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Sciamanesimo, oracoli e sapienza nellantica Ellade

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Centro studi filosofici

Contenuti
Introduzione alla Sapienza esoterica occidentale 1. Il sapere iniziatico ed il suo insegnamento 2. Le parole del sacro nella tradizione misterica 3. Sciamanesimo, oracoli e sapienza nellantica Ellade 4. I Misteri Eleusini 5. I Misteri Dionisiaci 6. I Misteri Orfici 7. Socrate e la tradizione iniziatica 8. Platone e l'esoterismo: un'introduzione 9. Plotino e le vie per l'estasi filosofica Filosofia esoterica comparativa

Sciamanesimo, oracoli e sapienza nellantica Ellade


di Attilio Quattrocchi

Se si cercano nella Grecia arcaica tracce di personaggi e credenze riferibili a quella che si definir, in epoca storica pi recente, la tradizione esoterico/iniziatica se ne scoprono diverse e significative.

1. Il divino uno e molteplice nella tradizione filosofica Le fonti ci parlano di figure quali quelle di Abaris, Aristea, Epimenide, Ermotimo ed altri a cui si attribuivano doti di veggenza, capacit di indurre stati estatici, poteri orientale ed occidentale 2. Buddha, Socrate e taumaturgici con cui davano prova delle loro qualit divine. Pirrone: dallo scetticismo In quei tempi lidea che luomo di per s possa avere accesso ad uno stato coscienziale al misticismo sovrumano era del resto anche alla base della teoria comunemente accettata circa l'origine e la natura della stessa esperienza artistica. Psicologia, filosofia ed esoterismo Si riteneva, infatti, che i poeti, fossero tali proprio per la loro capacit, nel culmine 1. Psicologia e Filosofia per ispirativo, di uscire fuori di s, divenendo in tal modo, entusiasti e posseduti da un un nuovo Umanesimo: dio. In tal modo acquisivano conoscenze straordinarie, divenivano essi stessi veggenti e dalla terapia in quanto maestri di Verit anche educatori del popolo. all'autorealizzazione Erano questi uomini divini che nella societ ellenica di quei tempi antichi erano indicati come sofi, saggi e sapienti le cui conoscenze sovrumane potevano essere benefiche per singole persone ma anche per intere citt. La loro conoscenza veniva concepita non tanto come frutto di raffinate capacit intellettuali quanto di ascesi ed introspezione, pratiche queste capaci dindurre stati di estasi e di possessione. Attualmente diversi studiosi denominano tale arcaica tradizione sacrale con il termine sciamanesimo per cui si parla di uno sciamanesimo greco come forma di tradizione magico-religiosa derivata in qualche modo dal contatto dei greci con antiche popolazioni del nord Europa e/o dellAsia. In tal modo per si usa anche per lEllade un vocabolo che, a nostro avviso, sarebbe bene utilizzare in modo pi specifico ed appropriato.

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In effetti esso si riferisce a quel complesso di credenze pratiche magico-religiose che sincentra sulla figura e attivit di uno sciamano, cio di un individuo dotato facolt di chiaroveggenza e taumaturgiche, capace fungere attraverso una trance da intermediario tra mondo degli uomini e quello degli spiriti.

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Il termine deriva dal vocabolo shaman utilizzato ancora in et contemporanea, da popolazioni siberiane, come ad esempio i Tungusi, per indicare quegli uomini di potere. Per taluni studiosi esso collegabile al termine samana dellantica lingua indiana pali, ed al sanscrito sramana con cui si designa lasceta, il monaco. Esso sarebbe composto dalla radice indoeuropea sa (collegata al verbo sapere) e manu, che significa uomo; dunque lo sciamano sarebbe luomo della conoscenza. Tuttavia uno studio antropologico esteso a tutte le popolazioni della Terra rivela che le caratteristiche essenziali della tradizione che attualmente si indica come sciamanesimo sono presenti in tutti i contesti storici e geografici documentati. Sembra quindi pi appropriato ricercare lorigine profonda della tradizione sciamanica (che ha le sue peculiarit) e di altre simili nelle strutture psicologiche ed esperienziali dellessere umano in quanto tale. In effetti in tutte le culture, pi o meno diffusamente, troviamo racconti su personaggi straordinari capaci di fare quello che lo sciamano siberiano ritiene di poter fare: cadere in stato di trance o estasi, viaggiare nel mondo invisibili degli spiriti, acquisire conoscenze e poteri capaci dincidere positivamente sulla sua vita o su quella della sua collettivit. Con ci certo non si vuol negare la dimensione storica a cui ogni esperienza umana connessa ma essa non pu esaurire lo studio delle tradizioni sacrali n antiche n moderne. Partendo da tali premesse non ci deve stupire affatto quanto un grande studioso come il Rodhe scrisse circa i veggenti di cui ci parla la storia della Grecia arcaica: Ogni et ha il suo proprio ideale di sapienza. Ci fu un tempo nel quale lideale del sapiente, delluomo salito per sua propria forza ad intuizione e potenza spirituale superiori, si concret in alcune grandi figure che parevano rappresentare compiutamente il pi alto concetto della scienza e dellefficacia del veggente estatico e del sacerdote purificatore. Notizie semifavolose, nelle quali tempi posteriori fissarono il ricordo di quel periodo precedente lindagine filosofica della natura, ci parlano di grandi maestri dalla sapienza misteriosa, ai quali si attribuisce piuttosto un potere magico che una coscienza puramente razionale delloscuro principio della natura (E. Rodhe, Psiche, II, p. 422). Nella credenza tradizionale dellEllade lo stato ispirativo, segno del collegamento con la dimensione metafisica, accomunava poeti e profeti, anzi spesso tali due virt ed attivit si sommavano nella stessa persona. Si pensi ad Omero che invoca la potenza ispiratrice delle Muse e della loro madre Mnemosine. In un episodio significativo dellOdissea si racconta che Ulisse chiese a Demodoco di narrare lepisodio del cavallo di Troia lasciandosi guidare dal dio stesso. Leroe di Itaca cos gli si rivolge: Se questo pure saprai perfettamente narrarci, certo dir fra gli uomini tutti, che un nume benigno tha dato il canto divino. Disse cos; e quello guidato dal dio tesseva il racconto. (Odissea, VII, 496-499). NellIliade attributi profetici sono riferiti a Calcante: Calcante, figlio di Testore, il migliore tra i vati, che conosceva il presente e il futuro e il passato e sulle navi fu guida agli Achei fino ad Ilio con larte sua dindovino che gli don Febo Apollo. (Iliade, I, 69-72). Esiodo stesso appartiene al mondo dei cantori ispirati poich racconta di aver ricevuto lo scettro dalloro dalle Muse mentre pascolava gli agnelli ai piedi del sacro monte Elicona. dunque una fonte superiore quella che alimenta i profeti ed i poeti cos come gli iniziati,
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per questo Platone nelle Leggi (719 c) riferisce che tale opinione antica: un vecchio detto che quando un poeta seduto sul tripode delle Muse, non nei suoi sensi ma egli come una fontana che d libero corso allacqua che vi sgorga. Il comparire nel VI secolo del razionalismo ionico non distrusse tale convinzione, solo che si ritenne che il maestro di verit dovesse essere non il poeta che attraverso la propria fantasia traduceva il vero in figurazioni mitologiche ma il filosofo stesso che si serviva di un altro strumento, il logos. Cos si comprende bene quel che voleva dire, ad esempio, Eraclito quando affermava di esprimere la verit pi alta attraverso la intelligenza che si traduce nel verbo/logos. Non dunque lui come singolo individuo storicamente determinato ad illustrare il Vero ma lintelligenza stessa la cui forza universale. Egli diventa cos, con il proprio logos, profeta di un Logos divino, di una Realt, di un Uno in cui ogni opposizione si ricompone e la cui essenza Coscienza: Per chi ascolta non me, bens il logos, sapienza riconoscere che tutte le cose sono una sola realt (DK 22 B 50). Ma per Eraclito tale sapienza accessibile solo agli svegli, quei pochi che sanno elevarsi sulla massa degli altri, i dormienti. Cos per lui la filosofia una via esoterica che sa distaccarsi dalla volgare religiosit popolare che si nutre di un rozzo antropomorfismo. Per questo egli dice dellUno-Dio: lunico, il solo saggio vuole e non vuole essere chiamato Zeus (DK 22 B 32). Il Principio unitario della Realt, dunque, pu essere appellato col nome di Zeus solo se lo si intende in senso simbolico e non come la pura divinit mitologica. Tuttavia sembra che secondo Eraclito per cogliere tale Principio sia sufficiente il concetto, cio una pura rappresentazione unitaria dei fenomeni da identificare con Dio: saggio colui che sa cogliere larmonia nascosta al di l di tutte le opposizioni ed i dualismi. Cos, tuttavia, evidente che la filosofia sin dai suoi inizi abbia potuto smarrire il senso di una conoscenza dellUno per identit e per diretta esperienza quale quella che intendeva propiziare la tradizione misterica. Ma nessun concetto pu sostituire una esperienza, una diretta visione. Il sapiente, il sofs, vede la Verit, non pensa alla Verit. In tale prospettiva ristretta la filosofia smarrisce il suo intento originario; essa ha un significato solo se pone le condizioni per una esperienza sovrarazionale dell UnoDio.

GLI UOMINI DIVINI

Epimenide cretese

La tradizione greca racconta delle opere prodigiose di taluni indovini, guaritori, sapienti vissuti nei tempi antichi e venuti sovente dal Nord, dal mitico paese degli Iperborei, patria di Apollo, il dio che fiss a Delfi il pi famoso oracolo dellantichit. Da quelle estreme plaghe dEuropa giunse colmo di una sapienza misteriosa Abaris: Era scita, figlio di Seito e dicono che quando scoppi una pestilenza su tutta la terra abitata, Apollo, ai Greci e ai barbari che consultavano loracolo, diede il responso che il popolo ateniese facesse un voto a nome di tutti. E poich molti popoli mandarono ambasciatori agli Ateniesi, dicono che dagli Iperborei giungesse ambasciatore anche Abaris, durante la cinquantreesima olimpiade [568-565] (Suda, s. v.). Una tradizione lievemente diversa cos raccontava: Abaris, quando fu ispirato dal dio (nthous ghenmenos), and in giro per la Grecia con una freccia, e pronunci responsi oracolari e divinazioni; il retore Licurgo poi dice, nellorazione contro Menesecmo, che Abaris, quando si present una carestia fra gli
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Iperborei, part e si pose al servizio di Apollo. E dopo aver imparato da lui i responsi oracolari, tenendo la freccia, simbolo di Apollo, and in giro per la Grecia facendo profezie (Licurgo, fr. 5 a). Di Abaris Erodoto ricorda che viaggi su tutta la terra senza mai mangiare nulla (4, 36). Pindaro racconta che arriv al tempo di Creso, re dei Lidi (fr. 270). Eraclito Pontico (V. Porfir., V. Pyth., 29) cita la leggenda secondo cui era capace di viaggiare nellaria sulla sua freccia. Gli autori antichi lo definiscono ntheos (ispirato da Dio), katharts (capace di compiere riti purificatori), chresmolgos (profeta). Per forza di magia allontanava le epidemie, prediceva terremoti e pesti ma era anche capace di insegnare la medicina e fondare nuovi templi, come quello dedicato a Kore Salvatrice. Dava esempio di temperanza (eykolias), di semplicit (littes) e di senso della giustizia (dikaiosynes). Cfr. testimonianze in Rodhe, II, p.423, n. 1). Alcuni testi lo facevano vivere non in tempi troppo remoti ma in epoca storica, tanto da raccontare di una sua relazione con Pitagora; qualcuno lo colloca al tempo della ventunesima Olimpiade, cio intorno al 696 a. C. Altro personaggio misterioso dotato di poteri magicosacrali fu Aristea, cittadino autorevole del Proconneso; spesso entrava in estasi e volontariamente era capace di uscire dal corpo e di rientrarvi: E visse ai tempi di Creso e di Ciro, nella cinquantesima olimpiade [580-577] Dicono che lanima di costui, quando voleva, usciva (exinai) dal corpo e di nuovo (plin) vi rientrava (epaninai) (Suid., v. Ar.). La sua psich, avendo lasciato il corpo (katalipousa t sma) riusc a giungere direttamente nel paese degli Iperborei. Di tali capacit ha lasciato memoria anche Massimo di Tiro: E lanima di Aristea, uscita fuori dal corpo ( psich ekdysa tou somatos), vagava nelletere, come un uccello Asseriva che la sua anima abbandonando il corpo e volando via direttamente verso letere, attraversava la terra (Massimo di Tiro, 10, 2 e; 38, 3 d). A lui si attribuivano cos una invulnerabilit alla morte, unascensione diretta al cielo, come si riteneva fosse accaduto ad eroi quali Eutimo e Cleomede (Rhode, I, 197 e I, 183). Erodoto, dopo aver narrato dei suoi viaggi nellestremo Nord sino al paese degli Iperborei cos racconta delle sue prodigiose qualit: Dicono invero che Aristea il quale non era inferiore per nascita a nessuno dei suoi concittadini, entrasse in una gualchiera nel Proconneso e morisse, e che il cardatore, dopo aver chiuso la bottega, se ne andasse per dare la notizia ai parenti del morto. E quando ormai si era diffusa nella citt la notizia della morte di Aristea, venne in contrasto con coloro che affermavano questo un uomo di Cizico che giungeva dalla citt di Artace il quale diceva di aver incontrato Aristea mentre andava verso Cizico e di aver conversato con lui. E costui si opponeva con veemenza, mentre i parenti del morto arrivavano alla gualchiera con le cose necessarie per la sepoltura. Ma aperta la bottega, Aristea non apparve n morto n vivo. Dopo sette anni peraltro riapparve nel Proconneso e compose questo poema, che i Greci chiamano Versi Arimaspei, e dopo di averlo composto scomparve una seconda volta. Tali cose si dicono nelle suddette citt, ma io so che queste altre cose accaddero ai Metapontini che vivono in Italia, duecentocinquantanni dopo la seconda scomparsa di Aristea, com risultato dai miei calcoli nel Proconneso e a Metaponto. I Metapontini dicono che Aristea stesso, apparso nella loro terra, ordin di dedicare un altare ad Apollo e di erigere accanto ad esso una statua che portasse il nome di Aristea del Proconneso. Aristea invero disse loro che Apollo era giunto proprio nella terra di essi soltanto tra gli Italioti, e che lui, che Adesso era Aristea, aveva seguito Apollo. Ma allora, quando aveva seguito il dio, era un corvo. E colui che aveva detto queste cose era scomparso, mentre loro dicono i Metapontini avevano mandato ad interrogare il dio a Delfi, per sapere che significasse lapparizione di quelluomo. E la Pizia aveva loro ordinato di obbedire allapparizione: se avessero obbedito, le cose per loro sarebbero andate per il meglio. Ed essi, accettando ci, portarono tutto a compimento. E ora una statua che porta il nome di Aristea stata innalzata accanto alla statua stessa in onore di Apollo, e tuttintorno a quella si rizzano degli allori: la statua in onore del dio peraltro eretta nellagor. (Erodoto, 4, 13-15)
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Delle sue molteplici ricomparse dopo la morte ci racconta anche Apollonio Paradossografo: E si tramanda che Aristea del Proconneso, quando mor in una gualchiera del Proconneso, fu visto in Sicilia nello stesso giorno e nella stessa ora da molte persone, mentre faceva scuola. Per cui, essendogli spesso accaduta la stessa cosa, divenuto famoso lungo molti anni ed essendo apparso pi di frequente in Sicilia, i Siculi gli consacrarono un tempio e sacrificarono a lui come a un eroe (Storie miracolose, 2, 44). Del resto anche i romani dissero di Romolo la stessa cosa, tanto che lo storico Plutarco trov analogia tra quanto raccontato dai Latini circa il fondatore di Roma e quanto tramandato dai Greci a proposito di Aristea (Plut., Rom., 27, 28) Questa ascensione in cielo che sottrae personaggi straordinari al comune destino della morte era riferita anche ad altri re latini e romani (cfr. Preller, Rm. Mythol., 2, p. 84, 704). In particolare significativo il racconto di Tito Livio circa lassunzione di Romolo al cielo; narra infatti che dopo tale evento verificatosi al cospetto dellesercito egli ricomparve ad un probo cittadino di nome Giulio Proculo per rafforzare la fede di un popolo stupefatto e tentato dincredulit (Tito L., Storie, I, 16). Nonostante tali arricchimenti leggendari, lantichit non ha mai dubitato dellesistenza storica di Aristea (Rodhe, II, p. 425, n. 1). Strabone riferisce anche notizie antiche che qualificavano Aristea come maestro di Omero (14, 1, 18) e lo definisce mago (anr ges) aggiungendo, per esaltarne la grandezza, se mai ve ne fu qualcuno (13, 1, 16) e lo ricorda come autore di quei Versi Arimaspei in cui parlava della misteriosa popolazione degli Arimaspi. Molti altri personaggi furono dotati di quelle capacit ma di essi sappiamo poco pi che il nome: Dexicreone di Samo, Policrato di Taso, Formione di Sparta, Empedotimo di Siracusa. Pi famoso di costoro fu Ermotimo di Clazomene, capace di far uscire lanima dal corpo e tenerla separata per lunghi anni, alcuni lo descrissero come incarnazione precedente dellanima di Pitagora (Diog. L., 8, 4; Porf., Vita Pyth., 45). Ancor pi famoso di Ermotimo fu Epimenide di Creta che pratic il culto di Giove sotterraneo. La leggenda narrava di un suo lungo periodo disolamento nella grotta sul monte Ida da cui sarebbe uscito con poteri miracolosi: evocava gli spiriti, cadeva in prolungate estasi attraverso cui riusc a conseguire perfetta conoscenza delle cose divine e una celebrata sapienza entusiastica (sophs per t theia tn enthousiastikn sophan Plut. Sol. 12). Cicerone stesso lo pose tra i profeti ispirati da Dio (quelli che i greci chiamavano ntheoi mnteis) assieme ai Bachidi e alle Sibille (De divinazione, I, 18, 34). Anche di lui si raccontava come viaggiando da paese a paese prediceva il futuro, vedeva per chiaroveggenza eventi del passato, purificava persone e citt allontanando le forse demoniache del male. In un anno tra il 591 ed il 604 a. C. liber Atene dai mali conseguenti allempia uccisione dei partigiani di Cilone. Non c quindi da stupirsi se la tradizione pose in collegamento questi straordinari personaggi con colui che invent il termine stesso filosofia, il saggio, veggente, taumaturgo ed iniziato Pitagora ed attribu ad alcuni di essi anche una vera e propria attivit teoretica. Cos Epimenide (Diodor., 5, 80, 4) e Abaris (Apollon., Mirab., 4) vennero definiti theolgoi ed Aristea un vero e proprio filosofo (anr philsophos; Mass. Tir., Diss., 38, p. 222 R). Lo stesso Rhode attesta lintimo collegamento tra quei veggenti estatici e Pitagora soprattutto per ci che concerne lidea che principio cosciente delluomo possa svincolarsi dal corpo dimostrando cos de facto che lanima per sua natura immortale: La pratica della setta pitagorica ha le sue radici nelle credenze di questi uomini e del tempo che li onor sapienti, in ci, insomma, che pu chiamarsi la loro dottrina. Pochi indizi sparsi permettono ancora di riconoscere che le credenze che ne determinarono gli atti e la vita tendevano a formare ununit di spirito di codesti visionari, che pure fecero pi che praticare semplicemente una religione magica. In che modo stessero le fantasie dEpimenide e di Ferecide sul divenire del mondo e degli di, con leffettiva attivit di costoro, non sappiamo; ma se si narra dErmotimo chegli, come pi tardi il suo compaesano Anassagora, ammetteva una divisione tra il puro spirito e la materia,
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risulta evidente che questa sua teoria derivava dalle sue esperienze Chi si fosse una volta appropriato del concetto dellopposizione tra corpo ed anima, specialmente se dedito egli stesso alle idee e alle pratiche catartiche, doveva arrivare quasi necessariamente al concetto dunanima che andava purificata dal corpo, come da un inceppamento che la contaminasse (Rodhe, II, pp.431 432). Si delinea cos il profilo di una consolidata tradizione sapienziale greca pre-filosofica a cui far ampio riferimento la speculazione razionalistica sviluppatasi da Talete in poi. Anzi, spesso sembra e ci viene anche dichiarato esplicitamente che la filosofia, nel concetto di alcuni pensatori ellenici sia nientaltro che un modo pi adeguato e moderno, giacch svincolato dal mito, per riproporre un sapere acquisito gi dalle epoche pi remote. Non un caso che il mondo antico parl di relazioni personali di Pitagora col profeta tracio Zalmoxis e con Abaris (cfr. Dodds, I Greci , pp. 180 182). Alla tradizione sacrale arcaica estatico-apollinea si pu chiaramente riferire la figura ed il pensiero di Pitagora che, originario dellisola di Samo (ove nacque intorno al 570 a. C.), si stabil nella Magna Grecia, a Crotone, dove fond a sua celebre scuola iniziatica. Tale fu la sua fama che le fonti lo descrivono come dotato di sovrumani poteri, capace sia di compiere prodigi che di predire il futuro. La leggenda riferiva che il padre di Pitagora, recatosi a Delfi con la moglie incinta per consultare l'oracolo, ebbe preannunziata la nascita imminente di un figlio che "per bellezza o sapienza avrebbe superato quanti mai erano vissuti e che per tutta la vita avrebbe massimamente beneficato il genere umano. Molto diffusa era anche la credenza che in realt Pitagora fosse figlio del dio Apollo, che aveva voluto, fecondando la madre, far dono agli uomini di un fanciullo semidivino. Alla sua comunit si accedeva solo dopo aver superato prove molto severe ed era divisa in novizi ed iniziati; i primi erano chiamati acusmatici (dal termine akousmatiki, che significa uditori) giacch si dovevano limitare ad ascoltare le lezioni del maestro, i secondi erano i veri e propri discepoli, chiamati anche matematici, giacch avevano gi appreso e sperimentato la dottrina (mathematiks aggettivo di mthemamathmatos che significa insegnamento, studio, dal tema del verbo manthnein che vuol dire imparare). La dottrina fondamentale della scuola pitagorica di nuovo quella iniziatico-sacrale del corpo carcere-tomba dellanima condannata alla metempsicosi sino a che non si purifichi. Anche se Erodoto mette in relazione tale dottrina pitagorica con i suoi viaggi in Egitto, ove lavrebbe appresa (Le storie, II, 123 = DK 14 A 1, in I Presocratici, vol. I, p. 115), in realt il saggio greco lavrebbe potuta apprendere anche da altri contesti sia orientali che occidentali ed in particolare dalla tradizione orfica. Di conseguenza anche per lui lo scopo della vita quello di purificarsi, di compiere cio pratiche capaci di favorire la libert del principio spirituale da ogni legame con la struttura corporea. A tal fine elabor tutta una serie di prescrizioni ascetiche tutte finalizzate alla disciplina dei desideri e dei piaceri sensibili. La stessa pratica della scienza aveva tale scopo, poich le verit immateriali della geometria e della matematica erano pi di tutte atte a separare la coscienza dallillusione che i sensi ci diano la dimensione vera del reale. Poteva iniziare con quel sapere rigoroso ed astratto il progresso ascendente dellanima dal mondo sensibile a quello intellegibile, insomma quel tipo di processo razionale/spirituale che sar designato nella scuola socratico/platonica come dialettica. Lo stesso filosofo agrigentino Empedocle si present come un esponente di quella arcaica tradizione dichiarandosi dotato di poteri sovrumani, motivo per cui veniva seguito da una folla che cercava di assimilarne la sapienza occulta ed ottenerne guarigioni. Non c in Empedocle dice Nuccio DAnna contraddizione fra lo scienziato e il veggente, come hanno pensato taluni interpreti, anzi egli sintetizza funzioni che successivamente diverranno specializzazioni autonome, esprime un tipo umano che
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affonda le proprie radici nelle condizioni spirituali della Grecia arcaica. In realt Empedocle non fa altro che rendere intellegibili al mondo greco illuminato del suo tempo, le dottrine estatiche dei tanti veggenti, profeti ed indovini che non trovavano pi rispondenza nella nuova realt storica ellenica, e che sopravvivevano a se stesse Sembra che Empedocle abbia avuto presenti forme di catarsi nelle quali veniva sviluppata una dottrina ascetica ben conosciuta negli ambienti degli estatici purificatori, mirante al distacco dellanima dal corpo, concepito come il limite in cui si trova lanima, spirito di origine divina, entrato nelluomo dal di fuori e destinato esso solo a sopravvivere alluomo a cui stato assegnato. perci opportuno purificarla e renderla quanto pi possibile cosciente della propria diversit qualitativa, nonostante la commistione con gli organi corporei, cui invece appartiene un tipo di conoscenza meramente sensibile che si esprime attraverso le facolt corporee. Al fine di sciogliere lanima dal corpo e dai limiti sensitivi, Empedocle individuer forme di meditazione e di concentrazione mentale, forse persino in rapporto ad esercizi di respirazione del tipo yoga preclassico indiano (Nuccio DAnna, La disciplina del silenzio, pp. 25-26). interessante notare che tali esercizi consistevano nel regolare e ritmare i movimenti del diaframma per indurre attraverso un respiro pi intenso stati di coscienza estatici. In effetti, come ha fatto notare un illustre studiso, Jean Pierre Vernant (Mito e pensiero, p.111, pp.137 e segg.) Empedocle parla di prapdes ben serrate e di santi esercizi; ora il termine praps- prapidos in greco significa non solo diaframma ma anche cuore, animo, mente, intelligenza, stato danimo, cio tutta una serie di realt e condizioni psichiche che gli antichi collegavano a quello specifico punto del corpo. La tecnica e psichica Occidente cosiddetto di una respirazione diaframmatica intensa utilizzata a fini di purificazione fisica ben nota nel pranayama indiano ed ritornata in auge attualmente in con la pratica della respirazione circolare (cio intensa e senza pause) del rebirthing.

Tale sapere esoterico, dimostrato sia nel concreto attraverso fatti prodigiosi sia a livello teoreticoattraverso lidea che ne sosteneva la possibilit, quella cio di un corpo/carcere dellanima, furono la base su cui si costru sino al neoplatonismo la metafisica speculativa occidentale. In tale temperie religiosa che si svolge senza soluzione di continuit da Abaris sino a Plotino e che sidentifica con il concetto di tradizione esoterica perfettamente comprensibile ad esempio il modo con cui Socrate stesso affronta la morte. Egli si predispone a bere la cicuta proprio ricordando lantica dottrina (Platone, Fedone, 70 c) la quale sosteneva la sopravvivenza dellanima alla morte ed il suo giudizio sulla base della vita vissuta. evidente che Socrate non si riferiva solamente alle dottrine orficopitagoriche (come annotano i moderni commentatori) ma, per quel che abbiamo esposto, allintera tradizione metafisica e sacrale della Grecia, in particolare a quella iniziatica di cui Orfeo e Pitagora furono solo tra i pi noti ed autorevoli esponenti. Platone infatti mette in bocca al suo Maestro (per il quale vivere filosoficamente significava non vincolare la coscienza ai soli bisogni del corpo) le seguenti parole rivolte ai suoi discepoli poco prima di morire: Allora lanima, che invisibile e che se ne va in luogo diverso da questo, il quale ha la stessa natura di essa, bello, puro, invisibile allAde (letteralmente significa: lInvisibile) nel vero senso della parola presso un Dio buono e sapiente, dove anche lanima mia dovr presto andare, se a Dio piaccia: ebbene, la nostra anima, che ha tali caratteristiche e tale natura, appena si allontana dal corpo si dissipa e si annienta immediatamente, come dice la maggior parte della gente? Ci vuole altro Simmia e Cebete! Invece la cosa sta in questi termini: se essa si distacca pura, non trascinandosi addietro niente del corpo per quanto dipenda dalla sua volont, in quanto vivendo non ebbe nulla in comune con esso e anzi lo fugg, restando raccolta in se medesima e preoccupandosi sempre di restare tale (e questo non altro se non rettamente fiolosofare e prepararsi serenamente a morire): ebbene, non forse preparazione alla morte, questa? Unanima che si preparata in tal modo non se ne andr, dunque, a ci che le assomiglia, a ci che invisibile, a ci che divino, immortale, intelligente, dove, giungendo, le toccher di essere veramente felice, libera dagli erramenti, dalle stoltezze, dalle paure, dai selvaggi amori e dagli altri mali umani, passando tutto il resto del tempo con gli di, come si racconta degli iniziati? (Fed., 80 d-e, 81 a). Dunque anche per Socrate e Platone la filosofia un esercizio di morte proprio nel senso che gi da vivi bisogna purificarsi e predisporsi ad una vita dellanima separata dal corpo quale quella che ineluttabilmente la morte imporr a tutti. I filosofi attraverso la filosofia compiono lo stesso processo di purificazione degli iniziati e per questo Socrate ritiene che essi condividerranno con i misti la condizione di felicit oltremondana.
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Il destino del filosofo che si purificato attraverso la virt e la incessante ricerca della verit, cio attraverso una pratica sistematica di svincolamento della coscienza dai bisogni pi radicali del corpo lo stesso che si procurano gli iniziati attraverso le loro misteriose pratiche rituali. Del resto non era nozione comune nella Grecia antica che il rito misterico si proponeva proprio di svincolare operativamente lanima dal corpo per introdurla nel mondo divino? Si possono definire filosofi ed iniziati solo coloro che si predispongono a tale passaggio, e proprio a ci tende la vita morale. Questa infatti consiste nella sua essenzanella condotta pratica di chi essendo capace di svincolare la coscienza dai bisogni del corpo (che si manifestano come passioni) agisce solo sulla base di principi di ragione. Tale logos divino e manifesta la sua divinit proprio attraverso la sua capacit di controllare e dominare le passioni che ci legano al corpo/materia. Chi muore con la coscienza ancora legata ai soli bisogni del corpo destinato ai luoghi bui dellAde e a reincarnarsi ancora in questo mondo materiale fatto di sofferenza. Anche per tale concetto di catarsi Socrate condivide quanto affermato dalla sofia, cio dalla veneranda dottrina sapienziale degli antichi teologi: E la purificazione, com detto in una antica dottrina, non sta forse nel separare il pi possibile lanima dal corpo e nellabituarla a raccogliersi e a restare sola in se medesima, sciolta dai vincoli del corpo, e a rimanere per il tempo presente e futuro sola in se medesima, sciolta dal corpo come da catene? E non forse questo che noi chiamiamo morte, cio lo scioglimento e la separazione dellanima dal corpo? E a scioglierla si adoperano sempre, pi di tutti, i veri filosofi; e precisamente questo il compito dei filosofi: sciogliere e separare lanima dal corpo I veri filosofi si esercitano a morire e la morte a loro fa molto meno paura che a qualunque altro uomo (Fedone, 67 c-d-e). Per Socrate come pure per Platone la filosofia un esercizio finalizzato allestasi, cio a quella condizione in cui lanima operativamentesi svincola dal corpo (socraticamenteper contemplare in s il divino o platonicamente per contemplare il mondo iperuranio). E la tecnica filosofica consiste per questo nel separare la coscienza dal mondo sensibile, dal corpo e dai suoi legami con la materia, dunque nella concentrazione meditativa; essa deve allenarsi a raccogliersi e a restare sola in se medesima e a rompere il suo contatto abituale col corpo, cio dalle sensazioni ed dai pensieri che da esse derivano, esattamente come nella tradizione yoga dellIndia. Per questo Socrate dice a Simmia: E che dici, poi, dellacquisto della sapienza (Platone usa il termine phronesis che equivalente di sofia)? Il corpo di ostacolo, oppure no, se noi lo prendiamo come compagno nella ricerca di essa? Voglio dire questo: la vista e ludito hanno per gli uomini qualche valore di verit? O non ci dicono continuamente anche i poeti codeste cose, e cio che noi con gli occhi non vediamo nulla di sicuro e con le orecchie non sentiamo nulla di sicuro? Ma, se questi sensi del corpo non sono sicuri n chiari, tanto meno lo saranno gli altri, perch, a paragone di questi, tutti gli altri hanno un valore molto minore Allora quando lanima coglie il vero? Infatti, quando essa tenta di indagare qualcosa insieme al corpo, evidente che tratta in inganno da esso E se c mai un mezzo attraverso cui qualcuna delle verit si manifesta allanima, questo non forse il ragionamento? Allora, lanima non ragiona forse nel modo migliore quando nessuno di questi sensi la turbi, n la vista, n ludito, n il piacere, n il dolore, ma quando si raccolga sola in se stessa lasciando il corpo, e, rompendo il contatto e la comunanza col corpo nella misura in cui ci possibile, miri con ogni sua forza alla verit? (Fedone, 65 a-b-c). La tecnica realizzativa socratico-platonica chiara ed quella della tradizione sacra arcaica: bisogna mirare con tutte le forze del nostro spirito alla Verit separando, isolando la coscienza dal suo ordinario legame col corpo; a ci predispone la vita razionale/morale.

GLI ORACOLI
Oltre alla via sciamanica legata per lo pi a individui eccezionali itineranti dotati di capacit sovrannaturali i greci conobbero unaltra via di accesso e di contatto con il sacro, una via di fatto istituzionalizzata e stabile, quella degli oracoli.
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Gli oracoli servivano a far parlare gli di. La parola deriva infatti dal latino oraculum, termine collegato al verbo orare, che significa appunto parlare. Con esso sindicavano due distinte ma connesse realt: sia il luogo in cui avveniva quella straordinaria comunicazione, sia il responso dato dal dio direttamente o attraverso un intermediario. Celebri santuari oracolari greci furono quelli di Apollo a Claros, di Trofonios a Lebadeia, di Amfiarao a Oropo, di Zeus a Dodona in Epiro, ma il pi illustre fu quello di Delfi (Delphoi - ) collocato nella Focide, alle pendici del monte Parnaso, monte che la tradizione voleva sede di Apollo e delle Muse. Esso costitu di fatto un riferimento spirituale unitario per tutte le stirpi elleniche. Le origini del culto risalgono, come per Eleusi, allet micenea, fiorita nel II millennio a.C. Esso raggiunse il suo culmine tra il VI ed il V secolo a. C. e sopravvisse sino allavvento del cristianesimo, quando fu interdetto dallimperatore Teodosio nel 392 d. C., avendo operato cos per quasi duemila anni. Alcune testimonianze, tra le pi antiche, affermano che appartenne non ad Apollo ma a Ga, la Terra Madre e a Themis. loracolo originariamente

Il mito raccontava che Apollo vi si insedi solo dopo aver ucciso un serpente malefico, Python (Pitone). Inoltre si raccontava che proprio l fosse collocata una pietra che indicava il centro esatto del mondo, che i greci chiamavano lomphals, cio lombelico. Il tempio, il cui nucleo rinvenuto attraverso gli scavi archeologici risale al VII secolo, aveva sullarchitrave del portale il celebre ammonimento di Apollo: Conosci te stesso (gnothi seautn) che guid Socrate nella ricerca filosofica dopo che lo stesso oracolo lo aveva definito il pi sapiente degli uomini. Alcune testimonianze cinformano che entro il tempio si trovava anche la tomba di Dioniso, quella da cui era risorto per ascendere al cielo secondo la volont di Zeus. In quel celebre santuario dava i suoi responsi in nome di Apollo una medium la Pizia (Pytha) il cui nome significa appunto la profetessa di Pytho, lantico nome di Delfi. Essa era scelta tra le donne del luogo per svolgere la misteriosa funzione dincorporare il dio ma veniva affiancata da un prophtes (da prophnai, predire, verbo composto da pro = prima e phnai = dire) il quale svolgeva la funzione di rendere intellegibili, per quanto possibile, i responsi spesso detti con voce alterata o di significato del tutto oscuro e da un gruppo di sacerdoti (hosioi = i puri) con il compito di vagliare laccesso al santuario, normalmente accessibile ai soli nativi. La Pizia pronunziava i suoi responsi in un locale sotterraneo del tempio (ladyton o penetrale) seduta su di un tripode e respirando vapori misteriosi che provenivano da una fenditura della terra (il chasma) capaci di favorirne la trance. La veridicit di questultimo particolare stato contestata sino a pochi anni or sono perch sembrava che la struttura geologica del sottosuolo non consentisse dipotizzare l emanzione di esalazioni di alcun tipo. In realt gli studi scientifici pi recenti hanno individuato stati di terreno sottostanti il tempio capaci effettivamente di emanare vapori eccitanti (c chi, in base a studi geologici accurati, ha ipotizzato la fuoruscita di gas etilene per la sotterranea presenza di calcari bituminosi). Sempre secondo la tradizione la Pizia soleva tenere in mano un ramo dalloro e ne masticava spesso le foglie dopo aver bevuto nella vicina sacra fonte Castalia. Il suo procedimento mantico era vario: a volte usava la scelta delle sorti attraverso la lettura di pezzi legno contrassegnati e significanti (cleromanzia), altre volte osservava lacqua posta in un bacile (lecanomanzia), ma era celebre per lo pi per il suo stato dinvasamento chiaroveggente che si verificava quando Apollo entrava nel suo corpo determinandone un evidente furor o mana. Nei tempi moderni si voluto contestare la tradizione che la Pizia usasse profetizzare in una condizione alterata di coscienza ma non c ragione dinvalidare cos radicalmente le fonti, anche in tale caso. A tal fine la testimonianza di Platone determinante: La profetessa di Delfi dice nel suo dialogo intitolato Fedro e le sacerdotesse di Dodona, ispirate e furenti (maneisai),
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fecero molte e belle cose per la Grecia; invece quando furono in uno stato di coscienza ordinario (sophronousai) beneficarono lEllade poco o nulla (Fedro, 244 a). Viene in mente anche il sesto canto dellEneide virgiliana, quello in cui il poeta descrive gli effetti fisici dello stato ispirativo della Sibilla di Cuma, la sacerdotessa di Apollo e Diana (Phoebi Triviaeque sacerdos) che comunica le sue risposte (responsa) e rivela i suoi presagi (carmina) ad Enea dopo che leroe troiano ebbe gettato la sua ancora nella rada della citt campana fondata dagli Eubei: Il vasto fianco delleuboica rupe sapre in forma dun antro, e cento accessi vi si schiudono, cento aditi enormi onderompono, cento urli, i responsi ella Sibilla. Come al limitare essi furono giunti, ella proruppe: Ora tempo di chiedere i destini. Ecco il Dio, ecco il Dio! Cos parlando si trasfigura in volti ed in colori nuovi, irta la chioma si scompiglia, il petto ansima, il cuore frenetico si gonfia, e pi grande in aspetto e non mortale sembra alla voce, poi che tutta invasa dallempito del Dio che gi lincalza (Virgilio, Eneide, VI, vv. 57- 70; trad. G. Vitali) Era tale la fama del santuario delfico sin dallet pi antica che anche i celebri Sette Saggi (tra i quali cera lo stesso Talete, primo esponente della tradizione filosofica, secondo Aristotele) resero omaggio al dio di Delfi ed a lui consacrarono una primizia della loro sapienza come ci racconta Platone scrivendo queste espressioni che tutti esaltano: conosci te stesso e nulla di troppo questo era lo stile proprio degli antichi filosofi e cio la concisione laconica (Platone, Protagora, 343 a = DK 10 A 2, in I Presocratici, vol. I, p. 72). La connessione tra la riflessione morale filosofica e quella arcaico-sacrale evidentissima poich la moderazione, la temperanza, la giusta misura saranno il fondamento costante delletica greca. I due precetti fondamentali della riflessione speculativa anche dei secoli successivi saranno appunto quello teoretico del conosci te stesso (che alcuni attribuirono anche a Talete) e quello pratico del niente di troppo. Significativamente, proprio sotto il segno di Delfi, si realizza la continuit tra le massime che alcuni riferirono ai due Savi, Solone di Atene: nulla di troppo (DK 10 A 3) e a Chilone di Sparta: non desiderare limpossibile(DK 10 A 3) e quella che la stessa tradizione rifer a Talete: usa la giusta misura. In tutti i casi il fondamento del giusto e santo agire nella misura razionale degli appetiti e dei desideri. Spesso, inoltre, quando si parlava di Delfi, si parlava genericamente del relativo dio, senza appellarlo distintamente: cos fa Erodoto, cos anche il Socrate dellApologia platonica e dei ricordi di Senofonte. Con ci se ne voleva accentuare il carattere misterioso ed affermare il concetto che luomo ben poco pu sapere di quella realt sovrumana da cui proviene lispirazione. Il dio di Delfi nota giustamente Ugo Bianchi che fa sentire la sua voce di consigliere e di guida, e i cui oracoli sono sempre un punto di riferimento nella storiografia erodotea, naturalmente Apollo: la denominazione anonima accentua, se non erriamo, il carattere misterioso, divino, del suo profetare. La voce del dio di Delfi in Erodoto la manifestazione insieme tangibile e misteriosa del sopraumano, lirruzione di un pensiero e di una saggezza divine nell hic et nunc del visibile. Si pu dire che il dio di Delfi ci rinvia non a quel multicolore Olimpo di cui Apollo era uno dei personaggi pi brillanti, ma a quel concetto di Divinit (ho thes, to theion) che i Greci ebbero sempre presente allo spirito da Omero a Senofane, a Platone, a Plutarco, agli ultimi scrittori neoplatonici (U. Bianchi, La religione greca, Torino, 1975, p. 122).

CONCLUSIONE
Lesistenza nella Grecia pi antica di veggenti estatici, di profeti, di oracoli conferma la tesi che una visione del mondo in senso magico sacrale sempre esistita presso le pi diverse culture ed parte o addirittura sidentifica con la philosophia perennis.

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Del resto esiste e sussiste per la sua stessa natura nello stesso mondo positivistico materialistico attuale e di certo tutto ci fa ritenere che esiter, con mutate forme ma con inalterata sostanza, anche nei tempi futuri. E ci non solo per il fatto che, come amano pensare i moderni, luomo ama illudersi per trovare conforto alla sua situazione esistenziale, ma anche e soprattutto perch talune esperienze non ordinarie vissute dalluomo di ogni tempo e luogo, lo hanno convinto da sempre del fatto che la realt non limitata a quella percepibile dai nostri sensi e che taluni uomini (e forse, potenzialmente, tutti) possono accedere attraverso stati di coscienza non ordinari ad altre dimensioni dellEssere. Dunque la tradizione sacrale greca, anche della Grecia pi arcaica, frutto pi che di influssi culturali esterni (che pur ci dovettero essere e parzialmente sono anche documentabili) soprattutto di una struttura esperienziale che quel popolo matur n pi n meno che qualsiasi altro popolo e quindi ha una origine ancestrale. Gi nellepoca pi remota che, sia pur molto parzialmente, possibile documentare, la Grecia conobbe personaggi straordinari che a buon diritto erano definiti sapienti perche la loro conoscenza si estendeva anche al mondo dellinvisibile, cio, per usare un termine che comparir molto tempo dopo, alla dimensione metafisica. Erano, insomma detentori della sofa; in tale contesto culturale e lessicale, gli altri, quelli che cercavano, aspiravano a tale sapere non potevano esser designati altrimenti che come amanti, ricercatori della sofia, appunti filo-sofi. La filosofia quando nasce riconosce implicitamente il suo rango inferiore. Tuttal pi, proprio per il fatto di aiutodesignandosi in quel modo, riconosce ed attesta una sua funzione propedeuticae/o la sua intrinseca finalit. Il culmine della conoscenza era nella sofi, era la sofa. Il philsophos cerca; il sofs ha trovato. Ed ha trovato perch ha visto ed ha realizzato, cio ha intuito la dimensione metafisica e ne stato trasformato. solo in tempi posteriori, con la nascita della filosofia nel VI secolo a.C., che si cominciato a credere i Grecia che lintelletto raziocinante possa conoscere la Verit del Mondo con la sua logica discorsiva e che sia lo strumento privilegiato, anzi lunico possibile, di cui lUomo dispone per Conoscere. Si ritenuto persino che tale intelletto possa con dei semplici schemi concettuali conoscere la dimensione metafisica. In tal modo la metafisica speculativa (basata sulla hybris dellintelletto) di fatto ha finito per sostituire in Occidente quella intuitiva e realizzativa che implicava lo sviluppo di pi sottili facolt di percezione. Per questo nelle societ tradizionali il sacro era descritto (per cos dire) solo attraverso modi allusivi quali il mito, il simbolo, lallegoria. Luso del logos per comprendere i fenomeni della natura ha potuto produrre la scienza attraverso la scoperta della connessione necessaria tra di essi ma il suo orizzonte limitato dagli stessi sensi a cui deve far riferimento oltre che dalle sue limitate facolt. Per questo la lotta della filosofia contro il mito non colse sempre nel segno: essa poteva avere ed ha avuto di fatto il suo valore nella misura in cui ha demolito la visione mitica del mondo nella misura in cui esso pot da taluni essere considerato capace di dare una descrizione oggettiva della realt, delle sue origini e forze. Il mito era semplicemente assurdo nella sua pretesa di verit se considerato letteralmente e se ritenuto capace di dar conto dei fenomeni naturali colti dalla percezione sensibile. In tale lotta la filosofia e la scienza hanno riportato le loro sostanziali ed irrinunciabili vittorie ma loro sconfitta, di cui oggi siamo tutti testimoni, si palesata quando dopo secoli, millenni, di speculazione razionale ci si accorti che tutti gli schemi di interpretazione della stessa realt materiale sono inadeguati ed irrimediabilmente confutabili. Nelle civilt tradizionali il mito, il simbolo, lallegoria erano solo modi dallusione per riferirsi a dimensioni altre della realt di cui luomo pu avere intuizione ma comunque mai dare
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descrizione. Per questo il logos, termine che non a caso significa nel contempo ragione e linguaggio, deve essere trasceso da una facolt dintuizione metafisica. A tale facolt, non a caso considerata inesistente dalla filosofia razionalista, si riconosceva nellantichit la possibilit effettiva di entrare nel mondo degli di . La filosofia aveva in s il germe della sua involuzione secondo un processo che si svolger sino alla negazione di ogni possibilit di fare metafisica a cui giunto il pensiero moderno. Abbandonato il percorso mistico pretender cos, involutivamente, di elaborare un proprio sapere descrittivo, persino dogmatico su Dio, tentativo tracotante quanto nessunaltro mai. In effetti la parola teologia stata coniata dal padre della filosofia occidentale, Platone, per contrapporre alla mitologia un discorso che rappresenti la divinit quale essa realmente (Repubblica, 379 a). Essenziale per lui, infatti, pensare che Dio buono, non invidioso, e che causa solo del bene (Rep., 379 b-c), per cui sono da respingere i discorsi dei poeti, come Omero, sugli dei. Ma la sua teologia finisce qui: non possibile un ulteriore sapere su Dio. Non c', dunque, una teologia articolata cos come si sviluppata posteriormente sino ai nostri tempi attraverso un dissolutivo processo di razionalizzazione. Pur tuttavia in Platone rimane un qualcosa che ancora lo radica nella tradizione sacra arcaica giacch il suo discorso rimane sostanzialmente quello di una conoscenza del sacro e di Dio ottenibile attraverso una assimilazione a Lui (omoiosis t the), un farsi simile a Dio, che si compie attraverso conversione (epistroph) e distacco, esercizio di morte (melet thanatou, Fed., 64 a), cercando l'uomo interiore (ho anthropos ho es hmn) (Rep., 589 a) contrapposto a quello esteriore (ho anthropos ho ex hmn).

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