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IL CONTESTO STORICO

Ci troviamo nel V secolo a.c. e siamo nell’età delle poleis: Atene si dimostra la poleis più completa, infatti si
sviluppa in tutti gli ambiti ed è superiore in cultura; Sparta dall’altro lato esercita un’egemonia militare. Atene
possedeva 250.000 abitanti, di cui solo 40.000 possedevano diritti. Troviamo diversi organi che coinvolgono il
popolo: l’areopago (simile al nostro senato, assemblea anziani aristocratici), l’eliea (tribunale), la boulè
(assemblea) e l’ecclesia (assemblea popolare).
Atene è in mano a Pericle, sotto il quale troviamo 2 partiti: 1 democratico e legato al demos e uno aristocratico,
oppositore di Pericle (filo-spartani).
Pericle in un discorso ci fa capire i principi di ciò che per lui significa democrazia: tenne questo discorso in
commemorazione dei caduti del primo anno di guerra (431) del Peloponneso.

I SOFISTI
La parola sofista deriva dal termine sofos, sapiente; assumerà poi un’accezione negativa nell’epoca di Platone:
questi ultimi infatti si fanno pagare e vengono addirittura definiti da Senofonte “prostitute della cultura”. Erano
itineranti e per Platone e Aristotele non erano veri filosofi (manca la ricerca della verità, hanno solo abilità). Dopo
Nietzsche nel 900 la parola verrà rivalutata.
Con loro si apre un varco tra uomini e verità, permettendo la diffusione di atteggiamenti scettici e nichilistici.
Insegnano e aprono scuole per tutti, aprendo una visione della cultura democratica e non aristocratica (possiamo
evitare la gerarchia solo riconoscendo un’essenza, Gorgia rischia di perdere questa visione). Insegnano
soprattutto politica, la tecnica della comunicazione, della dialettica e della retorica: sono tutti strumenti del potere
politico e di propaganda. Confondono la tecnica e i mezzi con i fini, ponendo questi strumenti come telos.
Sviluppano fortementi l’ambito della comunicazione e per questo sono visti più vicini ai poeti che ai filosofi;
insegnano l’arte del persuadere (retorica) che ha fine a se stessa, l’eloquenza (arte del parlare bene), la dialettica
(filosofica per la ricerca della verità, qua vista come arte verbale per confrontarsi ) e l’eristica (arte del sapere
disputare a prescindere dal contenuto).

Protagora
Protagora nasce ad Abdera circa nel 490 ma vive ad Atene fino alla morte, nel 400 circa; è un contemporaneo di
Socrate ed è considerato il padre della sofistica. Scrive i “Ragionamenti demolitori” e le “Antilogie” (ragionamenti
opposti sullo stesso argomento): nonostante fosse odiato da Platone, gli viene dedicata un’opera da quest’ultimo.
E’ famoso per un ragionamento sull’uomo: “l’uomo è la misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono,
di quelle che non sono in quanto non sono”. Tutto per lui si misura infatti in misura all’uomo ed è difficile arrivare
ad una verità oggettiva. Abbiamo 3 interpretazioni di questa frase:
1)la verità non esiste/non ci possiamo arrivare; ogni uomo dunque ha la sua verità che diventa soggettiva
(inusuale RELATIVISMO);
2)l’uomo è inteso nel suo senso di comunità, all’interno di ciascuna delle quali si stabilisce un’unica verità
(relativismo di gruppo);
3)l’umanità ha una sua verità (relativismo moderato).
Platone adotta la prima analisi, ma gli studiosi contemporanei ritengono siano tutte e tre corrette, come tre criteri
concentrici. Ma se non esiste una verità unica, esistono criteri per vivere bene? Capisco se una cosa è buona o
cattiva in base alla sua utilità (utilitarismo), specialmente se utile anche alla comunità (principio di responsabilità).
Nelle Antilogie dimostra inoltre che ogni cultura ha le proprie visioni riguardo ciascuna cosa.

Gorgia
Padre del nichilismo e discepolo di Empedocle (Lentini, 490 a.C. – Larissa, 390 a.C.), di lui abbiamo solamente
due testi, definiti da egli stesso giochi retorici: “Sul non essere” e “L’encomio di Elena”. Li chiama appunto giochi
retorici poichè li “spaccia” come sorta di esercitazioni: nascondono in realtà anche il suo vero pensiero filosofico.
E’ un abilissimo retore; difatti sa persuadere e per lui la parola ha forza ammaliatrice. Vede la parola come fine
ultimo, anche se in realtà per i veri filosofi la parola ha una funzione positiva solo se usata per inseguire la verità.
Per lui si può anche persuadere sul male, e dunque far apparire il male come fosse bene.
Gorgia viaggia molto: vivrà per un periodo anche ad Atene, dove aprirà una specie di scuola.
Nella sua opera sul non essere nega l’esistenza dell’essere, rendendolo così uno dei testi più pessimisti di
sempre. Gorgia è anche scettico: un po’ come uno specchio offuscato, per lui non conosciamo nulla perchè
effettivamente non c’è nulla (scettico): “l'essere non esiste, se anche esistesse, non sarebbe conoscibile, se
anche fosse conoscibile, non sarebbe dicibile né comunicabile ad altri” (pessimismo assoluto, con un primo
passaggio nichilista e un secondo scettico).
“Se qualcosa esiste, esso sarà o l'essere o il non-essere. Ammettiamo che ci sia quest’ultimo: può esistere?
Ammettiamo che invece ci sia l’essere, o è eterno o è generato. Se è eterno, non ha alcun principio e, non
avendo alcun principio, è infinito e, se è infinito, non è in alcun luogo e, se non è in nessun luogo, non esiste. Ma
neppure generato può essere l'essere: ché, se fosse nato, sarebbe nato o dall'essere o dal non-essere. Ma non è
nato dall'essere, ché, se è essere, non è nato, ma è già (dovrebbe essere nato da un altro essere ancora, loop
infinito); né dal non-essere, perché il non-essere non può generare.”
Individua due dimensioni, una eterna e una generata, e ritiene che ci sia una distanza tra la conoscenza e la
realtà che la parola (flatus voci, invenzione umana, convenzionale) da sola non può colmare.
La seconda opera che scrive è l’encomio di Elena (en comos, canto per una festa, per esaltare e difendere),
dove dice che Elena non è macchiata di alcuna colpa, essendo il rapimento voluto dagli dei, condizionato dal fato
e dalla forza fisica, ammaliante e della passione (non si ha colpe se si è innamorati).
Conclude l’opera con una visione fortemente nichilista, ovvero che nella vita non c’è alcun senso, e che dunque
la vita umana non ha una spiegazione (e se esiste non la possiamo capire).
Gorgia segue anche la corrente dell’esistenzialismo, che analizza lo stato d’animo: egli ci porta all’angoscia (che
domina l’uomo). Non vede nulla di stabile, infatti tutto rientra nel flusso cosmico, un po’ come se fossimo su un
fiume in piena e non sapessimo né dove sia l’argine né la direzione del fiume. Qualcuno dice anche che se non
c’è nulla di stabile, come fanno ad essere stabili le leggi? Per alcuni esistono due tipi di leggi: quelle naturali che
esistono già e fanno parte della fusis e quelle degli uomini, i nomai, convenzionali e civili. Per Protagora ad
esempio ci deve essere sintonia con la fusis pur seguendo le leggi umane.
Altre idee a riguardo:
1)Prodigo: il governo funziona bene se rispecchia le virtù dell’uomo e rispecchia le leggi della natura
2)Antifonte (sofista aristocratico) e Ippia: distinguono nettamente i due tipi di leggi; nelle quali quelle umane
(mutevoli) dovrebbero rispettare quelle naturali.
3)Trasimaco e Crizia (posizioni più pessimistiche): le leggi e la giustizia sono frutto degli interessi dei più forti
4)Callicrate: strumento più forte per dominare il mondo.

SOCRATE

Biografia
Celeberrimo filosofo (e non sofista, sebbene avessero dei tratti in comune), visse tra il 470 e il 399 ac. A livello di
contesto storico ci troviamo nell’epoca di Pericle, delle guerra dl Peloponneso e del governo “democratico” dei 30
tiranni (che condanna). Ha dei punti che toccano il pensiero dei sofisti:
1)Si occupa dell’uomo (antropologia, etica e morale; natura solo da giovane) iniziando un’età umanistica ed è
ricordato come il padre dell’etica occidentale.
2)Attraversa una specie di pessimismo riguardo la ricerca cosmologica (non forte come Gorgia, non è
negativista).
3)Ritiene importanti la parola, la retorica ma soprattutto la dialettica (metodo dialogico; per Socrate è un mezzo,
non un fine).
Per sua scelta non possediamo testi scritti: tutto ciò che arriva è dato da Platone, che testimonia come per lui la
filosofia fosse una ricerca viva e orale (non vuole rendere la filosofia statica).
Riguardo la sua vita abbiamo notizie tramite fonti indirette: sappiamo che visse sempre ad Atene, partecipando
inoltre alle battaglie di Anfipoli, Potidea e Delio. Suo padre, Sofronisco, era uno scultore, mentre sua mamma
Fenarete un'ostetrica. E’ sposato con Santippe (insopportabile) ed avrà 3 figli, di cui uno morirà in tenera età. Ha
fatto parte della boule per un anno nel 406, dove troviamo una sorta di democrazia in crisi. Non partecipa al
governo dei 30 tiranni, ma ne conosce qualche membro (verrà accusato anche di questo al processo). In seguito
si dedicherà alla filosofia: manderà il suo amico Cherefonte all’oracolo di Delfi per chiedere chi fosse l’uomo più
sapiente, quest’ultimo risponderà Socrate, portando l’ateniese a una ricerca, che si concluderà capendo che è
sapiente non perchè sa, ma perchè è l’unico a sapere di non sapere. Fu condannato nel 399 dal governo
democraticp, in particolare da tre uomini, Meleto (letterato che fa politica) voce dell’accusa, Amito (oratore) mente
dell’accusa e Licone (oratore e politico) mano dell’accusa.
Le accuse che gli verranno poste sono 3: la corruzione dei giovani, l’empietà nel non credere agli dei tradizionali,
l’amicizia coi trenta tiranni. Socrate verrà considerato pericoloso per l’ordine pubblico (il governo era
conservatore) e un sovvertitore. Troviamo a riguardo il popolo diviso a metà: una parte (i giovani) che lo sostiene,
ed un’altra degli accusatori, dai più storici a quelli recenti. Durante la prima sentenza viene raggiunta la
maggioranza minima di persone che lo condannano, ma nella seconda la situazione peggiora poiché la gente
verrà irritata dalla sua richiesta di essere ospitato nel Pritaneo (luogo per gli eroi). Viene condannato a morte, ma
nonostante ciò i suoi amici e seguaci gli offrono la possibilità di scappare, preparandogli un piano di fuga. Socrate
rifiuta: scegliendo la salvezza andrebbe infatti incontro alla morte dell’anima, poiché andrebbe contro alla leggi e
a quello in cui lui stesso credeva. Scegliendo la morte invece sarebbe riuscito a dare un senso alla sua vita, e
così fa.
Socrate è il martire della filosofia per eccellenza, muore per la sua libertà di pensiero, rendendosi dunque
immortale, sia per la memoria che per l’anima.
Le fonti principali che ci parlano di Socrate sono: Platone, Aristofane (le Nuvole, negativo), Senofonte (negativo)
e Policrate (negativo).

Il metodo socratico
Socrate interroga varie categorie di uomini, appunto per vedere se realmente è lui il più sapiente; politici, poeti,
autori, artisti, insomma nemmeno uno che alla fine sappia veramente di ciò di cui si occupa. Per porre questi
dialoghi socrate utilizza un metodo dialogico, il logos socratico, che si compone di due parti. La prima, la pars
destruens è composta a sua volta da due ambiti, l’ironia (eironeia, dissimulazione) e il cosiddetto “sapere di non
sapere”, con il quale dimostra il limite della conoscenza (più conosco e più so di essere ignorante). Con l’ironia
socratica e con la cosiddetta “dotta ignoranza” (elegos) il filosofo ateniese toglie la maschera della certezza,
usandone una lui stesso, e dimostrando di non avere la verità (una figura geometrica poliedrica). La pars
construens si concentra invece nella maieutica (si rifa alla madre, cita Artemide vergine dea del parto, ostetriche
devono essere non in grado di partorire), ovvero l’arte del partorire. Socrate infatti come l’ostetrica fa partorire pur
non essendo in grado, sostiene che il filosofo debba far nascere la verità pur non avendola, ma solo col desiderio
di quest’ultima.
Per Socrate questa verità è una ed è condivisibile (un po pessimista), ma non si rifà assolutamente al relativismo:
da per scontato infatti che tutti sappiano che la verità è una sola. Arriva infine alla conclusione con una domanda:
cosa è? Cerca infatti di definire un concetto ed un significato profondo ed intuisce così il metodo dell’induzione,
anticipando Platone e Aristotele (scrive delle opere a riguardo).
Socrate approfondisce l’antropologia, l’etica, la morale e la religione. Riguardo alla prima ovviamente non
abbiamo testi, ma testimonianza dell'unica fonte positiva: per lui è sbagliato vedere l’uomo in una sola
dimensione; ci riconosce come esseri complessi con più lati, molto più di semplice materia. Rischia di cadere in
un riduzionismo pericoloso, che rimanda alla domanda “come si fa ad essere felici allora”? Innanzitutto dobbiamo
curare l’anima (l’uomo è soprattutto psiche) pensando e parlando, ma senza tralasciare il corpo. Sul piano etico
invece l’uomo deve seguire il telos della felicità, tenendo a mente che ogni cosa esistente possiede un modo
migliore per esistere (che insegue la virtù).
Socrate trae a volte conclusioni che per alcuni sono paradossi:
1)Se il bene è ciò che conta, è meglio subire il male che farlo
2)Se la felicità è curare la virtù e la virtù è la cura dell’anima e la parte più alta dell’anima è la ragione, allora fare
il bene vuol dire conoscenza ed il male è l’ignoranza: si fa il male perché non si conosce il bene.

Socrate parla inoltre di qualcosa di divino alla fine dell’apologia, chiamandolo demone: quando deve decidere di
presenta come la voce della sua coscienza, ma è segno di qualcosa di trascendente.

PLATONE

Biografia
Platone nasce nel 428/427 ad Atene, dove poi morirà anche. Fa parte di una famiglia molto ricca ed aristocratica
(si faceva chiamare Aristocles, Platos era uno pseudonimo; esteso sia per intelligenza che per la fronte). Il padre
Aristone discende da un re di Atene (Codro) mentre la madre, Perictione, discende da Solone e da Crizia (un
tiranno). Fa i migliori studi ad Atene (allievo di Cratilo, seguace di Eraclito) e si lega a Socrate, il suo maestro
principale che ama filosoficamente. Ad Atene intanto abbiamo una crisi dello stato, all'interno della quale Platone
vorrebbe un miglioramento, con uno stato più giusto al termine. Nella 7 lettera esprime delusione per la
condanna e la stima di Socrate, che lo porta ad allontanarsi temporaneamente dalla politica e a concentrarsi sulla
ricerca della giustizia. Dopo questa fase critica viaggia per trovare luoghi adatti alla sua filosofia:
383 → Megara (invitato da colleghi)
388 → Egitto (cultura)
387 → Magna Grecia (scuole pitagoriche, molto interessato): Taranto, Siracusa (diventa amico di Dione)
Verrà poi fatto schiavo, imprigionato e liberato su cauzione, tornando così ad Atene.
Fonda più che una scuola una setta, l’accademia, estremamente selettiva.
367 → Siracusa (Dionigi il Giovane + aperto del padre)
Dionigi inizierà poi a sospettare di lui: lo farà arrestare, nonostante poi Platone si libererà nuovamente.
Tornato ad Atene, nel 361 farà il suo ultimo viaggio a Siracusa: verrà per la terza volta arrestato, ma verrà salvato
dai pitagorici tarantini.

Le sue opere
Platone è un filosofo completo, a 360 gradi. Tocca tutti gli ambiti della filosofia (soprattutto metafisica e politica).
E’ ovviamente anti-sofistico ed è assolutista, siccome ritiene che la verità sia una (capovolge Protagora). Utilizza
per scrivere i dialoghi (diretti e indiretti), cercando di avvicinarsi il più possibile all’oralità: difatti la filosofia per lui
deve essere viva. Utilizza anche il mito, non per svalutare la ragione ed il logos, ma per due motivi: come ausilio
al logos e con funzione didattico-didascalica (presente nelle opere pubbliche). Ha una visione politica
aristocratica, nella quale i migliori per lui sono i filosofi.
Le sue opere sono divisibili in diversi gruppi: innanzitutto quelle pubbliche e i frammenti delle sue lezioni, più
complessi delle prime aventi anche linguaggio tecnico. Si separano inoltre per epoca: i dialoghi giovanili
(pensiero legato a quello socratico), quelli della maturità (si vede il suo pensiero, capolavori) e quelli della
vecchiaia (si distanzia da Socrate). Nelle opere giovanili (dialoghi socratici o aporetici) Platone è molto legato al
suo maestro: lo stile è caratterizzato da un discorso aperto, con una ricerca sempre attiva. Riprende temi già
affrontati da Socrate ma li rielabora in maniera personale.

Il Fedro
Il mito nel Fedro riguarda la scrittura: è ambientato in Egitto ed è il racconto di Theuth (dio della
scrittura/sapienza) che vorrebbe dare dei doni al faraone Thamus: il sovrano li accetta tutti, ma non la scrittura.
La scrittura infatti può creare dimenticanze ed indebolire la memoria (portando all’oblio).

Il Critone
E’ il dialogo di continuazione all’Apologia: Socrate è in carcere e non vuole fuggire, aspetta la morte e le leggi
personificate lo inducono ad rispettarle.

L'Eutifrone
Dialogo diretto e breve, consiste nell’incontro di Socrate di un amico davanti al tribunale mentre sta andando a
difendersi. L’amico in questione è Eutifrone appunto, che si dirigeva a denunciare il padre. Egli infatti aveva
assunto uno schuavo per lavorare, ma quest’ultimo aveva aggredito e ucciso una persona. Il padre allora gli fa
scavare una fossa e lo mette al suo interno, facendolo morire di fame e sete. Socrate gli dice che quello che sta
per fare è sbagliato, è male: ma cosa è il male? Parlano allora della giustizia, del bene e delle virtù,
rappresentate dai santi. Ma cosa è la santità? La santità è:
1)Per Eutifrone, denunciare la cosa sbagliata per il giusto;
-Socrate dice che è una cosa più profonda, non può essere una semplice negazione.
2)Ciò che è gradito agli dei;
-gli dei spesso non sono d’accordo, una cosa è gradita agli dei perché santa o santa perchè gradita agli dei?
3)Prendersi cura degli dei
-Così misuriamo la santità in base agli uomini, si abbassa il livello divino dell’uomo

Il Gorgia
Discorso socratico e non aporetico al quale assistono diversi personaggi: Gorgia, Socrate, Cherofonte, Sofisti e
Callicle. Si svolge ad Atene, è diretto e teatrale. Approfondisce la retorica. Socrate chiede a Gorgia cosa
approfondisca nel dettaglio, al quale il sofista risponde che insegna cose in generale. Socrate ribadisce come la
retorica sia una tecnica di persuasione ed individua 4 arti buone (ginnastica, medicina, legislazione, giustizia) e 4
lusinghe (cosmesi, gastronomia, sofistica, retorica). Intervengono allora i sofisti per difendere le proprie arti : Polo
in primis e poi Callicrate, che si scaglia contro di lui dandogli del chiacchierone (non coltiva la conoscenza e la
virtù). Per lui vivere bene è: essere bello, essere ricco, essere potente e saper coltivare piaceri. Socrate usa un
mito sul destino dell’anima: è un racconto escatologico, prepara il terreno a quello che sarà il pensiero della
maturità di Platone (immortalità dell’anima come i pitagorici, influenzato, va a conoscerli a Taranto). Questa volta
il mito lo racconta Socrate, non Protagora (quando lo aveva raccontato quest’ultimo fu visto come attacco a
Socrate di Platone). I giudici che dovevano giudicare (isola dei beati o tartaro) giudicavano banalmente in base
all’aspetto estetico. Allora Zeus toglie il potere di prevedere la morte: Minosse per l’oriente, Radamante (figlio di
Zeus ed Europa) per l’occidente ed Eaco (figlio di Zeus ed Egina) per l’Europa. Questi ultimi sanno giudicare più
in profondo: i buoni nell’isola dei beati, cattivi al tartaro. Come ci sono corpi belli e brutti ci sono anche anime
belle e brutte: quella buona merita di essere premiata, non deve apparire “buona”, ma improntare la vita sul bene.
Può servire anche la retorica, se ci aiuta a vivere bene: Platone critica la retorica dei sofisti (inutile) ed elogia la
retorica dei filosofi (utile se serve per farci stare bene). Socrate dice a Callicrate che la sua vita è inutile perché
non coltiva la virtù ma le ricchezze terrene. La morte ci rende uguali, siamo soli con noi stessi. Chi è veramente
filosofo vive preparandosi alla morte, sa che deve morire e deve chiedersi cosa sta facendo di buono e profondo.
Platone sta preparando il Fedone (anche il Cratilo prepara la maturità, il tema è il linguaggio: è solo uno
strumento, vale come il pensiero?).ù

Il Cratilo
Dialogo che getta le basi per la maturità (vuole andare oltre a Socrate, usa la dialettica non solo per confutare ma
anche per cercare: metodo ipotetico-deduttivo), riguarda un filosofo seguace di Eraclito. Il tema principale è il
linguaggio, cosa sia e cosa venga prima, linguaggio o pensiero. Per Cratilo il linguaggio nasce dall’influenza che
le cose hanno su di noi: noi subiamo le conseguenze dell'ambiente. Per altri è una convenzionale invenzione
umana, per Platone e Socrate è lo strumento di pensiero per la verità. Fa poi un’analisi etimologica della parola
scienza, ovvero il livello alto della conoscenza (episteme, sta fermo, dobbiamo andare a fondo, non mi basta ciò
che è mutevole).

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