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Tipol
ogia di manufatto: Scultura. Autore: ignoto. Denominazione: Venere di Willendorf (data dall'archeologo che la ritrovò).
Datazione: 24.000-22.000 a.C.
Il culto della Dea Madre risale a tempi molto antichi: al periodo Neolitico (dal 7000
al 3500 a.C.) e, forse, addirittura a quello Paleolitico, se si interpretano in questo
senso le tante figurine di donne panciute e dai grandi seni che sono state ritrovate in
tutta Europa. A queste figure, che vengono definite "steatopigie" (cioè "dalle grosse
natiche", dal greco στεας, "grasso", e πυγε, "natica"), è stato dato spesso il nome di
"Veneri", proprio in connessione con il culto della dea.
Con l'evolversi della civiltà, gli attributi e le caratteristiche che inizialmente erano
raggruppati in una sola divinità femminile, cominciarono ad essere specializzati e
moltiplicati attraverso divinità distinte. Così abbiamo alcune dee più tipicamente
rappresentative dell'amore di tipo sessuale (come Ishtar, Astarthe, Afrodite o Venere),
altre più legate alla fertilità (come Ecate), altre ancora legate alla caccia (Artemide,
Diana), ed infine molte di esse sono associate alla prosperità dei campi ed ai cicli
delle stagioni (come Demetra, Cerere, Persefone, Proserpina).
Persefone e Proserpina, al pari di Bona Dea e Mater Matuta, sono anche collegate
all'oltretomba ed alla morte: questo perché il ciclo di stagioni segue il paradigma
della morte e della rinascita, cioè il seme ha bisogno di morire per generare una
nuova pianta, che al termine del ciclo darà altri semi. Ecco perché la dea incarna
spesso un aspetto notturno e lunare che in alcune culture è stato travisato e reso come
un aspetto negativo e malefico. In realtà, non rappresenta che un principio
fondamentale della Natura, e tutti i contadini sanno che il raccolto sarà migliore se
piantano i semi nel periodo in cui la luna è in fase di plenilunio.
Quello della Grande Madre è certo solo uno degli archetipi-base del femminile; del
femminile, rappresenta però alcune funzioni centrali: contenere e mantenere in vita,
proteggere e nutrire, connettere in armonia; è la creatività che nasce dalla
connessione con le cose, la fertilità (in senso ampio) data dall’essere terreno
disponibile all’amore. È il vaso che contiene e accoglie (e, di conseguenza, racchiude
al suo interno, ha accesso a qualcosa che da fuori è invisibile, dunque “misterioso”).
In quanto espressione di vita è connessa ai cicli di nascita e morte: ogni nascita,
infatti, presuppone la “morte” di uno stato precedente.
In questa apparente ambivalenza, la Grande Madre può diventare anche terribile,
vorace, predatoria. È il suo “lato ombra”: è la caverna fredda e oscura e anaffettiva; è
il vaso che non lascia più uscire il suo prezioso contenuto (che quindi non può
crescere, svilupparsi, emanciparsi e diventare autonome; rimane invischiato in una
relazione opprimente e vincolante o comunque mantiene tratti infantili, filiali), è la
Madre Matrigna che non nutre, non si prende cura ma può uccidere, maltrattare. Non
ama più, pensa solo a sé stessa. Un po’ come l’oscura dea Kalì indiana.
https://ilritornodiabraxas.blogspot.com/2013/05/dedicato-aba-losi.html
E' una guaritrice in quanto psicanalista junghiana ed una cantastorie, nel senso che,
attraverso le favole, le fiabe ed i miti, ne disvela gli archetipi e li mette a conoscenza
dei suoi pazienti. Li cura, attraverso l'antica sapienza che si tramanda di generazione
in generazione.
Favole come "Barbablù", "Scarpette Rosse", "Baba Jaga", “Il Brutto Anatroccolo” e
molte altre della tradizione occidentale, orientale, africana, indiana.
Storie che si ripetono, nelle loro varie e millenarie versioni e che racchiudono i
profondi significati della psiche. Significati archetipi, come amava dire Carl Gustav
Jung, il quale seppe unificare la Tradizione spirituale alla psicanalisi e fare della
prima lo strumento per eccellenza per comprendere e dare ragione della seconda.
Clarissa Pinkola Estés, con "Donne che corrono coi lupi", il suo primo libro
pubblicato una ventina di anni fa e ripubblicato negli anni a venire, ha saputo fornire
alle donne ed alla loro psiche quegli stumenti necessari per farle tornare agli istinti
primordiali. Al mito della "Donna Selvaggia", scevra dai condizionamenti culturali
delle società patriarcali, della modernità priva di spiritualità e d'anima. A quel mito
che permette alla donna di riscoprire il proprio intiuto, di allontanarsi d'ogni tipo di
ingenuità e riscoprire il piacere della rinascita.
Ma che cos'è la Donna Selvaggia ? E' la patrona degli artisti, dei pittori, degli
scrittori, dei ballerini. E' l'intuito femminile, è Vita/Morte/Vita dell'anima e della
psiche. E' ciò che sussurra nei sogni notturni delle donne, ovvero la voce interiore che
giuda le donne dall'oscurità alla luce, dalla morte all'immortalità spirituale e mentale.
E le storie, le fiabe, i miti, sono lo strumento che permette alla terapeuta di far entrare
la donna/paziente in comunicazione con la Donna Selvaggia, ovvero con la sua
psiche più profonda.
Come spiega la dottoressa Pinkola Estés, le storie sono state - nei secoli - purgate da
tutto ciò che fu ritenuto scandaloso dalla cultura dominante, ovvero ogni riferimento
al sessuale, allo scatologico, alle culture precristiane e gnostiche, ai riferimenti alle
dee ed al cosiddetto Femminino Sacro.
All'interno delle storie ci sono, invece, gli ingredienti per il risveglio dell'anima,
ovvero tutto ciò che la cultura patriarcale e le Religioni Monoteiste Istituzionalizzate
hanno voluto distruggere, al fine di poter soggiogare le donne ed il loro potenziale
divino, spirituale e psichico.
Ecco dunque che "Donne che corrono coi lupi" ci presentano personalità predatrici
come "Barbablù", che soggiogano la donna dalla psiche ingenua e metaforicamente
"addormentata". Ma ecco che, nella storia di "Vassilissa la Saggia" ci sono gli
strumenti per affrontare il "predatore", per uscire dal buio della foresta ed annientare i
perigli e le difficoltà che si presentano lungo il cammino della vita.
Secondo la dottoressa Estés è necessario, prima di tutto, rimanere legate ai propri
istinti, al proprio intuito, ovvero all'anima del femminino che, per sua natura, è
selvaggia. Libera dai condizionamenti. Perché l'anima della Donna Selvaggia è
primitiva e creativa.
Il saggio psicologico della dottoressa Estés è di fondamentale utilità anche per noi
uomini. Non solo perché taluni aspetti in esso raccontati sono riscontrabilissimi anche
nella vita maschile, ma anche in quanto utili a comprendere l'animo femminile,
istintuale. In questo senso la storia della "Donna Scheletro" è illuminante.
E' la storia di un cacciatore che pescò lo scheletro di una donna che il padre, tempo
prima, aveva gettato nel mare, avendone disapprovato i comportamenti.
Il pescatore, inizialmente, fu terrorizzato dallo scheletro della donna, ma, con il
tempo, imparò ad amarlo ed ebbe compassione per esso. Egli pianse nel sonno e le
sue lacrime riportarono alla vita la donna, con la quale visse poi in eterno.
Questa storia insegna che per amare è necessario essere forti e saggi e, dunque,
comprendere la relazione fra Vita/Morte/Vita, in quanto l'amore è un susseguirsi di
morte e rinascita. Muore la passione e rinasce. E così il dolore. Amare significa,
dunque, sopportare - all'interno della relazione - molte fini e molti inizi. Aspetti che,
peraltro, nelle confraternite iniziatiche quali la Massoneria, sono ben conosciuti. Il
profano muore e rinasce come Iniziato.
Figura primordiale - raccontata nel saggio della dottoressa Estés - è quella
dell'"esiliato", incarnato da storie come "Il Brutto Anatroccolo", il quale ha il cuore
spezzato in quanto rifiutato da tutti, persino dalla sua famiglia, poiché ritenuto
"inadeguato" a quello che possiamo definire "ambiente che lo circonda". Un ambiente
che, in realtà, lo soffoca e non gli permette di essere ciò che veramente egli è, ovvero
di manifestare la sua vera natura di...cigno !
La diversità - è provato nei secoli - è infatti indice di originalità e di creatività utile
all'umanità. Ed è, ancora una volta, indice di "natura primordiale", ovvero
"selvaggia", contrapposta al conformismo che vorrebbe renderci tutti quanti livellati e
quindi innaturali, “grezzi”.
Aspetto che la donna, ma anche l'uomo, devono tenere in fondamentale conto è
l'evitare di essere sottoposti a ripetute violenze, sia psicologiche che fisiche. Alla
violenza, infatti, alla lunga ci si abitua al punto da desiderarla anche se ci è restituita
la libertà. E ciò ci conduce inevitabilmente alla schiavitù, ovvero ad essere schiavi di
"predatori" senza scrupoli.
Possibile via di salvezza è la creatività, il sapersi ritagliare un proprio spazio al fine di
poter dipingere, leggere, scrivere, dedicare del tempo all'arte e a ciò che a ciscuno di
noi più piace fare. Mai trovare la scusante di non avere tempo o di dedicare il proprio
tempo a cose che si preferirebbe non fare per un eccesso di "responsabilità" o di
"rispettabilità". Occorre, dunque, imparare a proteggere il proprio tempo e liberarsi da
ogni complesso negativo e da ogni imposizione culturale, che, nei fatti, impedisce
alla natura selvaggia ed istintuale di essere liberata.
E, nel mito, la natura istintuale e selvaggia delle donne è rappresentata da Baubo, la
dea greca dell'oscenità e della sessualità sacra. Una dea senza testa, i cui occhi sono i
capezzoli e la cui bocca è una vagina, la quale aveva il particolarissimo compito di
raccontare storie oscene e piccanti, al fine di far sorridere Demetra e quindi trarla in
salvo dalla depressione per la perdita della figlia, fornendole l'energia necessaria per
riprenderne le ricerche.
Ecco che Baubo rappresenta l'energia sessuale, una vera medicina per lo spirito e
pertanto, sin dalle più antiche Tradizioni, ritenuta sacra e paragonata all'umorismo, al
sorriso che allevia ogni tristezza e collera.
Non a caso Jung riteneva che, chiunque avesse un problema di natura sessuale, in
realtà, celasse un problema connesso allo spirito e all'anima; mentre chiunque
affermasse di avere un problema spirituale, in realtà, nascondesse un problema di
natura sessuale.
"Donne che corrono coi lupi", attraverso il mito e la psicologia junghiana, insegna
anche a controllare la collera, la quale è l'esatto opposto della natura selvaggia. Per
poter controllare la collera, la dottoressa Estés consiglia quattro "fasi del perdono": 1)
prendere le distanze dalla persona o dall'evento che ci ha fatto andare in collera; 2)
astenersi dal mugugnare o dal cercare ostilità; 3) dimenticare ed allentare la presa
dall'evento traumatico; 4) perdonare e quindi smettere di provare risentimento.
Fasi non semplici o immediate, ma di sicuro giovamento per l'anima e la psiche. Fasi
che ci aiuteranno a far rimarginare le innumerevoli cicatrici che cospargono la nostra
"carne", la nostra anima ferita. Fasi che possono anche essere portatrici di lacrime,
ma sono e saranno proprio le lacrime le dolci compagne che condurranno l'anima alla
guarigione. Perché le lacrime, il pianto, ci rendono consapevoli, vigili e ci tengono
lontani dai "predatori", come nella fiaba della "Fanciulla senza mani", la quale,
piangendo per la perdita delle proprie mani, riesce a tenere lontano il Diavolo-
predatore.
Ecco dunque, alla conclusione del saggio di Clarissa Pinkola Estés, comprendere
come la fiaba, la favola, il mito, l'archetipo e l'allegoria siano delle vere e proprie
medicine per la psiche e lo spirito istintuale. Delle donne, ma non solo.
In Massoneria e nelle confraternite iniziatiche, come già detto, sono aspetti che ben
conosciamo in quanto gli stessi rituali massonici si fondano su miti ed allegorie. La
stessa leggenda di Hiram, l'architetto costruttore del Tempio di Re Salomone, è una
fiaba archetipica che, fra le altre cose, insegna al postulante come far morire la
propria natura profana - condizionata dalla cultura dominante - e rinascere a nuova
vita, una vita iniziatica, istintuale, selvaggia se vogliamo, ovvero spirituale, alla
ricerca del proprio Io-Dio interiore nel senso gnostico e junghiano del termine.
Il mito della Donna Selvaggia e dell'Io Istintuale sono dunque miti arcaici che
accompagnano l'umanità inconsapevole nel suo cammino di purificazione mentale e
psichica. Se solo sapremo, vorremo e cercheremo di imparare di più dall'antica
saggezza e dall'antica Tradizione dei Popoli della terra che, di generazione in
generazione, di secolo in secolo, ci è stata trasmessa ed è lì, pronta per essere
assaporata, appresa, interiorizzata, al fine di risvegliare la nostra anima e condurla
verso la Luce.