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La filosofia antica comincia con Socrate ma compiutamente solo con Platone. Platone prima e
Aristotele poi iniziano la dossografia ovvero la storia della filosofia precedente.
Con Platone abbiamo una risemantizzazione dei termini filosofia e filosofo, inizia a formarsi un
lessico specializzato, una consapevolezza di sé della filosofia e una dimensione formale
dell’indagine. Platone vuole creare un solco tra lui e i sofisti.
Il filosofo inizialmente ispira diffidenza nella società (inquietante), si differenzia dai suoi simili,
indaga sul bene (cosa non utile), si sforza per determinare la natura del suo sapere, determina i
confini della disciplina, ha assenza di finalità produttive, è capace di riflettere su sé stesso, la sua
ricerca è incessante.
Per Aristotele il punto di svolta per la nascita della filosofia è l’indagine sui logoi con Socrate e
Platone, quindi nasce una disciplina con un lessico specializzato e la maggior parte si trovano in
Platone ed Aristotele risemantizzando quelli precedenti, si costruisce una koinè concettuale.
Aristotele è il padre della dossografia e storiografia, la filosofia è la ricerca delle cause e parte dai
filosofi del passato che ricercavano l’archè.
Socrate discute nelle piazze dando una dimensione pubblica alla filosofia e si occupa dell'etica, egli
indagò l’universale, ma non nella natura, ma nell’uomo, concetti morali, per lui la filosofia era una
scelta di vita.
Platone introdusse un consistente gruppo di scritti fissando un patrimonio lessicale e concettuale
stabile, anche gli stoici scrivevano, ma egli con scopo pedagogico e protrettico (che esorta alla
filosofia). Si crea un lessico tecnico: essenza, sostanza, accidentale, categoria, qualità. Nel
linguaggio ci sono figure retoriche e una grande capacità di astrazione, le parole hanno significati
ambigui, uno ordinario, uno specializzato.
La filosofia nasce nel 5 secolo ac in Grecia, è desiderio di sapienza, ma ha diverse sfumature perché
sophos è sia sapiente che amico del Dio, è ancora generico, la sapienza è amata di per sé non per
l’utile. Platone nel De Republica parla di tre tipi di vita
appetitiva commercianti amanti ricchezze
irascibile atleti amanti gloria
razionale filosofi amanti sapere
Socrate che è consapevole della propria ignoranza è detto sophos dal Dio, non filosofano i sapienti
né i totalmente ignoranti, il filosofo è allo stato intermedio come Eros figlio di Paros (ingegno,
risorsa) e Penia (privazione, povertà) concepito durante la festa di Afrodite (amante del bello),
conosce la propria ignoranza, ma siccome era ingegnoso desiderava il sapere è una conquista
faticosa, è precario per via dei nuovi problemi e dell’oblio. Nel fedone Platone dice che la
conoscenza perfetta si ha solo dopo la morte quando l’anima si stacca dal corpo, si ricerca il bene
tramite i logoi, solo dopo molto cercare forse visione diretta.
Per Aristotele tutti gli uomini vogliono conoscere (Metafisica) le cause ed i principi primi, la
scienza che se ne occupa è la sophia, nasce dalla meraviglia di fronte alle cose, nasce dalla libertà
dalle occupazioni (Metafisica) è una scienza libera, altre sono più necessarie, ma essa è superiore.
Sapendo lo stupore iniziale svanisce ma c’è differenza tra sapienza divina e umana, una scienza è
divina perché solo Dio la possiede in pieno, sophia è la somma virtù, dianoetica (riferita alla virtù
discorsiva, propria dell’intelletto), mira al possesso stabile della scienza e dei suoi principi. La
filosofia (etica nicomachea) provoca dei piaceri meravigliosi.
Con l’accademia di Platone la disciplina acquisisce una sua fisionomia: è indispensabile lo studio
della geometria, poco dei principi naturali a parte l’astronomia, mentre con Aristotele nella sua
scuola c’è l'indagine biologica e degli animali.
La parola sofista significava sapiente ma nel tempo acquisisce un’accezione negativa (astuto,
ingannevole), nel Simposio Platone usa il termine sophisma come inganno, a causa di un gruppo di
persone maestre dell’arte oratoria e politica lavora a pagamento. Platone ne parla nel Protagora, nel
Fedro e nel Sofista.
Nelle Nuvole di Aristofane Socrate si può confondere con i sofisti per l’amore per le discussioni,
l’attitudine alla confutazione, l’abilità argomentativa, l’interesse per il linguaggio, l'atteggiamento
critico per il sapere tradizionale. Ne il sofista Platone distingue tra il filosofo ed il sofista come due
categorie dicotomiche. Il sofista simula un sapere che non possiede e lo propone come sapere
universale, è imitatore del filosofo (Teeto) interessato al guadagno, accusati di persuadere i giovani.
Socrate: elenchos socratico, accusato di corrompere i giovani, usa l’ironia per simulare ignoranza,
dona disinteressatamente a chi lo segue, non per compenso, ha una parte ammonitoria, quella dei
padri che redarguiscono i figli, l’altra è l’eliminazione delle opinioni sbagliate portando a
contraddizioni, purificazione dell’anima.
Platone svuota la parola sofista dalla sapienza e Aristotele lo condanna definitivamente.
Il problema dell’essere è la questione tipica della filosofia (problema cosmologico/ontologico)
Parmenide: cos’è che è e non gli è dato non essere? Solo l’EON, perché non puoi conoscere né dire
ciò che non è, esso è ingenerato, non incompiuto, unigenito, immobile, continuo.
Ne il Sofista di Platone il sofista produce apparenze false.
Aristotele si chiede cos’è, cosa sono le realtà sensibili, gli astri, la matematica. Per Aristotele l’On
equivale a Ousia. Nella metafisica: cosa è non in quanto a proprietà particolari, ma è in quanto tale?
Distinzione significati dell’essere, categorie, accidente, vero, falso, atto potenza, fino a concludere
che la sostanza usia è la forma (eidos).
Prima di Platone l’usia non aveva senso astratto, in generale è l’esserci delle cose (Teeto), nello
specifico l’essenza (Socrate chiede l’essenza della virtù non le sue affezioni), potenzialmente è tutto
ciò che è ed anche la cosa che è
Per Aristotele: un certo uomo (usiai) come sostanza prima, o anche l’uomo come specie (sostanze
seconde) mentre per Platone usiai sono le idee entità immutabili ed eterne al massimo grado di
perfezione e sono modello per le realtà naturali e per i concetti matematici e valori di riferimento
per l’agire morale stabile e la conoscenza (essere opposto al divenire). L’usia è il soggetto logico di
predicazione ed il sostrato ontologico delle proprietà (sostanza), la causa per cui una cosa è ciò che
è. Usia è per esempio l'uomo, ciò che fa si che l’uomo sia un uomo, espresso nel logos che ne
restituisce la natura di vivente razionale, proclama l’identità tra una cosa e la sua essenza.
Accidente: per Aristotele è atto e potenza, eventi concomitanti (scavare x piantare un albero e
trovare un tesoro) e casi di proprietà (Socrate è bianco), che appartengono ad un soggetto, ma non
di per sé. Natura casuale, ma non causale, appartiene alla cosa, ma non la definisce.
Per Platone nel mito della caverna la verità è la luce, l’idea conferisce l’aletheia, per mezzo
dell’aletheia conosciamo gli oggetti, le idee se illuminate da essa sono più conoscibili, le idee sono
vere in quanto entità autonome, immutabili, eterne, autoidentitatrie (verità ontologica). Nel menone
c’è un misto di verità ontologica e logica, prima Socrate sveglia nello schiavo opinioni vere,poi
conoscenze stabili, la verità è sempre nell’anima. È la realtà sostanziale delle idee che permette i
giudizi veri. Dire il vero (vero preposizionale) essere vero (vero ontologico). Nel fedro le anime
disincarnate contemplano le idee nella piana della verità, quando l’anima appesantita dal lethecade e
si incarna. Nel Repubblica le anime nella pianura dell’oblio bevono l’acqua e si dimenticano
d’incarnarsi.
Aristotele: vero è uno dei significati dell’essere, i giudizi sia affermativi che negativi possono essere
veri o falsi. Nella Metafisica: il vero o il falso non sono nelle cose, ma nel pensiero, il vero è ciò che
è congiunto, un giudizio è vero se afferma ciò che è congiunto nella realtà. Negli asinteti il v o f
consistono nell'enunciarli, venirne a contatto o ignorarli, sono essenze unitarie e inscindibili, si
possono capire o ignorare ad es. animale bipede razionale.
Per Aristotele l’oggetto conosciuto è la misura della scienza, è prioritario al soggetto sia per
conoscenza sensibile che intellettuale. Dianoia: pensare x ragionamento.
Platone nella repubblica parla di noesis (viene in contatto con il principio del tutto) e la dianoia
(ragiona e conclusioni discorsive), il culmine della conoscenza avviene nel nus ma è preceduto da
ragionamenti.
Per Aristotele il nus è l’intellezione dei principi primi da cui poi si fa la dimostrazione, essi vengono
intuiti, è la facoltà per mezzo della quale l’anima pensa.
L’episteme è la conoscenza stabile nel Fedone Socrate la fa coincidere con la stabilizzazione della
memoria e dell’opinione, nel Gorgia si ammette che la credenza è v o f ma l’episteme è sempre
vera, è rivolta agli oggetti immutabili al contrario della doxa, le opinioni, che non stanno ferme a
lungo.
In Aristotele l’episteme è il sapere rivolto a ciò che è stabile, una condizione del soggetto di
condurre dimostrazioni a partire da premesse vere e necessarie oggetto di nus (intuite). Il sistema
delle scienze si articola in teoretiche, pratiche e produttive , technè habitus produttivo il cui
principio risiede nel soggetto e il fine è esterno all’agente.
Platone non da al sensibile e al reale esistenza ontologica, i fenomeni hanno un’esistenza
indipendente e si mostrano in modo vero o ingannevole. Ciò che appare è un misto di opinione e
sensazione. Nel Protagora egli esprime discussione su virtù e technè che è una competenza, che può
essere insegnata e usata nel bene o nel male, è paradossale che un cattivo medico possa essere
considerato migliore di un buon cittadino.
Phronesis. Il funzionare del retto pensiero, essere vigili, ragionare corretto in vista dell’agire. X
Aristotele è il principio di razionalità per orientare l’azione opposto sia alla ragione calcolante che
ad atteggiamenti fideistici rientra con sophia nelle virtù dianoetiche. È una condizione veritiera in
vista del vivere bene, è la conformità della ragione al pensiero corretto. È capace di individuare il
giusto (virtù etiche) mezzo e stabilire i mezzi per lo scopo. X Platone non è diversa da sophia nella
repubblica è la saggezza del bene quindi il sapere delle idee (per agire bene bisogna conoscerlo) nel
fedone è la conoscenza delle idee, le altre virtù sono ombre senza essa.
Filosofia morale: da sempre l’uomo ha indagato su ciò che è giusto, sulla felicità ma con Platone ed
Aristotele la ricerca passa sul piano formale e l’eticità passa dell’azione al soggetto che la compie.
Platone mostra come il carattere venga dalle abitudini per cui l’educazione deve iniziare presto
dando un’impronta all’anima. X Aristotele le abitudini sono difficili da cambiare con lui le virtù
etiche sono il coraggio la temperanza, le eccellenze del carattere (non necessariamente morali, si
può essere coraggiosi ed ingiusti), nessuna virtù etica è naturale, l'aretè è un habitus che deriva
dall'esercizio. Per Platone il giusto coincide col bello, tutto ciò che è buono è vantaggioso. Anche
per Aristotele nell’etica nicomachea il bene è ciò a cui tutti tendono. La phronesis gli è subordinata,
viene prima ed è ciò verso cui è orientato il sapere. Il bello è ciò che è degno di lode e può essere
scelto di per sé anche se è svantaggioso.
L'aretè è solo umana ed è una virtù del carattere in senso etico, è un’attività intellettuale e teoretica,
si può insegnare ad essere giusti a livello tecnico, ma morale no, l’uomo che ha l’aretè sarà giusto,
saggio moderato e coraggioso.
Eudemonia/felicità: Platone la svincola dalla buona sorte, può essere felice solo chi agisce
rettamente, felicità è chi ha l’anima in buone condizioni, una buona disposizione interna, se coltiva
il daimon che ha dentro di lui ha pensieri immortali e divini, è inseparabile dal bene e dalla virtù,
per Aristotele è il bene sommo verso cui tutti tendono ed è un’attività dell’anima e dipende da essa.
Giustizia: x Platone non riguarda le azioni esterne, ma una condizione interna dell’anima, tutte le
sue parti svolgono il loro compito senza esorbitare, x Aristotele è la consapevolezza dell’azione, il
possesso di disposizione ferma e immobile.
Anima: principio costitutivo dell’uomo concepito come immortale in opposizione al corpo, capace
di dirigerlo e di sopravvivergli, sede delle facoltà razionali e della vita emotiva, passioni e
sentimenti.
La metempsicosi presa dall’india portata in auge da Pitagora, la psiche è il centro dell’agire morale,
con Platone coordina le varie funzioni, 3 parti della psichè razionale, animosa/irascibile (ira,
coraggio, forza d’animo), desiderativa. Nel timeo indica mortali la parte animosa e desiderativa,
immortale quella razionale. Nel fedone Socrate dice che l’anima è immortale ed è conservata pura e
libera da ingiustizia e quando si libera dal corpo ha una sua consistenza sostanziale. Per Aristotele è
atto di ciò che la vita ha in potenza, forma del corpo, principio organizzatore della materia, non
immortale.
Logos con Platone ed Aristotele è la ragione formale, per cui qualcosa è ciò che è esprimibile in un
discorso. I primi mancavano di dialettica x Aristotele, con Socrate ci si volse ai logoi, poiché
ricercava la causa formale, vede che cercare l’archè porta a contraddizioni e si rifugia nei logoi,
Socrate cerca il ti es ti e l’aspetto comune è l’eidos, anche Aristotele identificherà l’essenza di una
cosa con la forma, il principio organizzativo della materia. Socrate: principio di attraenza del bene,
ognuno agisce in conformità a ciò che ritiene per lui il bene. Nel fedone e timeo stabilito che
l’anima è in vita perché partecipa dell’idea della vita e la apporta essendo immortale. Per Socrate la
causa è una condizione necessaria per cui alcuni processi hanno luogo, una causa non può dare
qualcosa di diverso dalla sua natura o effetti contraddittori. Cause opposte che danno lo stesso
fenomeno non possono essere ritenute vere cause. Per Aristotele la vera indagine sulla physis solo
indagando il logos ci sono due cause necessità (causa materiale) e finalità (causa formale)
il metodo sui logoi permette di indagare e definire l’essere e l’essenza delle cose.
Per pitagorici e platonici i numeri sono il principio della realtà dottrine idee-numeri però Platone da
ai numeri una realtà a sé stante, separata e autosussistente, mentre x Pitagora i numeri sono le cose
stesse. Scoperto il principio formale, isolandolo e distinguendolo dalle cose Platone fa
un’ipostatizzazione e x lui i pitagorici sono primitivi perché non distinguono il principio formale,
egli distingue il numero numerante (la realtà aritmetica) e il numero numerato (cose che vengono
numerate), x lui il principio formale è la sostanza delle cose.
La filosofia per i filosofi: Socrate: filosofia come arte della vita
I sofisti erano insegnanti proponevano condotta di vita adeguata, basata sui principi razionali.
Platone in Lachete afferma che la filosofia cura l’anima, il filosofo è sulla via della saggezza,La
filosofia è preparatrice in preparazione alla morte. La filosofia guida il filosofo nella virtù che lo
porta alla felicità, possiede la vera scienza contrapposta alla doxa.
Aristotele distingue i saperi in in teorico e pratico, anche se c’è una funzione direttiva del
comportamento (etica nicomachea, etica eudemonia) afferma che i beni sono eterogenei e nel
proteptico scrive che viviamo bene se mettiamo in pratica il retto comportamento in vista della
felicità, la vita è improntata sulle virtù del carattere, la contemplazione filosofico-scientifica è fine a
sé stessa, è la più preziosa delle attività umane la vita teoretica è preferibile a quella etico-politica,
bisogna conoscere i principi e l’etica, bisogna avere un habitus personale per la felicità.
Alcuni esercizi filosofici: per Socrate i dialoghi, si adatta all’allievo. Per sant'Agostino i soliloquia,
il dialogo tra sé e la ragione.
Pitagora è il primo che si è definito filosofo, Socrate è la quintessenza del filosofo intelligente,
coraggioso, padrone di sé, imperturbabile. I filosofi quindi attirano diffidenza e sospetto perché
rovesciano i concetti tradizionali, nelle nuvole di Aristofane vivono al di fuori dei valori, sono
perdigiorno. Per Platone la miglior forma di governo vuole i filosofi al potere, il suo sapere è sicuro,
immune da errori perché viene da virtù, agire corretto e moralmente adeguato, è la forma più
elevata di piacere.
Per Aristotele la felicità è il bene supremo a cui tendere, ma la massa ne ha un concetto differente
(avere successo) da quello dei sapienti (vivere bene), è la realizzazione del sé, non è casuale, ci
vuole predisposizione. Per Platone essa dipende da un’azione unita alla saggezza e alla virtù: il
saggio segue il suo daimon per quello è felice. Per Socrate anche un re ricco e potente è felice solo
se ha morale e giustizia, tesi della sufficienza (la morale è sufficiente per la felicità dell’uomo), e
della identità (la morale è la felicità), il comportamento morale adeguato è la vita secondo ragione,
per la felicità ci vuole virtù, vita buona, morale e giusta.
Per Platone è felice chi vive bene, secondo giustizia con integrità morale che può trasformare le
cose anche se non ha conseguenze sociali buone e alla fine c’è l'isola dei beati. Il giusto è felice, la
sua vita è tesa alla conoscenza che lo colma di piaceri, ha una maggiore sensazione di piacere, la
giustizia è importante perché ci sono piacer buoni e cattivi, per chi è giusto il piacere è un’aggiunta,
ciò che è vantaggioso è il bene e la felicità è il suo compimento. Se uno ottiene ciò che è
massimamente desiderabile ovvero il sommo bene è felice perché completa il suo telos.
Per Aristotele i beni esterni sono necessari, ma non sufficienti, importante è anche la fortuna della
stirpe. Ci sono vari gradi di felicità, serve ricchezza in giusta misura, una vita è ben riuscita quando
si fa il più frequentemente possibile quell’attività che contraddistingue l’uomo. L'eudemonia è il
bene supremo, la più completa, sufficiente a sé stessa, il bene più degno di essere scelto, non può
essere sommato ad altri beni, ma quelli scelti in sua vista sono il piacere, l’onore e la virtù. I beni
che portano alla felicità sono intrinsechi (avere amici, salute, buone condizioni economiche). Le
virtù sono la sophia (v. intellettuale) e la phronesis (saggezza pratica) la ragione è l’attività specifica
dell’uomo. L’attività teoretica è prassi di vita ed è conforme alla morale. La felicità include tutto ciò
che è degno di scelta, è il fine dell’esistenza, l’attività teoretica non ha bisogno di beni esterni, la
morale e l’etica sì.
Per sant'Agostino l’anelito alla felicità è una caratteristica umana, è il ritorno a Dio, i beni sono
transitori. Il bene della felicità deve essere perenne e quindi è Dio. 5 condizioni: il bene ricercato
esiste sempre, è sempre in possesso, ti deve rendere felice senza altri desideri, deve essere
inesauribile, perenne e immutabile. L’amore per dio è il peso dell'anima, l’uomo prima si lega ai
beni transitori, ma attraverso della forza di gravità (peso dell’anima) va verso Dio.
Per Platone il comportamento guidato da giudizio morale, le virtù sono giustizia, temperanza,
coraggio e saggezza e necessitano di una buon predisposizione e di una lunga formazione filosofica.
Nell’eutidemo esiste un unico bene di cui non si può abusare che è la sophia ed è il più importante.
Platone nel fedone il legame anima e corpo sensualità brama, paura sono intralci, nel Protagora
Socrate difende una forma di edonismo, nel repubblica è favorevole verso il piacere, perché
l’attività intellettuale da il piacere, la conoscenza in sé e per sé non è piacere, bensì lo è
l’apprendimento, il piacere è un divenire non un esser, una transizione verso l’essere, ci sono piaceri
più o meno puri. Ci sono due gruppi di beni: ricchezza, salute, buona discendenza, potere, ottima
reputazione; temperanza, giustizia, coraggio e la sapienza, i beni non sono nelle cose, ma nel loro
uso. Solo l’ignoranza è male. I custodi raggiungono la virtù per mezzo dell’abitudine e della retta
opinione.
Per Aristotele il virtuoso fa volentieri ciò che è giusto, ragiona sulle opzioni. La virtù mira all'azione
giusta nella praxis, le arti hanno invece un telos produttivo. Le virtù unite ad episteme (scienza
morale) e phronesis (saggezza pratica), quindi non sono in contrasto fra di loro e dovrebbero far
parte tutte del carattere: giustizia, pietà, coraggio, temperanza, saggezza. Ci sono virtù etiche e
dianoetiche, respinge la tesi di identità tra virtù e felicità e sufficienza (la virtù non è sufficiente per
raggiungerla). Ci vuole esercizio e abitudine, gli uomini giusti per mezzo delle azioni giuste,
prudenti per mezzo delle azioni prudenti. La virtù è necessaria per una vita realizzata, sophia e
phronesis sono scelte per sé stesse, virtù e felicità sono in relazione reciproca, le passioni vanno
educate, giusto mezzo. Gli impulsi non sono razionali, alcune passioni sono utili in alcune
situazioni (ira, vendetta), nell’etica nicomachea e nella retorica esamina le passioni come desiderio,
ira, paura, ardimento, invidia, gioia, affetto, pietà, gelosia. Sono emozioni irriducibili anche nel
saggio, nella pedagogia bisogna educare alle passioni appropriate e alla perdita di quelle
inappropriate. La famiglia, la predisposizione naturale, la tradizione culturale e l’ambienta sociale
hanno impatto sulla virtù. Il piacere se tutti lo vogliono non può essere un male, non è transuente,
ma segno di un’attività venuta a compimento. L’attività secondo natura non è il sommo bene ma
pregevole e a seconda dell’attività che si accompagna è più puro o degno, maggiore è nella vita
teoretica.
Per Agostino la virtù è la recta ratio, la virtù e la felicità si ottengono per mezzo della grazia.
Per Socrate l’errore deriva dall’ignoranza, sbagliare è non usare la saggezza, se uno fa il male è
perché la sua facoltà razionale è venuta meno per qualche piacere immediato, chi sbaglia manca
della lungimiranza, dell’arte della misura ed agisce secondi il suo interesse. A volte per Socrate il
pacere è cattivo, la felicità è un bene certo, ma la salute, la bellezza, il sapere, la forza, la ricchezza,
il potere, la fama sono incerti e in qualche caso dannosi, degna di essere scelta è solo la felicità. Il
fine supremo ha valore intrinseco, non è ambivalente. La sentenza dell’oracolo agisce in lui una
riflessione l’autocoscienza, dalla coscienza con la coscienza, dalla società vengono vergogna e
senso di colpa. L’aretè è il risultato di un profondo e rigoroso esame interiore.
Per Platone il male accade per i contrasti tra le tre parti dell’anima, solo l’anima unita è immortale.
la virtù si ottiene solo per mezzo della conoscenza filosofica, le classi basse anche se fanno una vita
esemplare hanno solo l’immagine della virtù. Il filosofo ha unificato l’anima che consiste nel suo
elemento razionale. Nel repubblica l’anima decide il proprio destino successivo, quindi il male
viene dall’uomo non da Dio, anche se la scelta non è libera, ma data dalle passate azioni. Fare male
a qualcuno nuoce a sé è il male più grande. La virtù, la sanità e la bellezza portano a una felice
condizione dell’anima. Spesso ci si attiene alla giustizia in vista della punizione (anello di Gige che
rende invisibili), ma il giusto sarà 729 più felice del tiranno. Nel critone si esprime il dilemma
morale della fuga di Socrate. Nel simposio le persone sono felici perché posseggono il bene che è il
fine della felicità e la procura. Ci sono beni estrinsechi (in vista di altro bene) ed intrinsechi (gioco,
contemplazione, apprendimento, conversazione). Il fine supremo è in vista di ciò per cui si fa
qualcosa e rende buoni tutti gli altri beni. Un oggetto è buono se svolge la sua funzione
ottimamente. La migliore condizione dell’anima è la giustizia. Bene di una cosa è ciò che le da la
migliore condizione. Per l’idea del bene l’anima fa tutto, essa è causa di verità e sapere, da essa gli
oggetti intellegibili ricevono la loro realtà ed essenza. Il fine di ogni cosa consiste nel suo eidos. La
metafisica dello spirito nell’apologia e nel fedro si cerca di rispondere alla domanda cos’è un uomo.
La sua anima, la conoscenza di sé, volgere lo sguardo alla propria anima.
Per Aristotele il male viene dalla parte irrazionale dell’anima, per la felicità servono i beni correlati
alle parti inferiori. Per l’armonia la parte concupiscibile dell’anima è in accordo con la ragione per
volere il bene morale. Per lui la persona sa che sbaglia, ma è debole, non ha autocontrollo. “è bene
fare x” “fare A è un caso particolare del fare X” “è bene fare A” può accadere che uno usi solo la
premessa universale e sbagli perché ha il sapere ma non sa usarlo, se è privo di autocontrollo, a
volte il desiderio si può imporre sul retto intendimento. L’agire volontario l’agente razionale è la
causa, egli può astenersi dal realizzare la cosa (i bambini e gli animali non ce l’hanno) e su di esso
lode o biasimo, virtù o vizio. Mentre il desiderio scelto da ciò che dipende da noi, è la scelta del
giusto mezzo e non è determinato dal fine, l’aspirazione è la capacità razionale di desiderare. Sono
buoni piacere ed onore e sono extra morali, sono beni di per sé come la vittoria, l’onore e la
ricchezza, il bene in assoluto sono i beni generici a cui si aspira. Ci sono beni che si possono
scegliere di per sé (intrinsechi) o per un altro bene. Essere utile a tutti è un alto grado di virtù, agli
amici e alla patria, essere pronto a morire per loro. È meglio patire che commettere ingiustizia e in
generale ciò che è giusto moralmente è sulla scorta della ragione. Bisogna fare amicizia con sé
stessi.
Agostino: la volontà è lacerata (sogni peccaminosi), l’orientamento verso Dio va contro le parti
irrazionali dell’anima, mostra la debolezza del volere perché il mondo dopo il peccato originale ha
un ordinamento punitivo. Il dissidio nasce dalla volontà perché l’unità del volere è preclusa
all'uomo. La volontà è un moto dell’anima sottratto a costrizione che mira a trattenere o non perdere
qualcosa, c’è facoltà di scelta, gli angeli malvagi hanno fatto una scelta. C’è differenza tra la
tendenza comportamentale (voluntas) e la scelta (liberum arbitrium). Inizialmente molto favorevole
alla filosofia nel tempo però la rilega ad un esercizio mentale.