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David Abram1
Il sospetto che il linguaggio non sia cosa del tutto umana ha sempre acceso
l’immaginazione delle culture del mondo. Perché allora quella occidentale si mette al
mondo reprimendo questa ipotesi? Nel momento in cui l’Uomo (nel senso che a questa
parola danno Michel Foucault e Sylvia Wynter2) definisce sé stesso attraverso e in funzione
del linguaggio come sua prerogativa, le voci più-che-umane che partecipano alla polifonia
del mondo diventano echi sbiaditi, ricordi che più prova a sopprimere più il loro
linguaggio, l’Uomo immagina che risalendo alla sua origine troverà sé stesso. Più spesso
Per comprendere la di questo sospetto originale dovremo forse partire dalla fonte di quella
che, più a torto che a ragione, chiamiamo “cultura occidentale” 3, e prestare attenzione a
1
David Abram, The Spell of the Sensuous: Perception and Language in a More-than-Human World. Vintage
Books, 1997. p.80.
2
Quello moderno, razionale, bianco, eterocis.
Michel Foucault, Le parole e le cose. Rizzoli, 1967.
Sylvia Wynter, “Unsettling the Coloniality of Being/Power/Truth/Freedom: Towards the Human, After Man, Its
Overrepresentation–An Argument.” in CR: The New Centennial Review, 3 (3), 2003.
3
Martin Bernal, Atena nera: Le radici afroasiatiche della civiltà classica. Pratiche Editrice, 1991.
come essa immagina la genesi del linguaggio – e quindi anche di sé stessa. Se la Grecia
antica è davvero la culla di questo Uomo, è in effetti in ambiente ellenistico che troviamo
sia l’ipotesi dell’origine non-umana del linguaggio, che la sua risoluta confutazione. In
questo contesto – che si rivela particolarmente interessante anche in virtù della sua
commistione di logica e mito, e del suo ruolo nell’evoluzione del rapporto tra oralità e
Specchio acustico della voce umana, nei canti degli uccelli sente l’eco del proprio
Democrito è il primo ad immaginare che la poesia sia stata appresa per imitazione degli
uccelli. Questa idea però sopravvive nel pensiero successivo solo come refutazione, o nel
migliore dei casi in forma latente. Per Aristotele, la questione del linguaggio degli uccelli è
facoltà esclusiva dell’umano5. Quando nella Politica distingue la voce umana (phoné
semantiké) da quella animale in virtù della sua facoltà esclusiva di articolarsi in linguaggio,
dalla forza violenta con cui il logos assoggetta alla propria struttura ogni altra forma di
In questo classico della storia della cultura l’autore dimostra come l’”invenzione della Grecia” classica sia
avvenuta attraverso la soppressione volontaria delle influenze fenicie ed egizie in seno alla storiografia
occidentale e sotto gli influssi del colonialismo ed imperialismo europeo riverberatisi a tutti i livelli della
produzione culturale a partire dall’età moderna.
4
Eric A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura: Da Omero a Platone. Laterza, 2019.
5
Patrizia Laspia, “Il linguaggio degli uccelli: Aristotele e lo specifico fonetico del linguaggio umano” in
Sebastiano Vecchio (cur.), Linguistica impura: Dieci saggi di filosofia del linguaggio fra storia e teoria.
Edizioni Novecento, 1996. p.59.
Laspia nota come l’elaborazione da parte di Aristotele dell’esclusività umana del linguaggio fondata
sull’articolazione sia molto più contestata e problematizzata dall’autore stesso di quanto facciano trasparire le
cronache moderne, e che al suo centro ci sia la possibilità, considerata da Aristotele, dell’estendere questa
capacità agli uccelli.
6
Aristotele, Politica, 1253a10–18.
7
Giorgio Agamben, Che cos’è la filosofia? Quodlibet, 2016 pp.30-3; Jacques Rancière, Il disaccordo. Meltemi,
2007, p.2; Adriana Cavarero, A più voci: Filosofia dell’espressione vocale. Feltrinelli. 2003. p.200; Mladen
Dolar, La voce del padrone: Una teoria della voce tra arte, politica e psicoanalisi. Ortothes, 2014. p.125.
espressione. È attraverso l’espulsione delle voci che ritiene in-significanti (non solo di
animali ma di donn3, bambin3, schiav3, e barbar3) che la società umana si costituisce come
ideale di questa forma esclusiva di dialogo. In uno di questi, il Cratilo, è il mondo naturale
intero ad essere evocato, solo per essere escluso, dalla scena primaria del linguaggio 8.
Socrate ed Ermogene discutono con il personaggio che dà il nome al testo del rapporto tra
linguaggio e realtà. Cratilo sostiene che le cose e i loro nomi siano intrecciati da un legame
profondo: c’è qualcosa nelle cose del mondo che contiene in nuce il loro nome. Questa
intuizione ha molte importanti conseguenze. La prima, e più rilevante ai fini del nostro
ragionamento, è che se le cose chiamano i propri nomi, l’uomo debba averli appresi
Platone, sostenitore della differenza tra mondo e linguaggio fondata sulla separazione
ontologica tra realtà sensibile e aldilà trascendentale. Ironicamente, non sarà tanto Socrate a
spuntarla nel dibattito moderno sulla natura del linguaggio, ma Ermogene e la sua teoria del
nesso arbitrario tra significante e significato. Senza tante cerimonie, Socrate invita Cratilo e
Più avanti, in età antica e tardoantica, non solo la varietà dei nomi di uccelli, fatto
già di per sé eccezionale, ma anche la singolare corrispondenza tra il loro nome latino e i
suoni caratteristici dei loro canti, destava la curiosità dei lessicografi romani. Marco
Terenzio Varrone nel I secolo a.C. e Isidoro di Siviglia nel VI secolo d.C. notano il
carattere onomatopeico della maggioranza dei nomi delle specie di uccelli e dei verbi
8
Platone, Cratilo, 429a-32.
9
Gerard Genette, Mimologiques: Voyage en Cratylie. Seuil, 1976.
10
La scena è meglio descritta da Allen S. Weiss: “È proprio qui nella natura, dove la facoltà mimetica abbonda,
che i due filosofi, passeggiando tra i boschi, potrebbero aver sentito gli echi di una musica naturale che avrebbe
ispirato musicisti, poeti e filosofi di altra levatura”.
Allen S. Weiss, Varieties of Audio Mimesis: Musical Evocations of Landscape. Errant Bodies Press, 2008. p. 14.
utilizzati per descrivere il loro canto – dato d’altronde confermato dalle ricerche moderne:
l’imitazione sonora dei canti degli uccelli fosse un’arte di strada tanto popolare quanto mal
vista, il pensiero antico era ancora lungi dal formalizzare le sue pulsioni non-umane
Come nota la storica delle religioni Sabina Crippa, la prospettiva greca sulle origini della
voce articolata e del linguaggio costituisce un unicum rispetto alla quasi totalità dei sistemi
Medioevo, il Rinascimento, fino ad oggi14. Sarà solo in epoca moderna, agli albori
uccelli.
quello greco in particolare. A distanza di nove anni l’uno dall’altro, i filosofi Johann
sull’origine del linguaggio (1772) e Saggio sull’origine delle lingue (1781). Ognuno dalla
argomento, pur non spingendosi al punto di smontare la scala naturae su cui per millenni si
continuità tra uomo e animale con anticipo sulla teoria della selezione naturale.
ambiente di comunanza sensoriale con la natura, dal cui ascolto apprende le forme
elementari dei suoni che farà propri. Pur cauti nell’estendere la facoltà del linguaggio agli
animali (tra esseri umani e animali sussiste un abisso incolmabile scavato dall’uomo con
l’ingegno), per i due filosofi è comunque del tutto possibile che il linguaggio sia sorto
dall’uomo per “imitazione delle voci di una natura incessantemente operosa” 15. Da questa
germe il linguaggio tutto, evocando un passato in cui l’Uomo apprende, per poi sottrarre, il
linguaggio dalla natura. Per Rousseau, in fin dei conti, “il Cratilo di Platone non è così
15
Johann Gottfried Herder, Saggio sull’origine del linguaggio. Nuova Pratiche Editrice, 1995. p. 78.
16
Jean-Jacques Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue. Einaudi, 1989. p. 26.
Nella storia del pensiero occidentale sul linguaggio, la teoria naturalistica di Cratilo
chiamerà ironicamente “teorie bau-bau” quelle basate sul modello di Herder e Rousseau 17.
Oggi, dopo il viaggio compiuto attraverso una serie di figure più e meno marginali della
partecipa a quella storia minore impegnata sul fronte della risonorizzazione del logos e
Oggi il fonosimbolismo trova consenso non tanto all’interno della ristretta cornice della
linguistica, quanto in quella, a dire il vero sua propria, del dibattito sull’origine del
linguaggio. È in questo contesto che le voci degli uccelli svettano sulla polifonia naturale
per la loro particolare affinità con le voci umane. Oggi il fatto che il cuculo cuculi in una
quantità straordinaria di lingue è più di una mera curiosità. Questa ricorrenza, la sua
17
Max Müller, Lectures on the Science of Language. Kessinger Publishing, 2003 [1864].
18
Michela Piattelli, Pleasure of imitation: naturalismo e filogenesi del linguaggio nelle teorie di Hensleigh
Wedgwood e di Charles Darwin. Edizioni ETS, 2019.
19
Otto Jespersen, Language: Its Nature, Development and Origin. Routledge, 2013 [1922].
20
Roman Jakobson & Linda Waugh, La forma fonica della lingua. Il Saggiatore, 1984.
21
Fónagy, ibid.
sugli aspetti Olistici [holistic], Manipolativi, Multimodali, e Musicali della comunicazione
prelinguistica degli homo primitivi, al suo plausibile carattere Mimetico. Mithen costruisce
la sua proposta sulle ricerche (a sua volta ispirate da Jespersen) dell’etnobiologo Brent
Berlin sui nomi che i popoli Huambisa del contemporaneo Perù utilizzano per denotare
anche a chi non ne conosce la lingua, alludendo ad un ipotetico carattere universale della
meccanica onomatopeica22.
L’archeologo si accoda alle sempre più numerose ricerche di psicolog3 e antropolog3 nel
notare la somiglianza, già intuita da Darwin, con cui umani e uccelli apprendono il
proprio attraverso di esso che realizza il proprio dominio sulla natura. Alla luce di queste
considerazioni, la nozione dell’esclusività umana del logos rivela sempre di più il suo
22
Sebbene non ci debbano sfuggire gli aspetti problematici (coloniali ed etnocentrici) della comparazione tra un
popolo indigeno moderno e gli ominidi primitivi, questa ricerca costituisce solo un caso estremo di
riconoscimento dei nomi degli animali oltre le più grandi distanze linguistiche. Questa ricorrenza si può però
notare anche attraverso lingue tra sé più prossime come l’inglese, il francese e l’italiano.
Steven Mithen, Il canto degli antenati: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo. Codice
Edizioni. 2019, pp. 235-6.
23
ivi. nota 26, pp. 386-9.
24
ibid.; Dina Lipkind et al., “Stepwise Acquisition of Vocal Combinatorial Capacity in Songbirds and Human
Infants.” in Nature 498, 104-108 (2013).
Quando l’Uomo si dimostra irriconoscente verso l’animale che ha espulso dalla sua
comunità, è ai suoi margini che voci umane e non-umane ridotte al silenzio possono dare
forma a dialoghi più equi. Dal 2015 al 2022, l’artista Michela De Mattei si incontra
regolarmente su Skype con il merlo indiano Estée Lauder25. Insieme, Michela ed Estée
Lauder sperimentano approcci differenti per ragionare sulle affinità e differenze dei
l’animale, Michela individua in Estée Lauder un perfetto interlocutore grazie alla facoltà
tipica della sua specie di imitare non solo il linguaggio umano e altri suoni, ma di
riprodurne fedelmente anche il timbro. Sulla base di quello che ora sappiamo a proposito
della possibilità dell’apprendimento umano del linguaggio per imitazione degli uccelli, gli
L’abilità che ha reso merli indiani e altre specie di uccelli imitatori delle popolari
confronto con quei caratteri irrazionali che a lungo ha represso e affibbiato a non-umani
Incorporando nelle loro chiamate dei video di pedagogia vocale, Michela imposta
battito di ali, le voci (maschili) dei video tutorial sono gli unici suoni presenti in queste
25
Michela De Mattei, Estée Lauder Series, 2015-2022.
26
Federica Timeto, Bestiario Haraway: Per un femminismo multispecie. Mimesis Edizioni, 2020. pp. 33-4; Joe
Conway, “Words are for the Birds: ‘Non-reasoning Creatures Capable of Speech’ in the Writings of Schreber
and Poe” in Christopher Gogwilt & Melanie D. Holm (cur.), Mocking Bird Technologies: The Poetics of
Parroting, Mimicry and Other Starling Tropes. Fordham University Press, 2018.
Rimando a questo prezioso volume che affronta dalla prospettiva della critica letteraria molti dei temi toccati nel
mio testo.
“conversazioni”. Mentre le voci umane invitano l’uccello a imitarle per attirarlo nella
gabbia del logos e parlare "come un “omo”, Michela tenta di mettersi in comunicazione
logos sulla scena del dialogo transpecie, l’evocazione delle dinamiche di potere che ne
segnano la storia, non produce che straniamento. Il carattere radicale di queste performance
non sta quindi tanto nell’inscenare impossibili quanto ingenue conversazioni, ma nello
stabilire una zona di contatto nello spazio aperto27 in cui Michela ed Estée Lauder possono
meditare sulla violenza della mimesi e del suo rapporto con il linguaggio, e rispondere alle
Gli esperimenti di Michela ed Estée Lauder ci aiutano risalire alle origini profonde
destinato a deludere le aspettative, il nostro non farà eccezione. Alla fonte del linguaggio
dialogo già segnato dal carattere molteplice e ambiguo della mimesi, che si manifesta tanto
nelle forme di relazione che prefigura, quanto nelle modalità specifiche in cui si esprime.
Che il linguaggio primitivo fosse parte di un più ampio sistema di comunicazione in cui i
confini tra differenti forme di comunicazione (vocale, gestuale, tecnica, musicale) erano
27
Giorgio Agamben, L’aperto: L’uomo e l’animale. Bollati Boringhieri, 2002.
28
Aspetti delle conversazioni tra Michela De Mattei ed Estée Lauder (donna e il merlo indiano immersi in un
silenzio contemplativo) ricordano da vicino la discussione di Madeleine Brainerd & Kaori Kitao “Yogini and
Mynah Bird: On the Poetics and Politics of Transpecies Meditation” in Christopher Gogwilt & Melanie D.
Holm (cur.), ivi.
indistinti non è solo del tutto probabile, ma è tuttora vero del linguaggio orale
linguistica moderna.
Mithen sottolinea questo aspetto riservando una delle “M” del suo modello di
del corpo, le espressioni del volto, insieme all’aspetto sonoro del linguaggio, erano le
una volta un ruolo fondamentale, legando tutti questi elementi nella pantomima come
dunque, l’imitazione (multimodale) degli eventi e dei fatti della natura era un aspetto di
primaria importanza nella comunicazione non solo tra gli ominidi, ma anche tra l’uomo e la
della mimesi, da cui germogliano storie di dominio sulla natura quanto di complicità nelle
concerne tutte quelle strategie impegnate nella riproduzione delle fattezze del suo oggetto
getta ponti aptici oltre la soglia tra soggetti e oggetti. Per Taussig, compresa nella sua
membrana che divide soggetto e oggetto, uomo e natura30. Questa riflessione si rivela
29
Michael Taussig, Mimesis and Alterity: A Particular History of the Senses. Routledge, 1993.
30
Nicole Shukin, Capitale animale: Biopolitica e rendering. Tamu Edizioni, 2023.
come le pantomime degli ominidi primitivi o le conversazioni tra Michela ed Estée Lauder
(pur se l‘imitazione è qui evocata ma mai messa in scena) non solo perché ridà corpo ad
esperienze troppo spesso filtrate dalle maglie logocentriche e disincarnanti della metafisica
occidentale, ma anche perché tenta di ricucire gli strappi interni che dividono differenti
multimodale.
Bisogna però stare in guardia dai tentativi di “reincantare” la mimesi sotto la guisa
rapporti di potere che l’umano quasi invariabilmente instaura a favore della propria
unitaria, rinunciano alla loro potenzialità simpoietica (di significare-con) l’animale quando
di Musica, ma non a quella di Mediale – alla luce di quello che ora sappiamo sulla pratica
diffusa della costruzione, a partire da ossa di uccelli, di strumenti acustici che imitassero il
loro canto per attirarli in trappola, che rende certa la presenza di attività “al crocevia tra
Queste storie sempre già intrecciate sono catturate nella rete letteraria di Roberto
Per cacciare, occorreva prima imitare. Danzare il passo della pernice, dell’orso,
del leopardo, della gru, dello zibellino. Per diventare predatore, occorreva
31
Timeto, ivi.; Shukin, ivi.
32
Donna Haraway, Chthulucene: Sopravvivere su un pianeta infetto. Nero Editions, 2019.
33
Laurent Davin et al. “Bone Aerophones from Eynan-Mallaha (Israel) Indicate Imitation of Raptor Calls by the
Last Hunter-Gatherers in the Levant.” in Scientific Reports 13, 8709 (2023).
La produzione musicale primitiva è anche il soggetto di due opere artistiche e musicali che hanno
originariamente ispirato questo mio testo, la cui discussione approfondita purtroppo eccede lo spazio concesso:
Neolithic Sunshine, di Matteo Nasini (2018) in cui l’artista mette in scena un’interpretazione personale della
musica primitiva a partire dalla ricostruzione a mezzo stampa 3D di reperti di ossa animali adibite a strumenti
musicali; e, in misura meno lineare, l’esecuzione, a Palazzo Fabroni a Pistoia in occasione della mostra
“Mezz’Aria: La strana apertura della ricerca sonora” una settimana dopo la pubblicazione dell’articolo
sopracitato, della composizione La caccia (1965) di Walter Marchetti, in cui quattro performer eseguono una
partitura per richiami per uccelli.
entrare nei gesti del predatore e della preda. Così l’imitazione introduceva
veniva attirata e incantata perché si sentiva chiamata nella sua lingua. In quel
momento il cacciatore la colpiva. Cacciatore e sciamano sono gli esseri più affini.
Spesso parlano lo stesso linguaggio segreto, che è poi quello degli animali 34.
34
Roberto Calasso, Il cacciatore celeste. Adelphi, 2016.