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NASCITA DEMOCRAZIA ATENIESE

Il termine “demokratia” è stato introdotto da Clistene tra il 508 e il 507 per indicare la democrazia come
istituzione sociale e politica anche se la tradizione storiografica ne attribuisce la paternità all’Epitafio di
Pericle, cioè al discorso pronunciato per i caduti durante il primo anno della Guerra del Peloponneso.
Originariamente il termine “Demokratia” deriva dall’unione e dalla sintesi di altri due termini: “démos” che
a sua volta deriva da “demosios” o “demosia” e sta ad indicare la coscienza politica più forte e “kratos” che
significa potere assoluto e deriva dal verbo “kratein” e sta ad indicare l’atto nell'esercitare il potere di
dominio sugli altri. Nel cap. 34 della “Guerra del Peloponneso” Tucidide riporta per intero l’Epitafio di
Pericle sottolineando come esso non abbia un carattere né autocelebrativo e celebrativo nei confronti delle
gesta degli eroi. Anzi egli afferma che l’esaltazione delle gesta eroiche da parte di un uomo solo rischia di
aumentare il divario demagogico tra l’hemeis (il noi collettivo) e il capo del governo (basileus). Questa
distanza demagogica fa lievitare la ptnonos (l’invidia sociale) e può diventare talmente incolmabile da
trasformare il sovrano in un tyrannis. Ciò avviene soprattutto nelle forme degenerate di governo, quando la
democrazia si trasforma in tirannide e l’aristocrazia si trasforma in oligarchia. Tucidide prende come
esempio la retorica periclea perché si avvicina maggiormente alla sua idea di storia, non più come racconto
mitico ed epico ma come narrazione descrittiva dei fatti storici come sono accaduti. Veniamo ad alcuni
concetti-chiave dell’Epitafio di Pericle. Partiamo dal concetto di AUTOCTONIA che è “la caratteristica di
coloro che fanno tutt’uno con la propria terra” (l’humus) e sta indicare il rapporto diretto con l’humus, con
le radici di appartenenza, con le origini. Difatti, il termine autoctonia si ricollega a un altro termine molto
ricorrente nel discorso pericleo, l’AUTARCHEIA, quella che oggi chiameremmo l’autosufficienza dello Stato,
ma che nella sua accezione originaria ha un significato, una sfumatura semantica un po’ diversa.

L’autarcheia è il profondo legame di appartenenza tra il “noi” collettivo, i cittadini della polis e il proprio
territorio d’origine, la polis, alla democrazia come luogo abitato e in cui si abita. Non a caso il verbo greco
“oikein” vuol dire abitare ma vuol dire anche “appartenere” a un determinato territorio, mettere le radici in
un luogo. Un altro concetto molto importante che più volte citato dal “Pericle tucidideo” è quello di
HEMEIS, il noi collettivo che diventa inclusivo, quando a un certo punto nell’Epitafio di Pericle si passa
bruscamente dall’utilizzo della prima persona singolare (EGO’) alla prima persona plurale (HEMEIS). Un
modo per accorciare le distanze, per avvicinare il capo dello stato ai suoi cittadini. Ciò è evidente quando a
un certo punto Pericle utilizza la seguente espressione “noi della nostra generazione”. Quel noi oltre ad
avere carattere inclusivo ha anche un carattere generazionale, poiché indica l’atto del tramandare alle future
generazioni il proprio patrimonio. Il patrimonio inteso non solo come l’insieme dei beni materiali, delle
ricchezze, degli averi, degli onori e delle cariche pubbliche, ma il patrimonio inteso come l’eredità
costituzionale e costituiva della polis. Quella che Aristotele chiama la “patrios politeia” la “costituzione degli
antenati”, la “generazione dei padri”. Un’altra concezione molto importante nell’Epitafio di Pericle è il
rapporto tra pubblico e privato, due aspetti della stessa medaglia.

Le attestazioni del termine demokratia sono in tutta la letteratura del V secolo rare e sporadiche. Fanno
eccezione due occorrenze nel libro VI delle storie di Erodoto, in riferimento la prima alle 'democrazie'
istituite di autorità da Mardonio nelle colonie greche dell'Asia Minore, dopo aver deposto tutti i tiranni degli
Ioni, la seconda alla riforma di Clistene il quale " istituì per gli Ateniesi le tribù e la democrazia". Di fatto la
prima attestazione di demokratia nell'accezione di 'sistema politico' proprio di Atene nell'età periclea, si
riscontra soltanto alla fine del V secolo nell'opera di Tucidide, e forse poco prima nell’Athenaion politeia di
Senofonte. Per quasi tutto il secolo, dunque, il nome che viene dato al sistema politico dell'Atene di Efialte e
di Pericle, è vago e incerto. Soltanto nel secolo successivo Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi
ricapitolerà la storia politica di Atene come una progressiva acquisizione di ordinamenti 'democratici', che
passano attraverso undici riforme costituzionali per raggiungere l'assetto attuale. La democrazia diventa in
questo senso il nome del sistema politico propriamente ateniese, tanto che Aristotele potrà affermare che "
la democrazia ebbe inizio dalla costituzione di Solone". In nessuno dei testi tragici del V secolo che ci sia
pervenuto ricorre il termine demokratia. Nei testi delle commedie, ancor più immediatamente a ridosso del
dibattito politico del tempo, il termine demokratia compare molto di rado. L'aggettivo demokratikos,
compare nelle Rane a sigla della battuta in cui Euripide si vanta di aver fatto parlare "la donna, il servo, il
padrone, la giovane, la vecchia", facendo qualcosa di veramente democratico. Tanto più significativa risulta
la precoce occorrenza in un passo eschileo di una locuzione in cui compaiono i due elementi costitutivi del
composto nominale: demos e kratein. Il brano in cui si riscontra la locuzione in esame coincide con il
secondo episodio del dramma. Sotto il profilo drammaturgico il secondo episodio: "Navigando lungo la
costa dell'Asia Mardonio giunse nella Ionia; e ora dirò qualcosa di molto sorprendente per i Greci che non
credono che Otane abbia esposto ai Sette Persiani l'idea che i Persiani dovessero essere governati a regime
democratico: dopo aver deposto tutti i tiranni degli Ioni, Mardonio istituì democrazie in tutte le città".

I Persiani, appreso ciò che era accaduto ad opera dei sette e l’inganno dei Magi, ritenevano giusto fare altre
simili imprese, e uccidevano ogni mago che trovavano. Quelli che si erano ribellati ai Magi tenevano
consiglio sulla situazione generale e furono pronunciati discorsi. Il primo di questi tre discorsi è pronunciato
da Otane, il quale esortava a rendere i Persiani partecipi della cosa pubblica dicendo queste cose: “A me
pare opportuno che nessuno divenga più nostro sovrano”. Perché nella monarchia è lecito fare tutto ciò che
uno vuole senza darne conto. “Invece il popolo che governa ha per prima cosa il nome più bello, non fa
nulla di ciò che fa un sovrano, esercita a sorte le cariche, detiene un potere soggetto a rendiconto e porta
ogni deliberazione in comune”. Otane quindi propone che, deposta la monarchia, si elevi al potere il popolo
“nella massa infatti c’è tutto il potere”.

Il secondo discorso è tenuto da Megabizo, il quale consigliava di affidare il potere all’oligarchia e critica il
pensiero di Otane affermando: “nulla è infatti più insensato né più insolente di una turba buona a nulla”.
Consiglia invece di scegliere un gruppo di uomini eccellenti e di affidare a questi il potere: “dagli uomini
migliori infatti è naturale che derivino le decisioni migliori”.

Dario esponeva la sua opinione dicendo: “nulla potrebbe infatti apparire meglio di un solo uomo, se è il
migliore; nell’oligarchia invece sono solite verificarsi forti inimicizie personali per i molti che praticano la
virtù in pubblico, poiché ciascuno infatti vuole essere lui il primo e vincere nei pareri. Quando poi governa il
popolo è impossibile che non nasca malvagità.

La democrazia ateniese è la prima forma di governo attestata nella storia.

Tra i principali esponenti che contribuirono allo sviluppo della democrazia ateniese si annoverano: Solone
(594 a.C.), Clistene (508 a.C.) ed Efialte (461 a.C.).

Il politico democratico più influente fu, tuttavia, Pericle, con cui la democrazia raggiunse la sua forma più
compiuta. Dopo la sua morte, la democrazia ateniese fu interrotta due volte da brevi parentesi oligarchiche
(30 tiranni), verso la fine della guerra del Peloponneso. Nel corso del IV secolo, pur con alcune riforme, il
sistema fu sostanzialmente mantenuto fino alla sua soppressione, nel 322 a.C., ad opera dei Macedoni.
Alcune istituzioni rimasero fino alla conquista romana ma, in ogni caso, è discusso quanto fossero vicini ad
una vera democrazia.

Prima del primo tentativo di governo democratico, Atene era governata da una serie di arconti o sommi
magistrati, e dall'Areopago, composto da ex-arconti i quali, generalmente, erano espressione del ceto
aristocratico. Indeboliti dalla lotta tra le diverse fazioni, gli ateniesi chiamarono al potere Solone, all'epoca
arconte, affinché garantisse un compromesso.
Fu istituita un'assemblea, l'Ecclesia, aperta a tutti i cittadini di sesso maschile il cui ordine del giorno era
determinato dal consiglio dei 400, composto da 100 membri per ciascuna delle quattro tribù in cui pose i
singoli cittadini a seconda del reddito e del patrimonio posseduto.

Dopo Solone, il regime democratico fu rovesciato dalla tirannide di Pisistrato e dei suoi figli, Ippia ed
Ipparco. Nel 510 a.C., la tirannide fu abbattuta dalla famiglia degli Alcmeonidi, il cui capo, Clistene, restaurò
la costituzione di Solone e fu istituita la Boulé. L'ultima grande riforma fu quella di Efialte di Atene, datata al
462/461 a.C. e che sottrasse all'Areopago quasi tutte le sue funzioni di controllo.

Erodoto nell’anno 522/521 a.C. riflette con i nobili persiani su quale forma di governo sia la migliore, e tra
tutte quelle proposte c’è anche la democrazia. Ricorda un racconto, nel quale il satrapo Mardonio, in
preparazione di un attacco contro i Greci, “Andava instaurando democrazie nella Ionia”.

Chi sono i “tutti” la cui libertà mette in essere la democrazia? Anche quando tutti i liberi hanno la
cittadinanza, come la esercitano i socialmente più deboli? Questo implica altri problemi: la questione degli
strumenti necessari per poter esercitare effettivamente la cittadinanza (pur in assenza di adeguate risorse
intellettuali e materiali), la questione della validità del principio di “maggioranza”, il dilemma se debba
considerarsi prevalente la volontà del popolo o la legge. E’ nel fuoco di questi problemi che nasce la nozione
e la parola demokratia , a noi nota, come parola dello “scontro”, come termine di parte, coniato dai ceti
elevati ad indicare lo “strapotere” (kràtos) dei non possidenti (démos) quando vige appunto la
“democrazia”.

Chi ha la cittadinanza?

La polis è l’insieme di politai, i quali sono anche politeumenoi, ovvero esercitano la cittadinanza.

Ad Atene, in epoca periclea, a possedere la cittadinanza erano in pochi: i maschi adulti, con padre e madre
ateniesi, i liberi di nascita.

Il rapporto tra liberi e schiavi era di ¼.

La visione della cittadinanza trova la sua espressione nel binomio cittadino/guerriero.

Il cittadino:

Partecipa alle assemblee decisionali

Esercita la propria funzione di maschio libero, prendendo parte alla guerra

Essere guerriero implicava avere le risorse per provvedere all’armatura, perciò la figura del soldato
combaciava con quella del possidente. Mentre la cittadinanza non era garantita ai nullatenenti. Però, con il
volgersi di Atene verso il mare e la conseguente necessità di marinai (“i teti”), la cittadinanza fu estesa ai
nullatenenti. I requisiti per la nascita della democrazia in Atene erano legati alla posizione marittima della
comunità e all’impegno commerciale e militare in direzione del mare.

Scorrendo la letteratura politica ateniese è possibile vedere elogi dell’ordinamento politico spartano, non
solo per il richiamo al "buon governo" (eunomia). Come scrive Isocrate: “I nostri antenati con questo
ordinamento di tipo democratico hanno superato di gran lunga tutti gli altri uomini; e degli Spartani proprio
per questo si può dire che hanno il più bell’ordinamento politico: perché vige presso di loro il massimo di
democrazia”.
Ad Atene nel V secolo vi erano gruppi di persone definite “non-persone” o “non-liberi”, questi erano
principalmente schiavi e donne. In questo periodo su di una cittadinanza di 30.000 maschi adulti liberi e
“purosangue”, quasi mai si raggiungeva una presenza effettiva di 5.000 cittadini all’assemblea. All’assemblea
vi partecipavano prevalentemente i gruppi composti da esponenti delle classi alte.

Tra principio di maggioranza e democrazia non c’è alcun rapporto sostanziale.

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