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Rosalia Di Maggio

Occhi che vedono, occhi che guardano


Sguardo, visione e
percezione

Scorrono le epoche ed è
facile notare come con esse
cambiano anche gli stili
figurativi.

Tra fine ottocento e primi del


novecento ci si è chiesto se
anche la visione abbia una
sua storicità. Esiste quindi una storia dell'occhio?

Da questo quesito nascono due scuole di pensiero, l'una


sostiene l'immutabilità della visione, l'altra l'evoluzione della
percezione.

Erwin Panowsky in alcuni suoi studi che trattano


l'argomento sostiene la tesi secondo la quale la visione è
un processo fisiologico immutabile quindi la percezione
visiva è astorica, a cambiare sono solo gli stili e le immagini,
condizionati dalla cultura. Diversamente la pensava Walter
Benjamin che sosteneva l'idea della storicità sia della
raffigurazione che della percezione, egli invitava a prendere
in considerazione l'avvento di dispositivi ottici e nuove
tecnologie visuali che poco a poco innescandosi nella
quotidianità dell'uomo avevano contribuito ad ampliare le
sue capacità percettive.

Georges Salles fu il primo a trovare un punto d'incontro tra


le due tesi e lo trovò attraverso il concetto di sguardo
(regard) che non solo riceve informazioni ma è anche in
grado di modellare attivamente la realtà secondo lo schema
del suo cosmo.

Ma cosa è in realtà lo sguardo? Come si relaziona con la


visione? E' essenzialmente legato agli occhi? Quali occhi?
Una foto di Gyorgy kepes può farci riflettere: Egli ritrae la
moglie con una piuma di pavone sul volto, con la
pigmentazione dell'ocello esattamente corrispondente
all'occhio della donna, si sostituisce ad esso, ci guarda ma
non vede!

Sguardo-visione, gli animali forniti di occhi sono anche


dotati di sguardo? Tutte queste riflessioni e quesiti hanno
fatto sì che la cultura visuale concepisse una relazione di
interscambio tra spettatore (soggetto attivo) e immagine
(oggetto passivo).

A tal proposito particolare attenzione è stata rivolta allo


sguardo proveniente dai ritratti e dagli autoritratti come nel
caso della Anatomia del dott Tulp di Rembrandt in cui si
distingue un'unità interna, data dai volti che si guardano
reciprocamente, ed un'unità esterna, ottenuta dallo sguardo
di un personaggio del gruppo che mira allo spettatore del
quadro come fosse dotato di vita propria.

Nel cinema, un esempio emblematico è Videodrome di


David Cronemberg in cui l'interscambio soggetto attivo e

oggetto passivo diventa simbiotico, qui lo schermo diventa


un portale tra la realtà e l'immagine, i due piani si fondono e
si necessitano a vicenda.

Le immagini hanno quindi la capacità di restituirci lo


sguardo, che sia di potere o di desiderio, con loro possiamo
stabilire un interscambio.

Aby Warburg in uno dei suoi studi di cultura visuale aveva


espresso il concetto di vitalità dell'immagine, tanto viva da
sembrare animata, "tu vivi eppure non mi fai niente"
affermava!

Lo stesso Warburg negli anni


venti si proponeva di allargare
la ricerca nel campo delle
immagini. Nei primi del
novecento il biologo Richard
Semon usò il termine
Engramma, una sorta di traccia
mnemonica che si organizza
nel sistema nervoso come
conseguenza di processi di
apprendimento e di
esperienza.

L'energia conservata in queste


tracce viene riattivata quando l'organismo ricorda un dato
evento e agisce di conseguenza. Per Warburg l' Engramma
diventa simbolo, immagine, archetipo e inizia a chiamare
formule di pathos le immagini che scaturiscono da
emozioni, ricordi, usi e costumi di un contesto culturale e
che vengono trasmesse di generazione in generazione.

Nel tentativo di evidenziare la permanenza di forme,


tematiche e gesti nella storia della cultura visiva, Warburn
crea un atlante delle memorie ( Atlante Mnemosyne), un
progetto di mappatura dell'immaginario che attraversa le
culture. Sessantatré tavole di legno con sfondo nero
riportano mappe, immagini, reperti, icone, francobolli,
medaglie ecc. divisi per tema, ripercorrendo un lasso di
tempo che va dall'antichità fino all'età contemporanea, egli
crea un dispositivo di analisi che evidenzia la suggestiva
permanenza di elementi ricorrenti nelle diverse epoche e
culture.

"L'atlante sarà un sistema estendibile di attaccapanni sul quale spero di


appendere tutti i panni, piccoli e grandi, prodotti dal telaio del tempo."

Aby Warburg
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Dove vivono le immagini

Abbiamo parlato di visione, di sguardo, di immagini che


prendono vita, dell'esperienza che crea immagini e della
memoria che lasciano nelle successive culture.

Ma dove risiedono le immagini? E soprattutto dove si


creano? Qual è la fonte che dispensa immagini in ogni dove
e in ogni quando?

Questi quesiti ed altri ancora sono stati al centro dello


studio antropologico sulle immagini proposto da Hans
Belting, il quale mise duramente in discussione l'approccio
degli storici dell'arte nei confronti dell'argomento.

Belting considera le immagini interne (mentali) e le immagini


esterne (materiali) come due facce della stessa medaglia,
entrambe si generano mediante lo stesso medium che è il
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corpo umano. Tutti noi possediamo e produciamo


immagini, loro vivono nei nostri corpi e sono gli stessi corpi
a chiedergli di mostrarsi. Nonostante tutti i mezzi che
abbiamo a disposizione è soltanto l'uomo il luogo in cui le
immagini trovano una spiegazione, dove vengono prodotte,
conosciute e riconosciute, esse sono legate alla nostra
esperienza spazio-temporale e nel nostro corpo lasciano
una traccia del loro passaggio.

Nel corpo risiede anche la memoria collettiva essendo


donatore ed erede di immagini tramandate, dimenticate e
talvolta riscoperte e reinterpretate, diventa un corpo
collettivo luogo di tutte le culture. E' interessante notare
come negli scontri tra popoli fosse implicito anche uno
scontro di immagini, il conquistatore colonizza non soltanto
i corpi ma anche le immagini che vi abitano, colonizza idee
e sogni dei vinti che a loro volta le riadattano o trasformano
dando vita ad una nuova
cultura sincretistica.

Possiamo notare un evidente


sincretismo religioso nei
dipinti barocchi dell'età
coloniale, in cui il
cattolicesimo si introduce
travestito della cultura che
vuole dominare, sostituendosi
poco a poco e in maniera
indolore ai culti autoctoni. La
Virgen del cerro è una
Madonna e al contempo una
Pachamama, ossia la Madre
Terra dei popoli indigeni del
Sudamerica. 

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La riflessione sul luogo in cui risiedono le immagini sembra


infinita e forse, in realtà lo è. Assodato che sia il corpo
umano la fonte in cui si genera e si processa l'immagine,
essa, può poi trasferirsi in un altra casa? Può un'immagine
venire accolta in un altro corpo?

Il museo è una sorta di orfanotrofio delle immagini che nel


mondo hanno perso il loro luogo specifico.

Il luogo perde la sua identità primaria e succede che si

trasformi in immagine, come molti luoghi del passato che


conosciamo soltanto attraverso le immagini che li
rappresentano, chissà non esistono più, chissà sono
disabitati, ma hanno acquisito una nuova vita, una nuova
possibilità di esistere.

Talvolta i luoghi cambiano non solo nella loro esteriorità ma


attraverso lo sguardo dell'osservatore, così luoghi rimasti
identici nel tempo trasmettono un immagine diversa di se,

Ciò accade spesso con i luoghi dell'infanzia, una casa, una


strada, una piazza immutata nel tempo appare diversa
perché l'esperienza che se ne è fatta ha impresso delle
immagini indelebili nell'inconscio fino a creare l'illusione che
il tempo abbia modellato quel luogo. Quindi tramite le
immagini ci difendiamo anche dallo scorrere del tempo e
della perdita dello spazio.

Personalmente tutte le volte che faccio un sogno relativo ad


una casa sogno quella dell'infanzia, nella quale non vivo da
più di venti anni, nel sogno le vicende si svolgono lì dentro,
le immagini del presente si impiantano in un ricordo/
immagine del passato che è rimasto immodificato e
immodificabile, quel posto è cambiato, in parte distrutto,
ma l'immagine del suo calore, del suo potenziale di
abitabilità è impressa nella mia memoria, ed è viva!

I luoghi non sono quindi solo quelli


tangibili ma anche quelli che esistono
attraverso l'immaginazione, si pensi ad
esempio ad Arcadia o al Paradiso
Terrestre, che sono come delle
controfigure della realtà, lì tutto funziona
bene, colori, sapori, emozioni, tutto è
puro, il male non esiste.

Questi luoghi non suscitano un senso di


appartenenza ma un desiderio di libertà,
sogniamo che in qualche momento
possano sostituirsi ai luoghi reali per
permetterci di evadere, di lasciarci alle
spalle le pene dell'esistenza.

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E a proposito di
luoghi non-luoghi

menzioniamo il
mondo onirico.

Durante il tempo in
cui si svolge il
sogno il corpo
produce immagini
che non sono
opera della sua
volontà, il
sognatore fa
esperienza di quei
luoghi e di quelle
immagini vissute
durante il sogno,
vive situazioni
talvolta surreali,
altre apparentemente reali ma che lasciano ugualmente una
memoria, un ricordo, una traccia dell'esperienza che ne
abbiamo fatto. Mediante il sogno siamo in grado di
attingere ad un archivio segreto di immagini che si sono
accumulate durante l'esistenza. Marc Augè paragona il
sogno alla possessione da parte degli spiriti, il corpo viene
"occupato" da immagini provenienti da un altro piano e
questo sta alla base di numerose pratiche sciamaniche.

Parlando ancora di immagini, che siano esse collocate nei


sogni o nella realtà, non possiamo tralasciare il mondo degli
Archetipi (arché -principio originario + typos -modello,
esemplare). 

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Gli Archetipi sono


immagini simboliche che
si ripetono attraverso le
culture, prototipi a cui
attingono i miti, le
religioni, il folklore e
anche i sogni e che
rimangono indelebili al
passaggio del tempo.
Sono contenuti che per
manifestarsi assumono la
forma di immagini e sono
fondamentalmente
caratterizzati dal fatto
che uniscono un simbolo a un'emozione, incarnano così,
nello spazio mentale, depositi permanenti di esperienze
ripetute continuamente per generazioni.

Alcune immagini archetipiche che tutti ri-conosciamo sono

La croce, il serpente, la madonna-madre, il diavolo, ecc


Simboli presenti in varie culture sebbene possano
assumere caratteristiche differenti.

Anche le immagini raffigurate nei tarocchi ci possono


aiutare a capire cosa sia un'immagine archetipica, difatti i
tarocchi talvolta vengono usati in psicoanalisi per facilitare
l'evocazione delle immagini interiori del paziente;

La Giustizia, il Matto, l' Imperatore, sono principi simbolici


che l'inconscio può riconoscere a prescindere dal luogo in
cui si è vissuti, così come il simbolo della croce presente in
svariatissime culture e religioni lo troviamo in tutte le salse.

Queste immagini sono impresse nella storia dell'umanità e


ne testimoniano la sua evoluzione.
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"Nessun archetipo è riducibile a semplici formule. L'archetipo è


come un vaso che non si può svuotare né riempire mai
completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende
forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima.
Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre
nuove interpretazioni. Gli archetipi sono elementi incrollabili
dell'inconscio, ma cambiano forma continuamente".

C. Gustav Jung

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