Sei sulla pagina 1di 20

2015

Proprietà artistica e letteraria


riservata per tutti i paesi.
Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.
Prima edizione: dicembre 2015

ISBN 978-88-97741-45-9

© 2015, Editrice Gaia

Editrice Gaia
Via Tenente Manniello, 3
84012 Angri (Salerno)
info@editricegaia. it
www. editricegaia. it

Stampa Leda print s.r.l.s


Marco Galdi
Il Contributo della Grecia antica
al Diritto Pubblico dei moderni

sommario

1. Gli Elleni: un Popolo “smisurato” alla base della civiltà occidentale. | 2.


La gerarchia di valori nell’etica pubblica greca: guerra e libertà. | 3. Il primo
fondamentale contributo della Grecia antica al diritto pubblico dei moder-
ni: l’idea di legge valida per tutti. | 4. Il secondo fondamentale contributo:
la “limitazione” del potere. | 5. Il terzo: il “diritto naturale” contrapposto alla
legge positiva. | 6. Il quarto: la democrazia ed il superamento dell’imme-
desimazione fra dimensione politica e sociale. | 7. Il quinto: le libertà civili e
la formazione integrale del cittadino. | 8. Considerazioni conclusive.
1. è indubbio che la Grecia antica abbia dato un contributo uni-
co, essenziale, alla formazione della civiltà occidentale. Il debito è
incommensurabile in tutte le branche della conoscenza umana, dalla
filosofia alla matematica, dalla politica alla medicina, dalla letteratura al
teatro, dalla storiografia alla poesia, dalla fisica alla metafisica, dall’arte
alla retorica, alla grammatica, alla zoologia, alla logica, alla botanica…
Quello degli Elleni è stato un percorso durato secoli, applicando
il metodo razionale (lo “spirito apollineo”) alla scoperta della natura
delle cose ed alla conoscenza stessa dell’uomo: un’opera “smisurata”
che non poteva certo ignorare il diritto, come regola dell’organizza-
zione sociale1.
Ovviamente non si ha la pretesa in questo breve saggio, che rior-
ganizza la prolusione al corso di Diritto pubblico svolto quest’an-
no nella Facoltà di Economia, di dare una ricostruzione esaustiva
del contributo che la Grecia antica ha dato al diritto pubblico dei
moderni. Se, infatti, l’esperienza giuridica della Grecia antica inve-
ste un campo sia dal punto di vista spaziale che temporale estre-
mamente ampio2, non sempre si rinvengono fonti documentali e

1
Nietzsche, nei frammenti raccolti postumi, in modo mirabile, scrive: “Alla
base del greco sta lo smisurato, il deserto, l’asiatico. Il valore del greco consiste nella
lotta contro il suo asiatismo. La bellezza non gli fu data in dono, così come non gli
furono donate la logica né la naturalezza dei costumi. Fu conquistata, voluta, espu-
gnata. È la sua vittoria”. Cfr. F. Nietzsche, La volontà di potenza (Der Wille zur
Macht), a cura di G. Brianese, Editore Mimesis, 2006, frammento 1050.
2
Più di un millennio e mezzo di storia: dal periodo miceneo al 212 d.C. allorché
la constituio Antonininiana attribuì a tutti gli abitanti dell’impero romano la cittadi-
nanza, con la conseguenza che persero vigore tutti gli ordinamenti particolari.

5
queste non sempre sono giunte a noi integre. Peraltro, la pluralità
di esperienze giuridiche, favorita dal particolarismo e dal profondo
senso di autonomia e di libertà degli Elleni, richiederebbe studi
specifici sia dal punto di vista archeologico che più strettamente
storico-giuridico mirati su realtà diverse, che evidentemente esor-
bitano dall’economica di queste pagine ed anche dalle competenze
di chi le scrive.
Ci si limiterà, quindi, a ricordare notizie per lo più note e relative
alla Polis di Atene, per la quale, con riferimento al V ed al IV seco-
lo a.C., si dispone di una cospicua ricchezza di fonti; quindi si svol-
gerà il compito di verificare in qual misura soluzioni istituzionali e
idee assunte nella Grecia antica abbiano influito sul diritto pubbli-
co dei moderni, pur nella piena consapevolezza di quanto un’ope-
razione similare possa essere difficoltosa e non sempre esperibile
in ragione della profonda differenza dei contesti.

2. Preliminarmente, quindi, occorre contestualizzare il ragiona-


mento, che ci si appresta a svolgere sul piano più strettamente giu-
ridico. E per farlo sembra utile chiarire quale fosse la gerarchia di
valori dell’etica pubblica greca, dall’età arcaica e fino all’avvento di
Alessandro Magno.
Credo che meglio di ogni altra fonte antica, definisca questa ge-
rarchia l’incipit di una delle più note poesie di Saffo3, intitolata La
cosa più bella:

O] μν ππων στρτν  δ πσδων


 δ νων φασ’ π γν μλαιναν
]μμεναι κλλιστν γω δ κν
     ττω τσ παται…

Dicono che sopra la terra nera


la cosa più bella sia una fila di cavalieri,
o di opliti, o di navi.
Io dico: quello che s’ama…

Saffo è la più conosciuta delle poetesse greche, vissuta a Lesbo dal 640 al 580 a.C.
3

6
Se Saffo, infatti, capovolge la gerarchia dei valori, ponendo al
primo posto l’amato, evidentemente spetta piuttosto alla guerra il
primato nella mentalità dominante del suo tempo. D’altronde, la
storia greca è storia di conflitti permanenti, all’interno delle città
e fra queste: guerre sacre per il controllo dei santuari, guerre per
la conquista di nuovi mercati, per la difesa, per l’egemonia... Prati-
camente ogni anno si svolge una guerra e, come si vedrà, la stessa
organizzazione della società è imperniata intorno a questo evento.
Il momento in cui si incrina la descritta gerarchia di valori coinci-
de con l’età di Pericle, che rappresenta l’acme nello sviluppo della
civiltà classica, allorché si afferma ad Atene un nuovo edonismo,
l’idea che la felicità individuale vada ricercata attraverso la realiz-
zazione della propria personalità, il “vivere come si vuole”, la cul-
tura4. Meglio di qualsiasi altro documento testimonia questa svolta
un piccolo bassorilievo scolpito in marmo pario, conservato nel
museo dell’Acropoli: l’Atena pensosa (460 a.C. circa). Con il capo
reclino sulla lancia, Atena riflette sui caduti delle guerre...
E che il conflitto sia il tema portante dell’identità ellenica, lo si
legge sulle metope e sui frontoni dei templi dai colori blu, rosso e
giallo, di cui rimangono ormai solo labili tracce, così lontani nella
realtà antica da quell’idea rinascimentale e poi neoclassica di or-
dine, bianco, simmetria, cui spesso siamo
stati abituati.
Un secondo fondamentale elemento di
contesto, strettamente connesso al primo,
è rappresentato dall’indipendenza e dalla
liberà di ciascuna Polis greca, che si affian-
ca come valore fondante alla guerra. Gli
Elleni erano ben consapevoli di essere una
stirpe, ma mai ritennero di costituire una
Nazione, intesa quale entità unica, pre-
messa necessaria per l’unità politica. Forse
i momenti nei quali la storia greca adom-
bra questa coscienza nazionale sono solo

4
Si rinvia alla lettura dell’Elogio della democrazia, attribuito a Pericle da Tu-
cidide, La guerra del Peloponneso, II, 37-40.

7
due e coincidono con le “Leghe elleniche” costituite per far fronte
alla minaccia persiana prima e macedone poi. Ma nel primo caso le
divisioni prevalsero e non ci fu in realtà un coinvolgimento pieno
del mondo greco5; nel secondo l’intelligenza di Filippo II e la forza
preponderante dei Macedoni fecero indubbiamente la differenza,
facendo sì che la storia voltasse definitivamente una pagina.
Entrambi questi elementi di contesto ci introducono alla conside-
razione del fenomeno giuridico come organizzazione sociale nella
Grecia antica: la centralità della guerra giustifica, soprattutto in una
polis come Atene, in ragione del sempre maggiore numero di citta-
dini coinvolti nei conflitti, la crescita della partecipazione popolare e
la trasformazione della democrazia verso forme sempre più radicali
e diffuse; lo spirito indomito di libertà degli Elleni spiega perché non
si raggiungerà una forma di organizzazione politica più complessa
della polis, e perché, quando pure ciò accadrà con le esperienze fe-
derali, dette organizzazioni non potranno mai del tutto soffocare
l’autodeterminazione delle singole città. Ne discende, come logica
conseguenza, che nella frammentazione il fenomeno giuridico si sia
svolto con accenti e vicende differenti in ciascun ambito territoriale.

3. Fatte queste precisazioni, utili a contestualizzare il percorso che


ci si accinge a svolgere, occorre ricordare come dapprincipio e fino
almeno a tutto il VI secolo a.C., come accade in tutte le società arcai-
che, il diritto ebbe nel mondo greco un profondo radicamento nel
fenomeno religioso: parole chiave furono la némesis (νμεσις), puni-
zione divina provocata dal superamento del limite posto a ciascuno, e
la hybris (ρις), colpa grave che accompagna il reo per tutta la vita.
L’idea di uguaglianza, come la intendiamo noi moderni, non appar-
tenne certamente all’età eroica, cioè alla società descritta da Omero
nell’Iliade o nell’Odissea, né maturò in età classica: quella greca era e
rimase sempre una società divisa in classi sociali con soggetti esclusi dai
diritti politici (gli schiavi, le donne, i barbari): anche nella riforma più
radicale di Pericle, le più alte magistrature (ad es. l’Arcontato) saranno
aperte fino alla classe degli Zeugiti, ma mai estese a tutti i cittadini.
Ciò nondimeno, come strumento di mediazione e di pacificazio-

Cfr. M.Corsaro, L. Gallo, Storia greca, Roma, 2010, 97.


5

8
ne, il pluralismo sociale trovò composizione nella comune accetta-
zione di un vincolo superiore e applicabile a tutti: la legge.
Chiarisce bene quanto accadde Mario Veggetti, secondo il quale
nell’Atene del tempo di Solone (ca. 594/3 o 592/1 a.C.) si rag-
giunge un equilibrio destinato a segnare tutta la storia della società
ateniese: si imposero leggi “dotate di validità universale e accetta-
te dall’insieme del corpo sociale. Accettando la supremazia del-
la legge, le grandi stirpi aristocratiche non rinunciavano davvero
ad esercitare il potere, che anzi la legge stessa assicurava loro; ma
certo rinunciavano ad un dominio assoluto e incontrollato, e rico-
noscevano una nuova situazione – quella politica appunto – in cui
il loro potere, per risultare giustificato, doveva in qualche misura
appoggiarsi sul consenso dell’intera comunità, in nome della quale
veniva esercitato”6.
La svolta di Solone è fondamentale: pone a base della polis la
legge; Νμς ασιλες, la chiamerà Pindaro, la norma sovrana
che governa gli uomini e gli dei7.
Ecco il primo contributo centrale della Grecia antica al diritto pub-
blico dei moderni: l’idea di legge valida per tutti e da tutti accettata8.
6
Cfr. M. Vegetti, Filosofie e società, Zanichelli, Bologna 1975, vol. I, pp. 69-71.
Riferisce l’A. che alla fine del VII secolo a.C. una gravissima crisi agraria causò
disordini civili. L’Aristocrazia decise allora di nominare per la città di Atene un ai-
symnetes affinché regolasse la situazione politica e sociale. Così fu scelto Solone:
“Questa situazione determinò rapidamente un conflitto sociale acutissimo […] Con
violenza crescente, vennero richieste l’abolizione dei debiti e della relativa schiavitù,
e la redistribuzione delle terre. Dal canto suo, l’aristocrazia era troppo divisa e disor-
ganizzata per far fronte alla minaccia di una grande rivolta contadina. In questa situa-
zione, una parte dell’aristocrazia compì una scelta destinata a segnare durevolmente
il destino della società ateniese: la scelta dello sviluppo della politica come ambito di
mediazione dei conflitti sociali. Poteri eccezionali furono affidati a un uomo, Solone,
che discendeva dalla famiglia degli ultimi re di Atene ed era legato da stretti rapporti
al sacerdozio delfico, ed appariva così [...] il più adatto a superare la crisi”.
7
Cfr. Pindaro, 518-438 a.C. circa, Frammento 169, 1. Sul tema si rinvia al fon-
damentale contributo di M. Gigante, Nomos Basileus, Bibliopolis editore, Napoli,
1993. D’altronde, una dinamica assai simile si registra a Roma, dove per mediare il
conflitto fra Patrizi e Plebei si decide di istituire un collegio composto da dieci saggi
(decemviri legibus scribundis), che nel 451-450 a.C. adotteranno le XII Tavole.
8
In vero, la prima legge conosciuta ad Atene è precedente e fu adottata da
Dracone nel 621 a. C.: la legge sull’omicidio, che puniva gravemente questo reato,

9
4. In vero, la tradizione riportataci dalle fonti letterarie attribui-
sce il primato nell’adozione delle leggi alla Magna Grecia: alla città
di Locri Epìzefiri, dove nel 660 a.C. Zaleuco fu il primo legislatore,
a Catania, ove operò Caronda, a Siracusa con Diocle ed a Reggio
con Androdamas.
Merita di essere ricordata, in particolare, la figura di Zaleuco,
che la tradizione vuole fosse affetto da monoftalmia: con un solo
occhio, come accade talvolta alla legge, poco chiara, lacunosa, con-
traddittoria…
La prima testimonianza materiale, invece, un’iscrizione, si è rin-
venuta a Creta ed è la legge costituzionale di Dreros, datata alla
metà del VII sec. a.C. Essa stabilisce una regola essenziale, che
pure esprime un principio modernissimo e direi rivoluzionario: è
vietato al Cosmo (magistrato cretese) ricoprire nuovamente la cari-
ca prima che siano decorsi almeno 10 anni…
L’idea della limitazione del potere, per un popolo così profonda-
mente libero come quello greco, fu un pensiero costante, quasi un’os-
sessione, che si espresse in vari istituti giuridici. Basti ricordare, ad
esempio, nella storia delle istituzioni ateniesi, l’ostracismo, ma anche
la durata annuale delle magistrature, il divieto voluto da Clistene di en-
trare nella Bulè per più di due volte nel corso della propria vita, ecc…
Una considerazione specifica la merita l’ostracismo: anch’esso in-
trodotto da Clistene (fu usato per la prima volta nel 478 a.C.), con-
sisteva nel voto espresso da almeno 6.000 cittadini su un coccio di
vaso (ostrakon), che provocava l’esilio per quanti ne fossero colpiti
per la durata di 10 anni, con la conservazione delle proprie ricchez-
ze. L’istituto, ideato per ridimensionare quanti stessero accumulan-
do troppo potere e ponessero a rischio la democrazia, di fatto costi-
tuì il metodo utilizzato dai leader politici contro i propri avversari.
L’idea della limitazione del potere, che maturerà nella riflessione
postuma con elaborazioni centrali per lo sviluppo delle moderne
istituzioni, a partire da quelle sulla divisione dei poteri9, trova nel

ma prevedeva esimenti per i delitti d’onore e per l’omicidio colposo.


9
Il padre di questa teoria viene individuato in C.L. de Secondat de Monte-
squieu, Lo spirito delle leggi, trad. di M.G. Meriggi, Milano, 1989.

10
diritto pubblico attuale una pluralità di istituti applicativi afferenti
alle forme di Stato (ad esempio risponde a questa logica la strut-
tura federale dello Stato), o alla forma di Governo (diversamente
connotate da una pluralità di organi che si bilanciano e controlla-
no reciprocamente) ovvero a disposizioni più specifiche (si pensi,
ad esempio, per l’Italia al divieto di ricoprire per più di due volte
consecutive la carica di Sindaco o alla distinzione fra poteri di in-
dirizzo politico e gestione amministrativa).
Si può dire, però, che la prima e consapevole incarnazione della li-
mitazione del potere si realizza in evo moderno con la teoria della di-
visione dei poteri di Montesquieu, per la quale è sorprendente come
sia possibile rinvenire nell’esperienza ellenica una chiara attuazione,
soprattutto se questa teoria è intesa nel suo significato più autentico
di distribuzione di funzioni diverse fra differenti classi sociali10.
Com’è noto si deve a Solone la divisione della popolazione ate-
niese in quattro classi di censo: i Pentacosiomedimni, che possede-
vano almeno 500 medimni di cereali ovvero altrettanti metreti di
olio; i Cavalieri che ne possedevano almeno 300; gli Zeugiti che ne
possedevano almeno 200 e i Teti, che possedevano meno di 200
medimni di cereali ovvero meno di altrettanti metreti di olio. E
sempre a Solone si deve la graduazione della partecipazione alla
cosa pubblica in ragione della classe sociale di appartenenza: così,
ad esempio, i soli Pentacosiomedimni possono aspirare ad entra-
re nel Collegio dei tesorieri di Atena; le prime due classi possono
aspirare all’Arcontato; gli Zeugiti possono aspirare alle magistra-
ture minori; i Teti sono esclusi dalle magistrature, ma partecipano
invece all’Assemblea (Ekklesia) e al tribunale popolare (Eliea).
Dunque, il ceto popolare nell’Atene del V secolo a.C. concorre
all’esercizio del potere legislativo: all’Ekklesia partecipavano tutti
i kyrios, i capifamiglia11; mentre la Boulè, era composta origina-
riamente da 400, poi con la riforma di Clistene da 500 membri,
10
Cfr. S. Cassese, Il potere esecutivo nei sistemi parlamentari di governo, in
Quad. cost., 1993, 141 ss.
11
Per Aristotele: “ogni Stato (polis) è composto di famiglie (Oukiai); le fami-
glie sono costituite intorno a tre rapporti umani fondamentali: padrone/schiavo,
marito/moglie, padre/figli. Anche la proprietà (Kyesis) è parte della casa. Cittadi-
ni a pieno titolo sono i Kyrios, i Capifamiglia.

11
con la funzione c.d. “prebouletica”, cioè di preparare i lavori
dell’Assemblea. è intuibile che nella Boulè fosse preponderante
l’influenza aristocratica, se non altro in ragione del maggior tempo
di cui le classi sociali più elevate potevano disporre, non dovendo
occuparsi quotidianamente degli affanni privati (solo con Pericle
si introdurrà la retribuzione delle cariche pubbliche), ed anche per
il più elevato livello culturale occorrente per svolgere la funzione
prebouletica, per sua natura più tecnica, di cui l’aristocrazia certa-
mente era dotata in ragione dei percorsi di studio cui si dedicava.
Quindi, si può dire che ad Atene di fatto la funzione legislativa
fosse suddivisa fra il popolo e l’aristocrazia. Ma altrettanto accade-
va per la funzione giudiziaria, in ragione della diversa composizio-
ne e delle differenti funzioni attribuite al tribunale popolare e ad
altri tribunali, come ad es. l’Areopago. Invece, i soli ceti sociali più
elevati si distribuivano le magistrature12.
Si realizza, così, un modello di divisione dei poteri del tutto con-
forme se non ancora più complesso di quello descritto come vir-
tuoso da Montesquieu.

5. Ma si sa, la filosofia nasce in Grecia e non poteva certo man-


care una riflessione filosofica applicata al diritto. E troviamo così
la distinzione, che alimenterà fiumi di inchiostro, fra nómos e àg-
rapta nòmima (νμς e γραπτα νμιμα), la legge posta dal pote-
re costituito e le “leggi non scritte”, discendenti dalla volontà degli
dei o dalla ragione umana13.
Si porta in genere come esempio di questa contrapposizione,

12
Le magistrature ad Atene in età classica raggiungeranno circa il numero di
700. Assegnate per sorteggio, ad esclusione di quelle finanziarie e del collegio dei
dieci strateghi, per assumere la magistratura occorre sostenere un esame preli-
minare da parte del Tribunale popolare (c.d. dokimastia). Ed a conclusione del
mandato annuale il magistrato deve presentare un rendiconto finale (c.d. euthy-
nai), di natura essenzialmente economica, che anticipa di secoli le odierne forme
di rendicontazione contabile.
13
Aristotele, nella Retorica, distinguerà fra “giusto legale” (nomikón díkaion),
ciò che è stabilito per legge, dal “giusto naturale” (fisikón díkaion), ciò che è da
tutti percepito giusto. Cfr. Enciclopedia Treccani, voce Giustizia, in www.treccani.
it/enciclopedia/giustizia_(Dizionario-di-filosofia)/

12
l’Antigone di Sofocle: Antigone, sotto le mura di Tebe, vede cade-
re entrambi i fratelli, uccisi l’uno per mano dell’altro (“ché in un
giorno solo mutua mano li spense”). Etocle, partigiano del tiranno
Creonte, riceve la sepoltura fra gli onori; Polinice, suo avversario,
è condannato da Creonte a restare “illacrimato, insepolto, teso-
ro dolcissimo agli uccelli che lo spiano per il gusto di cibo che
darà”… Antigone, pur consapevole del divieto, dà segretamente
sepoltura a Polinice e, di fronte al tiranno, sprezzante della morte
che l’attende per aver disobbedito al suo comando, pronuncia le
seguenti parole: “A proclamarmi questo non fu Zeus, né la compa-
gna degl’Inferi, Dice, fissò mai leggi simili fra gli uomini. Né davo
tanta forza ai tuoi decreti, che un mortale potesse trasgredire leggi
non scritte, e innate, degli dei. Non sono d’oggi, non di ieri, vivono
sempre, nessuno sa quando comparvero né di dove”14.
Una legge che viene dagli Dei, scriverà Sofocle, ovvero espres-
sione di razionalità e come tale universale, scriveranno successi-
vamente gli stoici, e che comunque si contrappone al decreto del
potere costituito: è l’origine del giusnaturalismo, che giustificherà,
fra l’altro, il moderno istituto dell’obiezione di coscienza e che tro-
va una significativa eco nella disposizione forse più importante del-
la nostra Costituzione, l’art. 2. Lì dove, infatti in questa norma si
scrive che la Repubblica “riconosce” i diritti inviolabili dell’uomo
(si riconosce quanto è già esistente e preesiste quindi allo Stato), si
sposa una visione giusnaturalistica, di chiara derivazione anglosas-
sone e nordamericana15, che affonda però le sue radici ancora più
in fondo nella storia del pensiero umano, in quella distinzione fra
νμς e γραπτα νμιμα dell’esperienza ellenica.
Certo, l’art.2 della Costituzione italiana va ancora oltre: nel con-
siderare ogni individuo come “persona”, cioè soggetto titolare di
diritti, supera le antiche distinzioni fra schiavo e libero, uomo e
donna, greco o barbaro, ed in questo si dimostra erede anche della
tradizione giudaico cristiana16.

14
Cfr. Sofocle, Antigone, trad. a cura di M. Cacciari, Einaudi, 2007.
15
Cfr. A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili, in Enciclopedia giuridica, vol. XI,
Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma, 1989, p. 10 ss.
16
Si ricorda la nota frase di San Paolo, Galati, 3-28: “Non c’è più giudeo né gre-

13
Ma nella straordinaria esperienza giuridica ellenica, non pote-
vano mancare anche ricostruzioni di segno opposto rispetto al
giusnaturalismo: dal positivismo di Protagora (che definisce l’uo-
mo come “misura di tutte le cose”) e di altri sofisti17 all’idea con-
trapposta dell’obbligatorietà della legge anche se ingiusta, di cui
si fa portatore Socrate, nella sua vicenda processuale descritta da
Platone (nell’Apologia di Socrate e nel Critone) e che conduce il
Filosofo a bere la cicuta, rifiutando l’opportunità di fuggire, pur di
rispettare la legge (che ben sa essere ingiusta)18.

co; non c’è più  schiavo né libero; non c’è più  uomo né donna, poiché  tutti  voi
siete uno in Cristo Gesù”.
17
Nel V sec. a.C. per i sofisti c’è un giusto “per legge” e un giusto “per natura”:
della giustizia come “l’utile del più forte” parla ad esempio Trasimaco; che la natura
dimostri che criterio di giustizia sia il dominio del più forte sostiene Callicle.
18
Platone, Critone, 49 a - 51 c. Critone, allievo di Socrate, lo invita a fuggire per
di evitare un’ingiustizia. Socrate gli risponde:
“Socrate – Ebbene, considera la cosa a questo modo. Se quando siamo sul punto
di prendere questa fuga o com’altro ti piaccia di chiamarla, ci si parassero dinanzi
le Leggi e la Città e ci chiedessero: «Dimmi, Socrate, che cosa hai in animo di fare?
Non pensi tu forse con codesto tuo tentativo d’uccidere, per quanto è in te, e noi, le
Leggi, e tutto intero lo Stato? O ti sembra possibile che resti in piedi e non vada in
rovina quella città in cui le sentenze pronunciate non hanno alcun valore, ma sono
rese vane e nulle dai privati cittadini?», che risponderemo noi, Critone, a queste e
simili domande? [...] E se poi le Leggi ci chiedessero: «O Socrate, era forse questo
il patto corso tra noi e te, o non piuttosto che tu dovessi obbedire ai giudizi resi
dalla città?». E se noi ci meravigliassimo delle loro parole, esse forse riprende-
rebbero così: «Socrate, non meravigliarti delle nostre parole, ma rispondi, poiché
anche tu sei solito domandare e rispondere. Suvvia, che cosa ci rimproveri a noi e
alla città per tentare d’ucciderci? E in primo luogo non fummo noi a darti la vita,
e non fu per mezzo nostro che tuo padre sposò tua madre e ti mise a1 mondo?
Parla dunque: a quelle tra noi che regolano i matrimoni hai tu forse qualche rim-
provero da fare, come non buone?» «Nessun rimprovero», direi ... «Ma allora a
quelle sull’allevamento e sull’educazione dei figliuoli, in cui tu stesso fosti educa-
to? [...] O sei così sapiente da ignorare che più della madre, del padre e degli altri
progenitori tutti, la patria è stimabile, santa e in maggior considerazione presso
gli dei e agli uomini di senno e che essa nella sua collera merita di esser venerata
e obbedita e carezzata più d’un padre? che o si deve persuaderla o fare ciò che
comanda e soffrire, se t’ordina di soffrire, in silenzio? che se ti batte, se getta in
carcere, se ti manda in guerra per esservi ferito o ucciso, bisogna obbedirle? che
così esige la giustizia, e non già sottrarsi, retrocedere, disertare il posto; ma in

14
6. Il lascito più alto della Grecia antica e, in particolare, di Atene
al diritto pubblico dei moderni è certamente l’idea di democrazia.
Nasce con Clistene (565 a.C. – 492 a.C.) ed ha in origine un
nome diverso, quello di “isonomia”, a designare la parità nel diritto
di partecipazione per tutti i cittadini19.
I Greci non ebbero l’idea di Stato come persona giuridica, che
maturerà solo molti secoli dopo, nel medioevo, grazie al diritto ca-
nonico: i cittadini impersonavano lo Stato, e quindi non esisteva la
possibilità di una “rappresentanza politica” e la democrazia non
poteva che essere “diretta”.
La democrazia diretta non ammette il primato di alcuno. E così
l’organizzazione democratica attribuisce la presidenza dell’Ekkle-
sia ad ogni tribù per 36 giorni (Pritania) ed individua a sorteggiato
fra i Pritani, ogni giorno, la massima autorità della Polis (Epistates).
E all’Ekklesia, vero cuore della democrazia ateniese, spettano le
scelte di politica estera, il potere legislativo, il potere giudiziario e
il controllo del potere esecutivo, con la nomina di tutti i magistra-
ti. Sulla collinetta della Pnice, ove si svolge l’Assemblea, migliaia
di cittadini si recano di buon mattino. Qui ciascuno, incoronato
di mirto come simbolo di inviolabilità, può prendere la parola: è
stabilito infatti l’uguale potere di parola per tutti i cittadini (“ise-
gorìa”) e ciascuno può discutere ed emendare le proposte di legge
della Boulè (i c.d. “probuleumata”), deliberate per alzata di mana
(epicheirotonìa). Clistene, tuttavia, non modifica sostanzialmente
il sistema di accesso alle magistrature, che rimane quello delineato
da Solone e privilegia gli aristocratici.
Il funzionamento della democrazia ateniese è stabilito da Cliste-

guerra, in tribunale e dappertutto eseguire ciò che dispone la città e la patria,


ovvero mostrarle con la persuasione che cosa sia giusto fare, e che, se è un pec-
cato usar violenza contro la madre e contro il padre, un’empietà ben più grave è
usarne contro la patria?». E che risponderemo noi, Critone? Diremo che le Leggi
affermano il vero o no?”
Critone – A me sembra che le leggi dicano il vero”.
19
La descrizione delle vicende storiche entro le quali si afferma la democrazia
ateniese si rinviene nelle Storie di Erodoto e nella Costituzione degli Ateniesi di
Aristotele.

15
ne, che completa la riforma di Solone portando a 500 i membri del-
la Boulè, tratti cinquanta da ciascuna delle dieci tribù in cui divide
la popolazione ateniese. Il modo in cui Clistene compone le tribù
dimostra la volontà di preservare la democrazia: esse, infatti, sono
costituite da una trittia cittadina, una costiera e una interna, così da
evitare che gli aristocratici, più degli altri radicati territorialmente,
possano assumere il pieno controllo di ciascuna tribù.
Ed anche in questo si coglie un’idea forte, che fungerà da spartiac-
que alla fine del XVIII secolo fra due modi di intendere la rappresen-
tanza politica e l’organizzazione sociale: il superamento dell’imme-
desimazione fra dimensione politica e sociale che, nell’evo moderno,
si esprimerà per il tramite del divieto di mandato imperativo20.
Mirabile è anche il modo in cui Clistene articola ciascuna trittia
in unità amministrative: 140 Demi, ciascuno con la propria Assem-
blea ed il proprio Demarkos, che tanto ricordano gli attuali Comu-
ni della Grecia ed i loro Sindaci, aprendo la strada al riconosci-
mento di forme embrionali di autonomia locale21.

7. Un passo fondamentale verso forme più radicali di democrazia


si registra una volta terminata la seconda guerra persiana.
Le guerre persiane avevano consentito la nascita dell’impero ate-
niese: la Lega Delio-Attica, originariamente costituita a scopo di-
fensivo contro i Persiani, si trasformò ben presto in uno strumento
di potere di Atene, che imponeva tasse annuali a tutti i membri
della Lega, utilizzando queste ricchezze per ampliare ulteriormen-
te la flotta, ma anche per abbellire Atene con imponenti templi ed
opere pubbliche. La “talassocrazia ateniese” aveva richiesto, però,
la realizzazione di centinaia di triremi, che a loro volta avevano
bisogno di migliaia di marinai, scelti nella classe sociale più bassa:
quella dei Teti. La presenza di oltre 40.000 marinai, documentata
dalle fonti antiche, che partecipavano attivamente alle guerre, pro-
iettava sulla scena politica anche i più poveri, determinando così il
passaggio alla democrazia più radicale degli anni di Pericle.
20
Principio ancora presente nell’art. 67 della Costituzione italiana, secondo il
quale “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato”.
21
Per le quali si rinvia agli artt. 5 e 114 della Costituzione italiana.

16
Questa stagione vide come suo primo protagonista Efialte (495
a.C. – 461 a.C.), che per primo ridimensiona il privilegio degli aristo-
cratici di rivestire le magistrature, attribuendo la sorveglianza sulle
leggi, il controllo sui magistrati e la giurisdizione sui reati contro lo
Stato ad assemblee popolari quali l’Ekklesia, la Boulè, e l’Eliea.
Ma Efialte fu come una meteora nel firmamento ateniese: morto
violentemente, si sospetta per ordine di Pericle, lascia quest’ultimo
incontrastato protagonista della democrazia ateniese.
A Pericle (495 a.C. – 429 a.C.) si deve il raggiungimento dell’a-
pice dell’esperienza democratica, non solo per l’ulteriore amplia-
mento dei poteri del popolo, ma anche per la diffusione di una vera
e propria ideologia democratica, fondata sulle libertà individuali.
Quanto all’ampliamento dei poteri popolari, si segnala la de-
cisione periclea di permettere l’accesso all’Arcontato anche agli
Zeugiti, lo sviluppo di politiche assistenziali e soprattutto l’in-
troduzione della retribuzione per lo svolgimento delle funzioni
pubbliche (misthos). Oggi, in periodo di crisi delle istituzioni de-
mocratiche, si levano disparate voci contro i “costi della politi-
ca”, che si presentano effettivamente talora eccessivi. Ma non vi
è dubbio che la retribuzione per lo svolgimento della funzione
pubblica è indispensabile per consentire la partecipazione delle
fasce sociali meno abbienti alla gestione
della cosa pubblica, potendosi cogliere
anche in ciò l’ennesimo contributo del-
la antica Grecia al diritto pubblico dei
moderni22.
Ma il maggiore contributo di Pericle
fu quello di definire una vera e propria
ideologia democratica, fondata sulle
libertà civili. Altissima testimonianza,
manifesto di questa ideologia è l’Elogio
della democrazia, che Tucidide riferisce
essere stato pronunciato da Pericle:

22
Basti, peraltro, leggere l’art. 69 della Costituzione Italiana, secondo il quale
“I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”, per coglie-
re l’attualità di questa previsione periclea.

17
“Noi abbiamo una forma di governo che non ha niente da in-
vidiare agli altri, e non solo non imitiamo nessuno, ma siamo
anzi noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è
chiamata democrazia, perché non favorisce l’interesse di poche
persone, ma della maggioranza dei cittadini. Le leggi assicurano
una giustizia uguale per tutti nelle loro dispute private, ma non
ignoriamo i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si di-
stingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire
lo Stato, non come un atto di privilegio, ma come una ricom-
pensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento...
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidia-
na: noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidia-
mo il nostro prossimo se preferisce vivere a suo modo...
Tuttavia rispettiamo le leggi e quando si tratta di affari pub-
blici abbiamo un’incredibile paura di commettere delle ille-
galità: ci è stato insegnato di rispettare i magistrati e le leggi,
specie quelle che tutelano chi subisce un’ingiustizia e quelle
non scritte la cui universale sanzione risiede solo nell’univer-
sale sentimento di ciò che è giusto...
La nostra città è aperta al mondo; noi non cacciamo mai uno
straniero... Noi siamo liberi di vivere proprio come ci pare, e
tuttavia siamo sempre pronti a difenderci dai nemici...
Noi amiamo la bellezza senza indulgere tuttavia a fantasti-
cherie e, benché cerchiamo di migliorare il nostro intelletto,
siamo però sempre pronti all’azione...
Riconoscere la propria povertà non è una disgrazia presso
di noi; ma riteniamo deplorevole non fare alcuno sforzo per
evitarla. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari
quando attende alle proprie faccende private...
Un uomo che non si interessa dello Stato non lo consideriamo
innocuo, ma inutile; e, benché soltanto pochi siano in grado
di dedicarsi alla politica, tutti noi siamo in grado di giudi-
carla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo
sulla strada dell’azione politica, ma come indispensabile pre-
messa ad agire saggiamente....
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà e la li-
bertà il frutto del valore e non ci tiriamo indietro di fronte ai
pericoli di guerra...”23. 
Cfr. Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 37-40.
23

18
L’ideologia democratica di Pericle, che si desume dallo stralcio ri-
portato, ma anche da altre fonti antiche, mette al centro la ricerca
della felicità individuale, in una formazione integrale, che si ottiene
solo allorché ciascuno è libero di sviluppare le proprie inclinazioni;
l’obiettivo della polis è, infatti, consentire la realizzazione fisica e
psichica del cittadino, permettendogli di “vivere come si vuole”, nel
riconoscimento pieno delle libertà civili di ciascuno, del diritto alla
cultura ed alla percezione della bellezza; la libertà individuale, però,
non deve mai tradursi in indolenza di fronte agli affari dello Stato,
nei quali invece deve eccellere la virtù civile ed il merito (aretè)... 
è sorprendente notare quanti di questi principi abbiano influen-
zato oggi le nostre Costituzioni, a partire da quella italiana: dalle
norme sulle libertà individuali (art. 13 ss. Cost.), alle norme sulla
partecipazione popolare alla vita politica (a partire dall’art. 1 della
nostra Costituzione), all’idea di merito (oggi rinvenibile, ad esem-
pio negli artt. 34, 59 e 106 della Costituzione italiana) …
Certo, la “democrazia degli antichi” non è facilmente replicabile
nelle più ampie e complesse realtà statali attuali, che necessaria-
mente devono utilizzare gli strumenti della rappresentanza politica
per compiere le scelte per il governo delle comunità24.
Ma non par dubbio che quella esperienza abbia rappresentato,
in specie negli anni di Pericle, un momento eccezionale, paradigma
di cosa può essere la democrazia e dei suoi valori, cui guardare con
interesse ancor oggi, magari per elaborare nuovi modelli, favoriti
dallo sviluppo delle tecnologie applicate alla comunicazione.

8. Cosa ha dunque lasciato la Grecia antica in eredità al diritto


pubblico dei moderni? Tanto, certamente molto più di quanto spes-
so si ritiene, se è vero che difficilmente si può trovare una pagina
dedicata a questo tema nei manuali in uso nelle nostre università.
L’idea di legge, il rapporto fra il diritto positivo e il diritto natura-
le, il “limite” del potere, il superamento dell’immedesimazione fra
dimensione politica e sociale, l’idea di autonomia locale, la demo-
crazia, la libertà di parola, il controllo dei magistrati, la retribuzio-
24
Cfr. A. de Tocqueville, La democrazia in America, a cura di C. Vivantini,
Einaudi, 2006, passim, che, com’è noto, contrappone la democrazia degli antichi
alla democrazia dei moderni.

19
ne per lo svolgimento delle funzioni pubbliche, le libertà civili, il
diritto alla cultura, il merito… costituiscono altrettante idee forti,
giunte fino ai nostri giorni, a testimonianza di come anche per il
diritto pubblico il mondo occidentale sia profondamente debitore
nei confronti della Grecia.
E, si badi, in larga misura si sono richiamati in questo breve
saggio istituti giuridici sviluppatisi, come chiarito nelle premesse,
nell’esperienza di Atene. Ma anche altre Polis greche hanno rap-
presentato importanti modelli, a partire da Sparta, che espresse un
sistema oligarchico e totalitario, ma dove pure si sperimentarono
istituzioni innovative come l’Eforato (da molti indicato fra i mo-
delli della moderna giustizia costituzionale25) o si organizzarono
sistemi di educazione pubblica presi, a distanza di secoli, in con-
siderazione dalla pedagogia26… Peraltro, fin dall’età arcaica sono
esistite esperienze federali, soprattutto nelle regioni periferiche,
che diventeranno il modello prevalente di organizzazione politica
in età ellenistica e che pure destano meraviglia per la perdurante
attualità delle soluzioni adottate27.
Insomma, un tesoro inestimabile di esperienza, quello della Gre-
cia antica, che andrebbe ulteriormente indagato e che, comunque,
ci fa guardare con ammirazione a questo Popolo “smisurato”, che
tanto ha dato alla civiltà occidentale e che tanto può ancora dare
all’umanità intera.

25
Cfr. G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1977, 12 s.
26
Cfr. J.J. Rousseau, voce Economia Politica, ne Encyclopédie ou Dictionnaire
raisonné des sciences, des arts et des métiers, diretta da D. Diderot, volume V,
1755, in cui si esalta il modello educativo di Sparta.
27
Cfr. C. Bearzot, Il federalismo greco, Il Mulino, 2014, e, per un caso particolar-
mente emblematico, C. Iandiiorio, Il federalismo nell’antica Grecia. La confederazio-
ne beotica tra il 479 e il 386 a.C. alla luce dei più recenti studi, Mephite editore, 2014.

20

Potrebbero piacerti anche