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PLATONE

Gli interrogativi filosofici


La motivazione principale della sua filosofia è di carattere politico.
Egli ambisce a far sì che i cittadini vivano felici in una società giusta e per far che
questo accada tutti devono imparare a comportarsi in maniera virtuosa.
Allievo di Socrate, ma il maestro si focalizzava sulla natura della virtù, mentre
Platone indaga sulla collocazione della virtù nel quadro di un’immagine complessiva
della realtà.
Quindi parte dal chiedersi cosa sia la realtà e come la possiamo conoscere.
La ricerca sulla virtù porta Platone a sviluppare una teoria generale della realtà e
della conoscenza, cosicché la questione della virtù possa trovare una soluzione
adeguata.
Per la sua concezione quello che esiste non si riduce alle cose concrete che si
manifestano ai nostri sensi perché questi ci presentano un mondo mutevole mentre
la ragione può elevarsi alla conoscenza di entità immutabili ed eterne: le idee.
Il filosofo deve quindi spingersi oltre l’ingannevole mondo della percezione sensibile
per accedere a qualcosa che è più nobile, da cui trae origine l’ordine che regna
nell’universo e che soltanto la ragione è in grado di comprendere.
L’essere umano occupa una posizione ha possibilità di esistere all’interno della
realtà, ma anche di conoscerla e di agire virtuosamente in essa. L’uomo si distingue
perché ha un’anima e può interrogarsi sulla natura degli esseri umani chiedendosi
cosa sia l’anima. Le tre componenti dell’anima che individua Platone sono l’impeto,
l’istinto e la ragione.
Chiarita la natura della realtà e il ruolo dell’anima al suo interno si capisce che cosa
è la virtù è come è possibile conoscerla e insegnarla. Per Platone virtù e giustizia
coincidono: la giustizia consiste proprio nell’equilibrio delle componenti dell’anima.
Come l’anima la società risulta composta da parti che devono interagire in armonia
per il benessere collettivo.

Vita
È nato nel 427 a.C. (80esima olimpiade) da genitori dell’aristocrazia Ateniese.
(Il padre era Aristone, un cui antenato era Codro (ultimo re di Atene), la madre era
Perictione, discendeva dal famoso legislatore Solone. Ebbe due fratelli e una sorella
che partorì un suo futuro allievo e successore alla direzione dell’Accademia di Atene.
Fu chiamato probabilmente Platone dal suo maestro di pancrazio, una sorte di
pugilato, per la sua ampiezza delle spalle o della fronte oppure per la maestà dello
stile letterario. Secondo alcuni è figlio del Dio Apollo che mandò una visione ad
Aristone dissuadendolo a avere un rapporto con Perictione. Questo mito è però stato
smentito perché era non il primo ma il terzo figlio di Perictione quindi si pensa sia
stato solo un metodo per “divinizzare” Platone).
Nel 399 (condanna Socrate) Platone ha poco meno di trent’anni.
Fin da piccolo pensava di dedicarsi alla vita politica, ma questa sua convinzione
entra in crisi dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso (404 a.C.).
Platone descrive queste vicende in una lettera di carattere autobiografico: “Lettera
VII”. Non è certo sia stata scritta da lui ma sicuramente ci dà informazioni sulla sua
vita, mostrando come le sue tesi filosofiche siano intrecciate con la sua vita.
Racconta come la sconfitta abbia cambiato nettamente la politica Ateniese con la
caduta del governo democratico, che aveva condotto Atene alla disfatta, e
all’istituzione di 30 tiranni (magistrati). Inizialmente Platone ripone in loro fiducia, tra
loro c’erano anche suoi famigliari e amici molto acculturati e con un profondo senso
del dovere, ma viene deluso: il nuovo governo era corrotto e dittatoriale.
La situazione però peggiora con la caduta dei 30 tiranni nel 403 e il ripristino della
democrazia che dà la pena di morte a Socrate, di cui era discepolo.
Capisce che intervenire come politico per sistemare la situazione era ingenuo e
l’unico modo per lui per essere utile alla propria comunità è la filosofia: infatti la vita
pubblica potrà migliorare solo con cittadini migliori e governanti migliori che vanno
educati.
Dopo la morte di Socrate Platone lascia Atene e a Siracusa inizia a scrivere le sue
prime opere per poi tornare a circa quarant’anni, nel 487, e fondare ad Atene la sua
scuola filosofica: L’Accademia (così chiamata perché ha sede in un giardino
dedicato all’eroe Acadèmo).
Si dedica all’insegnamento, alla scrittura e alla ricerca filosofica per poi tornare a
Siracusa con l’intento di educare il nuovo tiranno Dioniso il Giovane e applicare la
filosofia allo scopo per il quale era concepita; l’esito è però fallimentare e, dopo due
anni di delusioni, Platone lascia Siracusa. Ritornerà dopo due anni per ritentare
l’impresa ma fallirà nuovamente. Nel 360 rientra ad Atene e nel 353 colui che lo
aveva chiamato per educare il tiranno, Dione, riesce a prendere il trono ma viene
assassinato.
Platone muore ad Atene a circa 80anni nel 347.

La condanna della scrittura


Platone ritiene che la filosofia sia una disciplina basata sul dialogo e sull’interazione
diretta tra colui che insegna e colui che apprende. Anche se si parla a lungo è
difficile trasmettere il sapere (come dimostra l’esempio con il Dioniso il Giovane), ma
ciò sarebbe ancora più difficile con i testi scritti, ovvero una serie di frasi staccate dal
contesto dialogico che conferisce loro significato e valore. Il linguaggio produce
effetti immediati invece la scrittura allontana le parole dal contesto in cui il maestro le
esprime, quindi le espone al rischio di un probabile equivoco.
Nel Fedro, un dialogo, Socrate racconta che sovrano egizio rifiuta la scrittura perché
essa permette di conservare le informazioni ma indebolisce la memoria, sostituita da
una memoria esterna e quindi non più in esercizio. La scrittura può ingannarci
dandoci l’espressione di sapere una cosa che in realtà non sappiamo, le parole sono
affidate allo scritto e non sono più coltivate nell’anima di chi le elabora. I testi infatti
presentano argomentazioni mute che solo in una situazione dialogica avremmo la
possibilità di spiegare.
Il testo scritto è dunque solo un simulacro cioè un’imitazione imperfetta del
linguaggio parlato.

La filosofia come dialogo


Socrate aveva portato la critica della scrittura fino alle estreme conseguenze,
rifiutandosi di scrivere, mentre Platone rifiuta di scrivere poemi e trattati in prosa ma
scrive dei dialoghi: riteneva che fosse un genere testuale in grado di approssimarsi
in maniera soddisfacenti alla discussione orale.
Platone scrive principalmente dialoghi che hanno come protagonista Socrate che
hanno come titolo il nome dell’altro interlocutore (Gorgia, Protagora). Con eccezione
di alcuni che hanno come titolo l’oggetto principale (Repubblica, Sofista, Politico,
Leggi) o che hanno come titolo il conteso (Simposio). Oltre ai dialoghi, abbiamo 13
lettere attribuite a Platone ma a parte la Lettera VII non autentiche.
Nel dialogo c’è un susseguirsi di domande e risposte, ragionamenti passaggio per
passaggio e obiezioni taglienti: come nella discussione orale.
Socrate paragona la scrittura a un farmaco che cura il corpo ma allo stesso tempo lo
avvelena. La salute richiede i farmaci come l’educazione dell’anima la scrittura:
questo spiega perché scrive anche se pensa che il dialogo ha solo uno strumento
ausiliario. Hanno invece un ruolo cruciale le dottrine non scritte, una serie di
testimonianze di allievi che hanno trascritto insegnamenti orali.

I dialoghi e la loro classificazione


I dialoghi si suddividono in tre gruppi in base a quando sono stati scritti e quindi
all’uniformità di stile e temi.
1. Dialoghi giovanili o socratici: scritti dal giovane Platone dopo la morte di
Socrate per fornire un resoconto accurato della sua dottrina. Inclusa anche
l’Apologia di Socrate, suo discorso davanti al tribunale prima della condanna.
2. Dialoghi della maturità: 40-60anni ad Atene prima di andare a Siracusa a
educare Dioniso il Giovane (Fedro, Fedone, la Repubblica), il protagonista era
Socrate ma con una sua idea filosofica originale. Ricorre al mito, impiegato
con funzione divulgativa esemplificando vividamente i concetti e per alludere
a concetti che vanno al di là della comprensione razionale.
3. Dialoghi della vecchiaia o dialettici: ultimi 20anni queste risentono delle
dottrine eleatiche e pitagoriche, dove rivede criticamente le sue opere e
affronta le obiezioni che gli erano state sollevate. Socrate perde la centralità
fino a scomparire nell’ultima opera. Lo stile si allontana da quello socratico e
ci sono lunghi interventi con complessi argomenti. (Leggi)
Ulteriore distinzione:
1. Dialoghi diretti (drammatici): le battute del dialogo si susseguono come nel
presente della narrazione.
2. Dialoghi indiretti (narrati): si ha la mediazione di una cornice a sua volta
dialogica

Virtù e sapere
Il problema della conoscibilità della virtù è un enigma che Socrate lascia ai suoi
discepoli. Platone fa emergere la tensione tra l’affermazione della necessità del
sapere e la constatazione della sua mancanza nei dialoghi socratici che si basano
su una definizione che non viene trovata e quindi riprova che il sapere non è
posseduto da chi lo proclama perché Socrate è in grado di fare obiezioni. I dialoghi
socratici senza risposta sono chiamati aporetici, al termine si sa quali definizioni non
vanno bene ma non si ha una definizione valida.

Oltre la sofistica
Il problema della conoscibilità della virtù emerge in tre dialoghi chiamati “trilogia della
virtù”: Protagora, Gorgia, Menone.
Nel Protagora ci si chiede se si può insegnare la virtù. Protagora ritiene che si possa
e di saperla insegnare. Socrate sostiene che la virtù richiede un sapere valido
sempre e che lui si limita a insegnare precetti di comportamento che variano per
ogni caso, e non capace di identificarla con un sapere ben preciso. Ma se la virtù
fosse così legata al sapere allora dovrebbe essere insegnabile solo se è connessa al
vero sapere: si deve ammettere che la tesi di Protagora è corretta. Infine, Socrate si
rimprovera per essere caduto nella contraddizione.
Platone mostra approvazione per le tesi sul nesso essenziale tra virtù e sapere e
sull’insegnabilità della virtù, ma non si sa come possedere il sapere in cui la virtù
consiste.

Oltre la retorica
Nel Gorgia sorge problema della definizione della retorica. Gorgia dice che si tratta
dell’arte di costruire discorsi persuasivi aventi per oggetto ciò che è giusto e cosa
non lo è. Socrate dice che sofisti e retori cercano di far sembrare cose giuste e dice
che è una mera tecnica e la paragona alla cosmetica (immagine corpo sano ma è la
ginnastica che lo fa diventare veramente) e alla culinaria (fa sembrare il cibo buono
ma è la dietetica che lo fa diventare veramente) sono quindi tecniche di
manipolazione facenti leva sull’ignoranza e l’ingenuità. La filosofia si contrappone
alla retorica.

Oltre Socrate
La grandezza di Socrate consiste nell’aver difeso la sua concezione della virtù non
solo con parole ma anche con azioni accettando la condanna: Socrate è un esempio
di cosa significhi vivere secondo virtù anche nella morte, ma egli stesso nei vari
dialoghi segnala il carattere limitato e insoddisfacente degli esempi. Socrate separa
l’insegnamento della virtù e l’esistenza di persone virtuose.
Si potrebbe dire che, non essendo osservabile, la virtù non esiste e l’opzione
disponibile migliore è quella di osservare persone virtuose e imitarle. Platone rifiuta
tale conclusione perché dice che la virtù è un valore morale che esiste
indipendentemente dai singoli individui virtuosi e ciò che osserviamo è solo una serie
di apparenze e quindi occorre guardare oltre.
Se per Socrate la virtù coincide con il sapere, Platone parte da questa tesi etica per
giungere a una conclusione ontologica. Se la virtù esiste ed è conoscibile, ma non
possiamo vederla con i nostri occhi, allora esiste un livello di realtà situato al di là
delle cose che osserviamo coi nostri occhi: questa è la base della teoria filosofica di
Platone, la teoria delle idee.
Mondo sensibile e mondo intelligibile
Platone definisce due mondi: il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Il primo è
costituito dalle cose materiali che possiamo percepire con i sensi, ma è soltanto
un’apparenza di realtà. Platone ritiene che tutti gli avvenimenti di questo mondo
siano organizzati secondo principi generali: le idee, che sono immateriali e uniche e
possono essere conosciute solo mediante una facoltà cognitiva superiore: l’intelletto.
Esse appartengono al mondo intelligibile.

Idee
Per Platone, le idee esistono indipendentemente da quello che accade nelle singole
menti poiché sennò ognuno avrebbe le proprie idee e non si potrebbero usare come
principi di riferimento. Il mondo intelligibile in quel caso dipenderebbe dal mondo in
cui le persone si trovano, ma non è così. Le idee platoniche sono immateriali ma non
soggettive ed esistono solo nel mondo intelligibile, eterno e immutabile: viene anche
identificato come iperuranio, al di là del mondo sensibile in cui ci troviamo.
Si distribuiscono su due livelli:
Le idee si distribuiscono su due livelli:
1. A un livello inferiore ci sono le idee che costituiscono un modello per le cose
del mondo sensibile (nozioni matematiche, idee di qualità fisiche)
2. A un livello superiore ci sono le idee che permettono di valutare quello che
succede nel mondo sensibile: queste idee sono i valori che dicono come
dovrebbe essere il mondo sensibile. Al vertice c’è l’idea del bene che è l’idea
stessa di Idea, di Modello, di Valore, di Norma. Il bene è il principio
fondamentale che spiega il funzionamento delle idee e tutto quello che esiste.
Platone nella Repubblica paragona il Bene al Sole: illumina le altre idee del
mondo intelligibile

Cose e immagini
Nel mondo sensibile ci sono cose concrete ma anche immagini: sono apparenze di
cose reali. Le cose funzionano come modelli per le loro immagini come le idee
funzionano come modello per il mondo sensibile. Un’idea stabilisce come deve
essere una cosa nel mondo sensibile per contare come caso particolare di
quell’idea.

Imitazione
La relazione che lega il mondo sensibile al mondo intelligibile è una relazione di
imitazione (mimesi), uguale a quella che lega le immagini alle cose che raffigurano,
nel mondo sensibile.
L’imitazione però porta con sé un certo grade di imperfezione e non esistono cose
capaci di corrispondere a un’idea.

Partecipazione e presenza
Oltre che come imitazione Platone caratterizza la relazione tra idee e cose in termini
di partecipazione e di presenza.
La partecipazione (metessi) significa che le cose prendono parte all’esistenza delle
idee in quanto imitazioni di esse. Le idee stabiliscono come le cose devono essere e
le cose sono fatte in modo tale che si avvicinino il più possibile a questa
prescrizione.
La presenza (parusia) significa che le cose rendono presenti nel mondo le idee
stesse, imitandole e partecipando alla loro esistenza avvicinandosi alle loro
prescrizioni. Le idee possono rendersi presenti attraverso le cose che le imitano e
che cercano di adeguarsi a loro.

Dall’esperienza alla conoscenza: il mito della caverna


Per Platone, la conoscenza consiste nell’oltrepassare l’esperienza del mondo
sensibile per elevarsi al mondo intelligibile.
Nella Repubblica, Socrate racconta a Glaucone il Mito della Caverna: esistono dei
prigionieri chiusi in una caverna da tutta la vita che possono vedere solo delle ombre
e credono che quello sia il mondo vero come noi crediamo di conoscere la realtà
percependo soltanto l’imitazione delle idee. Un individuo distinguendosi dagli altri si
libera ed esce: all’inizio è goffo e abbagliato, considera più vere le ombre che
vedeva prima rispetto alle cose che gli si mostrano ora. Dopo un po’ capisce qual è
la realtà; così deve fare anche il filosofo che distinguendosi deve riconoscere che a
esistere realmente sono le idee e come il punto di arrivo del prigioniero è la scoperta
del sole per lui deve essere la scoperta del bene.

Conoscenza
Secondo Platone l’anima di una persona è imprigionata in un corpo appartenente al
mondo sensibile, ma non fa parte essa stessa del mondo sensibile. Infatti, l’anima è
immortale e immateriale; prima di incarnarsi in un certo corpo ha avuto accesso al
mondo intelligibile e ha conosciuto le idee. Quando è all’interno di un corpo, tende a
dimenticarsi le idee che aveva contemplato nel mondo intelligibile, ma il ricordo
rimane radicato in profondità: bisogna recuperarlo e riattivarlo.
Per Platone la conoscenza consiste nella reminiscenza (anamnesi) ossia la
riattivazione del ricordo delle idee precedentemente contemplate. Una persona
conosce perché le cose risvegliano un ricordo nell’iperuranio, di cui tutto è
imitazione. Le idee sono connesse tra loro e il ricordo di una suscita il ricordo delle
altre. La conoscenza è quindi un processo di svelamento di un sapere che è in noi.
“Conoscere è ricordare”. Questa teoria è l’innatismo: afferma che la mente possiede
conoscenze innate, perciò non acquisite nel tempo con l’esperienza.
Nel Menone Platone racconta che Socrate disegnò un quadrato e chiese a uno
schiavo di ricavarne un altro di area doppia e aiutandolo solo con domande e disegni
lo schiavo ci è riuscito; lo schiavo non ha appreso da Socrate le idee ma le ha
trovate dentro di sé utilizzando spunti.
La teoria della reminiscenza spiega come conosciamo le idee del mondo intelligibile,
mentre noi percepiamo le cose del mondo sensibile tramite i sensi. Si delinea quindi
la differenza tra l’esperienza sensibile e la conoscenza intellettiva.
L’esperienza sensibile consente una forma di conoscenza imperfetta: l’opinione
(dóxa). La conoscenza intellettiva permette di raggiungere il livello della conoscenza
vera e propria: la scienza (episteme).
La dóxa e l’episteme si articolano a loro volta in vari livelli:
1. Al piano più basso dell’esperienza sensibile c’è la congettura o
l’immaginazione (eikasía) con cui non entriamo in rapporto con le cose ma
con le immagini. A un livello superiore c’è la credenza percettiva (pístis)
attraverso cui sperimentiamo direttamente le cose del mondo sensibile: resta
comunque bloccata al livello dell’opinione in quanto le cose dipendono dalle
idee.
2. Per accedere alla conoscenza vera occorre afferrare le idee con la
conoscenza intellettiva che si articola in due modi distinti. Il primo è la
conoscenza discorsiva (diánoia), che ha bisogno di premesse fondamentali
che permettono un discorso razionale per arrivare a tale conoscenza.
Afferrate le promesse fondamentali senza ricorrere ad altre deduzioni, si
arriva alla conoscenza intuitiva (nóesis) per la quale l’anima può afferrare le
idee poiché queste sono già al suo interno

Anima e corpo
La teoria del sapere come reminiscenza si basa sul fatto che una persona abbia
anima e corpo, ma il corpo condiziona l’anima distraendola dalla conoscenza delle
idee. L’esigenza di purificazione dell’anima dal corpo è trattata nel Fedone, dialogo
in cui Socrate dice di non temere la condanna perché questa separa l’anima dal
corpo che la imprigiona. L’anima deve ambire alla morte e la filosofia è una
preparazione alla morte. La vita è quindi un’occasione per l’anima di purificarsi e
progredire nella conoscenza e non va vista come una prigionia ingiusta come la
prigione è un’occasione per saldare il proprio debito con la giustizia e non per
cercare di evadere.

Immortalità e reincarnazione: il mito di Er


L’immortalità dell’anima secondo Platone segue tre diverse linee argomentative.
Due si basano sul legame tra l’anima e le idee; l’anima ha la stessa natura delle idee
quindi entrambe sono incorruttibili e inoltre l’anima è il soffio vitale e non può
trasformarsi in qualcosa di estraneo a questo principio come se morisse.
Un’ulteriore linea argomentativa si basa sull’intuizione per cui le cose si generano
dal proprio contrario: la vita si deve generare dalla morte quindi dopo la morte c’è
una nuova vita, reincarnazione.
Alla riflessione sull’immortalità è strettamente connessa quella sul destino.
Nel passo conclusivo della Repubblica viene narrato il Mito di Er: soldato morto in
battaglia e resuscitato dopo 12 giorni, racconta che è l’anima a scegliere la prossima
incarnazione e gli dei controllano che compia questa scelta autonomamente. Le
anime scelgono il corpo in cui reincarnarsi e poi bevono dal fiume Lete per
dimenticare tutto, ma a lui viene impedito. Il mito mostra che il tipo di vita è l’esito di
una scelta, l’anima sceglie la prossima sfida.

Com’è fatta l’anima?


L’anima deve essere capace di un’esistenza la di fuori del corpo.
Se l’anima fosse perfettamente armonica ed equilibrata non sarebbe influenzata
dalla prigionia nel corpo.
È formata da tre parti:
1. L’impeto (thymós): la sfera delle emozioni e delle passioni basate su nobili
ideali. Ha una funzione positiva poiché incoraggia l’anima a compiere grandi
azioni, ma occorre che sia governato perché è una parte emotiva e
passionale.
2. L’istinto (epithymía): la sfera delle pulsioni e degli appetiti con scopo finale il
benessere del corpo. Ha una funzione positiva perché rende possibile la
sopravvivenza e la procreazione ma occorre che sia governato in quanto
distrae l’anima dal suo ritorno al mondo intelligibile.
3. La ragione (lógos): ha la funzione di guidare e indirizzare le altre due
componenti.
Socrate illustra l’anima come una biga alata: carro trainato da un cavallo bianco,
l’impeto, uno nero, l’istinto. Il compito dell’Auriga, la ragione, è favorire il cavallo
bianco tenendo però anche conto di quello nero, mediando tra le due spinte
contrapposte.

Amore e bellezza
Il problema della mediazione razionale tra l’impeto e l’istinto si manifesta nel
sentimento dell’amore.
Socrate usa la biga alata nel Fedro per spiegare l’esperienza dell’amore: il cavallo
nero spinge verso il concreto e questo ha un effetto positivo sull’anima perché la
bellezza corporea può suscitare il desiderio di una bellezza più pura e fa diventare
un mero istinto sessuale un nobile sentimento.
Differenza tra il Fedone=amore è una prigione e il Fedro=innalzarsi al mondo delle
idee.

I miti dell’androgino e della nascita di Eros


Anche il Simposio ha come tema principale l’amore: c’è il discorso in onore di Eros, il
Dio dell’amore.
Aristofane racconta che il mondo era diviso in tre generi: maschi femmine e
androgeni, formati sia da una parte maschile che da una femminile. Tutti questi
esseri erano doppi, avevano 2 teste 4 braccia 4 gambe, ed erano così forti che
decisero di scalare l’Olimpo: come punizione gli dei li divisero in due individui e da
quel giorno le due metà vanno alla ricerca della parte mancante. Per questo l’essere
umano è caratterizzato da una mancanza essenziale ed è alla perenne ricerca di
qualcosa. L’amore è allo stesso tempo la sensazione della perdita e il desiderio che
preme per colmarla.
Socrate precisa la natura dell’amore come aspirazione di ciò che di cui si avverte la
mancanza raccontando il mito di Eros. L’amore nasce da Penìa la povertà (quindi
sempre alla ricerca di qualcosa) e da Poro la scaltrezza (quindi capace di ricorrere a
ingegnosi espedienti).
La bellezza ha diversi livelli: il primo è l’attrazione fisica che si evolve riconoscendo
la bellezza in una molteplicità di individui e qui inizia un processo che porta a
riconoscere forme sempre più pure di bellezza.
L’amore deve tendere dunque verso l’idea di Bellezza.

Dalla conoscenza all’azione: il ritorno nella caverna


Il filosofo scopre la vera realtà e contempla la verità in tutto il suo splendore uscendo
dalla caverna ma deve tornare ad aiutare gli altri che credono la loro condizione di
prigionia normale. Nella Repubblica dice che è compito del filosofo guidare gli altri
uomini sulla via della virtù è del sapere; l’esito della ricerca del sapere non è la
contemplazione fine a sé stessa delle idee ma la partecipazione alla vita pubblica,
ossia la vita politica. Il filosofo può essere però ricambiato con l’odio e con la morte,
come era successo a Socrate, ma ciò non deve fermarlo.

Dall’interrogativo sulla giustizia all’indagine sulla polis


L’esistenza e il benessere della società dipendono dalla giustizia. Ma che cos’è la
giustizia?
La teoria delle idee ha mostrato che si può scoprire cosa siano i valori, ma per capire
che cos’è la giustizia occorre focalizzarsi sulla collettività e non sugli individui.
Gli uomini vivono in comunità perché hanno dei bisogni e necessitano di attività
fondamentali come l’agricoltura, la manifattura e il commercio, ma Socrate osserva
che necessitano anche medici e custodi (governanti e guerrieri).
Una comunità governata da custodi prende il nome di stato e le persone che ne
fanno parte sono cittadini, che sono divisi in:
1. Produttori: producono beni di consumo o esercitano funzioni pratiche
(commercianti medici agricoltori artigiani);
2. Guerrieri: difendono la comunità;
3. Governanti: svolgono la funzione di guida.
Esaminando lo stato e come si relazionano le categorie, secondo Socrate si capisce
l’idea di Giustizia.

Il funzionamento ideale dello stato


Nel funzionamento ideale dello stato sarebbe ogni individuo dovrebbe avere
caratteristiche adatte alla sua funzione.
1. Ai produttori si richiedono mansioni pratiche e desideri egoistici che li
spingano a essere operosi, giovando così alla comunità;
2. Ai guerrieri si richiede grande forza sia fisica che psicologica per affrontare
qualsiasi rischio;
3. Ai governanti si richiede eccellenza del sapere per prendere le migliori
decisioni per la comunità; il governante coincide con la figura del filosofo.
Se un produttore non si attiene a ciò stabilito viene sanzionato dai guerrieri.
I governanti e i guerrieri devono garantire il benessere della comunità esercitando il
loro potere esclusivamente nell’interesse collettivo. Occorre che guerrieri e
governanti vivano in comunità condividendo tutto, anche i partner, e non sapendo chi
siano i genitori per non avere vincoli famigliari (solo produttori possono).

La forma di governo migliore e le degenerazioni del potere


Per Platone, lo stato ideale corrisponde a un’aristocrazia del sapere e della ragione
gestito da uomini che guidano la collettività e pensano al bene comune. Devono
scegliere con saggezza e non possono assolutamente essere egoisti.
Esistono 4 forme di degenerazione del potere individuate da Socrate nella
Repubblica:
1. La timocrazia: potere degli impetuosi, l’ambizione e l’orgoglio superano
l’interesse comune;
2. L’oligarchia: potere dei pochi, potere in mano a una minoranza che
accumulano avidamente ricchezze;
3. La tirannide: potere accentrato in un’unica persona (tiranno) che ha il dominio
assoluto;
4. La democrazia: potere del popolo, autorità non sufficiente e tutti perseguono il
proprio interesse a scapito del bene comune.

La giustizia come armonia tra le parti


La giustizia è l’equilibrio fra interessi particolari in nome di un interesse comune,
infatti una persona è giusta se le componenti fondamentali della sua anima operano
in armonia fra loro.
C’è una analogia tra le tre componenti dello stato e le tre componenti dell’anima.
L’educazione come garanzia di giustizia
Uno Stato è giusto solo se i custodi sono uomini giusti: se i custodi non fossero giusti
non ci sarebbe nessun rimedio perché sono loro che hanno il comando. Per questo,
nella Repubblica, Socrate dice che i custodi devono crescere con una rigida
disciplina che faccia loro apprezzare l’importanza dell’ordine, dell’equilibrio e della
bellezza: all’inizio le tre discipline fondamentali sono la ginnastica (sviluppo armonico
dei corpi) l’arte (sensibilità ad apprezzare) e la matematica (l’intelligenza).
La prima fase educativa uguale per governanti e guerrieri e dura fino ai 20 anni; in
seguito, i governanti proseguono gli studi per comprendere il mondo delle idee, il
sistema dei valori e l’idea del Bene che sta al vertice.
La disciplina fondamentale è la dialettica che studia le idee mediante unificazione e
suddivisione con analisi e domande incalzanti. La dialettica è una pratica orale e il
suo insegnamento deve essere solo in forma orale.

La critica dell’arte
Affinché un custode cresca bene non serve solo insegnarli ma la persona necessita
estrema vigilanza: per esempio l’arte può risultare nociva poiché rappresenta un
inganno essendo imitazione di un’imitazione. Poeti e artisti, perciò, andrebbero
cacciati poiché come vanno eliminati cibi nocivi anche le opere nocive lo devono
essere. In generale, era importante per Platone che i custodi non entrassero in
nessun modo in contatto con insegnamenti cattivi.

Autocritica per la teoria delle idee


Nel Parmenide, Platone si immagina Parmenide che giunge ad Atene, incontra
Socrate e critica la teoria delle idee a cui si contrappone la concezione dell’essere.
Le obiezioni principali sono tre, sempre da leggere come un’autocritica di Platone:
1. Per la teoria delle idee, il mondo intelligibile è formato da idee matematiche,
ma esistono anche altre idee di cose pure di scarso valore: sarebbero incluse
nel mondo ideale come le idee più nobili come se non ci fosse differenza.
Questo non è compatibile con la concezione platonica delle idee come valori
sommi.
2. Per la teoria delle idee, esiste una relazione tra le idee e le cose che può
essere imitazione, partecipazione o presenza. Ma se un’idea fosse in
relazione con delle cose del mondo sensibile, allora perderebbe la particolare
unità che la costituisce come idea.
3. La relazione tra un’idea e l’insieme delle cose è a sua volta un’idea e questo
ragionamento si può applicare all’infinito. Si introduce una moltiplicazione
all’infinito delle idee che per Parmenide contraddice l’unità dell’essere. Questa
obiezione sarà chiamata da Aristotele “argomento del terzo uomo”.
Nel dialogo, per Parmenide, un mondo intelligibile formato da molte idee che sono
modelli per le cose nel mondo sensibile fa spezzare l’unità dell’essere,
confondendolo con il non essere.
I problemi della teoria delle idee sono affrontati da Platone nella parte finale del
Parmenide, nel Sofista e nel Politico. Platone si sofferma sulla struttura del mondo
intelligibile, con una complessa articolazione interna. Le idee si possono ricondurre a
cinque generi sommi:
1. L’Essere, l’Identità, la Differenza: esemplificati da tutte le cose e da tutte le
idee. Qualunque cosa o idea, per il fatto che è quello che è, esemplifica
l’Essere. Qualunque cosa o idea esemplifica l’Identità dato che è identica a sé
stessa. Qualunque cosa o idea esemplifica la Differenza perché è diversa
dalle altre cose o idee. Questi generi sono compatibili.
2. Stasi e Movimento: si escludono a vicenda, rappresentano condizioni
contrarie.
Platone supera le obiezioni del Parmenide facendo corrispondere l’idea di Differenza
al non essere. Il non essere non è più il nulla assoluto ma esiste: è la differenza da
qualcos’altro. Questo è il “parricidio di Parmenide”, con cui Platone sostiene una
posizione contraria al suo padre filosofico. Per Platone, il mondo intelligibile si
articola in una pluralità di idee senza che questo comporti il dissolversi della sua
unità e il suo precipitare nel nulla.

Il problema della conoscenza e dell’errore


Platone cerca di definire la conoscenza stessa nel dialogo Teeteto. Egli identifica
inizialmente la conoscenza con la sensazione: non è però soddisfacente, in quanto
riduce la conoscenza ad una forma di relativismo. Allora propone un’altra definizione
per cui la conoscenza ha la forma di un giudizio comunicabile e condivisibile: questa
definizione è migliore ma non ancora soddisfacente per Socrate. Allora Teeteto
giunge alla conclusione che la conoscenza è un’opinione vera e giustificata.
Dunque, si pone il problema dell’errore: se siamo in grado di avere opinioni vere,
come è possibile che a volte le opinioni si rivelino false?
Socrate descrive l’errore come spiegato nei termini di un progressivo indebolirsi e
cancellarsi delle impressioni, come se l’anima fosse una tavoletta di cera su cui
vengono impressi giudizi e sensazioni. Descrive anche l’errore come incapacità
dell’anima di afferrare un certo volatile o come l’equivoco per cui l’anima afferra un
volatile diverso da quello che voleva, sapendo che i volatili rappresentano le
conoscenze.
Queste spiegazioni nono sono però sufficienti: la questione viene lasciata aperta e la
soluzione è ricercata nei dialoghi successivi per mezzo della dialettica, che permette
di indagare le connessioni che ci sono tra le idee.
Nel Sofista Platone specifica il procedimento diairetico o dicotomico di cui la
dialettica si avvale: attraverso una serie di divisioni e differenziazioni progressive,
arriva a cogliere gli elementi che possono essere attribuiti correttamente a un’idea e
che permettono di specificarne la descrizione. Così si arriva alla definizione di sofista
partendo dalla nozione di caccia: i sofisti sono coloro che si procurano clienti e allievi
mediante la persuasione con l’arricchimento come scopo. Il sofista persegue
l’interesse personale a scapito del bene collettivo in contrapposizione con il politico.
La definizione di politico si ha partendo dalla nozione di pastorizia: la politica viene
definita all’inizio come la scienza del condurre al pascolo gli uomini, dando alla
comunità la sua forma, progettandone la struttura e governandone il funzionamento
per la felicità collettiva.
Nel Fedro Socrate aveva paragonato la dialettica all’arte della macelleria: il filosofo
dialettico deve suddividere le idee seguendo le nervature del mondo intelligibile.
L’errore sopraggiunge quando si introducono suddivisioni o accorpamenti che non
corrispondono all’articolazione delle idee, non sono dunque conformi
all’organizzazione del mondo intelligibile.

La derivazione del mondo sensibile (cosmologia)


Nel Sofista e nel Parmenide si approfondisce il mondo intelligibile, ma resta da
spiegare la derivazione del mondo sensibile da quello intelligibile.
La questione è principalmente affrontata nel Timeo, dove Timeo spiega a Socrate
che un demiurgo, Dio artigiano, crea il mondo sensibile, ovvero il cosmo, plasmando
una materia informe preesistente (chóra). Egli è buono e intelligente quindi lo plasma
in vista del bene supremo ispirandosi all’ordine che regna nel mondo delle idee,
perfetto; crea una sfera nella quale si differenziano 4 elementi (acqua, aria, terra e
fuoco) che egli combina per creare tutto.
Al suo interno il tempo scorre poiché è l’immagine mobile dell’eternità.
Il cosmo è come un grande organismo vivente, perciò possiede sia corpo che anima,
“l’anima del mondo” che conferisce al cosmo una sua vita.
Per popolarlo il demiurgo ricorre agli astri, la cui rotazione riproduce l’ordine perfetto
e immutabile del mondo intelligibile, perciò l’astronomia si avvicina alla perfezione
del mondo intelligibile.
Il demiurgo forgia gli esseri viventi ed è grazie a lui che corpi materiali hanno anime
immateriali.

Da Atlantide a Magnesia
Nel Timeo e nel Crizia viene narrato il Mito di Atlantide racconta che l’isola Atlantide
è sprofondata; creata da Poseidone viveva felicemente con le leggi ma poiché cadde
nella corruzione la fece sprofondare. La stessa vicenda Platone pensa che possa
accadere ad Atene corrotta dai comportamenti egoistici (causati da sofisti e tiranni).
Ma come è possibile non cadere nella corruzione?
Questo è spiegato nelle Leggi, ultimo dialogo, dove immagina una nuova colonia
immaginaria: Magnesia.
Nelle Leggi Platone immagina di progettare uno Stato, diverso dallo Stato descritto
nella Repubblica:
1. Nella Repubblica: voleva individuare caratteristiche stato ideale.
C’è un apprezzamento del sistema spartano e un disprezzo per la dmeocrazia
ateniese.
2. Nelle Leggi: voleva progettare uno stato ideale e concretamente realizzabile,
infatti capisce che i filosofi sono pochi e non in grado di ottenere e gestire il
potere. Dunque, essi diventano gli estensori della legge e stabiliscono chi e
come ha il potere; si passa dal filosofo sovrano al filosofo legislatore. Egli non
agisce direttamente ma codifica delle leggi riconoscendo la scrittura come
strumento principale per i filosofi di contribuire alla felicità.
Socrate è del tutto assente nel dialogo e colui che scrive il sistema giuridico
per la colonia è l’Ateniese.
Magnesia appare più sensibile all’uguaglianza tra cittadini: tutti hanno diritto e
dovere di contribuire alle attività produttive, di instaurare legami familiari e di
partecipare alla vita politica, con soltanto differenze di grado e non più
differenze di funzioni e di stili di vita.
Punto di equilibrio tra il modello spartano e quello ateniese: primato
dell’interesse della polis e la ricerca della felicità individuale.

Il cittadino filosofo
Magnesia ha per tutti i cittadini lo stesso apparato fondamentale di diritti e doveri,
quindi ci deve essere un’uguale educazione per tutti: nella Repubblica l’educazione
era riservata solo ai custodi. Tutti partecipano alla vita politica, perciò, devono
essere adeguatamente educati.
Da bambini si fanno attività ludiche e musicali poi cerimonie religiose e attività
militari: infatti, per avere una vita virtuosa, tutti abbiamo bisogno di una formazione
per essere consapevoli dell’esistenza del mondo intelligibile. Per questo svolgono un
ruolo fondamentale:
1. Matematica - ci mette in contatto con le idee stesse
2. Astronomia - spiega come le idee regolino il funzionamento del cosmo
3. Poesia, Arte - anche se Platone rimane diffidente in quanto poesia e arte
sono imitazioni del mondo sensibile
4. Filosofia - ha una funzione centrale poiché essendo tutti sovrani dovranno
essere tutti filosofi.
L’ultimo dialogo del filosofo diventa il primo manuale della storia della filosofia.

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