Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Il canto vivace di Orfeo, uomo che comanda la natura, riesce a competere con la voce delle sirene e
il suo suono riempie le orecchie dei suoi compagni salvandoli, ma proprio quando questi ultimi
credono di averla scampata, notano che il loro compagno Bute sta nuotando verso quel canto oscuro.
Afrodite, dea dell’amore, sottrae alle sirene l’ennesima vittima, Bute, che passa alla storia come
l’unico argonauta ad aver udito la voce delle seduttrici. Così Bute e Ulisse sono gli unici uomini ad
aver sentito le sirene, assieme probabilmente a Orfeo. Ma questo privilegio passa in secondo piano,
quello che rimane rilevante è l’affronto che umilia le sirene e le costringe a togliersi la vita.
La presenza del tema del suicidio delle sirene sia nel mito degli Argonauti che in quello di Ulisse
dipende dal fatto che “si tratta probabilmente di un’unica tradizione per cui la nave di Ulisse e
quella di Giasone sono la stessa cosa”, un tema che migra da un mito all’altro. Quando non si
uccidono volontariamente, le sirene vengono punite e uccise dalle muse. Le fanciulle sono
dunque potenzialmente immortali, ma questa è un’immortalità provvisoria.
6. Partenope all’opera
Una vasta produzione artistica dedicata a Napoli ha contribuito a costruire un forte senso
identitario sotto il segno della sirena. Il racconto dell’incantatrice non si è mai interrotto ed
infatti all’inizio del 600 Giovanni Antonio Summonte scrive nella “Historia della città e Regno di
Napoli” una ricostruzione storica di Partenope; secondo lui quest’ultima sarebbe stata la
discendenza di una famiglia di ecisti, fondatori della città, e quindi, in questo caso,
l’interpretazione del racconto è evemeristica (posizione della filosofia della religione che sostiene
che gli dèi rappresentino soggetti umani divinizzati) secondo la quale Partenope è a tutti gli effetti
una regina e non una sirena (la donna-uccello è stata solo un errore commesso dagli antichi,
privi di conoscenza logica, e in particolare dai poeti chiamati in ogni cultura a compiere una
traduzione linguistico-metaforica della storia per renderla comprensibile a tutti). Nel caso di
Napoli i poeti avrebbero usato la figura della donna-uccello e la bellezza del suo canto per
restituire con un’icona quell’incantamento che una natura straordinaria come quella del golfo
di Napoli indurrebbe nei suoi visitatori. Nella narrazione di Summonte la sirena diventa
metafora dell’incanto e del desiderio, insieme di emozioni suscitate alla vista del luogo. Il
personaggio di Partenope e la sirena diventano due entità separate: la prima ricondotta alla
storia, la seconda viene risospinta nel mito e usata come un geroglifico, un epilogo figurativo. A
questo passo è stato riconosciuto il ruolo di una lunga e autorevole filiera musicale che ha reso
celebre il mito di fondazione della città nella cultura europea. Si tratta di una fulgida sequela
operistica che inizia con un libretto dal titolo “Partenope pacificata” di Giulio Cesare Sorrentino.
L’opera è andata in scena nella rivolta napoletana del 1647 [ con la prima donna truccata da sirena
che trionfa su Masaniello mentre un coro di sirene dolenti rievoca il paradiso perduto e paragona Napoli a Troia
in fiamme ]. Pochi anni dopo Silvio Stampiglia scrive un’altra Partenope ispirata alla “Historia della
città di Napoli” di Summonte [ il sipario si apre sulla costruzione della città di Napoli e sulla regina sul trono,
il mito assume il patriottismo e la vergine sovrana rievoca il conflitto con Cuma segnato da vendette; alla
conclusione avviene il trionfo dei suoi figli, i partenopei ]. Da un teatro all’altro l’opera riscuote continui
successi fino ad approdare alla stagione del carnevale di Venezia del 1725. In seguito oltrepassa
la Manica e raggiunge Georg Friedrich Handel che la presenta al pubblico di Londra nel 1730.
Sette anni dopo ritorna al Covent Garden e va anche in tournée in Germania, tornando a Venezia
nel 1738 e nel 1753 per la fiera dell’ascensione. Quattro anni dopo torna a Londra con il titolo
di “Rosmira fedele”. Il successo di ciò si arricchisce quando viene riscritto da Pietro Metastasio
per una festa teatrale musicata da Adolf Hasse in occasione delle nozze di Ferdinando IV di
Borbone con Maria Giuseppa d’Austria alla corte cesarea di Vienna nel 1767 (la trama del poeta
ricorda “Così fan tutte” di Lorenzo Da Ponte con due coppie di amanti nelle mani del fato, un
racconto melodrammatico). Se fino a qui il teatro si concentra sulla figura della fondatrice
mitica, al teatro dei fiorentini di Napoli durante il carnevale del 1798, una commedia musicata
da Antonio Benelli, intitolata “Partenope”, ripropone l’incontro fra Ulisse e le sue sfidanti, le
incantartici. Questa volta però ad impazzire di desiderio è la sirena che vuole attirare l’amato
nella sua reggia ed è al pari con Circe che ricorre ad arti magiche. Partenope ricorda di essere la
figlia di una stirpe di fondatori e crede di meritare il matrimonio con Ulisse che però va via
insieme ai suoi uomini (nel libro “Partenope da sirena a regina” Dinko Fabris sostiene che si
tratti di un’opera contro il re Ferdinando IV che, sconfitto da Napoleone, aveva abbandonato la
città per mettersi in salvo con le sue ricchezze; era insomma un prologo della rivoluzione
giacobina del 1799, trasfigurata nel linguaggio del mito). Questa lunga serie di varianti del mito
di fondazione si chiude con il “sogno di Partenope” di Giovanni Simone Mayr nel 1817 che
inaugura il Teatro San Carlo ricostruito dopo un incendio. Lèvi-Strauss definisce ciò come una
sorta di “sacrificio rigenerativo per cui il mito in quanto tale muore perché la sua forma possa
separarsene come l’anima dal corpo, per andare a chiedere alla musica il modo di reincarnarsi
non articolando più i significati ma suoni”.
6. Sirene eversive
Le sirene sono vergini che odiano il matrimonio, per questo tra loro e Afrodite non è mai corso
buon sangue. Le creature alate vengono dipinte il più delle volte come insensibili sia all’amore
che alle nozze. Il rifiuto del matrimonio nella cultura antica si concretizza tanto in una scelta
sociale quanto nei contrassegni simbolici ad essa legati. Molti fra questi trovano articolazione
nel mitologema della parthenia, la verginità, che nel mondo pagano non ha nulla a che vedere
con l’illibatezza ma essere vergini qui significava essere libere dai vincoli matrimoniali. E
quest’ultimo è sotto il dominio mitico-simbolico di Afrodite, nonché della sua omologa latina
Venere. Un gruppo di miti racconta che le sirene si erano votate alla verginità suscitando l’ira
della dea che per questo le punisce trasformandole in uccelli.
Ovidio scrive che in principio le sirene erano delle vergini al seguito di Persefone con il compito di
custodirla. Nonostante la loro vigilanza, Ade rapisce la giovane e Demetra, la madre, ordina di
ritrovarla a tutti i costi. Le ancelle semi-divine chiedono agli dèi di essere dotate di ali per poter
sorvolare anche il mare e proprio nella “Metamorfosi” il poeta si interroga sulla natura delle sirene.
In questo caso la verginità da preservare è quella di Persefone che rappresenta l’incorporazione del
concetto stesso di verginità, ciò fa appunto le sirene custodi della verginità
Lo statuto mitico delle sirene proposto da questi miti è quello di numi tutelarli di ogni resistenza
al matrimonio e poiché lo scambio matrimoniale rappresenta il nucleo generativo della società,
il racconto mitico sposta la questione sulla stessa società e in particolare sui sistemi di regole
che ne fondano i ruoli. Afrodite viene detta per questo hedonè, piacere sensuale e incarna la
funzione simbolica contraria a quella delle sirene. Essa seduce in nome dell’unione
matrimoniale. Le sirene remano contro il matrimonio anche quando si tratta di quello tra
Persefone e Ade; ma in questo caso il racconto mitico si fa più ambiguo e il ruolo delle fanciulle
sembra scivolare verso un’alleanza con il dio degli inferi, avendo anche un collegamento con i
defunti. Le sirene incarnano dunque un ruolo antagonistico alla comunità, per questo la società
è costretta a isolarle e a raccomandare ai suoi membri di evitarle. Ma nonostante questo, per
la struttura dei ruoli sociali, il ruolo delle sirene è indispensabile quanto quello di Afrodite. Il
tema del rapimento di Persefone e la conseguente punizione delle sue ancelle che diventano
sirene è stato elaborato anche da altri illustri scrittori. Primo fra tutti Igino che racconta come
le compagne di Persefone, dopo il suo rapimento, fossero giunte da Demetra che,
considerandole irresponsabili, le trasforma in uccelli. Nel De raptu Proserpinae del poeta latino
Claudiano, troviamo un’ulteriore variante del mito
Dove racconta che le sirene erano le compagne di giochi della giovane ragazza e le facevano
compagnia. Elettra, nutrice di Persefone, racconta che Venere si presenta nel loro rifugio con un
corteo di altre dee, istiga la giovane a lasciare la stanza protetta per godere della bellezza dei fiori. In
un Idillio floreale, quando il sole raggiunge il suo apice, cala improvvisamente la tenebra e la giovane
vergine sparisce nel nulla. “Allora le sirene, levandosi su rapide ali, occupano la costa del siculo Pelòro
e irate per la sciagura mutano in morbo i loro suoni, ora armoniosi e dannosi”
L’autore qui salda in un unico racconto il tema del ratto con quello del naufragio, facendo
diventare l’ira e il desiderio di vendetta la ragione per cui le sirene si accaniscono sui marinai
(qui le fanciulle sono già delle sirene alate ancor prima che Ade/Plutone irrompa sulla scena).
Un altro prezioso passaggio del racconto di Claudiano: l’unica fanciulla che ha tentato di fermare
Ade, Ciane, viene trovata a terra moribonda e, dopo l’interrogazione delle compagne
sull’identità del rapitore, il suo corpo si discioglie misteriosamente in un fluido trasparente e da
allora diventa la più famosa delle ninfe di Sicilia. Proprio quel che accade a una delle
Gambasinine di cui si racconta nella Storia Vera
In quest’opera Luciano, mescolando in forma parodica tutti i mitemi tradizionali che riguardano le
sirene, inventa degli ibridi che vivono sull’isola di Cobalusa e attraggono i marinai nelle loro case per
sedurli e poi divorarli. Quando una di queste creature mostruose veniva smascherata, fuggiva
trasformandosi in acqua.
La liquidazione del corpo di Ciane, nell’opera di Claudiano, ne mette in luce la natura non umana
che caratterizza anche le sirene, la loro metamorfosi appare il compimento di un destino, non il
suo svolgimento. Sia la letteratura che i riti della Grecia antica mettono spesso in relazione
l’immagine delle acque alla sfera dell’eros; il modo di intendere l’eros si rivela nel mito, in
particolare quando si lega a personaggi femminili e a una condizione virginale che si vuole
tutelare ad ogni costo. Con questi simboli il mito riflette la posizione sociale della donna greca.
A tale proposito risulta esemplare il mito delle due sorelle
Molpadia e Parthenos, che ricevono dal padre il compito di controllare un otre di vino, si
addormentano mentre alcune scrofe rompono il vaso. Temendo la reazione del padre fuggono verso
il mare e si lanciano dalla scogliera ma il dio Apollo, impietosito, le salva e le porta in due città diverse.
Parthenos giunge a Bubasto dove le viene costruito un recinto sacro dove i cittadini le tributano
onore; Molpadia giunge a Castabos dove le viene dedicato un culto di guarigione con il nome di
Semidea. Si tratta di una conversione medica importante visto che a Cnido, la città egemone di
quell’area, il culto più importante era quello per Afrodite.
Dove c’è Afrodite ci sono parthenoi, dove ci sono vergini ci sono morti tragiche dalle quali però
nasce qualcosa di nuovo, come ad esempio costellazioni che ritroviamo nella storia della dea
Siria raccontata da Eratostene
La dea sirena questa volta è la figlia di Afrodite. Una notte cade nel lago della sua città, Hierapolis,
ma viene salvata da un pesce e per questo quando muore si trasforma nella costellazione dei pesci.
Eratostene, nei “catasterismorum fragmenta vaticana” racconta che in ricordo di questa
metamorfosi astrale gli abitanti della Siria fabbricano pesci d’oro e d’argento che onorano come
animali sacri
Si potrebbe pensare che la vicenda di questa dea orientale sia rimasta avvolta nella nebulosa
ma non è così. Come prova è l’immagine della sirena Derceto che il celebre gesuita Athanasius
Kirker inserisce nel suo libro “oedipus aegyptiacus” insieme a geroglifici e tavole isiache. Il
gesuita riprende un po' tutte le fonti sul tema, da Plinio a Ovidio a Diodoro Siculo, e ritiene che
i nomi diversi con i quali questa dea si è presentata nelle diverse parti del mondo riassumono
alla fine una figura sola, quella della dea marina Venere, che i greci chiamano Afrodite (quando
le sirene lottano contro la dea in realtà lottano con loro stesse; quando attraggono marinai con
la loro arte della seduzione, lo fanno in quanto sono l’altra la faccia dell’amore e del desiderio).
Un’altra vergine antagonista di Afrodite è Mirra, che prima di trasformarsi in una sostanza
preziosa era una persona. Il suo mito è ambientato in Siria e va letto come un paradigma della
seduzione
La giovane Mirra rifiuta tutti i suoi pretendenti opponendosi di fatto al matrimonio e ad Afrodite la
quale, indispettita, la fa innamorare perdutamente del padre, il re di Cipro. Da questa follia amorosa
nasce Adone. Nella prima parte del mito il tema dominante è la sfida della vergine nei confronti della
dea del matrimonio. La punizione trasforma Mirra in una vittima sacrificale della dea, la quale la
spinge verso l’estremo opposto della norma da rispettare, il matrimonio esogamico (non con
parenti). La seduzione qui provoca il cortocircuito sociale, annichilendo (abbattendo) la donna che si
trasforma in un albero profumato, l’albero di mirra. Dalla sua corteccia nasce un figlio, Adone, che è
l’incarnazione stessa della seduzione. Il divino adolescente suscita un amore sfrenato sia in Afrodite
che in Persefone, tanto che le due se lo contendono fino a raggiungere un accordo: sei mesi con l’una
e sei con l’altra.
I miti dicono dunque quanto sia pericoloso opporsi ad Afrodite, e di conseguenza al matrimonio.
La verginità qui è una virtù finché è funzionale al gruppo, quando invece diventa una scelta
esistenziale, un’ostinazione individuale, allora si trasforma in errore da punire severamente e
pubblicamente.
Atena, Partenope, Siria ci raccontano dunque il mito, portano a compimento questo
oltrepassamento abbandonando l’oikos, il focolare domestico, per accendere il fuoco pubblico
della polis. Creano lo spazio per un femminile che agisce positivamente sulla comunità e
addirittura la fonda. Si sottraggono alle leggi e proprio per questo le istituiscono. Le eroine in
questione rifiutano il vincolo del matrimonio per patrocinare quello comunitario. Così le sirene,
da creature pericolose diventano, con la fondazione della città, figure totalmente positive.
In realtà la sirenetta prima ancora di toccare l’acqua si è trasformata in una figlia dell’aria, non avendo
più un corpo si librava nel cielo senza aver bisogno delle ali, insieme a 100 figure invisibili che
cantavano una melodia spirituale inaudita. Dalle sue nuove compagne apprende che alle figlie d’aria
è concesso diventare immortali se trascorrono 300 anni a loro disposizione compiendo buone azioni,
e ogni volta che un bambino si comporta bene alle figlie d’aria viene scontato un anno di attesa al
raggiungimento dell’immortalità; al contrario, quando i bambini cattivi e maleducati fanno arrabbiare
i genitori, gli spiriti dell’aria piangono e per di più vengono penalizzati con un anno in più da scontare
su questa terra. A cominciare da quel giorno la sirenetta si consola iniziando a guadagnarsi un’anima
immortale.