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ETICA NICOMACHEA

Capitolo 1
Ogni arte e ogni indagine come ogni azione e scelta persegue un qualche bene e per questo il bene è stato
definito ciò a cui tutto tende

 Identità tra bene e fine


 Molteplicità di fini/beni
 Alcuni beni/fini sono subordinati ad altri (fini inferiori “finalizzati”, mezzo tramite cui raggiungere il
fine superiore, sono quindi fini provvisori)

Non si deve ricercare lo stesso livello di precisione in tutti gli ambiti e discorsivarietà e mutevolezza che
caratterizza l’etica ( diversamente da spinoza che considerava l’etica secondo ordine geometrico). Anche i
beni hnno mutevolezza poiché a molti sono capitati dei mali a causa di beni, es sono andati in rovina a
causa di ricchezza e coraggio. La verità viene mostrata solo approssimativamente e a grandi linee,
conclusioni per lo più. È tipico della persona colta ricercare in ciascun gnere di cose la precisione solo per
quanto lo permette la natura della cosa (no matematico faccia appello alla persuasione o retore a
dimostrazioni scientifiche)

Qual è il bene che sosteniamo essre ciò che la politica persegue, cioè qual è il bene pratico più alto?

Sia la massa che le persone più raffinate sostengono che sia la FELICITà ma su cosa sia la felicità c’è
disaccordo

La massa crede che sia qualcosa di tangibile ed evidente come piacere, ricchezza ed onoe ma spesso poi lo
stesso individuo la pensa in diverso modo a seconda della situazione, se uno è malato pensa che sia la
salute, se povero la ricchezza. Alcuni hanno ritenuto che al di là di tutti questi molteplici benu vi sia
qualcosa che è bene per sé ed è causa dell’essere di tali per tutti questi altri beni

Sei quaificazioni della felicità, felicità come

1. È il bene supremo o il bene pratico più alto, elevato. Assolutizzazione indebita di ricchezza, piacere
ma anche virtù, non consistono né nel bene né nella felicità
2. Autosufficiente e autonomo (autarkeia), è eminentemente personale, è il singolo che si gioca la
propria vita buona/felicità. Tetragoni, con i piedi piantati per terra, non volubili
3. Realizzazione, sviluppo, compimento del proprio essere. Fioritura dell’ergon
4. Attiività secondo virtù che però non necessita di beni, virtù come requisito teoretico mentre beni
esteriori requisito intuitivo
5. Vita compiuta, felicità prospettiva dell’interezza, unità narrativa della vita buona, considera
passato/presente/futuro
6. Diversa dalla tyche-sorte

La massa e le persone volgari sostenfono che il bene e la felicità consistano nel piacere perciò amano la vit
dissoluta ma la felicità non è il piacere bensì implica il piacere

Le persone raffinate e attive identificano la flicità con l’onore, fine della vita politica. Il bene che stiamo
cercando pare che risieda in chi rende onore piuttosto che in chi è onorato. Il bene è qualcosa di personale
e di difficile da perdere mentre l’onore dipende dagli altri, il bene non può essere trasferito.
Forse uno potrebbe anche credere che la virtù sia il fine della vita politica ma anch’essa incompleta, sembra
infatti anche possibile che chi possiede la virtù dorma o resti inattivo o incorre in disgrazie, nessun direbbe
felice chi vive una vita di questo tipo

Chi si dedica al guadagno è sottoposto a costrizione ed è chiaro che la ricchezza non è il bene che
cerchhiamo infatti è uno strumento utile e serve a un fine diverso da séricchezza come mezzo ma non
come fine

Critica a platone e amici dell’accademia, ha a cuore gli amici ma deve rispettare la verità

Problema delle forme=idee, il bene si dice sia nell’ambito del che cos’è, nell’ambito della qualità e anche
nel relativo, ciò che è per sé ed è sostnza per natura viene prima di ciò che è relativo, quest’ultimo sembra
come un germoglio o un accidente dell’essere

Siccome il bene si dice negli stessi modi in cui si dice l’essere (sostanza, qualità, quantità, relazione, tempo e
luogo) il bene non potrà essere qualcosa di comune, universale e uno altrimenti non si direbbe in tutte le
categorie ma in una soltantoargomento a posteriori, polivocità di esserepolivocità di bene, l’essere si
dice in molti sensi secondo molte categorie, anche il bene si dice in mlti sensi, se il bene fosse universale
non potremm predicarlo secondo le categorie. Predichiamo in modo diveerso anche all’interno di una
stessa categoria

Vi sono molte scienze (scienze legate al bene)

È chiaro che i beni si possono dire in due modi, alcuni per sé altri a causa di quelli (bene/i in sé e beni
relativi)

Se il bene non comprende i beni relativi allora la forma è vuotail bene non è qualcosa di comune che si
dice secondo una sola idea

IpotesiAnche se vi è un bene unico, ed è predicato comune, oppure è separato ed è in sé una qualche


cosa è chiaro che non potrà mai essere un bne realizzabile mentre noi cerchiamo qualcosa di simile,
bisogna parlare del bene pratico

Siccome i fini sono numerosi, scegliamo alcuni fini a causa di altre cose, nn tutti i fini soo perfetti ma il fine
più alto è evidentemente qualcosa di perfetto. Qualcosa di perfettoo e autosufficiente ci appare quindi la
felicità (2)

Il sommo bene è la felicità, bisogna cogliere l’agire tipico dell’uomo (la funzione, la natura, il compito). La
relizzazione dell’ergon è legata alla parte razionale, complessità, racciude dimensione del desidero

Una parte è razionale in senso stretto, un’altra (desiderativa) è partecipe della ragione.

Qual è il compito proprio dell’uomo? È evidente che il vivere è comune anche alle piante mentre noi
cerchiamo qualcosa di specifico, bisogna escludere anche il nutrirsi e crescere, sensazioni sono comuni ache
agli animali

Rimane solo un certo tipo di vita attiva, propria della parte razionale. Di quest’ultima una parte è razionale
perché obbedisce alla ragion, un’altra è razionale perché la possiede e riflette

Ma se l’opera propria dell’uomo è l’attività dell’anima secondo ragione o non senza ragione e se diciamo
che sono identiche l’opera propria di una certa cosa e l’opera della versione eccellentw di quella stessa
cosa, il bene umanoo risulta essere attività dell’anima scondo virtù e se le virtù sono più d’na secondo la
migliore e la più perfetta e in una vita completa, come una rondine non fa primavera e non la fa un sol
giorno di sole così un sol giorno non fa felice e beato nessuno
La felicità ha bisogno di beni esteeriori, è impossibil o non facile compiere azioni belle se si è sprovvisti di
risorse

Ci si domanda anche se la felicià possa essere insegnata o se sia frutto di abitudine o si acquisisce attraverso
un qualche altro tipo di esercizio o è un dono dlla provvidenza divinala felicità è attività dell’anima
secondo virtù, alcuni beni è indispennsabile averli a disposizione, altri invece sono per natura utili. (beni
indispensabili=ricchezza, beni util= virtù)

nei confronti della felicità vi sono elementi di passività (ciò che accade) ma anche elementi di attività

quando uno è morto lo si può dire senza dubbio felice perché ormai è al di là dei mali e delle sventure

le caratteristiche che noi cerchiamo apparterranno all’uomo felic ed egli sarà tale per tutta la vita,
sopporterà benissimo le vicende della sorte (tetrangolo, ben piantato) e siccome molte sono le vicende
della sorte e differenti tra loro secondo grandezza, òle fortune piccole com le sfortune piccole non ganno
peso nella nostra vita mentre le fortune e sfortune grandi se positive rendono la vita più beata, se negative
riducono e oscurano la beatitudine in quanto comportando dolori e impediscono molte attività, risplende
comunque il bello quando uno sia capace di sopportare con calma molte e grandi sventure non per
insensibilità ma perché è nobile e fiero

l’uomo felice non diventerà mai misero ma nemmeno beato se cadrà in sventure degne di quelle di priamo

cosa ci impedisce allora di dire felice colui che agisce secondo virtù completa ed è provvisto a sufficienza di
beni esterni non in un qualsiasi periodo di tempo ma in una vita completa? Def più completa di felicità

si dice che una parte dell’anima è irrazionale e una parte razionale (moodle) nell’anima irrazionale una
pparte sembra esser comune anche ai vegetali (causa della nutrizione e della crescita. Parte nutritivam nn
ha nulla a che vare con la virtù umana), anche un’altra parte dell’aima sembrerebbe essere irrazionale ma
essa partecipa alla ragione,, la parte razionale richiama alle azioni migliori ma nell’uomo vi è per natura
qualcosa di diverso dalla ragione che lotta e si oppone alla ragione stessa, parte impetuosa, desiderante,
ascolta e obbedisce alla ragione. Allora la parte razionale sarà divisa in due, una razionale in senso forte e
in sé. L’altra come chi obbedisce al padre

alcune virtù sono morali, altre intellettuali

intellettuali: sapienza, senno, saggezza (dianoetiche)

morali: generosità e temperanza (etiche)

Capitolo 2
Dato che la virtù è di due tipi, intellettuale e morale,

la virtù intellettuale in genere nasce e si sviluppa a partire dall’insegnamento per cui ha bisogno di
esperienza e di tempo

la virtù morale deriva dall’abitudine, nessuna virtù morale nasce in noi per natura dato che nessun ente
naturale si abitua ad essere diverso

quindi le virtù non si generano in noi né per natura né contro natura ma è nella nostra natura accoglierle e
sono portate a perfezione in noi per mezzo dell’abitudine

inoltre nel caso di ciò che si genera in noi per natura prima noi ne possediamo la capacità e pi ne
esercitiamo l’attività (dynamis, energheia) invece acquistiamo le virtù perché le abbiamo esercitate in
precedenza come avviene anche nel caso delle arti, quello che si deve fare, qiando si è appreso facendolo lo
impariamo, per esempio costruendo si diviene cotruttori e allo stesso modo compiend attti giusti si diventa
giusti

1. Le virtù non nascono in noi per natura,


2. Necessitano di abitudine, ingegno ed esercizio
3. Non ci sono date per natura ma non sono nemmeno contro natura, dimensione naturale c’è ma la
vanno assecondate, pre—disposizione, viene prima della hexis, disposizione, stato abituale

Finalità sia pratica che conoscitiva ma finalizzata all’agire buono (eupraxia). Non stiamo indagando per
sapere cos’è la virtù ma per diventare buoni, esaminare il campo delle azioni, son esse a determinare la
qualità del carattere

Discorso sulla prassi deve essere sviluppato a grandi linee senza precisione poiché ciò che rientra nel campo
dell’utile e della prassi non ha nulla di stabile

Indagare cosa sia la virtù. Tre sono le cose che si generano nell’anima:passioni, capacità, stati abituali

1. Chiamo passioni: desiderio, ira, paura, ardimento, invidia, gioia, affetto, odio, brama, ggelosia, pietà
e in ggnrale tuttto ciò a cui fa seguito piacere e dolore. Passività, qualcosa che caratterizza l’ehos,
sono plastiche, possono essere plasmate, giusto mezzo della passione, educazione sentimentale
2. Chiamo capacità quelle cose in base alle quali siamo capaci di provare quelle passioni, es ciò in base
a cui siamo in grado di adirarci, addolorarci o avere pietà
3. Chiamo stati abituali quelle cse in base alle quali ci attegiamo bene o male riguardo alle passioni, es
riguardo all’adirarci, se lo facciamo in modo violento o rilassato

Né le virtù né i vizi sono passioni perché non consentono la scelta mentre le virtù sono tipi di scelta, e non
sono nemmeno delle capacità infatti non veniamo detti buoni o cattivi per il fatto di essere capaci
semplicemente di provare passioni, inoltre le capacità le abbiamo per natura ma non diventiamo buoni o
cattivi per natura e se quindi le virtù non sono né passioni né capacità rimane solo che esse siano stati
abituali

Definizione generale di virtù, realizzazione del compito specifico dell’uomo, realizzazione dell’ergon ma
accezione primaria di virtù non solamente morale, può in questi termini riguardare anche l’occhio o il
cavallo. Aristotele parte dalla definizione generale per restringere l’esempio solo all’uomo

La virtù ha l’effetto di portare alla buona realizzazione ciò di cui è virtù, la virtù dell’occhio rende eccellente
l’l’occhio o la vistù del cavallo rende eccellente un cavallo e buono per correre, la virtù dell’uomo verrà ad
essere lo stato abituale per cui l’uomo è buono e compie bene la sua opera

È possibile cogliere il più, il meno, l’uguale sia sulla base della cosa stessa che relativamente a noi, uguale è
ciò che è una sotra di intermedio tra eccesso e difettomeson, mesotes, giusto mezzo si può
comoorendere sia intermini aritmtici che in termini morali

Se dieci sono molti e due sono pochi sei viene preso come giusto mezzo rispetto alla cosaproporzione
matematica

Ogni esperto rifugge dall’eccesso e dal difetto ma cerca il giust mezzo e lo sceglie, non quello relativo alla
cosa ma quello relativo a noi. Il giusto mezzo non è lo stesso se lo considero pros hemas, soggettività,
oscillazione

La virtù verrà a essere ciò che tende al giusto mezzo, virtù morale che riguarda le passioni e le azioni ed è in
queste che si danno eccesso, difetto e giusto mezzo. Bisogna provare una passione nel moomento adatto,
riguardo le cose e in relazione alla gente adatta per il fine e nel modo adatto. (kairos, momento opportuno)
L’eccesso e il difetto sono propri del vizio, la medietà è propria della virtù. La virtù è uno stato abitualle che
produce scelte, consistente in una medietà rispetto a noi, determinato tazionalmente e come verrebbe a
determinarlo l’uomo saggio. Virtù= hesis praietikke, proairesis=sceltadisposizione concernente la scelta,
noi individuiam secondo ragione e prendedo d’esempio l’uomo saggio

Culmineeccellenza, accezione molto positiva e diversa da estremi del vizio. Secondo la sostanza virtù è
medietà (ontologia) secondo la morale la virtù è il culmie (eccellenza, non piatto)

Non ogni azione né ogni passione accoglie la medietà, alcune infati connettono strettamente alla cattiveria
come ad esempio malevolenza, impudenza, invidia e tra le azioni adulterio, furto e omicidiola medietà
conosce dei limiti, punti invalicabili, alcune azioni sono sbagliat di per sé, una sorta di deontologia intrinsece
malum, è sbagliato indipendentemente dalle conseguenze, sbagliato in sé e per sé

Così di quei vizi non vi è né medietà, né eccesso, né difetto


ma come uno li mette in pratica sbaglia

Bisogna applicare anche ai casi particolari ì, infatti nei


discorsi che riguardano il campo della prassi, quelli
universali sono più vuoti, quelli particolari più
veritieripiù importanti i casi particolari ma non si può
tralasciare anche gli universali ache se sono più vuoti di
contenuto

Coraggio è giusto mezzo tra eccesso (temerarietà) e difetto (viltà)

L’opposizione può essere di due tipi

1. Contraddizione come tra essere e non essere


2. Contrarietà, non conosce opposizione così radicale, i rapporti cambiano a seconda della prospettiva
che assumo, es temerarietà, coraggio, viltà sono accomunati dalla paura e a seconda della
prospettiva il giusto mezzo può cambiare

Dato che vi sono tre disposizioni delle quali due riguardano i vizi, l’uno per eccesso e l’altro per difetto e
una riguarda la virtù, cioè la medietà, ognuna delle tre si oppone a tutte le altre, infatti le disposizioni
estreme sono contrarie sia a quella intrermedia sia tra loro e la disposizione intermedia si oppone a quelle
estreme. Così gli stati abituali intermedi sono eccessi rispetto ai difetti e difetti rispetto agli eccessi. Quelli
che stanno agli estrmi respingono da sé quelli che stanno nel giusto mezzo, ciascuno verso l’altro estremo e
il vigliacco chiama temerario il coraggioso mentre il temerario lo chiama vigliacco, vi è magior contrarità
degli estremi tra loro che rispetto al giusto mezzo. il
giusto mezzo in certi casi si oppone di più al difetto
e in altri all’eccesso, per esempio il coraggio si
oppone di più alla viltà che alla temerarietà e alla
temperanza si oppone di più la mancanza di
autocontrollo che è ecceso rispetto all’insensibilità
che è difetto

Devo modulare il mio comportamento, non si dà ma virtù etica che non sia sostenuta dalla phronesis

Capitolo 3
Il libro presenta capitoli non lineari in quanto formato da appunti per le lezioni
Volontarietà non solo in riferimento alle azioi ma anche alle passioni, diverso da intellettualismo etico di
socrate che sosteneva che se fai il male è perché non conosci il bene e ciò che contava era l’elemento
cognitivo. riflessione normativa tra teleologia e deontologia

Lodi e biasimi venfono attribuiti er le passioni volontarie mentre per quelle involontarie si dà perdono è
necessario distinguere il volntario dall’involontario. Si pensa che siano involontarie quelle azioni compiute
per forza o per ignoranza. È compiuto per fotza un atto cui è esterno il principio ed è tale che a esso non
contribuisce per nulla colui che agisce o subisce. È dubbio se siano volontarie o involontarie quelle azioni
compiute per paura di mali peggiori o a causa di qualcosa di bello, le azioni del genere sono miste ma
assiigliano di più a quelle volontarie, infatti nel momento in cui vengono compiute sono frutto di una scelta
e il fine dell’azione dipende dalle circostanze. Quindi le cose di questo genere sonno volontarie anche se,
forse in assoluto sono involontarie (non è certo). In certi casi non si fanno elogi ma si perdona ma di cero
certe cose non possoo mai esserci imposte e piuttosto si deve morire. Margini di azione ristretti, unisce
deontologia e teleologia

IGNORANZA O IGNORANDO

L’agire per ignoranza e l’agire ignorando sono cose diverse, chi è ubriaco o infuriato non ci pare che agisca
per ignoranza ma agisce per ubriachezza o furore senza sapere quello che fa, ignorandolo. Ora tutti i cattivi
ignorano quello che si deve fare e ciò da cui ci si deve astener ed è a causa di questo errore che diventano
ingiusti e viziosi ma l’involontario non vuole essere attribuito al caso in cui uno ignori ciò che gli è utile.
L’IGNORANZA CHE SI ANNIIDA NELLA SCELTA NON è CAUSA DELL’INVOLONTARIETà MA DELLA CATTIVERIA

Se non conosco le circostanzeignoranza di ciò in cui si dà l’azine si dice involontario ma bisogna in più che
l00azione produca dolore e pentimento

Siccome è involontario ciò che avviene per forza o ignoranza, il volontario ci sembrerà ciò il cui principio è
in chi agisce quando costui conosca i singoli aspetti nei quali l’azione si verifica. Atti compiuti a causa
dell’impetuosità p del desiderio sono volontari. Animali, fanciulli e uomini agiscono volontatiamente, sono
a conoscenza delle circostanze e hanno causa interna

Azioni sono volontarie quando la causa dell’azione/principio è interno e c’è conoscenza del circostante,
involontarie se per forza o ignoranza

SCELTA

Elemento di distinzione negli adulti è la scelta. La scelta appare strettamente connessa con la virtù. È un che
di volontatio ma non è identificata con il volontario perché esso ha una maggiore estensione, gli animali e i
fanciulli hanno a che fare con il vlontario ma la scelta è a loro estranea, diciamo volontari gli atti improvvisi
ma non li diciamo frutto di una scelta, la scelta non si trova anche negli animali irrazionai ma impulso e
desiderio sì

La scelta non è nemmeno volere sebbene sia evidene che è dellla stessa specie, non si dà infatti scelta delle
cose impossibili mentre si dà volere degli impossibili. Il volere è soprattutto relativo al fine mentre la scelta
è ciòche porta al fine. La scelta riguarda quello che dipende da noivogliamo essre felici ma non possiamo
sceglierlo perché entrano in gioco fattori esterni che non dipendono da ni, la scelta non è una funzione di
tipo conoscitivo, ha a che vedere con il bene e con il male. La scelta non sarà nemmeno opinion che è
invece rivolta a ogni oggetto e si divide con il criterio del vero e del falso e non del bene e del male come la
scelta. La scelta è volontaria ma non tutto ciò che è volontarioè oggetto di scelta,, vicinanza ma non
completa sovrapponibilità

DELIBERAZIONE
Stretta connessione tra deliberazione e scelta. Deliberazione solo ciò che dipende da noi e precede la
scelta, attività riflessiva. Sulle cose eterne nessuno delibera e nemmeno sulle cose in divenire e che
avvengono sempre allo stesso modo e nemmeno sulle cose che avvengono ora in un modo ora nell’altro
(siccità e piogge) né sulle cose che derivano dal caso e nemmeno sulla sfera delle cose umane (uno
spartano non delibera su quale sia la miglior costituzione per gli sciiti. Nulla di tutto ciò potrebbe avvenire a
opera nostra. Deliberiamo invece sulle cose che dipendono da noi e sono realizzabili (es questioni mediche,
come guadagnare denaro). Deliberiamo più sulle arti che sulle scienze infatti siamo più incerti sulle prime. Il
deliberare si dà nei casi che avvengono per lo più (mondo del possibile e dell’incerto, ricerca)

E ci procuriamo dei consiglieri per gli affari di grande importanzaconsiglio=deliberare insieme.


Deliberiamo non sui fini ma su ciò che porta al fne e posto il fine indagano su come si deve realizzarlo. Ogni
deliberazione è una ricerca , sono la stessa cosa l’oggetto della deliberazione e l’oggetto della sceltam ciò
che viene scelto è già stato determinato e quindi su di esso si è già deliberato. Poiché oggetto della scelta è,
tra quanto dipende da noi, quello che è deliberato e desiderato, anche la scelta viene ad essere un
desiderio deliberato

VOLERE

Si dà volontà dell’impossibile ma non scelta dell’impossibile. Limite della concezione platonica, non
considera la mltplicità dei beni ma il bene può essere declinato interpretato i maniere diverse, a volte
anche erronee, l’esperienza platonica sottovaluta l’esperienza concreta

Abbiamo già detto che il volere riguarda il fine ma ai platonici pare che esso riguardi il bene mentre ai sofisti
il bene apparente (sono succubi dell’esperienza concreta, vi sarebbe una moltplicità di benu , impossibilità
di darsi un oggetto comune di bene)

Platonicioggetto del volere è il benenon si può volere ciò che non si sceglie corettamentesi sceglie
sempre e comunque il bene volutomodalità oggettiva

Sofistioggetto del volere è il beneper ciascuno è oggetto del volere ciò che gli appare buono non vi è
oggetto naturale del volere comune a cui naturalmente tutti tendano, per ciascuno è bene ciò che gli
appare tale, a persone diverse appaiono bene cose diverse e si dà il caso contrarie

Sintesidi conseguenza se queste conclusioni non ci soddisfano allora bisogna dire che in assoluto e
secondo verità OGGETTO DEL VOLERE È IL BENE ma che per ciascuno è il bene apparente e per l’uomo
eccellente è il bene secondo verità. Confutazione del presunto sillogismo (senza carattere di necessità) dei
pòatonici e dei sofisti

HABITUS

Virtù ma anche vizi creano un habitus, sembra che per un uomo giusto sia più semplice compiere atti di
giusizia ma la volontarietà c’è ancora, prende distanze da intellettualismo etico, non agisco male perché
non conosco.

Il fine è voluto mentre i modi di raggiungerlo ono deliberati e scelti, le azioni che riguardano quei modi
saranno secondo scelta e volontarie. Anche la virtù dipende da noi come pure il vizio, infatti in ciòò cui
dipende da noi l’agire dipende da noi anche il non agire. Nessuno è involontariamente felice ma la
cattiveria è cosa volontaria. L’uom è principio delle sue azoni e non possiamo ricondurre l’azione ad altri
principi oltre quelli che sono in noi, le cose i cui principi sono in noi dipenderanno da noi e saranno
volontarie

Se c’è ignoranza di per sé non c’è volontarietà? Aristotele contstaresponsabilitàubriaco si è ubriacato


volontariamente e ha compiuto azion che l’hanno portato a comportarsi in maniera tale. Perciò si danno
punizioni anche per l’ignoranza quando uno sembri colpevole della sua ignoranza, il principio è nell’ubriac,
era padrone di non ubriacarsi ed è questa la causa dell’ignoranza, responsabilità verso noi stessi. Es vizio
del fumonon basta un singolo atto di giustizia o ingiustizia, devo con fatica costruire un nuovo habitus. Se
ho un habitus vizioso posso compiere facilmente azioni viziose ma ha avuto la possibilità e ho scelto di
diventare una persona di quel tipo. Se ciascun è in qualche modo causa a se stesso del suo stato abituale
sarà lui stesso, in qualche modo responsabile anche dell’apparire. Pino conoscitivo, piano dell’esperienza,
doppio registro: conoscitivo e pratico. Noi siamo padroni delle nostre azioni dal principio fino alla fine, per
gli stati abituali siamo padroni del loro inizi ma ciò che si aggiunge in ogni singolo caso non ci è noto, ma
siccome dipende da noi farne uso o no sono volontari per questo

Capitolo 5
Libro sulla giustizia. Dikaiosyne= giustizia, dike= giudizio, dicernimento, processo in tribunale, adikaiosine
accezione più ampia contiene hexis, mesotes e pros heternon. Adika= ingiustizia.

Tutti intendono chiamare giustizia quell stato abituale tale da rendere gli uomini capaci di compiere sulla
base di esso, le azionni giute, cioè sulla bas del quale essi agiscono giustamente e vogliono ciò che è giusto

Uomo giusto= chi rispetta la legge ed è onesto mentre uomo ingiussto è chi va contro la legge, chi è avido e
disonesto. Giusto=lecito, onesto; ingiusto=illecito e disonesto

Giusto come rispetto della legge non si riferisce alle leggi vigenti, non è un criterio di tipo fattuale ma
principio di legalità, legislazione di tipo normativo, legge come dovrebbe essere nel suo valore più proprio

Le leggi tendono all’utile comune, per tutti, per i migliori o comunque per chi governa, noi diciamo giusto
ciò che produce e preserva la felicità e le parti di essa nell’interesse della comunità politica. La legge
prescrive di compiere le opere tipiche dell’uomo coraggioso, temperantee, mite. Questo tipo di giustizia è
virtù completa non in generale ma rispetto al prossimo. In che cosa differiscano la virtù e questo tipo di
giustizia è chiaro da quanto abbiamo detto, da un lato è la stessa ma l’essenza non è identica, la giustizia è
rivolta all’altro mentre la virtè è una stato abituale di tipo assoluto

Giustizia come virtù particolare e ingiustizia particolare. Se uno commette adulterio per ottenere un
guadagno e ne trae beneficio e un altro invece lo fa per desiderio rimettendoci di tasca propria e andando
incontro a castighi, il secondo sembrerà essere incapace di dominarsi più che essere avido mentre il primo
sarà ingiusto ma non sarà capace di dominarsiadulterio per intemperanza e adulterio per guadagno nono
diversi, entrambi ingiusti ma il secondo è pù grave del primo

Sia ingiustiizia particolare che ingiustizia generale trovano la loro efficacia nel rapporto con l’altro ma la
seconda riguarda l’onore, la ricchezza, la salvezza o qualsiasi altro termine si usi per comprendere tutti
questi beni, ed è causata dal piacere che si trae dal guadagno mentre la prima riguarda tutte le attività
tipiche dell’uomo virtuoso

1. una specie della giustizia particolare e del giusto secondo questa è quella che consiste nella
ripartizione di onori, ricchezze e qualsiasi altra cosa possa essere divisa tra i membri della comunità
politica, infatti in questi casi è possibile che ci si comporti in modo onesto o in modo
disonestoGIUSTIZIA DISTRIBUTIVA, criterio di merito/valore no criterio del bisogno o di
uguaglianza quantitativa
2. un’altra è quella che stabilisce la correttezza nelle relazioni sociali, di quest’ultima vi sono due parti
visto che alcune relazioni sociali sono volontarie (vendita, compera, prestito a interesse) e altre
involontarie che a loro volta si dividono in nascoste (furto, adulterio,…) e violente
( imprigionamento, assassinio, rapinaGIUSTIZIA CORRETTIVA
siccome chi è ingiusto è disonesto e ciò che è ingiusto è disuguale è chiaro che bi è un tipo di medietà
relativa all’ingiusto. Questa è l’uguale, infatti in qualsivoglia azione vi è il più e il meno, vi è ache l’uguale.,
se quindi l’ingiusto è il diseguale, il giusto è l’eguale.

Il giusto si ha come minimo tra quattro termini, infatti l persone tra cui si ha un giusto rapporto sono due e
due le cose rispetto a cui si ha un giusto rapporto

Tuttti concordano che nelle distribuzioni il giusto deve essere valutato ripetto a un qualche valore ma
quanto al valore non tutti accettano di applicare lo stessoi democratici prendono in considerazione la
libertà (no accezione positiva della democrazia), gli oligarchici la ricchzza e a volte la stirpe, gli aristocratici
la virtù

Il giusto è quindi in un certo modo frutto di una proporzione, infatti la proporzione non è propria solo del
numero matematico ma in general delle quantità misurabili, la proporzione è un’uguaglianza di rapporti e si
ha almmeno tra quattro termiinila proporzione discontinua si ha tra quattro termine ma anche quella
continuacontinua A:B=C:Ddiscontinua A:B=B:C.

Se A sta al termine B così come C sta al termine D, questa è la corretta connessione che viene ralizzata dalla
distribuzione ese i termini saranno connessi così allora saranno connessi giustamente. Se si devono
distribuire dei beni comuni lo si farà secondo lo stesso rapporto che hanno tra loro i contributi dati
l’ingiusto sarà quello che viola la proporzionegiustizia distributiva

Non fa nessuna differenza che sia stato un uomo dabbene a derubare un uomo dappoco o sia stato un
uomo dappoco a derubare un uomo dabbene, la legge guarda solo alla differenza prodotta dal danno e
tratta le due part come uguali. Giudice intermediario, mesongiustizia correttiva

La correttezza viene a coincidere con l’intermedio tra perdita e guadagno

Il giudice restaura l’uguaglianza e come nel caso di un segmento diviso in due parti disuguali toglie alla
sezione maggiore tanto quanto essa supera la metà e lo aggiunge alla sezione minore.

Tutto ciò di cui si dà scambio deve essere in qualche modo commensurabile. A questo scopo è stata
inventata la moneta che è divenuta in un certo modo un intermedio. È necessario infatti che tutto venga
misutato con qualcosa di unitariovalore della moneta

La giustizia è un certo tipo di medietà ma non allo stesso modo delle altre virtù, lo è perché riguarda il
giusto mezzo mentre l’ingiustizia riguarda

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