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Perricone
Antropologia
Università degli Studi di Palermo
6 pag.
Introduzione
“Il folcloristico è l’essenzializzazione del folclore”. Rosario Perricone
Fino a qualche tempo fa in Sicilia, si credeva che i vecchi che si facevano fotografare sarebbero morti subito perché la
fotografia avrebbe rubato loro l’anima e facevano dei gesti scaramantici; ad esempio la foto del 1930 di Domenico
Lemmo documenta due sopravvivenze, quella della “mano in fica” e quella dell’ombra e del riflesso (che si riferisce
all’anima). Farsi fotografare significa perdere la propria anima in quanto chi possiede quella foto potrebbe esercitare su di
essa qualsiasi azione, che si rifletterebbe per effetto magico sulla persona (Frazer, principio che il simile produce il simile).
In Sicilia le immagini fotografiche venivano effettivamente utilizzate, insieme a parti intime della persona ritratta, per
legature d’amore o per magie dannose: questo perché nella credenza comune l’anima è legata al corpo e da essa dipende
la vita e l’identità della persona; la foto è quindi copia di spirito in corpo.
I modi di rappresentazione ed il loro contenuto effettivo rientrano non solo nella tradizione figurativa ma, anche nel
campo della tradizione culturale; questi studi si raccolgono sotto l’etichetta Iconic Turner, che rientra nel più vasto campo
della Visual Culture: il nostro contemporaneo vede una predominanza del Visuale, la “visualità” è radicata nel nostro
quotidiano ed è uno dei processi di costruzione del mondo, anche dal punto di vita sociale. La Cultura Visuale è uno
strumento per leggere e interpretare il mondo e, in questo contesto, le fotografie non sono oggetti inerti al nostro
sguardo ma soggetti animati, con personalità e desideri: non dobbiamo chiederci “cosa significano” ma “cosa vogliono?”.
Se consideriamo l’immagine fotografica come “oggetto”, ci rendiamo conto che essa ha un potere psicologico e sociale;
questo “oggetto” può diventare una persona, soprattutto nell’ambito di un’azione rituale. Ne è un esempio l’immagine di
un familiare morto che può diventare “vivente”: è una presenza, ci parliamo. questa situazione quotidiana è un rituale.
Il Rito è un modo di approcciare il mondo, possiamo sperimentarlo anche senza comprendere il suo significato, è fatto di
azioni più che di parole ed è connesso al concetto di “agentività” (agency - Giddens): ovvero, le azioni delle persone sono
connesse alla struttura sociale. Così, anche l’oggetto ha una sua agentività e si configura come oggetto-persona. Di
seguito, i tre capitoli che compongono il libro sono: Immagine-oralità-narrazione dove si discute dell’oralità come atto
performativo, immagine-mondo-rappresentazione dove si tenta una definizione del concetto di immagine e, infine,
immagine-medium-corpo dove si analizza un corpus di fotografie.
• Aggregato domestico semplice – coppia sposata con o senza figli, vedovo\vedova con o senza figli (in ogni caso si
tratta di una unità coniugale, anche se ci sono defunti);
• Aggregato domestico esteso – gruppi formati da una unità coniugale ed uno o più parenti conviventi che non
formino coppie coniugali. L'estensione può essere di 3 tipi:
aggregato domestico esteso ascendente se il parente è più anziano del capofamiglia (genitori, suoceri, nonni, zii)
aggregato domestico esteso discendente se il parente è più giovane del capofamiglia (uno o più nipoti)
aggregato domestico esteso collaterale quando è presente un congiunto (fratello, sorella, cognato, cugino ecc);
• Aggregato domestico multiplo – composto da due o più unità coniugali. Può essere anch'esso suddiviso in 3 tipi:
aggregato domestico multiplo ascendente - unità familiare secondaria più anziana (genitori, suoceri pure con figli)
aggregato domestico multiplo discendente - unità familiare secondaria più giovane (figli con eventuali figli)
aggregato domestico multiplo collaterale - più unità coniugali costituite da fratelli e sorelle sposati o da cognati.
Bisogna considerare che la fotografia veniva scattata anche con parenti non conviventi solo per testimoniare il legame di
parentela, non tenendo conto degli aggregati domestici. Ad esempio nella foto della Famiglia Parrino di Palazzo Adriano,
troviamo ritratti diversi aggregati domestici grazie alla tecnica del fotomontaggio.
Il ritratto di famiglia prevede una precisa disposizione gerarchica del gruppo: i più anziani erano posti al centro, spesso
seduti, alle loro spalle in piedi i figli e le figlie con mogli e mariti accanto, i nipoti ordinati in scala di età e i piccoli sparsi,
spesso in braccio o ai piedi dei nonni. La composizione del gruppo familiare rispecchia la gerarchia sociale, i ruoli e i
legami di parentela; l'immagine è un rituale di consacrazione della famiglia che viene mostrato con orgoglio soprattutto
se si tratta di una famiglia numerosa (più bocche da sfamare ma anche più forza lavoro.
V° Morte e rinascita
Anche durante le cerimonie funebri venivano realizzate le fotografie: come per le occasioni liete (battesimi, comunioni,
matrimonio), veniva commissionato un servizio fotografico al fotografo locale. Anche se sembra strano documentare una
occasione così mesta, per comprenderla bastano le frasi “cc'am'affari na bella festa” e “ci ficiru na bella festa”. Non
stupisce quindi la partecipazione del fotografo e dei complessi bandistici ai cortei funebri, soprattutto nelle famiglie di
ceto medio-alto. Anche nell'antica Roma si faceva questo tipo di corteo e il banchetto, come il cunsulu siciliano.
Nelle foto con la bara fuori dalla chiesa i parenti sono disposti come per il matrimonio, immagini di morte che rivelano
una continuità con la vita. Tuttavia, il morto è un assente e si cerca di colmare quest'assenza per mezzo di un immagine.
Al momento della morte il defunto assume due forme: il corpo mortale collocato nella tomba ed il corpo immortale,
simbolico, che continua a vivere attraverso l'immagine, al quale essere associato quando il corpo mortale si dissolverà.
L'immagine travalica il confine della separazione e trasporta la presenza del defunto al nostro fianco, o nel luogo in cui
questa sarà collocata. A queste immagini rivolgiamo i nostri pensieri, conversiamo con loro, preghiamo; non è un caso che
originariamente queste fotografie fossero chiamate u quatru, il quadro: prima dell'invenzione della fotografia u quatru
era l'icona sacra che si teneva in casa, generalmente in camera da letto per pregare. Queste fotografie assumono quindi
un carattere sacro al pari delle Icone, a cui si affiancano negli “altarini”, fino a qualche tempo fa presenti in ogni casa.
Questa è una pratica che discende dal culto degli Dei degli antenati dell'antica Roma: in casa vi era il lararium, ovvero il
focolare domestico, che era il cuore della casa e li si tenevano effigie\statuette di Dei e Antenati destinati al culto privato.
Similmente, i lararium siciliani si compongono di immagini fotografiche incorniciate entro ovali e appese al muro, oppure
collocate su un cassettone; le prime sono disposte secondo la cronologia dei decessi, le seconde in ordine gerarchico (al
centro il marito). Di solito sono collocate in camera da letto, luogo più privato della casa, ed è la donna che intrattiene
rapporti interiori con queste anime in effigie; le donne hanno sempre avuto un ruolo maggiore nel rapporto con i defunti,
erano ad esempio destinate a comporre la salma, alla veglia e al lamento funebre, successivamente agli altarini.
La collocazione in camera da letto non è casuale anche per il fatto che è in queste stanze che si genera nuova vita.
Le foto dei defunti a volte si mescolano a quelle dei parenti lontani, questo perché la morte è vissuta come un evento
“culturalmente plasmabile”, non irreversibile, quasi allontanarsi un momento per poi ritornare: ricongiungimento che
spesso avveniva tramite la metafotografia ed il fotomontaggio. Il dialogo con queste icone rientra nella dimensione del
rito, così come anche le celebrazioni e le feste siciliane, in chiave identitaria, storico-memoriale, politica e patrimoniale.
Ne consegue che la memoria serve a vivere, perché i simboli e i riti “tradizionali” accompagnano lo svolgersi dell'esistenza
di ogni cultura, la fanno circolare, la trasmettono. I riti, con il loro ricorso al sacro, offrono all'individuo e alla comunità
garanzie e rispondono alle inquietudini e ai dilemmi fondamentali che la società contemporanea non soddisfa.
La tradizione siciliana presenta uno stretto legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti, basti pensare alle celebrazioni e
alle tradizioni del 2 Novembre; l'agente rinsaldante tra questi due mondi è il bambino, che spesso presentifica il morto e
permette questo interscambio. I bambini primogeniti ad esempio prendono il nome del nonno paterno, anche se questo
è morto, e vengono fotografati con una spilla che ne riporta il ritratto fotografico.
Il Giorno dei Morti i bambini ricevevano il cannistru con dentro dolci, frutta secca, fighi, melograni ed il pupo di zucchero,
la pupaccena. Anticamente i nonni (o i genitori se questi erano morti) si facevano portare le scarpe e riempivano quelle.
L'antico uso di deporre i dolci dentro le scarpe si ricollega alla vestizione della salma: il cadavere non porta le scarpe,
queste vengono deposte dentro la bara per far percorrere meglio all'anima il suo viaggio.
I bambini allora giravano per il paese con il cannistru in mano dicendo “talia chi belli morti chi mi purtaru” (i morti sono i
regali); nel caso del nonno defunto di cui portavano il nome, i genitori dicevano “lu nonno ti portà li morti”, i regali.
Queste espressioni propongono una equivalenza ed una sovrapposizione tra donatori (i morti) e i doni (alimenti “morti”):
questo perché i dolciumi non sono destinati ai bambini, sono destinati proprio ai morti, i bambini svolgono un ruolo
all'interno del rituale, sono cioè la personificazione del morto.
Si verifica una identificazione donatori-doni ed una inversione donatori-destinatari: i morti-alimenti vengono mangiati dai
bambini-morti. Questo cerimoniale testimonia la solidarietà tra defunti e viventi.
I bambini sono al centro di diversi riti di passaggio, in cui devono morire simbolicamente per rinascere come adulti;
portano il nome del nonno defunto; sono insomma il segno ed il seme della continuità.