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PLATONE

Nasce ad Atene nel 427 a. C., da una famiglia discendente dall’ultimo leggendario sovrano di Atene. Il suo
vero nome potrebbe essere Aristocle. Il soprannome Platone sarebbe riferito alla sua robusta costituzione
fisica.
Nel 408 conosce Socrate e ne diventa discepolo.
Nella sua vita compie numerosi viaggi, tra cui quelli a Siracusa, nel tentativo di convincere i tiranni locali a
orientare la propria linea politica sulla base delle sue idee.
Il primo viaggio avviene nel 388 a. C., presso Dionigi il Vecchi (qui conoscerà anche Dione, parente del
tiranno, con cui stringerà un rapporto di amicizia). Il viaggio non ha l’esito sperato e, dopo molti eventi
avversi, riesce a tornare ad Atene.
Il secondo e il terzo viaggio avvengono rispettivamente nel 367 e 361, sotto richiesta dell’amico Dione, alla
corte di Dionigi il Giovane. Le teorie di Platone, che puntano ad ispirare una condotta improntata alla
temperanza e un programma di riforme da attuare senza l’uso di violenza, non riescono a prendere piede a
Siracusa.
Nel 387 fonda L’Accademia, una scuola filosofica che rappresenterà la più grande istituzione culturale
dell’antichità fino al 529 d. C., anno della sua chiusura.
Platone muore ad Atene all’età di 80 anni, nel 347 a. C.
Nel complesso possediamo l’Apologia di Socrate, 34 dialoghi e 13 lettere, suddivisi in 3 periodi:
- Periodo giovanile (Platone segue l’insegnamento di Socrate): Protagora, Ione, Apologia di Socrate, I
libro della Repubblica, Ippia I, II
- Periodo della maturità (Platone espone il proprio pensiero, superando le teorie di Socrate): Gorgia,
Menesseno, Fedone, Menone, Repubblica (II-X)
- Periodo della vecchiaia: Parmenide, Sofista, Politico, Timeo, Crizia, Leggi, Lettere VII e VIII

IL CONTESTO STORICO-CULTURALE DELLE IDEE DI PLATONE


Per comprendere al meglio la riflessione filosofica di Platone occorre porre particolare attenzione al
travagliato periodo storico in cui vive, da lui avvertito come un periodo di profonda decadenza (Lettera VII).
Quella che avrebbe dovuto essere la sua naturale predisposizione alla vita politica (come conseguenza del
fatto che nacque da un’importante famiglia aristocratica) venne soffocata dalla sua delusione di fronte
all’ingiustizia e corruzione dei vari governi succedutisi ad Atene:
- Governo dei Trenta Tiranni (404-403 a.C.)
- restaurazione dell’ordine democratico, anch’esso ingiusto e corrotto
L’evento principale che concorre alla formazione di un pensiero così critico nei confronti dell’assetto
politico Ateniese è la condanna a morte di Socrate (399 a.C.), un evento che rappresenta la sconfitta di ogni
aspirazione alla giustizia. È questo inoltre l’evento che fa nascere in Platone la volontà di promuovere una
rinascita spirituale attraverso una riflessione filosofica in grado di ispirare la società verso il bene. A questo
riguardo, è proprio la figura di Socrate ad essere per lui ispiratrice, avendo avuto quest’ultimo il coraggio di
avviare un rinnovamento etico dell’uomo, improntato ai valori di virtù e giustizia, resisi necessari dopo il
dilagare delle teorie sofistiche (relativismo, vuoto di certezze, no etica condivisa).
Secondo Platone la crisi politica e sociale del suo tempo non è altro che l’espressione di una crisi più
profonda, dell’intera esistenza umana. L’ingiustizia, per lui, non è che la conseguenza della scissione tra
politica e saggezza. Egli pensa infatti che finché a guidare la città ci saranno persone con una visione limitata
e che ignorano virtù e vero bene, sarà impossibile che la città sarà amministrata secondo principi di
giustizia.
La causa della decadenza sociale e politica è inoltre conseguenza del dilagare, nella società Ateniese, di
tendenze relativistiche e scettiche (origine sofisti), secondo le quali non esiste una morale assoluta e che
portano ad avere, di conseguenza, la capacità di persuasione come virtù principale. In questo contesto, i
giovani vengono educati all’utilizzo dello strumento della parola, imparando a far valere il proprio punto di
vista e i propri egoistici interessi, abbandonando la via della conoscenza, l’unica he può portare al
riconoscimento di valori e principi universali, immutabili, gli unici che possono ispirare ad un’azione
finalizzata al benessere collettivo.
Questi sono le motivazioni per cui Platone ritiene necessaria una riforma esistenziale e politica che parta
dalla filosofia, unica via in grado di condurre a nuove e solide certezze intellettuali, sulla cui base sarà poi
possibile edificare un modello di società ordinata e giusta.

La fondazione dell’Accademia
Per dare corpo a questo progetto di rigenerazione spirituale dell’uomo, Platone, nel 387 a. C., fondò
L’Accademia, il cui nome deriva dal parco in cu venne fondata, dedicato all’eroe greco Accademo. A partire
dal 387 tutta l’attività intellettuale di Platone si concentrò all’interno della sua scuola, la quale costituiva,
oltre ad un luogo dedicato al culto delle Muse, un ambiente di studio e ricerca scientifica, dove vi erano
disponibili molti testi scientifici e didattici. Erano soliti frequentare l’Accademia molti giovani aristocratici
del mondo greco, oltre che scienziati, filosofi, matematici e astrologi.
Tra gli obiettivi dell’Accademia è possibile annoverare quello dell’educazione etica e politica degli uomini
(per influenzare scelte politiche), in un’epoca segnata dalla crisi dell’ideale democratico e dalla decadenza
delle virtù civili tradizionali.
L’Accademia rimase in attività fino al 529 d. C., quando, per ordine di Giustiniano, venne fatta chiudere.

Il dialogo come nuova forma di comunicazione filosofica


Per Platone l’essenza della filosofia è rappresentata dal modello socratico, basato sull’indagine condivisa,
motivo per cui la maggioranza delle sue opere ha forma dialogica, forma letteraria che meglio si presta ad
un’idea di verità intesa come ricerca continua ed interpersonale.
Per Platone l’indagine filosofica è un processo lento e faticoso, che progredisce grazie agli sforzi di coloro
che la coltivano e che non giunge mai al possesso totale e definitivo della verità, condizione che impone agli
uomini che perseguono l’indagine filosofica di interrogarsi costantemente.
Solo attraverso un’interrogazione onesta e rigorosa è possibile acquisire la scienza che, nella misura in cui è
utile, contribuisce alla felicità degli uomini.
Le caratteristiche principali dei dialoghi platonici sono:
- gli interlocutori sono ben identificati, numericamente definiti e limitati, a differenza della platea a
cui si rivolgono i discorsi sofistici (grande numero di persone  pubblico indistinto);
- la finalità dei dialoghi è la ricerca della verità, perseguita attraverso ragionamenti metodici e
rigorosi, a differenza dei discorsi sofistici, che tendevano a far prevalere la propria tesi su quella
dell’avversario attraverso argomentazioni spesso sottili e inconsistenti.
Le varie prospettive nei dialoghi platonici sono esaminate alla luce della ragione filosofica
(impersonata spesso da Socrate);
- i dialoghi platonici prediligono una durata breve, con domande e risposte rapide, a differenza dei
lunghi e ampollosi ragionamenti sofistici.

Il ruolo del mito nelle opere di Platone


Nelle sue opere Platone riesce ad amalgamare perfettamente le parti concettuali con quelle narrative,
attingendo al grande partimonio mitico greco. Il mito platonico ha due funzioni:
- serve per comunicare in modo più intuitivo e accessibile concetti complicati
- viene utilizzato per alludere a realtà che vanno al di fuori dei limiti dell’indagine razionale.
Platone utilizza quindi il mito per supportare la ragione nella trattazione dei grandi temi metafisici
(immortalità anima), dove la riflessione razionale arriverebbe a fatica.
L’opera platonica potrebbe talvolta risultare di difficile interpretazione, non riuscendo facilmente ad
indentificare un confine netto tra il linguaggio filosofico e quello mitico.
Tuttavia è proprio questo aspetto che ha reso il platonismo suggestivo, agevolandone la diffusione nel
tempo.
LA TEORIA DELLE IDEE
Tema ontologia Platonica, cioè la concezione platonica dell’essere, articolata in un piano sensibile, visibile,
mutevole e uno intelligibile, invisibile, stabile, che corrisponde al mondo delle idee.
Idee -> entità immutabili ed eterne, costituiscono il modello unico e perfetto delle cose molteplici e imperfett

Ricerca di un criterio di verità solido


Platone inizia la sua ricerca dal punto in cui si era fermato Socrate, che affermava che l’anima diventa
buona attraverso la conoscenza: se si conosce ciò che è bene, non si può commettere il male.
Il problema che si pone Platone è quello di stabilire cosa siano il bene e in generale i valori assoluti,
indispensabili per un rinnovamento sociale, e in che modo si possa giungere a conoscerli.
Da questo interrogativo parte l’indagine platonica.
Platone riconosce, in primo luogo, che i sensi non consentono di pervenire ad un’idea stabile e oggettiva del
bene. Poiché l’esperienza sensibile non è sorretta da un criterio univoco di verità, ciò che può essere valido
per una persona, in una determinata circostanza, potrebbe non esserlo per un’altra, così come sostenevano
i sofisti (assoluto relativismo della conoscenza).
Platone, tuttavia, è fermamente convinto che esista una conoscenza oggettiva, che per essere tale richiede
criteri di verità immutabili e validi per tutti, indipendenti da circostanze e esperienza sensibile.
Il ragionamento di Platone può essere esemplificato così: quando si afferma che un qualcosa è buono, viene
attribuito il predicato “buono” a differenti soggetti. Per poter affermare ciò, tuttavia, dobbiamo
presupporre che il significato di “buono” sia immutabile al variare di soggetti e circostanze.
In sostanza, possiamo dire che qualcosa o qualcuno è “buono” in quanto esiste l’idea assoluta di Bontà, che
costituisce la base oggettiva e immutabile dell’affermazione. Se non esistessero parametri fissi ed oggettivi,
sarebbe impossibile pronunciare qualsiasi affermazione con valenza universale.
Questi parametri sono costituiti dalle idee, criteri di conoscenza, causa e fondamento della realtà.

Platone nel Fedone chiarisce l’itinerario intellettuale che lo porta all’elaborazione della teoria delle idee
attraverso una metafora marinaresca: la prima navigazione si realizzava sospinti dal vento, mentre la
seconda navigazione si realizzava con i reni, in autonomia, quando il mare si calmava.
Per Platone, la sua prima navigazione è sospinta dalle ricerche dei filosofi naturalisti, per poi intraprenderne
una seconda, basata esclusivamente sulle proprie forze, che lo conduce alla scoperta del mondo delle idee.
Quando si accorge, dopo lo studio di testi e tesi, che le istanze portate avanti dai naturalisti hanno esiti
contradditori e inconcludenti, inizia a domandarsi se la causa di ciò che è sensibile, mutevole, perituro non
possa essere qualcosa che va oltre lo stato sensibile delle cose, avendo caratteristiche di immutabilità,
eternità ed assolutezza.
Per Platone vi sono due piani dell’essere, uno fenomenico e visibile (Socrate è in carcere per cause materiali
e meccaniche, come il fatto che i suoi muscoli abbiano fatto si che lui arrivasse in carcere) e uno meta-
fenomenico e invisibile, quello delle idee (Socrate è in carcere perché ha deciso di rispettare il verdetto dei
giudici, ritenendo che questo fosse il bene), che può essere colto solo con gli strumenti razionali.
Il piano delle idee è quindi ciò che fa si che ogni cosa sia come deve essere e come è bene che sia, causa
immutabile che va oltre la realtà sensibile.

Il concetto di Idea secondo Platone


A differenza del significato che siamo soliti attribuire oggi alla parola idea (un pensiero, un concetto,
concetti astratti), le idee di cui parla Platone non sono concetti astratti, ma sostanze immutabili e perfette,
poste in un altro mondo definito iperuranio (in greco, al di là del cielo). Platone le definisce come
“espressione piena dell’essere”, entità oggettive, non relative a nessun soggetto ma aventi una natura
assoluta. Queste idee costituiscono allo stesso tempo sia i criteri oggettivi di verità delle cose che le loro
cause (l’idea del Bello è sia ciò a cui ci riferiamo giudicando bello qualcosa, sia la causa per cui esiste la
bellezza sensibile).
Il rapporto tra le idee e le cose
Nonostante sia evidente una differenza tra il mondo sensibile e quello delle idee, sarebbe erroneo
considerare la differenza tra questi due piani della realtà come una separazione. Il mondo intelligibile,
infatti, oltre a trascendere quello sensibile ne è anche causa e ragion d’essere, secondo tre modalità che
Platone spiega nei suoi dialoghi della maturità:
- Relazione di mimesi (imitazione): Platone sostiene che le cose imitino le idee, essendo in questo
sento paradigmi e modelli universali della realtà (la sedia è costruita sull’idea di sedia, seguendo
parametri oggettivi per cui può essere definita tale)
- Relazione di metessi (partecipazione), nel senso che le cose sensibili partecipano alla perfezione
delle corrispettive idee (le cose quadrate partecipano all’idea di quadrato, e sono quadrate proprio
in quanto partecipano all’idea corrispondente)
- Platone infine parla di parusia (presenza) delle idee nelle cose, nel senso che il mondo sensibile non
è che l’espressione visibile di quello ideale (nell’azione giusta prende corpo l’idea di Giustizia).
È evidente come Platone si sforzi e abbia l’esigenza di ristabilire un legame tra mondo ideale e mondo
sensibile. Il filosofo perseguirà questo scopo per tutta la vita, anche se non riuscirà ad arrivare ad un
risultato definitivo.

La classificazione delle idee


Una volta chiarita la consistenza ontologica delle idee, Platone pensa a descriverne l’articolazione.
Vi sono innanzitutto due grandi tipologie di idee:
- Le idee di valori morali, estetici e politici (Bene, Bellezza, Giustizia)
- Le idee di enti geometrico-matematici (Quadrato, Cerchio, Numero)
Tuttavia, esistendo anche le idee di oggetti naturali o artificiali, Platone giunge, nelle opere della maturità,
alla tesi che ogni realtà sensibile deve corrispondere ad una realtà ideale.
Platone, tuttavia, non guarda al mondo delle idee come un mondo disorganizzato, bensì ritiene che ci sia
una gerarchia, che ha come punto massimo l’idea del Bene, che è il valore supremo a cui tutte le altre idee
si ispirano. Platone insiste sull’idea di un mondo delle idee ordinato, da cui dobbiamo trarre ispirazione se
vogliamo pensare in modo corretto e veritiero.
Pur non avendo chiarito in maniera specifica la struttura del mondo delle idee, è possibile dire che il Bene di
cui egli parla non è paragonabile ad un Dio creatore (come religioni monoteiste), ma come un qualcosa di
genericamente divino, che non crea le idee (eterne), ma trasmette loro la propria perfezione.
Il Bene, come affermato da Platone nel settimo libro della Repubblica, è “la causa universale di tutto ciò che
è buono e bello”, costituisce l’armonia e la ragion d’essere del tutto, da valore a tutte le altre idee.

Il superamento del relativismo sofistico


Come già espresso precedentemente, le idee, nella visione di Platone, rappresentano sia le cause, sia il
metro di paragone delle cose (consideriamo bella una cosa perché riceve e rispecchia l’idea di Bellezza. Allo
stesso tempo possiamo dire che due cose diverse siano belle, in quanto le raffrontiamo all’idea di Bellezza).
La differenza tra la visione Platonica e quella sofistica risulta quindi evidente: non è più l’uomo ad essere la
misura di tutte le cose, bensì le idee, parametro di riferimento per giudicare la realtà sensibile.
Platone, identificando la verità con le idee, elimina ogni forma di scetticismo e di relativismo, raggiungendo
un punto di vista unico ed universale. Questo risultato ha conseguenze importanti sugli uomini, che
possono progredire nella vita politica e sociale solo attraverso il dialogo, il confronto e il raggiungimento di
un accordo comune, fatto che presuppone l’esistenza di principi validi per tutti.

Il superamento di Parmenide
Il mondo delle idee platonico presenta alcuni caratteri tipici dell’essere parmenideo, come l’eternità,
l’incorruttibilità e l’immutabilità delle idee. Tuttavia Platone, nelle opere tarde il Parmenide e il Sofista, ha
superato alcune criticità che il pensiero di Parmenide portava con sé, come la difficoltà di concepire
molteplicità, divenire e movimento. Platone, resosi conto dell’insostenibilità di queste posizioni, afferma
che è necessario commettere un “parricidio”, cioè uccidere il “padre” Parmenide, prendendo atto (e
superando) del suo errore di guardare all’essere come qualcosa di statico e immutabile.
Si tratta di una svolta importante per la filosofia occidentale in quanto, per la prima volta, si afferma che
l’essere è molteplicità e relazione.
Nel Parmenide Platone afferma che l’uno non può esistere in maniera assoluta: l’uno non è senza i molti e i
molti non sono senza l’uno. Ad esempio, un’idea può contenere in sé altre idee, mantenendo sia lo status di
idea singola sia di componente di un’idea diversa.
Nel Sofista, inoltre, Platone afferma anche che ogni idea è, da un lato, identica a sé stessa e, dall’altro,
diversa da tutte le altre idee. L’errore di Parmenide, quindi, è di aver identificato il diverso con il nulla.
Secondo l’analisi platonica, quindi, anche il non essere partecipa nell’essere. (es. se affermiamo che l’uomo
non è una scimmia non affermiamo il nulla assoluto, ma una diversità).
In definitiva, l’idea non è staticamente isolata, ma può entrare in relazione con altre idee in virtù dei suoi 5
attributi fondamentali (generi sommi):
- L’essere (si può sempre dire che un’idea “è”)
- L’identico (ogni idea è identica a sé stessa)
- Il diverso (ogni idea è diversa dalle altre)
- La quiete (in un dato momento)
- Il movimento (in divenire, visto in prospettiva)
Platone riesce quindi a risolvere uno dei problemi più ardui della filosofia precedente, quello del nulla,
considerando il “non essere” come diverso e l’essere come possibilità e relazione.

LA CONCEZIONE DELLA CONOSCENZA


Tema gnoseologia platonica, sua concezione di conoscenza. Platone si chiede in che cosa risieda la
possibilità di conoscenza, interrogandosi sulle tappe e sui modi in cui si realizza. Affronta questi temi
principalmente nella Repubblica, in cui fa un parallelismo tra i gradi del conoscere e dell’essere.

Conoscenza come reminiscenza


Platone, nel Menone, per spiegare le modalità in cui un uomo può pervenire alla conoscenza delle idee
immutabili, utilizza un racconto mitico, in cui riprende la dottrina della reincarnazione delle anime. Secondo
il mito, prima che ogni uomo nascesse, la propria anima (principio spirituale racchiuso nel corpo, essenza
dell’uomo) esisteva nel mondo ideale, dove aveva modo di contemplare tutte le idee.
Poi, passando dall’iperuranio al mondo sensibile, è caduta nell’oblio, dimenticando quanto appreso.
L’anima, se opportunamente stimolata, può tornare gradualmente al grado di conoscenza posseduto.
Secondo Platone, quindi, l’anima può conoscere le idee in quanto le ha conosciute prima della
incarnazione. La conoscenza, quindi, non è altro che reminiscenza (anamnesi -> ricordo). L’esperienza
sensibile non apporta conoscenze nuove, ma da stimoli affinché si possano ricordare le conoscenze
precedenti.
Questa dottrina è spiegata dallo stesso Platone attraverso un esperimento, nel Menone. Uno schiavo, privo
di ogni conoscenza matematica, stimolato gradualmente e nel modo corretto, riesce ad arrivare alla
dimostrazione del teorema di Pitagora.

Corrispondenza tra dualismo ontologico e dualismo gnoseologico


Platone, tuttavia, va oltre il presupposto dell’anamnesi, descrivendo tappe e modi del processo conoscitivo. Il
principio fondamentale è che i gradi della conoscenza sono in un rapporto di corrispondenza con i piani
dell’essere (ciò che è essere -> conoscibile, non essere -> inconoscibile).
Ciò significa che al dualismo ontologico (due piani dell’essere) corrisponde un dualismo gnoseologico (due piani
del conoscere). Se al piano del mondo delle idee (perfetto e immutabile) corrisponde il piano della scienza
(epistéme, perfetta e immutabile anch’essa), al piano del mondo delle cose (mutevoli e imperfette) corrisponde
l’opinione (dóxa, fallace conoscenza).
L’idea dell’essere come eterno ed imperituro è un’idea recuperata dalla filosofia di Parmenide. Tuttavia, Platone
ritiene che il mondo sensibile del divenire non vada rifiutato, in quanto costituisce una forma di conoscenza
intermedia tra la scienza e l’ignoranza (dóxa). La svalutazione della realtà fisica non è totale, e alla dóxa viene
riconosciuto un ruolo conoscitivo, seppur imperfetto. Rispetto al parallelismo precedente, il piano gnoseologico
dell’ignoranza corrisponde al piano ontologico del nulla (non essere).
Ciò che assolutamente è, è assolutamente conoscibile. Ciò che in nessun modo è, in nessun modo è conoscibile. (Rep. VII)
I gradi del conoscere
Nella Repubblica è riscontrabile un’ulteriore specificazione dei gradi della conoscenza. Platone paragona la
conoscenza ad una linea spezzata in due segmenti (conoscenza sensibile e razionale), a loro volta divisi in
altri due segmenti. Risultano così quattro gradi del sapere, corrispondenti a quattro gradi della realtà.
La conoscenza sensibile (mondo mutevole e perituro) comprende due livelli:
- La congettura o immaginazione, che ha per oggetto le ombre e le immagini delle cose, ossia le
supposizioni prive di fondamento;
- La credenza, che ha come oggetto le cose sensibili e gli esseri viventi: è la percezione attendibile
delle cose realmente esistenti.
La conoscenza razionale (mondo perfetto delle idee, iperuranio) comprende due livelli:
- La ragione scientifica, che ha come oggetto gli enti matematici;
- L’intelligenza filosofica (noetica), che ha come oggetto le idee immortali (Bene, Bello).
Le persone comuni si fermano solitamente ai primi due gradi di conoscenza, i matematici riescono ad
accedere al terzo grado mentre solo i filosofi possono raggiungere la nóesis, che comporta il superamento
delle sensazioni, per arrivare a cogliere, tramite un processo discorsivo e intuitivo, le idee e le reciproche
relazioni. (procedimento -> dialettica, Repubblica).

La dialettica
La dialettica, da Platone definita come “la regina delle scienze”, “tecnica propria della filosofia”, ha il
compito di ricostruire la trama delle possibili connessioni tra idee, permettendo di comprendere
l’articolazione del mondo ideale. È la scienza degli uomini liberi, coloro che non hanno altra finalità se non
la conoscenza, e quindi si indentifica con la filosofia. Soltanto il filosofo esercita questa tecnica (sofista ->
congiunge idee in modo ingannevole ed errato).
Il termine allude all’arte del dialogo, procedimento caratteristico della filosofia socratica, che punta a
stabilire quale sia l’essenza delle cose attraverso una serie di domande e risposte.
Per conoscere l’essenza di una realtà è necessario individuare le caratteristiche e gli attributi che risultano
fondamentali, eliminando le estranee, attraverso un metodo rigoroso.
L’attività dialettica consiste quindi nel riconoscere quali idee possono essere connesse e quali no.

Il procedimento dicotomico
Nel Fedro Platone afferma che la dialettica è caratterizzata da due movimenti, sintesi e analisi:
- La sintesi consiste nella determinazione e definizione di una certa idea quale elemento unificatore
di una molteplicità di cose;
- L’analisi consiste nella divisione dell’idea nelle sue varie articolazioni interne.
Questi concetti sono chiariti ancor meglio nel Sofista, dove Platone afferma che il metodo dialettico si
avvale di un processo dicotomico (divisione progressiva), che punta ad individuare solo gli elementi che
possono essere utili alla definizione cercata.
Nel Sofista Platone propone una definizione dei sofisti in relazione al concetto di caccia. Dopo vari
ragionamenti e divisioni dei concetti (es. caccia nei confronti di animali o uomini, praticata con violenza o
persuasione ecc…), si arriva alla definizione della caccia praticata dai sofisti come “un’arte acquisitiva rivolta
ad esseri viventi, pedestri e domestici, praticata con la persuasione, in privato, per ottenere denaro”.
In definitiva, la dialettica è il metodo attraverso cui il filosofo può raggiungere ad individuare il posto che
ciascuna idea occupa nella struttura gerarchica della dimensione intelligibile. Tale metodo coincide, per
Platone, alla ricerca della verità.
LA DOTTRINA ETICA: ANIMA, AMORE, VIRTÙ
Analisi dell’etica di Platone, attraverso i tre temi fondamentali Amore, Anima, Virtù. Platone propone morale
improntata a valori interiori e della conoscenza: percorso uomo virtuoso va da piano delle cose a piano delle idee a
idea del Bene.

Cura dell’anima come obiettivo primario dell’essere umano


Come già affermato precedentemente, la speculazione di Platone muove da un’esigenza di rinnovamento
spirituale dell’uomo, indispensabile per un rinnovamento sociale e politico. Con la teoria delle idee egli
supera il relativismo sofistico, reo di essere causa di ignoranza, errore e disordine sociale. Il mondo delle
idee è visto come un modello da seguire per l’individuo che, attraverso la conoscenza, può arrivare a
contemplarlo.
È in questa prospettiva che si collocano i temi dell’anima e dell’amore, analizzando i quali Platone evidenzia
il legame inscindibile tra uomo e mondo soprasensibile, gli obiettivi del suo percorso terreno e le tracce di
un destino ultraterreno.
Il problema del senso della vita viene affrontato per la prima volta in Gorgia, dove il filosofo afferma che
l’unica vita degna di essere vissuta è quella improntata al bene e alla virtù, l’obiettivo principale dell’essere
umano è quindi la cura dell’anima (affermato anche da Socrate).

L’anima e la sua natura


Se per Socrate l’anima si identificava con la vita interiore, avente come cura la ricerca filosofica, per Platone
l’anima è un principio spirituale, una sostanza incorporea, affine alle idee e quindi immortale, prigioniera di
un corpo da cui progressivamente purificarsi con la conoscenza.
Platone tenta di dimostrare l’immortalità dell’anima nel Fedone, con i seguenti argomenti:
1. La reminiscenza, che implica la reincarnazione dell’anima: se è vero che l’uomo ha la possibilità di
contemplare le idee, e che queste non possono derivare dai sensi, allora bisogna presupporre che
l’anima abbia conosciuto il mondo ideale prima della incarnazione, e dunque che sia immortale;
2. L’anima, avendo conosciuto le idee, deve avere una natura a loro affine, e quindi come queste
ultime sarà immutabile ed eterna;
3. L’anima è anche connessa strutturalmente all’idea di vita (psyché). Nel Cratilo Platone collega l’idea
dell’anima al respiro o soffio vitale, in soffio da cui il corpo è abbandonato quando muore.
Nel Fedone, inoltre, Platone afferma che l’anima, in quanto strutturalmente legata all’idea di vita,
non può accogliere la morte (contrario), ed è pertanto immortale, eterna.

Il destino ultraterreno dell’anima


Nella parte conclusiva del Fedone Platone affida al racconto mitologico la descrizione del viaggio delle
anime nell’Ade, viaggio molto diverso a seconda che le anime siano “buone” o “cattive”.
L’anima che si è macchiata di qualche impurità o colpa, andrà vagando, sola e travagliata, finché non sia
passato il tempo stabilito dalla legge della necessità, finché non verrà portata nel Tartato (prigione).
L’anima temperata e saggia, invece, verrà portata, secondo il mito antico, nella parte più alta del cielo
(etere). Lo stesso Platone sottolinea che sia impensabile pensare che quello descritto nel mito sarà il vero
viaggio delle anime dopo la morte, ma afferma anche che sostenere che qualcosa di simile al mito debba
accadere non è così inverosimile.
Ciascuno è dunque responsabile della propria sorte, che condiziona con le proprie scelte e la propria
condotta morale, In questa prospettiva, la filosofia rappresenta l’unica disciplina che può salvare l’uomo,
insegnandogli verità e Bene
La complessa struttura dell’anima
La complessa struttura dell’anima non si esaurisce solo nella sua parte razionale. Infatti Platone ammette
che la nostra anima è suddivisa in tre parti posizionate nel corpo (Timeo):
- L’anima razionale, posizionata nel cervello, ha il compito supremo della conoscenza.
Allude al comportamento dell’uomo saggio;
- L’anima irascibile, posizionata nel petto, è portata a cercare gloria e vittoria, ma rimane docile ai
dettami della ragione. Allude al comportamento del guerriero;
- L’anima concupiscibile, posizionata nelle viscere, è passionale e ribelle: caratterizzata da un
desiderio costante di piacere e gratificazioni materiali, soltanto a fatica può essere riportata sotto il
controllo della ragione. Allude al comportamento dell’uomo comune e volgare.
A differenza della visione socratica, che non ammetteva tentazioni per l’uomo sapiente, l’articolazione
dell’anima platonica rispecchia il dramma umano della faticosa conquista del giusto equilibrio.

Il mito del carro alato (Fedro)


Questa tripartizione dell’anima è spiegata nel mito del carro alato.
Nel mito l’Auriga (ragione), aiutato dal cavallo buono (anima irascibile e coraggio), combatte la terribile
lotta per sottomettere il cavallo cattivo (anima concupiscibile) e condurre il carro (uomo) sulla retta via
(meta soprasensibile dell’iperuranio).
Questa metafora esprime bene la condizione umana, la quale si presenta agli occhi di Platone come
caratterizzata dall’incessante lotta tra pulsioni e desideri contrapposti: desiderio carnale, emozioni nobili,
ragione. Nel mito, così come nella concezione platonica dell’anima, tutti e tre gli elementi sono importanti e
necessari per l’equilibrio dell’anima.
Platone non nega quindi la forza delle passioni, ma ritiene che sia compito della ragione ricondurle sulla
giusta strada.

L’amore come ponte tra mondo sensibile e intelligibile


Come visto precedentemente, nella filosofia di Platone vi è la descrizione di un uomo costantemente
travagliato e diviso a metà tra anima e corpo (piano delle idee e delle cose).
In questa prospettiva Platone tenta di risolvere questo conflitto attraverso la trattazione del tema
dell’amore, che nel Fedro viene descritto come la forza che permette all’anima di elevarsi dall’esperienza
sensibile alla Bellezza ideale ed eterna.
Il dialogo, che ha come protagonisti Socrate e Fedro (giovane desideroso di apprendere la filosofia) prende
spunto dalla lettura di un testo di Lisia (oratore antico). Si tratta di un testo perfetto dal punto di vista
formale, ma ritenuto da Socrate fondato più sulle opinioni comuni che sulla verità, peccando di quei
contenuti che solo la ricerca filosofica può elaborare. Socrate, viceversa, si propone di trattare il tema
dell’amore con una profondità e verità fino ad allora sconosciute.

L’itinerario dell’anima sospinta dall’amore


Socrate parte dal presupposto che quando ci si innamora si perde letteralmente la testa, teoria sostenuta
dallo stesso Lisia, che però la interpretava in modo negativo (innamorato egoista e incostante), a differenza
di Socrate. Egli infatti accetta che l’amore sia una pazzia, ma ritiene che non sempre debba essere vista
come un qualcosa di negativo. C’è una forma di follia definibile “divina”, perché proveniente dalle divinità e
fonte di bene. L’amore per la bellezza è quindi una pazzia divina, che permette all’anima dell’innamorato di
percorrere tutte le tappe per la conquista del mondo intelligibile.
Il primo gradino di questo percorso è rappresentato dalla bellezza sensibile che, grazie al senso della vista,
colpisce l’anima e l’accende di desiderio, in quanto ravviva il ricordo di Bellezza ideale.
Platone descrive gli effetti dell’amore con precisione, individuando anche le sensazioni tipiche dell’uomo
innamorato: un brivido appena vede la bellezza sensibile (es. volto), poi lo venera al pari di un dio, come se
ricevendo attraverso gli occhi la bellezza fosse riuscito a far germogliare le ali che la sua anima aveva perso
quando si era incarnata. Successivamente l’anima si agita e palpita, avvertendo un prurito, il prurito
dell’amore, che la fa smaniare giorno e notte, facendola correre lì dove pensa di poter trovare bellezza. In
questo delirio amoroso l’uomo dimentica tutti i propri affetti e le proprie cose materiali.
La forza dell’amore, tuttavia, per stessa natura di Eros (insoddisfatto e desideroso), non si ferma a questo
livello, ma spinge l’anima umana ad andare oltre il mondo sensibile, dirigendola verso quello
soprasensibile, dove potrà fare l’esperienza della scienza e del sapere per arrivare alla conoscenza, alla fine,
della Bellezza ideale e assoluta.
L’amore viene considerato da Platone come una forza mediatrice, di collegamento, tra il mondo sensibile e
quello soprasensibile, le cose e le idee, una forza che riesce a far elevare l’anima fino alla Bellezza. Dal
momento che per i greci bello significa anche buono (ideale kalós kai agatos), l’amore assume una profonda
connotazione morale, via privilegiata verso la saggezza.

La descrizione della natura di Eros nel Simposio


Al tema dell’amore è dedicato il dialogo del Simposio, opera ambientata a casa di Agatone dove Socrate è
invitato a cena con altri amici, Uno dei convitati propone di discutere il tema dell’amore. Tutti i commensali
intervengono a turno e tengono un discorso in lode di Eros.
Particolarmente interessante è il discorso di Aristofane (commediografo greco), il quale afferma di parlare
in maniera differente rispetto a chi lo ha preceduto. Egli sostiene che gli uomini non capiscano la potenza di
Eros perché, se la comprendessero, edificherebbero in suo onore statue e templi. Secondo il
commediografo è lui il dio più vicino agli uomini. Per dimostrare tali affermazioni, egli racconta un mito che
spiega l’originaria natura degli uomini, originariamente distinti in uomini, donne e androgini, esseri con
forma circolare, quattro mani, gambe, orecchie e due organi riproduttivi, molto forti, aggressivi e superbi,
tanto da ribellarsi agli dei. Questi ultimi, temendo di rimanere privi dei sacrifici che questi porgevano loro,
decisero di indebolirli dividendoli in due, ottenendo quindi anche più sacrifici. È proprio da questa divisione
che ebbe origine il sentimento dell’amore: ogni metà cominciò infatti a desiderare di ricongiungersi con
l’altra. Per Aristofane, dunque, l’amore è un desiderio radicato nella natura umana, con lo scopo di
comporre l’unità originaria perduta.
Il discorso di Socrate inizia mettendo in luce come amare qualcosa significhi desiderare ciò di cui si sente la
mancanza, nel caso di Eros le cose belle e buone. A dimostrazione di ciò Platone introduce nel racconto la
figura di Diotima, sacerdotessa, secondo cui Eros è un demone, a metà tra un dio e un mortale. Figlio del
dio Poro (che rappresenta l’espediente, la risorsa) e di Penìa (la povertà, la mancanza), ha una natura
duplice e contraddittoria: è squallido, scalzo e senza casa perché figlio di Penìa, ma è anche coraggioso e
audace perché figlio del dio Poro.
Eros è quindi filo-sofo, a metà tra ricchezza e povertà, tra sapienza e ignoranza, tra gli dei e gli uomini, e per
questo amante della sapienza. Infatti nessuno degli dei si dedica alla filosofia, perché già in possesso della
conoscenza, e così anche tutti gli ignoranti, che credono di sapere tutto pur non sapendo nulla.
Eros invece, a causa della sua natura, è la personificazione stessa della filosofia, come indicato anche dal
nome del padre Poro (ponte, collegamento tra le cose e le idee).
Il messaggio platonico è che la filosofia è al tempo stesso lógos e erós, conoscenza e amore, elementi che
convergono. L’amore, quindi, è apertura di un’anima all’altra, intreccio di aspetti sentimentali e conoscitivi
al tempo stesso. Anche nel Simposio, come nel Fedro, l’amore appare come collegamento tra il sensibile e
l’intelligibile, una forza che permettere di trascendere la condizione umana e che esprime nostalgia e
tensione verso l’assoluto.
La virtù e i valori
Platone accetta la tesi socratica secondo cui la virtù consiste essenzialmente nella conoscenza del bene, ma
va oltre e ne delinea una dottrina articolata.
Come visto precedentemente, secondo Platone alla parte razionale dell’anima spetta il compito di domare
quella irascibile e concupiscibile: la ragione deve quindi guidare gli istinti dell’uomo verso la realizzazione
del bene. Questo è un processo lungo e faticoso, che ha come sbocco l’equilibrio in cui consiste l’agire
virtuoso. Secondo il filosofo vi sono quattro virtù fondamentali:
- La saggezza, virtù propria della parte razionale, grazie alla quale è possibile ragionare e dominare gli
istinti
- La forza d’animo o coraggio, virtù propria della parte irascibile, che rappresenta la capacità di
lottare per ciò che si ritiene giusto
- La temperanza, che è la capacita di contenere e moderare i piaceri e i desideri
- La giustizia, virtù più importante, che nell’individuo si realizza quando ogni parte dell’anima svolge
solo ed unicamente la propria funzione, garantendo l’armonia generale.
L’ideale platonico di virtù consiste quindi nella realizzazione di un equilibrio tra le varie parti dell’anima, le
quali devono svolgere la propria funzione sotto la guida della ragione, che ha come esempio il Bene.
Per questo l’obiettivo primario dell’uomo deve essere la conoscenza, unico modo per poter contemplare
idee superiori, imitandone la perfezione.
Si evince quindi che nella visione etica di Platone il corpo ha una posizione subordinata: l’uomo è
essenzialmente la propria anima, che si trova come in carcere nel corpo dell’uomo. La morale che deriva da
tale presupposto mette al primo posto i valori della conoscenza e virtù, rigettando quelli di piacere
materiale, ai quali viene negata anche una validità autonoma, in quanto incatenano l’anima al sensibile,
impedendole di occuparsi dei beni che le sono propri (conoscenza).
L’ideale di uomo virtuoso, quindi, è colui che, come il filosofo, riesce ad innalzarsi al di sopra della
materialità per accedere al mondo dell’intelligibile. In questo senso la morte è vista come liberazione per
l’anima, e la filosofia come un processo di preparazione alla morte, vista oltre che come liberazione anche
come attuazione del percorso intrapreso in vita.

LA VISIONE POLITICA E IL PROBLEMA EDUCATIVO


Concezione politica di Platone, cardine attorno al cui ruota tutta la sua filosofia, proposta di modello di
Stato ideale.

La Repubblica
La trattazione della visione politica di Platone è strettamente collegata a quella dell’etica. Le due dimensioni
infatti sono complementari, in quanto lo Stato non è altro che lo specchio dell’uomo e della sua anima
(regolato dagli stessi principi e Idee). Non c’è quindi una scissione tra vita privata e sociale, poiché non è
possibile immaginare l’uomo come un individuo slegato dalla comunità di appartenenza: per questa
ragione le quattro virtù dell’uomo sono anche le virtù che egli attribuisce alle varie classi sociali dello Stato.
Il tema principale della Repubblica è uno delle quattro virtù, la giustizia.
La Repubblica è un dialogo in dieci libri, scritto tra il 380 e il 370 a.C. Il titolo greco dell’opera è Politéia, ed
evidenzia l’intenzione di Platone di condurre la propria indagine sulle virtù fondamentali dei cittadini
nell’ambito dello Stato, secondo la concezione che l’uomo si realizzi pienamente solo nell’ambito della
propria città di appartenenza. L’uomo giusto è tale solo se in relazione agli altri uomini, costituendo con essi
la città ben governata (Politéia).
Per far comprendere il concetto di giustizia, Platone elabora un modello di Stato perfetto, utopico, che sia
modello per i cittadini e i politici, in cui ogni componente sia in armonia con le altre. Tale modello si
propone come paradigma o criterio: non sarà quindi importante la sua realizzabilità, ma l’esempio di come
sarebbe possibile adeguare le istituzioni politiche alla persecuzione del Bene comune.
La Repubblica rappresenta uno dei testi essenziali della filosofia politica occidentale.
Il modello dello Stato ideale
Per Platone, uno Stato è ben organizzato se riesce a provvedere ai bisogni dei suoi membri, attraverso
specifiche funzioni sociali. Esso pertanto è suddiviso in tre classi (tripartizione dell’anima):
- La classe dei governanti (governano la città, il proprio comportamento deve uniformarsi alla virtù
della saggezza, per poter prendere le migliori scelte di governo);
- La classe dei guerrieri (difendono militarmente la città, il proprio comportamento deve uniformarsi
alla virtù del coraggio, che gli permette di essere impavidi in battaglia);
- La classe dei lavoratori (provvedono ai bisogni materiali, il proprio comportamento deve
uniformarsi alla virtù della temperanza, grazia alla quale si armonizzano con le classi superiori e
accettano il proprio ruolo.
Quest’ultima deve essere caratteristica anche delle altre classi sociali. Senza la temperanza, infatti,
lo Stato cade in mano di lotte fratricide, il peggior male politico per Platone).
In questo quadro, la virtù della giustizia è quella che permette di adempiere in maniera ottimale al proprio
ruolo di cittadino. In uno Stato sono presenti molti mestieri, e ogni cittadino ne esercita uno in base alle
proprie attitudini. Si realizza la giustizia quando i membri delle varie classi sociali svolgono la funzione loro
assegnata dalla natura, con scrupolo ed onestà, senza avvertire la necessità di svolgere altri ruoli per cui
non si è portati (ciò potrebbe compromettere la stabilità dello Stato).

Il regime dello Stato platonico e i regimi corrotti


Lo Stato che Platone delinea è un regime aristocratico, in cui il governo deve essere affidato ai migliori,
coloro che sono dotati per natura della capacità di guidare gli altri uomini. I migliori per lui sono i filosofi, gli
unici in grado di distinguere il Bene dal male, gli unici capaci di far prevalere la parte razionale su quella
irrazionale. Il suo modello aristocratico, quindi, non si basa sulla difesa del privilegio sociale, bensì sul valore
assoluto della conoscenza e della dedizione al bene comune. L’aristocrazia di Platone è dunque
un’aristocrazia dello spirito e della ragione. Nel corso degli anni la filosofia politica di Platone è stata
accusata di essere conservatrice e antidemocratica. In effetti, Platone non nutrì mai particolare simpatia per
la democrazia, descrivendola come una delle forme di degenerazione di uno Stato.
Stabilito che la forma migliore di governo è l’aristocrazia, che però non è applicata in concreto, essendo un
ideale, Platone ordina i modelli politici esistenti in una scala che va dal regime migliore a quello peggiore:
- La timocrazia. È il governo degli uomini che pongono al vertice l’onore, non la sapienza. Si tratta di
uomini che amano il potere in quanto fonte di fama e gloria;
- L’oligarchia. È il regime fondato sul censo, in cui solo chi è ricco ha potere. In questo tipo di Stato
dominano le persone avide di denaro, che pongono al di sopra di tutto i beni materiali. Lo Stato si
rivela profondamente precario, in quanto le disuguaglianze sociali sono l’origine di frequenti
sommosse popolari.
- La democrazia. Di solito è l’organizzazione che lo Stato assume dopo l’oligarchia, in cui la grande
massa dei poveri prevale sui ricchi. In questo tipo di Stato prevalgono l’individualismo, l’anarchia e
la sfrenata libertà. L’uomo democratico è colui che tende ad abbandonarsi a desideri smodati, con
anima volubile e priva di equilibrio;
- La tirannia. Proviene dalla degenerazione della democrazia ed è la peggiore forma di governo, in
quanto il tiranno è costretto a liberarsi di ogni persona saggia e libera, e costretto a circondarsi di
persone vili, che lo assecondino e lo lusinghino. Quanto più persevera in questo atteggiamento,
tanto più dovrà circondarsi di un numero maggiore di uomini fedeli che lo proteggano dall’odio dei
cittadini. L’uomo tirannico è colui che si abbandona alle passioni più disordinate e alle azioni più
orrende e ingiuste. Egli è disonesto e malvagio, senza amici e schiavo delle passioni.
Il ruolo e il percorso educativo dei filosofi
Visto i ruoli importanti e delicati che sono chiamati a svolgere i governanti, gli unici a poter svolgere questa
attività sono i filosofi, in quanto sono, per definizione, dediti allo studio e alla conoscenza razionale.
Il progetto educativo che Platone elabora per il filosofo mira alla ricerca della Verità e del Bene: l’uomo di
Stato deve possedere la scienza vera, che si ottiene attraverso la ricerca razionale. Il criterio di ogni
progetto educativo è quindi l’aspirazione al Bene. Su queste basi Platone elabora un curricolo di studi
specifico per la classe dei futuri governanti.
Tutti i bambini devono essere allevati dallo Stato fino all’età di diciotto anni. L’educazione elementare si
fonda sulla ginnastica, sulla musica e soprattutto sulla matematica (rispetto alla preponderanza della
letteratura nei periodi successivi), che deve essere studiata allo scopo di risvegliare lo spirito e stimolare le
capacità di memoria e penetrazione logica. Per Platone la matematica è lo strumento principale della
“conversazione dell’anima”, la quale si eleva alla luce delle idee. È quindi scienza propedeutica alla filosofia.
All’età di diciotto anni, il giovane presta servizio militare per due anni. Successivamente, viene avviato allo
studio delle scienze, metodo che privilegia la visione d’insieme delle cose.
A trent’anni i giovani migliori possono iniziare a studiare la filosofia e il metodo dialettico.
Dai trenta ai cinquant’anni i filosofi partecipano alla vita politica, affiancando i magistrati in carica, per
formarsi un’esperienza pratica di governo.
A cinquant’anni, coloro che avranno superato le prove potranno essere ammessi al governo della città. Per
impedire che subiscano la tentazione dell’egoismo, Platone nega loro sia di avere una famiglia, sia una
proprietà privata. Per il filosofo, infatti, non vi è male peggiore per lo Stato che l’interesse privato.

Il mito della caverna


Per chiarire il percorso conoscitivo che l’uomo deve compiere per arrivare al vertice della sapienza, Platone
espone il mito della caverna (Repubblica, VII), compendio del pensiero platonico (metafisico, gnoseologico,
etico-politico), in una visione armonica che mette in luce l’ispirazione politica dell’intera filosofia platonica.
Secondo il mito, gli uomini sono come prigionieri incatenati dalla nascita in una caverna e costretti a
guardare verso la parete di fondo. Dietro di loro c’è un muro, dietro il quale arde un fuoco. Dietro il muro ci
sono delle persone che portano statue e oggetti, facendo sì che solo l’ombra sia visibile agli uomini.
Viene poi posto il caso che uno di essi, liberato dalle catene, esca dalla caverna, volgendo gli occhi alla luce.
In un primo momento riterrà che la realtà sono ancora le ombre, soffrendo della luce abbagliante del sole.
L’unico rimedio sarebbe quello di adattarsi gradualmente al mondo esterno, prima guardando solo i riflessi
delle cose nell’acqua, poi le cose stesse. Successivamente potrebbe guardare la luce degli astri, la luna, il
cielo di notte e, infine, il sole. Il graduale percorso compiuto gli farebbe riconoscere il sole come signore del
mondo visibile.
Una volta arrivato a questa conclusione, avrebbe difficoltà a tornare nella caverna. Ciò nonostante, egli
avrebbe il dovere morale di tornare nella caverna e, nonostante l’ilarità che potrebbe provocare nei suoi
compagni, spiegare la falsità delle ombre che vedono e liberarli dalle catene dell’ignoranza.
Il mito è un’allegoria della formazione del filosofo e del destino a lui riservato nella società corrotta.
La caverna rappresenta il mondo sensibile, in cui gli uomini sono schiavi dell’ignoranza. Il prigioniero che si
libera inizia il difficile e graduale percorso della conoscenza razionale e filosofica, passando dalle sensazioni
(riflesso acqua), allo studio della matematica (osservazione astri), alle Idee (sole).
Superata la tentazione di vivere una vita felice e appartata, nel filosofo sorge la necessità di tornare tra gli
uomini per annunciare la verità e condurli verso la conoscenza, nonostante possa venire deriso o umiliato.
L’ordine della città impone il dovere dell’impegno politico ai filosofi, unici ad avere una visione unitaria
delle cose. Se essi si disinteressassero della politica, il governo verrebbe lasciato a gente corrotta e stolta.
Per il filosofo vi è quindi il dovere di impegnarsi a vantaggio dei propri concittadini.
Tra i tanti insegnamenti del mito vi è anche questo: la filosofia, pur essendo spesso in dissonanza con
l’opinione comune, non deve estraniarsi dalla vita civile e politica, ma ha il dovere di prendersi cura
dell’uomo per far trionfare la giustizia.
Il ruolo marginale dell’arte nel processo educativo e la supremazia della ragione
Nel curricolo dei futuri governatori dello Stato non è contemplata l’arte, che Platone giudica in maniera
molto negativa. La polemica platonica sul ruolo dell’arte può essere riassunta in questi tre punti:
- L’arte è diseducativa perché propone modelli di comportamento immorali, immagini frivole e
ingannatrici;
- L’arte allontana dal vero perché è imitazione dell’imitazione (nei dipinti vengono rappresentati
oggetti sensibili, a loro volta specchio delle relative Idee), trattenendo l’uomo al più basso grado di
conoscenza, l’immaginazione;
- L’arte (e la poesia in particolare) è frutto della divina ispirazione che avvince l’animo dell’artista e
attenua la sua capacità di giudizio: sia l’autore che il fruitore sono dominati dall’irrazionalità, dalle
passioni e dalle emozioni.
In tutti questi aspetti è evidente la volontà di affermare la supremazia della ragione su ogni tipo di
interpretazione della realtà.
Nella polemica sull’arte è possibile anche cogliere la polemica di Platone contro la vecchia concezione
dell’educazione, incentrata essenzialmente sulla poesia, a cui va sostituito un percorso che si fondi sul
metodo dimostrativo e dialettico della filosofia. Solo quest’ultima può attingere alla verità e per tale motivo
deve costituire la guida di ogni percorso formativo.
La condanna all’arte non deve quindi essere interpretata in riferimento al suo valore estetico, bensì alla sua
funzione educativa e pedagogica: Platone giudica negativamente l’arte in nome dei valori della ragione
filosofica, ed è per questo che non ne contempla l’inserimento nel curricolo educativo dei giovani.

LA COSMOLOGIA E IL FONDAMENTO DELLE LEGGI


Riflessione platonica in Timeo e Leggi. Nel primo libro risposta su origine del cosmo, nel secondo significato
ordine legislativo nella società.

L’universo come “cosmo”


Nelle opere della vecchiaia Platone torna ad interrogarsi sul bisogno di unità e ordine, allargando il suo
sguardo ad una dimensione cosmica.
Tutto l’universo pulsa di una vta ordinata e armoniosa, protetto da una grande e intelligente divinità,
definita “anima del mondo”. Negli ultimi anni Platone arriva a pensare al mondo naturale come cosmo (dal
greco ordine) che, per quanto inferiore al mondo delle idee, è fatto a immagine e somiglianza di
quest’ultimo. In questa riflessione platonica viene ad attenuarsi sensibilmente il divario tra mondo delle
idee e mondo sensibile, in virtù del fatto che la generazione del mondo fisico dipende da quello eterno.

Il racconto del Timeo


Nel Timeo viene narrata la storia dell’origine dell’universo attraverso un mito, che fa sì che Platone non
debba fornire una spiegazione scientifica, ma una descrizione altamente probabile.
Secondo il mito, all’inizio il mondo era soltanto una materia priva di vita, in continuo movimento,
caratterizzata da disordine e caos, in completo contrasto con il mondo perfetto delle idee. Ecco allora
comparire un divino artefice (definito dal filosofo demiurgo), una divinità buona e intelligente che decide di
dare ordine al mondo caotico, ispirandosi al miglior modello possibile, quello del mondo delle idee.
La materia caotica primordiale, paragonata ad un pezzo di stoffa, viene modellata da questo divino sarto,
che però non è “creatore” (concetto che comparirà solo con l’avvento del cristianesimo), ma è colui che
trasforma il caos iniziale in un armonioso organismo vivente dotato di un’anima: il cosmo.
Quest’anima, denominata “anima del mondo”, è la dominatrice invisibile di corpi e cose. È quindi in virtù
della perfetta realtà dell’anima del mondo che l’universo partecipa, a sua volta, di armonia e intelligenza.
Da sottolineare e la contrapposizione che si evince (nel Timeo e nelle Leggi) tra la “necessità”, tutto ciò che
è dato e che non deriva da libera scelta (caso, fortuna), e l’”intelligenza”, tutto ciò che proviene dallo spirito
(ragione). Nel Timeo è affermato che l’universo è stato costrutito attraverso la mescolanza tra necessità
(materia primordiale priva di forma) e intelligenza che ha forgiato tale materia, riportando il caos all’ordine.
Ciò nonostante, la forza della ragione ordinatrice non riesce a eliminare completamente il caos, questo
persiste come un fondo indistruttibile che si manifesta nel male, nell’orrore e nel disordine del mondo.
L’origine del tempo e l’influsso degli astri
Procedendo nella descrizione del mito il demiurgo, compiaciuto della sua opera, decise di rendere il cosmo
ancora più simile all’originale e, non potendo creare nulla di realmente eterno, creò il tempo, “un’immagine
mobile dell’eternità”. Con quest’espressione Platone intende dire che la suddivisione tra giorno e notte,
mese e anno, non esisteva prima che il demiurgo la introducesse, con lo scopo di dare ordine al corso degli
eventi umani e naturali. Il tempo, con i suoi ritmi ordinati, imita l’eternità, ovvero il perenne “è” del
presente. Ciò nonostante, la differenza tra il perenne divenire del mondo terrestre e l’eternità e
immutabilità di quello ideale rimane molto marcata.
Inoltre, si può affermare che il divino artefice abbia realizzato gli astri per il bene degli uomini: infatti, oltre
a illuminare il mondo naturale, questi ultimi servono ad identificare l’alternarsi del giorno e della notte, a
misurare il tempo (cosa che permetterebbe agli uomini di organizzare con più ordine la propria vita).
Per Platone vi è inoltre una grande affinità tra gli astri, considerati come divinità, e l’anima degli uomini. Ciò
si spiega con il fatto che le anime furono prodotte nello stesso numero degli astri, facendo si che ogni anima
sia abbinata ad un astro, permettendole di viaggiare alla scoperta delle leggi dell’universo. [legge della
dominazione delle passioni e destino dell’anima alla morte dell’uomo, anime buone -> pace, anime cattive-
>espiamento della propria pena attraverso rincarnazione in corpi sempre peggiori (animali)].
Queste teorie vengono a costituire una vera e propria religione astrale, elaborata da Platone negli ultimi
anni della sua vita, che assegna al Bene una precisa collocazione, situandolo negli astri. Per tale motivo
questi ultimi sono considerati divini: nel loro movimento circolare e regolare vi è il segno della perfezione
del Bene.
In questa concezione possiamo scorgere la realizzazione del progetto di vita di Platone: cercare una risposta
alla domanda sulla giustizia, che si realizza attraverso la teoria di un ordine divino che governa sull’universo,
riflesso dell’armonia celeste inscritta nel movimento regolare degli astri.

La funzione della legge nello Stato ordinato


Tra il Timeo e le Leggi è possibile cogliere una continuità ideale, rappresentata dalla volontà di Platone di
trasferire anche nella società l’ordine armonioso che regola il mondo, rappresentato dagli astri.
Le Leggi sono l’ultima opera di Platone, pubblicata postuma e suddivisa in 12 libri dal discepolo Filippo di
Opunte. Il filosofo delinea in essa una minuziosa legislazione volta a regolamentare la vita dei suoi cittadini
in ogni suo aspetto.
Nonostante sia stata tacciata (1900) di essere un’opera in contrasto con il precedente progetto politico di
Platone, nelle Leggi continua a campeggiare la preoccupazione fondamentale del filosofo: evitare che il
conflitto tra le classi sociali porti alla dissoluzione dello Stato e tentare di costruire una società ordinata,
compito morale, prima che politico, dell’uomo saggio.
La differenza fondamentale, rispetto alla Repubblica, è la maggior concretezza di Platone, che sostituisce
alla visione ideale dello Stato una visione più realistica, incentrata sulla forza delle leggi. Queste ultime
hanno una funzione sia costruttiva sia educativa. Anche le pene non devono essere viste come una
vendetta, bensì come una correzione dell’errore con l’intento di redimere l’uomo. In ciò consiste la vera
educazione civile: far si che l’uomo accetti il suo ruolo nella società e sappia obbedire alle sue regole.

Il filo d’oro della ragione


In quest’ottica va letto il mito presente nel primo libro delle Leggi, in cui Platone paragone l’uomo ad una
marionetta. Ogni uomo è come un burattino, costruito dagli dei e sostenuto da molteplici fili intrecciati, le
nostre passioni, che ci fanno avere comportamenti contrastanti e tendenti al vizio o alla virtù. Esiste
tuttavia un filo che ci fa tendere sempre alla virtù: il filo d’oro della ragione, unico filo flessibile, che
coincide con la legge comune dello stato. I cittadini possono seguire questo filo grazie ad una corretta
educazione che li conduca verso la giustizia.
Il filo d’oro è quello di sophía, la saggezza della vita, che domina sui sentimenti. La ragione costituisce per
l’uomo la guida più sicura sulla via della civiltà, e non è altro che il rilesso della ragione divina che governa il
cosmo. Le leggi sono l’articolazione pratica della ragione e dell’ordine cosmico, necessarie per soccorrere la
natura umana che deve fare i conti con le passioni. L’importante è che in uno Stato la legislazione sia
coerente con le virtù della saggezza e della giustizia e che abbia un solido fondamento, visto dall’ultimo
Platone nella religione. Quest’ultima non è religione tradizionale, ma è più una religione filosofica, che pone
la fiducia in una divina intelligenza che tutto regge secondo l’ordine matematico e che si esprime nel
percorso degli astri. Di qui l’attenzione particolare di Platone per l’astronomia.

La città fortezza
La nuova città disegnata dalle Leggi è una città fortezza, un piccolo insediamento difeso dalle abitazioni dei
residenti, disposte a circolo, a costruire un baluardo morale e architettonico agli attacchi esterni.
Essa ha anche un numero ridotto dei cittadini, che deve essere preservato attraverso un rigoroso controllo
dei matrimoni e delle nascite. Viene fissata un’età tra i 12 e i 20 anni per il matrimonio della donna e un’età
tra i 30 e i 35 anni per il matrimonio dell’uomo. Tra i doveri della coppia vi è soprattutto quello di dare allo
Stato dei figli belli ed educati, curando in maniera particolare la fase di vita pre-parto.
Più in generale, nelle Leggi si sostiene che vadano banditi tutti quei comportamenti che mettono a rischio la
serenità della vita. Da questo punto divista, il modello migliore è quello di Sparta, governato da regole e
sanzioni molto nette e severe.
Riassumendo l’idea platonica, si può dire che una legge è buona solo se in ogni circostanza in cui è applicata
produce buoni effetti.
A garanzia di quest’ordine Platone istituisce l’organo dei Custodi della legge, che hanno il dovere di vigilare
sul rispetto della legislazione sia da parte dei cittadini che da parte dei governanti.

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