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Vita
È nato nel 427 a.C. (80esima olimpiade) da genitori dell’aristocrazia Ateniese.
(Il padre era Aristone, un cui antenato era Codro (ultimo re di Atene), la madre era
Perictione, discendeva dal famoso legislatore Solone. Ebbe due fratelli e una sorella
che partorì un suo futuro allievo e successore alla direzione dell’Accademia di Atene.
Fu chiamato probabilmente Platone dal suo maestro di pancrazio, una sorte di
pugilato, per la sua ampiezza delle spalle o della fronte oppure per la maestà dello
stile letterario. Secondo alcuni è figlio del Dio Apollo che mandò una visione ad
Aristone dissuadendolo a avere un rapporto con Perictione. Questo mito è però stato
smentito perché era non il primo ma il terzo figlio di Perictione quindi si pensa sia
stato solo un metodo per “divinizzare” Platone).
Nel 399 (condanna Socrate) Platone ha poco meno di trent’anni.
Fin da piccolo pensava di dedicarsi alla vita politica, ma questa sua convinzione
entra in crisi dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso (404 a.C.).
Platone descrive queste vicende in una lettera di carattere autobiografico: “Lettera
VII”. Non è certo sia stata scritta da lui ma sicuramente ci dà informazioni sulla sua
vita, mostrando come le sue tesi filosofiche siano intrecciate con la sua vita.
Racconta come la sconfitta abbia cambiato nettamente la politica Ateniese con la
caduta del governo democratico, che aveva condotto Atene alla disfatta, e
all’istituzione di 30 tiranni (magistrati). Inizialmente Platone ripone in loro fiducia, tra
loro c’erano anche suoi famigliari e amici molto acculturati e con un profondo senso
del dovere, ma viene deluso: il nuovo governo era corrotto e dittatoriale.
La situazione però peggiora con la caduta dei 30 tiranni nel 403 e il ripristino della
democrazia che dà la pena di morte a Socrate, di cui era discepolo.
Capisce che intervenire come politico per sistemare la situazione era ingenuo e
l’unico modo per lui per essere utile alla propria comunità è la filosofia: infatti la vita
pubblica potrà migliorare solo con cittadini migliori e governanti migliori che vanno
educati.
Dopo la morte di Socrate Platone lascia Atene e a Siracusa inizia a scrivere le sue
prime opere per poi tornare a circa quarant’anni, nel 487, e fondare ad Atene la sua
scuola filosofica: L’Accademia (così chiamata perché ha sede in un giardino
dedicato all’eroe Acadèmo).
Si dedica all’insegnamento, alla scrittura e alla ricerca filosofica per poi tornare a
Siracusa con l’intento di educare il nuovo tiranno Dioniso il Giovane e applicare la
filosofia allo scopo per il quale era concepita; l’esito è però fallimentare e, dopo due
anni di delusioni, Platone lascia Siracusa. Ritornerà dopo due anni per ritentare
l’impresa ma fallirà nuovamente. Nel 360 rientra ad Atene e nel 353 colui che lo
aveva chiamato per educare il tiranno, Dione, riesce a prendere il trono ma viene
assassinato.
Platone muore ad Atene a circa 80anni nel 347.
Virtù e sapere
Il problema della conoscibilità della virtù è un enigma che Socrate lascia ai suoi
discepoli. Platone fa emergere la tensione tra l’affermazione della necessità del
sapere e la constatazione della sua mancanza nei dialoghi socratici che si basano
su una definizione che non viene trovata e quindi riprova che il sapere non è
posseduto da chi lo proclama perché Socrate è in grado di fare obiezioni. I dialoghi
socratici senza risposta sono chiamati aporetici, al termine si sa quali definizioni non
vanno bene ma non si ha una definizione valida.
Oltre la sofistica
Il problema della conoscibilità della virtù emerge in tre dialoghi chiamati “trilogia della
virtù”: Protagora, Gorgia, Menone.
Nel Protagora ci si chiede se si può insegnare la virtù. Protagora ritiene che si possa
e di saperla insegnare. Socrate sostiene che la virtù richiede un sapere valido
sempre e che lui si limita a insegnare precetti di comportamento che variano per
ogni caso, e non capace di identificarla con un sapere ben preciso. Ma se la virtù
fosse così legata al sapere allora dovrebbe essere insegnabile solo se è connessa al
vero sapere: si deve ammettere che la tesi di Protagora è corretta. Infine, Socrate si
rimprovera per essere caduto nella contraddizione.
Platone mostra approvazione per le tesi sul nesso essenziale tra virtù e sapere e
sull’insegnabilità della virtù, ma non si sa come possedere il sapere in cui la virtù
consiste.
Oltre la retorica
Nel Gorgia sorge problema della definizione della retorica. Gorgia dice che si tratta
dell’arte di costruire discorsi persuasivi aventi per oggetto ciò che è giusto e cosa
non lo è. Socrate dice che sofisti e retori cercano di far sembrare cose giuste e dice
che è una mera tecnica e la paragona alla cosmetica (immagine corpo sano ma è la
ginnastica che lo fa diventare veramente) e alla culinaria (fa sembrare il cibo buono
ma è la dietetica che lo fa diventare veramente) sono quindi tecniche di
manipolazione facenti leva sull’ignoranza e l’ingenuità. La filosofia si contrappone
alla retorica.
Oltre Socrate
La grandezza di Socrate consiste nell’aver difeso la sua concezione della virtù non
solo con parole ma anche con azioni accettando la condanna: Socrate è un esempio
di cosa significhi vivere secondo virtù anche nella morte, ma egli stesso nei vari
dialoghi segnala il carattere limitato e insoddisfacente degli esempi. Socrate separa
l’insegnamento della virtù e l’esistenza di persone virtuose.
Si potrebbe dire che, non essendo osservabile, la virtù non esiste e l’opzione
disponibile migliore è quella di osservare persone virtuose e imitarle. Platone rifiuta
tale conclusione perché dice che la virtù è un valore morale che esiste
indipendentemente dai singoli individui virtuosi e ciò che osserviamo è solo una serie
di apparenze e quindi occorre guardare oltre.
Se per Socrate la virtù coincide con il sapere, Platone parte da questa tesi etica per
giungere a una conclusione ontologica. Se la virtù esiste ed è conoscibile, ma non
possiamo vederla con i nostri occhi, allora esiste un livello di realtà situato al di là
delle cose che osserviamo coi nostri occhi: questa è la base della teoria filosofica di
Platone, la teoria delle idee.
Mondo sensibile e mondo intelligibile
Platone definisce due mondi: il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Il primo è
costituito dalle cose materiali che possiamo percepire con i sensi, ma è soltanto
un’apparenza di realtà. Platone ritiene che tutti gli avvenimenti di questo mondo
siano organizzati secondo principi generali: le idee, che sono immateriali e uniche e
possono essere conosciute solo mediante una facoltà cognitiva superiore: l’intelletto.
Esse appartengono al mondo intelligibile.
Idee
Per Platone, le idee esistono indipendentemente da quello che accade nelle singole
menti poiché sennò ognuno avrebbe le proprie idee e non si potrebbero usare come
principi di riferimento. Il mondo intelligibile in quel caso dipenderebbe dal mondo in
cui le persone si trovano, ma non è così. Le idee platoniche sono immateriali ma non
soggettive ed esistono solo nel mondo intelligibile, eterno e immutabile: viene anche
identificato come iperuranio, al di là del mondo sensibile in cui ci troviamo.
Si distribuiscono su due livelli:
Le idee si distribuiscono su due livelli:
1. A un livello inferiore ci sono le idee che costituiscono un modello per le cose
del mondo sensibile (nozioni matematiche, idee di qualità fisiche)
2. A un livello superiore ci sono le idee che permettono di valutare quello che
succede nel mondo sensibile: queste idee sono i valori che dicono come
dovrebbe essere il mondo sensibile. Al vertice c’è l’idea del bene che è l’idea
stessa di Idea, di Modello, di Valore, di Norma. Il bene è il principio
fondamentale che spiega il funzionamento delle idee e tutto quello che esiste.
Platone nella Repubblica paragona il Bene al Sole: illumina le altre idee del
mondo intelligibile
Cose e immagini
Nel mondo sensibile ci sono cose concrete ma anche immagini: sono apparenze di
cose reali. Le cose funzionano come modelli per le loro immagini come le idee
funzionano come modello per il mondo sensibile. Un’idea stabilisce come deve
essere una cosa nel mondo sensibile per contare come caso particolare di
quell’idea.
Imitazione
La relazione che lega il mondo sensibile al mondo intelligibile è una relazione di
imitazione (mimesi), uguale a quella che lega le immagini alle cose che raffigurano,
nel mondo sensibile.
L’imitazione però porta con sé un certo grade di imperfezione e non esistono cose
capaci di corrispondere a un’idea.
Partecipazione e presenza
Oltre che come imitazione Platone caratterizza la relazione tra idee e cose in termini
di partecipazione e di presenza.
La partecipazione (metessi) significa che le cose prendono parte all’esistenza delle
idee in quanto imitazioni di esse. Le idee stabiliscono come le cose devono essere e
le cose sono fatte in modo tale che si avvicinino il più possibile a questa
prescrizione.
La presenza (parusia) significa che le cose rendono presenti nel mondo le idee
stesse, imitandole e partecipando alla loro esistenza avvicinandosi alle loro
prescrizioni. Le idee possono rendersi presenti attraverso le cose che le imitano e
che cercano di adeguarsi a loro.
Conoscenza
Secondo Platone l’anima di una persona è imprigionata in un corpo appartenente al
mondo sensibile, ma non fa parte essa stessa del mondo sensibile. Infatti, l’anima è
immortale e immateriale; prima di incarnarsi in un certo corpo ha avuto accesso al
mondo intelligibile e ha conosciuto le idee. Quando è all’interno di un corpo, tende a
dimenticarsi le idee che aveva contemplato nel mondo intelligibile, ma il ricordo
rimane radicato in profondità: bisogna recuperarlo e riattivarlo.
Per Platone la conoscenza consiste nella reminiscenza (anamnesi) ossia la
riattivazione del ricordo delle idee precedentemente contemplate. Una persona
conosce perché le cose risvegliano un ricordo nell’iperuranio, di cui tutto è
imitazione. Le idee sono connesse tra loro e il ricordo di una suscita il ricordo delle
altre. La conoscenza è quindi un processo di svelamento di un sapere che è in noi.
“Conoscere è ricordare”. Questa teoria è l’innatismo: afferma che la mente possiede
conoscenze innate, perciò non acquisite nel tempo con l’esperienza.
Nel Menone Platone racconta che Socrate disegnò un quadrato e chiese a uno
schiavo di ricavarne un altro di area doppia e aiutandolo solo con domande e disegni
lo schiavo ci è riuscito; lo schiavo non ha appreso da Socrate le idee ma le ha
trovate dentro di sé utilizzando spunti.
La teoria della reminiscenza spiega come conosciamo le idee del mondo intelligibile,
mentre noi percepiamo le cose del mondo sensibile tramite i sensi. Si delinea quindi
la differenza tra l’esperienza sensibile e la conoscenza intellettiva.
L’esperienza sensibile consente una forma di conoscenza imperfetta: l’opinione
(dóxa). La conoscenza intellettiva permette di raggiungere il livello della conoscenza
vera e propria: la scienza (episteme).
La dóxa e l’episteme si articolano a loro volta in vari livelli:
1. Al piano più basso dell’esperienza sensibile c’è la congettura o
l’immaginazione (eikasía) con cui non entriamo in rapporto con le cose ma
con le immagini. A un livello superiore c’è la credenza percettiva (pístis)
attraverso cui sperimentiamo direttamente le cose del mondo sensibile: resta
comunque bloccata al livello dell’opinione in quanto le cose dipendono dalle
idee.
2. Per accedere alla conoscenza vera occorre afferrare le idee con la
conoscenza intellettiva che si articola in due modi distinti. Il primo è la
conoscenza discorsiva (diánoia), che ha bisogno di premesse fondamentali
che permettono un discorso razionale per arrivare a tale conoscenza.
Afferrate le promesse fondamentali senza ricorrere ad altre deduzioni, si
arriva alla conoscenza intuitiva (nóesis) per la quale l’anima può afferrare le
idee poiché queste sono già al suo interno
Anima e corpo
La teoria del sapere come reminiscenza si basa sul fatto che una persona abbia
anima e corpo, ma il corpo condiziona l’anima distraendola dalla conoscenza delle
idee. L’esigenza di purificazione dell’anima dal corpo è trattata nel Fedone, dialogo
in cui Socrate dice di non temere la condanna perché questa separa l’anima dal
corpo che la imprigiona. L’anima deve ambire alla morte e la filosofia è una
preparazione alla morte. La vita è quindi un’occasione per l’anima di purificarsi e
progredire nella conoscenza e non va vista come una prigionia ingiusta come la
prigione è un’occasione per saldare il proprio debito con la giustizia e non per
cercare di evadere.
Amore e bellezza
Il problema della mediazione razionale tra l’impeto e l’istinto si manifesta nel
sentimento dell’amore.
Socrate usa la biga alata nel Fedro per spiegare l’esperienza dell’amore: il cavallo
nero spinge verso il concreto e questo ha un effetto positivo sull’anima perché la
bellezza corporea può suscitare il desiderio di una bellezza più pura e fa diventare
un mero istinto sessuale un nobile sentimento.
Differenza tra il Fedone=amore è una prigione e il Fedro=innalzarsi al mondo delle
idee.
La critica dell’arte
Affinché un custode cresca bene non serve solo insegnarli ma la persona necessita
estrema vigilanza: per esempio l’arte può risultare nociva poiché rappresenta un
inganno essendo imitazione di un’imitazione. Poeti e artisti, perciò, andrebbero
cacciati poiché come vanno eliminati cibi nocivi anche le opere nocive lo devono
essere. In generale, era importante per Platone che i custodi non entrassero in
nessun modo in contatto con insegnamenti cattivi.
Da Atlantide a Magnesia
Nel Timeo e nel Crizia viene narrato il Mito di Atlantide racconta che l’isola Atlantide
è sprofondata; creata da Poseidone viveva felicemente con le leggi ma poiché cadde
nella corruzione la fece sprofondare. La stessa vicenda Platone pensa che possa
accadere ad Atene corrotta dai comportamenti egoistici (causati da sofisti e tiranni).
Ma come è possibile non cadere nella corruzione?
Questo è spiegato nelle Leggi, ultimo dialogo, dove immagina una nuova colonia
immaginaria: Magnesia.
Nelle Leggi Platone immagina di progettare uno Stato, diverso dallo Stato descritto
nella Repubblica:
1. Nella Repubblica: voleva individuare caratteristiche stato ideale.
C’è un apprezzamento del sistema spartano e un disprezzo per la dmeocrazia
ateniese.
2. Nelle Leggi: voleva progettare uno stato ideale e concretamente realizzabile,
infatti capisce che i filosofi sono pochi e non in grado di ottenere e gestire il
potere. Dunque, essi diventano gli estensori della legge e stabiliscono chi e
come ha il potere; si passa dal filosofo sovrano al filosofo legislatore. Egli non
agisce direttamente ma codifica delle leggi riconoscendo la scrittura come
strumento principale per i filosofi di contribuire alla felicità.
Socrate è del tutto assente nel dialogo e colui che scrive il sistema giuridico
per la colonia è l’Ateniese.
Magnesia appare più sensibile all’uguaglianza tra cittadini: tutti hanno diritto e
dovere di contribuire alle attività produttive, di instaurare legami familiari e di
partecipare alla vita politica, con soltanto differenze di grado e non più
differenze di funzioni e di stili di vita.
Punto di equilibrio tra il modello spartano e quello ateniese: primato
dell’interesse della polis e la ricerca della felicità individuale.
Il cittadino filosofo
Magnesia ha per tutti i cittadini lo stesso apparato fondamentale di diritti e doveri,
quindi ci deve essere un’uguale educazione per tutti: nella Repubblica l’educazione
era riservata solo ai custodi. Tutti partecipano alla vita politica, perciò, devono
essere adeguatamente educati.
Da bambini si fanno attività ludiche e musicali poi cerimonie religiose e attività
militari: infatti, per avere una vita virtuosa, tutti abbiamo bisogno di una formazione
per essere consapevoli dell’esistenza del mondo intelligibile. Per questo svolgono un
ruolo fondamentale:
1. Matematica - ci mette in contatto con le idee stesse
2. Astronomia - spiega come le idee regolino il funzionamento del cosmo
3. Poesia, Arte - anche se Platone rimane diffidente in quanto poesia e arte
sono imitazioni del mondo sensibile
4. Filosofia - ha una funzione centrale poiché essendo tutti sovrani dovranno
essere tutti filosofi.
L’ultimo dialogo del filosofo diventa il primo manuale della storia della filosofia.