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LA VOCAZIONE ORIGINARIA

Uccelli e linguaggio nella macchina antropologica

“Se il linguaggio è sempre, nelle sue

profondità, fisicamente e sensorialmente

risonante, allora non si può mai

definitivamente separare dall’evidente

espressività del canto degli uccelli.”

David Abram1

1. (PRELUDIO) OGGI: GENESI

Il sospetto che il linguaggio non sia cosa del tutto umana ha sempre acceso

l’immaginazione delle culture del mondo. Perché allora quella occidentale si mette al

mondo reprimendo questa ipotesi? Nel momento in cui l’Uomo (nel senso che a questa

parola danno Michel Foucault e Sylvia Wynter2) definisce sé stesso attraverso e in funzione

del linguaggio come sua prerogativa, le voci più-che-umane che partecipano alla polifonia

del mondo diventano echi sbiaditi, ricordi che più prova a sopprimere più il loro

(inevitabile) ritorno minaccia di sgretolarne l’identità. Pensandosi coincidente con il

linguaggio, l’Uomo immagina che risalendo alla sua origine troverà sé stesso. Più spesso

invece, trova tutt’altr3.

Per comprendere la di questo sospetto originale dovremo forse partire dalla fonte di quella

che, più a torto che a ragione, chiamiamo “cultura occidentale” 3, e prestare attenzione a

1
David Abram, The Spell of the Sensuous: Perception and Language in a More-than-Human World. Vintage
Books, 1997. p.80.
2
Quello moderno, razionale, bianco, eterocis.
Michel Foucault, Le parole e le cose. Rizzoli, 1967.
Sylvia Wynter, “Unsettling the Coloniality of Being/Power/Truth/Freedom: Towards the Human, After Man, Its
Overrepresentation–An Argument.” in CR: The New Centennial Review, 3 (3), 2003.
3
Martin Bernal, Atena nera: Le radici afroasiatiche della civiltà classica. Pratiche Editrice, 1991.
come essa immagina la genesi del linguaggio – e quindi anche di sé stessa. Se la Grecia

antica è davvero la culla di questo Uomo, è in effetti in ambiente ellenistico che troviamo

sia l’ipotesi dell’origine non-umana del linguaggio, che la sua risoluta confutazione. In

questo contesto – che si rivela particolarmente interessante anche in virtù della sua

commistione di logica e mito, e del suo ruolo nell’evoluzione del rapporto tra oralità e

scrittura4 –, una figura in particolare cattura (o è catturata da) l’immaginazione dell’Uomo.

Specchio acustico della voce umana, nei canti degli uccelli sente l’eco del proprio

linguaggio. Ma un dubbio lo assilla: e se fosse il contrario?

2. IV SECOLO a.C.: MIMOLOGICHE

Democrito è il primo ad immaginare che la poesia sia stata appresa per imitazione degli

uccelli. Questa idea però sopravvive nel pensiero successivo solo come refutazione, o nel

migliore dei casi in forma latente. Per Aristotele, la questione del linguaggio degli uccelli è

complessa e degna di attenzione, ma risolta con l’affermazione dell’articolazione come

facoltà esclusiva dell’umano5. Quando nella Politica distingue la voce umana (phoné

semantiké) da quella animale in virtù della sua facoltà esclusiva di articolarsi in linguaggio,

fonda il modello di ogni futura comunità politica occidentale sull’incapacità dell’Uomo di

ascoltare oltre sé stesso6. Così la “macchina antropologica”7 si mette in moto alimentata

dalla forza violenta con cui il logos assoggetta alla propria struttura ogni altra forma di

In questo classico della storia della cultura l’autore dimostra come l’”invenzione della Grecia” classica sia
avvenuta attraverso la soppressione volontaria delle influenze fenicie ed egizie in seno alla storiografia
occidentale e sotto gli influssi del colonialismo ed imperialismo europeo riverberatisi a tutti i livelli della
produzione culturale a partire dall’età moderna.
4
Eric A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura: Da Omero a Platone. Laterza, 2019.
5
Patrizia Laspia, “Il linguaggio degli uccelli: Aristotele e lo specifico fonetico del linguaggio umano” in
Sebastiano Vecchio (cur.), Linguistica impura: Dieci saggi di filosofia del linguaggio fra storia e teoria.
Edizioni Novecento, 1996. p.59.
Laspia nota come l’elaborazione da parte di Aristotele dell’esclusività umana del linguaggio fondata
sull’articolazione sia molto più contestata e problematizzata dall’autore stesso di quanto facciano trasparire le
cronache moderne, e che al suo centro ci sia la possibilità, considerata da Aristotele, dell’estendere questa
capacità agli uccelli.
6
Aristotele, Politica, 1253a10–18.
7
Giorgio Agamben, Che cos’è la filosofia? Quodlibet, 2016 pp.30-3; Jacques Rancière, Il disaccordo. Meltemi,
2007, p.2; Adriana Cavarero, A più voci: Filosofia dell’espressione vocale. Feltrinelli. 2003. p.200; Mladen
Dolar, La voce del padrone: Una teoria della voce tra arte, politica e psicoanalisi. Ortothes, 2014. p.125.
espressione. È attraverso l’espulsione delle voci che ritiene in-significanti (non solo di

animali ma di donn3, bambin3, schiav3, e barbar3) che la società umana si costituisce come

dialogo fra soli uomini.

Prima di Aristotele ma dopo Democrito, quello platonico si afferma come modello

ideale di questa forma esclusiva di dialogo. In uno di questi, il Cratilo, è il mondo naturale

intero ad essere evocato, solo per essere escluso, dalla scena primaria del linguaggio 8.

Socrate ed Ermogene discutono con il personaggio che dà il nome al testo del rapporto tra

linguaggio e realtà. Cratilo sostiene che le cose e i loro nomi siano intrecciati da un legame

profondo: c’è qualcosa nelle cose del mondo che contiene in nuce il loro nome. Questa

intuizione ha molte importanti conseguenze. La prima, e più rilevante ai fini del nostro

ragionamento, è che se le cose chiamano i propri nomi, l’uomo debba averli appresi

ascoltando. Si fa così strada nell’immaginazione l’ipotesi dell'origine onomatopeica del

linguaggio. L’irritazione di Socrate per la strampalata teoria di Cratilo fa eco a quella di

Platone, sostenitore della differenza tra mondo e linguaggio fondata sulla separazione

ontologica tra realtà sensibile e aldilà trascendentale. Ironicamente, non sarà tanto Socrate a

spuntarla nel dibattito moderno sulla natura del linguaggio, ma Ermogene e la sua teoria del

nesso arbitrario tra significante e significato. Senza tante cerimonie, Socrate invita Cratilo e

la sua teoria “mimologica”9 a “farsi un giro”, letteralmente, nelle campagne circostanti. Ma

cosa avrà sentito Cratilo, passeggiando tra i boschi?10

Più avanti, in età antica e tardoantica, non solo la varietà dei nomi di uccelli, fatto

già di per sé eccezionale, ma anche la singolare corrispondenza tra il loro nome latino e i

suoni caratteristici dei loro canti, destava la curiosità dei lessicografi romani. Marco

Terenzio Varrone nel I secolo a.C. e Isidoro di Siviglia nel VI secolo d.C. notano il

carattere onomatopeico della maggioranza dei nomi delle specie di uccelli e dei verbi

8
Platone, Cratilo, 429a-32.
9
Gerard Genette, Mimologiques: Voyage en Cratylie. Seuil, 1976.
10
La scena è meglio descritta da Allen S. Weiss: “È proprio qui nella natura, dove la facoltà mimetica abbonda,
che i due filosofi, passeggiando tra i boschi, potrebbero aver sentito gli echi di una musica naturale che avrebbe
ispirato musicisti, poeti e filosofi di altra levatura”.
Allen S. Weiss, Varieties of Audio Mimesis: Musical Evocations of Landscape. Errant Bodies Press, 2008. p. 14.
utilizzati per descrivere il loro canto – dato d’altronde confermato dalle ricerche moderne:

in latino circa un nome di uccello su tre ha origine onomatopeica 11. Ma nonostante

l’imitazione sonora dei canti degli uccelli fosse un’arte di strada tanto popolare quanto mal

vista, il pensiero antico era ancora lungi dal formalizzare le sue pulsioni non-umane

(altrimenti diffuse nell’immaginario popolare e religioso pagano sempre più

marginalizzato) in una teoria coerente dell’origine del linguaggio 12.

3. 1772-1781: TEORIE CIP-CIP ALLE ORIGINI DEL LOGOS

Come nota la storica delle religioni Sabina Crippa, la prospettiva greca sulle origini della

voce articolata e del linguaggio costituisce un unicum rispetto alla quasi totalità dei sistemi

di credenze umani. In un contesto globale antico che ha teso quasi universalmente ad

attribuirne la genesi a divinità o entità non-umane, l’approccio greco al problema è

risolutamente meccanicistico e fisiologico13. Ciononostante, l’ipotesi di Cratilo ha

inaugurato “una controversia di quattromila anni” che attraversa tutta l’antichità, il

Medioevo, il Rinascimento, fino ad oggi14. Sarà solo in epoca moderna, agli albori

dell’antropologia come scienza dell’Uomo, che l’ipotesi dell’origine non-umana del


11
Bettini, ivi. p. 565.
12
Rimando ancora a Bettini per una discussione della pratica e dell’opinione dei dotti sull’imitazione sonora
degli animali, e in particolare degli uccelli, nei mondi greco e romano antichi. In questo senso è interessante
notare la descrizione che il pseudo-Agostino fa dei culti mitraici descritti nella nota infra n. 8, e del parere di
Bettini che tali moti di disapprovazione fossero atti a mettere in luce negativa e contenere pratiche pagane a
favore del progressivamente dominante cristianesimo.
Bettini, ibid. p. 56.
Utile alla presente discussione è anche rilevare che con l’avvento dell’egemonia cristiana l’uccello perde i suoi
caratteri sonori per diventare un simbolo ottico dagli attributi morali all’interno di una cornice allegorica. Per
una discussione dell’imitazione degli uccelli interna al cristianesimo in età antica, si veda Patricia Cox Miller,
In the Eye of the Animal: Zoological Imagination in Ancient Christianity. University of Pennsylvania Press,
2018.
13
Nelle rare eccezioni in cui culti associati al pantheon greco – in realtà prodotti del milieu mediterraneo
(greco-romano-egiziano) della tarda antichità – come i misteri mitraici, adducono l’origine del linguaggio a
divinità, generalmente la associano alla figura sincretica di Ermes-Thot, divinità zooantropomorfa i cui tratti di
uccello (le calzature alate nel primo, la testa di ibis nell’altro) simboleggiano il suo ruolo di intermediario tra il
mondo degli umani e quello degli dei. Ai fini della presente discussione, è interessante riportare che i Papiri
Magici Greci, codici che contengono istruzioni per gli operatori rituali, prescrivono di rivolgersi alle divinità
imitando le voci di animali: così Ermes-Thot, dio alato che “[contiene] tutto” è evocato “in ogni voce e dialetto”
(97; PGM XIII, passim.) mentre il Sole “[suo] sottoposto” è invocato “nella lingua degli uccelli: Arai … nella
lingua del falco: hi hi hi hi hi hi hi tip tip tip”.
Sabina Crippa, La voce: Sonorità e pensiero alle origini della cultura europea. Edizioni Unicopli, 2015. p. 75
14
Ivan Fónagy, Le lettere vive: Scritti di semantica dei mutamenti linguistici. Edizioni Dedalo, 1993. p. 17.
linguaggio si spoglierà definitivamente dei suoi caratteri divini e si ricorderà del canto degli

uccelli.

A causa di tutto il suo corollario di implicazioni (genesi divina o mondana, natura

della cultura umana, la sua razionalità o irrazionalità), il dibattito sull’origine del

linguaggio si rianima in maniera particolarmente vivace in un periodo, l’Illuminismo, in cui

ad essere in gioco sono la sopravvivenza e l’eredità di questi stessi sistemi di pensiero, e di

quello greco in particolare. A distanza di nove anni l’uno dall’altro, i filosofi Johann

Gottfried Herder e Jean-Jacques Rousseau pubblicano due trattati intitolati Saggio

sull’origine del linguaggio (1772) e Saggio sull’origine delle lingue (1781). Ognuno dalla

propria prospettiva critica sull’imperante scientismo illuminista, i due filosofi preromantici

sono impegnati in una desacralizzazione dell’uomo in chiave antirazionalista. Conciliando

procedimenti deduttivi e la speculazione a cui è destinata ogni discussione su questo

argomento, pur non spingendosi al punto di smontare la scala naturae su cui per millenni si

è retto l’ordine (divinamente imposto) del mondo, Herder e Rousseau intuiscono la

continuità tra uomo e animale con anticipo sulla teoria della selezione naturale.

Nei loro trattati emerge un’immagine dell’uomo prelinguistico immerso in un

ambiente di comunanza sensoriale con la natura, dal cui ascolto apprende le forme

elementari dei suoni che farà propri. Pur cauti nell’estendere la facoltà del linguaggio agli

animali (tra esseri umani e animali sussiste un abisso incolmabile scavato dall’uomo con

l’ingegno), per i due filosofi è comunque del tutto possibile che il linguaggio sia sorto

dall’uomo per “imitazione delle voci di una natura incessantemente operosa” 15. Da questa

prospettiva, l’onomatopea, da mostruosità linguistica, diventa emblema che contiene in

germe il linguaggio tutto, evocando un passato in cui l’Uomo apprende, per poi sottrarre, il

linguaggio dalla natura. Per Rousseau, in fin dei conti, “il Cratilo di Platone non è così

ridicolo come sembra essere”16.

15
Johann Gottfried Herder, Saggio sull’origine del linguaggio. Nuova Pratiche Editrice, 1995. p. 78.
16
Jean-Jacques Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue. Einaudi, 1989. p. 26.
Nella storia del pensiero occidentale sul linguaggio, la teoria naturalistica di Cratilo

attraversa momenti di fortuna, di sfavore, e di vero e proprio pubblico ludibrio.

Commentando le idee dibattute in ambito evoluzionistico, il filologo tedesco Max Müller

chiamerà ironicamente “teorie bau-bau” quelle basate sul modello di Herder e Rousseau 17.

Oggi, dopo il viaggio compiuto attraverso una serie di figure più e meno marginali della

linguistica come Hensleigh Wedgwood18, Otto Jespersen19, Roman Jakobson e Linda

Waugh20, e Ivan Fónagy21, questa teoria è conosciuta come fonosimbolismo. Il lavoro di

questi studiosi, e gli strumenti dell’analisi linguistica comparativa moderna hanno

contribuito a sistematizzare le ricorrenze onomatopeiche in lingue diversissime tra di loro,

rilevando costanti ed eccezioni. Nonostante questi stessi pensatori ritengano inopportuno

estendere le loro idee all’intera meccanica della significazione linguistica, il cui

funzionamento ne eccede in maniera evidente i presupposti, la teoria fonosimbolista

partecipa a quella storia minore impegnata sul fronte della risonorizzazione del logos e

della riscoperta delle origini non-umane del linguaggio.

4. 2.000.000 a.C.-2005: HMMMM, PARTE I

Oggi il fonosimbolismo trova consenso non tanto all’interno della ristretta cornice della

linguistica, quanto in quella, a dire il vero sua propria, del dibattito sull’origine del

linguaggio. È in questo contesto che le voci degli uccelli svettano sulla polifonia naturale

per la loro particolare affinità con le voci umane. Oggi il fatto che il cuculo cuculi in una

quantità straordinaria di lingue è più di una mera curiosità. Questa ricorrenza, la sua

perseveranza attraverso storie, lingue e culture diverse, ha portato il paleontologo e

archeologo contemporaneo Steven Mithen ad estendere il suo modello “HMMMM”, basato

17
Max Müller, Lectures on the Science of Language. Kessinger Publishing, 2003 [1864].
18
Michela Piattelli, Pleasure of imitation: naturalismo e filogenesi del linguaggio nelle teorie di Hensleigh
Wedgwood e di Charles Darwin. Edizioni ETS, 2019.
19
Otto Jespersen, Language: Its Nature, Development and Origin. Routledge, 2013 [1922].
20
Roman Jakobson & Linda Waugh, La forma fonica della lingua. Il Saggiatore, 1984.
21
Fónagy, ibid.
sugli aspetti Olistici [holistic], Manipolativi, Multimodali, e Musicali della comunicazione

prelinguistica degli homo primitivi, al suo plausibile carattere Mimetico. Mithen costruisce

la sua proposta sulle ricerche (a sua volta ispirate da Jespersen) dell’etnobiologo Brent

Berlin sui nomi che i popoli Huambisa del contemporaneo Perù utilizzano per denotare

pesci e uccelli, rilevando caratteri onomatopeici che ne rendono possibile l’identificazione

anche a chi non ne conosce la lingua, alludendo ad un ipotetico carattere universale della

meccanica onomatopeica22.

Come se non bastasse, un aspetto per così dire “meta-epistemologico” introduce

un’ulteriore livello di complessità in un rapporto già riverberante. Secondo Mithen, ad

accomunare il linguaggio di uomini e uccelli non sarebbe solo la fonocomunicazione, cioè

la condivisa abilità di combinare unità acustiche altrimenti prive di senso inerente in

sequenze codificate23, ma le modalità di acquisizione e sviluppo stesso di questa facoltà.

L’archeologo si accoda alle sempre più numerose ricerche di psicolog3 e antropolog3 nel

notare la somiglianza, già intuita da Darwin, con cui umani e uccelli apprendono il

linguaggio imitando i propri simili progressivamente, attraversando analoghi stadi di

sviluppo24. Se è dagli uccelli che l’homo apprende ad apprendere il linguaggio, è anche

proprio attraverso di esso che realizza il proprio dominio sulla natura. Alla luce di queste

considerazioni, la nozione dell’esclusività umana del logos rivela sempre di più il suo

carattere unilaterale e predatorio.

5. (INTERLUDIO) 2015-2022: ESTÉE LAUDER

22
Sebbene non ci debbano sfuggire gli aspetti problematici (coloniali ed etnocentrici) della comparazione tra un
popolo indigeno moderno e gli ominidi primitivi, questa ricerca costituisce solo un caso estremo di
riconoscimento dei nomi degli animali oltre le più grandi distanze linguistiche. Questa ricorrenza si può però
notare anche attraverso lingue tra sé più prossime come l’inglese, il francese e l’italiano.
Steven Mithen, Il canto degli antenati: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo. Codice
Edizioni. 2019, pp. 235-6.
23
ivi. nota 26, pp. 386-9.
24
ibid.; Dina Lipkind et al., “Stepwise Acquisition of Vocal Combinatorial Capacity in Songbirds and Human
Infants.” in Nature 498, 104-108 (2013).
Quando l’Uomo si dimostra irriconoscente verso l’animale che ha espulso dalla sua

comunità, è ai suoi margini che voci umane e non-umane ridotte al silenzio possono dare

forma a dialoghi più equi. Dal 2015 al 2022, l’artista Michela De Mattei si incontra

regolarmente su Skype con il merlo indiano Estée Lauder25. Insieme, Michela ed Estée

Lauder sperimentano approcci differenti per ragionare sulle affinità e differenze dei

rispettivi sistemi di comunicazione. Interessata alla tendenza umana ad antropomorfizzare

l’animale, Michela individua in Estée Lauder un perfetto interlocutore grazie alla facoltà

tipica della sua specie di imitare non solo il linguaggio umano e altri suoni, ma di

riprodurne fedelmente anche il timbro. Sulla base di quello che ora sappiamo a proposito

della possibilità dell’apprendimento umano del linguaggio per imitazione degli uccelli, gli

uccelli imitatori suggeriscono l’immagine sconcertante di una “imitazione dell’imitazione”.

L’abilità che ha reso merli indiani e altre specie di uccelli imitatori delle popolari

attrazioni è da sempre considerata perturbante (quindi immediatamente affascinante) perché

travalica un confine pensato insuperabile. Animali che “scimmiottano” l’umano

ripetendone la voce “a pappagallo” ne restituiscono un’immagine sonora che lo mette a

confronto con quei caratteri irrazionali che a lungo ha represso e affibbiato a non-umani

come animali e macchine26. Ma nelle conversazioni transpecie di Michela ed Estée Lauder

non è tanto la voce dell’uccello a turbare, quanto la violenza di quella umana.

Incorporando nelle loro chiamate dei video di pedagogia vocale, Michela imposta

le sessioni sfruttando il formato del tutorial per sovvertirne le premesse, che

presuppongono un oggetto di apprendimento acquisire la conoscenza di un soggetto

competente imitandone i comportamenti. Ma alle istruzioni umane Estée Lauder restituisce

solo indifferenza e reazioni improvvise a stimoli misteriosi. Infatti, ad eccezione di qualche

battito di ali, le voci (maschili) dei video tutorial sono gli unici suoni presenti in queste

25
Michela De Mattei, Estée Lauder Series, 2015-2022.
26
Federica Timeto, Bestiario Haraway: Per un femminismo multispecie. Mimesis Edizioni, 2020. pp. 33-4; Joe
Conway, “Words are for the Birds: ‘Non-reasoning Creatures Capable of Speech’ in the Writings of Schreber
and Poe” in Christopher Gogwilt & Melanie D. Holm (cur.), Mocking Bird Technologies: The Poetics of
Parroting, Mimicry and Other Starling Tropes. Fordham University Press, 2018.
Rimando a questo prezioso volume che affronta dalla prospettiva della critica letteraria molti dei temi toccati nel
mio testo.
“conversazioni”. Mentre le voci umane invitano l’uccello a imitarle per attirarlo nella

gabbia del logos e parlare "come un “omo”, Michela tenta di mettersi in comunicazione

attraverso forme non-linguistiche come il gesto, la danza, e l’ipnosi.

Ma il punto non è tanto il successo o il fallimento dell’una o dell’altra forma di

comunicazione, dell’apprendimento o meno del linguaggio. E non lo è nemmeno

l’inversione dei ruoli normativi che le dialettiche dell’imitazione e del linguaggio

prefigurano: ciò condurrebbe inevitabilmente alla loro riaffermazione. La riproduzione del

logos sulla scena del dialogo transpecie, l’evocazione delle dinamiche di potere che ne

segnano la storia, non produce che straniamento. Il carattere radicale di queste performance

non sta quindi tanto nell’inscenare impossibili quanto ingenue conversazioni, ma nello

stabilire una zona di contatto nello spazio aperto27 in cui Michela ed Estée Lauder possono

meditare sulla violenza della mimesi e del suo rapporto con il linguaggio, e rispondere alle

ingiunzioni dell’Uomo col silenzio che si merita28.

6. 2.000.000 a.C-2005: HMMMM, PARTE II

Gli esperimenti di Michela ed Estée Lauder ci aiutano risalire alle origini profonde

del linguaggio, superando la nozione limitata di esso che ha afflitto e continua a

pregiudicare le riflessioni dell’Uomo moderno. Ma se ogni viaggio a ritroso nel tempo è

destinato a deludere le aspettative, il nostro non farà eccezione. Alla fonte del linguaggio

non troveremo la comunanza tra Uomo e natura idealizzata dai protoromantici ma un

dialogo già segnato dal carattere molteplice e ambiguo della mimesi, che si manifesta tanto

nelle forme di relazione che prefigura, quanto nelle modalità specifiche in cui si esprime.

Che il linguaggio primitivo fosse parte di un più ampio sistema di comunicazione in cui i

confini tra differenti forme di comunicazione (vocale, gestuale, tecnica, musicale) erano

27
Giorgio Agamben, L’aperto: L’uomo e l’animale. Bollati Boringhieri, 2002.
28
Aspetti delle conversazioni tra Michela De Mattei ed Estée Lauder (donna e il merlo indiano immersi in un
silenzio contemplativo) ricordano da vicino la discussione di Madeleine Brainerd & Kaori Kitao “Yogini and
Mynah Bird: On the Poetics and Politics of Transpecies Meditation” in Christopher Gogwilt & Melanie D.
Holm (cur.), ivi.
indistinti non è solo del tutto probabile, ma è tuttora vero del linguaggio orale

contemporaneo, indipendentemente dalle nevrotiche pulsioni classificatorie della

linguistica moderna.

Mithen sottolinea questo aspetto riservando una delle “M” del suo modello di

comunicazione alla Multimodalità del linguaggio che accompagna la storia umana

dall’homo ergaster di 2 milioni di anni fa all’homo erectus contemporaneo. La gestualità

del corpo, le espressioni del volto, insieme all’aspetto sonoro del linguaggio, erano le

componenti inscindibili di un sistema di comunicazione nel quale la mimesi gioca ancora

una volta un ruolo fondamentale, legando tutti questi elementi nella pantomima come

modalità espressiva privilegiata. Prima del linguaggio articolato e delle onomatopee,

dunque, l’imitazione (multimodale) degli eventi e dei fatti della natura era un aspetto di

primaria importanza nella comunicazione non solo tra gli ominidi, ma anche tra l’uomo e la

natura alla quale “fa il verso”.

7. 12.000 a.C.-2023: I CACCIATORI CELESTI

La multimodalità della comunicazione dischiude il nocciolo duro del problema

della mimesi, da cui germogliano storie di dominio sulla natura quanto di complicità nelle

pratiche di significazione. Secondo l’antropologo Michael Taussig la mimesi abbraccia due

pratiche differenti ma contigue, e spesso indivisibili: l’imitazione e il contatto 29. La prima

concerne tutte quelle strategie impegnate nella riproduzione delle fattezze del suo oggetto

di rappresentazione, mentre la seconda è una pratica gestuale non-rappresentazionale che

getta ponti aptici oltre la soglia tra soggetti e oggetti. Per Taussig, compresa nella sua

interezza, la mimesi ha la capacità di stabilire zone di contatto sensuali che assottigliano la

membrana che divide soggetto e oggetto, uomo e natura30. Questa riflessione si rivela

particolarmente produttiva nell’ascolto di pratiche performative basate sull’imitazione

29
Michael Taussig, Mimesis and Alterity: A Particular History of the Senses. Routledge, 1993.
30
Nicole Shukin, Capitale animale: Biopolitica e rendering. Tamu Edizioni, 2023.
come le pantomime degli ominidi primitivi o le conversazioni tra Michela ed Estée Lauder

(pur se l‘imitazione è qui evocata ma mai messa in scena) non solo perché ridà corpo ad

esperienze troppo spesso filtrate dalle maglie logocentriche e disincarnanti della metafisica

occidentale, ma anche perché tenta di ricucire gli strappi interni che dividono differenti

aspetti (sonori, somatici, tecnologici) di esperienze meglio intese in un quadro

multimodale.

Bisogna però stare in guardia dai tentativi di “reincantare” la mimesi sotto la guisa

di una tecnica rappresentazionale “simpatetica”: occorre rimanere sempre critich3 dei

rapporti di potere che l’umano quasi invariabilmente instaura a favore della propria

specie31. La mimesi e il linguaggio, come parti di una grande pratica di comunicazione

unitaria, rinunciano alla loro potenzialità simpoietica (di significare-con) l’animale quando

si frammentano e si rivoltano contro di esso32. Dove si colloca la caccia, ad esempio, nel

sistema di comunicazione multimodale immaginato da Mithen – il quale dà spazio alla “M”

di Musica, ma non a quella di Mediale – alla luce di quello che ora sappiamo sulla pratica

diffusa della costruzione, a partire da ossa di uccelli, di strumenti acustici che imitassero il

loro canto per attirarli in trappola, che rende certa la presenza di attività “al crocevia tra

comunicazione, caccia e musica” nelle comunità umane del Mesolitico? 33

Queste storie sempre già intrecciate sono catturate nella rete letteraria di Roberto

Calasso, che ne Il cacciatore celeste scrive:

Per cacciare, occorreva prima imitare. Danzare il passo della pernice, dell’orso,

del leopardo, della gru, dello zibellino. Per diventare predatore, occorreva
31
Timeto, ivi.; Shukin, ivi.
32
Donna Haraway, Chthulucene: Sopravvivere su un pianeta infetto. Nero Editions, 2019.
33
Laurent Davin et al. “Bone Aerophones from Eynan-Mallaha (Israel) Indicate Imitation of Raptor Calls by the
Last Hunter-Gatherers in the Levant.” in Scientific Reports 13, 8709 (2023).
La produzione musicale primitiva è anche il soggetto di due opere artistiche e musicali che hanno
originariamente ispirato questo mio testo, la cui discussione approfondita purtroppo eccede lo spazio concesso:
Neolithic Sunshine, di Matteo Nasini (2018) in cui l’artista mette in scena un’interpretazione personale della
musica primitiva a partire dalla ricostruzione a mezzo stampa 3D di reperti di ossa animali adibite a strumenti
musicali; e, in misura meno lineare, l’esecuzione, a Palazzo Fabroni a Pistoia in occasione della mostra
“Mezz’Aria: La strana apertura della ricerca sonora” una settimana dopo la pubblicazione dell’articolo
sopracitato, della composizione La caccia (1965) di Walter Marchetti, in cui quattro performer eseguono una
partitura per richiami per uccelli.
entrare nei gesti del predatore e della preda. Così l’imitazione introduceva

all’uccisione. E, nascosta nell’uccisione, si incontrava l’imitazione. La preda

veniva attirata e incantata perché si sentiva chiamata nella sua lingua. In quel

momento il cacciatore la colpiva. Cacciatore e sciamano sono gli esseri più affini.

Spesso parlano lo stesso linguaggio segreto, che è poi quello degli animali 34.

34
Roberto Calasso, Il cacciatore celeste. Adelphi, 2016.

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