della funzione
giurisdizionale 37 ; dall’altro ponendo un divieto di ingerenza del potere
giudiziario negli altri poteri38. Essa, poi, prevede in Costituzione il principio
dell’elettività dei giudici 39 ; della loro inamovibilità; della gratuità della
funzione giurisdizionale40 ed il principio del “giudice naturale” (già art. 17 l.
16-24 agosto 1790) 41 . L’istituzione di un tribunale di Cassazione, con

36
Dal quale pure ancora emerge la contrapposizione fra quanti intendevano
perpetrare una giustizia subordinata al potere esecutivo e quanti, invece, intesero
affermarne la piena indipendenza. Ricostruisce in modo assai preciso questa
discussione P. ALVAZZI DEL FRATE, Giustizia…, pp. 21 s.
37
L’art. 1, cap. V, titolo II stabilì: “Il potere giudiziario non può, in nessun caso,
essere esercitato dal Corpo legislativo né dal re”. Si prevede, tuttavia, all’art. 27, uno
specifico potere del Ministro della giustizia: “Il ministro della giustizia denunzierà al
tribunale di cassazione tramite il commissario del re, e senza pregiudizio del diritto
delle parti interessate, gli atti per cui i giudici avrebbero oltrepassato i limiti del loro
potere. – Il tribunale li annullerà; e se essi danno luogo alla prevaricazione, il fatto
sarà denunziato al Corpo Legislativo che pronunzierà il decreto d’accusa, se vi è
luogo, e rinvierà gli imputati davanti all’Alta corte nazionale”.
38
Per l’art. 3, del cap. V, titolo III: “I tribunali non possono né immischiarsi
nell’esercizio del potere legislativo, o sospendere l’esecuzione delle leggi, né
interferire sulle funzioni amministrative, o citare davanti a essi gli amministratori
per ragioni legate alle loro finzioni”.
39
Per l’art. 5, titolo III: “Il potere giudiziario è delegato a giudici eletti dal popolo”.
40
Per l’art. 2, cap. V, titolo III: “La giustizia sarà resa gratuitamente da giudici eletti
a tempo determinato dal popolo e istituiti con lettere patenti del Re che non potrà
rifiutarle. Essi potranno essere destituiti solo per abusi debitamente giudicati e
sospesi solo per un’accusa ammessa. Il pubblico accusatore sarà nominato dal
popolo”.
41
L’art. 4, cap. V, titolo III della Costituzione, in particolare, recita: “I cittadini non
possono essere distratti dai giudici che la legge loro assegna, da nessuna
commissione, né da altra attribuzione e avocazione se non quelle che sono
determinate dalle leggi”. Sull’evoluzione del principio v. P. ALVAZZI DEL
FRATE, Il giudice naturale. Prassi e dottrina in Francia dall’Ancien Régime alla
Restaurazione, Viella, Roma 1999.

19
funzioni di legittimità del tutto analoghe a quelle ancora oggi svolte da
questo organo42 e la previsione di giurie in materia penale, sia per elevare
l’accusa che per giudicarla, del doppio grado di giudizio, della pubblicità
delle procedure e del ne bis in eadem43, accanto agli altri principi che ancor
oggi presidiano lo status del cittadino di fronte all’esercizio della potestà
punitiva dello Stato, già enunciati nella Dichiarazione dell’agosto 1789
(principio di legalità dei reati e delle pene, abolizione della tortura e umanità
della pena afflittiva, presunzione d’innocenza, irretroattività della legge
penale) completano il quadro riformatore44.
Le successive Costituzioni rivoluzionarie, adottate rispettivamente nel 1793
(ma mai entrata di fatto in vigore) e nel 1795, conservarono di fatto questo
impianto.
È più scarna la Costituzione del 1793, che dedica alla magistratura
complessivamente solo quindici articoli (da 85 a 100), prevedendo
l’elettività per un anno dei giudici (in piena aderenza con la previsione di
Montesquieu)45, il doppio giurì popolare sia per l’accusa che per il processo
penale, l’istruzione pubblica del processo e l’assistenza dell’avvocato (art.
96), nonché il Tribunale di cassazione (art. 98 - 100). Ma il tormentato

42
P. ALVAZZI DEL FRATE, Giustizia…, pp. 26 s.
43
Per l’art. 9: “In materia criminale, nessun cittadino può essere giudicato se non su
un’accusa accolta da giurati, o decretata dal Corpo Legislativo, nei casi nei quali
spetta a questo perseguire l’accusa. Ammessa l’accusa, il fatto sarà riconosciuto e
dichiarato da giurati. L’accusato avrà la facoltà di rifiutarne sino a venti, senza dare
giustificazioni. I giurati che si pronunzieranno sul fatto, non potranno essere inferiori
a dodici. L’applicazione della legge sarà fatta da giudici. L’istruttoria sarà pubblica,
e non si potrà rifiutare agli accusati il soccorso di un difensore. Ogni uomo assolto
da un giurì legale non può più essere arrestato o accusato per il medesimo fatto”.
44
Un quadro nitido delle riforme di quegli anni lo troviamo in E. SELIGMAN, La
justice en France pendant la Révolution, Plon – Nourrit et c. Imprimeurs Editeurs, I,
Paris 1901; II, Paris 1913. In particolare, sulla giurisdizione nella Costituzione del
1791 si veda P. ALVAZZI DEL FRATE, Les principes généraux sur la juridiction
dans la Constitution de 1791, Constitution & Révolution aux Etats-Unis d'Amérique
et en Europe (1776-1850), sous la direction de Roberto Martucci, Laboratorio di
Storia costituzionale, Macerata 1995, pp. 475 ss.
45
Per l’art. 95: “I giudici di pace e gli arbitri pubblici sono eletti ogni anno”. Per
l’art. 97: “I giudici criminali sono eletti ogni anno dalle assemblee elettorali. La
stessa regola vale, infine, per il tribunale di cassazione”. Per l’art. 100: “I membri di
questo Tribunale sono nominati ogni anno dalle Assemblee elettorali”.

20
“periodo del Terrore” fu caratterizzato soprattutto da due giurisdizioni
straordinarie: le Commissioni militari, istituite con Decreto 9 ottobre 1972,
che giudicavano gli emigrati; e, soprattutto, i Tribunali rivoluzioni, istituiti
con Decreto 9 marzo 1793, che giudicavano in unico grado “cospiratori e
controrivoluzionari”. Queste giurisdizioni si protrassero per tutto il periodo
napoleonico e divennero, com’è noto, strumento di lotta politica, passando
alla storia per migliaia di condanne a morte assunte in modo sommario46.
Ben più articolata, invece, fu la disciplina del sistema giudiziario contenuta
nella Costituzione francese del 1795 (rimasta in vigore fino al colpo di Stato
napoleonico ed all’adozione della Costituzione del 13 dicembre 1799), che,
come si è detto, fu in larga misura tradotta e inglobata nella Carta
napoletana, pur con l’adozione di qualche differente soluzione tecnica. Per
cui, sembra opportuno trattare il tema congiuntamente alla lettura di
quest’ultimo documento.
Sia consentito solo chiarire, per lanciare uno sguardo sugli sviluppi della
funzione giurisdizionale verso quelle forme di tecnocrazia oggi ben note, che
andarono, di lì a poco, a costituire un vero e proprio “potere” giudiziario”47,
che ben presto si registra un progressivo allontanamento dal modello di
Montesquieu del giudice elettivo a cadenza annuale verso forme di
professionalizzazione sempre più spinta della magistratura. Quanto al
mandato dei giudici, in sostanza, la Costituzione francese del 1791 ne
prevede l’elezione ma non ne precisa la durata in carica, con la conseguenza
che opera la riserva di legge di cui agli artt. 7 ed 8 della stessa Carta48; la
Costituzione del 1793 ne prevede, come si è visto, la rigida durata annuale;
la Costituzione del 1795, invece, differenzia una durata biennale per i giudici
di pace e quinquennale per gli altri magistrati, con la possibilità di rielezione

46
P. ALVAZZI DEL FRATE, Giustizia…, p. 30, secondo il quale questa sorte di
“giurisdizione parallela a quella ordinaria” segnò la brusca interruzione del
“processo di affermazione dello ‘Stato di diritto’ iniziato nel 1789”.
47
Nel senso evidentemente in cui concepisce questa espressione Montesquieu, come
sinonimo di corpo sociale. Sul punto ci si permette di rinviare a M. GALDI, Buon
andamento, imparzialità e discrezionalità amministrativa, Liguori, Napoli 1996, pp.
6 ss.
48
Per l’art. 7: “Vi saranno uno o più giudici di pace nei cantoni e nelle città. Il loro
numero sarà fissato dal potere legislativo”. Per l’art. 8: “Spetta al potere legislativo
di regolare il numero e le circoscrizioni dei tribunali, e il numero dei giudici che
comporranno ogni tribunale”.

21
espressamente prevista negli artt. 212, 216 e 259. Già durante gli anni del
Direttorio, tuttavia, si registra il progressivo ritorno alla nomina governativa
dei magistrati, scelti fra elementi con marcata connotazione professionale49.
Infine, con la Costituzione frutto del colpo di Stato napoleonico del 13
dicembre 1799, tutti i giudici sono nominati dal Primo console 50 , ad
eccezione di quelli di cassazione, eletti dal Senato (art. 20) e dei giudici di
pace51, e svolgono la funzione a vita (art. 68).

4. Come è stato più volte evidenziato, la Carta partenopea riprende in larga


misura la Costituzione francese del 1795: se si esclude il tema “della
educazione e dell’istruzione pubblica”, infatti, che è trattato in modo
significativamente più ampio dalla Costituzione napoletana nel Titolo X
rispetto all’analogo Titolo del modello francese (rubricato significativamente
solo “Istruzione pubblica”); e se si esclude il titolo XIII della prima, relativo
alla “Custodia della Costituzione”, che costituisce l’unico titolo aggiuntivo
rispetto alla Carta francese del ‘95, infatti, si può dire che la struttura dei due
documenti è praticamente la stessa, prevedendo gli stessi titoli e, con qualche
lieve modifica lessicale, addirittura gli stessi sottotitoli.
Come avremo modo di constatare di seguito, in realtà, è proprio in tema di
“sistema giudiziario” che la Repubblica del ’99 innova, costituendo per certi
versi il “Comitato di legislazione” un significativo laboratorio per
l’elaborazione di un nuovo pensiero giuridico.
Ma procediamo per gradi.
Innanzitutto, vale la pena richiamare la struttura ed i contenuti del Titolo
VIII, in larga misura coincidenti fra i due documenti, che ci si propone di
analizzare sinotticamente52: esso è parimenti rubricato “potere giudiziario” e

49
P. ALVAZZI DEL FRATE, Giustizia…, p. 30.
50
Per l’art. 41: “Il Primo console promulga le leggi, nomina e revoca a volontà i
membri del Consiglio di Stato, i ministri, gli ambasciatori ed altri agenti in capo
all’estero, gli ufficiali dell’esercito di terra e di mare, i membri delle
amministrazioni locali e i commissari del Governo presso i tribunali. Egli nomina
tutti i giudici criminali e civili diversi dai giudici di pace e dai giudici di cassazione,
senza poterli revocare”.
51
Per l’art. 60: “Ogni circondario comunale ha uno o più giudici di pace, eletti
immediatamente dai cittadini per tre anni”.
52
Compie un simile esame fra i contenuti del progetto costituzionale della
Repubblica Napoletana del 1799 e quelli della Costituzione francese del 1795, punto

22
si struttura in una parte introduttiva, dal titolo “Disposizioni generali”, ed in
quattro sottotitoli specifici, rispettivamente intitolati “Della giustizia civile”,
“Della giustizia correzionale e criminale”, “Tribunale di cassazione” e “Alta
corte di giustizia”.
Gli otto articoli che compongono il primo insieme normativo prendono le
mosse dall’affermazione del principio di divisione dei poteri53, ponendosi nel
solco della Costituzione francese del 1791 anche per quanto riguarda il
principio del “giudice naturale” 54 , l’elettività dei giudici 55 , la loro
inamovibilità56, la pubblicità delle procedure57 e la gratuità della funzione
giurisdizionale 58 . Unica novità che presenta la Costituzione francese del
1795, ripresa da quella napoletana del ’99, rispetto al precedente del 1791, è
di fatto solo l’introduzione di specifiche incompatibilità per i giudici 59 .
Viceversa, la peculiarità che si registra nella Carta napoletana è che l’età per

di riferimento di tutte le Costituzioni italiane del triennio 1796-1799, già V.


FERRARI, “’Troppo francese e troppo poco napoletano’? Il progetto costituzionale
della Repubblica Napoletana del 1799 e la sua fortuna storiografica”, in Giornale di
storia costituzionale 27 (2014), pp. 31 ss.
53
Per l’art. 202: “Le funzioni giudiziarie non possono essere esercitate, né dal
Corpo legislativo, né dal potere esecutivo”. Per l’art. 203: “I giudici non possono
ingerirsi nell’esercizio del potere legislativo, né fare alcun regolamento. Essi non
possono fermare o sospendere l’esecuzione di una legge, né citare davanti ad essi gli
amministratori per ragioni inerenti alle loro funzioni”.
54
Per l’art. 204: “Nessuno può essere distolto dai giudici che la legge gli assegna da
parte di alcuna commissione né da attribuzioni diverse da quelle che sono
determinate da una legge anteriore”.
55
Per l’art. 209: “Nessun cittadino, sé non ha compiuto l’età di trent’anni, può
essere eletto giudice di un tribunale di dipartimento, né giudice di pace, né assessore
di giudice di pace, né giudice di un tribunale di commercio, né membro del tribunale
di cassazione, né giurato, né commissario del Direttorio esecutivo presso i tribunali”.
56
Per l’art. 206: “I giudici non possono essere destituiti se non per prevaricazione
legalmente giudicata, né sospesi se non per un’accusa ammessa”.
57
Per l’art. 208: “Le sedute dei tribunali sono pubbliche; i giudici deliberano in
segreto; le sentenze sono pronunziate ad alta voce; sono motivate, e in esse sono
espressi gli estremi della legge applicata”.
58
Per l’art. 205: “La giustizia è resa gratuitamente”.
59
Per l’art. 207: “L’ascendente e il discendente in linea retta, i fratelli, lo zio e il
nipote, i cugini in primo grado, e gli affini in questi diversi gradi, non possono
essere contemporaneamente membri dello stesso tribunale”.

23
accedere alla carica di giudice, viene ridotta a venticinque anni, anziché a
trenta, come nel modello d’oltralpe.
Si conserva anche la netta distinzione fra giustizia civile e penale, cui sono
dedicati rispettivamente il secondo ed il terzo sottotitolo.
Le disposizioni che si occupano di giustizia civile riguardano l’arbitrato60, la
figura del giudice di pace (di cui si prevede l’elezione ogni due anni e la
rieleggibilità)61, i tribunali di commercio62, il tentativo di conciliazione63 ed i
tribunali civili a livello dipartimentale (composti da venti giudici eletti ogni
cinque anni e rieleggibili e da cinque supplenti 64 ; nonché suddivisi in
sezioni65, ciascuna con un proprio presidente66). Diverso fra le due Carte è,

60
Per l’art. 210: “Non si può attentare in alcun modo al diritto di far decidere le
controversie ad arbitri scelti dalle parti”. Per l’art. 211: “La decisione di questi
arbitri è senza appello, e senza ricorso in cassazione, se le parti non l’hanno
espressamente riservato”.
61
Per l’art. 212: “In ogni circondario determinato dalla legge, vi sono un giudice di
pace e i suoi assessori. – Essi sono tutti eletti per due anni, e possono essere
immediatamente e indefinitamente rieletti”. Per l’art. 213: “La legge stabilisce gli
oggetti sui quali i giudici di pace e i suoi assessori decidono in ultima domanda.
Essa ne attribuisce loro degli altri che essi giudicano con possibilità di appello”.
62
Per l’art. 214: “Vi sono dei tribunali particolari per il commercio di terra e di
mare; la legge determina i luoghi ove è utile istituirli. Il loro potere di giudicare in
ultima istanza non può essere esteso al di là del valore di cinquecento miriagrammi
di frumento (centodue quintali, ventidue libbre)”.
63
Per l’art. 215: “Gli affari il cui giudizio non appartiene né ai giudici di pace né ai
tribunali di commercio, sia in ultima istanza, sia con possibilità di appello, sono
portati immediatamente davanti al giudice di pace e ai suoi assessori, per essere
conciliati. Se il giudice di pace non può conciliarli, li rinvia davanti al tribunale
civile”.
64
Per l’art. 216: “Vi è un tribunale civile per dipartimento. Ogni tribunale civile è
composto almeno da venti giudici, da un commissario e da un sostituto nominati e
destituibili dal Direttorio esecutivo, e da un cancelliere. Ogni cinque anni si procede
alla elezione di tutti i membri del tribunale. I giudici possono essere rieletti”. Per
l’art. 217: “Al tempo dell’elezione dei giudici, sono nominati cinque supplenti, tre
dei quali sono presi tra i cittadini residenti”. Per l’art. 218: “Il tribunale civile si
pronunzia in ultima istanza, nei casi determinati dalla legge, sugli appelli alle
sentenze sia dei giudici di pace, sia degli arbitri, sia dei tribunali di commercio”.
65
Per l’art. 220: “Il tribunale civile si divide in sezioni. Una sezione non può
giudicare se è costituita da meno di cinque giudici”.

24
invece, l’organo cui rivolgersi per l’appello: mentre nella Costituzione
francese, infatti, avverso le decisioni del tribunale civile si può proporre
appello al “tribunale civile di uno dei tre dipartimenti più vicini, così come è
determinato dalla legge” (art. 219); invece per la Carta napoletana si propone
l’appello ad una diversa sezione dello stesso tribunale, onde ovviare al
problema dei rilevanti costi derivanti dalla necessità di spostarsi in altro
distretto per ottenere giustizia (…)67.
Le disposizioni che si occupano di giustizia penale tendono alla tutela
dell’imputato da arresti o detenzioni illegittime 68 , vietano rigori

66
Per l’art. 221: “I giudici riuniti in ogni tribunale nominano, fra di essi, a scrutinio
segreto, il presidente di ogni sezione”.
67
Analizza questi aspetti A. M. RAO, “L’ordinamento e l’attività giudiziaria della
Repubblica napoletana del 1799”, in Archivio Storico per le Province Napoletane
XII (1973), pp. 73-145.
68
Per l’art. 222: “Nessuno può essere fermato se non per essere condotto davanti
all’ufficiale di polizia; e nessuno può essere posto in istato di arresto o detenuto se
non in virtù di un mandato di arresto degli ufficiali di polizia, o del Direttorio
esecutivo, nel caso dell’art. 145, o di un ordine di cattura, sia di un tribunale, sia del
direttore del giurì d’accusa, o di un decreto di accusa del Corpo legislativo, quando
spetta ad esso il pronunziarlo, o di una sentenza di condanna alla prigione o alla
detenzione correzionale”. Per l’art. 223: “Perché l’atto che ordina l’arresto possa
essere eseguito, occorre: 1) che esprima formalmente il motivo dell’arresto, e la
legge in conformità della quale esso è ordinato; 2) che sia stato notificato a colui che
ne è l’oggetto, e gliene sia stata rilasciata copia”. Per l’art. 224: “Ogni persona
fermata e condotta davanti all’ufficiale di polizia sarà interrogata sull’istante, o al
più tardi entro la giornata”. Per l’art. 225: “Se dall’esame risulta che non vi è alcun
argomento di accusa contro di essa, sarà rilasciata subito in libertà; o, se vi è luogo
ad inviarla al carcere, vi sarà portata nel più breve lasso di tempo, che in nessun caso
potrà superare i tre giorni”. Per l’art. 226: “Chiunque venga arrestato non può essere
trattenuto, se dà cauzione sufficiente, in tutti i casi in cui la legge permette di restar
liberi sotto cauzione”. Per l’art. 227: “Nessuno, nel caso in cui la sua detenzione è
autorizzata dalla legge, può esser condotto o trattenuto se non nei luoghi legalmente
e pubblicamente designati per servire da casa di arresto, carcere giudiziario o casa di
detenzione”. Per l’art. 228: “Nessun custode o secondino può ricevere né trattenere
alcuna persona se non in virtù di un mandato di arresto, secondo le forme prescritte
dagli artt. 222 e 223, di un ordine di cattura, di un decreto di accusa o di una
sentenza di condanna a prigione o detenzione correzionale, e senza che sia stata fatta
nel suo registro la trascrizione”. Per l’art. 229: “Ogni custode o secondino è tenuto,
senza che alcun ordine possa dispensarlo, a far vedere il detenuto all’ufficiale civile

25
ingiustificati 69 e dispongono, per i delitti che comportano una pena né
afflittiva né infamante, la competenza di “tribunali correzionali”70; viceversa,
per i delitti più gravi, prevedono la competenza di “tribunali criminali”, con
la presenza di un’apposita giuria, sia per l’accusa che per il suo giudizio71.

che ha la sorveglianza della casa di detenzione, tutte le volte che questo ufficiale lo
richiederà”. Per l’art. 230: “La vista del detenuto non potrà essere rifiutata ai parenti
e amici che presentino l’ordine dell’ufficiale civile, il quale sarà sempre tenuto ad
accordarlo, a meno che il custode o secondino non presenti un’ordinanza del
giudice, trascritta nel suo registro, per tenere segregata la persona arrestata”. Per
l’art. 231: “Ogni uomo, qualunque sia il suo posto o impiego, salvo quelli a cui la
legge dà il diritto di arresto, il quale darà, firmerà, eseguirà o farà eseguire l’ordine
di arrestare un individuo, riceverà o tratterrà un individuo in un luogo di detenzione
non pubblicamente e legalmente designato e tutti i custodi o secondini che
contravverranno alle disposizioni dei tre articoli precedenti, saranno colpevoli del
delitto di detenzione arbitraria”.
69
Per l’art. 232: “Tutti i rigori adoperati negli arresti, detenzioni o esecuzioni,
diversi da quelli prescritti dalla legge, sono dei delitti”.
70
Per l’art. 233: “Vi sono in ogni dipartimento, per il giudizio dei delitti la cui pena
non è né afflittiva né infamante, tre tribunali correzionali al minimo, e sei al
massimo. Questi tribunali non potranno pronunziare delle pene più gravi della
prigione per due anni. La conoscenza dei delitti la cui pena non oltrepassa sia il
valore di tre giornate di lavoro, sia una prigionia di tre giorni, è delegata al giudice
di pace, che decide in ultima istanza”. Per l’art. 234: “Ogni tribunale correzionale è
composto da un presidente, da due giudici di pace o assessori di giudici di pace del
comune ove esso ha sede, da un commissario del potere esecutivo, nominato e
destituibile dal Direttorio esecutivo, e da un cancelliere”. Per l’art. 235: “Il
presidente di ogni tribunale correzionale è preso ogni sei mesi, e a turno, tra i
membri delle sezioni del tribunale civile del dipartimento, esclusi i presidenti”. Per
l’art. 236: “Vi è appello dalle sentenze del tribunale correzionale innanzi al tribunale
criminale del dipartimento”.
71
Per l’art. 237: “In materia di delitti che importino pena afflittiva o infamante,
nessuno può essere giudicato se non in base ad una accusa ammessa dai giurati o
decretata dal Corpo legislativo, nel caso in cui spetti ad esso il decretare l’accusa”.
Per l’art. 238: “Un primo giurì dichiara se l’accusa debba essere ammessa o
rigettata; il fatto è giudicato da un secondo giurì, e la pena determinata dalla legge è
applicata da tribunali criminali”. Per l’art. 239: “I giurati votano unicamente per
scrutinio segreto”. Per l’art. 240: “Vi sono in ogni dipartimento tanti giurì di accusa
quanti tribunali correzionali. I presidenti dei tribunali correzionali ne sono i direttori,
ciascuno nella sua giurisdizione. Nei comuni con più di cinquantamila anime,

26
La previsione della doppia giuria popolare, il diritto all’assistenza legale72 e
la regola del ne bis in eadem73 ripropongono scelte che si trovano già nella
Carta francese del 1791.
Infine, del tutto analoga è la disciplina tanto del tribunale di cassazione
quanto dell’Alta corte di giustizia, che è organo di giustizia politica, innanzi
al quale sono proposte le accuse del Corpo legislativo contro i propri membri
ovvero contro quelli del Direttorio esecutivo.

5. Si è già anticipato, tuttavia, che le novità più significative della Carta


napoletana del ’99 si rinvengono nei Titoli X e XIII, rispettivamente
nell’istituto della “censura” e nella “custodia della Costituzione”. Entrambe
investono il “sistema giudiziario”, che si è prima definito come
quell’insieme di relazioni fra organi dello Stato e cittadini, funzionali ad
assicurare decisioni imparziali e secondo diritto delle controversie; sia pure
in una accezione più ampia, comprensiva della valutazione dell’aderenza dei

potranno essere stabiliti dalla legge, oltre il presidente del tribunale correzionale,
tanti direttori di giurì d’accusa quanti saranno richiesti dal disbrigo degli affari”. Per
l’art. 241: “Le funzioni di commissario del potere esecutivo e di cancelliere presso il
direttore del giurì di accusa sono espletate dal commissario e dal cancelliere del
tribunale correzionale”. Per l’art. 242: “Ogni direttore del giurì di accusa ha la
diretta sorveglianza di tutti gli ufficiali di polizia della sua giurisdizione”. L’art. 243
individua i reati prerseguiti dal “direttore del giurì”, come ufficiale di polizia. Per
l’art. 244: “Vi è un tribunale criminale per ogni dipartimento”, cui l’art. 245
definisce la composizione. Per l’art. 246: “I presidenti delle sezioni del tribunale
civile non possono ricoprire le funzioni di giudici nel tribunale criminale”. Per l’art.
247: “Gli altri giudici vi prestano servizio, ognuno a turno, per sei mesi, nell’ordine
della loro nomina, e durante questo tempo non possono svolgere alcuna funzione
presso il tribunale civile”. Gli articoli 248 e 249 individuano rispettivamente le
funzioni del “pubblico accusatore” e del “commissario del potere esecutivo”. Per
l’art. 250: “I giudici non possono proporre ai giurati alcun quesito complesso”. Per
l’art. 251: “Il giurì di giudizio è almeno di dodici giurati: l’accusato ha la facoltà di
ricusarne, senza addurre i motivi, un numero che la legge determina”.
72
Per l’art. 252: “L’istruttoria davanti al giurì di giudizio è pubblica, e non si può
rifiutare agli accusati il soccorso di un difensore che essi hanno la facoltà di
scegliere, o che è loro nominato di ufficio”.
73
Per l’art. 253: “Ogni persona assolta da un giurì legale non può essere arrestata o
accusata per lo stesso fatto”.

27
comportamenti dei cittadini ai principi morali della rivoluzione e della
risoluzione delle più alte controversie di rango costituzionale74.
Francesco Mario Pagano75, che da avvocato, esperto nella materia penale e
processuale, già aveva influenzato la legge sull’abolizione della tortura e
sulle prove nel processo criminale e la legge sull’organizzazione del potere
giudiziario 76 , quale patriota e repubblicano partecipa personalmente alla
redazione della proposta di Costituzione, trasfondendo in essa il frutto delle
sue riflessioni77. Così, da fervente repubblicano, Pagano innesta nel progetto
di Costituzione l’idea guida di una “rivoluzione culturale morale”, basata sui
doveri individuali, che, come è stato autorevolmente sostenuto, costituisce
quel peculiare contenuto ideologico che dà dignità storica e culturale alla
rivoluzione napoletana78. Parimenti, partendo dall’idea, teorizzata nei suoi
“Saggi”, della necessità di una Costituzione, per garantire i diritti individuali
ed assicurare la separazione dei poteri, intesa come legge fondamentale
vincolante rispetto alle altre leggi, dà attuazione all’istituto ivi descritto di un
“tribunale supremo”, “baluardo della costituzione”, con il compito di vigilare

74
V., retro, § 1.
75
Sulla figura e sull’opera del Pagano v. D. IPPOLITO, Mario Pagano. Il pensiero
di un illuminista, Giappichelli, Torino 2007; I. BIROCCHI, “Un illuminismo
giuridico fuori di maniera”, Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico
moderno 39 (2010), pp. 765-780; S. MOCCIA, “Mario Pagano ovvero l'impegno
civile del giurista”, Critica del diritto 2-3 (1999), pp. 355-368; F.
VENTURI, “Francesco Mario Pagano. Nota introduttiva”, in Illuministi italiani,
tomo 5, Riformatori napoletani, Ricciardi, Milano-Napoli (1962), pp. 783-833.
76
G. VASSALLI, “Ricordando Francesco Mario Pagano”, Diritto penale e processo
3 (1999), pp. 376 ss.; G. LA GRECA, “Introduzione al diritto criminale di Francesco
Pagano”, Cassazione penale 2 (2000), pp. 536-543; A.M. RAO, L' ordinamento e
l'attività giudiziaria…, pp. 73-146.
77
Sul pensiero giuridico e politico di Mario Pagano, v., fra gli altri, C.
AMIRANTE, “La Costituzione paganiana del 1799: l’eredità illuministica
napoletana e il costituzionalismo italiano del secolo XVIII”, Critica del Diritto 1-3
(2004), pp. 272-301; A. TEDESCHI, Il pensiero filosofico e sociale di Mario
Pagano e le sue concezioni giuridiche fondamentali, Giuffré, Milano 1948; A.
SARUBBI, Representation in the late reformist period and in southern Italian
Jacobinism, Pariaments Estates and Representation 19 (1999), pp. 151-162.
78
C. AMIRANTE, La costituzione paganiana del 1799…, pp. 272-301.

28
la “linea, che non debbon oltrepassar coloro che esercitano le sovrane
funzioni”79.
Questa impronta si rinviene nella «Dichiarazione dei diritti e dei doveri»,
nelle norme del titolo X sulla «educazione pubblica» (in particolare la
previsione del cd. “tribunale di censura”) e nella disciplina del titolo XIII
relativa a «La custodia della Costituzione».
Non vi è dubbio che alla base della Rivoluzione francese vi sia una
concezione individualistica della società, “nel senso che, prima dello Stato
quale entità associata di uomini, viene l’individuo, inteso singolarmente, il
cittadino che vanta diritti che precedono la stessa comunità alla quale lo
stesso appartiene”80. Ma è pur vero che la dimensione dei doveri, di fatto
ignorata nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26
agosto 1789 81 , vagamente richiamata nella Costituzione del 1793 82 ed
enfatizzata solo nella Carta del 1795 (dove, non a caso, si prevede una
“Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino”), pur senza
configurare doveri specifici, ulteriori rispetto alla difesa della società ed alla
sottoposizione alle leggi83, trova nella Costituzione napoletana un suo del
tutto peculiare riconoscimento.
In generale, va notato come la Carta partenopea, più che il ruolo della
società, tenda ad enfatizzare quello dell’individuo, sia sul piano del

79
F.M. PAGANO, “Saggi politici. De’ principi, progressi e decadenza delle società”
(1791-1792), Opere complete di Francesco Mario Pagano, a cura di L. FIRPO, L.
SALVETTI FIRMO, Vivarium, Milano 1993, pp. 356-357.
80
A. CELOTTO, “Quale democrazia per il futuro? - Relazione al Convegno
Internazionale di studi sul tema: ‘Democrazia e Diritti Fondamentali’”, Salerno, 5, 6
e 7 dicembre 2019, Giustamm.it 9 (2020). Ma v., amplius, P. ALVAZZI DEL
FRATE, Individuo e comunità. Considerazioni storico-giuridiche
sull’individualismo, 2° edizione, Giappichelli, Torino 2020.
81
Si trova un fugace richiamo ai doveri dei membri del corpo sociale solo nel
preambolo della Dichiarazione.
82
In cui il riferimento ai doveri riguarda più specificamente quanti ricoprano
funzioni pubbliche (così nel preambolo e nell’art. 30, per il quale “Le funzioni
pubbliche […] non possono essere considerate come distinzioni né come
ricompense, ma come doveri”), mentre l’unico dovere che la Carta riferisce al
popolo è l’insurrezione, quando il governo ne viola i diritti.
83
Si vedano gli articoli da 1 a 9 che compongono la parte sui doveri della
Dichiarazione del 1795.

29
riconoscimento dei diritti che dell’imposizione dei doveri 84 . La scelta è
particolarmente significativa allorché la Carta definisce i doveri di
solidarietà: così, ad esempio, l’art. 18 della «Dichiarazione» attribuisce a
«ogni uomo» il dovere di «soccorrere gli altri uomini, e sforzarsi di
conservare e migliorare l’essere de’ suoi simili»; l’art. 19 prevede «il sacro
dovere dell’uomo di alimentare i bisognosi»; l’art. 20 imputa ad «ogni
uomo» il dovere «d’illuminare e d’istruire gli altri». In sostanza, mentre il
dovere di solidarietà sociale nella Carta giacobina del 1793 gravava
sull’intera società85 (ma parimenti accade oggi per la Costituzione italiana
all’art. 3, comma 2, che attribuisce il compito alla “Repubblica”), nella Carta
napoletana questi doveri sono declinati sul piano individuale86.
Questa impostazione, che enfatizza il dovere individuale, in un approccio
tipicamente repubblicano, non poteva che riverberare sul piano delle
disposizioni dettate nel testo della Costituzione in tema di educazione dei
cittadini, nella misura in cui solo cittadini educati al valore della dimensione
collettiva - sul modello dell’esperienza dell’antica Grecia - possono
consapevolmente svolgere un ruolo attivo.

84
Non a caso, nella “Dichiarazione dei diritti e doveri dell’uomo, del popolo e de’
suoi rappresentanti”, quando la Carta partenopea elenca i “Diritti dell’uomo” è solita
affermare “ogni uomo ha diritto…”; quando elenca i “Diritti del cittadino” afferma
“ogni cittadino ha il diritto…”; quando elenca i “Doveri dell’uomo” parimenti
esordisce “ogni uomo deve…”; come quando elenca i “Doveri del cittadino” (“ogni
cittadino deve…”) o quelli “de’ pubblici funzionari” (“I pubblici funzionari
debbono…”). La circostanza è sottolineata da G. BASCHERINI, “Le eredità
dell’esperienza costituzionale romana del 1849”, Rivista AIC 1 (2020), 114, nt. 62,
secondo il quale nel terzo principio romano risuonerebbe una lontana eco dell’art. 2
della Dichiarazione dei diritti e doveri dell’uomo, del popolo e de’ suoi
rappresentanti che apre la Costituzione della repubblica napoletana del 1799. L’A.
nota, infatti, che la Costituzione napoletana del ’99 non contemplava un impegno
della Repubblica a promuovere quel miglioramento, limitandosi ad affermare che
“ogni uomo ha dritto di conservare e migliorare il suo essere, e perciò tutte le sue
facoltà fisiche e morali”.
85
L’art. 21 attribuiva alla società l’obbligo di provvedere alla sussistenza dei
“cittadini sfortunati, sia procurando loro un lavoro, sia assicurando i mezzi di
sostentamento a coloro che non sono in condizioni di lavorare”.
86
Si coglie in questo approccio la tensione tipicamente repubblicana che sarà
ulteriormente enfatizzata da Giuseppe Mazzini. v. G. MAZZINI, I doveri dell’uomo,
Bur Rizzoli, Milano, 2010.

30
Basti a riprova di questo assunto richiamare una disposizione della Carta
napoletana, quell’art. 13 per il quale “non possono i giovani essere ascritti
sul registro civico, se non provano di saper leggere, scrivere, esercitare un
mestiere, e render conto del catechismo repubblicano”. Ora, se l’iscrizione
“sul registro civico del suo cantone” è condizione della cittadinanza (art. 6),
si capisce che l’esercizio dei diritti politici è subordinato, fra l’altro,
all’alfabetizzazione ed alla conoscenza della Costituzione. Questo approccio
non deve, peraltro, destare meraviglia, costituendo un punto di vista molto
diffuso a quei tempi87.
Ed è, quindi, proprio in tema di istruzione e di educazione che si coglie una
delle peculiarità più importanti della Carta napoletana, la quale si preoccupa
che siano formati cittadini con forte personalità morale e coscienza politica,
dediti alla patria ed ai valori dell’uguaglianza e del riconoscimento dei
diritti. Così, a differenza del titolo X della costituzione termidoriana,
intitolato semplicemente “Istruzione pubblica”, l’equivalente titolo della
Carta partenopea muta la rubrica («Della educazione ed istruzione
pubblica»), incrementa la sua consistenza (passando da sei a ben ventisette
articoli) 88.

87
Era pensiero comune all’epoca, che fosse determinante la consapevolezza civica
per l’esercizio dei diritti politici. Già Gaetano Filangieri, ad esempio, nella Scienza
della Legislazione aveva escluso l’elettorato attivo per quanti, indigenti, potessero
essere facilmente preda di mercimonio del proprio voto. Sul diniego del voto agli
indigenti in Filangieri ci si permette di rinviare a M. GALDI, “Il contributo di
Gaetano Filangieri al costituzionalismo”, in Rassegna di Studi e Ricerche
Pubblicistiche (2016), p. 17. Così, il patriota Matteo Angelo Galdi, solo pochi anni
più tardi, nel Suo Saggio d’istruzione pubblica rivoluzionaria (pubblicato a Milano,
dalla “Stamperia de’ Patrioti d’Italia in Strada Nuova” nel 1803, anno VI della
repubblica cisalpina) sostiene la centralità di quella che definisce “educazione
pubblica rivoluzionaria”. Cfr. M.A. GALDI, Saggio d’istruzione pubblica
rivoluzionaria…, p. 4. D’altronde, appartiene al pensiero politico giacobino e, in
genere, al filone repubblicano, l’idea dell’importanza della conoscenza da parte dei
cittadini della Costituzione: è nota la proposta di Maximilien Robespierre
all’Assemblea Nazionale del 1793 di prevedere all’art. XX che Essa debba costituire
“il primo oggetto dell'istruzione pubblica”. Cfr. M. ROBESPIERRE, La Scalata al
Cielo. Discorsi, a cura di M.A. CATTANEO, Essedue edizioni, Verona 1989, p.
118.
88
M. BUONOCORE CACCIALUPI, “Istruzione, educazione e cultura nelle
costituzioni giacobine italiane e nelle successive carte preunitarie”, Rivista italiana

31
In questo contesto occorre inserire la previsione di una peculiare
magistratura, disciplinata nell’unico sottotitolo nuovo inserito nel titolo X:
«Della censura». Il “tribunale di censura”, disciplinato nel documento qui in
esame dall’artt. 307 al 318, era teso ad assicurare una garanzia di tipo
giurisdizionale per i principi morali del repubblicanesimo, a presidio
dell’adempimento dei doveri del cittadino. La nuova magistratura, composta
da cinque membri e di durata annuale, doveva essere eletta (al pari delle altre
magistrature) in ogni cantone dalle assemblee elettorali. Gli articoli 313, 314
e 316 del progetto chiariscono la funzione di questi giudici: “essi giudicano
dei costumi dei cittadini”, operando sia di propria iniziativa che in base a
denuncia dei giudici di pace, cioè della magistratura di prossimità, che anche
in ragione del suo ufficio era considerata la più idonea a vigilare sui
comportamenti dei cittadini. L’art. 316 estende le funzioni dell’organo anche
alla specifica vigilanza sull’educazione pubblica e sui funzionari a questa
destinati89. L’art. 314, infine, precisa la natura del controllo sociale operato

di studi napoleonici XXI 1-2 (1984), pp. 107-159. La scelta operata nella Carta
termidoriana, che puntava solo sull’istruzione come formazione intellettuale non
poteva risultare sufficiente agli occhi dei riformatori napoletani, per i quali, invece,
era indispensabile si sviluppasse un’etica repubblicana diffusa, imperniata sulla
pratica delle virtù civili. Così, sull’esempio degli antichi greci, la Carta partenopea
prevedeva la realizzazione di «teatri repubblicani» come strumenti di promozione
dello «spirito di libertà» (art. 299) e di «feste nazionali» destinate ad «eccitare le
virtù repubblicane» (art. 300); essa, inoltre, attribuiva ai “padri di famiglia” il
compito dell’educazione, anche “morale”, da impartire ai figli (v. art. 293, per il
quale “l’educazione fisica, morale ed intellettuale privata, che debbono i padri di
famiglia dare a’ loro figliuoli fino all’età di sette anni, è prescritta dalla legge”),
disponendo l’insegnamento della Costituzione fin dalle scuole primarie (v. art. 301
per il quale i “giovanetti” dovessero apprendere “a leggere, a scrivere, e gli elementi
dell’aritmetica, ed il catechismo repubblicano”) e in occasione delle festività (l’art.
298 stabiliva che “in ogni giorno festivo” i bambini “maggiori di sette anni”
dovessero intervenire “ne’ luoghi dalla legge stabiliti a sentire la spiega del
catechismo repubblicano”). Sul tema si rinvia a D. IPPOLITO, “La costituzione
napoletana del 1799 e la dimensione etica della cittadinanza repubblicana”, Clio 4
(2010), pp. 629 ss.
89
Per l’art. 316: “I censori debbono altresì vegliare sulla educazione pubblica, e
possono punire tutti i funzionarii a quella destinati, così per omissione come per
commissione”.

32
dai censori e soprattutto la sanzione da esso comminata, con decisione
inappellabile90:
“se alcuno viverà poco democraticamente, cioè da dissoluto o voluttuoso,
darà una cattiva educazione alla sua famiglia, userà dei modi superbi ed
insolenti e contro l’eguaglianza; sarà dai censori privato del dritto attivo o
passivo di cittadinanza, secondo la sua colpa. In qualunque caso non potrà la
pena eccedere il triennio: ma per nuove colpe potrà esser notato, e castigato
di nuovo”.
Dunque, nessuna conseguenza sul piano penale o pecuniario, ma solo su
quello squisitamente politico: la perdita, diremmo oggi per “indegnità” (art.
48, comma 4, della Cost. italiana91), dei diritti di cittadinanza, per un periodo
massimo di tre anni92. Non si tratta, tuttavia, di una pena bagattellare, se si
considera che essa comporta il venir meno del diritto di eleggere e
soprattutto di essere eletti a qualunque carica, compresa evidentemente, nel
sistema costituzionale prefigurato nella Repubblica napoletana, quella di
magistrato o pubblico amministratore: insomma, una sorta di

90
Per l’art. 317: “I decreti di questo tribunale sono inappellabili: si debbono
stampare, leggere ed affiggere in tutti i luoghi pubblici”.
91
Per l’art. 48, comma 4, “Il diritto di voto non può essere limitato se non per
incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità
morale indicati dalla legge”. Sul tema v. E. GROSSO, “Art. 48”, in Commentario
alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Utet,
Torino 2006, p. 977.
92
L’articolata rubrica della Carta partenopea definisce una serie di caratteri che
devono avere i membri del Tribunale di censura, nonché le garanzie personali poste
a presidio della loro delicata funzione. Quanto ai caratteri, essi per essere eletti
devono avere “almeno cinquanta anni compiuti” ed essere domiciliati “nel cantone
almeno cinque anni di seguito precedenti alla elezione” (art. 309); le rispettive
funzioni sono annuali (art. 310) e non sono rieleggibili se non dopo un triennio (art.
311); si riuniscono ogni tre mesi e per non più di otto giorni (art. 312). Quanto alle
garanzie personali, si estendono ai membri del tribunale di censura le medesime
garanzie disposte dagli artt. da 108 a 121 della Carta per i membri del Corpo
legislativo (art. 318), fra le quali spicca l’immunità di cui agli artt. 108 2 109: “non
possono (…) essere citati, accusati, o giudicati in niun tempo per quel che essi han
detto o scritto nell’esercizio delle loro funzioni; purché non sia a favore dei poteri
ereditari e perpetui”; “essi, immediatamente dopo la loro nomina fino al 30° giorno
dopo spirate le loro funzioni, non possono esser sottoposti a giudizio, fuorché nelle
forme prescritte negli articoli seguenti”.

33
“neo-ostracismo”, che tuttavia, in applicazione del principio di separazione
dei poteri, non poteva riguardare chi svolgesse una pubblica funzione,
quantomeno per il periodo in cui essa fosse esercitata93.
Questa magistratura, che già solo per il nome “censura” richiama prassi e
contenuti avvertiti come deleteri94, meriterebbe di essere invece considerata
nella sua attualità. Oggi, che nel nostro Paese si reintroduce l’educazione
civica nelle scuole95; oggi, che si mette in campo un’ampia strategia di lotta
alla corruzione, la quale naturalmente implica un lavoro fondamentale di
recupero della dimensione etica all’interno delle pubbliche
amministrazioni96; oggi, che si inizia a registrare sul piano internazionale la
prospettiva di un utilizzo delle nuove tecnologie per controllare gli stili di
vita e sanzionare quanti si comportino in modo debordante rispetto all’ideale
del buon cittadino97… una simile riflessione sembra quanto mai opportuna,
sia pure nel contesto di valori costituzionali costituenti un bagaglio
irrinunciabile, nell’ottica della riscoperta sia dei doveri costituzionali che
dell’etica in sé.

93
Per l’art. 315: “Non posson i censori infliggere la pena censoria a coloro che si
trovano costituiti in autorità: ma dopo terminate le loro pubbliche funzioni, possono
punirli per que’ vizi che avranno manifestati anche nel corso delle loro cariche”.
94
Basti pensare alla censura della stampa, ampiamente praticata sotto il regime
fascista.
95
La reintroduzione dell’insegnamento dell’educazione civica è avvenuta in Italia
con la legge 20 agosto 2019, n. 92. Ci si permette di rinviare a M. GALDI,
“L’educazione alla cittadinanza come via per la sicurezza e la giustizia. Un esame
comparato fra Italia e Brasile”, in Giustamm.it 11 (2020).
96
Per la centralità dell’etica pubblica per combattere la piaga della corruzione sia
consentito rinviare a quanto scritto in M. GALDI, “La corruzione come disvalore
costituzionale”, Federalismi.it 20 (2019), pp. 27 ss. D’altronde, a questa logica
risponde la previsione di codici di comportamento dei dipendenti presso le pubbliche
amministrazioni, a partire dal D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, Regolamento recante
codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per il quale v. E. CARLONI, “I codici di
comportamento oltre la responsabilità disciplinare”, Il lavoro nelle pubbliche
amministrazioni (2017), pp. 158 ss.
97
F. COSTANTINI – G. FRANCO, “Decisione automatizzata, dati personali e
pubblica amministrazione in Europa: verso un ‘Social credit system’”, Istituzioni del
Federalismo 3 (2019), pp. 716 ss.

34
6. Di straordinaria modernità è anche la previsione, nel titolo XIII del
progetto di Costituzione, dell’istituto della «custodia della Costituzione».
La necessità di controllare in qualche modo il potere legislativo si era
manifestata nei secoli precedenti, anche durante l’Ancien Regime: un
esempio si può rinvenire nel ruolo assunto dal Parlamento di Parigi di
registrare, verificare e conservare gli atti normativi del Re, con la facoltà di
rifiutare la registrazione (c.d. remontrances) in presenza di violazioni delle
“Lois fondamentales du Royaume” 98 . La Costituzione della Pennsylvania,
poi, nel 1776, aveva istituito un organo denominato “consiglio dei censori”,
fra le cui competenze vi erano quelle di “esaminare se la costituzione” fosse
stata “conservata in tutte le sue parti senza la menoma infrazione”; di
controllare “se i corpi incaricati del potere legislativo ed esecutivo” avessero
adempiuto “alle loro funzioni come guardiani del popolo, o se” si fossero
arrogati e avessero esercitato “altri o maggiori diritti di quelli loro accordati
dalla Costituzione”; di “raccomandare al corpo legislativo l’abrogazione
delle leggi” contrarie “alla Costituzione”; di promuovere il processo di
revisione costituzionale nel caso avesse ravvisato la “necessità assoluta di
correggere qualche articolo difettoso della Costituzione, spiegarne alcuno
non espresso chiaramente o aggiungerne che fossero necessari alla
conservazione della prosperità e dei diritti del popolo” 99 . Anche l’abate
Joseph Emmanuel Sieyès aveva prospettato l’istituzione di un organo a
salvaguardia della Costituzione, nel dibattito all’Assemblea nazionale che
precedette l’adozione della Costituzione termidoriana 100 ; ma l’idea della
centralità della legge come espressione della volontà generale era prevalsa,
non consentendo che la stessa incontrasse limiti eteronomi101.

98
P. ALVAZZI DEL FRATE, Giustizia…, p. 12.
99
V. art. 47 della Costituzione della Pennsylvania del 1776.
100
J.-E. SIEYÈS, Opinione sulle attribuzioni e l’organizzazione del giurì
costituzionale [1795], in J.-E. SIEYÈS, Opere e testimonianze politiche, 1° vol., a
cura di G. TROISI SPAGNOLI, Giuffrè, Milano 1993, p. 814, per il quale “una
costituzione o è un corpo di leggi obbligatorie, o non è niente. Se si tratta di un
corpo di leggi, ci si domanda dove sarà il custode, dove sarà la magistratura di un
tale codice?”.
101
M. FIORAVANTI, “Sindacato di costituzionalità delle leggi e Rivoluzione
francese. Sieyès e il jury constitutionnaire”, in Le Carte e la Storia, XI 1 (2005), pp.
175-188.

35
E invece, la Carta napoletana contempla un “Custode della Costituzione”,
andando con significativa coerenza logica a fornirne la giustificazione già in
seno alla “Dichiarazione dei diritti e doveri dell’uomo, del popolo e de’ suoi
rappresentanti”. In particolare, infatti, essa, nell’ambito della rubrica “Diritti
del popolo” prevede all’art. 13, il suo “dritto fondamentale […] di stabilirsi
una libera Costituzione, cioè di prescrivere a sé stesso le regole colle quali
vuol vivere in corpo politico”; ed all’art. 14, il conseguente “dritto di poter
mutare, quando lo stimi a proposito, la forma del governo, purché dia a se
stesso una libera Costituzione”. Ma soprattutto, in quest’ultima disposizione,
dopo aver affermato il principio di sovranità popolare (“La sovranità è un
dritto inalienabile del popolo”) la Carta partenopea ne fa discendere che
“laonde o da sé, o per mezzo dei suoi rappresentanti, (il popolo) può farsi
delle leggi conformi alla costituzione che si ha stabilita […]”. La sovranità
del popolo, cioè, una volta che si è dato liberamente una Costituzione, non è
illimitata, ma può esprimersi solo attraverso “leggi conformi alla
Costituzione”. Questo assunto, che ricorda l’art. 1 della Costituzione italiana
vigente (che pure afferma la sovranità popolare, che tuttavia si esercita
“nelle forme e nei limiti della Costituzione”), costituisce il punto nodale che
maggiormente segna la discontinuità del Progetto napoletano rispetto al suo
modello francese.
Francesco Mario Pagano riprende nel titolo XIII del progetto di Costituzione
l’idea, già avanzata nella seconda edizione dei suoi Saggi politici, di un
“tribunale supremo” posto a “custodia della costituzione e della libertà”: il
“corpo degli Efori”, concepito come istituzione di garanzia della costituzione
e dell’equilibrio dei poteri102.
Così il giurista illustra l’istituzione dell’organo nella relazione di
accompagnamento del progetto di Costituzione rivolta al Governo
provvisorio:
“Esso farà rientrare il potere esecutivo nella sua linea ove l’abbia
oltrepassata. Esso opporrà un veto al Corpo legislativo, se in qualche caso
usurpi l’esecuzione; e nel tempo stesso richiamerà l’uno e l’altro corpo,
quando faccia mestieri, all’adempimento de proprii doveri, riparando

102
G. D’EUFEMIA, “La Censura e l’Eforato nel progetto di Costituzione di Mario
Pagano”, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza vol. VII-VIII (1947), pp.
141-151. L’istituto ripropone il collegio di magistrati, eletti ogni anno dal popolo,
che nell’antica Sparta vigilavano sul comportamento del re, dell’Assemblea degli
anziani (Gerusia) e, in generale, su tutti i poteri dello Stato.

36
insieme agli eccessi di commissione ed a’ difetti di omissione (…). Ma
perché sia baluardo di libertà e non già seme d’arbitrario potere, ei conviene,
che sia spogliato d’ogni altra funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria,
perché non abbia interesse alcuno d’inceppare le altrui funzioni per
estendere le proprie”103.
Nel progetto di Costituzione il corpo degli Efori doveva comporsi da tanti
membri quanti erano i dipartimenti della Repubblica napoletana (17), eletti a
cadenza annuale dalle rispettive assemblee elettorali. Potevano essere eletti
solo gli ex membri degli organi del potere legislativo ed esecutivo, che
avessero compiuto i 45 anni di età, fossero sposati o vedovi nonché residenti
nel territorio della Repubblica da almeno un decennio 104 . Essi erano
incompatibili con qualsiasi altra carica. Le competenze del collegio erano
individuate nell’art. 368 del Progetto. Ricalcando l’esperienza del “consiglio
dei censori” della Costituzione della Pennsylvania, al corpo degli Efori
spettava:
“1. Di esaminare se la Costituzione è stata conservata in tutte le sue parti. 2.
Se i poteri hanno osservato i loro limiti costituzionali, oltrepassando o
trascurando ciòcche la costituzione stabilisce. 3. Di richiamare ciascun
potere ne’ limiti e doveri rispettivi, cassando ed annullando gli atti di quel
potere che li avesse esercitati oltre le funzioni attribuitegli dalla costituzione.
4. Di proporre al Senato la revisione di qualche articolo della Costituzione,
se per esperienza non si trovasse conveniente. 5. Di rappresentare al corpo
legislativo l’abrogazione di quelle leggi che sono opposte ai principii della
Costituzione”.
Innovativo, in particolare, era il potere ispettivo105, e soprattutto quello di
“annullamento degli atti contrari alla Costituzione”, di cui l’art. 373 definiva
nel dettaglio addirittura la formula («la costituzione riprova ed annulla l’atto
del potere ecc.») e che, una volta esercitato, determinava il venir meno della
vincolatività degli atti adottati dai pubblici poteri, costretti ad
«uniformarvisi» (art. 374).

103
F. MORELLI E A. TRAMPUS (a cura di), Progetto di Costituzione …, p. 129.
104
A. LO CALZO, “Protosistemi di giustizia costituzionale: il Corpo degli Efori
nella Costituzione della Repubblica napoletana del 1799”, Historia Constitucional
14 (2013), pp. 251-305.
105
Per l’art. 369: “Questo corpo ha il potere di farsi presentare tutte le carte e tutti i
registri che saranno necessarii”.

37
In vero, l’annullamento non poteva riguardare le leggi, per le quali, come si
è appena visto, il collegio degli Efori doveva limitarsi a proporre
l’abrogazione al corpo legislativo. In ciò si può cogliere l’estremo rispetto
che anche la Carta partenopea intese rivolgere alla “volontà generale”,
espressa dal popolo per il tramite della legge; e, nel contempo, l’ulteriore
applicazione del principio di separazione dei poteri, per cui un organo
sostanzialmente giurisdizionale non poteva ingerirsi nella funzione
legislativa.
Sul piano, invece dei potenziali conflitti intersoggettivi, i poteri dell’Eforato
erano decisamente penetranti, potendo intervenire tanto in presenza di atti
omissivi che commissivi, ove contrastanti con la Costituzione106. Insomma,
poteri così intensi, che la Carta si preoccupava di tutelare il corpo degli
Efori, dotandoli di una propria forza armata107 ed assicurando loro le stesse
guarentigie previste per i membri del potere legislativo108.
Molti, dunque, gli spunti che ancora oggi sollecita la lettura del Progetto di
Costituzione napoletana del 1799. Oggi, che in Europa si torna a mettere in
discussione il principio di indipendenza della magistratura 109 , è salutare

106
«Riparando» non solo a «gli eccessi di commissione» ma altresì a «i difetti di
omissione». Progetto di Costituzione…p. 129.
107
Per l’art. 353: “Vi ha una guardia di cittadini presi dalla guardia nazionale
sedentanea, presso il corpo degli efori, eguale a quella dell’Arcontato, il servizio
della quale è determinato dallo stesso corpo”.
108
Per l’art. 380: “Gli articoli 108 e seguenti fino a 121 inclusivamente, sulla
guarentigia de’ membri del Corpo legislativo, sono comuni ai membri del corpo
degli efori: se non che quel CHEni è ivi detto delle accuse prodotte nel Corpo
legislativo, qui s’intende delle accuse nel corpo degli efori, il quale esclusivamente
giudica solo delle accuse de’ suoi membri”.
109
Di recente, una riforma del sistema giudiziario approvata in Polonia ha
gravemente ridimensionato l’indipendenza dall’Esecutivo della magistratura, con
una conseguente forte reazione dalla Commissione europea, che ha denunciato “una
seria violazione dello Stato di diritto”. V. L. CAPPUCCIO, “Stato diritto e difesa
dell'indipendenza della magistratura in una recente pronuncia della Corte di giustizia
Nota a ord. CGUE Grande sezione 17 dicembre 2018 (causa C-619/18 R)”,
in Quaderni costituzionali 2 (2019), pp. 470-472; P. MORI, “La questione del
rispetto dello Stato di diritto in Polonia e in Ungheria: recenti sviluppi”,
Federalismi.it 8 (2020); S. GIANELLO, “La nuova legge polacca sul sistema
giudiziario: cresce (ulteriormente) la distanza che separa Varsavia e Bruxelles”,
Federalismi.it 8 (2020); M. FERRARA, “Commissione europea contro Polonia, atto

38
riandare a queste letture per riacquistare il giusto orgoglio di una tradizione
giuridica unica e per guardare al futuro, memori dello straordinario bagaglio
di valori, principi, insegnamenti che ci provengono dai nostri progenitori.

secondo. La Corte di giustizia ancora a difesa dell’indipendenza dei magistrati


polacchi e della Rule of Law; Nota a sent. CGUE grande sez. 5 novembre 2019
(causa C-192/18 Commissione vs Repubblica di Polonia)”, DPCE online 1 (2020),
pp. 899-906; N. CANZIAN, “Il principio europeo di indipendenza dei giudici: il
caso polacco”, Quaderni costituzionali 2 (2020), pp. 465 ss.

39

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