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Della vita di Platone le fonti non offrono un quadro univoco: sappiamo che nasce ad Atene intorno al 427
a.C. da genitori aristocratici , e che fin da ragazzo era intento a dedicarsi alla vita politica per rendersi
utile alla sua comunità. Con la sconfitta di Atene con la Guerra del Peloponneso, però, Platone perde la
fiducia che aveva nella sociètà ateniese e trova la soluzione nella filosofia, nonchè l'unica disciplina in
grado di fornire una formazione adeguata al popolo e risanare la comunità. Dopo la morte del maestro
Socrate, Platone lascia Atene e si sposta in varie città del mondo greco: in particolare a Siracusa dove
frequenta la corte di Dioniso il Vecchio e dove inizia a concepire la sua visione filosofica, scrivendo anche
le sue prime opere. A quarant'anni circa torna ad Atene e fonda la sua scuola filosofica "l'Accademia" con
l'obiettivo di contribuire al miglioramento della città.
Platone, come Socrate, vede la filosofia come un flusso, un dialogo diretto, in quanto i testi scritti
rappresentano solo una serie di frasi staccate dal contesto del dialogo che conferisce loro il vero
significato. La scrittura inoltre mette a rischio la funzione pedagogica della filosofia, allontanando le
parole dal contesto e causando incompresioni; indebolisce inoltre la memoria che non è più tenuta in
esercizio dai pensieri che vengono elaborati continuamente nell'anima e che rimangono invece sui testi.
La scrittura è quindi una mera simulazione, cioè un'imitazione imperfetta del dialogo. Platone tuttavia
non rifiuta totalmente la scrittura, trovando un genere abbastanza soddisfacente in grado di avvicinarsi
alla discussione orale, cioè il dialogo, dove viene riportato il susseguirsi delle domande e delle risposte e i
ragionamenti passaggio per passaggio. Platone paragona la scrittura ad un farmaco, cioè uno strumento
ausiliario che ci aiuta, ma ci avvelena, e a volte è necessaria per la salute del corpo: analogamente a
volte l'educazione dell'anima può ricorrere all'uso della scrittura.
I dialoghi di Platone sono divisi in 3 categorie: I "dialoghi giovanili o socratici" dove fornisce un resoconto
accurato della vita e della dottrina di Socrate; i "dialoghi della maturità" dove Socrate rimane
protagonista ma Platone inizia a riportare anche la sua visione filosofica attraverso l'uso di miti, che
hanno una funzione pedagogica e divulgativa; e i "dialoghi della vecchiaia" dove si dedica alla ricerca
della definizione delle cose e risponde anche alle obiezioni che aveva ricevuto nelle due precedenti
opere. Possiamo inoltre dividere i dialoghi di Platone in "diretti" dove vengono riportati così come nel
presente del discorso, e "indiretti" dove è presente una cornice di narrazione.
Le idee sono immateriali e uniche, dei principi astratti conoscibili solo attraverso l'intelletto che, a
differenza della nostra concezione odierna di "idea", non sono soggettive, ma esistono
indipendentemente da ciò che pensiamo; esse si trovano in una regione priva di tempo e spazio situata
oltre il cielo: "l'iperuranio". Per Platone esistono inoltre due tipologie di idee, posizionate su due livelli di
questa dimensione: quello superiore comprende le idee-valori, che sono i principi supremi come
Bellezza, Giustizia, e il Bene che si trova all'apice, considerato il principio supremo delle idee. Nel livello
inferiore invece risiedono le idee che danno forma al mondo sensibile, e che fanno riferimento ai principi
di aritmetica e geometria come uguaglianze numeriche e forme geometriche.
Il principio che lega le cose e le idee è una relazione formata da 3 componenti: l'imitazione, detta
"mimesi", che rimane tuttavia imperfetta, infatti nulla nel mondo sensibile è in grado di rappresentare
alla perfezione un'idea; la partecipazione, detta "metessi", ovvero le cose, cercando di avvicinarsi il più
possibile alle idee, diventano parte delle idee stesse; e la presenza, detta "parusia", cioè le idee sono
presenti nel mondo sensibile attraverso le cose.
uno di questi prigionieri viene improvvisamente liberato dalle catene ed è libero di muoversi verso
l’entrata della caverna. Dopo essere stato legato al buio tutta la vita, all’inizio viene accecato dalla luce.
Solo piano piano inizia a vedere qualcosa e una volta abituatosi alla luce, è finalmente in grado di
guardare direttamente il sole. Il prigioniero torna all'interno della caverna per informare i suoi compagni,
ma viene deriso da tutti e preso per pazzo.
Il senso allegorico del mito della caverna allude alla figura del filosofo, ovvero il prigioniero liberato, che
arriva grazie all'intelletto alla conoscenza, e più si trova in questa dimensione, e meglio riesce a vedere e
a comprendere la verità. Quando però cerca di far comprendere a coloro che hanno la propria idea di
realtà cosa è vero e cosa no, risulta incompreso.
Per Platone l'accesso alla conoscenza è possibile solo tramite l'anima, un qualcosa di immateriale e
immortale come le idee, che prima di arrivare nel mondo sensibile appartiene all'iperuranio dove
contempla le idee. Quando l'anima lascia il mondo intellegibile viene distratta da tutte le cose presenti
nel mondo sensibile, e tende a dimenticare le idee: l'obiettivo è cercare di stimolare l'anima per riuscire
a recuperare questi ricordi.
Anima e corpo
La teoria della reminescenza delle idee si basa sull'ipotesi che una persona non consista soltanto in un
corpo, ma anche di un'anima, che contempla direttamente l'iperuranio prima di reincarnarsi nel corpo e
poi apprende ricordando. Il corpo però condiziona l'anima tramite i bisogni legati al mondo sensibile,
distraendola dalla conoscenza delle idee. Per accedere al mondo intellegibile serve quindi che l'anima
venga purificata dal corpo. La stessa vita per Platone diventa quindi una preparazione alla morte, unico
modo di liberazione del corpo dall'anima: la morte però non va inseguita, bensì bisogna approfittare
della vita come un'opportunità per diventare una persona migliore.
La riflessione sull'immortalità dell'anima viene ripresa nel mito di Er, un soldato caduto in battaglia che
resuscita dopo dodici giorni, e che riferisce ai suoi compagni ciò che ha visto nell'aldilà: spiega come
l'incarnazione dell'anima non avviene per volere divino, ma deriva dall'anima stessa. Una volta decisa la
prossima vita, alle anime viene fatta bere l'acqua del fiume Lete, che fa dimenticare questa scelta. Il mito
mostra quindi che il tipo di vita che viviamo non è frutto del caso, ma dipende dal volere dell'anima: è il
cammino che abbiamo deciso di percorrere.
L'anima non è un blocco unitario, ma risulta formata da 3 parti in conflitto fra loro: L'impeto, ovvero la
sfera delle emozioni e delle passioni, che incoraggia l'anima a compiere azioni ammirevoli; l'istinto, che
rappresenta la parte legata ai bisogni del corpo, cioè fame, sete o desideri sessuali; e la ragione, che ha la
funzione di guidare le altre due componenti dell'anima per evitare di nuocere al benessere dell'anima.
Nel Fedro, Platone per spiegare questo concetto fa ricorso al mito della biga alata: un carro trainato da
due cavalli alati, uno bianco che rappresenta l'impeto, e uno nero che rappresenta l'istinto, l'auriga
invece raffigura la ragione e ha il compito di guidare la biga controllando i due cavalli. La sfida della
ragione è quindi quella di mediare fra le due spinte opposte cercando un equilibrio fra impeto e istinto.
La società viene descritta secondo uno schema tripartito, dove sono presenti i produttori, ovvero coloro
che producono beni di consumo e svolgono funzioni pratiche; i guerrieri, che difendono la comunità; e i
governanti che svolgono una funzione di guida. In quest'ultima parte della società appartengono anche i
filosofi, che hanno il compito di far fronte ai cedimenti e alle interperie delle anime dei membri della
comunità, guidandoli verso la retta via.
La Giustizia viene intesa come l'equilibrio fra interessi particolari in nome di un interesse comune, dove i
custodi sono tenuti a condividere i beni per il bene della comunità, a scapito dei vantaggi personali.
Questo ideale viene definito con l'espressione "comunismo platonico".