Sei sulla pagina 1di 471

Cosa voglio dire?

Che ci sono caratteristiche dell'u omo che


sono rimaste inalterate nei secoli. Ci sono cose nell'essere
umano che sono valide oggi come erano valide tremila anni
fa.
Allora i Comandamenti, ad esempio, erano capaci di pre­
scrivere una norma morale che è rimasta valida sino ai vostri
giorni. Per quegli aspetti l'uomo non è cambiato, e quasi
certamente non cambierà. Ho detto prima "con delle oscilla­
zioni" perché comunque l'uomo in parte cambia, in parte è
cambiato, ma non nella sostanzialità del suo modo di apparire
nel mondo. Allora la medianità - parliamo delle medianità
importanti, quelle che dietro hanno un progetto, un program­
ma, un'idea - e che dunque sono simili alle rivelazioni, sono
simili alla mistica, sono simili alla creatività, costituiscono un
messaggio che se appare moderno, per usare un vostro termi­
ne, lo è fino a un certo punto, poiché contiene al suo interno
osservazioni , rivelazioni che andavano bene anche tremila anni
fa.
Non a caso vi sono modelli di ragionamento anche tra i
filosofi che sono al di fuori del tempo.
Perché alcu ne filoso fie greche sono valide ancora oggi?
Perch é più che filosofie io le definirei rivelazioni: il modo con
cui si affronta il prob lema dell'uomo, il problema della verità,
il pro blema del divin?, !l pro_blema dello Spirito, a parte le
preferenze dei singoli filosofi che ha�no p�tuto,_ anche col
. _
linguaggio, modellare le loro stone filosof1che in mamera
soggettiva, al di là di q�esto �onten_gono delle preziosità ca­
paci di mitizzarsi, p_erche_ vere m ?gm :_ontesto culturale. Ta_nto
è vero che oggi voi stuellate la filosofia greca come una filo­
sofia attuale, non come una filosofia antica, e dovete conti­
nuamente fa re i conti con una filosofia nata tanto tempo fa,

6
riche. Gli uomini credono facilmente nelle verità retoriche: il
bene, il male, la bellezza, la grandezza, il giusto, l'ingiusto;
con questi valori in parte retorici, anche se funzionalmente
veri, ma tutto sommato retorici, è facile credere, perché gli
uomini hanno bisogno, direi, delle beJle parole.
Ma qui il credere coincide con l'operare; e qui è il difficile,
perché in quanto all' operare nessuno di voi umani opera e
tutti supponete che poi intervenga qualcun'altro ad operare al
vostro posto. Ma se questo qualcuno opera al vostro posto
voi ve Ja prendete con Dio, perché il qualcuno che opera al
vostro posto altro non è che le continue piaghe che avvolgono
la vostra vita, altro non sono che i dolori, le perdite, gli sti­
moli. Queste cose, quando avvengono, e possono servire a
stimolarvi, per voi diventano quasi una cattiveria di Dio. E
allora dovete decidervi: che senso date alla vostra vita? Se
glielo volete dare. Per quale motivo siete al mondo? Perché,
appunto, voi sì siete dei viventi e gli altri no, sono già dei
morti. Che cosa di speciale avete voi per continuare ad avere
il diritto di vivere?
Se vivete è perché dovete raggiungere la persuasione che
la vita è un lavoro di ricerca, di cambiamento, di prova e di
riprova, di lotta continua, di lotta in tanti modi: si lotta per
diffondere una verità, si lotta per dare più giustizia al mon­
do, si lotta per motivi sociali, per motivi politici; si lotta per
una maggiore giustizia, per vincere attraverso la scienza al­
cune malattie dolorose, per dare da mangiare a tutti gli es­
seri umani. Tanti sono i motivi della lotta. L'unica cosa che
non è inscritta nel processo esperienziale dello Spirito è l'inat­
tività: guarda caso il vostro ozio, la vostra inattività, il vostro
modo di non affrontare il mondo, di non affrontare 1' esperien­
za, di non affrontare i dolori, il vostro modo di fuggire con-

14
avvertimento col quale fare precedere tutte le cose che noi
diciamo - lo Spirito si trasfonde nell'altro e l'altro si trasfonde
in ciascun soggetto, ma si tratta di una unione e di un contatto
che dobbiamo intendere in senso concettuale.
Lo Spirito sa di non essere solo, in realtà, di non essere
solo nell'Universo, lo sa, lo sa per molte ragioni: prima di
tutto c'è la conoscenza banale del sapere di non essere solo;
io la chiamo banale perché in effetti è una conoscenza elemen­
tare e banale.
C'è però la percezione: lo Spirito appartiene e scambia con
l'Universo, individua la radice, sa di essere figlio dell'Univer­
so, così come è figlio dell'energia che costituisce l'Universo.
Questa percezione-intuizione della matrice sua profonda lo
porta ad un profondo senso di unità con l'esterno da sé: già
la solitudine direi si allenta, perché c'è una comunione di in­
tenti, una finalità sconosciuta del proprio essere Spirito e
dell'essere dell'Universo, ma non importa sapere quale sia la
finalità, ma avere conoscenza che questa finalità c'è, e c'è
anche la conoscenza tutta soggettiva che altri soggetti parte­
cipano allo stesso fenomeno.
Se però prendiamo il pensiero semplice dello Spirito nel
momento in cui egli costruisce se stesso nel proprio interno,
nel momento in cui risveglia il suo potenziale, egli allora in­
contra dentro di sé altre percezioni, altre intuizioni, c'è cioè
la strada del divino che lo indirizza, lo risucchia, in cui egli si
raffronta e in cui riconosce di non essere solo, poi, in effetti.
Quando voi parlate di solitudine parlate sempre di oggetti
materiali, quello di essere soli da un punto di vista proprio
materiale, psicologico, affettivo, emozionale, di non scambia­
re con altri, di non avere affetti e di non ricevere affetti,
insomma di vivere appunto soli: è una percezione in effetti

44
Quindi le due funzioni coincidono: da qui il concetto di
unità, perché in qualche misura lo Spirito non è altro che una
creatura, come dicevo all'inizio, dell'Universo, è qualcosa che
è diventato individuale, ma che conserva i caratteri di tutta
l'emanazione, di tutta la creazione.

D.: C'è la possibilità per un incarnato, dopo aver superato


la metà della propria vita, di riscoprire i segni del proprio
progetto, ci sono degli indicatori di qualità che possano permet­
tere di capire su quale strada si è avviato, nell'intento di poten­
ziare, di essere consapevole di certe cose, c'è questa possibili-
'?
{a.

A.: Ovviamente la possibilità c'è, c'è sempre Ja possibilità


- non ne farei una questione di età, ne farei una questione
appunto di qualità della vita - di scoprire non direi tanto il
proprio progetto, questo non è possibile, ma cli scoprire la
natura essenziale di sé, ma questo dipende dal modo in cui si
vive.
Voglio dire che la scoperta del proprio io profondo, la
scoperta della propria anima è la conseguenza di un tipo di
lavoro che le persone fanno sul proprio corpo umano e socia­
le; quello crea il riconoscimento del!'anima, e paradossalmen­
te, dico paradossalmente e in gran parte è così, questo lavoro
è costituito soprattutto proprio dall'abbandono dei corpi: quan­
to meno vivete nel senso corporale e sociale, vale a dire quanto
meno vivete con le vostre convinzioni e convenzioni sociali,
più vi avvicinate alla vostra anima, perché l'anima appartie­
ne ad un altro mondo, ed è bene che lo sappiate definitivamente
è un altro mondo, costituito da altre leggi e altre regole altri
codici, da altra etica, da altre morali.

46
Certo, bisogna dire che la civiltà ha bisogno di regole, e
sono d'accordo, la civiltà ha bisogno di regole, però dopo che
abbiamo definito cosa intendiamo per civiltà.
Se per civiltà intendiamo un mondo di giustizia, un mondo
in cui ci sia una equa e giusta distribuzione dei beni e delle
ricchezze, un mondo in cui le persone si incontrano per strada
e si salutano e si abbracciano, un mondo in cui si soccorra chi
abbia bisogno, etc. ... allora ci vogliono le regole, ma forse un
mondo fatto di questi soggetti non ne avrebbe più bisogno,
sicuramente. Allora quando noi diciamo regole dobbiamo in­
tendere regole per costringere gli uomini al rispetto dell 'al­
tro.
Quando ciò si fa noi chiamiamo le regole il risultato di una
civiltà, ma io dovrei dire che è il risultato di una inciviltà,
perchè quando uno Stato o un mondo è costretto a mettere le
regole vuol dire che non sta attuando una civiltà ma sta con­
trollando una inciviltà.
Tutto questo lo Spirito lo sa, lo Spirito che si incarna è
informato di quella che è Ja situazione, però attenzione, infor­
mare uno Spirito non significa che lo Spirito abbia capito
tutto, perché uno Spirito che non possieda più il linguaggio
umano fa fatica a capire che si incarnerà in un mondo dove le
regole per così dire dette "spirituali" non verranno più attua­
te, perché in effetti c'è un capovolgimento, lo Spirito parte­
cipa o può partecipare ad una collettività universale, in cui
non ci sono le cose che avete voi, la malizia, la cattiveria,
l'odio, lo sfruttamente, l'ingiustizia.
Tutto questo non c'è nel nostro mondo: lo Spirito è effet­
tivamente immesso in un inferno quando si incarna, e dunque
è sopraffatto da una vera e propria incapacità a reagire, ed
allora cerca poi i compromessi, cerca anche le vie di fuga,

48
zione è sempre al livello mentale, ed è sull'elaborazione che
si gioca la partita dell'esperienza, perché è sulla modalità in
cui viene assunta l'esperienza che poi la conoscenza trapassa
allo Spirito, quindi certamente, tutte le sfumature di tipo psi­
cologico diventano, possono diventare esperienze.

D.: Sotto l'aspetto che dicevi prima, cioè che lo Spirito tende
alla morte, può qualche essere spirituale programmarsi questo
e darsi la morte a conclusione di un raggiungimento di cono­
scenza della vita, come per esempio aver raggiunto la compren­
sione dell'impermanenza del mondo materiale? Ad esempio mi
riferisco a certi riti orientali in cui si davano la morte anche per
dimostrare un'etica.

A.: Questo tipo di morte no, perché questo tipo di morte


rientra all'interno di un rito più che di un bisogno dello Spi­
rito, è un bisogno legato alla propria storia, alla propria etnia,
ai propri usi, alle proprie religioni, alle proprie filosofie, e
quindi c'è una suggestione della morte, non una necessità della
morte, quindi queste no.

D.: Diventa anche una rappresentazione.

A.: Una rappresentazione, si capisce, come tutti i riti è


anche una rappresentazione. Ci sono poi le morti, Ja morte
suicidio, che tuttavia io non demonizzerei come fate in Terra.
Sicuramente, e lo abbiamo sempre detto, 1'uomo non deve
darsi la morte, perché voi non sapete quand'è che lo Spirito
vuole darsi la morte; in effetti dietro molti suicidi c'è una
precisa volontà dello Spirito, che vuole lasciare il corpo, però
voi non lo potrete sapere mai, e dunque è conveniente che

so
entrare nel mito, nel simbolo, nella storicità più che nella sto­
ria, sono programmate, certo. Ma non solo la morte può es­
sere programmata in questo senso, anche alcune tipiche figure
che hanno dato alcune svolte alle civiltà sono programmate.
Tutto ciò è oltre la norma anche se non tutte di queste può
dirsi che siano programmate. Ma del resto sono programmate
le vite di tutti, perché poi non dovrebberlo essere anche quel­
le, anzi.

D.: Da sempre ho fatto una netta distinzione tra vita ed


esistenza, considerando la vita, soprattutto quella umana, a
termine, con un inizio e una fine, l'esistenza invece, come un
fatto infinito, naturalmente escludendo dal primo concetlo la
vita in senso universale, come genesi del tutto. Non so se si
può rafforzare questo concetto di diversità tra vita ed esi­
stenza.

A.: Sì, può farsi questa precisazione tra vita ed esistenza,


se consideriamo la vita come un fenomeno e l'esistenza come
un fatto legato all'essere dell'Universo, ed allora la vita è
precisamente la forma che prende l'essere o l'esistenza.
L'Universo indubbiamente esiste, la sua autosussistenza e
la sua sussistenza sono eterne, sono sempre state ed esistono
come principio, indipendentemente dallo svolgersi come vita o
come vite.
Qui a questo punto si potrebbe fare una considerazione: se
cioè sia necessario, affinché ci sia la vita, che sussistano le
cose che poi prendono vita, o se l'esistenza possa esserci
anche senza le cose che poi prendono vita.
Non è un problema da poco, perché è un problema che ha
toccato un po' tutti i filosofi, se non tutta la filosofia, ma gran

52
A.: È l'esistenza in sé rispetto all'esistenza definita o
definibile. e allora l'esistenza in sé. Dio poteva fare l'Universo
senza lo Spirito?
Il problema deve essere ancora spostato più avanti, se il
problema si sposta più avanti si risolve, e si risolve soltanto
ammettendo l'esistenza di Dio, certo, perché se lo sposto più
avanti il problema ed incontro Dio, io incontro comunque
quella famosa unità, che stiamo chiamando Dio per intenderci,
quella famosa unità in cui l'essere e l'apparire sono la stessa
cosa, e cioè sono i due aspetti di una realtà che è unica, ma
questa realtà unica nel momento in cui abbandona la propria
unità e si scinde diventa l'essere e l'apparire, e quindi l'esiste­
re e l'apparire quale si presenta con l'esistenza di un Universo
da una parte, infinito ed eterno, un Universo meccanico per
capirci, ed un Universo spirituale che è egualmente infinito ed
eterno ma che non è soltanto più meccanico, ma rappresenta
anche l'Universo del giudizio, l'Universo delle idee, J 'Univer­
so quindi della ragione e delle idee. Allora lo spostamento in
avanti necessita di una unità, altrimenti diventa irrisolvibile e
si aggira su se stesso all'infinito.

D.: D'altra parte un esempio è in quello che hai detto a


proposito delle potenzialità. Le potenzialità esistono ma
finché non si realizzano non possono essere osservate da nes­
s1mo.

A.: Certo, però noi sappiamo che il principio della poten­


zialità è un principio esistente, e se non fosse esistente sareb­
be possibile, e quindi non si esclude mai del tutto.

D.: È proprio la definizione della potenzialità.

54
D.: Se Dio è infinito noi continuiamo ad essere in Dio, den­
tro.

A.: La domanda è ancora più sottile di quello che può


apparire subito in superficie, perché si tratta di un altro bel
problema.
Dico questo perché effettivamente noi ci troviamo di fronte
ad un numero enorme di domande perché nessuno di noi vede
Dio, quello è il punto limite anche per noi.
Noi abbiamo di Dio sempre una certezza che proviene dal
nostro interno non obiettivata, non obiettivabile.
Ovviamente sorge un nuovo problema: ma chi è che dice
che le cose debbano essere obiettivabili, non potrebbero sol­
tanto essere soggettivabili? il concetto di obiettività è un con­
cetto che nasce con l'uomo, certo non nasce soltanto col
periodo in cui nasce la scienza, la scienza galileiana, ma cer­
tamente nasce dal categorizzare la realtà, quindi obiettivo e
soggettivo, ma tutto il mondo esistente potrebbe essere esclu­
sivamente un mondo soggettivo, cioè il mondo che lo Spirito
sente ed è, quindi esclusivamente il mondo che appartiene allo
Spirito, ed è lo Spirito che definisce ciò che è dentro di sé e
ciò che è fuori di sé, ma il fuori di sé, che sarebbe l'obietti­
vità, l'esterno da sé che Io Spirito vede e definisce, in realtà
Jo definisce e lo vede sempre nella propria soggettività, e
allora è la soggettività che è prevalente sulla oggettività.

D.: In questo caso l'oggettività non è data da quel che pensa


l'insieme degli Spiriti. È chiaro che è soggettivo, ma per ogni
Spirito.

A.: Se è soggettivo è per ogni Spirito.

56
cosa che non potrei verificare, perché non lo so se l'eternità
non debba poi avere un suo limite, io dico che è eterno, però
io non percorro tutta l'eternità, e che ne so io se uno Spirito,
per esempio, tra un milione di anni non debba morire; certo il
milione di anni è talmente lungo che io potrei dire che ha una
vita eterna, ma in effetti non ce l'ha eterna.
Allora dissi: è vera questa constatazione, però ce n'è un'al­
tra, che l'eternità che voi potete concepire è una eternità che
considera soltanto un eventuale futuro, ma non considera un
eventuale passato, allora io dovrei pur vedere, sentire, perce­
pire la morte degli Spiriti che provengono dal passato.

D.: L'eternità anteriore.

A.: Ecco, la vita anteriore. Ed invece è proprio il principio


della morte che è inesistente per lo Spirito, nessuno muore
mai, nessuna cosa nell'Universo è soggetta a morte, le verifi­
che sono tante, le verifiche mie interiori e le verifiche esterio­
ri, le verifiche direi del campo spirituale e le verifiche del
campo meccanico dell'Universo. Il principio della morte è un
principio inesistente, perché J'unico principio esistente è quello
della trasformazione che per lo Spirito chiamiamo evoluzione.
Questo mi basta per accertare proprio analizzando non soltan­
to questo, ma anche la struttura di cui io sono composto.
Un biologo sulla Terra sa bene che la cellula nasce vive e
muore, un biologo spirituale sa benissimo che gli elementi che
costituiscono la struttura dello Spirito sono elementi che non
nascono e non muoiono ma vivono soltanto.
Allora se dovessi fare proprio l'analisi microscopica del­
l'esistenza delle strutture di cui è fatto un essere spirituale io
direi che non c'è né la nascita né la morte.

58
ne allora tutta la soggettività dovrebbe essere attribuita a Dio
come principio spirituale universale assoluto.

A.: Certo, la soggettività è uno degli attributi principali di


Dio.

D.: E come si manifesta questa soggettività? Questo era il


problema che ponevo.

A.: Per quel che noi possiamo capire di Dio, la soggettività


di Dio si manifesta anzitutto con l'esserci di Dio, primo, che
è un po' la sua autosoggettività, e poi con l'emanazione, che
è un secondo passaggio, perché è una soggettività attiva.
Anche lì in Dio dovremmo distinguere tra soggettività e
l'essere di Dio, perché a quel punto la soggettività diventa
una proprietà dell'essere di Dio, diventa una caratteristica
dell'essere di Dio, ma qui siamo nella pura supponenza, per­
ché, ripeto, il discorso è soltanto teorico e non porta da nes­
suna parte se non ali'amore della dialettica per la dialettica.
Noi possiamo concludere semplicemente dicendo: Dio esi­
ste e basta, e voi non potete far altro per accertarvene.
Poi volete crederci o non volete crederci è affare vostro;
possiamo discutere sull'assenza di Dio dal mondo, si tratta di
discorsi che in parte sono puramente teorici, alcuni hanno
anche un carattere pratico, perché come sappiamo dall'esi­
stenza o meno di Dio nel mondo discendono poi le etiche, le
morali, si costituiscono le religioni, quindi le opinioni politi­
che, le opinioni sociali, quindi c'è un aspetto pratico dell'ac­
cettare o del non accettare determinati principi.
Poi credo che in questo momento nel mondo voi vi trovia­
te nel conflitto tra chi identifica Dio con la società e chi in-

60
vostri bisogni, le vostre speranze? Sì, ci sono state cose che
non sono dipese da voi, ma quante altre invece sono dipese da
voi, dalla vostra paura, dalla vostra ignavia, dalla vostra vi­
gliaccheria a volte, perché non riuscite a disinnescare certi
meccanismi diabolici, direi, che voi stessi avete creato con le
vostre famiglie, con i vostri compagni, con le vostre compa­
gne, con le vostre spose, i vostri sposi, i vostri figli.
Siete prigionieri di voi stessi più di quanto possiate pensa­
re.
Certo, io lo so bene quanto sia difficile cambiare, eppure
voi non ci provate minimamente, siete sempre gli stessi, trop­
po eguali, tutto sommato direi anche troppo monotoni, troppo
prevedibili, come se foste invasi da una tremenda stanchezza
che non vi dà più la forza di reagire.
Ecco perché in ogni momento della vostra vita voi dovreste
fare le vostre analisi, e non tentare sempre di vivere nella
quietitudine, per così dire, perché questo non vi dà conoscen­
za.
Voi spesso vivete sopportandovi, come se la vita apparte­
nesse ad un altro, come se voi non steste invecchiando, e che
tutto non stesse per diventare senza possibilità di ritorno, senza
possibilità di correggervi, irrecuperabili.
Io lo so che vi invito spesso a pensare questo, lo so anche
che tutto questo non vi tocca, la sensazione è che non vi
tocchi, come se le vite non fossero le vostre, e non so come
fare a scuotervi perché è un lavoro che ognuno di voi deve
fare da solo, non posso dire più di tanto, dico già troppo.
Le vite passano, vedete quanti fratelli già vi hanno lasciato,
quanti ne erano quando è cominciato questo cammino spiri­
tuale e quanti sono poi sopraggiunti dopo, e quanti altri
moriranno ed altri verranno, questo dappertutto, su tutta la

62
Io vedo tutto il tratto di strada, voi ne vedete solo una
parte, e allora se talvolta insisto e ripeto, tutto questo è per­
ché vedo quello che c'è dopo, e quindi so bene, per esperien­
za diretta questa volta, quello che poi è accaduto a tutti co­
loro che sono vissuti sulla Terra e hanno sprecato gran parte
della loro esistenza spirituale.
Le vite non si risolvono con la Terra e con i meccanismi
umani, questi sono soltanto i pretesti per capire qualche co­
s'altro, e sta a voi individuare ciò che deve essere capito e ciò
che non deve essere capito.
Se avete altre domande fatele ancora prima di lasciarvi.

D.: Hai parlato di chi è andato via: il ji-atello G.A. è pre­


sente nel nostro gruppo alle tue lezioni?

A.: Sì, a volte, sì, molti fratelli sono talvolta presenti e


quando dico avvicinarsi non intendo in senso fisico, ma par­
tecipare, essere su una determinata strada.
Dovreste imparare ad usare un po' di immaginazione nel
pensare uno Spirito.
Immaginazione significa sperimentare in una riflessione
vostra come potrei essere, come potrei pensare se non avessi
più i ricordi, il cervello, il linguaggio, la cultura, la definizione
anagrafica, come potrei essere, che cosa resterebbe di me, non
si tratta di una cosa tanto difficile.
Sapete quand'è che diventa difficile? Quando voi continua­
te a pensare sempre alla vostra soggettività in termini umani;
per voi la vostra soggettività è la vostra identità, nome, co­
gnome, quello che vedete nello specchio, quello che gl.i altri
vedono di voi, le vostre immagini dipinte, insomma quello
siete voi e non è vero, perché voi siete soprattutto le vostre

64
COMUNICAZIONI DELL'«ENTITÀ A»
Pubblicazione del CENTRO ITALIANO DI PARAPSICOLOGIA di
NAPOLI registrata il 14-9-1990 al n. 5897 nel Pubblico Registro del
Tribunale di BOLOGNA
Direttore responsabile: Corrado PIANCASTELLI
Redazione e diffusione:
Silvio RAVALDINI, Clara e Riccardo CESANELLI del Gruppo di lavoro
di Bologna - c/o Silvio RAVALDINI - Piazza Az.zarita, 5 - 40122 BOLO­
GNA - Telef. (051) 23 56 75 e 55 40 33 c.c.p. 13845409 intestato a
DONDI Clara in CESANELLI - BOLOGNA - Stampa Editcomp Bologna

SEDE PRINCIPALE DEL C.I.P.: Via Poggio de' Mari, 16 - 80129 Napoli
Presidente onorario: Giorgio di SIMONE
CONSIGLIO DIRETTIVO:
Presidente: Corrado PIANCASTELLI
Vice Presidente: Daina DINI PIEDISACCO
Consiglieri: Erminia GARGIULO - Elio WASCHIMPS - Enzo SPATUZZI
• Maurizio PIANCASTELLI - Teresa NAZZARO - Tiziana DE NOVELLIS
Coordinatrice di Segreteria: Erminia GARGIULO

Il Centro Italiano di Parapsicologia è a disposizione dei lettori e di tutti


i Soci per inviare, su circostanziata richiesta scritta, stralci di conversa­
zioni con l'Entità A a chiarimento di particolari argomenti. In tale even­
tualità inviare la relativa corrispondenza al CENTRO ITALIANO DI
PARAPSICOLOGIA, Via Poggio de' Mari, 16 - 80129 Napoli.

La presente pubblicazione è riservata ai soci dei C.I.P.


La richiesta di copie arretrate va indirizzata alla redazione bolognese.
Le domande di iscrizione a socio del C.I.P. vanno invece dirette al
predetto indirizzo:
Via Poggio de' Mari, 16 - 80129 NAPOLI - Tel. 081 /5490558 dalle ore
18 alfe 20 esclusi i giorni festivi.
L'iscrizione a socio dà diritto a ricevere gratuitamente la presente
rivista in cui sono compresi due numeri di "Informazioni para­
psicologiche", rivista registrata il 7.6.1990 al n ° 4032 nel Pubblico
Registro del Tribunale di Napoli.
La quota sociale per l'anno in corso è di 31 euro.
alla conoscenza un carattere ipotetico di provvisorietà, perché
per quanto i sistemi elaborati attraverso la cultura possano
essere estremamente sofisticati, estremamente precisi e logici,
purtuttavia sono posti in un linguaggio che non percepisce la
totalità dell'esistenza, ma il contingente.
Sì, si possono elaborare le idee e si possono rendere queste
idee molto proficue, estremamente logiche, purtuttavia esse si
riferiscono ad una modalità del vedere e del sentire e del
percepire che è pur sempre legata alla struttura del vivente,
che non ha mai una panoramica che vada oltre questo linguag­
gio.
Questo è uno degli aspetti, é stato uno degli aspetti delle
mie vite e di quello che è venuto dopo le mie vite, e questo
io lo trovo pressoché immutato, quindi non si tratta soltanto
di 50 anni, diciamo che questa percezione della conoscenza
umana é rimasta, da questo punto di vista, attraverso le cose
che ho potuto verificare, pressoché simile a quella che avevo
già conosciuto quando ero un vivente.
D'altra parte uno Spirito così è fatto, egli trova occasioni
e stimoli anche attraverso la Terra di fare certe verifiche, ma
poi Je completa, le allarga, le dilata, le unisce con le preceden­
ti che fanno parte del suo bagaglio evolutivo e del processo
evolutivo, e questo lo porta ad una unità concettuale del co­
noscere che risente dell'elaborazione dello Spirito, e non piL1
di uno Spirito attraverso una mente.

D.: È come se si parlasse di due velocità, cioè la conoscenza


rispetto all'umanità, alla Terra ha un certo tipo di velocità,
molto lenta, mentre io mi riferivo a quegli intervalli in cui da
Spirito sei andato molto più avanti, avendo una velocità molto
più grande di apprendimento.

78
e con le quali lo Spirito continua una elaborazione anche sen­
za una volontà applicativa.
La crescita dello Spirito è in gran parte legata naturalmente
alla volontà, per usare questa parola, dello Spirito, ma è in
gran parte legata ad un modo autonomo e indipendente dalla
natura dello Spirito, pure insito naturalmente nella sua strut­
tura, quindi da questo punto di vista devo dire che certamente
il mio pensiero ha avuto ulteriori elaborazioni di cui ha fruito,
elaborazioni, però, la maggior parte delle quali io non ho potuto
né posso riversare a voi, perché si tratta di un processo mio
personale che appartiene a me soltanto, ed è necessario che
ciascuno di voi faccia lo stesso percorso per arrivare al punto
dove sono arrivato io.
In particolare, se 50 anni di presenza in mezzo a voi hanno
comunque costituito qualcosa, rispondo di sì, perché indub­
biamente insieme al vostro processo di elaborazione, di acqui­
sizione, c'è stato anche il mio di visione di voi, di conoscenza
ulteriore di voi, e dell'uomo, di conferma, per verificare quanto
l'uomo potesse o meno essere cambiato, e questo naturalmen­
te costituisce una ulteriore esperienza, per cui io parlavo di
aggiornamento.
Qualunque verifica, qualunque controJlo è comunque un
lavoro dello Spirito, ed essendo un lavoro dello Spirito questi
mi appartiene, e mi appartiene anche il lavoro che è conse­
guenza della mia presenza, e allora in questa misura sì, uno
spazio piccolo o grande fra due tempi, anche se sono tempi
posti dall'uomo, rappresenta comunque una serie di momenti
conoscitivi o confermativi di ciò che già si conosce e che
ulteriormente viene rielaborato.
D'altra parte questa cosa non appartiene soltanto ad uno
Spirito come me che visiona la Terra, perché anche 1 'Universo

80
Questo è il nostro e vostro limite. Tuttavia abbiamo cer­
cato sempre di dare qualcosa in più, spesso anche subendo
qualche vostra critica, perché "A" parla troppo difficile, per­
ché "A" non sempre è comprensibile.
È vero, non vi dò torto, tuttavia le parole sono là, Je avete,
qualcuno o comunque in un momento successivo deJla vita
potrà trovarvi le cose che subito non ha capito, non è un
problema culturale, a volte sì, se il discorso è troppo tecnico,
ma molto più spesso questo dipende dal fatto che voi non
sfruttate appieno la capacità intuì tiva, non riuscite a passare
dal linguaggio comune al significato che è dietro.
Lo sforzo che voi dovete fare è quello di capire cosa "A"
sta dicendo, cosa ci vuole dire, perché magari fa tanta fatica
a dirci le cose che dice, perché in questa fatica dell'esporre un
concetto c'è tutta la difficoltà di trovare le parole giuste, Je
parole che possano essere capite o intuite.
Non dimenticate poi un'altra cosa, che io il linguaggio ho
dovuto completamente ricostruirlo, perché sono venuto a voi
sin daJle prime volte con un linguaggio molto approssimativo,
l'ho appreso insieme a voi daJle vostre voci, e in parte natu­
ralmente seguendo costantemente il nostro fratello Corrado
affinché attraverso di lui potessimo apprendere le cose che
non possedevamo più, e questo lavoro ha un po' inciso, per
esempio in molti anni delle prime comunicazioni, poi il
superamento di tutto questo finalmente ci ha resi più autono­
mj, purtuttavia il lavoro di aggiornamento finanche linguistico
è un lavoro che ancora continua.
Certo non avendo un cervello ho dovuto utilizzare quello
del fratello Corrado e quindi appropriarmi attraverso di lui,
con vicendevole scambio ovviamente, di una serie cli modelli
da poter poi utilizzare nel comunicare con voi. Questa diffi-

82
ciò che sa. Voi no, voi sapete tante cose, ma pur sapendole
non le vivete, la teoria conta poco rispetto ali' azione.
Qualche volta ci capita di dire cose semplici e ci accorgia­
mo che voi agite in maniera sbagliata; faccio un esempio, il
più banale di tutti: noi parliamo sempre di libertà, è un tema
ricorrente, perché la libertà è un diritto del soggetto umano e
del soggetto spirituale, e quindi anche dell'anima. I1 parlare di
libertà porta molti di voi ad abusarne, a non saperla usare la
libertà; la libertà comunque è uno di quei temi che ha invaso,
per così dire, la filosofia di tutti i tempi, quindi è un tema
strettamente legato al soggetto vivente, alla sua autonomia, al
suo diritto di essere libero.
A questo punto non c'è soltanto la responsabilità di "A" o
del filosofo o di chiunque parli di libertà, c'è anche la respon­
sabilità di chi ascolta, perché non possiamo esimerci dal rite­
nere responsabile anche il soggetto che fruisce di una cono­
scenza, altrimenti dovremmo azzerare il sapere, perché tutto
il sapere non è altro che una predicazione di ricerca e di
diritti, e siccome non possiamo azzerare la cultura, il sapere
o anche la semplice esperienza, allora noi dobbiamo continua­
re a precisare che cos'è la libertà, ma pur precisandolo dob­
biamo anche dire che chi riceve un diritto lo deve utilizzare
responsabilmente.
Non basta la nominazione di un diritto, non basta nominare
un segmento della cultura o elaborare un processo culturale,
occorre anche la responsabilità di chi adopera lo strumento
conoscitivo, questo mi sembra ovvio e anche doveroso ag­
giungerlo.
Poi potete non essere in grado di applicare una determinata
conoscenza, ma quando l'applicate dovete sentirvi responsabi­
li verso il principio che avete ritenuto di dover accettare, quello

84
D.: Tu hai già risposto a questa domanda, ognuno arriva
dove può arrivare a capire.
A.: Certo, ciononostante si sono verificate e si verificano
deformazioni di interpretazione, che io conosco bene, perché
pur nella mia intuitività di Spirito mi arrivano messaggi, ri­
chjeste, riferimenti, pensieri. Tanti nostri, vostri fratelJi che
sono lontani e sicuramente non accederanno mai ad una di
queste sedute, tuttavia prendono in modo pedissequo il mio
insegnamento, peraltro talvolta travisato, talvolta deviato ,
perché tante volte le mie risposte a qualcuno non avevano il
carattere generale, non andavano generalizzate, perché se
qualcuno mi pone una domanda, io sto rispondendo a quella
persona, che in quel momento ha quei problemi, ha quella
situazione, non significa che la stessa risposta sia valida per
tutti, è valida soltanto per quelli che si trovano in quella con­
dizione, e io non posso dire durante la seduta: guarda io ti sto
dando una risposta che non è assoluta, è relativa, perché se la
mia risposta serve in quel momento, io non posso poi smen-
tirla con una conclusione: badate bene, quella risposta non
vale per la teoria, vale solo per quella persona.
Voglio dire che io sono responsabile di tutto quello che vi
ho dato e che vi ho detto. Ho la possibilità spirituale di pren­
dermi questa responsabilità, e me la prendo. Certamente è
diff icile che si producano dei veri danni, ma vi sono casi, vi
sono stati casi in cui chi ha ascoltato la mia voce sia stato poi
turbato da una cattiva applicazione di quello che ha inteso.
Poi è difficile soppesare tutto dalla mia posizione, intant
perché molti nostri fratelli non fanno una lettura continuata d1 �
tutto l'insegnamento, prendono un po' dal mucchio quello che
interessa in modo completamente slegato dal tutt o, ma que­
sto costituisce una responsabilità loro, non certo mia.

86
ne, se è pass a to poco te po n
in u n a vi a succe
m
correttamente dobbiam o parlare di r sid tu s siva. Qui di
e
i psichici.
Quando un a person a
a fa u n d te mi r t o la e
di queste ovviamente, e n voro si libera anch
pe rc hé in o ha u
t n a t a nuov a psiche, a
un nuovo asse to me n tale, a l qu ale che n h
t an l'anim a si r iferisce.
Questi residui ve n go n a po co
o a poco cancellati, e lascian
spazio alle nuove conf ig ur a zi ni i o
o psich che, alle nuove cost el ­
lazioni psichich e, che si o no prodott e r e z z u to,
a e, a p p n
s e al i t
ne lla vita attuale che si st svolg endo.
a
A volte ques e vec hie
t c c o nf i gura i
z o n i (ripeto, se c é stat
per ò un passag g o br e v ' o
e tra d ue vite) si
i presentano perch
alcune di es e posso o non é
e
s n ess re s tate cancellate dallo Sp ­
rito per poterle riutiliz un'altra vita i
z a r e in sotto forma d
istanz e, di pulsion ,i di d ide ri ir ris lti, i
es o di problematiche e s ­
stenzial e quind posso o rapp s ntar e una i
i n re e istanza del
i
vi a preceden e che de v e e la
r
t t s se e ancora elaborata, rielaborata ,
per completa e un cic o che è i ­
s r tt o p r c a
n te ro us mprevi
l i
r e
ste . ei
In questa necessit , tto d ll
'
à al l a e a m o rte, lo Spir ito tende a
li berars i della p art e p i hica
s c , ma se ha già ubito p ro gettual ­
mente la necessità di s
torn a re , i ib
t
non s l era di tu to, non s
libera di quelle parti che i
po o o es s gl necessarie, e c oè d
i
ss
n er
par i i
t i di esp erienza , frammen it di esp rienza ospe
e s se e no
verificate d un c o m ple sso , pc i l n
, co o o grande che sia che,
ri portat i
o in una successiv a vita,
i
co ts tuisce poi pulsio i d
natura inconscia non forma t i e c r d l v a a tt a n mai
n l o so i t u le,
dipendenti da una vita pre de es el a
ce n te.
Questo in pratica si pu ò v e E qu
r ifica r e. e tso cu i all u
devi?
ra

D Sì Que sto d n pos s no appa irre anche nei


s .: . ti o
p
i pu s i
l io o
o g ni?

88
l'identit à, che si lega a quella mentale ichi c a e di venta u a
, ps , n
identit à allargata, per cui dall'identi à i
t come co cs enz a di e ­
serci e l'identità di tipo spirituale si ha s
a e
un id ntilà p ù am pia ,
p ù general e, di cui poi a ar e mate r ia i
è l'iden tità d
i l p t pi ù le i
speci e, quella che è leg at a alla struttu del sist m nervoso,
e a
quin i biolo gica , ma noi ci stiamo occu
ra
d o di 'altr o
d an u e ll
p q
tipo di identit .
à
Comunqu e i tratta di p assagg i
s che, e si s
il
uppano i
s
maniera corrett a danno una tipologi a di id ntitàv b n
, e en radicata
in uno stato di s , di coscienz che si au t od fi i e h
é a e s c , ch e a
auto-consap evolezz . n
a

D.: la mia domanda si r all'ide ntit à


ps cologica e
iferiv a i
n ll
qua e queste fran g e vanno a costitui i p
l a
e ressere
i
v s s t
u ,
e e r
p
cui pensavo che potessero illfe tferi .rs
re

A.: Non riten go che possano inter fer re su q st o m s


i u e , a u
altr e cose s , come nellaformazione del ca ratt ere e a ll
ì ,n forma­
zione delle pulsioni, dei desider , m su ll a cr e zion e a bi le d
i a a st i
una identit non mi pare che ci possan esser e de lle a z io n id
à o i
questo tipo.

D. Hai parlato molto di Dio neg ultimi


incon r i e in
t ,
l
: i
modo compl esso al limite della nostra po s sibi l i à di in tu iz ­
, t i o
ne, quasigiung e11do ad u11a concez io ne d in sh,t za for m a­
i e en
le; ricordo però un a wa seduta di ci a 25 a n i fa c h può
n e si
rc
ricoll ega re a q uesta lontanissima pe r c e zione i111 pos ibi ­
quasi s
le di qualcosa d div ino. Dicev che g l Spi i d u n
i i i r ti i cert
livello assistono a messagg miste ri s i ch o
i o e a/tra e vrs a no I 'et e ­
re senza capi re da dove vengono, co m e s e l' i fo ed
e m t te t ne ss i
tipo divino , quindi inconoscibil p e o n a le. C'
e a lv llo
i e è
rs

90
l
1
questa deformazione, questa distorsione di un pensiero, però,
è presente (ma devo dire fino a un certo livello e poi non più)

l
anche nello Spirito.
Non parliamo di quegli Spiriti che comunicano con l'uomo,
o di quelle forze spirituali che irrompono nella mente del fi­
losofo, o nella mente del profeta, dell'intuitivo, del santo, del

1
mistico, perché questa presenza è sempre sbagliata, perché
comunque l'intuizione, la visione, sono un modo raggrumato

1
e finalizzato di trasporre una astrazione, appunto, in qualcosa
che sia visibile, percepibile. Questo però il mistico lo sa, il
filosofo intuitivo, creativo lo sa, l'artista che sacralizza il gesto
per una intuizione poetica o il poeta che sacralizza la parola,
lo sa, lo intuisce anche se non lo sa che c'è il suo limite, che
si impatta, si scontra con un limite invalicabile che alla meno
peggio riesce a tradurre, lo sa.
Quando tutto questo è, invece, nel sistema logico, l'errore
c'è e non c'è, lo Spirito, superata la fase della materializzazione
dell'idea, per così dire, entra in quel paradosso di segni che
confermano e sconfermano, che vengono visti e non visti,
perché procede soltanto per intuizione, per captazione. In que­
sta captazione lo Spirito "sente" alla stessa misura del mistico,
tanto per citare una figura, ma a un livelJo di gran lunga su­
periore al mistico, perché non ha un cervello, una mente, non
ha una decodificazione culturale, quindi il suo incontro con la
Voce di Dio è un incontro che è al di là di tutte le forme e
procede poi per le vie interne dello Spirito, perché la voce di
Dio (ancora resto in una figurazione materiale), la voce di Dio
non appare come una voce esterna, ma come una voce che
risuona nell'interno dello Spirito.
Non potrebbe essere altrimenti, perché lo Spirito, in qual­
che misura figlio di Dio, emanato da Dio, faceva parte di Dio,

92
a sinistra, in alto o in basso, è al centro di una istanza puri­
ficata dal suo non trovarsi in alcun luogo, e in questo non
essere in nessun luogo si instaura quella che chiamiamo la
risposta, ovvero la discesa dentro di lui che colma e completa
l'istanza da cui é partito.
Più di questo non so dirvi.

D.: A questo pulltO estremo si può parlare in modo estrema­


mente rarefatto di una lontanissima percezione di una inattingibile
logica divina?

A.: Egli a quel punto è già nella logica divina, egli è già
dentro, e non oso nemmeno dire lo sa o non lo sa, perché il
sapere o non sapere implica un dubbio e una disconoscenza
dell'avvenimento.
Egli semplicemente è in quella situazione, in quella condi­
zione.

94
scuola del sensitivo, per cui le lezioni andavano fatte in un
certo modo.
Poi c'è stata la fase lirico-metafisica, se posso esprimermi
così, che era un po' il prosieguo, ma man mano nel nostro
insegnamento c'è stato uno sviluppo, il nostro livello si è
approfondito al punto che in alcuni anni, in alcuni momenti
avevamo distinto i gruppi in due o tre sottogruppi ai quali
davamo quello che era possibile, l'uno in maniera elementare,
l'uno in maniera più elevata, l'altro nell'ambito del possibile
in maniera ancora più approfondita, ma tuttavia sempre tenen­
do presente una media. Il nostro stesso linguaggio si è modi­
ficato, si è perfezionato: avevamo un limitato repertorio di
vocabolario che si è arricchito via via che io stesso sono ri­
masto più a lungo con voi.
Sono passati gli anni e siamo arrivati poi a definire meglio
il problema della presenza dello Spirito in Terra, ed abbiamo
visto che era fondamentale approfondire il ruolo del corpo,
della persona, della mente, e cioè il complesso luogo attraver­
so il quale, nel quale e con il quale lo Spirito poteva assumere
esperienza e sperimentare la vita. Questo ha comportato an­
che talune innovazioni nel linguaggio: un maggiore arricchi­
mento della parola, espressioni semantiche più strutturate, più
complete; voi stessi avete preparato, secondo la nostra nota
tecnica di far parlare voi anziché parlare io, ed avete comin­
ciato a formulare domande sempre più precise.
Queste domande negli ultimi anni, ed anche per la presenza
di fratelli più preparati, o anche perché sollecitati da proble­
matiche personali, ci hanno portato a meglio determinare il
ruolo della psiche, il ruolo delle emozioni, il luogo psicologi­
co col quale lo Spirito ha a che fare continuamente per rea­
lizzare il proprio progetto.

96
mutato, riesco a filtrare meglio, più liberamente, anche se non
in tutto.
Questo è comunque un problema che io definisco serio e
importante, proprio perché si rischia di far passare l'insegna­
mento meno congruo e di lasciare da parte l'insegnamento più
complesso e più vicino alla verità. Quando parliamo di verità
parliamo sempre di una verità relativa, perché, voi lo sapete,
la verità assoluta in Terra è inconoscibile, ed è inconoscibile
a qualsiasi livello, anche spirituale.
Questa è un'altra delle cose importanti, perché è importan­
te dire che non basta essere una natura spirituale, vale a dire
uno Spirito, per conoscere la verità: la verità nel senso asso­
luto appartiene soltanto a Dio. Lo Spirito per approssimazio­
ne si avvicina, per intuizione procede nel suo cammino, ma le
verità non sono mai complete e totali, stante i noti principi
dell'infinitezza dell'esistenza, e quindi dell'infinitezza delle
risposte in senso quantitativo e qualitativo. Ogni problema è
visibile da infiniti punti, e lo Spirito può trovarsi in uno qual­
siasi di questi infiniti punti, da cui gli orizzonti che cambiano
continuamente, che si fanno e si disfano, e il soggetto, vale a
dire lo Spirito, è sempre al centro di questo movimento che,
visto da fuori, è un brulichio di significati che vanno e vengo­
no attraverso l'essere, lo passano, lo trapassano, e l'essere di
tutto ciò da cui è attraversato prende ciò che può in base al
JiveJlo che possiede.
Quindi non c'è mai una verità che si ferma, non c'è mai
qualcosa che è lì immobile e di cui si possa dire: ecco quella
è la verità, quella è la cosa che cerco, la cosa cercata, no, lo
Spirito lo sa bene, naturalmente lo sa bene da un certo punto
in poi della sua evoluzione. È questo il senso primario fonda­
mentale che io avrei voluto fosse stato trasmesso sin dal I'ini-

98
che sullo sfondo intendo, questo movimento filosofico dell'es­
sere voi dei soggetti, e dei soggetti rappresentativi dell'essere,
nell'essere voi un'anima che si trova in un luogo chiamato
carne, chiamato materia, e che deve attraverso questa materia
captare i significati della vita, parlare ai significati, ripossederli,
lavorare, meditare, elaborare, elaborare, elaborare sempre
l'azione affinché l'azione diventi un significato e diventi una
conoscenza.
Allora questo nostro dire, che è un dire filosofico, non è il
dire elementare della comunicazione semplice; la comunica­
zione semplice è quella che a volte facciamo tra noi, e tiene
conto di tanti fattori di cui voi non tenete conto, però, rispet­
to al discorso e cioè la vostra qualità, le vostre presenze, i
condizionamenti che voi ci date.
Basta che qualcuno di voi si trovi in una condizione parti­
colare, che tutto il mio dire deve tenerne conto.
Quando io per molte volte vi ho chiesto aiuto e ho detto:
io ho bisogno del vostro aiuto, cioè della vostra mediazione,
dovete capire queste cose, dovete capire che io non posso
andare oltre le vostre evoluzioni, ma non posso nemmeno
andare oltre le evoluzioni di alcuni che presenziando alla se­
duta mi obbligano a tacere, o per lo meno ad aggirare l'osta­
colo del limite con una serie di concetti che possono apparire
anche devianti.
Fate attenzione dunque, ancora una volta io richiamo tutti
all'attenzione su questa sorveglianza accurata, di cui purtrop­
po generalmente non si tiene molto conto perché spesso non
facendo voi delle opere complete ma limitandovi semplicemente
a trascrivere, per voi qualsiasi seduta va bene, purché sia chiara,
leggibile e comprensibile, e non vi ponete nella dottrina com­
pleta, per così dire, ma vi limitate semplicemente a ritaglia re

100
Nell'oscurità, perché è ancora nell'oscurità il fenomeno,
nell'oscurità della mente, della psiche ci sono bagliori che re­
clamerebbero una attenta osservazione: la depressione, le
malattie mentali, la diffusione della crisi, la paura del la morte,
i suicidi, le morti giovani, sono tutti segnali di qualcosa o di
qualcuno che reclama attenzione, di qualcuno che vuole par­
lare, ma non ha la parola per farlo.
Questo qualcuno o qualcosa è il segnale dell'anima, è un
segnale spirituale che chiede parola: questo significa che spet­
ta all'uomo dare parola a questi segnali, perché i segnali non
hanno voce, i segnali hanno soltanto il linguaggio della meta­
fora che trasversalmente attraversa la morte, l'incapacità, la
depressione, e si trasformano in necessità di simboli, di valori.
L'anima ha sempre chiesto la parola, per dirla tutta, ma
l'unica parola che siete riusciti a mettere in bocca all'anima
sono le parole decadenti e mistificanti delle religioni elemen­
tari che soddisfano l'immediatezza psichica, i bisogni e le paure
immediate, ma non danno voce all'anima, perché soddisfacen­
do soltanto i bisogni spirituali, contemporaneamente hanno
messo a tacere la vera emblematica possibile voce dell'anima,
e quindi oggi che si è accentuato di più questo fenomeno di
una intera umanità praticamente allo sbando dal punto di vista
spirituale, questa voce è più leggibile per chi sa leggere, come
è leggibile in qualsiasi persona che nella sua nevrosi, nella sua
aggressività, nel suo modo improprio di manifestarsi sta dimo­
strando che c'è un'anima che soffre per non poter parlare.
Quanto più J 'anima è impotente tanto più il soggetto entra
in crisi, perché si viene a creare una vera e propria impossi­
bilità di comunicazione reale e vera: la mistificazione a lungo
tempo non fa bene, nessuno, almenché non sia un eccessivo
creativo, può mistificare per tutta la vita.

102
proporre il discorso dello Spirito iniziando dal conti,igente psi­
cologico, cioè dalla difficoltà psicologica a cui tu facevi riferi­
mento, che poi rappresenta la problematica dell'umanità ades­
so, il problema della coppia, dell'amore, partire da questo per
poter dare poi la visione dello Spirito. Ovviamente dopo che hai
detto queste cose sono andata i,i crisi: se puoi dirmi qualcosa.

A.: Si può partire da qualsiasi punto. Certo chi si dà un


metodo parte dall'inizio, si può partire dalla crisi dell'uomo,
che naturalmente è sempre un buon punto di partenza, perchè
come suol dirsi viene prima l'uomo e poi vengono tutte le
altre cose.
Non a caso per lo Spirito non è importante il mondo se non
c'è il corpo, perché lo Spirito ha solo il corpo per poter essere
nel mondo, dunque l'uomo diventa sempre il centro di tutto,
ed è un uomo particolarmente sbagliato, se vogliamo dire così,
particolarmente sbagliato poi dirò forse non a caso, perché
comunque consente un attrito che è assai utile allo Spirito,
tuttavia un uomo sbagliato, perché l'uomo che stiamo consi­
derando non è J'uomo fisico, ma l'uomo psichico.
L'uomo come natura mentalizzata è quello che ci interessa,
i corpi l'abbiamo detto sono transeunti, vanno e vengono, e
dunque hanno l'importanza che hanno per la vita dello Spirito,
ma non hanno alcun significato universale; i significati transi­
tano attraverso la mente e la mente è il prodotto di una
interazione tra Spirito e ambiente. Nell'ambiente ci mettiamo
la cultura e tutte le altre cose, e dunque in secondo momento
l'ambiente diventa importante perché diventa il formatore, sia
pure parziale, di gran parte della mente o di ciò che chiamate
mente o psiche. Quindi tutto ciò che lo Spirito acquisisce,
1' acquisisce attraverso l'esistenza della mente; poi si sa, il

104
quando cioè lo Spirito non riesce a far passare neppure un
barlume di se stesso, e questo accade, perché vi sono chiusure
che sono date dalle sovrastrutture, ovviamente, culturali e psi­
cologiche, anzi da sovrastrutture culturali e condizionamenti
psicologici, che bloccano l'uscita e l'entrata dello Spirito pro­
vocando panico, e quindi la crisi esistenziale, la depressione,
la malattia dell'anima che poi non è dell'anima ma è la malat­
tia della retro-mente, laddove lo Spirito con l'inconscio entra­
no nel mondo.
Quindi questa è la costruzione che io vedo; ovviamente si
può partire da uno qualsiasi di questi punti, si può partire
dalla psiche, si può partire dall'ipotesi dello Spirito, si può
partire dalla malattia fisica e passare a quella mentale che vi
è sempre dietro e la sorregge. Si può partire dalla malattia
della società, si può partire dunque dalla politica, dal!'econo­
mia, tanti sono gli approcci che poi fanno risalire, vanno tutti
verso lo Spirito, perchè alla fine, tutto quello che voi potete
fare nel mondo, la politica, l'economia, le guerre, le rivoluzio­
ni, le rivoluzioni storiche, le rivoluzioni cultmali, le nuove
filosofie, le nuove scienze, ma alla fine tutto serve a chi?
Serve sempre all'uomo.
Voi parlate di civiltà, parlate di progresso, di cambiamento
di civiltà, ma la civiltà di un mondo, di una Terra, di un
pianeta, di una nazione, la civiltà è costituita dall'insieme delle
capacità, delle costruzioni, delle culture prodotte dai singoli
uomini, voi non potete mai prescindere dal singolo uomo, una
umanità esiste perché esistono i singoli uomini. Allora il di­
scorso può essere fatto dal punto di vista storico, per cui si
parla di civiltà e si intende l'umanità come meccanismi di
movimento indipendenti dai singoli uomini, è però un discorso
che si regge su se stesso e non si riferisce più all'uomo in

106
A.: La conoscenza individuale si ottiene, (stiamo parlando
di conoscenza attraverso la coscienza abituale, quella che voi
avete come in questo momento che mi state ascoltando o in
un momento in cui state operando), facendo qualcosa� si ot­
tiene paradossalmente proprio abbandonando il corpo, quindi
non attraverso le vie razionali, ma attraverso le vie irrazionali.
Il problema è dare razionalità all'irrazionale, l'operazione
culturale consiste nel dare riconoscimento, valore ali' irrazio­
nale che è in voi. Intanto una prima cosa si deve dire, che la
classificazione in razionale e irrazionale è sbagliata. Questa è
la prima cosa, per cui distinguere significa creare già una bar­
riera.
La distinzione però nasce con la scienza, attenzione, perché
è con la scienza che viene posto il limite, diventa quindi cul­
tura cioè scienza tutto ciò che è dimostrabile, che è ripetibile,
etc .... tutto ciò che dunque è confinato entro quello che è
stato chiamato il metodo che la scienza si è dato. Dopo di che
tutto quello che viene oltre, a lato, da qualunque parte viene
è irrazionale, perché non rientra nella ragione, quindi la poe­
sia, le arti, sono irrazionali, fanno parte di operazioni di fede
come la religione, possono esserci e non esserci.
Essendo percepibili o appercepibili attraverso i sensi e non
attraverso il metodo, hanno la possibilità di errore, contengo­
no la possibilità di errore, e quindi non fanno parte del campo
della ragione, sono irrazionali.
Attenzione però: questa classificazione che va così per il
mondo umano a sua volta contiene un altro errore, perché la
cosiddetta razionalità delle scienze non è una vera razionalità,
la scienza è soggetta a correzione ed errore, tanto è vero che
nel corso del! 'umanità centinaia di teorie scientifiche sono state
abbandonate perché errate; hanno fatto parte della scienza

108
D.: Anche l'opera d'arte che diventa esistente, visibile per
tutti, è già una dùnostrazione di qualcosa.

A.: Certo, per questo dicevo: quando noi ci soffermiamo


sulla irrazionalità, stiamo attenti che si tratta di cose classifi­
cate irrazionali, che partono da una situazione irrazionale.
Un'altra cosa che si può dire, ma gli esempi sarebbero a
centinaia, anche i sentimenti, anche l'amore è irrazionale, ma
tangibilmente provoca cose che sono ben visibili, e cioè inci­
dono sulla realtà queste irrazionalità.
Se incidono sulla realtà allora esse rientrano nella classifi­
cazione dell'esistenza: esistenza vuol dire visibile anche se
non viene vista, perché qualcosa che è esistente non deve
essere necessariamente vista, perché il vedere dipende dalla
strumentazione tecnologica che può essere insufficiente e non
fa vedere ciò che esiste.
Anche la vita non si vede ma si sa bene che esiste, e nes­
suno si sognerebbe di dire che la vita non esiste perché non
è sperimentabile nel senso diretto dell'osservazione, ma è
sperimentabile nel senso indiretto del suo mostrarsi nella to­
talità dell'essere, anzi senza la vita non esisterebbe il sogget­
to, quindi ecco che bastano alcuni spostamenti direi di ottica
quando si osservano o quando si vogliono fare le distinzioni
per potere, nella - cosiddetta irrazionalità - trattare ciò che è
consentibile trattare e ciò che invece è assolutamente falso.
Allora una prima idea può essere quella di considerare vero
o falso nell'irrazionalità ciò che esiste o ciò che non è consen­
tito che esista per l'insieme delle conoscenze razionali e irra­
zionah che abbiamo.
Voglio dire che il classico esempio dell'asino che vola è
chiaramente assurdo perché il presupposto per volare non c'è,

110
tiva, è il metodo che è definitivo, perché si è dato un metodo
che contempla soltanto ciò che è visibile, ciò che può cadere
sotto l'osservazione, anche se è vero che esistono anche altre
scienze come quelle psicologiche che non sempre possono
dimostrare ciò che dicono, ma credo che anche nelle scienze
psicologiche ci siano quelle buone e quelle spurie, almeno
secondo il rispetto al metodo che abbiamo detto.

D.: Credo che ci sia anche un altro punto di vista a proposito


di razio11ale e irrazio11ale: è questione anche di livelli, anche di
scala di valori, livelli di razionalità e irrazionalità. Al limite si
potrebbe dire che non esiste qualcosa di irrazionale, ma esisto­
no vari livelli di razionalità crescenti, che vanno naturalmente
a livello storico spiegati epoca per epoca.

A.: Naturalmente sì, gli aspetti sono moltissimi, comunque


ripeto è la classificazione che è del tutto impropria, anche se
correntemente si parla di ragione e di irrazionalità, convenzio­
nalmente, quando ci si vuole opporre alla fede, ad esempio, al
famoso conflitto fede e ragione che è un conflitto praticamen­
te insolubile.

D.: Un 'altra cosa che volevo dire riguarda la parte centrale


del tuo discorso, quando parlavi della verità: penso che sul
piano logico sarebbe un disastro per lo Spirito se si trovasse di
fronte una verità fissa, immobile, unica, perché sarebbe l'arre­
sto di ogni attività a11che spirituale.

A.: Sì.

D.: Ecco la ragrone del di11amismo che riguarda proprio


tutta l'intera verità.

112
Dunque allora non si può porre la domanda quando non
può esserci la risposta, se la domanda viene posta, la domanda
è posta come un insignificante che vuole darsi voce senza
essere rappresentativo. Dunque è "una non domanda".
Lo Spirito non può fare questo. Allora qual è la posizione
dello Spirito?
Noi qualche volta siamo stati costretti a raccontarvi - dico
proprio raccontarvi nel senso del racconto - dello Spirito che
scopre e discopre, vede e non vede, si evolve e non si evolve:
è vero tutto questo, accade tutto questo, questa è la maniera
più semplice, elementare, per far capire un processo, dove
processo significa proprio esattamente, etimologicamente, pro­
cesso, cioè processo vuol dire qualcosa che inizia, procede,
discopre, va avanti e probabilmente ha anche una chiusura e
una fine, questo è filosoficamente, scientificamente, d.ite come
v1 pare, un processo.
Lo Spirito ha comunque un iter evolutivo.
Se io dovessi guardare il movimento di uno Spirito, per
usare le vostre parole, dovrei dire: è in atto un processo che
chiamo evolutivo, ma lo Spirito nel suo interno come vive
veramente questo processo? Lo vive come un cammino, un
ollrepassamento? Sl, c'è anche questa banalità, ma in effetti lo
Spirito si muove proprio nel senso che io dicevo prima, al­
i' inizio, lo Spirito ha un movimento di espansione e ritrazione,
quello che chiamerei un respiro, entro il quale egli attraversa
ed è attraversato da stadi continui entro i quali ci sono cose
inimmaginabili.
In questo processo del suo respirare c'è proprio una entra­
ta ed un'uscita di un numero infinito di elementi puri, spuri,
materiali, immateriali, ed in questo processo avviene quello
che dal di fuori appare il miracolo del cambiamento, dell'evo-

114
la lancetta di un orologio al passaggio del lempo e del nuovo
spazio che si è aperto dentro di voi.
Lo Spirito nell'osservare se stesso compie o può compiere
la stessa operazione, vivere nel mondo, fuori dal mondo, nel­
l'Universo, laddove egli crede di dover stare, vive, e in questo
vivere e in questi attraversamenti, se analizza se stesso può
cogliere il movimento. Questo movimento non è più tanto un
dare o un avere, vero o falso, alto o basso, ieri o oggi, fuori
del tempo e dello spazio l'operazione di crescita, l'operazione
dell'evoluzione è una operazione che si compie quasi al di là
del soggetto, che il soggetto in fondo subisce perché l'evolu­
zione è inscritta nella regola universale.
Egli non provoca l'evoluzione, non chiede l'evoluzione,
l'evoluzione è la conseguenza però del movimento che egli
intenzionalmente ha provocato, perché se il movimento non
è intenzionale non c'è conoscenza, come non c'è conoscenza
nel dolore quando il dolore non ha l'elaborazione che parta
dalla base.
La famosa tegola che cade in testa non serve a nulla, serve
soltanto invece un dolore, come un piacere, nel quale il sog­
getlo sia presente tappa dopo tappa, successione dopo suc­
cessione, che lo elabori, allora l'elaborazione diventa speri­
mentazione, la sperimentazione diventa conoscenza, la cono­
scenza diventa evoluzione, e questo è il passaggio naturale,
continuo, obbligato.

D.: Opero in un gruppo in cui ci occupiamo di fare una


diffusione di principi in un primo momento psicologici ma che
hanno altri traguardi. Ci sono grosse resistenze a conoscersi,
una paura a sfondare meccanismi di difesa e questo richiede
una carica di energia, perchè se c'è un ostacolo ci vuole ener-

116
una corrente elettrica per caricarsi o di una pila per muoversi,
quindi un discorso eccessivamente materialistico.

D.: Il problema è proprio innescare questo movimento della


gratificazione, perché l'inizio, il primo passo, è al buio, llOn c'è
già il polo di attrazione della gratificazione già avvenuta, que­
sta è la problematica.

A.: E c'è anche un lavoro più duro, quello di smantellare


le difese, smantellare le vecchie culture ed i vecchi condizio­
namenti, quello è il lavoro difficile, e in questo lavoro non è
che serva tanto l'energia.
Poi, certo, se vogliamo parlare in termini dinamici, qualsia­
si attività psichica presuppone l'energia, ogni attività mentale
si carica o si scarica di energia. Energia in senso lato: non
vorrei che si desse l'impressione che per energia si intende
proprio, perché ho sentito nominare l'elettromagnetismo, una
cosa del genere.

D.: So110 livelli cli esistenza diversi, l'energia e l'individua­


lità che muove la propria volontà, un po' come il braccio e la
mente.

A.: Sì, certo. L'esistenza interiore non è un fenomeno elettro­


magnetico, intendiamoci bene su questo.

D.: No ma io 11010 che il problema è il vedersi come blocco,


invece se ci vediamo come 1m insieme di parli, riusciamo a
prendere contatto con le varie parti dei diversi momellti, ma si
sviluppa anche l'osservatore interno, cioè quella parte di noi
che si distacca e guarda quella parte di sé clte vive una deter­
minata situazione. Sei d'accordo su questo?

118
RESPONSABILITÀ DEI GENITORI.
INFLUENZA DI UN GRUPPO SULLA SOCIETÀ.
FIGURA DEL PADRE PER L'UOMO E PER LO SPIRITO
COMUNITÀ.
DOVERE FONDAMENTALE DELLO SPIRITO: AIUTO E
ASSISTENZA AI PIÙ DEBOLI.
MAL DI VIVERE. SUICIDIO.
GUARITORI. MIRACOLI. ANIMA.

Seduta del 4 giugno 2002

D.: Per quale motivo l'uomo si affanna tanto ... Come deve
comportarsi un genitore di fronte alle sperimentazioni del fi­
glio?

A.: Tutte le vite umane hanno un fine e, come sicuramente


già sapete, il fine è di dare allo Spirito il senso di un univer­
sale che è diverso dalla natura spirituale. Il fine delJa vita dello
Spirito è in fondo questo: percorrere l'Universo, perché l'Uni­
verso è un altro da sé, ha la sua diversità, si muove con altr e
leggi, con altre regole; alcune sono fondamentalmente quelle
deJio Spirito, altre sono propriamente quelle della materia.
Allora lo Spirito si trova sempre a dover fare i conti, per così
dire, tra la propria esistenza interiore e l'uscita da questa, per
conquistare una conoscenza che 1 'esterno da sé possiede. Un
esterno da sé è appunto la vita dei corpi.
La vita deJ corpo è una vita tutta particolare, nel senso che
offre una serie di esperienze e di conoscenze, che lo Spirito
non può acquisire in altro modo, o almeno non può acquisirle
con la precisione con cui la vostra materia corporale si pre-

120
Io ho sempre parlato di libertà, ma naturalmente ho sempre
parlato di libertà matura, cioè di una libertà finanche di tra­
smettere valori e modelli che possano non essere precisi; ma
a questo punto la libertà matura si carica però di responsabi­
lità. Fino a che punto io devo dare e da quale punto in poi
devo lasciare che i giovani, figli o non figli, elaborino da soli
i propri modelli? Credo che sia abbastanza semplice per chi ha
dei figli o dei genitori, per quei genitori che sono sufficiente­
mente onesti, dire che esiste la possibilità di scoprire l' interes­
se e la vocazione e di assecondarli fino a che è possibile.
Credo che alla fine, poiché vi ritrovate tutti quanti in que­
sta trappola umana, da cui spesso non riuscite ad uscire, una
delle cose fondamentali da fare sia di quella di riconoscere che
anche i figli si trovano nella stessa trappola, dalla quale però
dobbiamo tentare di farli uscire. E l'onestà consiste, non nel
fornire loro dei modelli fissi e prestabiliti, ma il suggerimento
di possibili modelli alternativi che siano fluidi, sufficientemen­
te elastici affinché si incrocino col carattere profondo del
ragazzo, del giovane, del bambino, il quale mostra sicuramen­
te e quasi subito alcune inclinazioni, alcune vocazioni, alcuni
desideri.
Non sempre tutto è chiaro, ma proprio perché non è chia­
ro nessuno può e deve essere chiuso in un sistema educativo
dal quale non possa poi dopo uscire per modificare gli even­
tuali errori. L'importanza di essere genitori aumenta, direi,
l'obbligo della conoscenza. Mentre colui che è solo può con­
sentirsi di sbagliare, di provare e riprovare, o alla fine restare
nell'errore, educare significa non compromettere la vita degli
altri. In questo è la maggiore responsabilità di chi decide di
perpetuare la specie, perché se è vero che dal punto di vista
biologico voi nuJla fortunatamente potete fare, perché vi è

122
Se sbagliate subito non potete pm riparare: questa è la
responsabilità. Invece, gli uomini a cuore leggero hanno dei
figli e a cuor leggero perseverano nel ripetere modelli sbaglia­
ti che essi stessi hanno subìto perché non riescono a correg­
gersi, non riescono a rimodellarsi, prima di decidere di educa­
re i figli. Questo tipo di responsabilità deve esservi sempre
presente. Imparate a osservare i vostri figli, i vostri ragazzi, i
vostri bambini.
Imparate a guardarli, a guardarli muovere, a vedere il loro
comportamento; offrite loro occasione di sperimentare più gio­
chi, più cose dalle quale trarre indizi. Studiate, fatevi aiutare,
non siate così orgogliosi da credere di saper tutto perché
diventate genitori. Lasciate che anche altri li osservino, discu­
tetene, entrate in un processo dialettico, fate parlare i vostri
bambini e cercate di escogitare piccoli trucchi verbali affinché
essi imparino a comunicare e a diventare vostri, nel senso
spirituale, psicologico, del termine.
L'essere umano, così com'è conformato, francamente non
è un modello da imitare. Voi avete attraversato una storia, che
è una storia di sconfitte, di non conoscenze, una storia fatta
di ladri, di assassini, di guerre, di rivoluzioni, di male, di
sofferenza, di tormenti. Voi, come esseri umani, non siete un
bell'esempio, diciamola tutta.
D'altra parte non è colpa del singolo soggetto, ma anche di
un insieme; pure il singolo soggetto ha egualmente le sue
responsabilità. E coloro i quali sanno devono tener conto che
più imparano dai maestri, dai libri, dalla vita, dall'esperienza,
più sono responsabili. In questo senso, in questa luce il vostro
cammino genitoriale deve essere attento, per poter fare fino in
fondo il vostro dovere, per essere assolti poi dalla vostra co­
scienza, affinché non si dica: "Io ho fatto tutto e i miei figli

124
Questi sono i modelli che noi proponiamo, poi ciascuno si
prende le sue responsabilità.

D.: Mi riferisco alle fenomenologie paranormali delle prime


comunità cristiane (il parlare altre lingue, le guarigioni, ecc.).
Rapportato ai nostri tempi, in cui c'è una grande velocità di
comunicazione, molti vamaggi ma anche situazioni difficili,
volevo chiedere, se noi, per assurdo, orientati positivamente dalla
parapsicologia possiamo dare una svolta a questa umanità. Come
possiamo eventualmente fare e quali possono essere le forze
avverse?

A.: Gli uomini, quando si riconducono ad una semplicità di


vita, riconquistano in un certo senso anche il loro mondo in­
teriore, soprattutto se a quel che credono fanno seguire 1'azio­
ne, perché voi sapete che tutto il nostro insegnamento si fon­
da sull'azione. O almeno l'azione è la pratica di vita della
teoria.
I piccoli o grandi gruppi di una volta agivano anche. Se
facciamo il riferimento ai primi cristiani, che poi sono stati
probabilmente i soli veri cristiani, che si sono immolati, si
sono fatti uccidere, (oggi nessuno più vi uccide, o almeno non
nelle forme di una volta), ma certamente se si parla dei primi
cristiani - e quindi state parlando di 2000 anni fa - il mondo
era anche più semplice e dal punto di vista culturale, in un
certo senso meno sofisticato, anche se la cultura aveva lo
stesso la sua complessità, perché la grande filosofia greca era
già apparsa sulla scena del mondo.
Le comunità, certo, possono muoversi con un proprio
modello e caratterizzare e influenzare con la propria attività
una parte, almeno, nell'umanità che possono incontrare come

126
metafisica è il medium per eccellenza tra il fenomeno e I'in­
terpretazione del fenomeno. La metafisica non è soltanto una
teologia che può avere una chiesa o un movimento religioso;
la metafisica è l'elemento di collegamento tra il fenomeno e il
suo apparire e la sua interpretazione.
Nel corso dei secoli c'è stata grande confusione su questa
parola, sino al punto da considerare metafisica (e questo per
colpa della teologia) ciò che è oltre la fisica. Oltre la fisica
significa al di là della scienza e questo la scienza, con il suo
presupposto, non poteva accettarlo, accoglierlo. Ma riportare
il senso della metafisica al suo significato originale significa
essere nella storia: la scienza nasce dalla metafisica. Allora
bisogna abbandonare le teologie per ricondurci ad una logica
seria, che è la logica dell'impostazione filosofica del discorso.
Se una comunità, tra i suoi fini, non si dà tanto quello della
parapsicologia, ma quanto quello di una cultura dell'anima,
cioè di una cultura metafisica, che trascenda l'uomo senza
abbandonare l'uomo, allora c'è un immediato allineamento con
la scienza.
Ciò che più disturba in questo tipo di discorsi è l'ignoranza
del problema e la mancanza ovviamente degli strumenti per
potersi avvicinare al problema. Allora una comunità, un grup­
po, deve anche imparare l'umiltà di sapere dove può arrivare
e dove non può arrivare, dotarsi degli strumenti, il che signi­
fica aver cultura, e laddove non è possibile, inglobare coloro
che lo possono fare, in un'azione di mecenatismo vero e pro­
prio, utilizzando le risorse e cercando di portare nella propria
scuola filosofica altri che possano sorreggere teoricamente e
dialetticamente la contrapposizione con la scienza.
Questo a mio avviso è l'indirizzo e il futuro; altrimenti si
rischia di restare sempre nella circolazione di problemi che

128
forte perché si tratta di una meta con un valore forte, cioè con
una serie di valori che sono proprio quelli di cui l'umanità ha
bisogno, perché la caduta dell'umanesimo, la caduta delle
religioni (che è continua, direi) ha lasciato l'essere umano
privo di simboli, privo di valori sicuri, privo di riferimenti.
Ciascuno di voi, in fondo, pur diventando un essere libero, ha
sempre bisogno di un padre.
Ora, il padre non è sempre Dio, il padre non è sempre
quello reale, in carne e ossa. Il padre è un valore simbolico
che rappresenta la meta, l'orizzonte, l'obiettivo, posto al di là
di noi, fuori di noi, sopra di noi. Il padre non lo si osserva,
non lo si deve osservare, con un rapporto di dipendenza, ma
con un rapporto di presenza, che non è dipendenza, ma sol­
tanto riconoscimento di presenze più alte di noi. Queste pre­
senze più alte di noi sono valori, simboli, speranze, utopie,
poesia, tutto ciò che sopravanza, che diventa l'elemento trai­
nate. Andare verso il padre - ed essere attratli - significa
andare verso questi valori, significa utilizzare i simboli affin­
ché ci diano la forza. C'è un orizzonte, c'è una meta, c'è un
luogo sconosciuto, che è più avanti; ed essendo più avanti di
noi, noi lavoriamo per rifarci il percorso, per andare là dove
ci sta aspettando. Non importa, se raggiunta la meta questa si
sposta più avanti: è nella logica, è nella giustizia che ciò ac­
cada. Dobbiamo augurarci che ciò accada, perché il padre non
va raggiunto, non va fagocitato; il padre lo si sposta più avan­
ti perché in questa misura, in questa chiave, l'essere umano,
in modo specialissimo, ha bisogno della vita, che diventa uno
scopo della vita, un orizzonte da raggiungere.
Anche lo Spirito ha il proprio padre interiore: il padre in­
terno è ciò che voi chiamereste Dio e che per noi è soltanto
un principio profondo che ci attira, ci attrae, ci consente di

130
conoscere e quella di partecipare insieme alla vita. E credo
che questo sia la migliore delle cose possibili a cui un uomo
posa aspirare.

D.: Mio figlio ha avuto problemi con la droga non molto


tempo fa. Questo fatto ha distrutto in famiglia un leggero equi­
librio che dopo molti anni eravamo riusciti a trovare. Adesso
che c'è molto dolore e molta sofferenza, io non riesco a stare
vicino alla mia famiglia. Vorrei proprio sapere cosa fare perché
tutto questo dolore passi, perché torni l'amore, perché ci sia
comprensione. Perché è questo che devo imparare a vivere pri­
ma di pensare alla spiritualità.

A.: Capisco il problema che mi esponi anche se ha una sua


inutilità in senso umano. Mi rendo conto che vi sono cose
verso le quali non sapete agire, o per lo meno rischiate, agen­
do, di fare più danno che bene. Credo che le persone sofferenti,
specialmente nell'ambito della sfera psicologica, della sfera
mentale, sia per aver assunto o assumere delle droghe o per
altri motivi, abbiano bisogno fondamentalmente direi di un
fratello, cioè qualcuno che faccia veramente per lui la parte
del fratello. Significa diventare amico. Talvolta succede che,
nel curare, nel tentare o pensare di curare qualcuno che è
caduto in un errore del genere, si assumano dei ruoli, a pre­
scindere dai ruoli tecnici, si capisce, del medico, dello psico­
logo, del tossicologo; a prescindere dai ruoli tecnici che sono
necessari, quasi sempre coloro che cadono nell'errore della
droga si sarebbero salvati, lo avrebbero evitato, se avessero
avuto un fratello. Significa un amico vero con il quale poter
scambiare i propri valori, le problematiche, le proprie speran­
ze, i propri desideri.

132
tire soltanto la condivisione. Se qualcuno che è caduto nella
spirale della tossicosi trova una persona che scenda nel suo
inferno e non pretenda che sia lui a salire ma che mostri se
stesso che scende e partecipi e giochi con la sua sofferenza,
giochi per agganciarlo, per diventargli amico e soprattutto per
capire, che si metta a nudo per capire e, dunque, dopo aver
capito lo prenda per mano, [ne avrà giovamento]; perché
costoro non aspettano altro che qualcuno li prenda per mano
e che assuma la funzione di quel padre simbolico di cui par­
lavamo prima.
Voi fallite nei vostri tentativi di guarigione di questi tipi di
malattie e anche della sofferenza, perché non sapete entrare
nell'altro, non sapete mettervi al loro livello che non è un
livello basso, è soltanto un altro tipo di livello, un'altra mo­
dalità del vivere. Se questo sapete fare e questo imparate
a fare, se diventate abbastanza duttili da saperlo fare, se la
vostra non sia soltanto una recitazione ma un viversi la vita
dell'altro - che poi questo significa amore, tra l'altro - allora
questo tipo di amore, questo tipo di sentimento, di partecipa­
zione, di radicamento, porta l'altro a darvi la mano e voi lo
tirate fuori. Se l'altro non sente questo e vi vede soltanto
come 1'ennesimo stereotipo che cerca un aggancio impossibile
perché non è fatto con quell'amore di cui sto parlando, ma
con l'amore di cui parlano gli uomini, che è fatto di aspetti
lacrimevoli, di sofferenza, di parole buttate al vento, dei soliti
vocaboli, delle solite visioni del mondo, non lascia quella sua
area di dolore per venirvi incontro; sa che non può venirvi
incontro perché riconosce che voi non riuscite a capire dove
egli si trova.
Questo tipo di lavoro diventa anzitutto un lavoro su se
stesso; ci si prepara a questo lavoro, non ci si improvvisa e ci

134
qualche amico, se possibile, e vi fermate là. Certo, non potete
dirmi che amate i poveri, che amate le persone che soffrono,
perché non è vero; voi vi illudete che soltanto dicendolo que­
sto sia amore ma l'amore è un'altra cosa, è quello che dovreb­
be spingervi a diventare veramente fratello del povero, di chi
soffre, di chi è ammalato, invece non lo fate. Vi rinchiudete
nelle vostre definizioni del!'amore perché avete delegato una
società con le sue leggi ad intervenire su coloro che soffrono,
sui poveri: l'assistenza, la società, la protezione dei deboli
ecc.
Questo non è amore, è semmai un processo di civiltà che
crea le proprie leggi, le quali proteggono gli esseri più deboli,
gli ammalati e quindi la società crea le scuole per far crescere
i bambini, gli ospedali per curare i malati, l'assistenza per chi
ha bisogno di consultare qualcuno, le religioni che proteggono
l'anima; vi siete dati dei meccanismi nei quali, però, a I ivello
personale l'amore è scomparso perché avendo delegato gli
altri voi siete fuori dal meccanismo dell'amore e lo restringete
soltanto ai vostri piccoli gruppi con i quali avete stabilito - se
li avete stabiliti - dei rapporti affettivi che spesso si possono
contare su una mano sola.
Questo che significa: non che siete cattivi, ma che dal punto
di vista umano, essendo l'umanità relativa e determinata, non
potete amare in senso universale perché l'universalità non esiste
per l'uomo perché l'uomo è un prodotto della materia. Se
non vogliamo fare delle costruzioni retoriche nel parlare cer­
chiamo di ridimensionare il discorso: allora per l'amore uni­
versale o per l'amore del genere umano - limitiamoci al ge­
nere umano e lasciamo perdere l'universale - bisogna crearsi
i presupposti per portar rispetto agli altri, per decidersi a
considerare gli altri umani quanto noi, di avere gli stessi dirit-

136
sistenza per coloro che sono più deboli, un aiuto per coloro
che non ce la fanno. Questa circolazione di sentimenti sociali
diventa la circolazione di un bene possibile. Se questo fate,
allora coloro che si interessano, che lottano, che credono
comunque nella giustizia, nella fratellanza, costoro possono
sentirsi soddisfatti per aver adempiuto ad uno dei doveri fon­
damentali dello Spirito, il quale quando viene ad incarnarsi,
oltre al programma, ha anche il compito di aiutare i propri
simili, compito di anima, cioè compito spirituale. Perché voi,
prima di venire al mondo, lo sapete che insieme alla vostra
incarnazione si sta realizzando l'incarnazione di altri milioni di
anime come le vostre. Tutte esposte agli stessi rischi di una
terra, cioè di una società in cui certamente la giustizia non
brilla; allora compito dell'anima è anche di assistere, se pos­
sibile, se si trova in una condizione particolarmente favorevo­
le, le altre anime. E come le può assistere? Diventando un
uomo esemplare dal punto di vista della civiltà in cui vive:
esemplare significa lavorare perché ci sia più circolazione di
amore, più concordia, più giustizia, non come necessità poi i­
tica o economica, ma come necessità spirituale. È in questa
chiave, in questa luce che voi dovete vedere il problema.
Allora una comunità - per tornare al discorso di prima -
che vive gli aspetti culturali di una ricerca dell'anima, deve
darsi gli aspetti ludici di un piacere del corpo, e deve darsi
anche il compito di essere promotrice delle cose che abbiamo
detto. Più amore, più anima, più sensibilità, più senso di giu­
stizia, più partecipazione alla vita degli altri. Questo è il senso
e il significato dell'incarnazione e della vita e, credo io, una
finalità anche più universale, se proprio vogliamo tornare al­
]'universale.

138
per le condizioni in cui si trova a dover nascere - in quel
momento particolare della famiglia dove verrà alla luce, nelle
condizioni storiche, economiche, ecc., o semplicemente per un
accidente meccanico, ad esempio durante il parto - si troverà
con una mente, con un cervello completamente disadattato
rispetto al progetto. Perché il progetto dello Spirito è un
progetto spirituale, con una finalità conoscitiva, ma talvolta la
finalità conoscitiva è talmente precisata da aversi la necessità
di una serie di connessioni cerebrali che consentano quel tipo
di esperienza.
Se, per esempio, qualcuno dovesse decidere di fare l 'arti­
sta, il pittore, per un qualsiasi accidente meccanico dovesse
perdere la vista, tutta la sua esperienza salterebbe, non po­
trebbe più farlo, perché una delle cose fondamentali per un
pittore è la luce, è il colore. Se questo non c'è più, l'esperien­
za è annullata e lo Spirito può decidere di andarsene.
Ma se decide di non andarsene, o nel frattempo dovesse
decidere di andarsene, si presentano a lui varie opzioni possi­
bili: innanzi tutto si presenta quel che tu chiami "mal di vive­
re", e quindi può essere frustrazione, delusione, depressione,
voglia di suicidio, voglia di morte. Insomma si instaura un
disturbo mentale, perché c'è un disagio che è al di là della
macchina fisica; c'è un vero e proprio disagio dell'anima in un
corpo disfunzionale, non dipendente dalla sua volontà, perché
lo Spirito non può far nulla contro le situazioni della materia,
nel senso che vi ho detto. E naturalmente di queste possibilità,
voi capite che ce ne sono tante.
Non si tratta soltanto del pittore che ha bisogno della luce
e dei colori, ma tante esperienze che sono legate al sensorio,
per esempio. Certo vi sono esperienze che lo Spirito può
accettare anche quando si modificano, perché diventano parai-

140
fra vita mentale e progetto dello Spirito; ma la conoscenza di
tutto questo vi è preclusa e allora dovete lasciar fare alla
legge ciò che spetta alla legge e non potete far nulla.
Quindi il diritto al suicidio, in pratica, dobbiamo dire che
non esiste, l'uomo non ha questo diritto perché è un diritto
che spetta allo Spirito.

D.: Possiamo considerare che la vera energia del guaritore


appartenga al corpo, alla mente o sia spirituale? E quali sono
le condizioni perché avvenga la guarigione?

A.: La natura non ha creato la scienza. È l'uomo nella sua


natura che ha creato la scienza. Cosa significa? Che la natura,
non avendo creato la scienza e nemmeno la medicina, ovvia­
mente, è di per sé medicina. L'uomo per secoli è stato curato
dalla natura e qui per natura dobbiamo intendere anche il corpo.
Diciamo che dunque l'attività guaritrice di un corpo su un
altro corpo è fondata sulla natura e sulle leggi della natura.
La natura vi ha dato la possibilità di curarvi con le piante,
con le erbe, da cui deriva praticamente tutta la farmacopea. In
un certo senso ha predisposto questo, se possiamo usare que­
sta immagine. Ma in questa natura c'è anche l'uomo, da un
punto di vista biologico. Quindi la mano dell'uomo, il corpo
dell'uomo può guarire: è un fenomeno naturale e spontaneo.
Se a questo aspetto biologico aggiungiamo quello psichico,
nell'uomo diciamo che, più che la natura, vi partecipa anche
la mente nel processo di guarigione; da qui alcune tecniche
naturali che provengono dalla proiezione dell'energia e della
mente su un'area che è diventata patologica.
Con questo io dico che comunque la natura ha i suoi limiti,
perché Ja vostra scienza ha prodotto significativi avanzamenti,

142
Pag. 211
Conoscenza e soggettività. Teoria ed azione.
Unione spirito-corpo.
Interrogarsi attraverso il fare. Soggettività e individualità.
Fare le cose con tutta l'anima. Evoluzione futura dei simboli.
Volontà. Educazione del bambino.
Pag. 240
Sofferenza umana e "sofferenza" spirituale.
Formazione terrena sempre difettosa.
Posizione di equilibrio. Opzioni sostitutive.
La vita come esercizio ed esperimento.
Compensare nel presente il dolore passato.
Vita mentale come gioco.
Identità come nucleo di autocoscienza.
Identità sociale, psichica, profonda.
Costruzioni virtuali della mente.
Uscire dai ranghi per una vita creativa.

IP-INFORMAZIONI PARAPSICOLOGICHE
Anno 10 ° (2 /\ Serie)
n. 21 / 2008
Corrado Piancastelli: Super-Io e morale . . . . . . . . pag. 259
Corrado Piancastelli: La fede aiuta a guarire? . . . » 260
Daina Dini: La lavagna della vita . . . . . . . » 261
Risponde Piancastelli:
- Potranno incontrarsi fede e ragione? . . . . . » 268
- Anima terrena e Spirito universale . . . . . . » 270
Risponde Daina Dini: Si possono eliminare i sogni
. . '} . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
premomton. 274
più l'evoluzione dello Spirito è ampia, più ampia è questa
oscillazione e viceversa.
Questo perché ad una evoluzione, cioè ad un processo di
espansione più vasto dello Spirito coincide una oscillazione
più vasta dello Spirito che dunque in questo Universo può
espandersi e poi ritrarsi in modo più ampio; credo che questo
sia tutto il problema, che riguarda invero certo la struttura
dello Spirito.
Non si deve dimenticare che la natura dello Spirito è simile
alla natura di cui è composto l'Universo, e l'Universo non è
fermo, non è immobile, ha questo ritmo di espansione e
ritrazione in alcune delle parti costitutive di questo Universo,
ma complessivamente e generalmente noi attribuiamo il movi­
mento a tutto l'Universo che di fatto è in movimento, è cioè
un Universo vivo, vivo proprio dal punto di vista fisico come
vivi siete voi dal punto di vista fisiologico e vivo è lo Spirito
nella sua naturalità di Spirito, quindi lo Spirito riproduce lo
stesso movimento dell'Universo.
Evidentemente da ciò potremmo anche dedurre che la stes­
sa divinità sia in movimento, ma di fatto noi abbiamo sempre
detto che Dio è movimento proprio nel significato letterale e
non metaforico, che non è un essere fermo e immobile.
D'altra parte tutto l'Universo spirituale o fisico segue il
principio informatore della realtà divina, essendone una mani­
festazione, e dall'Universo si possono dedurre varie caratteri­
stiche della fonte che l'ha originato, come se volessimo defi­
nire la natura fisica di un uomo partendo dal figlio: evidente­
mente le analogie ci sono, e certo dal punto di vista della
struttura fisiologica padre e figlio sono la stessa cosa, si tratta
di materia vivente, non possiamo dedurre la qualità mentale,
soggettiva, del figlio rispetto al padre, ma possiamo benissimo

148
D.: Una volta hai dato una straordinaria definizione, parlan­
do di Dio come di "un piano di configurazione esistente", e
questo dovrebbe spazzare via la falsa cultura che abbiamo in­
castrata in noi su questo concetto così difficile.
A.: È la stessa cultura che voi avete dello Spirito, in defi­
nitiva, perché parlando di Spirito o parlando di Dio stiamo
comunque parlando della stessa cosa, nel senso in cui parlia­
mo di una non materia, mentre la sensorialità e le attribuzioni
di significato e di valore che passano attraverso la sensorialità
e le emozioni e i linguaggi, sono categorie umane, di cui lo
Spirito così come Dio non può più disporre.
Questa è la reale frattura tra lo Spirito e la materia, e se
vogliamo tra la vita e la morte del corpo, per cui non abituati
mentalmente a pensare lo Spirito in modo astratto, voi gli
avete conferito valori, definizioni, attributi umani, a volte
umanissimi, dei quali andrete delusi una volta che sia suben­
trata la morte.
Ecco perché, come molte volte si è detto, la differenza tra
la vita umana e quella dello Spirito è una differenza di lin­
guaggio, oltre che di posizionamento nella realtà, perché voi
vivete nello spazio tempo, lo Spirito e dunque anche Dio non
vivono nello spazio tempo, ed allora voi capite benissimo come
tutto il quadro di riferimento viene a cambiare, e come sia
illusorio da parte dell'uomo descrivere la natura di Dio.
Essa descrizione può esser fatta con linguaggio indiretto ,
con metafora o con simboli che però reclamano da parte del­
l'uomo una grande capacità intuitiva, quindi la possibilit à di
accedere ad un mondo " oltre" attraverso processi intuitivi che
non sono alla portata di tutti.
Probabilmente, ma anzi sicuramente, questa è una delle cause
del decadimento della stessa teologia quando vuol descrivere

150
-
I

guaggio, tuttavia però il suo oggetto è diverso da quello del­


l'uomo: mentre l'uomo ricerca lo Spirito, lo Spirito non ricer­
ca lo Spirito, però ricerca dentro parti di sé che coincidono
con le parti del divino, e quindi c'è una proporzione e c'è
naturalmente uno spostamento d'orizzonte, perché lo Spirito
parte da un punto dal quale l'uomo non potrebbe partire mai.
L'assenza della materia, l'assenza sensoriale ed emotiva,
l'assenza del processo storico di evoluzione dell'accumulo della
civilizzazione e delle trasformazioni della razza non sono più
presenti nello Spirito, il quale si muove in una situazione di
purezza, di quello che potrebbe in analogia essere il suo lin­
guaggio rispetto a quello dell'uomo, diciamo la sua categoria
intellettiva che è costituita da una successione di processi
intuitivi che non seguono la logica formale dell'uomo, ma si
riferiscono ad altra logica, anche rispetto allo spazio-tempo.
Lo spazio-tempo fa parte del linguaggio; voi quando par­
late temporalizzate, spazializzate il significato di ciò che state
dicendo o state pensando, almeno nel pensiero superiore più
che in quello elementare, mondano, quotidiano.
Lo Spirito sorpassa tutto questo, perché anche nel pensiero
superiore dell'uomo voi siete entro la logica formale, mentr e
lo Spirito la sorpassa, e dunque la costruzione proprio sintattica
è molto diversa da quella dell'uomo.
Io quando parlo con voi devo ridurre e trasformare il siste­
ma logico intuitivo di me libero, in un sistema logico formale
di ciò che ascoltate, e non è più libero perché è prefissato e
condotto per mano dal vostro linguaggio.
Entrando nel vostro linguaggio io opero una riduzion e
spirituale, vale a dire divento uno di voi, e solo così voi
potete udirmi e capirmi. Diventando uno di voi io mi impe­
disco di fatto di poter parlare di ciò che col vostro linguaggio

152
proprio dobbiamo tornare al linguaggio umano, la materia non
ha etica, mentre lo Spirito ce l'ha: il rispetto della legge di
Dio, per esempio.
Ecco perché poi sulla Terra la scienza non ha etica, e non
può avere etica, perché la scienza è l'analisi, la contemplazio­
ne, lo studio della materia propriamente detta e delle sue
leggi, e non può avere etica, perché in questo genere di studio
non c'è uno scopo, non c'è un fine, la scienza non ha uno
scopo, nel senso etico del termine, l'uomo che l'adopera però
sì, è evidente, non c'è etica in una operazione scientifica, ma
nel suo uso.
Lo Spirito invece procede sempre tenendo presente l'auto­
conoscenza, l'auto-evoluzione, la presenza di esseri eguali a
sé, quindi la propria libertà e il rispetto dell'altrui libertà: non
ono principi detti e nominati, ma principi insiti nella esisten-
za, nella struttura dello Spirito.
In questa misura lo Spirito diventa per eccellenza il bene,
se proprio dobbiamo definire, e l'Universo assume la funzione
di neutralità, non di opposizione, ed in effetti non c'è nessun a
opposizione nell'Universo, non c'è un bene e un male, c'è u n
bene e c'è una neutralità che è attraversata da ciò che abbia­
mo defin ito bene, vale a dire una struttura in movimento chia­
mata Spirito che ha nel suo stesso esistere una eticità univer-
sale che è il contrassegno del divino di cui esso Spirito è
costituito.
E tutto ciò, proprio per ritornare all'origine della domanda
e del discorso, è completamente diverso dal tipo di esistenza
che vivete voi.
D.: Quando parlavi della "sintassi" del linguaggio spiritua­
le, essa è in evoluzione, accompagnandosi all'evoluzione dello
Spirito?

154
D.: Nel momento dell'incarnazione, cosa ne è di questo
movimento?

A.: Nel momento dell'incarnazione il movimento subisce


un rallentamento, che può anche essere considerato una sosta;
tuttavia è sempre una sosta attiva, perché anche se voi non ve
ne accorgete dal punto di vista cosciente, o anche dal punto
di vista dell'inconscio, c'è sempre l'osservatore che è dato
dallo Spirito, o in questo caso dall'anima, che è la stessa cosa,
che osserva la vita.
Naturalmente l'osserva attraverso un processo riduzionistico
contrassegnato dalla presenza di un corpo, e quindi limitato
dal corpo, ma c'è comunque un rallentamento dell'intero fe­
nomeno, che però non è mai totale perché l'anima è comun­
que attiva mente impegnata nel processo di conoscenza, nel-
1'apprendimento.

D.: Quindi quando poche volte fa, parlando del concetto di


verità, tendevi a sottolineare che Andrea non è colui che port a
la verità ma colui che vuole mettere in moto questo movimento,
intendevi proprio recuperare, ampliare il passo della oscillazio­
ne, attraverso un lavoro di stimolo da parte tua e personale da
parte nostra, quindi cercare di recuperare attraverso il nostro
lavoro una fase più ampia?

A.: Nessuno ha il diritto di affermare una verità, perché


non c'è una verità. Chiunque dovesse dirvi: questa è la verità,
mente e lo sa di mentire, o non lo sa per ignoranza.
La verità non esiste, non può esistere mai la verità in un
processo di evoluzione, è il concetto di evoluzione che abo­
lisce la verità, noi possiamo dire che è vero il principio di

156
del discorso i filosofi e i mistici o gli scienziati parlano di
verità, in realtà è soltanto una reazione enfaticamente spro­
porzionata, della quale bisogna fare un inventario e dare dei
tagli perché la verità in assoluto soltanto Dio la conosce , ed
anche questa è una assunzione di fede, attenzione, perché
nell'affermare questo io non sto dicendo una cosa razionale,
e non sto dicendo nemmeno una cosa spirituale, perché come
abbiamo stabilito altre volte nessuno vede Dio, nessuno parla
con Dio, e dunque noi supponiamo che le cose stiano così, dal
nostro punto di vista evolutivamente relativo.

D.: Quasi come se si volesse comunque attribuire questo


concetto di verità ad una qualche parte, un bisogno psicologico
da parte dell'uomo.

A.: Voi avete bisogno di certezze, me ne rendo conto,


senza alcuni puntelli voi non sapete vivere, ma proprio perché
non sapete vivere senza puntelli la cultura e la società vi hanno
stabilito puntelli e valori convenzionali ai quali danno un valore
assoluto, e quindi vi dicono: chi uccide fa male, chi fa la carità
fa bene, le categorie dei valori sono punti fermi per la vita
sociale.
Se la vita è un esperimento, se la vita è il risultato di una
decisione spirituale di conoscere, la conoscenza non è fatta di
bene e di male, la conoscenza non è fatta di contrari e dell e
opposizioni, ma è fatta appunto di esperienza, laddove non
c'è un giudizio morale o etico. Ecco perché noi non abbiamo
mai voluto considerare, se non nel discorso, il principio di
Spirito inevoluto o di Spirito evoluto, ma abbiamo sempre
detto: lo Spirito che non sa o sa di meno, che ancora non ha
capito, che deve ancora sperimentare; c'è un'altra logica.

158
D.: Qualcosa che è gettato fuori, che non ha caratteri di
collegamento qualitativo.

A.: La materia ovvero l'Universo materiale è una costru­


zione quantitativa e nel contempo anche qualitativa, se voglia­
mo dirla tutta, ma soffermiamoci al quantitativo, lasciando il
termine qualitativo allo Spirito, che è contemporaneamente
anche quantitativo, perché come sappiamo anche lo Spirito è
una qualità strutturale simile o parasimile all'Universo: l o
Spirito ha le qualità divine che l'Universo non ha, questo è lo
schema, lo Spirito entra ed esce da sé e si espande nell'Uni­
verso, l'Universo non ha questa funzione, non entra nello
Spirito, lo Spirito è un individuo, l'Universo non è un indivi­
duo, se non nella sua generalità universale, infinita ed eterna,
ma non diremmo individuo, dal momento che lo Spirito è u n
molteplice, abbiamo un numero infinito di Spiriti, l'Universo
non è un molteplice: ha certamente un numero infinito di
principi e di leggi, ma queste ce l'ha anche lo Spirito.
In ogni caso lo Spirito è contrassegnato da questa unità
individuale e dalla sua molteplicità, un numero infinito di Spiriti,
e l'Unive rso no, quindi questa è la situazione, quindi 11011 lo
so se intendevi questo.

D.: Sì intendevo questo, solo amavo di più il termine ema­


nazione per le qualità dello Spirito invece di proiezione.

A.: Emanazione è un termine che noi abbiamo sempre usa­


to.

D.: È possibile che l'uomo, anticamente, quando lo Spirito


aveva più accesso al cervello sia riuscito ad esprimere una

160
resso io come questo Tai Chi, è possibile che in questa molte­
plicità di movimenti abbiano potuto anche esprùnere questo
concetto simbolico e quindi uscire anche metaforiccunente dallo
spazio-tempo?

A.: Sì, questo è possibile, certamente.

D.: Quindi io posso ancora interessanni di questa cosa in


modo più veritiero?

A.: Certamente te ne puoi interessare, naturalmente chie­


dendoti però se ti serve. Perché nel corso dei secoli la cultura
è cambiata. È vero che la cultura è passata da una fase
ispirata ad una fase più concreta e resa regolare da metodi
ecc., ma è diventata anche una cultura capace di sviluppare le
altre capacità degli uomini, cioè di essere utilizzata. È vero
che la cultura non ha sempre un suo versante pratico, anzi
direi che per quanto riguarda per esempio le arti non deve
averlo affatto, e quindi è destinata soltanto ad un popolo di
eletti, per così dire, proprio per la sua natura fortemen te
intuitiva a valenza simbolica. Comunque sia, certo che te ne
puoi interessare, e chi potrebbe vietartelo, però devi sempre
chiederti se serve ed a che cosa serve, perché bisogna tenere
presente una cosa, che molte volte agli enunciati teorici non
corrispondono le possibilità pratiche, e gli enunciati teorici
non sempre sono veri, veri rispetto ad un concetto di verità di
tipo umano, quindi di uso umano, non di verità sovrannatura­
le.

D.: Pensavo potesse essere utile proprio per avvicinarsi a


quel campo, a quella parte di struttura cerebrale che è più

162
Ecco perché la vita sperimentale vi porta al limite laddove
comincia ad apparire lo Spirito, ma questa operazione non è
una pura assimilazione teorica ma pratica, lo Spirito non lo si
può intuire teoricamente, ma lo si deve intuire subsen­
sorialmente per così dire, cioè affacciandosi, superando la
sensorialità ed entrando in quel mondo che è proprio il mondo
che stiamo o state cercando, cioè il mondo dello Spirito.
La difficoltà o il rischio è sempre lì, di restare nella teoriz­
zazione e di non passare nella pratica della percezione.
Ora, la percezione è qualcosa che supera la sensorialità ,
cioè la percezione supera la sensazione, quindi c'è ques ta
differenza tra sensazione e percezione: la sensazione coinvol­
ge il corpo, il coinvolgimento significa che bisogna portare il
corpo sino all'estremo della sua possibilità attraverso l'espe­
rienza, laddove poi esiste il passaggio alla percezione, che
consente di guardare al di sopra del corpo e di vivere il corpo
in una sorta di lontananza, un corpo che continua a pulsa re
sensorialmente ma che viene vissuto in maniera più dista c­
cata. Allora ci si separa, e questo è il momento in cui è I'ani­
ma che comincia ad apparire e comincia ad essere l'elemento
qualificante di colui il quale sta cercando.
Se tutto quello che abbiamo ora detto resta soltanto una
teoria, qual è la teoria? La teoria è quella che vi ho esposto,
io, nel parlarvi di questa cosa, sto facendo teoria, se voi con­
tinuate a ragionare sulla teoria senza passare all'atto pratico
siete rimasti nella teoria; se voi continuate a dire: io penso, io
credo, io ritengo, io opino, io dico, siete nella teoria. Nel
momento in cui fate senza dire siete nella pratica dell'espe­
rienza, è questa la differenza sostanziale che gli uomini non
riescono a capire assolutamente, perché voi dalla mattina alla
sera spesso affermate, dichiarate, enunciate, professate, inse-

164
A.: L'evoluzione già è un movimento. Certo, possiamo non
utilizzare la parola processo e può essere sufficiente restare al
concetto di evoluzione, perché l'evoluzione implica un cam­
biamento, implica un operare, implica uno svolgiment o.
D.: La vedo più priva di confini.
A.: Processo è certamente un termine umano che è anche
molto legato alla psicologia, se vogliamo dir questo, o anche
alla fisiologia, ma tuttavia il termine egualmente si adatta, a
noi basta che si parli di evoluzione.
D.: Sul fenomeno alla base della medianità hai detto che
questa ha origine da un errore presente a livello cerebrale, vale
a dire un errore di trasmissione del messaggio tra emisfe ro
destro ed emisfero sinistro; mentre in condizioni normali lo Spirito
attraverso una parte dell'anima è in contatto con zone cosiddet­
te mute dell'emisfero destro, che non sono in contatto con l 'emi­
sfero sinistro, così che il messaggio anùnico non viene razio­
nalizzato e trasferito alla coscienza, nella medianità il soggetto
possiede questa connessione ossia la capacità di razionalizza re
input provenienti dall'emisfero destro. E' lo stesso meccanismo
che si attiva nell'espressione dell'alta creatività dove il soggetto
è dotato, senza esserne cosciente, di qualità medianiche. Puoi
spiegarci meglio questo meccanismo? Vorrei anche sapere se in
un soggetto privo di qualità medianiche, quindi di questo errore
di trasmissione del segnale tra i due emisferi, è possibile aprire
questo canale in qualche condizione particolare della propria
esistenza?
A.: Senza rifare tutta la storia di questo processo, voi sa­
pete che l'emisfero sinistro è quello della razionalità e quello
destro dell'astrattezza.

166
addetti, il punto è questo: lo Spirito, vale a dire un essere non
umano, diciamo uno Spirito, può comunicare attraverso l' emi­
sfero destro perché l'emisfero destro, che, ripeto, non è poi
completamente isolato, perché il processo del linguaggio è
anche nell'emisfero destro, ma l'emisfero destro ha una serie
di rarefazioni e di possibilità che consentono a d un linguag­
gio astratto di poter essere trasformato in un linguaggio con­
creto; il linguaggio concreto è il linguaggio della coscienza,
quello proprio vostro, senza del quale la stessa intuizione non
potrebbe essere decodificata.
Allora la decodifica deve avvenire, perché l'intuizione pura
si trasforma in una intuizione spuria, e a questo punto una
subcoscienza del soggetto può intuirla, ma resta allo stato di
intuizione informe, cioè in modo informale.
Nel momento in cui si formalizza l'intuizione, vuol dire che
è stata già captata e immessa nel circuito del linguaggio, e
allora l'io come soggetto io, come io più che come soggetto,
l'io avendo avuta la decodificazione può farla combaciare con
la sua realtà e con la realtà del mondo, e si ha il linguaggio
vero e proprio che può contenere una ricchezza di simboli
perché la fonte è stata quella dell'emisfero destro.
Se la fonte non è quella dell'emisfero destro ma è quella
dell'emisfero sinistro, il linguaggio contiene pochi simboli o
nessun simbolo, per esempio: la cultura teorica che abbiamo
detto, altro esempio: tutto l'accumulo scolastico, l'accumulo delle
abitudini, l'accumulo della vita, delle consuetudini, delle con­
venzioni, cioè del linguaggio propriamente sociale, che è finaliz­
zato alla pura sopravvivenza dell'io, del corpo e della mente.
Questo linguaggio ha i suoi limiti, ma funziona benissimo
nella vita della civiltà organizzata, perché è quello che serve,
ma in questo linguaggio possono non esserci valori astratti

168
Ora lo Spirito si serve di tutto questo processo; ma venia­
mo alla domanda ultima: può un soggetto normale aprire una
porta e impadronirsi di questo circuito?
Certo che lo può, chiunque lo può, però dobbiamo stabilire
un minimo ed un massimo: vi sono persone, come può acca­
dere ai sensitivi, che questo circuito ce l'hanno aperto per
quel famoso errore di cui parlavamo, perché normalmente
alcune porte devono stare chiuse, normalmente, perché la
chiusura delle porte è anche una condizione o anche una ga­
ranzia per l'anima affinché ci sia un controllo o affinché la
mente non vada allo sbaraglio.
Molte porte quando si aprono improvvisamente generano
la follia, ad esempio, quindi bisogna stare anche molto attenti
nelle porte che si aprono; una garanzia per il funzionamento
della mente è che alcune porte siano chiuse; dunque l'anima
nel momento in cui si programma deve sapere di poter utiliz­
zare alcuni circuiti ed altri non deve utilizzarli anche in base
alla sua evoluzione.
Allora voi attraverso esercizi di concentrazione e di medi­
tazione e di isolamento sensoriale potete raggiungere alcune
parti, con tutti i rischi però che sono connessi, perché in fon­
do voi partite da una vostra coscienza, da una vostra cogni­
zione o da un vostro desiderio, ma non sapete qual è il biso­
gno della vostra anima, voi non sapete a che punto siete con
la vostra evoluzione, e quindi il fare questo senza guida o
senza la concomitanza di processi intuitivi può esporvi anche
a dei rischi; in ogni caso è possibile, è possibile riuscendo ad
avere la capacità di isolamento interiore, in modo che il corpo
venga messo a tacere, e tacendo possiate entrare in quella
sfera astratta che è dell'emisfero destro.

170
di impegno della soggettività, ma anche di impegno civile nella
collettività: le due cose devono funzionare di pari passo.
Voi non siete soltanto degli Spiriti solitari che si incarnano,
ma Spiriti solitari che s'incarnano in una collettività di Spiriti,
laddove cioè è previsto il principio della fraternità o dell' unio­
ne, che non è soltanto un principio retorico sociale, ma è
proprio il dovere che ciascuno Spirito si assume nell' incar­
narsi di aiutare il fratello che è nella difficoltà della vita e
nella difficoltà dell'evoluzione.
Quindi il processo di rintanarsi solo nella soggettività, che
sarebbe una attitudine solipsistica la quale è negativa in sé,
deve lasciare il posto ad una attività collettivistica in cui il
passaggio ci sia continuamente tra il privato e il pubblico, tra
il soggettivo e il collettivo.
Questa poi è, ampia a coronamento dello sviluppo indivi­
duale, una delle finalità della vita.
Io mi rendo conto che non è che voi possiate fare tutto
questo, ma di tenerlo presente però sì, e allora sì allo sviluppo
della maturità, sì anche ad avvicinarsi alla problematica del
proprio interno, tenendo presente i rischi, sviluppando la crea­
tività e sviluppando il senso della collettività, che le religioni
chiamano della fraternità e che i laici direbbero della colletti­
vità, secondo come vi piace dirlo.

D.: Quindi se ho capito bene più che cercare l'illuminazione


è necessario muoversi spiritualmente nel mondo.

A.: L'illuminazione non si deve cercare, l'illuminazione


arriva da sola, ci pensa da sola ad arrivare, è un processo
ovvio, nessuno può cercare l'illuminazione, e poi per dirla
francamente, di quale illuminazione stiamo parlando?

172
Che vuol dire conoscenza con finalità? Che gli atti del­
l'esperimento della vita devono essere denotati di senso, cioè
devono significare qualcosa, significare qualcosa significa che
devono giovare alla mia maturità, perché io capisca meglio il
senso storico della mia presenza ora, in questo momento, ma
proiettata verso una presenza di me in cui io riconosco la mia
essenza spirituale.
Allora questa operazione noi diciamo è denotata di senso,
ha un significato, altrimenti non si fa altro che accumulare
tecniche su tecniche senza però capire proprio in fondo che
cosa significa quello che si sta facendo, e questo naturalmente
poi devia dall'illuminazione, e si sta tutta la vita a cercarla e
non si capisce bene che cosa si sta cercando o cosa si vuole
ottenere.

174
molta fatica ad adoperare il vostro linguaggio col quale ascol­
tate la mia voce, perché esso non mi appartiene più. Ogni
volta, (naturalmente ora molto meno) io devo cercare, a volte,
nelle vostre menti, a volte nel patrimonio comune della vostra
cultura, le parole adatte per esprimere concetti che non sol­
tanto non sono più materiali, ma che hanno addirittura un
origine extra umana, concettualmente parlando.
Talvolta io devo fermarmi, ma questo è un mio limite, il
limite di chi non ha più un apparato celebrale, mentale e dun­
que psichico e non ha la padronanza di una lingua e deve
dunque sperare per il meglio, ma talvolta devo fermarmi per­
ché non so andare avanti. Questo aspetto non dipende solo da
me, non so andare avanti anche perché non avete più le paro­
le: occorre allora da parte vostra uno sforzo creativ o per
utilizzare al meglio, proprio tecnicamente, una sintassi, un
vocabolario per quanto è possibile al meglio e che non abbia
subìto però la corrosione della cultura, delle religioni: alla fine
noi parliamo di cose che voi definireste spirituali o filosofiche,
parliamo cioè anche degli aspetti astratti dell'uomo, quelli sui
quali dovrà avvenire il dibattito futuro della cultura.
Dico questo perché appare chiaro da tantissimi segni che la
vostra cultura va rinnovata, deve essere rinnovata perché è
giunta a tale stagnazione da quasi cancellare qualsiasi certezza
intorno alla vita interiore. In luogo dell'interiorità sono suben­
trate filosofie di poco conto, filosofie limitate, sono subentra­
te ideologie politiche, sociologiche, psicologiche, dove l'istanza
primaria di una nuova spiritualità è poco presente o scarsa­
mente presente, o presente per simbologie che non hanno più
consistenza nella realtà essendo diventate obsolete, avendo
radici in un passato attraverso il quale gli uomini hanno visto
l'Universo con modalità generalizzata resa mitica, mitizzata.

176
la dimensione critica, la libertà concettuale, la possibilità di
disegnare la natura e l'universo secondo simbologie elementa­
ri, via, via accrescendo questo suo bagaglio e costituendo la
sua centralità ontologica sulla centralità fisica. Se togliamo
all'uomo questo, se gli togliamo la creatività, l'intelligenza
operativa, critica, se gli togliamo l'arte, la filosofia, se gli
togliamo dunque tutto ciò che esprime attraverso il linguaggio
realtà che fisiche non sono, abbiamo una regressione, una
regressione che diventa pericolosa perché rischia di diventare
irrecuperabile. Allora potreste assistere - e naturalmente per
questo occorreranno ancora millenni, ma non è il discorso sul
tempo che ci interessa - potreste assistere ad una regressione
dell'uomo che conserva la meccanica della sua vita, che con­
serva la ripetibilità dei gesti, ossia continua ad essere un
umano condizionato, ma perde la propria anima. Dico questo
in termini spirituali.
Ora, perdere la propria anima, per l'umanità, cioè per la
specie terrestre, significa che il corpo non risponde più alle
istanze dello Spirito e quando non risponde più alle istanze
dello Spirito, rischia di essere abbandonato. È chiaro che questo
quadro un po' catastrofico che vi ho fatto, però è funzionale
al discorso in quanto, è vero che per una operazione del ge­
nere occorreranno secoli, ma è anche vero che voi state pre­
cipitando la situazione con una velocità inversamente propor­
zionata all'altra operazione, invece, di arricchimento spirituale
in cui siete sin dalle epoche dei cavernicoli quando invece
1' anima si insediò nel corpo. È una andata e ritorno.
È vero che a questo in parte provvede il mondo dello Spirito,
ma vi provvede come? Provvede inviando nell'incarnazione
terrestre spiriti i quali, di volta in volta, mantengono accesa la
fiaccola; dunque una cultura di tipo spirituale o almen o una

178
Il lavoro tra l'uomo e lo Spirito è un lavoro che, essendo
indirizzato all'umanità, alla Terra e agli uomini, deve essere
fatto dagli uomini, altrimenti la nostra voce è una voce rive­
lata che non è più idonea e adatta ad un mondo che ha perso
i miti e ha perso le simbologie e soprattutto il senso dell'es­
sere e la devozione istintiva ad un Dio. Cose perdute che
vanno recuperate, ma con un linguaggio umano di questa vostra
storia, perché ciò che è stato detto nei vecchi grandi libri non
va più bene perché è stata data a uomini di un altro tempo,
con altre culture: è stata data perché potesse essere intesa da
quegli uomini di altri tempi.
Questo lavoro di accordo è un lavoro che spetta ali' uomo
perché voi lo sapete ciò di cui gli uomini hanno bisogno:
sapete e conoscete anche le modalità con cui questi uomini
potranno tornare a riempire il vuoto lasciato dalla cultura
dell'anima, perché la storia, impadronendosi via via di sofisti­
cate modalità di metodo e di linguaggio, col metodo della
scienza non può più adoperare il mito e la simbologia che
invece una volta, uomini anche più semplici concettualmente,
intellettualmente e culturalmente, potevano invece recepire con
maggiore istantaneità. Oggi per voi è necessaria la mediazione
culturale che parli dello Spirito come gli uomini vogliono sentire
parlare dello Spirito.
L'uomo non è sostanzialmente cambiato, intendiamoci, la
mente dell' uomo è ancora rimasta cosa fragile, ma credo che
proprio questa fragilità dell'uomo, avendo incontrato una
forza d'urto superiore alle proprie forze quale si è manifestata
nella demistificazione della religiosità, comunque è stato coin­
volto da questo processo di razionalità. La maggiore raziona­
lità di cui si è impadronita la fragilità dell'uomo deve essere
toccata da una forza culturale, poetica, creativa, che prenda in

180
cità, spingervi anche verso orizzonti che sappiamo non rag­
giungerete.
È quel tanto di utopia necessario perché sentiate sempre la
presenza dello Spirito, quindi avete sempre la coscienza di
poter superare voi stessi; questo tentativo di andare sempre
oltre poi contraddistingue la specie umana dal mondo della
natura

D.: Perché è così difficile autoriconoscersi? P uoi parlarci


ancora di questo argomento?

A.: È difficile autoriconoscersi dal punto di vista umano


perché voi siete per oltre il 90% soltanto materia; lo Spirito
è un piccolo segno che tuttavia, nonostante la sua debolezza,
ha costituito l'istanza morale, etica, il presidio metafisico nel
vostro corpo. Il vostro corpo è invece costruito tutto sulla
forma del linguaggio verbale e sui suoi contenuti e significati,
Questo significa che voi non potete fare a meno del vostro
corpo al punto tale che finanche la presenza dell'anima è
condizionata dal vostro corpo.
Questa è stata in qualche misura la mossa vincente dell'ani­
ma. Perché? Perché, alla fine, avete l'anima, non certo per
merito della natura; avete l'anima perché a un certo punto per
lo Spirito l'avvicinamento a ciò che la materia corporale po­
teva dare è stato un avvicinamento in un certo senso necessa­
rio, utile a noi esseri spirituali per poter apprendere e cono­
scere una parte dell'energia universale chiamata corpo: aveva­
mo bisogno di un corpo che al massimo grado esprimesse la
sua naturalità. Il corpo umano, da questo punto di vista, è
stato un modello prezioso perché c'è un universo meccanico
dal quale noi apprendiamo altre cose, c'è una individuazione

182
Quindi la percezione che si ha dell'io è una percezione
legata a questo nastro che praticamente avvolge l'ambiente e
la persona. C'è naturalmente un altro io, quello che voi pro­
priamente - non stiamo a discutere sulla sua validità - chiama­
te il vostro sé interiore. L'altra radice, quella spirituale,
ontologica, metafisica, o come meglio o peggio la possiate
definire, questa stenta ad entrare nella struttura dell'io. Vale
a dire l'io, la coscienza che avete di voi in questo momento,
sembra essere sufficiente per la propria vita, perché in questa
vostra struttura mentale, voi avete tutti i punti di riferimento,
avete l'affettività, l'emotività, la comunicazione col mondo e
con i vostri pensieri, avete le vostre regole sociali, la capacità
di percepire, avete la capacità di avere e di crearvi tutti i
processi di utilizzazione della vita .
È vero che non essendo questi sufficienti, avete dovuto
crearvi un'etica, ma l'etica piuttosto che essere di natura spi­
rituale, voi l'avete confinata in una natura sociale, voglio dire
che per voi l'etica è quella sociale da cui nascono i primi
cosiddetti comandamenti di Mosè, ma è un'etica sociale. Il
rapporto vero con la vostra essenza interiore non l'avete mai
costruito operativamente. Sì, alcune religioni hanno cercato di
farlo, specialmente le religioni orientali hanno cercato di ado­
perarsi in tecniche capaci di isolare e di riconoscere la matrice
interna, ma tutto è rimasto confinato in una necessità di tipo
religioso, di creare un rapporto tra un sé sociale e un sé in­
teriore in funzione eventualmente di un Dio che codifica le
cose.
Invece un discorso che ha una enorme importanza nella
vita di tutti i giorni è avere coscienza di non essere soltanto
un soggetto sociale, ma anche un soggetto spirituale. È qui il
coinvolgimento di ottica; allora la difficoltà enorme da parte

184
dovuto subire in qualche maniera la risposta del corpo, perché
il corpo non è, ne è mai stato un ente, è stato soltanto un
coacervo di forze, di energie strutturato con le sue leggi tali
da impedire in qualche modo una permeabilità.
Anche il corpo non ha potuto impedirlo totalmente, perché
il corpo ha dovuto riconoscere, o almeno riconosce in sé la
sua incapacità ad ottenere la pace, la felicità, la concordia,
l'amore, e tutte le belle cose sociali; però in questo porsi
verso i comportamenti e le relazioni ha finito con l'ammettere
qualcosa di sé che non appartiene alla natura.
. Di qui le culture, che si sono suddivise in spiritualiste e
materialiste, per offrire ciascuna una spiegazione del fenome­
no del come mai un corpo materiale non riesce a trovare un
mimino di equilibrio se non adopera anche altre proprietà che
del corpo non sono e non sono nemmeno riconducibili alla
società: la pace o la felicità interiore, non coincidono con la
pace sociale, con il benessere, con la ricchezza, con la pro­
prietà delle cose; la pace interiore è una percezione ineffabile,
è uno stare bene in qualsiasi modo, dunque trae la sua origine
da un'altra fonte, che non è quella mentale, perché la fonte
mentale tende a una soddisfazione dei bisogni perché la mente
è una costruzione del cervello.
Il cervello a sua volta è una costruzione che non si avvale
solo degli aspetti biologici, ma anche di quelli storici e del­
l'ambiente. Quindi diciamo storia, ambiente, cervello, hanno
come finalità il bene umano, ma questo bene non crea né la
pace, né la felicità, non crea nemmeno la conoscenza, nemme­
no la crescita interiore, l'arricchimento, che invece provengo­
no da quest'altra fonte misteriosa e oscura che gli uomini
hanno via, via identificato nelle forme divine, nelle religioni.
Ed allora l'importanza di rincapsulare nel proprio io mentale

186
zione su di sé, la centratura di sé, l'elaborazione, che sono
sempre un atto solitario in quanto ciascun essere umano lo fa
in sé, e non in compagnia degli altri, ha bisogno comunque
degli altri per crearsi gli stimoli, altrimenti rischia di chiudersi
in una struttura narcisistica di sé e perde il contatto con la
realtà.
Quindi, se nei casi estremi la misantropia finisce col diven­
tare un isolamento dal mondo, é qualcosa di negativo; se in­
vece è utilizzata per ritornare a sé diventa un fatto positivo;
è sempre bene una mescolanza tra i due aspetti, pubblici e
privati, ma naturalmente vi sono i momenti necessari della
separazione. Ad esempio, tutti gli uomini che sono dediti ad
una ricerca culturale, tutti gli esseri che svolgono una vita
intensa ai fini conoscitivi finiscono con l'essere dei solitari.
Forse soltanto l'inedia psichica e morale sono alla fine da
condannare, tutti coloro, cioè, che passano una intera vita
senza porsi una domanda, senza mai avere un dubbio, senza
mai risolvere o tentare di risolvere il problema esistenziale di
sé, oppure non si interrogano mai sui fini della vita e della
propria esistenza.
Purtroppo questa è una percentuale elevatissima di uomini,
costoro sono da condannare, mentre coloro i quali molto
badano a sé, e non nella forma dell'egoismo e del narcisismo,
ma badano molto a sé nella crescita, nello sviluppo, nel!'os­
servazione, nel dialogo interiore, finiscono con l'essere dei
solitari e diventano dei misantropi e rifiutano, ad esempio, le
forme promiscue isolandosi nel proprio incantamento mentale;
a volte questo aspetto diventa necessario, quando più impor­
tante è l' atto di riflessione, porta nel momento ad isolarsi a
chiudersi in sé può diventare un atto creativo, un ulteriore
atto intuitivo.

188
che non avete mai fatto prima. Se l'esperienza non lede i
diritti degli altri, se l'esperienza non toglie la libertà degli altri
è sicuramente una esperienza che va fatta, però vi trovate
davanti a un ingombro: come farla questa esperienza e quali
sono le resistenze?
Le resistenze possono essere etiche e dunque morali, cul­
turali, possono essere storiche, antropologiche, religiose; allo­
ra inizialmente devo tentare di diventare tabula rasa, devo
cercare di mettere da parte quelle che sono le resistenze e
dunque le sovrastrutture e affrontare con una nuova dinamica,
con uno spirito sgombro la nuova esperienza, e vado per ten­
tativi, evidentemente, perché non so farla, non sono abituato,
faccio fatica; ma mentre comincio a provare e riprovare la
nuova esperienza, cioè un nuovo modello di vita, in pratica
ecco che la sovrastruttura che ho cercato di mettere da parte
torna continuamente a cercare di riprendersi il suo, per cosi
dire, ed allora devo lottare perché mi vengono i complessi di
colpa, perché mi viene la paura, aumenta la percezione del
rischio, cioè mi avventuro in una nuova foresta in cui non so
che cosa incontrerò.
Questo lavoro può durare del tempo oppure può essere
rapidamente risolto, questo dipende dalla situazione psichica
del soggetto: dalla sua volontà, dalle sue fantasie, dal suo
immaginario, dai suoi sogni, dai suoi ideali; si instaura una
contrapposizione di forze dentro le quali si muove il mio io e
questo io deve cercare di superarle per approdare al nuovo
oggetto che intendo raggiungere. Questo lavoro, che è poi il
lavoro della vita - perché si vive per fare questo lavoro -
questo lavoro del tentativo, in un certo senso incuriosisce lo
Spirito, perché lo Spirito incomincia ad accorgersi che questo
lavoro non è soltanto un lavoro di tipo tecnico, ma diventa un

190
de l'esperienza e la conoscenza ed è comunque l'accompagna­
tore, per così dire, dell'azione e del processo di cambiamento.

D.: Come superare la presunzione che a volte si manifesta


anche in modo celato ed è purtroppo portatrice di sentimenti
negativi che allontanano gli uni dagli altri ...

A.: Anche qui diventa difficile, a volte, rimuovere una re­


sistenza che è stata indotta dalle forme educative, diciamo
primarie. Essere prevenuti è naturalmente un errore di pro­
spettiva; essere prevenuti senza la conoscenza e senza sapere
l'altro chi è e come è. Ciò indica generalmente un radicalismo
mentale e psicologico che va combattuto. Essere prevenuti è
quello che ha costituito, poi in fondo, tutte le lotte sociali,
anche quelle ingiuste, le guerre, soprattutto lo schiavismo, la
distinzione tra buoni e cattivi, tra giusti e ingiusti, senza
riuscire a dare un giudizio sulla propria idea di giustizia e di
verità e sull'idea di giustizia e di verità dell'altro diventando
un intoppo mentale alla comunicazione.
Qui non si può fare altro che ricorrere a strategie. Le più
elementari sono quelle di conoscere bene ciò che stiamo ne­
gando e che stiamo rifiutando in maniera che il nostro rifiuto,
la nostra negazione, la nostra contrarietà sia fondata su ele­
menti concreti, che non si basi sul sentito dire e su ciò che
abbiamo introiettato dentro. Questo fenomeno non esiste nel­
lo Spirito, esiste soltanto nella psiche umana: siete voi che
avete diviso la storia tra giustizia e ingiustizia e avete creato
i vostri nemici interiori, i quali si presentano come tali un po'
per tradizione ma molto più per superficialità.
Io credo che ciascun essere umano abbia qualcosa da poter
dare ali' altro. Spesso i cosiddetti nemici lo sono soltanto per

192
pensiero, perché non basta pensare. Il pensiero deve avere un
fondamento, altrimenti non è un pensare ma semplicemente un
parlare, un aprir bocca.
Se le idee che si vogliono esporre sono idee concettualmente
fondate, allora è anche difficile lo scontro, perché se ciascuno
dei contendenti fonda il suo pensiero almeno su assiomi evi­
denti confortati dalla realtà, alla fine gli uomini ritrovano matrici
comuni. Alla fine, non dimenticatelo, avete tutti quanti un' ani­
ma e le anime fra loro non sono in contraddizione. E' vero
che vi sono anime più evolute e meno evolute, ma sulla so­
stanza dei fatti le anime almeno sanno di essere tutte quante
un'anima e di avere dei principi comuni.
Ora, pure voi avete dei principi comuni sulla Terra e nella
società. Avete in comune, naturalmente con tutte le sfumature
possibili, la capacità di pensare, di ragionare, la capacità an­
che di studiare, la capacità di mettere a confronto le idee, le
vostre e quelle degli altri; avete la capacità di essere tolleranti,
di esprimere atti di bontà, di concordia, di simpatia, di amarvi;
avete la capacità dunque di poter avere, tutti insieme, proprie­
tà comuni. Allora riconducetevi a queste proprietà e natural­
mente coltivatele: coltivate le vostre informazioni, coltivate le
osservazioni degli altri, approfondite le vostre idee perché s e
parlate soltanto per istinto, se parlate ascoltando soltanto l'eco
dei condizionamenti che avete avuto sin da bambini rischiate
di andare in collisione tra di voi, perché le vostre idee non
sono più oggettive, diventano soggettive.
Ora la soggettività è un bene prezioso per l'uomo, ma la
soggettività deve essere utilizzata proprio perché diventi og­
gettiva, e cioè una soggettività curata, una soggetti vi tà resa
adatta agli altri, una soggettività che scruta ma indaga, non
una soggettività intesa come pulsione istintiva. Perché la sog-

194
suo ambiente, dalle proprie ideologie, dalle proprie costruzio­
ni religiose, culturali, ecc.
Quindi ciascuno ha bisogno di confrontarsi con un'altra
persona. Non basta che l'altro sia intelligente; chiediamoci
anche di che cosa è costruita questa intelligenza e dove tro­
vare i punti in comune, perché se si trovano prima i punti in
comune è più difficile che si trovino i punti della discordia,
perché i punti in comune creano un rapporto tra due persone
e questo rapporto difficilmente viene ad essere distrutto dai
punti su cui si diverge.
I punti su cui si diverge sono le opinioni, ma quando i punti
sono in comune anche le opinioni un po' alla volta si ritrag­
gono e rientrano nel rapporto a due che dall'uno diventa due,
poi tre, poi quattro.
Quello che unisce le persone che credono nelle stesse cose
è la condivisione di alcuni elementi di base: è questa la cosa
importante. Poi le opinioni lasciano il loro tempo, spesso le
opinioni sono suggerite dalle passioni, sono suggerite dai
momenti storici. Non hanno importanza queste: ciò che conta
sono gli elementi di fondo su cui si costruisce un rapporto
sociale, una identità, per così dire, che diventa sociale, che
diventa mentale, che diventa spirituale, ecc.

D.: Dovremmo avere la capacità di aprirci agli altri con


l'anima, pensare con sincerità. Come capire quando e come ciò
avviene?

A.: Se raggiungete una profondità di sincerità, se cioè il


vostro pensiero non è corroso da altri fini, cioè da fini nasco­
sti, se cioè questa sincerità non si mescola con progetti spuri,
questa sincerità va sempre esposta. Quando il soggetto, aven-

196
Insomma, in un rapporto di comunicazione o di a ffettività
si deve esigere la sincerità. Questo tipo di sincerità in qualche
misura simula il modello dell'anima. Naturalmente stiamo
parlando di rapporti i cui contenuti sono la sfera psichica, la
sfera umana, la sfera sociale, le sfere personali, intime; ma
questo modello rispecchia il modello dell'anima perché l'ani­
ma è fatta così, l'anima non cerca l'abbellimento comunicati­
vo: l'anima cerca di dire ciò che è, ciò che pensa al massimo
grado di spontaneità.
Certo voi avete bisogno delle forme intermedie, a vete biso­
gno di mediare perché esiste la vostra suscettibilità, esistono
i vostri narcisismi, i vostri scherni difensivi, il vostro desiderio
di potenza, credervi sempre migliori e superiori agli altri, e
noninvece l'umiltà di sapere che gli altri possono a vere altre
informazioni, altre verità, altre cose con le quali entrare in
contatto.
È un atto di umiltà che esige però la sincerità, altrimenti la
comunicazione diventa una comunicazioni a metà mentre in
realtà la comunicazione fra due soggetti che si rispettano, che
si amano, tra i quali comunque c'è una comunicazione amicale
e affettiva dovrebbe svolgersi anche attraverso una metaco­
mumcaz1one.
Io fin qui posso dirti, forse devi anche capire quello che
non ti so dire, o che non ti posso dire. La metacomunicazione
a volte può diventare un alibi, ma metacomunicare vuol dire
introdurre soprattutto nel rapporto di scambio, nel rapporto
dialettico l'aspetto affettivo della relazione. Io ti dico questo
perché ti amo, ti dico questo perché ti voglio bene, ti dico
questo perché ti sono amico. Io devo saper riconoscere che è
vero che io lo amo, che gli sono amico e sentire che lui mi è
amico e mi ama.

198
mai, voglio dire. Ma noi sappiamo che, appunto, l'esempio
della pietra spostata entro la quale può passare un fiume è un
fatto vero: basta disinnescare qualche buon meccanismo in
qualche ganglio fondamentale perché straripi il desiderio, per­
ché straripi parte dell'anima, straripi l'inconscio, ci si liberi di
occlusioni, di sbarramenti, si aprano i paletti anche in altri
aspetti e modelli di confine con risonanze a volte vaste che
neppure riuscite a immaginare.
Se si assume, per fare un esempio difficile ma banale, il
senso vero dell'amore, cioè la capacità di intendere che cosa
significa veramente relazionarsi con un altro nella giustizia,
nello scambio e nella tolleranza. Se questo ganglio che rap­
presenta un po' il punto nodale dell'impedimento umano e
sociale venisse disinnescato, si aprirebbero a valanga un'altra
quantità di proprietà.
L'amore apre alla tolleranza, apre alla stessa intelligenza di
ciò che si sta facendo, alla fraternità, alla socialità, apre dun­
que alla cancellazione di ciò di cui parlavamo prima delle
divergenze su tanti aspetti della realtà, e ciascuna di queste
proprietà a sua volta ne ha altre a sé sottoposte. Quando si
ama nel senso autentico della relazione, si acquista la capacità
di amare anche tutte le altre cose. Ecco perché io dico che
difficilmente gli uomini si amano fra di loro, perché se riuscis­
sero ad amarsi, a capire, ad intuire, a partecipare a questo
evento di comprensione aprirebbero il loro sentimento ad
un'altra cascata di eventi collaterali.
Ora potremmo parlare di tanti di questi aspetti, ma quelJo
su cui io voglio puntare in questo discorso è darvi anche la
speranza che se voi riuscite a modellare parte di voi in con­
formità di qualche principio universale, vi ritroverete fra le
mani una ricchezza insospettabile di qualità, perché per supe-

200

j
A.: Intanto la logica razionale anch'essa ha bisogno della
pura intuizione, intendiamoci. Certo la logica razionale se in­
tendete quella di tipo scientifico è una consequenzialità ogget­
tiva, nel senso che tutti gli elementi che impongono la logica
razionale sono di natura oggettiva. Ma lo sono poi veramen­
te? Intanto c'è già una differenza tra la logica filosofica e la
logica sperimentale, cioè quella scientifica. Quella scient ific a
ha bisogno della continua prova: prova statistic a e prov a
oggetti va che l'oggetto della ricerca esiste.
Naturalmente siamo sempre nel campo della oggettività di
tipo umano, perché non è detto che quell'oggetto esista effet­
tivamente. Convenzionalmente la scienza (cioè l'uomo) dice
che esiste, ma in realtà non esiste quell'oggett o. Perché? Per­
ché le forme sono convenzionali e mutevoli e l'oggetto in sé
è un'astrazione che convenzionalmente viene chiamata ogget­
to. Quindi già partiamo da questa considerazione.
Dunque la scienza oggettiva è una scienza relativa. È relativa
perché lo stesso oggetto, esaminato nel tempo, viene ogni volta
riscomposto e ridefinito diversamente. La scienza ha sempre fat­
to così; essa non contempla gli assoluti, ma lavora sul relativo.
Quindi, paradossalmente, la scienza è oggettiva ma è contempo­
raneamente relativa. Quindi non è sinonimo di verità: la scien­
za è sinonimo convenzionale di una verità che è utiliz- zabile
dalla specie umana, ma non è la verità, proprio perché l'og­
getto che ha sotto gli occhi è un oggetto convenzionalmente
definito oggetto. Poi, invece, c'è la logica filosofica, la quale
logica segue lo stesso criterio della scienza cosiddetta oggettiva,
ma parte però da un'ipotesi soggettiva che deve costruirsi ogget­
tivamente. Quindi anche la logica filosofica è una successione
di idee costruite convenzionalmente in vista di un risultato
finale o in vista di una conclusione, partendo da ipotesi.

202
di paradigmi logici, ma è il presupposto di base che è sbaglia­
to, perché il presupposto non è dimostrato. Però siccome non
è certo che sia sbagliato, perché Dio potrebbe esistere vera­
mente, anche senza poter essere dimostrato, questo campo
della filosofia e della ricerca è metafisico. Ecco perché io ho
sempre proposto in queste nostre conversazioni un tipo di
scienza metafisica, o di metafisica scientifica, cioè fondata sulla
realtà. E cioè sullo stretto paradigma di tipo scientifico.
L'esistenza dell'anima. L'esistenza dell'anima non si può.
ragionevolmente dimostrare sul piano della scienza sperimen­
tale, perché l'anima non cade sotto il microscopio, non è di
natura oggettiva nel senso che richiede la scienza, cioè che
cada sotto i sensi, però dell'esistenza dell'anima si può avere
un altro tipo di prova che è la prova statistica. Cioè, se de­
terminati comportamenti dell'uomo non sono ascrivibili alla
sfera cerebrale vuol dire che sono ascrivibili a un'altra sfera e
dunque dobbiamo andare alla ricerca di un'altra sfera.
Quest'altra sfera non la possiamo dimostrare, perché astratta,
ma intanto noi sappiamo che c'è. Allora questa prova crea un
paradigma scientifico di tipo statistico. Tutti gli uomini pos­
siedono una sfera interiore, allora è verosimile che esista, oltre
alle proprietà descritte per la mente umana, altre proprietà
non iscrivibili in una psicologia sperimentale, ma in una filo­
sofia deduttiva. Questi tipi di lavori, se condotti con estremo
rigore consequenziale, creano ciò che gli uomini definiscono
la logica matematica. Tanto più sono precisi e scambievoli, e
tanto più sono inconfutabili, più è verosimile, anche al di là
della dimostrazione che quel principio sia vero.
Vero nel senso che esista, salvo poi a quantificare e qua­
lificare come può esistere o di che cosa sia fatto. Ma intanto
c'è un accertamento di possibilità, di eventualità, app unto di

204
rendosi indubbiamente al mondo contemporaneo così come ne
fate la lettura e cercando di capire da questa lettura di che
cosa esattamente ha bisogno l'uomo. Ma ancora una volta
devo darvi la stessa risposta precedente: questo è un lavoro
che dovete fare voi e io non posso darvi ulteriori stimoli.

D.: Puoi parlarci della possibilità di capire e individuare il


nostro programma?

A.: Questo è un po' nelle cose che ho detto prima. La


difficoltà è quella, fondamentalmente, di vincere il limite so­
ciale inducendo anche altri a muoversi con voi. Voi non siete
esseri individuali perché, se foste da soli, vi sarebbe più facile,
anche se dico che sarebbe impossibile. Non è un paradosso.
Se sulla Terra esistesse un solo uomo, uno soltanto, l'anima
non potrebbe svolgere il suo programma. Il piano sperimenta­
le dell'esperienza e della conoscenza è, sì, un piano fisico, ma
il piano fisico è strettamente annodato al piano dell'umanità,
al piano sociale, al piano della storia. Se l'uomo vivesse da
solo al massimo potrebbe trasferire ali'anima alcune sensazio­
ni della Terra, ma non quelle che vengono vissute, intrecciate
con la vicenda umana, in cui c'è la volontà, il desiderio, ci
sono gli stimoli di superamento, anche le ambizioni a conosce­
re, a vivere, a muoversi.
Dunque la vita sulla Terra è una vita che si svolge fra
uomini e lo Spirito abita la Terra in quanto abita col suo
corpo anche il resto dell'umanità, da cui riceve stimoli, sug­
gerimenti attraverso l'incontro che il corpo fa con gli altri
simili attraverso le forme sociali, nell'unione uomo donna, del
lavoro, della società e dunque anche della politica, della cul­
tura, delle arti. Cioè è un incontro allargato di cui lo Spirito

206
che c'è il momento teorico, ma il momento teorico non deve
essere preponderante, cioè non deve prevalere su quello reale
dell'azione, della vita pratica.
Un gruppo deve sapere, deve conoscere queste dinamiche,
sapere che fuori dal gruppo deve continuare a comportarsi
come quando era dentro e capire invece perché non si com­
porta così. Questo significa anche lavorare sui propri simili,
su quelli che sono fuori, su quelli con i quali ciascun essere è
in contatto per motivi familiari, affettivi, di lavoro, nei limiti
e naturalmente in base alle proprie possibilità e alle possibilità
oggettive del mondo esterno.
Ora in questo modo un gruppo di lavoro spirituale diventa
un gruppo di crescita. In qualche misura questo lo state rea­
lizzando soprattutto voi qui presenti. Non è stato facile rea­
lizzarlo in altre parti, forse questo può essere dipeso da fattori
più psichici che spirituali, perché indubbiamente tutti coloro
che, ad esempio, ci seguono hanno una sufficiente caratu ra
spirituale. Ma questa non basta perché, ripeto, anche un gran­
de Spirito che si incarna e il cui corpo poi diventa inerte di
conseguenza, se è inerte rispetto al corpo, lo è anche rispetto
alla sua forza spirituale.
Non serve a nulla se non c'è questa intesa, cioè se il sog­
getto non fa uno sforzo per tradurre il suo desiderio spirituale
in una formula convincente per se stesso di accrescimento.
E allora bisogna perseverare su questa strada per valutarla
ogni volta da capo, a mano a mano che le persone si modifi­
cano, crescono, si impegnano, perché tutte le strategie vanno
riviste sempre e continuamente finché lo schema non resti
fisso. E ogni volta aggiungere qualcosa in più cercando in
questo gioco delle parti di tener sempre presente i vantaggi e
presentandone anche i rischi, ovviamente.Non tutti sono in

208
come se non ci fosse, rappresenta cioè soltanto un dato di
acquisizione teorico.
È una acquisizione teorica che trova riscontro nella effe t­
tiva realtà del! 'esterno, ma in maniera più semplice diciamo
che per lo Spirito è importante ciò che passa attraverso di l ui
perché soltanto ciò che passa attraverso se stesso costituisce
conoscenza, esperienza ed evoluzione.
Quando io nei tanti anni vi ho sempre invitato a lascia re per
così dire da parte la teoria e concentrarvi sulla pratica del-
1'azione, è perché ben conosco questo meccanismo: il cono­
scere vale ben poco e quasi sempre assolutamente nulla se il
soggetto non si vive la realtà, non sperimenta se stesso, non
cresce.
Ecco perché gli esclusivi teorici della verità o i propugnatori
della verità finiscono col parlare sempre al vento, la vost ra
storia stessa ne è la controprova. Le esperienze fatte dagli
altri o le realtà che sono anche visibili ali'occhio, non costi­
tuiscono una esperienza se i fatti della realtà non passano
attraverso la propria pelle per così dire umana, e nel caso
spirituale attraverso la cognizione dello Spirito che si impa­
dronisce della realtà nel corso del suo agire in quella realtà.
Col solo vedere, col solo partecipare, col solo assentire
dunque non si costituisce l'evoluzione, quindi si ha un bel d ire
che anche attraverso una rete di cognizioni sia possibile ope­
rare un cambiamento, il cambiamento avviene soltanto attra­
verso l'agire, il partecipare, l'essere dentro il contesto e pren­
dere in sé la sostanzialità del contesto facendosela vibrare ,
sperimentare dentro.
Nessuno impara a suonare leggendo un libro di musica s e
non si esercita con uno strumento, e nessuno impara a dipin­
gere semplicemente guardando un museo d'arte, bisogna pren-

212
di giustificare responsabilmente la sua incarnazione a se stes­
so, in quanto che la sua incarnazione fatalmente esclude quella
degli altri, sicché la necessità che la vita sia operosa in questa
direzione perché ne viene contestualmente sottratta l 'espe­
rienza agli altri.
Se non esistesse una misura dell'incarnazione sareste tal­
mente sovrappopolati da scoppiare come pianeta, dunque una
maggiore responsabilità anche a questi fini di dotarsi dell' agi­
re e del fare, che non servono tanto al riconoscimento del sé
spirituale quanto a porre in atto il progetto dello Spirito: questo
è ancora un punto che è bene chiarire ed è bene soffermarsi
su di esso.
Attenzione: voi spesso affermate, credo in parte giustamen­
te ma in parte erroneamente, che durante il corso della vita
bisogna ritrovare il proprio sé spirituale perduto, smarrito nei
meandri della psiche, della società, del mondo, ottuso dalle
culture, dalle religioni, dalle politiche, dai sistemi storici, eco­
nomici, quello che sia.
È vero che è importante la costanza del pensier o nel dedi­
care la propria vita, se stesso, a che emergano le qualità spi­
rituali, e quindi le varie scuole, le varie dottrine, le meditazio­
ni, le riflessioni, la filosofia, le teologie, e tutta quella conge­
rie di attività mentali, culturali e mistiche perché affiori lo
Spirito. Adesso dobbiamo fare un altro tipo di ragionamento,
ed è questo: in realtà non è importante che affiori lo Spirito
in un contesto in cui tutto sommato c'è una umanità, cioè un
umano.
È importante ai fini del vivere civile, è importante ai fini di
una società che può modellarsi con un orizzonte più nobile,
più alto, più profondo, più vero, ma lo Spirito lo sa già di
essere uno Spirito, e voi siete già Spiriti che però hanno di-

214
ma, ciò che era già prima? No, il punto nodale, focale della
situazione è quella unione Spirito-corpo, lì c'è il senso dell'in­
carnazione, la necessità da parte dello Spirito, la progettualità
da parte dello Spirito di utilizzare questa unione per trovare
nel corpo, col corpo quelle frazioni esperienziali che non
potrebbe acquisire senza il corpo, che non potrebbe acquisire
in quanto Spirito.
Il fatto che in Terra invece accade che dello Spirito ci s i
dimentichi e ci si concentri sul corpo - per corpo intendo la
mente, la coscienza - e ci si concentri sulla coscienza perché
ritrovi la matrice spirituale perduta, è un errore di prospet­
tiva, la coscienza del corpo non coincide con la coscienza
dello Spirito, la coscienza del corpo è umana, è un prodotto
del corpo, è un prodotto della materia, è un prodotto delle
cellule, del sistema nervoso, non ha niente a che vedere con
il vero stato di coscienza dello Spirito; sicché l'operazione è
una operazione gratificante per il corpo sociale che in tal modo
raggiunge uno standard, cioè un livello di maggiore cognizio­
ne della sua storia e collocazione nel mondo, alla ricerca del
vero, della verità, della conoscenza, della scienza, del vi vere
in pace, tutte cose indubbiamente positive ma che ancora una
volta non interessano lo Spirito.
Volete che lo Spirito nella sua natura, nella sua struttura
possa essere interessato ai vostri giochi politici, economici,
alle vostre contrapposizioni di essere politicamente a destra,
politicamente a sinistra, filosofi della speranza oppure filosofi
mistici oppure sacerdoti oppure predicatori o che so io; lo
Spirito ha ben altro da fare e da pensare, questo fa parte del
mondo umano, e una delle riflessioni a cui vi invito questa
sera è quella di cercare di fare una netta distinzione tra mondo
umano e mondo dello Spirito, due categorie complementari

216
Credo che su questa scissione che si è verificata, cioè tra
questa importanza che si dà alla mente dime nticandosi che
esiste un altro tipo di mente che ragiona in modo diverso, v oi
pensate partendo da questa mente umana di poter organizzare
il mondo dell'etica o il mondo della verità secon do le regole
del mondo umano - perché è così che alla fine fate - le e sigen­
z� dello Spirito sembrano del tutto ignote, ed allora il passa�­
g10 alla mente è apparso sempre giustificato e naturale, 1' ani�
ma non si vede, lo Spirito non si vede, la mente e il corpo si
vedono, sono loro che soffrono, sono loro che dev ono essere
inglobati in un sistema sociale economico ed etico funzionante
ai fini della pace sociale.
È un punto di vista comunque estremamente limitato, ed è
estremamente limitato proprio e specie nel momento in cui 1�
vostra scienza, ma un po' la vostra cultura attuale, ormai
conosce che ha davanti a sé un Universo enorme che prima
non era visibile, non era visitabile, non era interpretabile.
Oggi lo sapete, vi sono sistemi miliardi di anni luce lontani
da voi, il mondo non finisce col pianeta Terra: basterebbe già
questo per relativizzare il vostro discorso, la Terra è un pic­
colo granello, e tuttavia c'è su questo piccolo granello una
grande cosa, l'essere pensante in maniera soggettiva che assi­
cura in questo Universo apparentemente anonimo il crisma
dell'individualità che osserva ed interagisce.
Voi siete l'unica esistenza, qualunque possa essere l'esi­
stenza, chiarisco subito, l'unica esistenza in grado di poter
affermare e sostenere di essere in grado di dare un giudizio,
di interpretare in maniera individuale e soggettiva tutto ciò
che gli è intorno.
La soggettività dunque diventa il caposaldo di qualsi asi
discorso di ordine metafisico che vogli a in qualche modo

218
finiti resterà sempre la distinzione, perché anche se è vero
che con una certa geometria non è vero che due rette parallele
non si incontrano mai e potrebbero anche incontrarsi con un
sofisma matematico, resta il fatto oggettivo che due rotaie
non si incontrano mai, quindi non sono due concetti nel sen so
matematico, ma due rotaie, quindi due energie che non si
incontrano mai, perché anche se l'acciaio della rotaia di un
treno è dello stesso acciaio dell'altra rotaia, e pure essendo
della stessa natura non si incontrano mai, perché se si incon­
trassero il treno salterebbe per aria.
Allora, poiché ciascuno di noi nella sostanza è una sostanza
di acciaio, voglio dire che la mia sostanza di Spirito non è
soggetta a corrosione, a morte, dunque la mia individualità è
eterna quanto quella dell'energia universale. Queste due fo rme
che prendiamo nel creato pongono un dualismo netto e chiaro
in cui la soggettività gioca sicuramente il suo ruolo fondamen­
tale, quindi parliamo proprio di una interfaccia, individualità e
soggettività, perché la soggettività implica la capacità cosciente
di esserci, e dunque questo tra l'altro ci rassicura anche sul­
l'eternità dello Spirito, sulla nostra tenuta non alla distanza,
ma nell'eternità, perché l'individualità esclude il processo di
trasformazione, per cui io potrei sl essere io ma non essere
più io perché non mi riconosco più in quanto anche la mia
soggettività si trasforma.
La soggettività non si trasforma mai, si accresce, si modi­
fica, si integra, ma il sapere che io sono io e non sarò un altro,
cioè un'altra cosa distinta da ciò che io so di essere adesso,
questo è per me profondamente tranquillizzante sul piano
concreto e sul piano reale, perché mi consente anche che la
progettazione della mia evoluzione sia una progettazione che
può essere guardata a distanza, senza alcun pericolo e alcun

220
tevi sempre di questo aspetto, non esistono esperienze nega­
tive, esistono esperienze e basta.
I limiti possono essere imposti da un'etica generale, indi vi­
duale o particolare, ma le esperienze hanno questa valenza, di
essere appunto esperibili e di trasformarsi in conoscenza,
conoscenza che porta a rifiutare, a continuare, a confermare a
seconda dello stato d'animo, del livello evolutivo, delle cono­
scenze, questo è un altro discorso, valutazioni di scelta, liber­
tà di fare o non fare, ma tutti gli oggetti sono esterni a voi.
Che cosa accade? Accade che se ci si dà una finalità, ecco,
io affido il mio corpo alla mia anima, nel senso che la mia
anima cioè il me profondo, partecipando bene e completamen­
te all'esperienza, trae da questa esperienza anche le cose che
io non esperisco, ecco, perché voi dovete anche considerare
che le esperienze che voi fate, l'agire nella vita, le interpretate
secondo i vostri moduli, i vostri modelli culturali, cognitivi,
emozionali, che so io, corporei, ma voi non sapete lo Spirito
come partecipa a questo.
Se voi avete tutta questa serie di modalità di percepire una
esperienza, il vostro Spirito ne ha un'altra, il vostro Spirito,
la vostra anima come si pone, come fa a farsi trapassare l 'espe­
rienza che voi soggettivamente fate vostra, la fate con i vostri
limiti, con le vostre fatiche, con la vostra gioia, col vostro
piacere, col vostro dolore, ma l'anima che cosa trae da tutto
questo? trae forse la stessa modalità percettiva con cui voi
come corpo la state realizzando? Certo no, vi sono momenti
e cose che nel corso dell'esperienza che fate sono immediata­
mente catturabili dall'anima, la quale dice, osservandosi, per­
ché è stata chiamata a partecipare, osservandosi: questo è
intuibile, questo è vero e questo è falso, questo lo capisco
questo non lo capisco.

222
gnifica farlo veramente donandosi ali'esperienza che sta arri­
vando, in maniera che in questo modo la traslazione sogget­
tuale, il passaggio tra l'esperire, il desiderare, diventa il par­
tecipare; questa partecipazione diventa il desiderio astratto di
voler realizzare dentro di sé la cosa esterna che sta arrivando;
la cosa esterna possono essere Je cose, immateriali e le cose
materiali, le cose come le persone, gli oggetti dunque che
sono distribuiti intorno a voi compreso gli esseri che li modu­
lano e li adoperano e compreso gli esseri con i quali diretta­
mente entrate in contatto.
Allora fare le cose in questo modo significa, primo, una
soggettività operante, vera: sono io che lo sto facendo, sono
io che lo sto desiderando, sono io che lo sto realizzando e lo
voglio realizzare con tutta la mia partecipazione interiore; io
sto già richiamando l'anima, appena mi riformulo non io
mente, quindi lo faccio con un calcolo operativo umano, ma
con un calcolo operativo spirituale intensamente, non altro,
non la cultura che lo suggerisce, non la costruzione teorica
finanche del progetto, no siete voi con tutta la vostra forza,
la passione interiore, l'amore, verso un accrescimento cono­
scitivo.
Allora è proprio l'anima sì, intanto sta ricevendo da voi
una serie di messaggi astratti, non codificati col linguaggio,
perché in voi nel momento in cui operate non c'è più il lin­
guaggio materiale, ma ci sono tutti i linguaggi simbolici, fatti
di intuizioni, di partecipazioni, di un sentire nascosto, interno.
I vostri sensi si trasformano in altro, voi siete immessi in
questa corrente fluida che passa continuamente dalla materia
alla vostra gioia interiore di realizzare una esperienza.
In questo modo voi abbandonate addirittura la materia e
quanto più la abbandonate quanto meno pensate alla vostra

224
chiamiamolo così, la vostra anima è libera, non ha limiti, certo
nell'ambito della propria evoluzione, nell'ambito del proprio
progetto, ma qui non sarei tanto geometrico perché il proget­
to è anche questa parola che noi adoperiamo ma che ha molte
elasticità e molte sfinestrature.

D.: Da questo discorso dovrebbe scaturire una modifica del


linguaggio quindi dei simboli che l'umanità ha avuto fino a
oggi. Tu puoi anticipare qualcosa su questo mondo simbolico
che verrà costruito da un modo di vivere più coerente col pro­
prio Spirito? Avevo in progetto di analizzare l' "/ Ching" nel
suo mondo simbolico e volevo chiederti: questo mondo simbo­
lico che è stato dato da questa civiltà sarà ancora valido in
futuro o no?

A.: No, perché il mondo simbolico è assoggettato alle


variazioni storiche e temporali. I simboli che valevano una
volta non valgono più in una società che è completamente
cambiata, quindi occorrerà poi anche vedere quali simboli sono
cambiati e quali si sono cambiati in meglio o in peggio, qual
è la possibile estensione che alcuni simboli possono ancora
avere nei tempi in cui state vivendo.
I simboli sono il risultato di processi storici che codificano
comportamenti, norme, valori, ai quali vengono attribuiti si­
gnificati universali che poi non sempre sono tanto universali,
io direi più terrestri.

D.: Puoi anticiparci qualcosa su quello che sarà il futuro


di questo tipo di linguaggio?

A.: Il futuro dei simboli? Ma, di simboli ne nascono con­


tinuamente, se ne formano per meglio dire continuamente,

226
- - - --- -

ca to vengo n o imposti d
, g
a lle ra n
concentrazioni polit iche
di

finanziar e non na o �
i , s ome prod 1
c n oc otto d profezia,
misticismo , di spont i
an e o c o it i �
s t u r s di re o oJe fra ò0 li uomi ,
i

trasformandosi in a c hetipi, q i di ò ni
r u n valori e dunque in miti.
. .
i
Certo il funziona me di q
n

ue s t è un funziona­
n t i
miti antic
mento di cui og g i p t t hi
o

o e e re
di : h a nno le radici, tanto è vero
che non riusc te a sc
i u o r v de i n ate radici, pur essend o
term
t i

cambiato il co so dell
e

r
s or a: a esempio il mito della mad re,
t d

il m to de l pad e , la fam o
a

i r l iia co -
e ssa con tutti i corollari, nas
i

n o, affondano dir ei , i n
o
st
un a organiz z az i one di mi i che s in-
..

treccian o e c e si t 1
h o a
son ratific ti e rad ficati in decine e
i
decine di secoli con
ntare
rrez on h t almente sfumate da dive
i i

quasi invisib li in n c o
e li
i e è s ta o t statico pe rò per s c o
d

u mon o c
e seco i, e ch e nei m ti ha ff
l i a ondato e creato le rel igioni.
Allora a mitizzazi
l o e n app u t la sacralizzazione, tutta
, n o 1
simbolo g a che riman d a
i a tu un co oll a rio di metafore, �
mol o p ù diffici e da dictt
o r e
t i
l
sra are, perché in un cer to senso
entrat o nella vost a st tt è
r ru ura cellula re, fa parte della costru­
zione della coscienza in q
u men e, è l ambiente a tico
t t ' n eh
continua ad esse e c lle an o n �
r o gato co n l'amb en e
i t moderno, qui ?
la correlazione cellula- m bi n �
a u nte in cui
mi i del passato sono e te incontra n ambie 1
t
anc r o prl'inco regole in espresse
esenti con
a

ma funzionant : allo a bbi l gia co


r a m ro ll a mito o n
i
la realtà presente che div e n o
a
nt de
ta s c on ro.
t
Quello che chiam t e c
a on i u amen e scontri s orici genera
n t t ­
zionali sono scontri fr
t

L uom o n sce senza


oli.
i t

i mito e senz i
a m i, fra simb ' a
l a l si m b ol p r aven dolo ereditato: perché
o u i
g i ovan i sono sem e i o na rispetto ai padri ? Perché i
p r r vo uz
i l

sistema ancora non li h ing l b r i I


a a ti, appena li ingloba sembrano
riconoscerlo, se ne app rop ion o, lo fan o l ro , s no bloccati,
r n o o
a
sono in gabbia.

228
D.: In questi simboli di transizione, quindi molto più labili
rispetto a questi così fondati e forti, non si potrebbero creare
come dei vuoti di potere attraverso i quali poi l'anima potrebbe
sgattaiolare meglio?

A.: Mia cara, il problema è che lo Spirito ha sempre il


progetto ben preciso, e sebbene il corpo gli occorra per i
motivi che abbiamo più volte detto, ma tutto sommato non è
deputato alla costruzione dell'uomo o alla costruzione della
mente dell'uomo che lo riceve, deve anzi lasciare che la men­
te, che la coscienza nel senso umano segua il suo corso, per­
ché quel corso gli consente quel tipo di esperienza.
Se noi rendessimo tutto facile, lo Spirito probabilmente
non avrebbe più interesse, interesse proprio conoscitivo, o
potrebbe anche averlo, ma egualmente la realizzazione del
progetto eccessivamente facilitata lo solleva dalla responsabi­
lità, e soprattutto lo solleva dalla fatica e dal lavoro che in se
stesso rappresentano lo sforzo di rappresentazione, di corre­
zione e di superamento, perché vincere il mito che è dentro di
sé, vincere le regole che sono dentro di sé, è quella poi anche
1 'esperienza, quel tipo di lavoro di modificazione. Non si può
consentire ad un corridore di correre in discesa, bisogna che
ci siano gli ostacoli, gli ostacoli non sono lì per il gusto di
creare l'ostacolo, ma perché le difficoltà formano l'esperienza, le
difficoltà poi formano la conoscenza, e la fatica ispessisce l 'espe­
rienza e la consolida e dà il merito, perché l'operazione è una
operazione qualitativa appunto della propria soggettività.

D.: La cosiddetta benedizione dell'ostacolo.

A.: Sì.

230
che sta facendo, il corpo lo sa, ma ve ne sono altre in cui il
soggetto non lo sa, ma l'esperienza si sta provocando lo stes­
so, perché l'attività dell'uomo incontra sempre il proprio in­
conscio, anche se coscientemente non lo sapete e non ve ne
accorgete, e quindi l'inconscio rielabora e rimanda all'anima
ciò che è rimandabile e viceversa.
Ogni vostra azione ha un aspetto conscio e un aspetto in­
conscio, voi non siete in grado sempre di decodificare questo,
però voi ogni volta che parlate, che agite, sta agendo in voi
anche l'inconscio, quindi la procedura è relativamente sempli­
ce, cioè può essere compresa, sia che l'inconscio agisca sulla
vostra coscienza e non ve ne accorgete, sia che la vostra
coscienza si rimandi al proprio inconscio che a sua volta cat­
tura gli elementi della realtà, perché l'inconscio si costituisce
attraverso il vivere nel mondo del corpo, quindi il corpo va a
costituire l'inconscio all'insaputa della coscienza della perso­
na, e quella è la via maestra per l'anima stessa.

D.: Mancava questo anello di collegamento.

A.: Sì, è il collegamento.

D.: Quando hai parlato di tuffarsi nell'esperienza con tutta


l'anima mi sembrava di vedere in movimento Eros, il demone
mediatore, per fare strada all'anima nell'esperienza della Ter­
ra, però metterci tutta la passione dell'anima nel fare le cose
significa produrre una tale quantità di energia in noi che coin­
volga al massimo la volontà e che poi ci dia la carica per poter
entrare nell'esperienza in questo modo, quindi il problema è
produrre questa energia, perché se la nostra energia a monte è
carente la passione non scatta.

232
do, insegnandogli a focalizzare l'attenzione su se stesso che
sta facendo, anche attraverso il gioco, anche nelle cose più
semplici.
Invece voi tutte le cose della vita le fate distrattamente: il
bambino gioca perché il gioco è distrazione, è appunto un
gioco, si mangia distrattamente, si dorme distrattamente, ci si
sveglia distrattamente, come se tutto fosse dovuto, naturale,
normale.
È vero che è naturale e normale mangiare, addormentarsi,
giocare, svegliarsi etc., ma poiché c'è una coscienza che fa
questo, imparare a focalizzarsi sulla coscienza che compie
l'azione, senza gravare il bambino in modo eccessivo, ma
semplicemente condizionandolo ad un altrettanto fatto che poi
è naturale, cioè quello di prestare attenzione alle cose che si
fanno, che non mi sembra una gran costrizione, essendo anche
l'attenzione una proprietà naturale dell'essere umano.
Insomma è come se voi nella vostra educazione verso i
vostri figli, voi umanità intendo dire, pensaste esclusivamente
all'uomo materiale e nulla all'uomo spirituale, se credete, o
psichico se anche non ci credete, perché a questo punto è la
stessa cosa.
Allora il bambino viene abbandonato alla naturalezza della
sua modalità espressiva, senza accorgervi che ve ne sono altre
che sono egualmente naturali e che sarebbe molto più utile
attivare, e allora si innesca in questo modo un processo di
riverberazione, accumulo e tensione dell'energia di cui stava­
mo parlando, per cui tante persone che si perdono per così dire
nei meandri del mondo, avrebbero potuto svolgere altro tipo
mentale di vita e non l'hanno saputo e poi dopo voluto fare.
Comunque questo è sempre attivabile in qualsiasi età, per­
ché si tratta di uno spostamento proiettivo in cui cominciare

234
della propria seconda natura interiore. Insomma è questa una
strada, indubbiamente.

D. Però sto notando che in questo campo nel!' antichità ne


sapevano molto più di noi.

A.: Però, attenzione, nell'antichità queste cose le conosce­


vano un numero ristrettissimo di persone, non avevano nessu­
na valenza sociale. Il nostro discorso ovviamente tiene conto
di mutate situazioni e quindi di un insieme sociale molto più
amp10.

D.: Diciamo che faceva parte di una filosofia specializzata


proprio per vivere come dici tu, vivere con tutta l'anima.

A.: Solo che noi cerchiamo di parlare a più persone in un


contesto più ampio, non alle singole persone che sono dotate
e possono andare avanti, ma cercando di portar su anche i
meno dotati, cioè coloro che non hanno incontrato una giusta
impostazione, in questo senso meno dotati.

D.: In questo campo l'arte potrà dare una mano, perché oggi
l'arte non la vedo tanto bene come espressione.

A.: L'arte naturalmente è un po' lo stesso discorso: il pro­


blema è della scelta, l'arte così come determinate attività
ginniche bisogna suddividerla tra chi la fa l'arte e chi ne
usufruisce, fa da spettatore, e qui torniamo nel discorso di
prima, però: fare da spettatore è cosa diversa che il farla.
Poi certo, sono d'accordo che alcuni esseri umani per motivi
incarnativi, rappresentativi, identificativi, lanciano dei segnali

236
successive forme più evolute dell'organizzazione umana, e
quindi avere poi la possibilità di potervi accedere: ma se voi
pretendete che queste scelte vengano fatte nella maturità quan­
do il giovane ha già raggiunto i 15-20 anni, l'operazione è
perduta già sul nascere, perché a quella età si è già costruito
il soggetto, ed è già stato risucchiato da quella trappola psichico
sociale di cui abbiamo parlato prima, e non ne sa uscire più,
perché deve subito puntare al guadagno, al lavoro, alla fami­
glia, ai figli, è fuori gioco. Se dobbiamo dare un senso alla
vita, e se il senso deve essere quello di far vivere l'anima nella
mente e nel corpo, è precocemente che deve essere fatto questo
lavoro, perché dopo diventa soltanto una gran fatica con esiti
molto incerti.
D.: Volevo tornare al discorso di fare le cose con tutta
l'a nima, in realtà significa mettersi al servizio dello Spirito.

A.: Mettersi al servizio dell'esperienza, io sottolineo quello


che ho detto prima, lasciatelo perdere lo Spirito, lo Spirito
diventa una parola dietro la quale coprirsi il volto, al servizio
dell'esperienza emergente, facendo una distinzione: questa cosa
è utile alla mia crescita, mi fa capire il mondo in un altro
modo, mi fa capire un altro aspetto del mondo, mi fa incon­
trare qualcosa che io metto in cassaforte e che può servirmi
dopo.
Poi lo Spirito è una cosa che tu sai intuitivamente che c'è,
altrimenti si continua a giocare con le parole, questo lo faccio
per lo Spirito, lo Spirito per voi è soltanto una parola, perché
voi in questo momento vi identificate soltanto nella vostra
corporeità e nella vostra mente, in questo momento.
Quando cominciate a fare questo lavoro, l'anima viene da
sé, viene da sé perché in quel momento provate il piacere, la

238
SOFFERENZA UMANA E "SOFFERENZA" SPIRITUALE.
FORMAZIONE TERRENA SEMPRE DIFETTOSA.
POSIZIONE DI EQUILIBRIO. OPZIONI SOSTITUTIVE.
LA VITA COME ESERCIZIO ED ESPERIMENTO.
COMPENSARE NEL PRESENTE IL DOLORE PASSATO.
VITA MENTALE COME GIOCO.
IDENTITÀ COME NUCLEO DI AUTOCOSCIENZA.
IDENTITÀ SOCIALE, PSICHICA, PROFONDA.
COSTRUZIONI VIRTUALI DELLA MENTE.
USCIRE DAI RANGHI PER UNA VITA CREATIVA.

Seduta del 17 febbraio 2006

D.: Volevamo riproporti un tema del quale abbiamo parlato


innumerevoli volte, ma sempre attuale per l'uomo, che è quello
della sofferenza, ed in particolare ti volevo ricordare una cosa
che dicesti una volta: io pensavo che ad ogni uomo non capi­
tasse una sofferenza superiore a quella che egli potesse soppor­
tare, e tu mi dicesti di no, che poteva accadere che arrivasse
una sofferenza superiore alla propria soglia di tolleranza. Que­
sto naturalmente apre uno scenario drammatico. Cosa si può
fare per aiutare e soprattutto per aiutarsi, in una condizione del
genere?

A.: Dissi infatti che può capitare una sofferenza, diciamo


impropria, rispetto al proprio cammino evolutivo, e che dun­
que per circostanze assolutamente non prevedibili dovute al-
f
1 'ambiente in cui un soggetto vive, può capitare una sof e­
renza di natura spirituale: a questo soprattutto mi riferivo ed
intendo riferirmi.

240
o positivo, devo dire, perché voi conoscete solo l'esperienza
del dolore, della sofferenza e non immaginate che anche la
gioia provochi eguali sommovimenti nella sfera della per­
sonalità.
Ma essi, essendo piacevoli, non vengono osservati, non
vengono notati, e passano come un fatto normale, dunque come
se non fosse quasi accaduto niente, il che sul piano psicologico
affettivo non è così: sofferenza e piacere, sofferenza e dolore,
o gioia, provocano reazioni, sia pure opposte fra di loro.
Lo Spirito, a sua volta, è in relazione col corpo, e quando
dico "col corpo" significa che è in relazione con tutta questa
sfera affettiva umana.
Questa sfera affettiva è in grado di poter dare al soggetto
maggior dolore, a sua volta, di quanto sarebbe lecito attender­
si da una particolare evoluzione di quello Spirito.
Quando accade ciò? Accade quando la psiche non è ben
dominata, quando la psiche non entra nella sfera della ragione
e si lascia andare alla deriva, allorquando cioè. mancando un
controllo integrato sulla sfera dell'emotività, quando questa
interviene al massimo grado finisce con l'avere un'azione
devastante, che non è prevista dallo Spirito, il quale finisce
col soggiacere all'imperio dei sensi e dunque dei dolori e quindi
delle gioie, al di là di ogni possibilità di controllo.
Lo Spirito non può prevedere, all'atto dell'incarnazione,
quale esattamente sarà la situazione del suo mondo psichico
umano a distanza di 20, 30 o 40 anni dalla nascita. Non lo può
prevedere perché la psiche è in stretta comunione con l'am­
biente e con le modalità con cui il soggetto si relazi ona al-
1'ambiente, e questo non è assolutamente prevedibile.
Lo Spirito può oggettivamente avere delle informazioni
fruibili su quella che è l'attività del corpo, un cervello di un

242
Infatti la grande sofferenza umana di ordine emotivo­
psichico, emotivo-affettivo, è qualcosa che non passa nello
Spirito, almenché non si usi la propria sensibilità o la propria
maggiore sensibilità per trasformarla in un fatto conoscitivo;
il che implica un'analisi che riduca il rapporto col mondo, che
crei un isolamento, o una riduzione di contatto, per poter
dominare le emozioni che intervengono. È per questo motivo,
che le vite umane finiscono col diventare una terapia continua
per modellarsi, non tanto o non solo col mondo, quanto so­
prattutto nel rapporto che soggettivamente si ha nei confronti
del mondo.
Una operazione, peraltro, niente affatto facile, intendiamo­
ci, che però porta a dei risultati, perché, vedete, il dolore
come la gioia alla fine sono dei mascheramenti di bisogni
insoddisfatti che il soggetto cerca per potersi riappropriare
in qualche modo del proprio passato. Ogni essere umano nel
corso della vita non funziona mai come dovrebbe. Quando si
viene in Terra fatalmente si è esposti ad una progressione
formativa difettosa: non esiste un modello che possa escludere
gli errori, perché la realtà è complessivamente strutturata in
maniera erronea.
Intanto il primo errore, o se vogliamo la prima incompati­
bilità, è tra lo Spirito e la materia, e non c'è niente da fare,
è una incompatibilità radicale. Lo Spirito funziona in un modo,
la mente, anche quella asettica, neutrale, funziona in un altro
modo.
La mente è il risultato di un organismo che interagisce con
l'ambiente, lo Spirito è un organismo autonomo che interagisce
soltanto con se stesso e dentro se stesso: le due nature sono
estremamente differenziate, per cui lo Spirito si crea un adat­
tamento attraverso l'inconscio, attraverso parti della psiche,

244
può reagire rispetto ad un determinato evento, male o bene
che io reagisca, se ho capito che questo serve a me per poter
crescere nel mio interno in funzione di quello che è accaduto.
La sofferenza poi rischia di cessare, perché essendo seconda­
ria, e non principale, non è funzionale all'accrescimento.
Vi sono persone che possono soffrire anche tutta la vita
senza crescere di un grammo, perché la sofferenza non è stata
utilizzata come una vera conoscenza di un evento, indipen­
dentemente se l'evento è proprio. Quindi acquisire una neu­
tralità di giudizio rispetto a quello che si sta verificando.
L'operazione dello Spirito non è facile, ma non perché lo
sia in assoluto, ma poiché lo Spirito non ha gli strumenti;
allora gli strumenti glieli dovete offrire voi applicando agli
avvenimenti quotidiani la tecnica di trasformazione da evento
in esperienza, quasi un esperimento volontario di dolore, per­
ché questo evento del dolore diventi una conoscenza effettiva
nella parte profonda di sé, nel proprio profondo; operazione
questa che poi diventa autonoma ed automatica, e voi non
c'entrate: voi potete entrare nella parte terminale, ovviamen­
te, nella parte terminale.
Dicevo poi le forme reattive di copertura: la vostra psiche
è tanto labile, voi soffrite per una cosa, ma la causa vi è
sconosciuta, anche se vi sembra conosciuta. La vostra mente
lavora male, da un certo punto di vista, ma è l'unica cosa che
avete ed è questa che avete, allora la posizione intermedia, la
migliore, è sempre quella della propria neutralità senza farsi
travolgere non più di tanto da tutti gli eventi.
Molto tempo fa io ricordo di aver detto una cosa: voi non
dovreste né amare troppo né odiare troppo, ma mantenere
una sorta di equidistanza dal mondo, che non significa né neu­
tralità assoluta né indifferenza: significa soltanto crearvi più

246
Anche la gioia è una esperienza e va coltivata, ma al pari
va coltivata, quando interviene, anche la sofferenza; la diffe­
renza è che la sofferenza ve la trovate e la gioia ve la dovete
cercare, in genere, ma ci sono anche gioie che intervengono
spontaneamente, così come spontaneamente interviene il dolo­
re, e quindi il piacere che se ne ricava è qualcosa che deve
essere ogni volta interpretato. È un esercizio ed è un lavoro
la vita, ma se volete distinguervi nettamente dalle specie infe­
riori della natura dovete anche esercitarvi a fronteggiare tutti
gli eventi con la lucidità e quella saggezza che poi interviene
a mano a mano che l'esperienza si chiude e si sorpassa.

D.: Una volta dicesti: a nessun uomo è affidata una croce


più pesante di quella che ragionevolmente può trasportare: ti
riferivi soltanto alla sofferenza fisica?

A.: In genere ci si riferisce a quella spirituale, ma le due


cose sulla Terra sono mescolate. Voi nel linguaggio comune
intendete le sofferenze umane, quelle di cui parlavamo prima,
ma in realtà, quando si dice una cosa del genere, si intende
principalmente quella dello Spirito: cioè a nessuno Spirito viene
affidata una vita esperienziale superiore alla propria evoluzio­
ne. È un modo per spiegare meglio le cose . E, d'altra parte,
qualcosa di superiore alla propria evoluzione non si potrebbe
eseguire, Io Spirito non sarebbe in grado di farlo, perché cia­
scuno può fare in base agli strumenti spirituali e morali che
possiede, non si può chiedere a qualcuno di fare il santo, ma
viceversa non gli si può neanche chiedere di fare il diavolo
però. Voglio dire che voi non potete fare più male di quanto
istintivamente vi sentite di fare, né più bene di quanto vi sen­
tite di fare istintualmente: quindi ciascuno si muove sempre

248
cella della registrazione della vita; non cancellano ma sostitu­
iscono, mettono a tacere il passato costruendo nuovi perc orsi .
Non bisogna mai rivolgersi al passato se non per osservar�
si: ogni momento di vita può essere un ricominciare con altro
modello, con alternativa, con altre occasioni: guai a ritor nare
sempre a recitare il proprio passato, come se esso fosse re­
sponsabile di tutto.
Certo che lo è, ma che importa, bisogna chiudere una scena
ed aprirne un altra; l'altra che si apre può completamente
mettere nel buio la scena precedente, perché viene sostituita.
Oltretutto si svolge nell'attualità, e nell'attualità non c'è sol­
tanto la sofferenza del passato, ma può esserci anche il piace­
re del presente: invece non esiste il piacere del passato se non
come ricordo e come memoria piuttosto vaga e confusa.
Le persone ricordano i propri dolori, non ricordano i propri
piaceri. I dolori sono rivissuti emozionalmente, i piaceri sono
ricordati soltanto come un evento quasi estraneo: non si ricor­
da il proprio piacere, ma si fa rivivere quasi sempre il proprio
dolore passato; questa è una cosa su cui riflettere, perché il
dolore del passato fa ripiombare nel dolore del presente; il
piacere del passato non fa ripiombare in un piacere presente,
anzi, siccome è un piacere passato lo si sente con il dolore
della perdita, essendo stato un piacere, quindi alla fin fine voi
riuscite solo a manifestare sofferenza e dolore.
Allora il piacere ve lo dovete riconquistare nel presente,
creando nuove opzioni, mettendo frontiere verso il passa to,
creando nuovi percorsi, nuovi progetti, nuove avventure deJla
vita.
Questo dinamismo non cancella le memorie ovviamente,
quindi nessuno si senta di tradire il proprio passato; ma il non
tradire è la memoria del piacere, mentre sarebbe molto oppor-

250
felicità eterne, si cercano le felicità contingenti, attuali, perché
il dolore così come la felicità sono reazioni umane e terrene,
non riguardano lo Spirito. Lo Spirito è un'altra cosa, e poiché
voi oggi vivete, o siete felici con il corpo, con la mente, con
la coscienza, sentendo e presentendo il dovere di consegnare
all'anima qualcosa di buono e qualcosa di utiJe, l'unico modo
è essere attivi e propositivi e non lasciarsi andare a se stessi.

D.: Noi abbiamo una identità della personalità che ci mette


in relazione col mondo: chi siamo, cosa possediamo, i nostri
ruoli, ed essa ci dà sicurezza; poi c'è l'identità interiore che ha
le sue radici nell'inconscio: fin qui ho fatto una giusta riflessio­
ne?

A.: C'è da dire che l'identità a cui noi alludiamo dovrebbe


essere esattamente Ja stessa di quella di cui si è costituiti, che
si relaziona col mondo.
Ora tu dici, e non solo tu, capisco bene, che si è costretti
a non poter mostrare la vera identità perché ad esempio il
mondo è costruito con altre regole alle quale bisogna piegarsi,
e quindi ci si mostra con una identità deviata, con una identità
in fondo di comodo rispetto al mondo. Tutti gli uomini vivono
così, sono d'accordo, ma non deve essere così, non dovrebbe
essere così.

D.: Non dovrebbe essere così, ma noi non solo non la mo­
striamo, ma non la conosciamo questa nostra identità interiore,
perché è la risultante di quel lavoro di destrutturazione che ci
ha spesso invitato a fare. Ma questo lavoro costa una sofferenza
terribile, non possiamo farlo solo a livello mentale, ma dobbia­
mo farlo a livello intuitivo ...

252
Io perché sono al mondo? Perché mi riconosco? Sento me
stesso? Cosa voglio dalla vita? Perché sto vivendo?
Allora l'autocoscienza diventa la capacità di potersi rico­
noscere in altre qualità e bisogni che non sono soltanto quelli
di ordine psichico, ma sono di natura esistenziale, e cioè rico­
noscere la propria identità ontologica, quindi la propria natura
profonda.
A partire da questa si può poi ricostruire l'identità psichica.
Quella di cui stiamo parlando è però l'identità inconscia: è
inconscia perché non è cosciente, ed è questa che bisogna
trarre dal suo buio perché illumini la propria autocoscienza,
quella in cui c'è l'io che ci rappresenta nella sua funzione
psichica terminale e che si mostra al mondo nell'apparenza di
una verità che poi non è verità, perché la gran parte delle
persone sono esattamente il contrario, non tanto di ciò che
mostrano, perché questo lo si può capire, considerata la socie­
tà, ma quello che mostrano a se stessi: voi siete sconosciuti a
voi stessi.

D.: San Francesco riuscì a buttare all'aria la sua identità


sociale, e rimanere con la sua identità interiore; questo lavoro
non è facilefarlo, non dico completamente ma nemmeno comin­
ciare ad avvicinarci alla nostra identità interiore. Lo possiamo
forse fare se evochiamo la nostra anima. C'è bisogno di far
accompagnare il lavoro della volontà mentale con una volontà
di altro tipo, intuitiva, emozionale; e questo lo possiamo fare
evocando il riflesso dell'anima ...

A.: Guarda, è inutile evocare l'anima se non si compie il


gesto rivoluzionario di non vivere in funzione esclusiva degli
altri, ma di vivere in funzione del proprio desiderio, della

254
posso trovare naturalmente in Francesco d'Assisi, ma anche in
tanti altri che hanno compiuto questi atti eroici in fondo, perché
indubbiamente, hai ragione, ci vuole dell'eroismo per fare
questo, per uscire dal mondo, naturalmente: nel campo socia­
le, nel campo di una certa filosofia sociale, occorre dell'eroi­
smo.
È perciò che in fondo i poteri hanno sempre cercato di
tenere sotto controllo l'arte, la filosofia, i movimenti religio­
si, i movimenti estremisti di tipo politico; sotto controllo,
perché l'atto rivoluzionario è mal sopportato, è odiato dal
buonismo di una civiltà.

D.: Perché esce fuori dalle regole di controllo.

A.: Esce fuori dalle regole di controllo. Poi bisogna avere


il coraggio di non vivere sempre ostinatamente per la stima
degli altri, questo è il punto. Cosa ve ne importa della stima
degli altri? Ciascuno faccia il suo percorso, trovi il suo orgo­
glio, il suo coraggio, non ha senso vivere della stima degli
altri: a cosa serve la stima degli altri?

D.: Ma noi siamo esseri sempre bisognosi di affetto e rico­


noscimento, per cui le nostre debolezze ci portano a cercare gli
appoggi. Chi dice non ho bisogno della stima degli altri forte,
si regge sulla stima di se stesso!

D.: Ricollegandoci a quello che si diceva la volta scorsa a


proposito della simulazione, della virtualità della materia: ho
l'impressione che nella materia la virtualità si ripercuota come
una eco a più livelli. Per esempio, in una mente paranoide,
schizofrenica, si possono creare dei fantasmi, delle fantasie che

256
stante ciò lo Spirito egualmente svolge le sue esperienze, anche
minime, ma quanto potreste ottenere di più da una vita se non
perdeste il tempo in cose così futili, quanto!
Una vita potrebbe anche bastare, essere anche abbastanza
sufficiente, non dico per tutto ma per una grossa parte di
esperienza spirituale; e invece, come uomini, la vita si svolge
con una lentezza esasperante.
Se solo pensate quanti giorni, settimane, mesi ed anni inu­
tili, ripetitivi, anche abbastanza sciocchi se vogliamo, in cui
non fate assolutamente un passo; giornate ripetute come le
giornate precedenti e precedenti ancora, senza osare mai fare
qualcosa di fondamentalmente diverso, di essere un po'
disobbedienti, un po' strani, un po' accattoni di novità.
E invece vi alzate ogni mattina per ripetere la stessa gior­
nata precedente. Possibile che non riusciate ad inventarvi niente
di nuovo? Ecco una domanda alla quale gli uomini non osano
rispondere, anche se in parte non sanno rispondere.

258
Corrado Piancastelli: LA FEDE AIUTA A GUARIRE

L'Università di Chicago ha pubblicato sulla rivista "Archives


of Internal Medicine", il risultato di un'estesa ricerca sui rap­
porti fra fede e guarigione, che ha coinvolto 2.000 medici e
7 .600 pazienti. Le conclusioni della ricerca sono contradditto­
rie e non giungono ad alcuna conferma che la preghiera aiuti
a guarire, anzi in un gruppo di pazienti chirurgici si è osser­
vata una maggiore incidenza di complicanze post-operatorie
in coloro che erano a conoscenza del fatto di essere oggetto
di preghiera rispetto a chi non ne riceveva. Miglioramenti della
situazione si sarebbero invece avuti nel trattamento degli al­
colisti e, in genere, in pazienti i cui disturbi erano più psico­
logici che fisici.
Negli Stati Uniti 1'85% dei medici interpellati è convinto
che la spiritualità produce effetti positivi sulla salute dei pa­
zienti, ma in realtà ci si basa su un equivoco. Una cosa è cre­
dere che, pregando, Dio intervenga per guarirci, altra è soste­
nere che un atteggiamento spirituale nella vita faccia affronta­
re una malattia con animo più positivo, innescando processi
antistress che aiutano a guarire.
È evidente che innescandosi un atteggiamento di calma, di
positività interna, ecc., le malattie o le disfunzioni psichiche
tendono a ridursi e, in molti casi, a non verificarsi. Quindi
sottovalutare le risorse spirituali disponibili è sempre un erro­
re, ma questo non ha nulla a che fare con le risposte del cielo,
trattandosi di un problema che riguarda i rapporti della mente
con la propria anima e con il proprio quadro bio-caratteriale.

260
cessi" o "fallimenti" sono collegate due coppie di opposti
estremamente equivalenti, la fortuna e la sfortuna, e il premio
e la punizione, per cui ci sentiamo favoriti o perseguitati,
premiati o puniti a prescindere da una considerazione obietti­
va degli eventi e delle nostre azioni, per cui invece di inqua­
drare gli errori che inevitabilmente ciascuno di noi compie, e
di apprendere da essi, ci si sente portati da un vento infernale
verso la gioia o il dolore, inconsapevoli, ininfluenti, dove la
nostra azione è vana quanto quella del primitivo contro la
furia degli elementi.
È di vitale importanza capire quanto un atteggiamento del
genere sia dannoso per la propria esperienza, comprensione e
crescita: attribuendo a questi enti fumosi la responsabilità di
ciò che ci accade ci sottraiamo la possibilità, per la quale in
pratica ci siamo incarnati, di analizzare i nostri errori e da
questo esame imparare molto su noi stessi, su ciò che ci cir­
conda e sul come affrontare le esperienze ed i progetti.
Nel trovare sottilmente e segretamente comodo il sottrarci
così alle nostre responsabilità, ci poniamo invece in una posi­
zione scomodissima, nella quale tutto ciò che ci accade resta
oscuro, non spiegato, non decodificato, non si stabiliscono
rapporti causali tra i nostri atti e ciò che sempre puntualmente
ne consegue,per cui laddove oscuramente reputiamo di tro­
varci sotto la protezione di un meccanismo che prescinde da
noi, ci troviamo invece totalmente esposti alle incongruenze
della nostra cecità.
Abbiamo definito impossibile il modello di felicità che ci
viene sottilmente proposto, perché ovviamente da esso è espunto
tutto quanto ci viene insegnato a valutare come negativo.
Come quando eravamo alle elementari e qualcuno, nel ten­
tativo di tenere chèti trenta irrefrenabili, divideva la lavagn a in

262
Per cui un viag
in un t r r lo
n tanissima a contatto on
gio
e
una cu l tura molto diversa, c
a a

os tt ir e un a �sper en a in ­
i

m� n� icabil e_ di straordi può c


i su , i z di
, nar o n te r e se
i

n
ta o qua nto lo sco
pn si malati ed affront t �
r a re m
disagi, alesseri, ogni genere
preoccupazioni tera pie
lu ghe e d b ili an di
,
n e t oscilla ioni umoral i,
incontri/scon ri con le s trutt re s ti z
t u i�
an a r . co i profonda
i

men_te uma i t ntatt


- nel sens �
n d p
o rofon amente sp rituali - co
i d

tanti comp ag ni che


si inc
i n 1
a un percorso del e
on r no in
t

g ner .
Per cui potremmo aff e, e
e r m r
un po' celiando, ma un po'
a

�ace? o molto sul serio di


d , r
av e fatlo un viaggio, ad esempi ,
tn Tibet, ed un alt r o n o
i u o
T m e, o n i Ep ti a te, o in quant'altro.
r

Come si fa ad otte d si
ne r e a n
o s e un situ azi o e t a n t o
i
t s a n
lontana da quan o a cultu
t ra ci e
l propon ?
Il fondamen o del di s c
t ors o dalla questione, a
do pp a facci a di quan o è c stituito
o
i , t s a pro fo nda i noi la con apevolezz
i s
di partecip ar e a nl a
d una nat r e
ua sp r tu a e, e dunque cons ­
i i

guenza in che rapport o i


no i siamo d
co l nostro corpo.
Diciamo di passaggi
o c h e q i la si az
u tu one è spesso para
dossale, perché accade di i
f r eque più si sia identifica �
h
n te c
e

ti
con
il pro prio corp o, meno si bbi a
a e
con sgu enzialmente atte ­
n
zione per la prop ri a int o it
e ri r à ,
e più questo corpo venga vis­
suto male e trattato peggio
, i linteso senso di possesso
n un m a
il pad di l
pro ri o, in cui ron e p n e a poter fa re e prop r io
s
prieta

ben tutto ciò che vuole. d


e
E invece q uest atteggi è foriero di tri s ti sorprese,
o ame n
to

perché il nostro cor a


oa t non è che una meravigliosa fett
p l ro

di natura che per g r e


z a c vu a ci è concesso d i freque�ta�·e
i i t
ra

ed in q t l e
molto dappresso , uan o a c ede per la s�a via t n
t

p
e l ro
hio au to o sv n c o
modo parecc roba�
o a t daIJe nos t e imp
i
o m
n
r

e noi iù ch
e r
bil aspetta
i , p c erca e di tr ttarlo be ne em d1
tiv e

d tt a, me far m
per q che la sua ura e
ris petta nat e a co o
rlo uello

264
lecitare con le parole e con l'esempio un affrontare meno
drammatico, meno spaventato, meno dolente, qualcosa che è
lì per noi, inevitabilmente, e che dunque non conviene peggio­
rare con la nostra disperazione.
Chi è malato deve affrontare terapie spesso debilitanti, dove
a volte può essere difficile se non a momenti impossibile,
continuare a svolgere i propri impegni quotidiani, per cui la
vita cambia ritmi, e mete ed obiettivi vanno mutati ed adegua­
ti, quindi una verifica delle proprie strutture di pensiero più o
meno rigide o disposte ad elasticizzarsi.
Chi è malato deve fronteggiare lo sguardo altrui, di chi è
spaventato, addolorato, di chi ti implora di guarire e magari
tu sai che questa volta non lo potrai accontentare, di chi è
impietosito, imbarazzato, infastidito, indifferente, insofferen­
te, di chi ti guarda come se fossi già morto, le altrui fughe, gli
altrui dinieghi.
Chi è malato deve imparare a giocare a scacchi con le
proprie fughe e rifiuti, patteggiare con la propria area psico­
logica e convincere le proprie strutture inconscie che c'è an­
cora vita da vivere fino in fondo, fino alla fine, e che la vita
è tale non solo quando è facile, ma che la vita è sfida, e
dunque è soprattutto vita quando il gioco si fa duro, ed è
bello vincere con se stessi, ancor più che vincere con la pa­
tologia.
Condizione di estremo interesse, che possiamo navigare
conservando Ja rotta ed il timone della nostra consapevolezza,
mentre il corpo, che è nostro solo per il punto privilegiato di
osservazione, segue il suo corso indipendente.
Chi è malato, infine, entra di diritto e viene accolto nella
comunità della metà malata della lavagna, dove ci si capisce,
ci si confronta, ci si confida, ci si guarda in viso e si pensa

266
CORRISPONDENZA CON I LETTORI

VI SONO DIRITTI CHE SI PONGONO IN MODO UNIVER­


SALE

"È possibile, caro direttore, che gli stessi diritti possono


valere in tutto il mondo, nonostante le differenze politiche e
culturali che ci dividono?" chiede Romualdo C. da Roma.

Risponde Corrado Piancastelli

Bella domanda, sulla quale ogni tanto si aprono anche di­


scorsi contrastanti. Nei miei scritti sostengo che vi sono diritti
che hanno una valenza universale, che cioè possono essere
considerati naturali perché legati alla specie umana. Faccio
qualche esempio: il diritto di avere una casa, un lavoro, il
cibo, la libertà di muoversi liberamente, gestire la propria vita,
ecc.. Vi sono altri diritti "susseguenti" sui quali si continua a
discutere. Le libertà costituzionali, la sicurezza, il diritto di
opinione, il diritto di stampa, il diritto alla democrazia, il di­
ritto alla libertà religiosa, il diritto alla giustizia, ed altri, han­
no o non hanno un carattere universale da potersi sottoscrive­
re in qualsiasi parte del mondo? Oggi con la globalizzazione
sembra difficile contenere ogni principio in una teoria genera­
lizzata, ma personalmente non condivido questa critica. Riten­
go, anzi, che proprio perché è in atto una globalizzazione in
tutti i campi, è più che mai necessario riconoscersi in alcuni
principi generali che, adottati da tutti, li rendono universali.
Questi principi sono quelli citati prima anche perché per quei
principi gli uomini hanno lottato per secoli, approdando solo
ora a quella democrazia (ancora teorica e immatura) che ci ha
comunque resi liberi.

268
ANIMA TERRENA E SPIRITO UNIVERSALE

Chiede la Signora Maria L. da Bolzano:


"Come si spiega che "spiritualmente" gli esseri umani, a
parte il credo religioso e le diversità culturali hanno sensibilità
morali così diverse? L'anima, se è uguale per tutti, a parità di
evoluzione, moralmente non dovrebbe esprimersi sempre allo
stesso modo in qualunque parte del mondo?"

Risponde Corrado Piancastelli

Anzitutto vorrei ricordare che c'è una differenza fra spirito


e anima. È lo spirito ad essere eguale per tutti, si capisce con
le debite differenze evolutive, non l'anima. L'anima è la ver­
sione umana dello spirito, è lo spirito rivestito di abiti terreni
senza i quali non potrebbe presentarsi alla sua stessa coscien­
za cerebrale. Se accettiamo questa premessa ci spieghiamo
una quantità di cose. Ma per quanto riguarda la domanda
dobbiamo rispondere che questo "abito" chiamato anima è
costruito con l'ambiente - antropologico, culturale e storico -
in cui si relaziona. Da questo ambiente non prende solo gli
elementi formali quali Ja religione, il modo di vivere, le tradi­
zioni, l'educazione familiare, ecc., ma anche le sensibilità morali
che finiranno col costituire il suo patrimonio etico. Questo
processo determina una condivisione esistenziale tra anima e
corpo, senza la quale la vita incarnata, dal punto di vista dello
stesso spirito, sarebbe una dannazione. Di conseguenz a non
possiamo prendere, ad esempio, un islamico e obbligarlo a
vivere le nostre sensibilità. Possiamo solo accoglierlo fra noi
come un diverso (e viceversa per lui) che un po' alla volta
disinnescherà il suo meccanismo di condivisione per sostituir-

270
Ci scrive un lettore di Bologna,

Caro direttore,
mi ritrovo spesso a riflettere sul problema della fede che
trovo così distante, anzi in contrasto con la ragione soprattut­
to tenendo presente la grande razionalità del nostro Maestro,
e mi chiedo: potranno un giorno incontrarsi fede e ragione?
Perché fino a oggi non sono riusciti a trovare un accordo pur
vivendo, per così dire, sotto lo stesso tetto?
Non vorrei una risposta troppo filosofica, ma un commento
semplice e sintetico perché non ho strumenti culturali appro­
fonditi.

Risponde Piancastelli:

Lei non avrà forse (come dice) gli strumenti culturali, ma


la sua domanda evidenzia una notevole sensibilità verso una
problematica che, per la verità, non viene percepita tanto fa­
cilmente dalla gran parte delle persone. Comunque cercherò
di essere breve e anche un po' lapidario, se vuole.
No, fede e ragione non potranno mai incontrarsi. Non han­
no potuto farlo in passato, non accadrà in futuro. E il motivo,
ridotto all'osso, è questo: la fede afferma senza porsi l'onere
della dimostrazione, la ragione (da cui nasce la scienza), al
contrario, esige che un discorso sia razionale nel senso che i
fatti a cui si allude siano veri, cioè provati.
La fede, quindi, non ha nulla a che fare con la verità, ma
a dir questo non sono io bensì addirittura San Tommaso che
è uno dei massimi teologi della Chiesa cattolica. San Tommaso,
infatti, dice che nella fede l'intelletto è prigioniero di un con­
tenuto che non è evidente e che anzi gli è alieno. La fede non

272
La Socia N.V.ci scrive da Trapani:

" .......da alcuni anni, precisamente da quando in


seguito ad una malattia grave ho dovuto subire un intervento,
periodo per me molto difficile, ho iniziato ad avere sogni
premonitori, sempre però relativi a disgrazie, sofferenze, epi­
sodi di tragedie collettive, riferiti sia a persone a me vicine e
sia a situazioni estranee, spesso non verificabili, ma a volte
riscontrabili dalle notizie televisive. Questa situazione mi
sfinisce emotivamente, perché esco da questi episodi con grandi
sensi di angoscia.A volte ho persino paura di addormentarmi, I
perché ho imparato a riconoscere una sorta di agitazione
quando sta per arrivare un altro sogno ....... C'è modo
di fermare tutto ciò?"
1

Risponde Daina Dini

Gentile Signora, per quel che io posso sapere, questi feno­ l

I
meni le accadono in seguito ad una sua particolare sensibilità, I
e non conosco una strada per eliminarli.
Evidentemente, da quello che ci racconta, il periodo della
sua malattia deve aver costituito un momento di forte espe­
rienza, in cui la sua sensibilità si è acuita ed approfondita,
tanto da tenere una parte del suo inconscio in uno stato di
allerta tale da riuscire a presentire un evento forte, e del cui
verificarsi si sono già stabilizzate tutte le premesse, in un
momento, come quello notturno della condizione di so nno, in
cui le difese della coscienza sono abbassate, e quindi possono
tradursi nel sogno delle percezioni che "normalmente" sono
precluse alla maggior parte degli esseri umani. Comprendo
bene che una situazione del genere sia doppiamente ang oscio­
sa, innazitutto per gli eventi drammatici che lei percepisce, e

274
to " negativa" possa apparire, c 'è sempre l'altro lato della
medaglia , il bicchiere mezzo pieno e non solo mezzo vuoto,
il contraltare innegabilmente positivo: questa sua esperienza è
certamente difficil issima da gestire, ma amplia anche la su a
consapevolezza, la sua empatia, la sua compassione, che parte
dalla sofferenza che è in lei, ma si amplia alla sofferenza che
è negli altri, e questo è un grosso guadagno in un'epoca in cui
la ricezione del dolore altrui, se in un senso è incommensu­
rabilmente più vicina, visti i mezzi d'informazione che ci ag­
giornano in tempo reale è tuttavia altrettanto incommensu­
rabilmente lontana, perché ne riceviamo una percezione indi­
retta, mediatica, virtuale.
Siamo sepa rati non più dalla distanza del non sapere, ma
dalla distanza del non compatire, perché il conto dei c aduti
nelle varie guerre criminali che si combattono sul pianeta,
dall'Irak ai cantieri, ai monaci buddisti, ai bambini in ogn i
modo abusati, è tanto continuo ed alto da non raccogliere più
la nostra indignazione, ma purtroppo spesso solo la nostra
indifferenza.
La sua dolorosa partecipazione emotiva ed affettiva sem­
bra, da questo punto di vista, quasi un dono, con i suoi costi,
ma certam ente, nell'epoca contemporanea, un dono prezioso.

276
Pag. 306
Eros come meccanismo universale.
Amare se stessi per amare gli altri.
Significato di amore.
Forma mentale spirituale dell'eros.
Amare le cose, essere attivi.
La prima cosa da vincere nel corso della vita è il proprio
narcisismo.
Aver ragione. Vite sprecate.
Sostanza dinamica della vita universale.
Società ed istinti predatori.

Pag. 326
L'uno e il molteplice.
Concetto di unità.
Energia universale e Spirito: una dicotomia da superare.
Dio come soggetto e oggetto.
Eternità dell'universo meccanico e germinazione dello Spirito.
Due universi paralleli la cui differenza indica il divino.
Categorie spazio-temporali.
Fede e ragione.
II daìmon.
una volta i classici temi dell'incarnazione, dello spirito, del
progetto spirituale relativo a ciascuna vita e, ovviamente, il
tema dell'esistenza dopo la morte. Come è noto su questi (e
tanti altri) problemi l'Entità "A" ci ha trasmesso conoscenze
memorabili e originali che hanno assunto, nel tempo, un
supporto piuttosto raro, quello cioè di ricevere conferme del
mio stato modificato di coscienza verificato a più riprese in
contesti scientifici universitari.
li libro, così come nel "Rapporto", in appendice parla, in­
fatti, di questi riscontri, ma su questo, trattandosi di me, non
voglio soffermarmi oltre. Purtroppo quasi nessun sensitivo ha
mai voluto affrontare una seria ricerca sul proprio caso, cre­
ando cortine di dubbi che hanno alimentato lo scetticis mo
degli incerti. Quel che ancora oggi posso dire è che, se non
c'è niente da nascondere, non si capisce perché sottrarsi ai più
elementari controlli, specialmente oggi che, con sofisticate
apparecchiature, è possibile accertare bene cosa sta avvenen­
do nel cervello di un sensitivo nel momento in cui è in trance
(o presunta tale). Sono sempre convinto non solo che la
parapsicologia, come tale, abbia estremo bisogno di ricerca,
ma anche che senza razionali controlli la medianità non possa
essere esibita nel discorso pubblico della cultura. Ciò indipen­
dentemente dalle ipotesi suJl'origine e sulle forme della facol­
una teoria su quesli
tà extrasensoriale. Personalmente ho
stato modificato di co­
fenomeni nel senso che considero lo
terno del piL1 ampio
scienza (compreso l'apice della trance) all'in
tive che si collegano
discorso relativo alle fasi creative e intui
o
allo specifico dell'Anima. Ma a parte ciò, quand di Simone
mi propose una ricerca tecnico-scienti fica sullo s�ato di tran­
ce, ritenni fosse mio dovere collaborare senza nserve nella
convinzione che senza il supporto di una ricerca la parapsi-

280
a interrogare, secondo un'antica usanza kardecchiana, un ta­
volino a tre gambe fino al momento in cui, risucchiato da un
sonno irresistibile, mi addormentai tra lo spavento degli amici
e cominciai a parlare con la voce di "A", il maestro Andrea,
la voce rimasta inalterata da allora fino ad oggi.

Corrado Piancastelli

REDAZIONE di "CDA":
ulteriori osservazioni sulla prefazione del libro di Giorgio di
Simone.

Sulla prefazione del libro di Giorgio di Simone di cui scrive


Corrado Piancastelli si possono fare, a nostro avviso, due
ulteriori osservazioni sostanziali: una di forma ed una di me­
rito, peraltro fra loro interdipendenti. Quella di forma riguar­
da la copertina del libro sulla quale è posta in bella evidenza
l'annuncio della prefazione (due pagine e mezzo) con l'imma­
gine del prefatore, il sacerdote Francois Brune. Questo è stata
ovviamente una "brillante" trovata dell'Editore che così avrebbe
inteso fruire della popolarità di cui probabilmente gode il Brune
nel suo paese di fronte alla notorietà che può avere un autore
straniero. Ma la scelta del presentatore, e qui entriamo nel
merito, è stata, a nostro modesto parere, molto infelice secon­
do quanto diremo in seguito, e ciò la dice lunga sul trattamen­
to che certi editori dedicano ai libri senza conoscere i vari
livelli culturali delle proposte specie in un argomento verso il
quale è forte la preoccupazione dell'autorità r�ligiosa, di cui
il Brune fa parte anche se si può riconoscergli una certa au­
tonomia per il suo interessamento nel campo della metapsichica

282
a certe wne intermedie ove si trovano i defunti che 11011 sono
ancora molto sviluppati spiritualmente. Essi sono ancora nei
dintorni della Terra e non sanno molto più di noi e nello stesso
tempo molto meno. Essi provano solamente a riflettere come
fa cc iamo noi tutti, più o meno .... Io c redo che non bisogna
prendere tutto quello che dicono alla lettera . D'altra parte tutti
vi troveranno degli errori manifesti che una buona informazione
tutta terrestre è sufficiente ad evitare di andar e ad attingere
dagli spiriti dell'aldilà ... "; conclude esprimendo il parere che
" tutte queste letterature richiamano straname. nte qu elle dei
gnostici dei primi se coli del cristianesimo ... a/l'or igine di al­
trettante sette o eresie ", parere che denota una qualche confu­
sione temporale ed una certa approssimazio ne al problema e
qualche confusione di troppo che conferma p erò la su perficia­
lità di esame e la prevenzione vers o qualsiasi proposta teolo­
gica, storica o filo sofica che non sia in sintonia con quanto
pro viene dal Magistero cattolico, e ciò coerentemente con la
dovuta sua osservanza da parte di un sacerdote. È già molto -
e questo ci meravigH a - che ammetta la presenza di spiriti - sia
pure poco evoluti - nei dintorni della Terra e non debitamente
suddivisi tra inferno e purgatorio (omettiamo ovviamente il
paradiso). Il senso del suo articoletto è questo: sono in troppi
che parla no dall'aldilà discettando o elucubrando con notevoli
contraddizioni sulla vita e su lla morte, spesso con grande
superficialità anche se a volte con buona cap acità lett eraria.
Questa non è, oltre le righe, una saccenteria che con pre­
concetto azzera decenni di ricerca e di lavoro, e che si rifiuta
di prendere in considerazione realtà alternative quando quest e
v�ng ono indagate e approfondite da ricercatori che si sono
dimo stra ti al di là di ogni sospetto? O più verosimilment e è la
do vuta coe renz a di chi appartiene ad un ordine che ha prcv al-

284

__I
INEVITABILE LONTANANZA DELL'UOMO DAL DIVINO.
ESTREMO MECCANICISMO DELL'ESPERIENZA MATE­
RIALE.
ESPERIENZE PIÙ EVOLUTE ACCEDONO A FENOMENI
INTELLIGENTI.
LA SCOMPARSA DI UN DIO INUTILE ALL'UOMO.
IL DIO RAGGIUNGIBILE É IL DIO INTERIORE_.
TRACCE INTELLIGENTI.
DESCRIVERE NELLA CULTURA ED AGIRE NELLA VITA.
SOCRATE.
TRADURRE IN AZIONE CIÒ CHE SI É COMPRESO.
CERCARE LA PROPRIA IDENTITÀ
AMORE.

Seduta del 22 settembre 2006 (La prima del ciclo 2006/2007)

A.: Ancora un ciclo di incontri: effettivamente qu


est
medianità dura a lungo, e ?�n dovrebb�r? prese�tarsi difficoJ�
tà anche nel futuro perche e bene equilibrata, intendo la 1 e
dianità e Ja giusta capacità quasi fisiologica di creare un con�a
to armonico, e quindi approfittiamo di questa longevità tee n1- �-
·b·I
ca p er andare ancora avanti o se poss1 1 e ancora più avanr1.

D.: Questo comporta che diventa sempre più difficile trovare


domande opportune.

A.: Mi dispiace per voi.

D.: Dando per scontato che da Dù, sono venufl I p rincipi


universali dai quali sono derivate le leggi che governano il
tutto, è ipotizzabile che le parti minori di questa gigante sca
macchùw possano essere controllate da un certo tipo di Spiriti?

286
Brevemente rispondo alla domanda: non c'è molto da dire,
se vi siano connessioni tra Spiriti e fenomeni; da un determi­
nato livello sì, al livello più basso, là dove c'è la materia
vera e propria, l'Universo che vedete intorno a voi, non ce n'è
bisogno, almenché per motivi spirituali l'energia che costi­
tuisce la vostra materia non debba essere finalizzata ad uno
scopo, ed allora è possibile che un determinato pianeta venga
costruito per così dire in base alla finalità dello Spirito. Que­
sto è quanto si può dire.
Naturalmente il problema vero resta un altro, il problema
vero è che voi uomini cercate sempre un Dio che in qualche
modo vi rassomigli ed il cui scopo coincida con i vostri scopi.
A voi serve un Dio utile a qualcosa. Se voi togliete l'util ità al
vostro Dio, Dio resta un Essere inservibile: cosa ve ne fate di
un Dio che non serve a niente? Che non serva a qualcosa e
che il qualcosa sia una utilità effettiva per il vostro Spir·� 1 o,
per la vostra sf.era af+tett1va,
. 1 a vostra sfera conoscitiva?
Un Dio che n?n si fa co�oscere, un Dio il quale non risolva
i vostri problemi, che non nsponda alle vostr e preo , VOt.
b hier e , cl
non serve.
In effetti la caduta di Dio nel mondo, se voglia mo la S
scomparsa, dall'epoca mosaica ad oggi, coincide con la sto�:
_ nza, sempre ingiusta
del mondo. Una storia sempre rn soffere
bole e _il povero, lascia s_up por�
sempre incapace di aiutare il d�
he non aiuta nessuno. Quindi di
re che il Dio non c'è, perc
. che non serve a niente, voi non avete a che fare
gues to D1·0 . . . , voi. sei
. .ve un . ·
Allora in questa prospettiva rn cui a Dio cli
necessità, non c'è alcuna speranza di
poter concepire un Di o
che sia qualcosa d'altro e di diverso rispet
to al vostro deside­
rio ed ai vostri bisogni, e quindi io capisco che un Dio il quale
non agisca secondo necessità è un Dio che non vi interes sa.

288
quella parte la cui natura appartiene all'altro tipo di creazione,
o di emanazione: quella parte appunto spirituale, quando da
un ceppo lontano l'Universo si suddivise in un universo co­
sciente ed in un universo meccanico. Allora qui il discorso,
completamente mistico, si sposta alla natura interiore di cia­
scuno di voi e di noi, perché nella nostra natura di esseri
spirituali ritroviamo segni di questa matrice, di questa
marcatura: segni comunque da ricostruire e mai così evidenti
come può sembrare ad una definizione banale, da cercare,
segni da ricercare, da riunire attraverso quello stato di co­
scienza dello Spirito quando riconosce se stesso, e con il se
s�esso
_ si colloca con un senso nella realtà dell'Universo, e qui
s1 incontrano altre tracce. Il nostro cammino é un cammino
per tracce, dove le tracce sono gli aspetti del Divino di cui
è disseminato l'Universo, ma è disseminato a condizione che
si percorra questa via, che é l'unica via dove c'è lo Spirito
effettivamente.
Ecco perché da un lato la ricerca scientifica non trove1.,a
.
mai Dio. La ncerca f'· 1 losof'1ca, a sua volta, può definire solt
to ciò che è la percezione, I� visione �he ciascuno ha den�:
di sé, quindi non può esserci una teoria della filosofia che s.
occupa dello Spirito e di Dio: può esserci una filosofia che ,;;�
in i
occupa della percezione di ciascuno d_ � _quando rivivifi��
ra di Sp mto, perché !'iloso-
questo Divino che è nella sua natu _ _ _
. com unqu e costruz10111, cost ru z1o rn del la
f 1 a e scienza sono
mente umana, ma nel nostro
mondo non c ''
e I a r·
1 1 o o f'
_ � 1a come
conoscenza descntt1va, quella
non c'è la scienza, quindi la
a noi.
appunto delle culture, non esiste � .
Lo Spirito non procede scolasl1camente, ma espenenzial­
mente, quindi sperimentare più che definire, viversi, sentire e
senLirsi; che poi queslo si possa codificare con un qualche

290
a quelle dell'energia meccanica e che hanno tutte le caratte­
ristiche di una intelligenza.
In realtà accade, a determinati livelli, che ci sia la com­
mistione fra energia meccanica, energia quindi propriamente
detta, ed una sorta di intelligenza vagante, e questo lascerebbe
pensare, o lascia pensare, che ci sia una provenienza diversa,
quindi da una fonte intelligente.
Il punto dell'interrogazione è tentare di capire se questa,
chiamiamola intelligenza libera, quindi non legata ad un io, se
questa intelligenza libera sia un'altra forma della meccanica
dell'Universo o se sia legata a qualcosa di autonomo dal punto
di vista dell'intelligenza, quella cosa che chiamiamo Dio.
Ecco perché io trovo molta difficoltà nel parlare di qualco­
sa i cui termini sono invenzione degli uomini, e non coincido­
no più, perché vedete che appena nomino Dio la vostra mente
ricorre subito ad una immagine antropomorfica di una realtà
che sta lì e che è il padre delle cose.
Ora questo discorso del padre delle cose è un discorso eh e
, , .
va cancellato, perc_ �e s� e pur vero che c1 sono delle origini,
queste vanno def1�1te m un altro modo, anche dal punto d.
vista concettuale. E chiaro che per l'uomo il discorso non s�
spos ta, perché per l'uomo questo gli può anche andare bene
di chiamarlo Dio, cioè l'origine, il primo motore, l'architet­
to; però il discorso diventa completa1�en�e altro per quanto
rioua rda poi il rapporto di ciascuno d1 noi con questa forza.
h
Qui resta valido il discorso c�e �o sempr� fatto, p_oic é
0

a chiamarla divina,
comunque questa natura, che co�tJnu1amo _ _
fatti e regolati all'in­
è dentro ciascuno di noi, i conti vanno
terno di ciascun essere, quindi tutto si svolge per la via per­
sonale, individuale, soggettiva; è lì che c'è il rapporto col
Divino.

292
Naturalmente non accade l'inverso, perché lo Spirito, ri­
spetto all'energia fluida dell'Universo, è dotato di una coesio­
ne che lo protegge dalle interferenze, altrimenti saremmo an­
che noi soggetti alle interferenze dell'universo materiale, in­
terferenze che potrebbero addirittura agire sul nostro Spirito
ed anche eventualmente distruggerci.
Siamo a questa protezione che è totale perché c'è la carat­
teristica di una energia che è inglobata, che è chiusa, che è
rappresa, che ha una sua vorticosità interna essenziale alla sua
vita, e che non è soggetta ad interferenze esterne, quindi estre­
mamente protetta. Questo però ci porta naturalmente a dire
che noi e l'Universo, come materia esterna, siamo una unità
in cui ciascuno ha un ruolo, ciascuno ha una parte. '
Noi siamo Spirito, l'altra parte è materia, o energia, come
meglio vi piace chiamarla; questo ci riporta ad un discorso di
unità.
È chiaro che fatto questo tipo di discorso, tutta la no­
menclatura usata, tutte le parole con le quali si sono definiti
fatti romantici, fatti poetici, crolla, perché questi elementi, f ra
. , . .
loro speculan, sono la vera realta. Che poi l'immaginazione
0 J'immaginario, di ciascun essere spirituale nella materia rac�
conti e se Ja racconti in un determinato modo, questo é affare
del linguaggio umano che può anche andar bene finché si amo
incarnati, e ci fa bene perché ci colloca spazialmente in un
determinato modo, ma bisogna però sapere che così facendo
idono con la realtà:
noi descriviamo fenomeni i quali non coinc
amo descrivere
sono i nostri racconti immaginari quando dobbi
che è sentito solo
ad altri, da cui nasce la cultura, qualcosa
dentro di noi, e nel raccontarlo usiamo metafore , usiamo sim­
bologie, usiamo parole al meglio della nostra capacità inve n­
tiva, ma non facciamo verità, non diciamo verità.

294
D.: A questo punto sarà possibile in futuro elimin are questi
concetti della divinità come ha fatto il Buddha, il quale si è
limitato a parlare della legge cioè il Dharma e ad interpretarla
e vivere secondo questa legge. Ci sarà un futuro in cui sulla
Terra non si parlerà più di Dio ma si parlerà di qualco sa più
vicino a quello che hai esposto tu?

A.: Le regole di vita si possono sempre dettare, lo faccia­


mo noi, lo fanno altri maestri, l'hanno fatto in passato, le
regole di vita forse é anche. giusto dettarle
.
a uomini ch e 11 o
n
"
una rettrtudme ed hanno bis oo
hanno la capacità di crearsi
d. . Q , i:,11O
di una guida, le reg �le 1 v1�a. uesto e un aspetto sul qua
le
si può anche convenire, ma s1 deve anche sapere che non so
le regole introiettate ed applicate passivamente che consent
o

no a chi le esegue per così dire di santificarsi, ma sono ��


azioni, queste soltanto servono.
Le regole imprigionano o liberano, quasi sempre i mpr· 0•
li:,IO-
nano, ma poniamo pure che l"b J ermo,
. la libertà ' la Iibei az·
· i on e
dalle parole, dalle retoriche, dalle metafore, dalle false sim
b0
logie, la liberazione consiste però nel trasformare ciò che . ,
capit� in azione reale, cioè in �omportamento, ma molto s;;
_ s�
so vo1 capite le cose ma non v1 comportate parallelamente
ali·
comprensione, perché l ? sappiam?, siet� vili, non v ole te
pei�
dere quello che avete, msomma tirate via alla men pegoio
. . . , . o un
po' per v1glJacchena, un po per_sentunento, un po' per p
as-
sività. Tutti gli uomini sono fatti così, ma questa non è una
virtù, intendiamoci, non è affatto una virtù.
Ora, non è il problema di liberarsi di Dio, anche attraverso
il buddismo dove poi di Dio non è che se ne parli, ma si parla
comunque di trovare ciascuno la via, va bene, ma trovare la
via alla fine significa trovare quelle parti sacrali che sono le

296
veramente in coscienza, in maniera da essere disposti ad ac­
cettare.
Questa é una operazione estremamente difficile, ma è la
prima operazione.
Purtroppo voi vi rinchiudete nei vostri narcisismi che signi­
ficano anche i vostri razzismi, poi, i vostri pregiudizi, il vostro
modo a senso unico di giudicare gli altri, senza partire dal
punto di vista dell'altro, ma pensando solo al proprio punto di
vista.
È il lavoro della vita, perché nascete tutti un po' così. I
nostri genitori di una volta, quando eravamo vivi, ci facevano
comportare così: i vostri hanno fatto lo stesso secoli dopo,
probabilmente faranno lo stesso, quello di far ritenere a colui
che è nato di essere quasi unico e irripetibile, di fargli credere
veramente che soltanto e la sua famiglia è tutto per lui e che
il mondo è crudele e quindi è necessario rinchiudersi nell'alveo
di se stessi per non mettersi allo scoperto, di non mostrare la
propria nudità.
Questo insegnamento base, pedagogicamente sbagliato, in­
voglia il soggetto alla difesa verso il mondo e quindi a talmen­
te convincersi che le ragioni stanno tutte dalla sua parte da
non vedere più le ragioni degli altri.

D.: Il tuo insegnamento può aiutarci ad imparare ad amare.

A.: Questo naturalmente lo imparate da soli.

D.: Ti ringrazio infinitamente, comprendo profondamente


quello che dici. Adesso sento questa pulsione di vita che prima
mi era estranea, è qualcosa che sento profondamente nella mia
persona, il lavoro che ho fatto per vincere le tante paure che poi

314
Quindi più che un errore un fallimento, un essere venuti
inutilmente; poi certo si può sempre recuperare.

D.: Forse una vita sprecata, una vita che non si vive bene,
può essere noiosa, sofferta ...

A.: È vero che alla fine lo Spirito, si dirà, ha fatto I 'espe­


rienza del fallimento, che sempre una esperienza è, tuttavia la
disponibilità a vivere sulla Terra è una disponibilità che va
cercata. Voglio dire che lo Spirito non con tanta facilità si
incarna, e non si incarna continuamente come vorrebbe o come
magari gli sarebbe utile, perché non si può, dunque va un po'
centellinata l'esperienza e va spesa bene.
C'è un altro aspetto però più importante: è che lo Spirito
per sua natura cammina con una determinata accelerazione; lo
Spirito è una sostanza dinamica, quindi una sostanza di moto,
che non contempla diciamo una irrimediabile sosta, ma ha
dentro di sé una continua pulsione al fare ed al conoscere, e
allora è l'arresto o il rallentamento eccessivo dello Spirito.
Voi dite: «Ma perché eccessivo? Eccessivo rispetto a che
cosa?».
Qui il discorso si complica un pochino, perché noi abbiamo
sempre detto una cosa, e spero che ormai sia acquisita, che lo
Spirito è l'altra faccia dell'Universo, un Universo materiale e
un Universo spirituale, ma questo Spirito nella sostanza è la
stessa energia dell'uni verso energetico, dell'universo meccani­
co, per così dire.
Ora, l'universo meccanico, l'Universo, la realtà universale,
è un principio dotato di una accelerazione, il che significa che
al suo interno ha una velocità, la velocità dell'Universo, che
è un principio elettrodinamico, un principio della fisiologia

316
A.: Ma perché non c'è la disponibilità umana, rispetto al
numero degli esseri spirituali.

D.: È solo per questo o anche per qualcos'altro che riguarda


lUI.
.?

A.: Ma no, diciamo che proprio da un punto di vista pra­


tico direi, non può programmare subito dopo; naturalmente
questo non significa che c'è una regola per la quale bisogna
aspettare, significa che l'incarnazione si realizza a condizioni
particolari alle quali lo Spirito si deve assoggettare.
Poi ci sono anche vite che si ripetono a brevissima distan­
za, perché per la natura dell'esperienza o per la situazione in
cui si trova esistenzialmente, per così dire, lo Spirito, è neces­
saria una incarnazione quasi immediata. Di queste varianti e
variazioni può disporre soltanto chi presiede a regolamentare
le incarnazioni, e cioè determinati esseri spirituali e determi­
nate situazioni che fra loro sono interrelate e che stabiliscono,
uso una brutta parola, diciamo i turni ecco dell'incarnazione,
ma non si tratta esattamente di turni nel senso umano.

D.: In questa accelerazione infinita a punti diversi corrispon­


dono fenomeni diversi per cui la nostra materia fisica dovrebbe
essere ad un certo punto di velocità, e quindi avere dei rallen­
tamenti implica come riferimento avere certe velocità di riferi­
mento.

A.: Ma naturalmente all'interno del concetto di velocità


poi ci sono tutti i rallentamenti o anche le supervclocità, ci
sono una serie di variazioni. È come quando un essere umano
vuole apprendere qualcosa, poi si trova nella situazione di

318
D.: Si può fare un paragone con quello che succede qui, che
a mano a mano che si va avanti aumenta la consapevolezza e
quindi le chiavi di lettura della realtà sono più d'una in una
situazione della realtà nella sua complessità?

A.: Indubbiamente sì, avendo più chiavi disponibili aumen­


ta la complessità, naturalmente, però questa complessità non
tanto viene utilizzata in funzione del numero delle porte che
hai aperto; diciamo che anche uno Spirito meno evoluto di
quello che ci stiamo prendendo per esempio ha certe chiavi di
apertura e di lettura, e qualche volta sono anche più comples­
se. Può darsi che siano più ingarbugliate ma sono comunque
lo stesso complesse. Inoltre la complessità deriva dalla capa­
cità attentiva con cui il soggetto si predispone e si pone di
fronte alle esperienze ed alle conoscenze.
Se tu sei animata diciamo dalla sensibilità quasi talentuosa
di voler cogliere più prospettive, perché più prospettive ti
possono arricchire, ti possono dare più piacere etc., te le prendi.
Un altro essere può dal punto di vista evolutivo essere più
evoluto, non ha la stessa attenzione, è più selettivo, più
rinunciatario....
Ecco, qui entrano in gioco, come dire, attitudini dello Spirito
come nell'essere umano, il quale si predispone ad aprire tutto
un ventaglio o solo una piccola parte, di guardare attraverso
il buco della serratura o di fare un foro di un diametro più
ampio, e magari quel foro non lo sa fare, non lo può fare, ma
desidererebbe un foro più grande per guardare dall'altra parte.
Allora tutte queste varie circostanze possono determinare
la felicità di aprirsi a ventaglio su molteplici esperienze, e
l'infelicità di non sapersi o di non potersi aprire a ventaglio,
perché magari non si può. È come dire che qualcuno di voi è

320
A.: Naturalmente questo è uno stato dell'uomo, antico
quanto l'uomo, gli uomini hanno sempre rubato, ucciso, o
come tu dici evaso le tasse. Questo è accaduto nelle grandi
civiltà passate, perché gli stati, i governi, i monarchi hanno
sempre dovuto tassare il popolo, il popolo ha sempre evaso la
tassazione, e dunque non ha contribuito, per così dire, nel
migliore dei casi, all'evento sociale.
Qui il discorso diventa un pochino complesso. Vi trovate di
fronte alla situazione di essere degli animali ragionevoli e
animali spiritualizzati, perché quello che noi sappiamo e vi
abbiamo detto, e quello in cui credete, è quello che avete
un'anima ma restate pur sempre animali, questo è fuor di
dubbio, il che comporta inesorabilmente che una parte degli
istinti animali li abbiate conservati, e la cosiddetta civilizza­
zione non è riuscita ad estirpare alcuni istinti di base. Il di­
scorso si complica perché dovrei subito dirvi: meno male che
non è riuscito: l'uomo di oggi è in parte l'uomo preistorico,
ma in parte non lo è più. Quale istinto fondamentale rimasto
all'uomo è l'istinto del predatore, che è tipico della natura.
La natura sopravvive per predazione, gli animali si mangia­
no fra di loro, gli animali mangiano anche le piante, le piante
a loro volta mangiano l'humus della terra, e in questo ricam­
bio c'è un principio di predazione: bisogna conquistare e
conquistare e difendere, ma soprattutto l'animale in questo
essere predatore ha la furbizia di essere un predatore che si
nasconde e si acquatta e deve prendere e conservare sia per
conservarsi il cibo per i momenti in cui non può predare e
dunque l'istinto resta e l'istinto è quello, e sia perché deve
dominare il territorio in cui vive.
Vedete la grande somiglianza tra l'uomo e la bestia: l'uo­
mo traduce tutto questo nell'uccisone e nel furto che la ci vii-

322
Qui potreste soltanto farmi una domanda che sarebbe di
questo tipo: «Ma allora, poiché l'essere umano è in parte ani­
male ed in parte sovrastrutturato e in parte Spirito, non c'è
speranza che possa diventare talmente civile da non rubare, da
non uccidere, da pagare le tasse?».
Diventerà così l'uomo? Temo di no. Credo invece che si
possa acquisire però una buona struttura psichica, un buon
convincimento della necessità di regolamentare l'etica perché
diventi sempre più forte, ed è questo a cui deve aspirare lo
stato, un cittadino, quindi la società; questo sì, ma che si
raggiunga la perfezione idealistica non soltanto dico di no. ma
dico che non sarebbe neppure conveniente per le esperienze
dello Spirito, e forse per le stesse esperienze umane, perché
per vivere avete bisogno di tutta una serie di processi che
vanno dalla tentazione al cosiddetto peccato, all'assolvimento
del peccato e al piacere, alla sofferenza e alJa gioia, al le alter­
nanze che vi creano stimoli e modalità di riflessione.
Se doveste avere un pensiero monocorde probabilmente
diventereste apatici e sareste come la maggioranza delle per­
sone senza più idee e senza più stimoli.

D.: Come a volte avviene, c'è una traslazione di quello che


dovrebbe essere un eros vissuto nel corpo, una traslazione a
Livello mentale, conoscitivo, per cui una carica e il piacere che
se ne ricava viene spesa più in una direzione della penetrazione
conoscitivafilosofica; questa la giudichi una incarnazione spre­
cata?

A.: Ma, una incarnazione non è mai sprecata quando c'è


l'eros in funzione e l'eros che vive; una incarnazione decresce
quando decresce l'eros, se una persona uccide l'eros uccide la

324
L'UNO E IL MOLTEPLICE. CONCETTO DI UNITÀ.
ENERGIA UNIVERSALE E SPIRITO:
UNA DICOTOMIA DA SUPERARE.
DIO COME SOGGETTO E OGGETTO.
ETERNITÀ DELL'UNIVERSO MECCANICO E GERMINA­
ZIONE DELLO SPIRITO.
DUE UNIVERSI PARALLELI LA CUI DIFFERENZA INDI­
CA IL DIVINO.
CATEGORIE SPAZIO TEMPORALI.
FEDE E RAGIONE.
IL DAIMON.

Seduta del 14 novembre 2003

D.: Volevamo tornare su alcune tue recenti affermazioni. la


volta scorsa, parlando del rapporto di realtà che esiste tra lo
Spirito e Dio, dicevi che lo Spirito riesce ad inserirsi nell'am­
bito della realtà divina laddove la materia ne è /omana, certo,
in una metafora spaziale, proprio perché la materia è il risul­
tato ultimo di un processo di al1ontanamento, involuzione, arti­
colazione e sofisticazione di una serie di proiezioni e rispec­
chiamenti che provengono come è normale da una legge divi11a,
ma che comunque in tutta questa .fase involutiva risultano in un
allontanamento. A parte il paradosso di una situazione perife­
rica nell'ambito di un infinito - apparente paradosso - ricordo
anche un 'altra afferm.azione, laddove si vedeva un "111ovi111e11-
to" contrario, cioè la materia, che nelle massi111e espressioni
riesce a produrre, produce anche intelligenza, quindi u11a via di
ritorno che sembra contrapporsi a quest'altra, un po' uno yin e
uno yang.
A.: È un discorso abbastanza complesso, vi prevengo, e in
qualche misura un po' lontano dalle consuetudini specialmente

326
non dovete pensare alla vita organica dell'uomo, ma dovete
pensare a un concetto simile a quello dell'esistenza, un prin­
cipio dinamico, perché la vita si dà, la vita continua, la vita ha
il suo presupposto di essere eterna, quindi esistenza, realtà
eterna.
La difficoltà di capire questi concetti sta nel fatto che l'uso
di determinati termini è un uso corrotto dalla cultura umana,
per cui vita per voi è la vita nel senso umano del termine, è
qualcosa che si muove entro però una forma, invece qui il
significato di vita assume una valenza universale.
Allora quando diciamo: lo Spirito vive ed è vita, non inten­
diamo soltanto il processo della vita, ma l'esistenza della vita
come principio in sé.
Questa esistenza della vita come principio in sé, che vuol
dire esistenza, è identico a queJlo dell'Universo, indipenden­
temente se si tratti di un Universo meccanico o se si tratti di
un Universo individualizzato qual è il mondo dello Spirito.
Il problema reale non è tanto in questa differenza o in
questa unione, il problema fondamentale è dato dal fatto che
dal punto di vista primordiale c'è una energia la quale è un
campo di vita, quindi un campo esistente che primeggia su
tutto; dunque l'energia è una forza che ha in sé strutturalmen­
te, analiticamente, una serie di componenti: l'unione di questi
componenti produce l'esistenza.
Lasciamo perdere il problema di come sia o meno apparsa
questa forza, perché qui ci sperderemmo in tante possibili
opzioni, una di quelle è che ci sia il Dio che l'abbia determi­
nata, che l'abbia emanata, e di questo abbiamo parlato altre
volte - noi manteniamo ferma questa tesi, che c'è a monte di
questo discorso l'altro discorso divino collegato con questa
prima parte della nostra esposizione - ma indipendentemente

328
mentre il mondo della soggettività non è quantizzabile, non è
misurabile, da qui dunque il minor valore in un certo senso
della metafisica rispetto alla scienza.
Ma, al di fuori di questa diatriba culturale, che naturalmen­
te ha la sua importanza e se ne potrà anche vedere il risvolto
dal punto di vista fuori dell'umano, in realtà abbandonando il
linguaggio umano, abbandonando gli obbiettivi umani che di­
stinguono tra vero e falso, tra metafisico e scientifico, ovverosia
tra irrealtà del mondo soggettivo e realtà del mondo oggetti­
vo, al di là di questa diatriba, fuori, cade questo linguaggio,
cadono gli opposti, cadono tutti i presupposti per cui si debba
considerare sacro lo Spirito e non sacro l'Universo.
Peraltro, se l'Universo è stato emanato da Dio, credo che
sia implicito che sia tutto sacro, se proprio dobbiamo mante­
nere questi termini, non si capisce perché dovrebbe esistere un
Universo maggiore rispetto ad un altro, soprattutto se intro­
duciamo il discorso dell'origine, il quale discorso appunt o è il
presupposto che esista anzitutto la realtà, cioè che la realtà sia
un esistente, e sia dunque l'elemento fondante di ogni cosa.
La nostra attenzione va soltanto spostata, a questo punto,
sul come sia stato possibile ad un Universo meccanico, per
così dire, germinare un Universo non meccanico quale è quel­
lo del mondo dello Spirito. Sicuramente credo sia valido il
concetto che poiché è così, cioè esistono i due universi paral­
leli, e poiché è lo Spirito che deve essere stato emanato per
così dire dall'Universo dell'energia, evidentemente la realtà ha
in sé la possibilità di produrre, di germinare, vale a dire di
metter fuori da sé tutte quelle connotazioni che non erano p iù
coincidenti col piano meccanico dell'esistenza. Insomma lo
Spirito era ed è e resta un corpo estraneo dell'energia, perché
l'energia contiene in sé aspetti, strutture, formazioni, che non

330
Ora, indubbiamente, se la struttura della realtà ha in sé
questa duplicità di essere spirituale e meccanica nel contempo,
la forza a monte chiamata Dio ha dovuto necessariamente
trasferire in questa unità del cosmo le due sue fondamentali
caratteristiche, di essere anzitutto un soggetto, perché Dio è
un soggetto in quanto gli attribuiamo la capacità di elabora­
zione e di autodefinizione.
Senza queste caratteristiche non parleremmo di Dio, ecco, in
senso sacrale, per capirci, ma parleremmo di Dio come di una
delle tante forze dell'Universo, allora Dio è contemporanea­
mente entrambe le cose; questo lo facciamo derivare dal!'esi­
stenza del cosmo, il quale effettivamente ci presenta, anzi si
presenta come un mondo meccanico, ma contemporaneamente
come un mondo meccanico che ha espulso da sé ciò che poi
verrà definito come Spirito, o per lo meno ha partorito lo Spirito.
Allora a tutto ciò deve corrispondere un principio, una legge,
perché l'Universo si muove meccanicamente, ma attenzione,
non si muove meccanicamente senza una ragione, pur non
possedendola la ragione, e la ragione è quella che abbiamo
detto prima, è il suo dover essere infinito ed eterno, perché è
in quelle condizioni che una forza resta eterna e infinita, cioè
quando su di essa non intervengono varianti e opzioni capaci
di modificarne il corso e trasformare una eternità in finite zza.
Allora la forza deve avere in sé un impulso tale da non potersi
esaurire: è questo il principio dell'eternità, e allora, se ciò che
chiamiamo Dio a monte è un soggetto, è però contemporane­
amente anche un oggetto, perché tutto ciò che è soggetto è
anche un oggetto, tutto ciò che viene riguardato dall'interno
e dall'esterno diventa oggetto.
Se un uomo incontra un altro uomo, l'uomo che incontra
è anzitutto un oggetto, di cui poi ci assicuriamo che sia anche

332
un soggetto, cioè che è una forma parlante, giudicante, int el­
ligente che pensa, che elabora, e allora io posso dire: è un
oggetto che contemporaneamente è anche un soggetto.
Ciascuno di sé cosa può dire ? "/o sono un soggetto perché
penso, elaboro etc .. , ma sono anche un oggetto, perché la mia
presenza è incontrata da altre presenze, e soprattutto è incon­
trata con tutti gli altri oggetti che appartengono al mondo, perché
se io cammino su una strada, incontro un albero e ci vado a
battere con la testa, per l'albero io sono un oggetto, e qualwz­
que altro uomo che facesse un simile incontro ,ni definirebbe un
oggetto che si è scontrato con il di lui essere oggetto e anche
soggetto.
Anche se può apparire complicato il discorso è estrema­
mente semplice: le cose anzitutto sono, e nel momento che
sono, sono oggettivamente esistenti. Quando queste cose
oggettivamente esistenti pensano, possono essere anche defi­
niti soggett i esist enti.
Allora questa duplicità di Dio di essere oggetto e soggetto
contemporaneamente, non poteva non influenzare la natura
dell'Un iverso, cioè della cosiddetta creazione, la quale in sé,
cioè tutta l'energia universale, contiene soggettività e ogget ­
tività, ma poiché all'Universo è stato attribuito il compit o di
essere un processo eterno ed immutabile o comunque trasfor­
mabile, conservando la propria immutabilità, ciò che era sog­
getto, cioè la parte soggettuale, doveva risultarne separata.
Ancora un perché: perché necessariamente separata e non
coesistente? Perché siamo un incalcolabile numero di esseri
e sistenti? Proprio perché se l'Universo meccanico avesse con­
servato i processi che invece hanno configurato lo Spirito,
non sarebbe stato più meccanico, ma sarebbe stato un sogget­
to di pensiero.

333
C'è un altro punto da introdurre in questa discussione, che
Dio è unità.
L'Universo dell'energia, espellendo - uso questa bruttissi­
ma parola - da sé le sue improprietà - non voglio dire le
proprie impurezze, ma dal punto di vista meccanico sì, le
proprie impurità - non poteva che far sì che queste impurità
riassumessero il carattere di unità, perché tutto ciò che esiste
rispecchia in qualche modo il principio antecedente di questa
forza definita il divino, e allora il principio di unità per cui
ciascuno di noi è uno e non ha i caratteri dell'anonimia, quali
ce l'ha invece l'Universo meccanico, la scissione o la frantu­
mazione in un numero infinito di Spiriti stato l'atto conse­
quenziale di questa operazione di germinazione da una energia
unica di una serie di sottoenergie autonome che hanno deter­
minato la nascita dello Spirito.
Ora spero che sia stato abbastanza chiaro quello che ho
detto.
È evidente che con la morte del corpo lo Spirito ritorna ad
essere ciò di cui abbiamo sempre detto e parlato, un essere
individuale, intelligente, etc.. senza i caratteri umani, ma piut­
tosto con quei caratteri universali che lo Spirito possiede.
D'altra parte lo Spirito non ha perduto le proprietà del­
l'Universo, perché la sua struttura di sostegno, quello che
abbiamo chiamato il suo esistere come forza, è una esistenza
energetica simile a quella dell'Universo, e se l'Universo ha
questa energia che è eterna, anche lo Spirito ce l'ha.
Il problema che si pone a volte a chi osserva questo tipo
di filosofia scientifica, in fondo, è se l'esistenza del lo Spirito
non sia allora parallela a quella della materia: se un giorno la
materia dovesse finire, se l'Universo dovesse mancare, fini­
rebbe anche lo Spirito?

334
effettualmente simile e non ne ha più bisogno, ma poi sapete
che, questa però è ovviamente una concettualizzazione, che
l'infinito nello Spirito è un potenziale, mentre in Dio è una
estensione infinita, ed è un potenziale risolto, espanso, esi­
stente, ma questa è già filosofia: è una interpretazione, una
possibilità, un ragionamento.
In realtà tutto questo discorso ha una sua logica ed ha una
sua oggettività, perché effettivamente l'Universo si mostra con
questo duplice carattere, quello che poi riconoscete anche
nell'essere umano, di essere materia e contemporaneamente di
potere pensare la materia, quindi una materia inerte per così
dire e una materia giudicante, una materia che esegue i I com­
pito di vivere e una materia che esegue il compito di interpre­
tare.
Questa differenza è già di per sé una dimostrazione logica
di una compresenza, quindi di un dualismo fisico e metafisico,
indipendentemente dalle interpretazioni.
Vedete, voi potete interpretare come volete, potete dire
che la materia pensante è un prodotto della stessa materia,
potete dire quel che vi pare, ma non potete eliminare la con­
statazione ovvia che l'aspetto metafisico della materia esiste,
esiste concettualmente, ed a quel punto ciò che è concettuale
in un sistema logico, ha lo stesso valore dell'oggettuale in un
sistema puramente scientifico, e quindi in un certo senso c'è
una dimostrazione logica di questo dualismo, e se questo accade
in un piccolo sistema quale è quello terrestre o della mente
umana, a maggior ragione esiste in un grande sistema quale è
quello dell'universale in cui tutti quanti noi siamo immersi.
Quindi mi pare in questo modo di aver discusso una map­
pa, in cui le varie collocazioni concettuali sono sufficiente­
mente logiche e argomentabili, anche se si tratta di una mate-

336
ria complessa sulla quale molto si potrebbe dire ma credo che
i capisaldi restino comunque questi, una unità nella moltepli­
cità, in un sistema logico discusso secondo me o discutibile
anche con gli strumenti che avete voi come persone umane.

D.: A che identificare l'assoluto nel Tao e la parte manifesta


nello yin e lo yang e poi si rnoltiplica: potremmo pensare al­
l'Universo meccanico come a questo tipo di espressione, mentre
invece la parte dell'Universo spirituale non ha questa dualità,
quindi potrernmo pensare ad una energia dotata di dualità, quindi
positivo e negativo, che è quella dell'Universo meccanico, ed
una energia non duale che è quella spirituale?

A.: Anche quella di tipo spirituale è duale perché, l'ho


appena finito di dire, la sua struttura è simile, anzi è energia
universale, soltanto che è individualizzata, è personalizzata,
quindi il dualismo è la concettualizzazione di una realtà che è
presente in ambedue i campi, ed è sempre presente anche
nell'Universo meccanico, proprio perché la nascita dello Spi­
rito è una nascita infinita: non esistiamo soltanto noi e basta,
non c'è una data in cui l'Universo abbia detto: basta, non si
creano più Spiriti.
Si tratta di processi, di processi scanditi sul ritmo dell'in­
finito, l'energia continua a produrre questo, perché se è eterna
vuol dire che non è limitata, che non è finita.
Poi io mi guarderei anche bene, starei molto attento a parlare
di energia negativa e positiva, questo è un concetto umano,
nell'Universo non c'è una energia negativa, c'è una energia e
basta, negativo e positivo sono contrapposizioni umane, come
il bene e il male.

337
D.: Forse potremo parlare di polarità dell'energia.

D.: In questo caso si potrebbe anche esprimere come sog­


getto e oggetto.

D.: Siamo partiti dalla domanda in cui la sorella D. vedeva


questo doppio movimento di allontanamento e di avvicinamento
che in effetti non esiste perché 11011 esiste questo movimento che
porta lontano né esiste un movimento che porta vicino, è una
unicità, è qualcosa di globale: è così ? L'infinito in cui c'è il
mondo meccanico e il mondo dello Spirito è un infinito dinami­
co, ma non c'è un senso di allontananiento e di avvicinamen­
to.

A.: Nel senso proprio spaziale certo non c'è, 1101 stiamo
parlando di cose che non hanno...

D.: Una direzione nello spazio.

A.: Sì, ma soprattutto la vostra spazialità umana può cre­


arvi deJJa confusione, perché certo, io posso dire: "nei momen­
ti in cui lo Spirito si avvicina alla propria struttura vitale, lo
possiamo chiamare avvicinamento, nei momenti in cui si avvi­
cina alla struttura dell'Universo, Lo possiamo chiamare allonta­
namento".

D.: È una metafora.

A.: Si tratta di terminologia. Nel momento in cui voi fate


esperienza della materialità, in quel momento c'è un allonta­
namento dalla sostanza dello Spirito, nel momento in cui ave-

338
te il beneficio di questa materialità, cioè ne traete esperienza
e conoscenza, c'è un riavvicinamento un'altra volta, quindi ci
sono fasi in cui voi vi allontanate dallo Spirito per vivere la
materia, ma vivete la materia con la finalità di conoscerla, o
di conoscersi, che è poi la stessa cosa, perché è sempre un
volersi conoscere, soggettivo, allora c'è allontanamento e
avvicinamento, ma c'è comunque una osmosi fra questi due
momenti, se sono finalizzati, cioè se la coscienza vi partecipa,
è evidente.

D.: Perchè questa mi. sembrava la posizione iniziale dalla


quale eravamo partiti, perciò volevo chiarirmi.

A.: Sì, però si tratta di momenti fittizi; in realtà, non di


momenti reali.

D.: Per la nostra struttura mentale abbiamo bisogno di


passare da un prima a un dopo.

A.: Certo, mi rendo conto. Chi volesse guardare il fenome­


no un po' più da lontano, allora applicheremmo queIIo che
una volta abbiamo detto: è come un respiro, espirare e respi­
rare, non ci si allontana o ci si avvicina ai propri polmoni, è
un processo direi di entrata e di uscita finalizzato alla soprav­
vivenza, se ci limitiamo alla respirazione.

D.: Quella apparente successione di avvenimenti da questo


campo di forze da cui provengono sia l'Universo che lo Spirito,
da una idea di successione che è falsa, deve essere contempo­
ranea.

339
A.: È falsa; infatti questo è un altro problema: quando ad
esempio si deve insegnare qualcosa a qualcuno, uso questi
termini un po' banali per insegnar qualcosa.
In realtà voi siete obbligati a vivere con una successione
temporale e spaziale, perché è legata al cervello; quando il
cervello finisce di esistere non c'è più questa successione; lo
Spirito non pensa in termini di tempo, ma pensa in termini di
forza e di esperienza, e di disvelamento, e di accumulazione.
Lo Spirito si evolve, questa sua evoluzione significa che
passa da una fase A alla fase B, perché altrimenti l'evoluzione
non si riesce a concepire; l'evoluzione implica un passaggio
da una fase minore ad una fase maggiore, non voglio dire
inferiore o superiore, ma da una fase minore ad una fase
maggiore, quindi c'è uno spostamento.

D.: Ma questo c'è anche sulla Terra.

A.: C'è anche sulla Terra, però sulla Terra voi avete biso­
gno di uno spazio-tempo reale, concreto, oggi, domani, un
minuto, fra due minuti, avete un orologio che cammina.

D.: Ma se ad esempio bisogna raggiungere un jì°ne intellet­


tuale, o lo raggiunge in un anno o in trenta è lo stesso.

A.: D'accordo, d'accordo, anche nella fase intuitiva spa­


risce, l'intuizione non ha un tempo in se stesso, forse qualcu­
no potrebbe anche inventarsi una misurazione dell'intuizione
ma secondo un orologio temporale umano però. Il fatto è che
lo Spirito in se stesso non lo avverte più il tempo, quella che per
lui è una successione di eventi, è vista come una aggiunta, come
un processo di crescita che non è legato ad un fatto temporale.

340
L'esempio più elementare che mi può venire è che voi avete
cominciato questa seduta, non so, mezz'ora fa, un'ora fa col
vostro tempo, non ho alcuna idea del tempo che è passato, ma
in questo momento neppure voi ce l'avete, eppure siete di
un'ora più vecchi, ma di questo invecchiamento non avete
nessuna coscienza, non soltanto e non tanto, ma le cose che
io vi ho detto possono essere state accettate, elaborate, sono
entrate dentro di voi, ma i contenuti non sono stati assunti
con una scansione temporale.
Per lo Spirito il processo è ancora più rarefatto.

D.: Dentro di noi non esiste il tempo, perché il ,nio corpo


invecchia ma in me c'è una continuità ...

A.: Sì, perché J 'elaborazione, il cambiamento è avvenuto


in una sfera che non è assoggettata né assoggettabile al tempo
reale del pianeta, diciamo. Naturalmente, tolto il corpo, è chiaro
che tutto si muove poi in quel modo, di cui però il soggetto
ha coscienza, la coscienza di possedere una espansione vorrei
dire esperienziale, conoscitiva.

D.: Oppure sentirsi più padrone di se stesso.

A.: Diciamo una differente sapienzialità nell'osservare se


stesso e ciò che è fuori di sé. Questa maggiore sapienzialità
è il processo di maturazione, di maturità.

D.: Quando tu parlavi della garanzia di eternità, in effetti


il meccanismo di garanzia è esattamente lo stesso, sia nell'Uni­
verso rneccanico che in quello Jpirituale, soltanto che in quello
spirituale è come se implodesse nella singolarità: è così?

341
A.: Esatto, sì.

D.: E poi questa dualità, che è proprio il marchio del­


l'espressione, e si ripete a cascata, a ogni Livello, e diventa la
rete dell'impronta di Dio. È cosi maestro ?

A.: Sì, perché c'è sempre il pensiero e la cosa pensata, e


questo è un fatto di cui nessuno può dubitare, e poi potete
trovarvi tante spiegazioni, resta il fatto oggettivo che c'è.

D.: Quando hai detto che L'Universo meccanico espelle da


sé le sue impurità che poi si raccolgono nel mondo dello Spirito,
le espelle perché sono dotate di autonomia e di libertà di scelta?

A.: Sì, esatto.

D.: E quindi si raccolgono in quest'altra parte.

A.: Si raccolgono, e diventano, eletto con un esempio da


distillazione di laboratorio, diciamo che in fondo è così.

D.: E mentre l'Universo è uno, da quest'altra parte c'è una


miriade inj,nita di presenze.

A.: Una miriade infinita, sì, perché tutto il mondo del­


l'energia è pervaso dall'infinitezza, necessariamente.

D.: Ed ognuno di loro ha la sua autonomia e la sua libertà


di scelta, perciò sono ben distinte.

A.: Certo.

342
D.: Perché questo fatto di espellere le sue impurità che
formavano questo Universo dello Spirito mi sembrava, abituata
alle nostre categorie ...

A.: Infatti diciamo s i potrebbe aprire una simpatica discus­


sione se sia una impurità lo Spirito o sia una impurità la materia.

D.: Poiché altre volte parlando di questo avevi parlato del


marchio di Dio sullo Spirito, sembrava quasi che ci fosse un
intervento di Dio quando si creano queste strutture che chiamia­
mo Spirito dall'Universo dell'energia universale, come se ci
fosse stato un intervento di Dio che determinava poi l'accensio­
ne di tutto il sistema, sem.brava cosi. Adesso come l'hai trattato
stasera senibra quasi un processo automatico dell'energia stes­
sa, non c'è questo momento che tu chiamavi la ,narchiatura?

A.: La ratifica è a monte, la ratifica non è uno per uno,


cioè dovremmo pensare che Dio ratifica ciascuno che viene a
costituirsi, no, non c'è una ratifica individuale, la ratifica è nel
principio.

D.: Tutto questo rientra nell'essere, Spirito, Universo, nel­


l'esistenza, in ciò che è, e questo essere è anche un'altra prova
di Dio, perché dire essere o dire Dio è la stessa cosa.

A.: L'essere è sempre una definizione vista dal punto di


vista dell'uomo, certamente l'essere inteso come esistente è
così, è quello di cui abbiamo parlato questa sera, che ha sia
una valenza universale, quindi concettuale, sia una valenza
individuale in quanto ciascuno è essere, ciascuno di noi, di
voi, intendiamoci.

343
D.: Dico questo essere, questo esistere è già di per sé una
dimostrazione, non c'è bisogno di una dùnostrazione di questo
esistere.

A.: Infatti non credo che abbia bisogno di una dimostrazio­


ne.
D.: Ma indirettamente dimostra l'esistenza di Dio.

A.: Non necessariamente, non necessariamente.

D.: Questo vorrei capire.

A.: Non necessariamente, perché se ci fermiamo al limite,


come dicevamo prima, di questa globalità, di questa unità, io
ho detto e l'ho detto proprio a bella posta, potremmo consi­
derare autosufficiente l'unità.

D.: Facciamo una ipotesi, lutto ciò che è, tutto ciò che è
esistenza, chi è che lo può immaginare, cioè ci vuole qualcuno
che lo guardi dal di fuori, per esprimermi in maniera molto
banale?

A.: Questa però è una domanda che viene da chi si trova


ad un limite, chi ha un limite si pone questa domanda, poi
puoi dirmi che proprio per questo motivo c'è la necessità.

D.: Di ipotizzare Dio, è come se ci fosse una dimostrazione


nella stessa esistenza.

A.: Però attenzione, ho capito quello che vuoi dire, ma non


è esaustiva, perché di tutto ciò che l'uomo non riesce a rag-

344
giungere con la propria capacità, può dire che quella esistenza
appartiene a un Dio, ma potrebbe non essere così: potrebbe
essere esclusivamente il limite che provoca la domanda di ciò
che è fuori del limite, attribuendola a un Dio, non c'è un
collegamento diretto: noi lo sappiamo che l'origine dell'esi­
stenza presuppone l'origine di un Dio, perché è il discorso che
abbiamo fatto del soooetto-oooetto
00 . 00 > soprattutto che ci porta
a pensare all'esistenza di Dio oltre il limite dell'unità concet-
tuale.
Concettuale vuol dire che è supposto, che è logico, che è
pensato e pensabile; la concettualizzazione però non è con­
temporaneamente anche verità, è concettualizzazione logica;
fin dove arriva la logica voi e noi non lo sappiamo, possiamo
presupporre che possa però esistere un altro tipo di logica, in
cui le caratteristiche attribuite da una filosofia e dal linguaggio
umano, di una logica che non ha in sé la possibilità di essere
contraddetta, potrebbero completamente saltare in vista di un'al­
tra logica che, per esempio, dica che le cose che possono
essere contraddette sono le vere e le cose che non possono
più essere contraddette, cioè la logica umana, siano false.
L'impianto di queste due possibilità è un impianto che dif­
ficilmente si riesce a confutare, perché il fatto che la logica
umana è tale quando ogni confutazione non riesce a dissaldarne
l'impianto matematico, proviene a sua volta da un tipo di
impostazione e di ragionamento che nasce dall'uomo: non c'è
alcun dubbio su tutto questo.
Però devo dire anche questo, per rispondere un po' più
direttamente al la domanda: certo, la presenza inconfutabile
de11 'esistenza, attraverso tutti i discorsi che abbiamo fatto,
può lasciar pensare all'idea di Dio, e per via logica ci possia­
mo anche arrivare a questo, ma non direttamente, perchè J'esi-

345
stenza o l'essere è in tutte le cose che hanno una loro concre­
tezza, anche una loro intuibilità, anche una loro necessità.
Le cose sono, ed è indubitabile che sono, ma il fatto che
sono non autorizza contemporaneamente a ritenere che questa
origine sia divina, tanto è vero che la maggioranza di tutti i
fenomeni universali non ha una origine diretta divina, ma una
origine indiretta: se Dio stabilisce i principi, non crea la ma­
teria in sé; nessuno si immagini che Dio un bel giorno si sia
messo a costruire gli atomi, e poi dopo le molecole e poi le
strutture molecolari e che questo processo sia stato pensato
da Dio direttamente, non è pensabile una cosa del genere.
Voglio dire: è elementare, è banale, supporre che Dio se­
condo la Bibbia abbia potuto creare gli alberi e poi gli
animaletti e poi gli animali grandi e poi gli animali intelli­
genti e poi l'aria etc.: poniamolo un po' più in alto, c'è un
principio e c'è una legge dalla quale scaturisce tutto questo.
Certo, noi riconosciamo che senza quella presenza la legge
non ci sarebbe stata, ma non scambiamo gli effetti con la
causa, questo è importantissimo.

D.: No, ma un effetto mostra che c'è stata una causa, almeno
come ragionamento umano, e comunque c'è stato un principio
che ha stabilito quell'effetto.

D.: Ma se le leggi derivano dalle idee semplici, il complesso


delle idee semplici è Dio?

A.: Sì, ma a questo punto stiamo soltanto facendo un po'


di conversazione poco logica, sono passaggi tutti da dimostra­
re,; adesso io sto facendo la parte dell'oppositore al ragiona­
mento semplice, cioè mi oppongo al ragionamento semplice,

346
è chiaro, perché i ragionamenti si possono fare in due modi, sia
affermando e sia negando; ora non basta semplicemente met­
terci delle parole o delle definizioni, perché le definizioni sono
tutte da dimostrare, compreso le idee semplici, aggiungerò.
Però c'è un impianto dell'Universo, ed io voglio attenermi
logicamente all'impianto dell'Universo quale esiste intorno a
voi e intorno a noi; questo Universo è costituito dalla esisten­
za, questa esistenza è interpretabile, può esserci un Dio o può
non esserci, può essere scaturita dal nulla o è scaturita da
qualco sa.
Teniamo presente che il passaggio dal nulla al qualcosa è
un passaggio che facilmente viene affermato, ma difficilmente
viene dimostrato, perché anche se proviene da Dio, noi dob­
biamo dire che proviene da un nulla, e mi spiego perché:
perché comunque tra Dio e l'Universo dovrebbe esistere teo­
ricamente una differenza infinita.
L'Universo nella sua specificità nasce da un non Universo,
cioè da qualcosa che antecedentemente non c'era, e quindi
teoricamente nasce da un nulla, però noi sappiamo o presu­
miamo di sapere che esisteva potenzialmente in Dio, ma que­
sto passaggio va dimostrato dal punto di vista della logica,
altrimenti è una affermazione di fede: ecco a questo soltanto
volevo portarvi.
D'altra parte la verifica di qualsiasi affermazione va fatta
anzitutto negandola, e vedere se regge: se la negazione regge,
allora il ragionamento precedente non ha i presupposti della
logica e della verità.

D.: Il fatto che nasca dal nulla, non potrebbe essere proprio
que sta la dimostrazione dell'esistenza di Dio?

347
A.: Certo, anche questo si può dire.

D.: Mi sembra il contrario.

A.: No, non ti sembri il contrario, perché l'Universo nasce


non da una causa similare, capisci, l'Universo meccanico se è
l'effetto di qualcosa, deve presumere una causa che sia costi­
tuita e costituente della stessa struttura dell'effetto, e quindi
poiché non riusciamo a concepire questo passaggio perché
Dio sarebbe impropriamente il creatore di un Universo mec­
canico, dal momento che Dio non dovrebbe essere una forza
meccanica, allora la meccanicità dell'Universo che riproduce
se stesso secondo le leggi della fisiochimica e comunque della
logica delle leggi universali, ebbene, la causa che l'ha deter­
minato è una causa impropria.
Questo potrebbe avvalere che esista un Dio, naturalmente,
però sul piano logico c'è qualcosa che traballa, perché salta il
principio di causa ed effetto, in quantoché l'effetto non è
conforme alla struttura della causa.

D.: Il principio di causa effetto è saltato anche nella fisica.

A.: D'accordo, quando ci fa comodo, però quando non ci


fa comodo lo buttiamo a mare.

D.: In questo momento non lo stavo utilizzando.

A.: Sono d'accordo con te, però mi attengo in questo tipo


di ragionamento alla logica dell'uomo, alla logica della cono­
scenza che l'uomo ha dell'Universo, affinché poi si possa fare
questo tipo di discussione.

348
Se facciamo una discussione con passaggi fideistici senza
dimostrazione ovviamente possiamo arrivare dove ci pare, ma
c'è questo passaggio molto importante, una lacuna, c'è un
vuoto praticamente, e certo noi diciamo che questo giustifi­
cherebbe l'esistenza di Dio che trae dal nulla, come direbbe la
vecchia Bibbia, e crea.
Naturalmente noi sappiamo che l'Universo meccanico e
l'Universo spirituale sono una proprietà di Dio, però la mia è
una affermazione dedotta, la cui dimostrazione non è altret­
tanto semplice, quindi da una parte c'è un ragionamento
intuitivo, un ragionamento di conoscenza diretta quale posso
averla io che non ho un corpo e quindi parlo da essere spiri­
tuale, dall'altro però mi rendo conto che certe affermazioni
vanno dimostrate in un altro modo, altrimenti la mia sarebbe
una rivoluzione rivelata, non sarebbe ragionata, e questa è la
differenza poi tra la fede e la ragione.

D.: Negli ultimi tempi ho riflettuto sul daimon, il demone


che è in ognuno di noi, dicevano, cominciando da Socrate che
parlava del suo denwne, Platone lo chiamava Eros, Eros è un
demone che partecipa della vita degli dei e della vita degli
uomini. Anche adesso nelle correnti psicologiche ultime si dà
spazio a questa forza energetica, che è una forza senza quali­
ficazione, perché può diventare una forza negativa e può essere
invece una forza altamente produttrice, integratrice, creatrice.
lo naturalmente facevo degli abbinamenti con quanto ho impa­
rato dai tuoi insegnamenti; ma questo "daimon" che poi ha
avuto anche una versione nel diabolico, questo daimon è la
forza del!' anima?

A.: Esatto.

349
D.: È la forza dello Spirito che non ha valenza?

A.: Non ha niente di diabolico, ovviamente, si tratta sol­


tanto del processo intuitivo che può diventare concretamente
personalizzato e può a volte anche attingere effettivamente ad
un altro livello di vita, quindi attingere ad uno Spirito diret­
tamente.

D.: Ma è una forza della "natura", cioè di quella certa


natura dell'essere umano, che può essere distruttrice se è re­
pressa, se è negata, se è rimossa, e invece accogliendola, inte­
grandola con la personalità è altamente potenziale.

A.: Innanzitutto si tratta di una manifestazione intuitiva direi


anche di tipo paranormale. I grandi produttori di questa ener­
gia, di questa forza furono anche degli artisti, dei filosofi ...

D.: . . . degli scienziati anche, che arrivano ad intuizioni par­


ticolari. Mi colpiva l'analogia con questa forza de/l'a11i111a che
se non accolta può essere anche distrulliva.

A.: Può essere anche la propria anima che parla, che parla
alla coscienza, quindi può assumere più valenze e più aspetti,
per cui non c'è una definizione precisa, diciamo che appare
una forza qualificata qualitativamente ispirante.
Quando si dice l'ispirazione: l'ispirazione può persona I iz­
zarsi, sia per motivi psicologici, e sia per motivi paranormali,
cioè essere veramente una voce che parla nella coscienza di
soggetti particolarmente sensibili, e può diventare addirittura
fenomeno vero e proprio, come è accaduto a tanti, come in
parte succede anche qui.

350
Io sarei il claimon del fratello Corrado, in quanto sono un
essere spirituale che parla alla sua coscienza; per meccanismi
strettamente tecnici è stato possibile dar voce e produrre quello
che è il fenomeno tipico di certe medianità. Questo è tutto.
In alcuni è più sfumato, in alcuni resta una intuizione, un
soccorso, se il soggetto è in una particolare situazione di
capacità ricettiva, come può accadere appunto nell'arte, nella
filosofia, nella poesia, cioè in chiunque attinge ad un mondo
inconscio e addirittura retroinconscio, attinge tutto questo che
arriva alla coscienza sottoforma di intuizione diciamo infor­
male, sottoforma di voce, sottoforma paranormale, e quindi
apparire uno Spirito che parla. Assume varie connotazioni
secondo le situazioni del corpo, della mente del soggetto.
D.: ma anche proprio come energia ...
A.: Ci sono casi in cui non c'è soltanto la presenza di
questo complesso fenomeno denominato daimon, in questi
soggetti che sono particolarmente sensibili, c'è anche la ma­
nifestazione della propria anima, cioè del proprio Spirito.
In altri termini il corpo, cioè il cervello e la mente, posseg­
gono oltre se stessi, cioè oltre la propria materialità. di essere
mente e cli essere corpo, posseggono un'anima come ben sa­
pete e la possibilità che all'anima si aggiungano intermediazioni
e ulteriori interventi percettivi, che appunto sono quelli definibili
come daimon.

D.: Quindi sono altri elementi che possono aggiungersi al­


l'anima.

A.: Certo, non è soltanto l'anima che comunica, ci sono


altri elementi. Quando si entra in questo stato ultra percettivo
si apre un ventaglio di possibilità.

351
D.: Ci possono essere anche interventi di altre entità come
si diceva l'altra volta dell'accoglienza.

A.: Certamente, anche di altre entità.

D.: Quindi spunti non personali ma di un ambito di interesse.

A.: Io vi ho detto una volta che voi potete ad esempio


essere soggetti passivi di esperienze altrui.

D.: Offrire ospitalità.

A.: Ospitalità, sì.

352
Le comunicazioni contenute in questa rivista sono state trasmesse da quella note­
vole personalità medianica che è l'«Entità A» mediante trance ad incorporazione di
un eccezionale sensitivo che ha operato esclusivamente a Napoli per il Centro Kosmos
prima (dal 1946 al 1963) e per il C.I.P. dal 1963 ad oggi.

Il C.I.P, indipendentemente da qualsiasi interpretazione tecnica (per altro già po­


sitivamente affidata a sofisticate ricerche scientifiche anche universitarie) diffon­
de le «lezioni di A» nel convincimento che l'altissima qualità del suo insegnamen­
to rappresenti un modello dottrinario di grandissimo respiro culturale e di ecce­
zionale rassicurazione nei confronti della vita e della morte.
Tuttavia la lettura di lezioni isolate dal contesto generale della dottrina, può indur­
re nel lettore idee e concezioni che possono creare equivoci o distorsioni lontane
dal pensiero originario di questo grande Maestro. Pertanto, per un inquadramento
generale sistematico della materia trattata in questi fascicoli, si consiglia viva­
mente di leggere i seguenti volumi di Giorgio di Simone:

RAPPORTO DALLA DIMENSIONE X (la vita, la morte, l'aldilà);


IL CRISTO VERO (realtà del Cristo oltre il mito dei Vangeli);
DIALOGHI CON LA DIMENSIONE X (oltre la morte);
COLLOQUI CON «A» (dalla «Dimensione X» il pensiero di un Maestro sui
problemi dell'uomo);
ed il volume di Corrado Piancastelli (il medium dell'Entità A) IL SORRISO DI
GIANO (autobiografia ed autoanalisi del medium);
tutti delle «EDIZIONI MEDITERRANEE», Via Flaminia, 158 - 00196 ROMA.

Sempre al fine suddetto si raccomanda la lettura delle seguenti monografie, edile


direttamente dal C.I.P. ed al quale possono essere richieste:

IL CASO DELL'ENTITÀ «A»;


PERCEZIONE E SUBPERCEZIONE DELLA SOPRAVVIVENZA;
INCARNAZIONE E REINCARNAZIONE SECONDO LA DOTTRINA DELL'ENTITÀ
((A»;
LEGGERE UN MAESTRO;
DIMENSIONE INTERIORITÀ: UN'ALTERNATIVA AL MATERIALISMO;
NEL SEGNO DEL PADRE.
IL MAESTRO ANDREA E CORRADO PIANCASTELLI.
PROGETTI 01 VITA/ IPOTESI DI RITORNO.

SIA QUANTO CONTENUTO NELLA PRESENTE PUBBLICAZIONE CHE


L E REGISTRAZIONI SU NASTRO DELL'«ENTITÀ A» NON POSSONO
ESSERE RIPRODOTTE, COPIATE E DIFFUSE - IN QUALSIASI FORMA
O MEZZO- SENZA LA PREVENTIVA AUTORIZZAZIONE SCRITTA DEL
CENTRO ITALIANO DI PARAPSICOLOGIA DI NAPOLI, CUI SONO RISER·
VATI TUTTI I DIRITTI.
inevitabilmente, curiosamente, sempre a dover accogliere ed
accettare che insieme all'Universo cosiddetto materiale esisto­
no dei principi come quello dell'eternità di cui non dispone
l'Universo materiale, non lo dispone nella forma individualizzata
quale noi siamo. Allora l'esistenza di un ente, (il termine ente
non coincide in questa mia affermazione con Dio, col Dio che
si immagina umanamente) quindi ente nella sua concet­
tualizzazione, che è presidio, un presidio che è al di là e fuori
il contesto della realtà universale, che è per noi irraggiungibile.
Ma questo nulla toglie all'esistenza, perché l'esistenza non è
provata con la raggiungibilità, né la raggiun- gibilità sorregge
e forma il principio dell'esistere. L'esistere è indipendente dal
nostro essere, e qui l'esistere è posto fuori di noi, altrimenti
lo riconosceremmo, e poiché è fuori di noi indubitabilmente
deve essere una unità, (anche qui il termine unità è contestabile,
ma non ci interessa tanto se un Dio sia una unità o una mol­
teplicità) il problema non ha gran senso, ha invece senso che
esista questa qualità non quantizzabile - appunto è qualità
mentre l'Universo è quantizzabile, ed in certo qual modo anche
lo Spirito lo è, ma questa non è quantizzabile, e quindi deve
rappresentare l a summa per così dire, se non originaria,
contestuale all'esistenza di tutto l'altro che esiste.
Allora è chiaro che a questo punto questa cosa che altri
chiamano Dio per noi resta un principio esistente, e la nostra
conoscenza dell'irraggiungibilità non ci porta a negarlo ma a
trattenerlo in noi, perché il riferimento ali' eternità di questa
essenza è un riferimento che noi rintracciamo dentro la nostra
struttura e non abbiamo motivo di negarlo, allo stesso modo
come voi non negate che altri esseri umani posseggano le
vostre stesse qualità di intelligenza, di esistenza, perché que­
sta è una procedura di accostamento che supera il nichilismo
che nega, perchè nega l'oggettività in favore della soggettivi-

366
sempre per il solito ragionamento che non tutti possono capi­
re.
In realtà è chiaro che se voi trascinate lo Spirito o la parte
che potete chiamare Anima nella banalizzazione, anche l' Ani­
ma si ritrae; ogni volta che noi banalizziamo il discorso, l'Ani­
ma si ritrae perché non ha nulla da condividere, non ha nulla
a che fare col discorso umano, perché si serve dell'umano e
dell'umanità, ma ai fini dell'esperienza, per poi operare una
traduzione in sé di ciò che ha percepito. Non possiamo con­
siderare l'Anima soltanto una funzione della mente, sia pure
più rarefatta o più nobile, dobbiamo sempre dire che si tratta
dello Spirito che metaforicamente prende forma umana e vie­
ne dunque definito Anima, ma viene definito da voi, però, noi
non la facciamo questa differenza, per esempio, voi avete questa
necessità, così come quando parlate di mente superiore o di
mente fisiologica per così dire, sono ripartizioni un po' di
comodo per poter meglio capire che cosa è in movimento.
Quando parliamo cli Anima noi stiamo parlando cli Spirito,
altrimenti sarebbe meglio usare altri termini come psiche per
esempio, per alludere a tutta una serie di funzioni che nascono
dal cervello e che per quanto possano apparire nobili rispetto
alla natura sono però sempre riconducibili ad una attività
cerebrale.
Si tratta cli una modalità dello Spirito. Certo, è una mo­
dalità strumentale.

D.: Un modo di esprimersi dello Spirito.

A.: Sì, quando lo Spirito si rivolge verso la Terra assume,


per gli uomini, questo aspetto, e naturalmente poi l'assume
anche in sé; per poter materialmente essere nel mondo ha
bisogno di crearsi (e qui a volte può nascere l'errore) degli

368
un'altra sfera del mentale, che è la sfera inconscia nella quale
l'Anima è partecipe, è presente, è lì che aspetta il soggetto per
stabilire il contatto.

D.: Si potrebbe chiamare questa parte dell'inconscio una


parte superiore, inconscio alto, ammesso che si possa fare una
distinzione?

A.: Sì, però poi bisognerebbe fare tutta una serie di distin­
zioni,

D.: Hai dato una definizione altissima di Dio, ma mentre


parlavi riflettevo: è come se Dio avesse tante facce, tante facce
per ogni essere umano, ma tante facce anche per voi S piriti.

A.: Infinite facce.

D.: Perché nei messaggi del Maestro Michele c'era un'altra


immagine di Dio, ed ho capito che Dio è infinito e quindi ha
infinite facce.

A.: Cercavo di dirlo prima, noi possiamo parlare di Dio in


tanti modi, possiamo parlare da Spiriti, da poeti, da artisti, da
sentimentali, da romantici, da materialisti; possiamo dare un
taglio breve e fare entrare Dio in quattro versi di poesia op­
pure 50000 pagine di filosofia, questi sono gli incontri brevi
e folgoranti con delle idee che si possono condensare secondo
la creatività del soggetto.
Se però passiamo da queste forme, che anche lo Spirito
adopera nel parlare con l'uomo a volte, come un qualsiasi
predicatore farebbe, però siamo lontani da una idea non vorrei
neppure dire filosofica, ma direi quasi scientifica di Dio, quasi

370
lasciato il corpo prima, e dopo queste cose già le sa, non ha
bisogno di apprenderle in Terra, cioè proprio nel luogo che
non è deputato linguisticamente a riconoscerle.
Allora qui sembrerebbe un paradosso, che capovolge com­
pletamente quello che poi si è sempre raccontato nella storia
della ricerca sacra dell'umano: se noi stabiliamo come proces­
so il proprio percorrimento, che Io Spirito può accedere alla
conoscenza dell'universale attraverso questo proprio doppio
di essere Anima, di tradursi in capacità ricettiva di ciò che è
fuori di sé, e il corpo è il fuori di sé dello Spirito che deve
essere conosciuto, lo Spirito, quindi, vive nel corpo perché il
corpo coagula una serie di capacità individualizzate, che la
natura generalizzata dell'Universo non possiede.
Il corpo, e qui vorrei sottolineare, produce esperienza in
chi naturalmente le vuole creare le esperienze, ma le esperien­
ze non sono soltanto il fare della vita, le esperienze sono
costituite anche da aspetti astrattizzati della vita che però
esistono e sono possibili soltanto con la vita.
Prendiamo alcuni esempi più banali: il dolore, l'amore, i
sentimenti, le curiosità, il soddisfacimento di bisogni materiali
o di bisogni più astrattizzati; oppure nell'ambito del sensorio,
gli odori, i sapori, le visioni, i suoni, l'arte, la musica, la
poesia, la pittura, la scultura, le opere dell'uomo, il percorri­
mento di queste esperienze, e potrei aggiungerci l'avere figli,
il lavorare, questo tipo di esperienze non è possibile nel mon­
do generalizzato della natura e dell'Universo, perché sono
concentrate, questo tipo di esperienze (altre poi ce ne saranno
in altri piani dove è possibile farle), queste esperienze sono
coagulate in quello che chiamiamo il corpo. Dunque lo Spirito
nell'incarnarsi lo fa per impadronirsi di una possibilità che egli
poi traduce come piano conoscitivo del!'Universo, in cui in­
contra sensazioni, percezioni, movimenti, socialità, costruzio-

372
potete sottrarvi, potete negarla, potete fare i materialisti, tutto
quel che vi pare, ma quando fate ciò egualmente pungente
acuta è la nostalgia di un ritrovamento, che diventa il deside­
rio del padre, il desiderio del mistero, il desiderio del sacro,
il desiderio di spiritualità, che poi potete chiamare bene, altru­
ismo, dono, nelle mille maniere in cui l'uomo riesce a coagu­
lare in una forma poetica o scientifica il suo prezioso deside­
rio di auto-riconoscimento.
Ecco perchè poi non c'è contraddizione, ed ecco perché in
fondo voi potete fare a meno di Dio, potete farne a meno
nella misura in cui però accantonate il problema, che in questo
momento non vi riguarda, ma sarebbe veramente straordinario
se Dio dovesse affidare il riconoscimento di sé a delle povere
menti quali voi siete; francamente mi deluderebbe Dio se ve­
ramente dovesse desiderare una cosa del genere da quei pic­
coli uomini quali siete.

D.: È la prova indiretta dell'impossibilità di raggiungerlo.

A.: Sì, è la prova indiretta dell'impossibilità di raggiunger­


lo. Naturalmente nessuno lo desidera, nessuno lo vuole. È
chiaro che gli uomini hanno strumentalizzato questo desiderio
dell'essere e lo hanno fatto diventare le religioni organizzate,
i sistemi politici, i sistemi sociali, dividendo il bene e il male,
escludendo e includendo a proprio piacimento, mentre la vita
è il fluire dello Spirito attraverso questi camminamenti della
vita oscuri, a volte tetri, a volte dolorosi, a volte felici.
Dunque voi non potete fare a meno di cercare lo Spirito,
proprio perché ciascuno di voi è uno Spirito, in realtà, e quindi
voi cercate le immagini in uno specchio immaginario, le imma­
gini di ciò che siete dentro, e quindi nasce la religione, ma
nasce anche la psicologia, nasce anche la filosofia.

374
mincia ma che lascia presupporre un processo che vi è stato
prima e che poi arriva all'individuazione.
In realtà, per capire bene questo bisognerebbe anche capire
bene {molte volte comunque credo che ne abbiamo parlato)
perché esiste lo Spirito. Il perché esiste lo Spirito è essenziale,
ed è propedeutico al momento della individuazione.
Noi abbiamo detto molte volte, ed ora riassumiamo, che
l'emanazione da parte di Dio è un atto conseguenziale e quin­
di necessario ad un processo che si svolge in Dio, e in un
certo qual modo rispecchia una realtà che è in Dio.
Detto in maniera più semplice possibile, lo Spirito è il
risultato di alcune proprietà che devono sicuramente essere
presenti in ciò che chiamiamo Dio. Adesso lasciamo perdere
il discorso precedente, ma che egualmente ci riporta a quello
indirettamente perché qualunque sia la realtà di Dio noi diamo
per presupposto che esista questa realtà.
D'altra parte noi siamo, e indubitabilmente io so di essere,
e quindi ciascun altro essere come me sa di essere, e di ciò
non dubitiamo; e poiché sappiamo che in ogni caso siamo
l'effetto di una causa che deve essere da qualche parte perché
non siamo nati da soli, non siamo auto-nati dall'Universo .
Quindi non seguiamo la supposizione materialistica che an­
che ciò che chiamiamo Anima potrebbe essere il risultato di
una attività del cervello e noi non siamo il risultato di una
attività dell'Universo, perché al di fuori di noi non esiste nulla
di simile nell'Universo, e l'Universo per come è costituito e di
cui disponiamo come Spirito di tutte le conoscenze fondamen­
tali - si capisce secondo la nostra evoluzione ma conosciamo
tutte le coordinate fondamentali - sappiamo che il principio di
individualità e di individuazione specifico del nostro stato di
essere non è presente nell'Universo generalizzato.

376
da precise realtà che sono nell'esistenza del divino che si
raggruppano, si formano, si coordinano, si condensano, si
individualizzano, per poi essere portate ad una realtà in­
dividualizzata deprivata dal contesto.
Che significa? Detto in termini estremamente brutali alcune
qualità di Dio sono state rese individuali e portate fuori dal
contesto generale del divino, e nasce l'individualità quale noi
riconosciamo e che definiamo lo Spirito. Quindi questo pro­
cesso di individuazione, stante gli attributi del divino, di esse­
re infiniti ed eterni, provengon o dall'eternità, perché se c'è
davanti a noi l'eternità, c'è anche dietro, non siamo eterni
soltanto nel divenire, ma siamo eterni e siamo stati eterni
anche nel nostro provenire, e non possiamo stabilire un mo­
mento in cui si determina, perché ancora una volta sfuggiamo
alle regole dello spazio tempo, quindi la nostra infinitezza non
ha un vero inizio e dunque siamo sempre esistiti.
Non possiamo insomma fare a questo proposito un ragio­
namento di tipo fisico e dire: c'è un momento in cui viene
tagliata la placenta e lo Spirito diventa libero ed autonomo, la
placenta non è stata mai tagliata, in questa misura e in questa
cifra noi siamo sempre stati. Questa è l'unica risposta che io
posso dare a questa domanda, e quindi con l'intuizione lo
Spirito torna e va indietro e avanti in un movimento oscillante
che lo porta a recuperare le sue matrici divine ed a proiettarsi
avanti nella sua direzionalità infinita.
In questo oscillare avanti e dietro si svolge l'eternità e
l'infinitezza della natura di cui è costituito lo Spirito.

D.: Lo Spirito ha la consapevolezz a di sé anche dall'infinito;


anche la consapevolezza di sé nello Spirito è dall'infinito, sia in
avanti che indietro?

378
umana, sarebbe rassicurante una idea del genere, ma non è
così, e non so neppure quanto rassicurante potrebbe essere.

D.: Potrebbe essere terrorizzante.

A.: Sì, forse hai ragione, visti i limiti, le contraddizioni, le


sofferenze della vita umana, aspirare ad un'altra vita diversa
ma di cui però si vorrebbe la certezza ed anche la conoscenza
di qualche elemento. Lo capisco. Ecco perchè io vi spingo più
a fare che a credere, tutto sommato.
Il fare oltretutto soddisfa anche le vostre esigenze umane,
corporee, sociali, dovrebbe essere naturale per voi il fare,
perché il fare provoca attività, piacere, vita.
Nonostante ciò in alcuni di voi, in molti di voi, in una parte
purtroppo piccola dell'umanità, c'è questa scintilla di deside­
rio di voler sapere, di volersi ritrovare, di voler scoprire la
propria dimensione interiore. Questo è positivo, ma non basta
la teoria, è la pratica che conta perché è per questo che siete
venuti al mondo.

D.: Perché poi in questa continua ricerca protratta a lungo


avviene quasi una scissione da una realtà, il ricercare continuo
senza l'attività.

A.: Certo, diventa una forma ossessiva, che ha bisogno


continuamente di essere bilanciata dalla realtà della vita, pro­
prio per evitare di cadere in una forma ossessiva.

D.: Una fuga dalla realtà.

A.: Certo.

380
A.: Può darsi, ma è un po' stato sempre così, non credo
che questa sia una novità del vostro tempo. I giovani hanno
sempre avuto bisogno di tutto e di niente. Di tutto perché
l'uomo che nasce e viene alla luce sembra aver bisogno di
tutto: così come durante il periodo di formazione ha bisogno
di arricchirsi del linguaggio, ha bisogno degli affetti, ha biso­
gno della protezione, e ricevendo tutto questo, egli continua
nel suo bisogno di inglobare anche altro, solo che la vita ad
un certo punto lo arresta, perché mentre tutte queste cose
sono necessarie alla sua esistenza, le altre forse non lo sono,
e quindi comincia a subire i primi scacchi perché non può

r
sempre ricevere tutto.
Quello di cui ha bisogno è fisiologico, è mentale, lo cerca
e gli altri glielo danno, incontra e se le prende le cose, ma
nella progressione poi incominciano le interruzioni, perché il
onda non è più disponibile a dare tutto.
Poi vi sono periodi storici in cui diventa difficile stabilire

r
t!mo scambio tra diritti e doveri, e allora se al giovane non
_IVengono insegnati i doveri, i diritti si scambiano con i doveri
I e quindi gli uomini finiscono col pretendere ciò che invec e
devono conquistare, e si creano false illusioni di poter avere
tutto a prezzo basso, e diventano incattiviti quando quest o
scambio non è più possibile.
Lascerei un po' le frasi fatte a coloro che raggruppano in
poche parole un processo invece molto complesso; sicura­
mente vi sono stati e vi sono periodi storici in cui il senso del
dovere verso la vita e verso gli altri e verso la s ocietà non
viene inculcato, ed allora il giovane ha soltanto diritti, pre­
tende soltanto di dover ricevere in nome di rm diritto a ri­
cevere, ma J' incarnazione non si fonda su questo, si fonda
sulla lotta, sul lavoro, sulla conquista, e si fonda anche sulla
pulsione a sperimentare, all'interno delle regole e delle leggi,

382
equilibrio tra doveri e diritti, e in questo binomio potrebbe
naturalmente immettere la sua linfa operativa fatta di progetto
spirituale che emerge a livello direi quasi istintuale, e deside­
rio di realizzare la vita.
Dunque questo armonico sviluppo, con i sussidi appunto
giusti di questi tre poteri, consentirebbero anche all'Anima di
vivere il progetto in una maniera sufficientemente armonica,
elaborata, congrua, al riparo di molte forme di depressione
giovanile, di devianza, di incubo, di paura, e a volte di terrore
del presente e del futuro.

D.: Si invecchia male perché si potrebbe invecchiare ricor­


dando, e invece si diventa vecchi dentro e non si ricorda più
come si era da giovani, e invece conservando questa memoria
si avrebbe più disponibilità, apertura e desiderio di soccorso, di
aiuto e di spinta.

A.: Sì.

384
Ascoltare, studiare, leggere sono indubbiamente cose pre­
ziose, ma preziosa è l'azione, vale a dire il viversi la teoria,
il realizzare nei rapporti umani, verso se stesso, cioè verso la
propria evoluzione, un modello alternativo al vostro vivere
quotidiano, talvolta, molto banale, se non addirittura inutile.
La Terra ha le sue esigenze, la vostra civiltà, il vostro
paese, le vostre famiglie, reclamano un modo di vivere al
quale però vi siete troppo confinati, troppo donati. Questo
modo di vivere finisce piano piano col diventare a morfo,
ripetitivo, stanchevole per non dire stucchevole, cioè diventa
un procedere di sopravvivenza piuttosto che di vita.
Con tanti di voi ci incontriamo da tanto tempo, voi siete il
nostro gruppo che ascolta quello che diciamo; gli altri, tanti
altri, vorrei anche poter dire centinaia di altre persone ci se­
guono in altro modo, attraverso le cose che raccogliete, che
trascrivete, che modificate, che insomma diffondete, e però a
voi com e a costoro io ripeto: la vita non è u n seguire teorie,
obbedire a teoremi e dottrine, ma è lo sperime ntare giorno
dopo giorno le proprie qualità, la propria essenza.
Ma perché qualità ed essenze si possano vivere è necessa­
rio l'impegno per riconoscerle, quindi per riconoscervi. La
vostra anima non è sulla Terra per obbedire alla sopravviven­
za di specie: per la sopravvivenza di specie è sufficiente la
natura , che è già stata predisposta per far questo; la natura si
riproduce, cammina, va anche senza l'anima. Si tratta di feno­
meni fisici, chimici, biologici che non hanno bisogno né dello
Spirito né di Dio: eseguono e compiono atti insiti nella loro
struttura, nella loro vita.
Voi avete qualcosa in più, ma questo qualcosa in più quan­
to stenta ad essere riconosciuto! Nella maggior parte dei casi
stenta perché il soggetto, cioè voi, non svolgete quell'im pe­
gno di ricerca accurata di quella che è come posso dire la

386
risorse del vostro Spirito che in questo momento sente quello
che io sto dicendo.
D'altra parte il vostro Spirito sa benissimo come stanno le
cose, è la vostra coscienza umana, cioè queJla parte del la
coscienza che si è connaturata e strutturata con la soprawivenza
di specie, quella parte di coscienza che si è costituita attraverso
il vostro cervello, che fa orecchi da mercante, perché la vita
dello Spirito, la realizzazione della coscienza spirituale è cosa
diversa dalla coscienza di specie, dalla coscienza biologica .
C'è anzi un conflitto, perché la coscienza vostra, quell a
quotidiana che esperisce la vita nella consuetudine e nella ri­
petizione di sé, è una coscienza che è finalizzata alla soprav­
vivenza e in questo caso, essendo una coscienza che vive nel
mondo è una coscienza che si è socializzat a, m a l a c ui
rocializz azione è comunque legata al principio della soprawi-
venza che diventa non solo soprawivenza biologica, ma s o­
� ravvivenza delle abitudini, sopravvivenza dei riti sociali, so­
ravvivenza delle consuetudini sociali.
Cioè il modo di vivere in questo modo è simile purtroppo
al mondo della natura, vale a dire al mondo animale , perché
la differenza che dovrebbe essere posta in atto è quella differenza
che trasforma il soggetto umano psicologico biologico in una
persona spiritualizzata, vale a dire una persona in cui riverbe­
ra quel qualcos'altro che gli uomini hanno definito anima.
Se questo non avviene, se cioè il corpo vive il suo rito
animale e sociale, con le sovrastrutture sociali, al corpo in quan­
to soggetto viene a mancare di quell'elemento in più che fa con­
siderare umana la specie, e superiore la specie rispetto al bios
che consideriamo inferiore rispetto alla qualità dello Spirito.
Questo interrogarsi personale è una necessità che aumenta
enormemente quando si accede a delle forme di conoscenza
quali possono essere queste, oppure quando si accede anche

388
Molte mie vite sono passate così, sembravano ricche agli
occhi di tutti: quella è una persona realizzata, è una persona
che sta bene, è una persona di pace, è una persona buona; e
poi ero buono perché? Ero di pace perché? ero realizzato
perché? Soltanto perché non uccidevo, non rubavo, ero one­
sto, seguivo la legge, obbedivo alle religioni di Dio: basta
questo per essere una brava persona?
Lo Spirito non viene per realizzarsi come brava persona: lo
Spirito viene per realizzarsi, dovrei dire, come bravo Spirito,
non come brava persona, perché lo Spirito è un'altra cosa
rispetto alla persona umana, Egli viene per realizzare se stes­
so, la propria progettualità, la propria evoluzione: questo lo fa
insieme agli altri, d'accordo , perché vive in una comunità
umana, ma non basta essere una brava persona, la brava per­
sona non è colui il quale passivamente accetta le regole e vive
soprawivendo, in pace, nel rispetto della legge, di certe vir­
tù, di certi valori. Lo Spirito è un principio promozionale.
Il bene, il vero bene è la promozione dell'azione, non è
semplicemente non fare il male;il bene è realizzare alcuni va­
lori di conoscenza dello Spirito, e nel produrli e nel manife­
starli coinvolgere anche gli altri che partecipano alla vita di
ciascuno di voi o di ciascuno di noi.
Dal momento che siamo individualmente soli, ma siamo
collettivamente in compagnia, sulla Terra nessun essere è solo,
perché in qualsiasi modo illumina o fa ombra agli altri, cioè
incrocia il cammino e le vite degli altri.
Allora l'azione dello Spirito è una azione promozionale di
sé che significa attivarsi per realizzare la conoscenza e l' espe­
rienza della Terra e collegarla attraverso il corpo al proprio
Spirito.
Attivamente significa in maniera cognitivamente attiva, po­
sitiva, ecco perché quello che ancora una volta sto ripetendo

390
in un ceto senso ci rende spiritualmente responsabili dei nostri
atti. Cosa è la vita? Cosa è la morte? Quale è il senso delle cose
che facciamo? Quando meccanicamente siamo nel bene questo
ha sicuramente una pregnanza spirituale, ma è quando ci ponia­
mo domande che si entra nell'area dei tuoi insegnamenti e si
focalizza il senso dell'esistenza.

A: Siete stati troppo abituati nei secoli a non porvi le


domande ed a delegare il senso della vita alle religioni.
Le religioni vi impediscono di far domande, è sempre stato
così. C'è una Legge che viene per lo più imposta. specialmen­
te nel passato, e gli uomini devono obbedire. La Legge dice:
questo è il bene e questo è il male, questo si fa e questo non
si fa, venite a noi perché noi vi promettiamo e vi diamo la
salvezza eterna.
Questo naturalmente ha creato uno stato di sudditanza e di
apatia: basta semplicemente che io rispetti la legge di Dio,
dice l'uomo, e in questo modo la mia anima sarà salva: Ma la
legge di Dio era la legge di coloro i quali parlavano in nome
Suo. Di qui gli equivoci, ma soprattutto la lezione della storia
vostra la quale vi mostra una umanità praticamente in brandel­
li perché non sa trovare le coordinate in cui ciascun soggetto
individuo può o deve ritrovarsi.
È chiaro che posta così la cosa, e cioè delegando all' ester­
no ogni verità, gli uomini hanno rinunciato a cercarla, e quei
pochi che hanno cominciato a cercarla sono stati addirittura
perseg uitati.
I conflitti sono non solo sul piano sociale, ma anche sul
piano intellettuale e culturale: voglio dire che religioni come
quella occidentale, la quale ha criticato una parte della filoso­
fia e ne ha accettata un'altra e condivide una filosofia che sia
orientata alla conferma dei valori stessi delle istituzioni reli-

392
vivenza e la pura adesione a norme che nulla hanno a che fare
con l'anima.
La situazione vedete è estremamente semplice: uno Spirito
si incarna con un suo progetto, ma poniamo anche senza un
suo progetto, per fare un discorso ancora più semplice. Uno
Spirito si incarna, che lo mandi Dio, o che sia mandato da se
stesso, anche questo non è importante, lasciamolo perdere,
nasce un'anima, cioè un'anima si produce attraverso un cor­
po.
Vogliamo ancora aggiungere un altro elemento? Supponia­
mo che l'anima non sussista precedentemente, (vedete vi sto
concedendo tutto) e che invece si costituisca al momento della
nascita.
La mia domanda intanto è questa: ma al momento della
nascita (già altre volte voi mi avete indotto a fare discorsi
intorno alla persona umana), al momento della nascita l'anima
c'è veramente, oppure fingiamo che ci sia?
Se quest'anima c'è, di che natura è? È di natura spirituale
o è di natura biologica?
Se è di natura biologica il discorso non si pone più, siamo
in pieno materialismo: non c'è anima, non ci sono valori spi­
rituali, semmai ci sono soltanto valori sociali da mantenere,
conservare e sviluppare per l'ordine della Terra.
Ma se il discorso è di tipo religioso, allora l'anima c'è,
perché se non c'è nemmeno l'anima in senso spirituale, che
senso hanno le religioni di sussistere nel mondo?
Allora dobbiamo supporre che l'anima ci sia, allora dicia­
mo: l'anima c'è, non è di natura biologica, è di natura spiri­
tuale, l'ha fatta Dio, non l'ha fatta Dio, non lo sappiamo,
comunque la sua natura non è biologica.
Ma se la sua natura non è biologica, e non è sociale, perché
quest'anima dovrebbe seguire tutte le regole sociali e biologi-

394
Ancora si può dire: ma gli uomini da soli non ce la fareb­
bero a crearsi un apparato etico e bisogna che ci siano gli esper­
ti, i sacerdoti del tempio a dirci quello che Dio vuole e Dio non
vuole. Ahimè no! Non sono d'accordo su questo, perché stiamo
parlando non di regole sociali ma di regole del vivere dell'ani­
ma, regole che non possono essere assimilate al vivere sociale.
Io mi rendo conto che questo è un discorso difficile e in un
certo senso estremamente rivoluzionario, ma io vi dico quella
che è la mia posizione di essere con una voce che è materia,
con un vocabolario, con un linguaggio che è materiale.
Dimenticate la mia voce, la modalità impervia con cui io
comunico con voi, dimenticate il rapporto di tipo creativo o
intuitivo che si può formare tra un soggetto particolarmente
dotato come il nostro Corrado e questa cosa altra che è da
un'altra parte, e soffermatevi soltanto sul senso, sul significa­
to di ciò che io sto trasmettendo.
Il problema è se voi avete un· anima che sia una vera anima
oppure un'anima virtuale, inesistente, che è nominata come
tale soltanto per spiegare il valore dell'etica e per guidare
quindi eticamente gli uomini.
Se questa anima esiste veramente, è una struttura la quale
ha delle proprietà, cioè ha una sua natura strutturale, vitale ed
ha proprietà, di cui la fondamentale è quella di avere con­
sapevolezza di sé.
Il problema semmai nasce dal fatto che quest'anima consa­
pevole di sé nel momento in cui si lega al corpo è il corpo che
si dimentica dell'anima, cioè il corpo non ha gli strumenti per
decodificare l'anima: non ce l'ha né intuitivamente n é nel
proprio linguaggio, ma, per poter risentire la propria struttura
interna, deve paradossalmente liberarsi di sé, dimenticare la
propria natura umana e lasciare emergere l'altra natura, l'altro
linguaggio, l'altra presenza.

396
Ma, attenzione! le accetta finché le regole del mondo sono
giocate su un tavolo in cui ci sia il riconoscimento però del-
1'anima, perché se il riconoscimento dell'anima non c'è, non
si può giocare a un tavolo in cui gli assenti non possono
parlare ma vengono egualmente nominati come se fossero
presenti, come accade nelle religioni, ad esempio.
Si evocano tutti, da Dio al figlio di Dio, dai santi alle
madonne, dagli dei o i falsi dei come se veramente fossero lì,
seduti al tavolo delle trattative e potessero dire la loro: ahimè
non ci sono, voi fate domande e risposte da soli, e questo è
inaccettabile per lo Spirito.
È inaccettabile perché lo Spirito obbedisce alle regole della
T erra, le vuole anche rispettare, ma vuole il suo posto rappre­
sentativo. Ma come può averlo questo posto rappresentativo,
se sin da quando nasce si fa il lavaggio del cervello al corpo,
cioè lo si condiziona al punto tale che una volta avvenuto lo
sviluppo si è nella trappola? Ed ecco che si ricomincia da
capo: vi sono alcuni che vogliono uscire dalla trappola, ci
riescono, non ci riescono, non lo si sa, ma l'importante è
provarci, io dico.
Ci sono tanti che non si pongono il problema e conducono
le proprie vite nell'inerzia, in attesa della morte.

D.: Tu dici nel momento della nascita, ma se, come si diceva


tempo fa, si genetizza addirittura la storia, io direi che inizia
ancor prima della nascita, per cui c'è la doppia difficoltà: da
un lato ciò che deriva dalla storia che ognuno di noi si porta
denlro la propria carne, poi quella che viene dall'educazione,
dal contatt o con l'esterno che, non essendoci un moto rivoluzio­
nario, non fa che confermare, e quindi radicalizzare la diffìcol­
tà, per cui quando c'è bisogno di operare un cambiamento,
questo cambiamento deve essere fatto nelle radici del proprio

398
Quando lo state realizzando pensate a voi stessi come ani­
ma che lo sta facendo, perché l'insieme dei significati è il
risultato delle azioni; le azioni, hanno un significato per voi,
acquistano un senso se c'è l'intenzionalità, se c'è il riconosci­
mento.
Questo significa che il linguaggio dei gesti, il linguaggio
della vostra stessa parlata umana, i vostri vocaboli, ciò che
rappresenta l'aspetto semantico dei segni, dei segnali, si stan­
no portando in un'area più subliminale, si stanno simbolizzando;
e più accade questo processo più il senso dell'azione si radica
e nel momento che si radica diventa esperienza dell'azione, e
quando l'esperienza dell'azione si radica significa che si sim­
bolizza, passa cioè ad un altro linguaggio, e passando ad un
altro linguaggio entra nel vostro inconscio, diventa patrimo­
nio, perché è diventata esperienza.
In questo modo dalla pura e semplice azione del corpo si
passa alla simbolizzazione dell'azione, che racchiude in sé il
suo significato, la sua area semantica, la quale è estremamente
vicina al tipo di linguaggio dell'anima.
In questo modo voi fornite all'anima il motivo dell'azione,
il significato dell'azione, che a sua volta l'anima rielaborerà a
suo modo, ma che è l'unica che può capire, perché l'anima
non ha il vostro linguaggio, non parla come voi, non agisce
come voi.
Cosa volete che ad una sostanza spirituale interessino, che
so, le scarpe che portate o il cappello che avete in testa o
quello che mangerete stasera o domani: non interessa assolu­
tamente niente. Cosa volete che ali'anima interessino le vostre
liti quotidiane, le vostre banalità sociali, politiche, economi­
che: è un altro il senso, il motivo dell'esistenza dell'anima.
L'anima vuole che passino in lei i significati della vita,
significati di azioni che ella non potrebbe assimilare nel suo

400
potere aprire la parte oscura che ancora non appartiene alla
propria evoluzione.
D.: Tu sei stato un uomo, quindi hai percorso quello che noi
stiamo percorrendo. Ti chiedo: in merito alla tua esperienza
personale, in quale momento hai percepito questo salto di cam­
biamento?
A.: Naturalmente vi sono state le vite in cui mi sono posto
il problema nei termini in cui Io ho esposto prima, e vi sono
state vite in cui una parte dell'esistenza è andata a buon fine
rispetto alla mia necessità spirituale. Quando si ha coscienza
di questo? Credo che si possa avere coscienza di questo anche
nel corso della vita.
Credo di aver detto altre volte ed ora lo ripeto: quando vi
accorgete di aver superato un ostacolo (parlo di ostacoli in­
terni che possono riguardare la propria caratterialità, il pro­
prio modo di vedere il mondo, i propri limiti, le proprie resi­
stenze, i propri valori spirituali), quando ci si accorge che si
è superato un ostacolo e si approda ad una conoscenza di sé
che prima non si aveva, quando si scopre una parte nuova di
se stesso, quando ci si impegna a voler scoprire una parte di
se stesso e ci si riesce, quando di fronte ad un ostacolo, ad
uno sbarramento che proviene dal proprio retroterra culturale,
spirituale, religioso, si capisce che alcune cose vanno fatte per
conoscere meglio la propria natura fisica, mentale, spirituale.
E quando tutto questo riesce e si prova il piacere della sco­
perta, allora vuol dire che qualcosa di positivo si è fatto.
A volte, non avendo conoscenza della propria interiorità
spirituale, molte persone fanno questo, ma senza naturalmente
attribuire alle cose anche un significato spirituale: non impor­
ta, non tutti conoscono le cose che ci stiamo dicendo, quindi
non si può pretendere questo.

402
non perde l'autonomia nel corso della vita, ed è una autono­
mia che non viene trasmessa alla coscienza del corp o p er
impedire che la promiscuità faccia saltare il p rogetto, il pro­
cesso.
In realtà le esperienze nuove che voi acquisite devono es­
sere prodotte attraverso lo sforzo di traduzione tra un ogge tto
materiale che deve diventare un oggetto simbolico, e d allora
l'operazione implica uno sforzo del soggetto di natura menta­
le, di natura intuitiva, di natura c reativa, affinché l'ogge tto
perda il suo significato di oggetto e si vada a trasferire nell' in­
conscio come qualità, come rappresentatività, quindi astrattiz­
zandosi pur essendo materia.
Quindi c'è un lavoro di avanti e indietro, di ritorno e di
uscita tra l'inconscio dell'uomo e la sua coscienza emergente;
in questo processo di appropriazione dell'esp erienza , il lavoro
stesso trasforma, simboliz za e astrattizza l'oggetto materiale .
Q uesto per dirla in termini un po' più tecnici, finché a rriva
allo Spirito il quale se ne appropria con una successiva ri ela­
borazione.
Questa successiva rielaborazione la coscienza umana non
la conosce, ma ne ricava l'effetto. Qual è l'effetto? Quando
veramente l'uso della mate ria si è trasformato, si è metabo­
lizzato ed è diventato astrazione, il soggetto ha un effetto di
ritorno che è il consolidamento etico della propria esperienza,
cioè egli sa e riconosce di aver operato giustamente, ch e la
cosa che è fatta è giusta.
Nello stesso modo, se la cosa fatta non è giusta, egualmente
il p rocesso awiene ma attraverso questo lavoro di me taboliz­
zazione e di ritorno egli ha come effetto la percezione che la
cosa fatta è ingiusta, ed allora può correggerla e rielaborarla.
Che cosa awiene? Awiene che questa operazione di scambio
coinvolge il corpo.

404
senso proprio che hai detto prima, cioè, quando si supera un
ostacolo una esperienza è positiva, ma avverte interiormente
che qualcosa è cambiato, e amplifica la propria personalità in
senso positivo. In tutto questo il problema delJo Spirito è abba­
stanza limitato e circoscritto.

A.: Ed è così infatti, perché lo Spirito occupa un piccolo


spazio, però è quello spazio che consente una serie di ope­
razioni che la mente da sola non sarebbe in grado di fare: ad
esempio il valore dell'intuizione o il valore della creatività,
oppure il senso stesso dell'etica nel senso proprio extraumano,
la vocazione al riconoscimento.

D.: L'etica esiste anche senza prendere in considerazione il


problema dell'anima. L'etica l'uomo se la pone quando, come
tale, implica e indica un comportamento portato alJa evoluzio­
ne delJa società in cui l'uomo ha rapporti col prossimo; l'etica
materiale è quelJa di favorire e migliorare i rapporti dell'uomo
per farlo stare meglio, ma in questo l'anima non c'entra.

D.: Noi vediamo l'individuo come un essere soprattutto psi­


cologico. Lo Spirito ci aiuta perché per uscire da certi schemi
c'è bisogno di ribaltare la situazione, e questo si può fare solo
con un atto creativo che l'essere psicologico non ha; se c'è un
atto creativo c'è un impulso dello Spirito, c'è una spinta di un
altro tipo di energia che l'essere umano, come essere psicolo­
gico, non ha. È questo l'anello che congiunge la nostra identità,
il nostro lavoro, la nostra fisionomia materiale, psicologica con
quella spirituale.

D.: Parlando in termini dialettici, soprattutto in questo pe­


riodo storico in cui certi problemi stanno prendendo una via

406
La normalizzazione è l'etica del mondo, che tuttavia ha,
come stavamo dicendo, una serie enorme di eccezioni, che
superano a tal punto la normalizzazione dell'etica da portarci
in una sfera diciamo noetica, in una sfera la quale è rappresen­
tativa di una ontologia in cui poi ci sono ancora altri valori di
cui l'uomo dispone e vive.
Ciò che tu dici e che anche io tante volte ho detto, è che
la macchina umana è essenzialmente materiale, e ciò in qual­
che misura rappresenta un ostacolo, però non rendiamo un
buon servigio alla metafisica dichiarando che alcuni atti umani
sono atti essenzialmente dello Spirito che non invadono il
campo del sociale e dell'umano, perché in realtà lo Spirito ha
bisogno del corpo. Che cosa c'è di male ad affermare una
cosa del genere?
Lo Spirito è una entità astratta che per parlare e comuni­
care ha bisogno del corpo, allo stesso modo che la mente ha
bisogno della voce, della memoria, ha bisogno del linguaggio,
ogni cosa dipende da un'altra.
In questo caso, essendo le due nature diverse, lo Spirito ha
bisogno del corpo, ed allora se voi (più che noi) spiegate che
all'interno di questo sistema così apparentemente chiuso, ap­
parentemente murato, ci sono enormi e vistose smagliature
attraverso le quali ci sono altre presenze mentali che non
godono della stessa logica e della stessa spiegazione, voi af­
fermate la possibilità o la certezza, a seconda dei casi, che
esiste insieme a tutte le funzioni mentali, anche una serie di
funzioni spirituali le quali per potersi esprimere hanno però
bisogno del linguaggio umano o della rarefazione di questo
linguaggio, quando diventano processi intuitivi, creativi e sim­
bolici. Affermare una autonomia totale dello Spirito senza che
questo Spirito comunichi attraverso le vie del corpo, diventa
una impresa probabilmente fallimentare, perché non è possibi-

408
ETICA E PROCREAZIONE. SELEZIONE DELL'EMBRIO­
NE.
DIRITTI DEI GENITORI E DELLO SPIRITO CHE SI IN­
CARNA.
LIBERTÀ DELLA SCIENZA.
PROGETTO SPIRITUALE ED INTERVENTO UMANO.
ETICA COME MISURA DELLO SPIRITO. È DIFFICILE
MORIRE.
PERCEZIONE DELL'AMBIENTE TERRENO DELLO SPI­
RITO CHE PROGETTA L'INCARNAZIONE.
FUTURO DEL CENTRO DISGIUNTO DALLA PARAPSICO­
LOGIA.
FILOSOFIA COME "VISIONE". FENOMENI E CONTENUTI.
STRUTTURA VINCENTE DELLE RELIGIONI: SIMBOLI E
MITI.
METODO DI A. NELLO STRUTTURARE LA COMUNICA­
ZIONE DELLA DOTTRINA.

Seduta del 12 novembre 2004

D.: La mia domanda è espressione di un grande dibattito


etico e psicologico che si sta svolgendo in questi ultimi mesi. La
premessa alla domanda è questa: ci hai sempre detto che allo
Spirito non interessa la modalità con cui viene sulla Terra,
perché viene per fare delle esperienze; il modo in cui si incarna
non ha importanza, tuttavia il dibattito in questo periodo è
enorme: la scienza ha fatto grandi passi nella procreazione,
però più che scienza siamo in una fase di tecnoscienza, per cui
risponde non più ai bisogni dell'uomo ma ai desideri. Ad esem­
pio, ti chiedo: fino a che punto è lecito ed etico pretendere di
essere padre o madre, fino a che punto bisogna spingere questa
pretesa usufruendo dei mezzi tecnici che questa scienza ci of­
fre?

410
fuorché dell'anima e cioè dello Spirito, quindi il problema
riguarda un'etica terrena, non un'etica dello Spirito.
Tuttavia devo dire che questo sarebbe anche un falso pro­
blema, e se vogliamo esser pratici vediamo come coniugare
questo duplice interesse: da una parte lo Spirito, dall'altra
l'uomo, il quale attraverso manipolazioni tecniche pretende o
cerca una tipologia di figlio e non un'altra.
Dunque anzitutto diciamo questo: la pretesa di volere aver
un figlio è una pretesa sbagliata, tuttavia in questo ambito
sono pronto a riconoscere che psicologicamente e forse anche
tecnicamente tutto quel che si può fare per aiutare una madre
ed un padre a realizzare il sogno di avere un figlio può essere
lecito, così come può esserlo il desiderio di possedere altre
cose del mondo, non siamo nella illeicità pura, siamo comun­
que già ai margini.
Una volta, ai miei tempi si diceva lasciate fare alla natura,
se le cose accadono, altrimenti no.
Oggi il progresso che voi avete sulla Terra e le conoscenze
consentono una manipolazione della natura, anche perché la
natura non è così perfetta come si crede, e quindi l'intervento
dell'uomo sulla natura per migliorarne le condizioni è perfet­
tamente conforme ad una liceità, purché la natura non venga
stravolta, ma venga soltanto aiutata nel suo fare naturale. L'in­
tervento affinché una donna per motivi tecnici, per motivi
biochimici non riesca ad avere un figlio, questa donna va aiu­
tata, e siamo ancora nell'etica.
Diverso è il discorso di scelta di un figlio: lo voglio con gli
occhi azzurri o con gli occhi neri, lo voglio che sia un genio
e non sia uno stupido. Ciò è psicologicamente comprensibile
ma non è eticamente accettabile.
Perché questo? Qui ritorniamo sempre al discorso dello
Spirito: se lo Spirito ha deciso di sua libera volontà di entrare

412
Questa è la mia opinione in materia. Ma comunque su que­
sto aspetto potete anche intervenire e farmi conoscere la vo­
stra opinione in merito. Non so se siano tutte queste le do­
mande che mi hai fatto.

D.: Il problema è che per noi è facile dare la risposta perché


partiamo da un punto di vista spirituale. Il problema è che
attualmente c'è un dibattito notevole. Tu hai detto una cosa
importante: la pretesa fino alle estreme conseguenze del diritto
alla paternità, alla maternità non dovrebbe esistere, perché a
questo punto rompe un principio etico. Lo stato attuale della
tecnica della riproduzione è notevolmente avanzato: oggi l'uo­
mo può far nascere un bambino come vuole lui, a prescindere
anche dal padre e dalla madre; questo forma un problema anche
per lo Spirito.

A.: Questo però lo potrei anche riguardare da un altro


punto di vista: che la tecnica riesca comunque a far nascere un
bambino in un certo senso neutro, può anche andarmi bene, in
quanto lo Spirito si serve di quello che trova, lo Spirito non
sta molto a sottilizzare sul come, come corpo, dovrà nascere,
Egli può chiedersi dove e se il corpo risponde al suo proget­
to, ma questo già avviene normalmente perché non tutte le
madri presentano le caratteristiche ambientali ed ereditarie tali
da poter consentire quel progetto e infatti lo Spirito per così
dire si incarna in un altro luogo, in un'altra donna, se non
rispondente.
Voglio dire che il figlio è tale dal punto di vista biologico,
non spirituale: nessuna madre partorisce spiritualmente, par­
torisce biologicamente, il figlio è "suo" nel senso fisico del
termine, non nel senso spirituale. Il problema è che la scelta
che viene fatta di precisare o di richiedere una determinata

414
Nel caso di un figlio questa libertà non è rispettata, perché
c'è soltanto il diritto di una parte che non tiene conto del
diritto dell'altra parte. Questo nasce da una ignoranza totale
che il mondo ha sui diritti o sull'esistenza dello Spirito, per­
ché non a caso, se si parla ad esempio del cristianesimo, si
dice che l'anima viene creata al momento del concepimento,
ed allora l'anima non ha prediritti, perché non esisterebbe prima,
e non esistendo prima è chiaro che dopo i diritti che maturano
diventano i diritti di una società, non più di un mondo spiri­
tuale, perché questo è reso inesistente dal fatto che l'anima
nasce nel momento del concepimento.
Questa premessa determina una serie di etiche che però
sono sbagliate in partenza, perché vanno a concretizzarsi ed a
svilupparsi su di un principio base che contiene un errore:
l'anima preesiste, e se preesiste vuol dire che esisteva con i
suoi diritti e soprattutto con la propria libertà, con la propria
capacità intellettiva, con la propria intenzionalità, con la pro­
pria volontà: tutte cose che non vengono nominate nei discor­
si dell'etica umanamente concepibile. Da qui le conseguenze
di discussioni che spesso restano sterili e diventano soltanto
dialettiche di comodo perché non si pongono le premesse.
In questo discorso la premessa è: qui c'è un'anima che vive
con il corpo, vogliamo sentire quest'anima cosa ne pensa di
tutto quello che stiamo facendo? Naturalmente parlo per uto­
pia, perché non sarebbe neppure possibile tecnicamente inter­
pellare l'anima dal punto di vista dell'uomo, ma tuttavia biso­
gna considerare questa possibilità, che il nascituro ha una sua
struttura autonoma e sostanziale che poi lo fa diventare, dal
punto di vista umano, una persona, e questa differenza è quello
che costituisce l'anima preesistente, perché diventa persona in
quanto dal nostro punto di vista ha la sua natura biologica,
psichica, ha la sua realtà di mente, e c'è anche l'altra realtà

416
persona nel senso sp iritu al
e de t rm
e ine, pe potrebbe n o n
l hé

essere sufficien e ques a e abo ra zion e biol rc ic a consen tire


og
t t l
a
l'incarnazione de o Spirit o .
ll
Ma potremmo aver e, a g iung , n ce d
g o a h elle ec cez ioni, per­
c é n n dimentichiam
h o oci ch an o ra ogg
e i vi ono Spiriti
si incarna o i n cor pi c s c e
n insu ffic e nt i, c io è o h
n n s
i
o ante presentino
tar ,e difet ,ti assenz e, mutilazio ni. Ec co e t
p r c h su qu e tso far ei
é

un discors o s epara o .
t

D.: Lo Spirito in ervie e do J'


t n p o ci rc
a tre mesi che
stat o fecondat
ov lou è
o ?

A. : Esatt o.

_ D .: A!lora lo Spiri o ha tu tta


t l a p so sibilit à di
_
mcarnar 1 o meno, se non g scegl ere
s li pi a i
. ce s e ne di
all�ra ,
� a m q ues o cor o
t che è na o ro va La d1scras1a, . ·
t È � tt
t p g e a o in lab •
e J ambient . quest o 1 1 punt , o o to
ra ri o
e o m i sba li t
g o?
A.: Certo, ma no vedo opposi zi
in
n
on u ll
e h d
e
q c e i ci
o tu.
Volevo solo un chia
D. : rimento
.

A.
: L'uomo è i risult at d un
l in
ambientale o i a r a
z n e bi
te
. c
i o
gi a
lo
o e d

D.: Questa è 1éJ


,.agi.onc
pince "'> Il(} , alln. men u do po tre me is se n o
n gli
11 ,
va.

A.: Volevo dire che


lo S pirito
pu ò de cidere di resta re
anche
Un corpo
}JJ fn.�uff/clcnlr cla punto cl vita
l i s bi l og co e fars
o i
d e � n
i
egua/menf e Jc, sue es perienze, e qu esto
p o t
re bb
e c
a c a er ch e
l dir e
con un uomo costruito in la bora to r i o, que s to vo e ov .

l
418
persona nel senso spirituale del termine, perché potrebbe non
essere sufficiente questa elaborazione biologica a consentire
l'incarnazione dello Spirito.
Ma potremmo avere, aggiungo, anche delle eccezioni, per­
ché non dimentichiamoci che ancora oggi vi sono Spiriti che
si incarnano in corpi insufficienti, cioè nonostante presentino
tare, difetti, assenze, mutilazioni. Ecco perché su questo farei
un discorso separato.

D.: Lo Spirito interviene dopo circa tre mesi che 1 'ovulo è


stato fecondato?

A.: Esatto.

D.: Allora lo Spirito ha tutta la possibilità di scegliere di


incarnarsi o meno, se non gli piace se ne va. La discrasia,
allora, sta in questo corpo che è nato progettato in laboratorio
e l'ambiente. È questo il punto, o mi sbaglio?

A.: Certo, ma non vedo opposizione in quello che dici tu.

D.: Volevo solo un chiarimento.

A.: L'uomo è il risultato di una interazione biologica ed


ambientale.

D.: Questa è la ragione, altrimenti dopo tre mesi se non gli


piace se ne va.

A.: Volevo dire che lo Spirito può decidere di restare anche


in un corpo insufficiente dal punto di vista biologico e farsi
egualmente le sue esperienze, e questo potrebbe accadere anche
con un uomo costruito in laboratorio, questo volevo dire.

418
Non lo so se la parola "diritto" vada bene in questo discor­
so, perché questo mi ricorda una stessa frase detta a qualcuno
che si arrogava il diritto di guardare le stelle nel cannocchiale:
sarei molto prudente ad usare questo termine, perché è facile
poi negare altri diritti.
Come si fa a porre un limite al diritto della scienza di
ricercare in maniera neutra, a quello che può o non deve
fare?
Diciamo che la comunità e non la religione potrebbe apri­
re un dibattito su questo, e cioè a dire un dibattito che possa
essere filosofico, scientifico, che possa legalizzare o non lega­
lizzare questo principio della libertà scientifica, perché altri­
menti si può anche porre un limite alla stessa medicina, la
quale non dovrebbe curare oltre un certo limite, oppure non
dovrebbe addirittura curare, visto che ci pensa la natura a
guarire o a salvare.
Non si è adoperato questo metro, anche se si è stati tentati
di farlo nel passato, ma proprio perché si è stati tentati di
farlo nel passato che questo limite non mi trova d'accordo:
mi trova d'accordo sull'etica che lo scienziato dovrebbe ave­
re in sé come persona.
Questo ci sposta su un altro piano, ma anche qui, se io
scienziato posso ottenere determinati risultati, salvo a vedersi
quali possono essere le conseguenze, la ricerca di base non
può essere impedita, perché diventa estremamente pericoloso
in un paese, in un mondo, in un universo dove già vi sono
contrasti fra dittature e democrazie, intervenire sulla scienza,
che poi significa intervenire sulla cultura, perché allora lo stesso
discorso lo possiamo fare per la cultura in generale: certi libri
non devono essere scritti, certe poesie non si devono fare,
certe statue non si devono fare.

420
occhi blu o dagli occhi neri o che sia un genio, ma che si
possano raggiungere risultati; io dico può darsi che quel risul­
tato sia inaccettabile, ma lungo la strada per arrivare a quel
risultato, quante altre scoperte vengono fatte che poi sono
utili per altre cose e probabilmente assolutamente etiche?
La scienza fa un percorso: se 10 è il risultato, il decimo
può contrastare con l'etica e non lo si utilizza, e gli altri 9
percorsi può darsi che siano utili per altre cose: per sanare
malattie, per intervenire su certe malattie, per far star bene la
gente.
Questo è un problema che ti assicuro non mi riguarda,
perché far star bene gli uomini nel senso umano non è un
problema dello Spirito, è un problema sociale, è un problema
umano, politico, un problema psicologico, quindi non dovrei
entrare nel merito; sento però di poter dir questo: lo Spirito
quando si incarna può anche scegliere un percorso di soffe­
renza, di malattie, di storture, ma accetta anche nascendo in
un determinato periodo storico, che parte di questo progetto
possa essere modificato a causa dell'intervento umano.
In questo intervento umano c'è anche la guarigione di ma­
lattie che lui aveva predisposto come esperienze e che poi la
scienza gliele elimina. Non possiamo certo impedire che acca­
da questo. Lo Spirito lo sa e d'altra parte la scienza sta per
questo, la cultura sta per questo, per trasformare gli ignoranti
in persone che sanno e per trasformare una malattia in guari­
gione, questo non lo possiam o impedire, fa parte della vicis­
situdine e dell'evoluzione del pianeta.
Lo Spirito le accetta queste cose, e accettandole sa bene
che se ha scelto di fare il malato c'è la possibilità che poi
dopo qualcuno lo guarisca, e dovrà accettare anche questo, e
cambiare in parte il suo progetto e il suo programma, perché
quello che lui ottiene in quella sua incarnazione è alla fine

422
esposta, quella di Spiriti (cioè dei loro corpi) che devono morire
e non riescono a morire perché la scienza li mantiene in vita.
Oggi per voi diventa sempre più difficile morire perché i
presidi terapeutici si stanno moltiplicando in modo tale che
riescono a salvare vite umane che prima non si salvavano.
Vedete quanto si è allungata la vostra vita e quanto si allun­
gherà ancora. Anche di questo allora dobbiamo parlare, ma
chi si sentirebbe di dire che non sia etico tenere in vita gli
esseri umani? anzi, appare la cosa più etica possibile, ma per
lo Spirito non è sempre così.
Allora lo Spirito resta sulla Terra ancora di più perché non
ce la fa a morire, accetta però questa esperienza suppletiva
inevitabile perché fa sempre parte di quella sua accettazione a
priori: nasco sulla Terra e mi prendo dalla Terra il bene e il
male che la Terra può produrre, da una tegola in testa al
farmaco che mi salva dalla morte decisa da me, e da questo
punto di vista il problema non è traumatico, tenendo anche
conto che per lo Spirito esiste l'eternità. E tutto sommato
restare 30, 40, 50 anni in più non rappresenta un trauma per
lo Spirito.
Tuttavia però è chiaro che si va a incidere su una situazio­
ne di scelta orientativa che lo Spirito ha fatto prima di nasce­
re: quella di dover stare sulla Terra, che so, 50 o 60 anni, o
anche di meno, e continuamente deve rimandare la morte perché
il corpo ha deciso altrimenti.
Certo voi potreste farmi una obiezione: ma allo Spirito chi
glielo fa fare? Se lo Spirito se ne vuole andare se ne va,
nonostante le medicine se ne va lo stesso e muore, e questa
potrebbe essere una risposta.
La risposta sarebbe valida se non tenessimo conto dell 'as­
soggettamento che lo Spirito ha stabilito verso il suo corpo:
egli resta in vita, almenché non ci siano incidenti che possono

424
D.: A prescindere dalla sua evoluzione?

A.: Non a prescindere ma in proporzione alla sua evoluzio­


ne. È una interpretazione che, è chiaro, è collegata alla sua
evoluzione, però per quanto riguarda la realtà delle cose lo
Spirito ha una visione globale, poi può desumere da questa
visione globale la sua decisione.
Questa visione globale non ha connotazioni di tipo etico
ma funzionali al suo programma ed alla sua evoluzione, ed
owiamente questa visione è una visione perfetta della situa­
zione, salvo poi nelle sue decisioni (che sono però soggetti­
ve), non incorra in una soggettività che lo porta ad esporsi
troppo, a esporsi meno, qui poi interviene la sua evoluzione.
È come dire: io ti faccio vedere quali sono le strade e come
sono costruite queste strade, quali sono le combinazioni pos­
sibili, poi la scelta è una scelta in base alla tua evoluzione, ma
obiettivamente l'intuizione resta tale, cioè resta obiettiva, al­
trimenti non potrebbe neppw-e discendere con la responsabi­
lità di quello che ha deciso. Allora la decisione deve essere
presa responsabilmente, e quindi l'immagine dell'ambiente deve
essergli data ed intuitivamente precisa, non vorrei dire perfet­
ta ma sufficientemente elaborata e precisa.
Poi c'è la sua valutazione di scelta e di ambientazione.
D.: Quindi le sorprese sono dovute ad una sua valutazione
de lle cose .

A.: Le sorprese possono essere la conseguenza della sua


valutazione, di aver dato una valutazione errata di ciò che
intuitivamente conosceva.

D.: Ma se la intuizione è legata alla sua evoluzione, lui non


avrà mai una percezione ...

426
soggetti soprattutto intellettualmente onesti e leali, c1oe sani,
che non siano assoldati ed assoldabili, che parlino con l'anima
in mano, per non dire col cuore in mano, e cioè siano sinceri.
Poi gli altri dibattiti ci saranno e sicuramente una parte del
dibattito è manipolata, come è sempre accaduto, ma noi par­
liamo di questi uomini.

D.: E' possibile da parte tua prospettare quale possa essere


il futuro di questo Centro e soprattutto il futuro della tua pre­
senza fra di noi?

A.: Io ho espresso le linee di soprawivenza dicendo che il


nostro messaggio, le nostre parole, il senso delle cose che
abbiamo detto ha possibilità di soprawivere a condizione che
l'intera vicenda diciamo così intellettuale-filosofico-spirituale,
metteteci tutti i trattini che volete, diventi cultura, perché se
invece tutto resta nell'ambito di ciò che voi chiamate para­
psicologia, le speranze sono molto basse e soprattutto non mi
sembrano neppure qualificanti, al momento attuale.
Voi, non voi qui presenti ma voi disciplina del paranormale,
siete indietro, ma molto indietro, perché non siete riusciti,
cioè la disciplina non è riuscita a scrollarsi di dosso l'etichetta
della magia, della credulità e del fanatismo, non è riuscita ad
allinear si o ad allearsi con la scienza e con le discipline
umanistiche, ed è rimasta da sola a voler affrontare il proble­
ma della sopravvivenza o il problema dello Spirito, con le
scarse e scadenti, aggiungerei, chiavi di interpretazione di
natura medianica, e per medianica intendo del medianismo
fisico soprattutto.
Questo passaggio non è awenuto, vi sono stati dei tenta­
tivi, certo, io parlo nella generalità, dei tentativi che però
quasi sempre sono rimasti confinati o nello stesso ambito della

428
istituzione paranormale, o scadendo a pura e semplice didasca­
lia, avventura, magismo.
Insomma è mancato un respiro alto, ed allora anche la nostra
avventura umana, quella cioè di uno Spirito che ha utilizzato
questa forma (sto parlando di me), per manifestarsi, rischia di
confondersi con un ambiente abbastanza spurio che non ha
abbandonato nella sua diffusione i vecchi metodi d'indagine
senza osare speculazioni più ardite.
A difesa di tutto questo però devo dire anche che il mo­
mento storico in cui state vivendo non è favorevole per la
spiritualità, anche se paradossalmente l'umanità ha sete di spi­
ritualità, ma questa spiritualità è ancora vista attraverso il
fenomeno, il miracolo, l'attesa, il riconoscimento della Spirito
attraverso vie che restano legate alla superstizione, e ad una
magia popolare, nemmeno la vecchia grande magia, ovvia­
mente, che era tutt'altra cosa.
Qui siamo proprio negli spiccioli della cultura, per usare
un eufemismo, spesi male, tra l'altro, spesi ancora a riprodur­
re e mantenere in vita una fenomenologia che poi di fatto non
ha valore probatorio, o perché sperimentata male, insufficien­
te, o perché la sperimentazione è avvenuta sempre all'interno
di canali che ormai non offrono più garanzie.
Nello specifico e nel caso particolare nostro, noi ci affidia­
mo al futuro, ci affidiamo comunque ad un tipo di riappro­
priazione del materiale enorme che vi abbiamo dato in tanti
anni, consegnato alle discipline che hanno credito scientifico
e culturale, e cioè l'uscita al di fuori del campo del paranormale.
Noi non vi abbiamo dato soltanto una esperienza paranor­
male, quella che state vivendo, c'è un medium che è in trance,
una entità che parla. Questo è l'aspetto poco spendibile, anzi
affatto spendibile, ma contemporaneamente ci siamo premurati
di darvi una comunicazione, una impostazione teorica, una

429
architettura filosofica, letteraria, poetica, chiamatela come
volete, ed è questa la parte che deve essere usata e spesa nel
futuro, senza la quale il fenomeno resta un evento statistico
irrilevante, perché vale solo per voi, per voi che siete qui, per gli
altri che non sono qui, ma comunque coloro che si sono occupati
della vicenda umana di questo fenomeno raiissimo o st:raordina­
rio che sia, ma che resta pur sempre un fenomeno circoscritto
nell'ambito di un paranormale che non è sicuramente ben visto,
non è stato mai ben visto, neppure nei secoli addietro.
È vero, è sempre esistita la comunicazione coi morti, per
dirla in maniera cruda, ma è pur vero che essa contemporane­
amente è stata sempre condannata, sin dall'antichità; nel mentre
la presenza della comunicazione però è sempre stata accettata
allorquando si è parlato di ''visione", che è stata passata attra­
verso la stessa filosofia, la quale non a torto è sempre stata
definita, in effetti, una tecnica della visione. La filosofia è
visione.
L'errore che è stato compiuto da coloro i quali hanno vo­
luto continuare in questo approccio della valorizzazione del
fenomeno, ha finito col dimostrare una via perdente, perché
il fenomeno ha occultato i contenuti, ed occultandoli, essi
sono stati sicuramente messi in disparte. Sicuramente in tutte
le comunicazioni avute nel mondo per secoli e secoli vi sono
state anche cose buone, ma appartenendo a quella tipologia di
fenomeni, queste cose buone hanno finito col non incidere
affatto sull'uomo.
E questo anche perché il paranormale ha un awersario, se
vogliamo parlare così, o un nemico, ma naturalmente non si
tratta né di un nemico né di un awersai·io, ha in parallelo la
religione.
La religione, per sua natura strutturata intorno al mistero
di un altro mondo (altrimenti cosa ci starebbe a fare), vi parla

430
di Dio e vi parla dello Spirito, dunque più paranormale di
così!
Però la religione ha avuto la capacità di far fronte a questo
aspetto negativo simbolizzando e metaforizzando il discorso,
creando una infrastruttura direi culturale entro la quale c'è il
sociale e c'è il divino: il divino è stato reso astratto il più
possibile, dello Spirito si è parlato il meno possibile e del
mondano il più possibile, e allora questi tre gradini, in pratica,
hanno consentito alle religioni di mondanizzarsi al massimo
inte1venendo nelle cose umane, trasformando il divino in un
mito, e la forza del mito, lo sapete tutti, è irresistibile.
Non c'è nulla di più potente dei simboli, vivete tutti con i
simboli, i condizionamenti awengono attraverso i simboli, ed
allora questa forza che è la parte oscura ma visibile perché
tangibile delle religioni, ha consentito alle stesse di soprawi­
vere per migliaia e migliaia di anni, e di continuare a soprav­
vive re.
Il paranormale si è trovato invece di fronte, (adesso parlia­
mo del paranormale più moderno), alla necessità di voler di­
mostrare il suo assunto attraverso i fenomeni paranorm ali.
Questo non è stato in assoluto un errore, intendiamoci,
perché anche quello andava fatto, solo che è stato fatto male,
perché nella maggior parte dei casi, (dico nella maggior parte
dei casi), questa è una materia che è finita nelle mani di dilet­
tanti e dell'incultura, sia detto proprio chiaramente. Questo
naturalmente l'ha fatta degenerare sempre di più, togliendole
ogni credibilità, perché non è possibile che fatti di questo
genere vengano coltivati e cadano nelle mani dell'ignoranza
spesso più totale, di persone che non si sono formate nella
cultura generale della civiltà, ma hanno semplicemente svi­
luppato le proprie passioni, i propri interessi, il loro colmare
il tempo, le loro illusioni, i loro giochi domenicali (e credo

431
che ciò, per quanto possa saperlo) continui a sussistere na­
turalmente farà degenerare il discorso ancora di più, per cui
la nostra voce, i nostri discorsi, la passione che voi potete
aver posto nell'accettare queste cose, se non subirà un trava­
so, una riconcettualizzazione, una trasformazione, rischierà di
finire. Tuttavia io so che non finirà: questa non vuole essere
una promessa, è perché lo so che non finirà, ma naturalmente
se sarà possibile ancora creare altre cose.
Io ho sempre detto: operazioni di trasformazione del lin­
guaggio. Gli errori purtroppo ci sono stati e inevitabili, questo
lo si metteva già in conto, ma il mondo vostro sta cambiando
in maniera ultrarapida, ed allora bisognerebbe tenere il passo,
bisognerebbe entrare nel conflitto.
Come diceva il nostro amico prima, c'è un conflitto etico:
bisognerebbe partecipare, bisognerebbe tentare, finché siete
vivi alcuni di voi suppongono che possono farlo, altri rifuggo­
no per paura.
Quando una cosiddetta disciplina degrada, diventa sempre
più difficile far partecipare ad un dibattito persone che hanno
le qualifiche per farlo, purtroppo è così: il mondo cammina
per qualifiche o cammina per ruoli, o cammina per la forza
propulsiva di alcuni che possono non avere i ruoli ma avere
ancora la potenza delle idee, ma nessuno può pensare, almen­
ché non vi siano operazioni di santità di portare delle verità,
sia pure con i limiti che la parola verità implica, delle verità
al mondo quando il mondo si è così egemonizzato, si è così
chiuso in compartimenti ideologici dove, io so benissimo, è
difficilissimo entrare, ma lo è stato sempre. Oggi avete un
vantaggio rispetto alle vostre vite precedenti, quello che oggi
avete almeno la libertà di poter dire quello che volete dire; ai
miei tempi neppure questo si poteva fare, il primo di noi che
si azzardava a dir qualcosa, soltanto qualcosa di diverso, fini-

432
va sul rogo, e quindi coloro che hanno rischiato il rogo sono
enormemente più meritevoli di chi, non avendo più il rogo,
continua a stare zitto e continua a non partecipare ad un evento
culturale che deve dimenticare il paranormale. Lo deve dimen­
ticare.
Io vorrei quasi dire: pensate di aver incontrato in tanti
decenni un signore che vi ha riuniti nel suo salotto e si è
messo a discutere con voi, perché se voi dite che questo si­
gnore è uno Spirito rischiate il ridicolo, questa è la verità.
E allora, nella vita è sempre stato un po' così; bisogna farsi
furbi, perché altrimenti mi sembrate poveri agnelli che vanno
in un mattatoio, e allora bisogna un po' rivestirsi da lupi,
qualche volta da serpenti.
Se in questo momento storico il mondo vuole che determi­
nate cose siano dette in un determinato modo, dovete far così;
se volete farlo alla vecchia maniera, siete agnelli sacrificali.
Il fatto è che non mettono al mattatoio solo voi, ma anche
tutte le cose che vi abbiamo detto, e questo francamente mi
sembra più intollerabile.
Credo di avervi esposto con la massima crudezza e sempli­
cità come stanno le cose.

D.: In tutti questi anni ci hai dato una dottrina che dal punto
di vista logico di interpretazione universale è matematicamente
perfetta, superiore alle dottrine orientali. compreso il buddismo,
che pure ha un grosso studio introspettivo del sé. ma tu ce l'hai
data attraverso una medianità, noi l'abbiamo appresa attraver­
so questo aspetto. Se tutto questo non doveva avvenire avresti
sicuramente avuto sistemi migliori, avresti potuto incarnarti, ad
esempio, quindi i limiti del paranormale erano già in parten­
za.

433
A.: Lo erano e non lo erano. Quando infatti è cominciata
questa lunga storia, la situazione era storicamente diversa,
allora le possibilità c'erano, perché si era anche agli albori di
un cambiamento tra la vecchia fenomenologia e la modernità
di una parapsicologia ancora da farsi, che poi non si è fatta.
Si puntava sulla possibilità ed eventualità che entrassero
nel gruppo dei filosofi o comunque dei soggetti capaci di
portare avanti anche un discorso culturale, e naturalmente non
bastavano una o due persone, ce ne volevano parecchie, dotate
anche di potere.
Si è congiunta una degradazione, quindi una insufficienza
della parapsicologia, che ha fatto saltare, per così dire, anche
l'eventualità dell'ingresso di altre figure che avessero potuto
diversamente o dialetticamente impostare anche altri discorsi.
Nel frattempo il tempo passava, è passato, e allora questa
prima possibilità che in effetti era stata calcolata ha subito
delle soste e delle pause.
Sapete, il tempo vostro non è il nostro tempo, non c'erano
le premesse. I primi lavori, i primi libri dovuti al nostro Gior­
gio erano ancora in linea col nostro progetto, col nostro pro­
gramma, e quindi bene ha fatto a farli perché sono una testi­
monianza ed una ricostruzione "colta" e non banale, tanto è
vero che nonostante la difficoltà oggettiva con cui ha costru­
ito credo il primo libro, il libro base che presenta sicuramente
delle difficoltà di linguaggio ed è forse anche ostico da qual­
che punto di vista, rispondeva però pienamente alla sua fun­
zione, quella di essere un testo colto strutturato in maniera
che le fondamentali teorie risultassero collocate in un discor­
so ben tenuto dal punto di vista razionale, filosofico, scienti­
fico, quindi va benissimo.
Questo però si collocava già in una degradazione dell' am­
biente, cioè in un allentamento della tenuta del paranormale e

434
della parapsicologia, che non è soltanto un degrado italiano,
ma di tutto il mondo.
Negli ultimi anni, ovvero negli ultimi decenni, è venuta
fuori la figura del nostro medium, che ha assunto per noi un
ruolo determinante perché si è costruito con una impostazione
nettamente filosofica e non più paranormale, e questo è un
fatto da vedersi, è ancora da vedersi, per un connubio più
stretto, che qualche volta è stato anche rimarcato negativa­
mente, tra me e lui.
Questo fa sì che la costruzione di parte del discorso abbia
ancora la possibilità di affermarsi e divulgarsi come una suc­
cessiva pietra fondamentale di tutto l'edificio che abbiamo
fatto.
Siete ancora vivi tutti quanti, c'è ancora la possibilità di
raddrizzamenti, probabilmente suggerisco una cosa che già ha
intuito il nostro Corrado, cioè un tipo di movimento filosofico
che sia condotto su basi che escludano il paranormale, ma non
lo escludano del tutto, e cioè a dire un ritorno alla filosofia
come visione, il ritorno ad una filosofia come intuizione,
rivalorizzando l'intuizione riposizionando il concetto di anima
questa volta visto in una sua chiave scientifica e possibile, non
l'anima del paranormale, ma l'anima dell'uomo, cioè una vi­
sione umanistica ed una visione di una filosofia che non chia­
merei nemmeno spirituale ma possibilista, perché oggi voi non
potete dichiarare qualcosa se non create dei paradigmi che
siano elaborati in modo da non poter essere contraddetti.
Questo naturalmente era già nel campo della filosofia clas­
sica, ma qui ancora più severi bisogna essere.
Insomma io dico che c'è ancora lavoro da fare e quindi di
non riposarsi perché non è proprio il caso di riposarsi.

D.: Tu sottolinei il fatto che la dottrina ...

435
A.: Perché così dovrebbe essere.

D.: Ma io vedo invece che è la dottrina in se e per sé che è


sostanziale.

A.: È quello che sto dicendo, infatti siamo d'accordo, lo


sto dicendo, però se tu la leghi al paranormale rischi di met­
tere in difficoltà la dottrina.

D.: Non sono d'accordo su questo, perché la dottrina che ci


hai dato è così sostanziale che è superiore ai Vedanta, che
hanno speculato sul sé.

A.: Comunque a me fa piacere quando qualcuno non è


d'accordo, perché qui sono sempre d'accordo tutti su quello
che dico, nonostante io abbia invitato tutti ad entrare anche in
disaccordo dialettico, perché no.

D.: Siamo d'accordo che questo tuo insegnamento deve as­


sumere una connotazione di cultura, deve fare questo passag­
gio, però credo che debba avere un effetto di ricaduta sul modo
di vita, che diventi qualcosa che faccia parte del comune modo
di affrontare la vita, di risolvere i rapporti, perché se rimane
chiuso nell'ambito della cultura resta una cosa di élite. Invece
c'è bisogno di questa ricaduta su fasce più ampie, che possano
partecipare attivamente.

A.: Questa è la modalità con cui si diffonde un pensiero, e


naturalmente su questa modalità siete più bravi voi che io,
perché conoscete il mondo e le tecniche di diffusione per di­
vulgare, queste sono valutazioni vostre.

436
D.: Forse una chiave è proprio la tecnica della visione, esclu­
dendo le frange più banali del paranormale.

A.: Sì, certo, ma intanto bisogna anche avere la capacità di


elaborazione del pensiero, intendiamoci, non sono operazioni
semplici, e naturalmente bisogna anche avere le basi culturali
per farlo, perché non si può concepire la visione filosofica se
non si conosce la filosofia o una intenzione scientifica se non
si è padroni della scienza, questo è evidente, altrimenti ritor­
niamo alle solite visioni dei fantasmi o allucinazioni di poveri
derelitti che sperano, attraverso questo, di entrare nell'altro
mondo. È questa l'operazione da fare.
Perciò la cultura diventa un elemento che non si può evi­
tare, senza cadere nel dilettantismo e quindi nella non accet­
tazione, oppure di cadere un'altra volta nel magico, perché
quando si parla di visione si parla facilmente del magico, ma
non è così, la visione è nel senso vero e proprio di una intui­
zione, cioè il passaggio che non basta fare soltanto tecnica­
mente attraverso, per esempio, una meditazione o uno stato
modificato di coscienza, si possono avere tutti gli stati modi­
ficati di coscienza ma se non si hanno le basi filosofiche let­
terarie e culturali per poterle descrivere l'operazione resta
solo un fenomeno magico e basta.

D.: La visione come I 'ha adoperata la Chiesa, attraverso il


simbol o.

A.: Sì, la Chiesa poi ha proweduto anche ad un'altra cosa,


cioè quella di trasformare i fondatori in dei o semidei, quindi
ha avuto il compito facile.

D.: Quindi questa strutturazione che proponi rappresen­


terebbe anche il crollo delle religioni.

437
A.: Guardate che non lo sto proponendo adesso, lo sto
proponendo da qualche decina di anni.

D.: Dovrebbe coincidere anche con quello.

A.: Le religioni si fondano sulla rivelazione, e la rivelazio­


ne è una visione, un atto magico, dove per magico qui intendo
tutta una cultura della magia, non il magico nel senso del pa­
ranormale, è qui il continuo equivoco per cui si dovrebbe
completamente cambiare il vocabolario, anche la stessa "ani­
ma" e "Spirito" sono diventati insufficienti perché corrosi.

D.: Comunque qualche differenza bisogna farla tra religione


e religione.

A.: Naturalmente sì.

D. Perché finché si parla di cristianesimo, maomettanesimo,


ebraismo, ma quando si parla della filosofia induista e dello
stesso buddismo, sono completamente diverse.

A.: Certamente, completamente diverso è il buddismo ad


esempio. Parliamo delle religioni occidentali.

D.: Perché poi la religione diventa un modo di vivere, di


porsi in contatto con la realtà.

D.: L'elaborazione di questa dottrina è stata una tua ela­


borazione attraverso le tue esperienz e anche terrene, o è sta­
ta fatta con altri Spiriti del tuo stesso livello? C'è una inter­
pretazione della realtà dell'universale che è differente dalla
tua ma che è stata elaborata da altri Spiriti evoluti quanto te?

438
A.: Diciamo che le cose stanno così. Io ho tenuto conto
nella descrizione che ne ho fatto in tutti questi decenni di due
elementi, uno umano ed un altro universale: uno umano, che
ho dovuto graduare negli anni, via via che l'elabqrazione si
accresceva e via via che il gruppo si stabilizzava e che soprat­
tutto il gruppo diventava quindi coeso, coerente, ho dovuto
sempre tener conto dei presenti, di non traumatizzarli troppo,
e se qualche volta qualche nuovo fratello faceva capolino nel
gruppo, dovevo valutare se era uno di quei fratelli che sareb­
bero rimasti o no, e talvolta ho dovuto dare anche risposte
leggermente improprie o leggermente decentrate per non tur­
bare eccessivamente quella determinata persona.
Devo dire che di questo aspetto, da parte vostra non s1 e
tenuto alcun conto, praticamente in alcun conto. Ancora oggi
io so che si discute: Andrea 30 anni fa ha detto una cosa
adesso ne ha detta un'altra, e nessuno va a vedere in quella
seduta chi c'era presente e perché ho dovuto dire quella cosa.
Per altro non ci sono mai state contraddizioni in quello che
ho detto, ma diciamo che ho dovuto formulare in modo che
quel presente capisse quello che voleva capire e basta.
Dunque dicevo: ho dovuto tener conto dell'ambiente for­
mulando un discorso che potesse essere comprensibile ma nel
contempo fosse conforme ad una realtà universale quale io
posso conoscere, naturalmente, in base alla mia evoluzione.
Però anche in base alla mia evoluzione io so che vi sono
cose stabili, vorrei dire eterne per usare questa espressione, ve
ne sono altre che sono più variabili e che possono dipendere
dalla mia interpretazione per I'evoluzione che ho, questo lo
so, perché io non sono Dio che conosce tutto dall'alto, sono
uno Spirito che vede in un certo senso dal basso verso l'alto,
cioè dal limite, il basso è il limite della mia evoluzione.

439
E allora ho dovuto sempre tener conto di quello che ho
stabilito per mia osservazione, per mia evoluzione, per mia
esperienza di essere spirituale e di essere che è stato terreno;
ho potuto stabilire per certo quali sono le caratteristiche, i
desideri, i bisogni, le necessità di un essere spirituale che si
incarna sul pianeta dove voi abitate.
Questo è diventato un punto fermo tra la Terra e il nostro
mondo, il confine fatto in un modo preciso.
Stabilito il confine preciso, che ripeto è stato il risultato di
tutta una serie di elaborazioni evolutive, confortate anche, qui
devo usare dei termini impropri, perché se vi dico dall 'opi­
nione di altri Spiriti di eguale evoluzione scendo un po' nel
banale, fra di noi ci sono comunicazioni intuitive, verifiche
intuitive, è la nostra vita e non è la vostra, quindi intuitive
significa che passano attraverso la mia dimensione spirituale,
passano attraverso l'evoluzione, rappresentano il contatto che
la mia struttura, la mia sostanzialità ha con ciò che è fuori di
me, e quindi tra me e il fuori di me c'è una osmosi, c'è co­
munione, c'è uno scambio: questo consente a che le verifiche
siano sufficientemente esatte.
Allora stabilito questo cordone di separazione tra la Terra,
la terrestrità, la materialità, la carnalità dei vostri corpi e la
nostra sostanzialità che voi chiamate Spiriti, tutto è scaturito
in maniera vorrei dire naturale, cioè questo è stato il metodo
che io ho adoperato.
Penso che voi abbiate fatto caso molte volte al fatto che
ove esista un problema apparentemente contrastante l'unico
modo per risolverlo, come metodo, è quello di riferirsi a questa
frontiera, a questa corona che si interpone tra voi e noi.
Ogni volta che mi sono riferito a questo e ogni volta dun­
que che ho tratto da questo la risposta, ho sempre potuto
verificare che essa era conforme ai bisogni dello Spirito, alle

440
necessità, alle volontà, alle progettualità dello Spirito, e in
questo modo la mia risposta, conformandosi ad un metodo e
non elaborando la risposta a casaccio, al momento, la mia
risposta era sottratta dall'emotività, da mie valutazioni perso­
nali e soggettive, perché la mia valutazione, la maniera con
cui vi ho dato dei contenuti era sempre costantemente riferita
a questa verità indiscutibile che è data dalla cerniera di sepa­
razione tra il vostro mondo e il nostro.
Questo è un lavoro che mi ha fatto stabilire dei principi,
perché quando mi sono avvicinato le prime volte io ho dovuto
elaborare e decidere un metodo di approccio, che tenesse conto
di tutte le possibili varianti e di riduzioni al minimo dell'erro­
re.
Dovevo garantirmi dall'errore che poteva dipendere da una
mia soggettività o da un mio coinvolgimento dialettico con
voi, ed avevo sempre questo parametro di riferimento, cioè
questa cerniera alla quale ho riferito tutte le risposte.
Naturalmente i processi logici, i processi di costruzione
logico deduttiva, sono appartenuti a un passato umano che ho
ritrovato, ripreso in mano, per così dire, perché nella costru­
zione del linguaggio anche qui ho dovuto fare un riferimento:
io non parlavo da Spirito, parlavo sì da Spirito ma uno Spirito
che doveva usare un linguaggio umano, che doveva rientrare
in una logica umana, per darvi risposte comprensibili, altri­
menti non mi avreste capito, quindi un metodo, una logica,
elementi, e dove potevo prenderli?
Certo non attingendo a dei libri, perché questo mi era
impossibile, era un problema di linguaggio ma era un proble­
ma di significato, mi trovavo di fronte ad un problema che era
semiotico, che era semantico, che era significante, ed allora
l'ho preso da una possibilità che Io Spirito ha e voi non avete,
di impadronirmi, di visualizzare un passato e da qual passato

441
di una o più vite mie riprendermi una sostanza concettuale ed
elaborativa che ho fatto diventare mia nei momenti in cui
dovevo incontrarmi o mi incontro con voi.
Questa possibilità, che ripeto, allo Spirito è data e nemme­
no a tutti devo dire, credo che questo si verifichi da una certa
evoluzione in poi, oppure quando è necessario che qualcuno
parli all'uomo, o attraverso la visione o attraverso l'intuizio­
ne, o attraverso le forme dell'arte o della poesia o della me­
dianità, che è la stessa cosa di quelle che ho elencate prima:
quando qualcuno parla all'uomo assume una umanità, una
umanizzazione del suo discorso, perché noi non abbiamo lin­
guaggio e quindi non potremmo parlare, non abbiamo una
lingua. Allora come parlare a voi? L'unica tecnica possibile
che noi possiamo adoperare è questa, una visualizzazione a
scelta, liberamente, di quelle che sono state certe nostre vite,
una o più di una, o parte di una vita, e in più una elaborazione
concettuale da Spirito sul costituirsi di una cerniera logica in
modo che il ricostituito linguaggio potesse ripassare a voi
attraverso un metodo.
Forse questo mio l'ho potuto fare più congruamente essen­
do stato in una o più vite filosofo e ragionatore, forse se non
avessi avuto questi strumenti me ne sarei scelti altri, o forse
non sarei venuto affatto, visto il programma che avevamo,
così come chiunque altro sulla Terra ha capacità intuitive deve
provvedersi di strumenti, per cui non si può dipingere un quadro
senza conoscere la pittura o scrivere una poesia senza cono­
scere diciamo le tecniche poetiche o comunque fare scienza
senza provvedersi di uno studio accademico scientifico, così
nel parlare, nell'arte del parlare, nell'arte della dialettica biso­
gna avere metodo e bisogna avere quindi un sistema di comu­
nicazione che tiene conto dei fattori intuitivi, dei fattori ap­
presi, dei fattori spirituali e dell'evoluzione che si possiede.

442
Questo insieme di cose forma poi il prodotto finito che è
quello che voi ascoltate o le risposte che io vi do.
Quando una volta dissi: è ben difficile che io possa cadere
in contraddizione, io dicevo una cosa che non voleva innalza­
re il mio valore o il mio livello, intendevo dire che, costruita
una architettura, o costruita una scala, non è possibile che io
non sappia che dopo il primo scalino venga il secondo e poi
c'è il terzo e poi c'è il quarto, perché la scala l'ho costruita
io, l'architettura è quella, basta che incaselli le risposte, le
verifichi, stanno bene in quella casella, allora quello che dico
è corretto dal punto di vista formale e sostanziale.
Questo è un metodo che di solito i filosofi adoperano così
come i matematici, e nessun matematico potrebbe dirvi che 2
più 2 faccia 3 e non faccia 4, è impossibile perché conosce le
regole basi, l'architettura dal!'aritmetica sino alla matematica
intuitiva, e sa che deve necessariamente rispondervi così, non
può fare altrimenti.
Voglio dire che tutto sommato in questo la creatività c'en­
tra poco, è una lavoro di vera costruzione, l'intuitività l' ado­
pero io da Spirito quando non parlo a voi, quando io da
essere spirituale mi confronto con altri problemi spirituali che
sono al di là, che sono di un confronto tra me e l'universale,
tra me e il divino, tra me e direi il mio interno che vibra ed
agisce in comunione con l'Universo: allora lì adopero quello
che voi chiamereste il processo intuitivo, che per me è proces­
so naturale della mia sostanza che si espande nell'altro appa­
rente simile che è l'universo da cui sono circondato concet­
tualmente e matematicamente e fisicamente, ma qui nel ri­
spondere alle vostre interrogazioni di creatività ce n'è poca,
nel senso che io dico quel che ho, non sto creando io un
sistema, vi sto riportando e ripetendo quello che è effettiva­
mente, e quindi il processo è diverso.

443
Non c'entrano fattori materiali tipo l'intelligenza, la volon­
tà, c'entra la capacità all'interno di questo sistema di esporre
nella maniera didattica la più precisa possibile, la più chiara
possibile. Questo fa parte di quel bagaglio della dialettica che
io ho ripreso intuitivamente dal mio passato, unitamente al
mio processo evolutivo, perché sono cambiato rispetto a que­
sto mio passato, owiamente anche io mi sono evoluto rispetto
a questo, è chiaro, il mio passato si awantaggia dell'elabora­
zione ultima a cui posso essere giunto, ma sostanzialmente
questo passaggio è un passaggio che è stato per me abbastan­
za naturale, perché qui non si è trattato di recuperare il mio
passato nel senso evolutivo, perché il mio passato nel senso
evolutivo ce l'ho nell'attualizzazione della mia evoluzione: io
sono quello che sono grazie anche a ciò che è stato il mio
passato, passato nel senso umano, e allora si è trattato di
riprendermi la proprietà, per così dire, di quello che è stata la
mia essenza.

D.: Questa è la compresenza.

A.: Esatto.

444
IP - INFORMAZIONI PARAPSICOLOGICHE

Corrado Piancastelli

LA RICERCA PARAPSICOLOGICA IN ITALIA

Se si eccettua la ricerca filosofica del CIP attraverso l' En­


tità "A" (che integra da decenni quella tecnico-scientifica sulla
trance di Piancastelli) e quella piuttosto attuale del Laborato­
rio di Biopsicocibernetica diretto, a Bologna, da Enrico Mara­
bini (sulle voci attraverso la radio e il magnetofono) altro in
Italia non c'è. Probabilmente anche nel mondo la ricerca è
ferma e stagnante, limitandosi alla ormai stucchevole ripeti­
zione degli esperimenti di Rhine sia pure in molteplici varianti.
Più promettenti le ricerche delle neuroscienze e gli studi
sull'attività cerebrale. Non sono finalizzati alla ricerca dell'ESP
o a quella dell'anima, ma il parapsicologo può ricavarne os­
servazioni e confronti assai utili per le sue tesi materialistiche
o spiritualistiche. Purtroppo il nostro campo risente, in modo
gravissimo, della mancanza di fondi per ricerche più dirette e
incisive. Quelli che possono a volte ci aiutano solo a soprav­
vivere e non fanno o non possono fare di più. Le leggi dello
Stato, che già finanziano poco la ricerca scientifica, non pre­
vedono la ricerca nel paranormale. Tra 1 'altro mancherebbe
anche un progetto che, in questo caso, dovrebbe essere rea­
lizzato in ambiente universitario e non nei nostri piccoli centri.

445
A sua volta la Chiesa, che riceve lasciti, proprietà e denaro da
tutti (non così i centri di parapsicologia anche più seri e ac­
creditati) non ha alcun interesse a finanziare ricerche intorno
al trascendentale perché non può correre il rischio di essere
smentita. Siamo messi male. Qualche piccola stella (per esem­
pio la Biblioteca Bazzana-De Boni di Silvio Ravaldini, che
però non produce ricerca) è un miracolo prodotto da un sin­
golo mecenate, piuttosto che il risultato di un bene collettivo
(il trascendente) da mantenere in vita e sviluppare per il futu­
ro.
Corrado Piancastelli

LA VITA È SOLO NOSTRA

Sarà perché ci sembra molto convincente l'insegnamento


finora ricevuto (in materia di libertà di decidere della propria
vita quando si è compromessi da una malattia irreversibile
giunta in fase terminale), che ancora non riusciamo a capire
l'accanimento della Chiesa contro questo fondamentale dirit­
to. Ci sembra che in tutta questa vicenda - prima nei confron­
ti di Welby e poi di Eluana - la Chiesa mostri un materialismo
e un cinismo veramente sorprendente. I teologi non capiscono
che stanno parlando della vita, cioè di un evento biologico che
nulla ha da spartire con lo spirito e con l'anima?
Noi formuliamo, in linea con la nostra filosofia, una ipotesi
di lavoro che si incardina nella possibile esistenza di un'anima
che soprawive alla morte. Da ciò ne consegue che:
1 - l'anima decide tempi e modalità della propria incarnazio­
ne in un corpo;
2 - sceglie il programma e le esperienze confacenti alla pro­
pria evoluzione;

446
3 - decide quando deve tornare e, verosimilmente, quando
deve lasciare il corpo;
4 - il corpo, a sua volta, è solo uno strumento biologico che
presta elementi (cervello, mente, i sensi, le esperienze ma­
teriali, ecc.) perché l'anima (o spirito) portino a compimen­
to il programma.

Se ne deduce che la vita, tanto difesa dalla Chiesa, etica­


mente non ha nulla da spartire con l'anima, né deve condizio­
narla fino al punto da ostacolarne il progetto.
La tesi della Chiesa, invece, si fonda su un principio di fede
che si differenzia totalmente da noi. Per la Chiesa l'anima
nasce con l'accoppiamento sessuale e questo atto creativo è
opera diretta di Dio. L'anima, quindi, non preesiste al corpo,
per cui non decide nulla. Vita biologica e vita spirituale del­
!'anima, per la teologia, concettualmente coincidono e di con­
seguenza il diritto naturale (a cui la Chiesa continuamente si
riferisce) fa derivare il diritto di decisione non all'uomo, ma
al creatore, tesi continuamente ribadita da papa Ratzinger.
Come si vede siamo su posizioni inconciliabili fra loro in
quanto la tesi dell'Entità "A" si incardina sull'autogestione e
autonomia dello spirito, mentre quella cattolica sulla totale
dipendenza a Dio e alla Chiesa.
Inte,venire sulla vita, dicono i teologi, significa manipolare
una realtà che è stata voluta da Dio e non dall'uomo. Quello
che la Chiesa però non ci dice è il motivo della vita. Se l'ani­
ma non decide nulla, perché poi dovrebbe rispondere di atti e
di credenze derivanti dalla vita, ma non dalla sua esistenza
spirituale? Il senso della vita dovrebbe essere esclusivamente
quello di obbedire e di credere, come mussolinianamente si
pretese dagli italiani durante il fascismo? Se io non esistevo
prima di nascere, sono stato creato solo per obbedire con la

447
minaccia di un inferno eterno ove dovessi malauguratamente
decidere con la mia testa?
Detto altrimenti, poiché quando sono nato nessuno mi ha
chiesto se io volessi nascere, perché, dovendo scegliere le
modalità della mia morte, dovrei chiedere il permesso a qual­
cuno, Dio o la Chiesa?
Abbandonarsi alla volontà di Dio, cioè non fare nulla, non
significa, alla fine, abbandonarsi al capriccio della natura? E'
un punto, questo, molto delicato per il credente. Natura e Dio
non possono coincidere senza creare un panteismo di ritorno
che la stessa Chiesa non gradisce. Se Dio va distinto dalla
natura (e, quindi, dal biologismo) anche lo spirito va distinto
dal corpo, per cui confondere la realtà biologica con quella
spirituale confonde ancora di più la babele delle teologie umane
che si fondono sulla pura fede rinunciando alla ragione. Se
anche la vita fosse un dono di Dio, ciò che è donato non
appartiene a chi l'ha ricevuto ?

Daina Dini
Storia di Anita

Non si parla d'altro: siamo in un momento di congiuntura


economica. Il nostro danaro, che al più è rimasto sempre lo
stesso, non riesce a compensare le necessità quotidiane, e ciò
ingenera disagio e giustificata preoccupazione.
Come ogni italiano di una middle class che sta velocemente
scomparendo, sono partita per le vacanze piena di un disap­
punto tanto problematizzato da sfiorare in alcuni momenti la
paura di non farcela. E sono andata in India.
Mi sentirei ipocrita in questo momento a partire con la
retorica della vera povertà, ma porto con me delle immagini

448
che desidero condividere. Le caste in India sono oggi legal­
mente abolite, ma, nella realtà resta questa una struttura fer­
rea che probabilmente necessiterà secoli di globalizzazione ed
internet per essere scalzata.
Gli impuri, gli intoccabili, i paria, sono quelli destinati alla
pulizia degli escrementi umani, sia che si tratti di raccoglierli,
come ancora avviene diffusamente, con spazzolone e bacinel­
la, sia che si abbia la buona sorte di lavorare in una toilet per
turisti occidentali, e dunque fornita di mattonelle, WC, lavabi.
In genere questa cura è affidata a donne.
Purtuttavia l'intoccabile sa di esserlo, e questo salto di
qualità dalla terra alla mattonella non muta in nulla questa
consapevolezza, che fa sì dunque che la donna in questione
viva accoccolata come un sottile ragnetto disseccato e con­
tratto sotto il lavabo, munita di straccio col quale pulisce il
pavimento ad ogni cliente che passa. Si alza solo un attimo,
per porgere un rotolo di carta igienica di un improbabile co­
lore giallastro, in modo che se ne prenda un pezzetto, ma
proprio un pezzettino. L'India non conosce sprechi. E forse
neppure il volume delle deiezioni di chi mangia troppo.
Quando l'ultimo turista esce, il ragnetto rotola all'esterno,
si accoccola sul gradino e sempre contratto e ripegato su se
stesso, prende la sua pausa.
Visitiamo una fabbrica di tessuti per turisti, ed il proprie­
tario ci propone una dimostrazione di come si colori una stof­
fa. Un lavorante con un timbro immerso in più colori compo­
ne il disegno. Alla fine a mani nude pone il pezzo di stoffa
negli acidi di fissaggio, e ce lo tiene per un tempo che mi
sembra lunghissimo, ed io mi rendo conto che ha una contrat­
tura al collo che gli impedisce di sollevare la testa, ma gliela
fa portare - sempre, a vita - come quella di un bue sotto il
giogo: i due muscoli che vanno dalla base del collo alla testa

449
sono turgidi e induriti in modo anomalo, come anomalo è il
colorito che leggo giallastro sotto il nero della pelle.
Per un attimo riesco a vederne gli occhi, gialli anche quelli,
e con una espressione così antica, lontana e senza tempo, da
desiderare più d'ogni cosa in quel momento, di parlare, chie­
dere, entrare, contattare, comprendere, ma non si può, lui
deve star lì a tingere e awelenarsi, e noi dobbiamo comprare
e scappar via, e penso che se dovessi rappresentare l'idea di
schiavitù, lui sarebbe il simbolo adatto.
Le vacanze terminano e torno ai miei affanni. Mentre per­
corro a passo svelto una strada, un extracomunitario dagli
occhi enormi mi porge un cappelline unto. Apro il borsellino
dalla parte degli spiccioli, e dò 50 centesimi, mentre l'amica
che è con me mi dice che quando sono così giovani potreb­
bero anche andare a lavorare, ed io le farfuglio qualcosa sulle
difficoltà dell'essere neri e immigrati, chiudo il borsellino tra
i ringraziamenti, e vergognandomi di esistere e di essere quel­
lo che sono, penso ad Anita.
Anita è una signora nigeriana che ho avuto la fortuna di
incontrare, e che mi onora della sua amicizia e confidenza.
Anita è di Lagos, dove ha dovuto lasciare una madre anziana
ed una figlioletta adolescente che non riusciva più a nutrire,
per cui seguendo tenacemente un sottilissimo filo di amici di
parenti di amici di lontani conoscenti, è sbarcata alla stazione
di Piazza Garibaldi, Napoli, clandestina, senza né un docu­
mento né una lira.
E1 stata accolta -si fa per dire- nella comunità di extracomuni
tari che all'epoca si era sistemata -si fa sempre per dire- in
baracche luride a Villa L iterno, che solo poco tempo dopo
vennero distrutte da un incendio.
Anita ha 45 anni, ma ne dimostra 30: è bella, tonica, dritta,
delicata, signorile, ha modi affa bili, ha studiato, e quando tocca

450
i libri sembra che li accarezzi - ma del resto ha mani che
accarezzano tutto - e sotto il suo tocco ed i 1 suo buon gusto
anche degli straccetti, consunti e ben lavati, sembrano acqui­
sire luce. Anita è timida, pudica: Anita rispetta tutti, non in­
veisce, capisce. Anita, appena arrivata qui, si è prostituita:
non ha trovato altro modo per mandare cibo e scuola a Lagos,
e per sopravvivere ella stessa, e riuscire così a mandare anco­
ra cibo ed ancora scuola. A volte la guardo e cerco di imma­
ginarla, lei così delicata e schiva, cerco di immaginarla sulla
Domiziana con la divisa d'ordinanza, in attesa di clienti.
Una volta le ho chiesto: come è stato? e lei, col viso con­
tratto, dopo un silenzio lungo, ha bisbigliato: brutto lavoro ...
Non ne abbiamo mai più parlato.
Anita dopo qualche mese è riuscita a guadagnarsi sufficien­
temente la fiducia di una famiglia di Castel Volturno perché le
fosse consentito di lavarne i pavimenti, e da quel momento
l'incubo è finito, non è più tornata sulla Domiziana ed ha
iniziato a costruirsi un piccolo giro di lavoretti .
Ora ha una sua casa -una stanza con il bagno condiviso con
una amica-che lei tiene con ordine, pulizia e molta grazia.
Guadagna pochissmo, vive di nulla, ma orgogliosa e felice
dice: mia figlia impara bene l'inglese, non parlerà il broken
english, spero di mandarla a studiare a Londra.
Quando qualche amica è in difficoltà economiche, Anita la
va a trovare, e senza dire nulla né farsi vedere, nasconde 10
euro - che nella sua economia sono una cifra mostruosa -
sotto un piatto o in un vaso, in modo che l'amica non debba
subire la mortificazione del bisogno né la pena del ringrazia­
mento.
Splendida Anita, mia Santa Prostituta, mia Maestra, mio
Bodhisattva, forse da te, luce dell'anima, imparerò ad aprire
il borsellino ed il cuore dalla parte giusta.

451
COLLOQUI CON I LETTORI: Risponde Daina Dini

II Sig. G.F. da Lecce, a proposito dei recentissimi esperi­


menti del CERN di Ginevra, ci scrive:
" ... Ho pensato che la materia, come lo spirito, provenienti
entrambi dalla stessa matrice divina, sono eterni (insegnamento
del nostro Maestro Andrea). Solo che la loro eternità parte dal
"sen di Dio", se così si può dire; cioè in un passato eterno,
spirito e materia erano "in fieri" con l'emanazione, per lo spi­
rito, e con la creazione, per la materia, sono passati "in esse­
re". Lo spirito, da uno stato d'indistinto, è passato ad uno stato
d'individualizzato; la materia, da uno stato di energia pura, è
passata ad uno stato di corporeità. Che ne pensa?. .. "

Gentile Socio, la sua interessante argomentazione si riferi­


sce ad uno dei principi più complicati da capire e difficili da
cogliere dalle nostre menti umane, che si possono esprimere
solo attraverso un linguaggio condizionato dalle strutture ce­
rebrali. Il nostro cervello funziona secondo parametri derivan­
ti dalla sua propria natura: esso è cioè un prodotto della
materia, ed essendo la materia, nella forma che noi percepia­
mo, scandita su parametri spazio-temporali, il nostro cervello
e dunque il nostro linguaggio non sanno prescindere da una
spazi al izzazione e temperai izzazione del di scorso.
Dunque quando cerchiamo di tradurre in parole una idea di
eternità nel non tempo, non possiamo fare altro che usare
metafore spazio-temporali.
Ecco che una definizione come "passato eterno" cerca di
esprimere un concetto di infinito. Purtuttavia in essa esiste

452
comunque il senso dell'osservatore che si volge indietro a
considerare un passato che non finisce mai. Questa è l'influen­
za sulle nostre menti dell'essere nate in una realtà "percet­
tivamente" spazio-temporale, nel senso che nella realtà asso­
luta, diversamente da quella relativa e virtuale che noi perce­
piamo attraverso i nostri sensi, non esiste passato ne' futuro,
come dunque non può neppure esistere, come principio asso­
luto, una creazione dal nulla, che scandisca un prima (il nulla)
e un poi (il creato), come nella concezione cattolica, né dun­
que un Big Bang, che ne è la traduzione in termini scientifici.
Questo ovviamente sul piano dei principi universali.
Ma quando si parla di Big Bang ci si riferisce all'universo
che noi percepiamo, e qui va specificata la differenza.
In senso di principi assoluti, l'emanazione di un'unica ener­
gia, - come prodotto divino imprescindibile e non differenziabile
dalla natura di questo punto di scaturigine senza spazio né
tempo né dunque momenti di partenza - si differenzia in due
nature simili ma ad un tempo differenziate (ed anche in questa
spegazione non possiamo far linguisticamente a meno di scan­
dire dei prima e dei poi totalmente erronei), principio spiritua­
le e principio materiale, entrambi eterni ed infiniti .
Quando però ci spostiamo a considerare la traduzione di
tale energia in un apparato formale quale l'Universo percepi­
to, ecco che stiamo entrando in una particolarizzazione del
principio materiale, che si trova in quanto tale ad avere un
proprio ritmo ed una propria modalità di trasformazione, in
cui è compresa una "nascita" ed una "morte". Il nostro piane­
ta, come l'intero sistema solare, come le galassie, per quanto
il loro tempo di sussistenza sia inimmaginabilmente lungo se
rapportato ai nostri tempi di sopravvivenza umana (ed anche
qui osserviamo come la scansione temporale sia stata indivi­
duata dall'essere umano in funzione dei propri tempi e spazi,

453
La Signora F.M. ci scrive da Pavia:
Non avrei mai immaginato che mio figlio si sarebbe al­
lontanato da me in modo tanto drastico.
Certamente è giusto che abbia una sua propria famiglia,
il suo lavoro, la sua vita, ma mi ha ferito il vedere con quanta
velocità e decisione abbia accettato una proposta di lavoro
che lo porta a migliaia di km dalla sua casa paterna, dalla
sua famiglia d'origine, da noi che abbiamo tutto fatto e tutto
dato, ed ora ci ritroviamo senza quella consuetudine quoti­
diana con affetti che abbiamo sviluppato e curato per più di
30 anni. Questo evidentemente meritavamo. Quanta amarez­
za! Credevo di conoscere mio figlio , ma evidentemente mi
sbagliavo."

Gentile Signora,
leggo il suo rammarico e la sua delusione, e il dolore che
ne deriva. A volte quando le nostre aspettative vengono bru­
scamente disattese, sembra che il mondo ci crolli addosso,
perché su tali aspettative avevamo fondato progetti, speranze,
convincimenti, avevamo proiettato una immagine del nostro
futuro conforme alle nostre idee, e questa immagine aveva
finito col costituire un punto di riferimento, un referente che,
venendo improwisamente a mancare, ci lascia nel più totale
disorientamento.
La vita ci stupisce sempre, è maestra nel venir fuori con
soluzioni impensate. impensabili, improbabili, che passano su
di noi come un uragano devastante, mostrandoci con chiarez­
za quanto fossero fragili, implausibili, false se non addirittura
assurde le nostre attese. Certo, se avessimo potuto prevedere,
forse ci saremmo potuti preparare, avremmo potuto costruire
argini, rinforza re tetti, trovare altri ripari, ma non immagina­
vamo proprio un finale del genere. Ecco, a questo punto del

455
discorso si impone una domanda: come mai non avevamo mai
pensato, ma proprio mai, ad un possibile esito quale quello
che si è mostrato?
Certo, a volte avvengono cose incredibili, ma, tornando
all'esempio che lei ci propone: è tanto improbabile che un
figlio di più di 30 anni si allontani fisicamente da noi, che il
suo lavoro, ma forse i suoi interessi, la sua convenienza, i suoi
progetti, i progetti che lo uniscono alla sua compagna, i pro­
getti che ha in mente per i suoi figli, le sue proiezioni, le sue
curiosità, i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue vocazioni, lo
portino altrove, lontano dalla casa paterna?
E perché mai, dovremmo chiederci, dovrebbe rinunciare a
tutto questo, - in definitiva alla sua vita -, per rispondere ad
un debito d'onore inconsapevolmente contratto con genitori
che dopo anni di amorose cure - 30 anni di figli non sono mai
una passeggiata - si aspettano qualcosa in cambio, in defini­
tiva presentano un po' il conto? Quanto è giusto che dopo
anni di dedizione non ci sia un naturale ritorno in cui, così
come noi abbiamo aiutato lui a crescere, lui aiuti noi a con­
tinuare a vivere, ad invecchiare e poi andarcene? In una logica
del "do ut des" questo discorso non fa una piega, ma chiedia­
moci quanto sia corretta tale logica, e quanto di conseguenza
sia corretto aspettarsene i risultati.
Abbiamo parlato poc'anzi di debito inconsapevolmente con­
tratto: è certo che nessuno informa il bambino, e poi l'adole­
scente, sulle aspettative che si vengono formando sul suo con­
to.
Immaginiamo per assurdo di poter comunicare col nascituro
prima che egli venga al mondo, una comunicazione adulta,
matura, in cui egli possa esprimere la propra libera volontà, e
diciamogli: caro mio figlio a venire, ti amo già ancor prima di
conoscerti, e dunque in nome di questo amore ti assicuro che

456
sarai curato, assistito, nutrito, vestito, festeggiato, ti farò stu­
diare e ti insegnerò come una brava persona ha da comportar­
si, ti mostrerò quali vie scegliere per il tuo futuro, ti aiuterò
con la mia esperienza a scegliere un lavoro, una compagna, ti
aiuterò ad educare i tuoi figli, nel rispetto dei valori in cui
credo e che ti insegnerò, e dunque la nostra famiglia crescerà
unita e compatta, ed io non desidererò altro che invecchiare
accanto a te, e magari morire tra le tue braccia.
Certamente il futuro bimbo sarebbe colpito da tanto affetto
e dedizione, ma con buona probabilità avanzerebbe una so­
stanziale obiezione, sintetizzabile in due paroline: "e io?".
E cioè: e i miei desideri, le mie vocazioni, i miei bisogni,
i miei gusti, i miei valori, il lavoro che piace a me, la compa­
gna che intriga me, la città dove vorrò abitare, la gente che
vorrò frequentare, i pensieri che vorrò pensare, i progetti che
vorrò realizzare? E chi mi dice che saranno in linea con quello
che tu stai prevedendo per me? E visto con quanto amore tu
progetti per me quello che progetti, come potrò sopportare di
p ag are col tuo dolore la mia libertà? Fammi questo dono,
mamma: non farmi nascere, perché sento che si prepara una
sicura infelicità, un mio quasi certo fallimento progettuale.
Ecco, bisogna riflettere su cosa vuoi dire mettere al mondo
un figlio, e qui subentra la considerazione dell'esistenza dello
Spirito. Se un figlio fosse esclusivamente un corpo materiale
da allevare e nutrire, come un bel cagnolino, che male ci sa­
rebbe ad educare il nostro cucciolo secondo, a questo punto,
come siamo stati educati noi stessi? sarebbe anzi ciò conve­
niente per la pace ed armonia familiare. Ma un figlio, noi
reputiamo insieme al nostro comune maestro, non è esclusiva­
mente un corpo materiale, ma è una entità a sé stante, libera
per definizione, per diritto, per emanazione, per essenza, non­
figlia non-madre, non nata e non peribile, che noi genitori,

457
attraverso una concrezione corporea che dai nostri corpi si
produce, abbiamo l'onore di ospitare finché questo nuovo corpo
non sia in grado di rispondere a scelte autonome: a quel punto
termina. DEVE terminare, la nostra ingerenza.
Il nostro compito si è esaurito, ed io reputo che saremo
stati ottimi genitori se i nostri figli si sentiranno liberi, nel
corpo, nella mente e nell'anima, di aprire la porta di questa
famosa casa paterna, che non è o non dovrebbe essere una
casa circondariale, ed andare per la propria strada.
L'affetto continua, owiamente, la presenza anche, ove ri­
chiesta, ma non ci sono conti da presentare, né dovrebbero
esserci aspettative relative ad un ritorno conforme alle proprie
necessità. Piuttosto chiediamoci: abbiamo fatto nella nostra
vita solo ed esclusivamente i genitori? questo ruolo ha vera­
mente esaurito tutto il nostro essere, tutti i nostri bisogni? se
noi abbiamo ristretto a ciò il nostro vivere (quando si dice: ho
dato tutto ...), è chiaro che la partenza del figlio ci lascia di­
soccupati e con un grosso problema personale: che me ne
faccio di me ora che non servo più come mamma? Non si è,
non si deve essere mamma in eterno: la stessa natura ci dice
che ad un certo punto i nostri corpi femminili non sono più in
grado di procreare, perché dovremmo iterare questo ruolo,
tanto importante ovviamente, esperienza grandiosa e fonda­
mentale il cui valore imprescindibile non si intende affatt o
sminuire con questo discorso.iterare dicevo oltre i limiti cor­
retti di un aiuto che ad un certo punto deve ritrarsi con gen­
tilezza e discrezione, senza lacrime e rimpianti, lasciando libe­
ri gli altri, e parimenti se stessi di sperimentare altre situazioni
esistenziali?
Sarebbe come dire a qualcuno: tu nascerai in un piccolo
paesino isolato, lì vivrai e lì morirai, e tutte le occasioni che

458
ti passeranno davanti di andare a vedere il vasto mondo, tu le
rifiuterai.
Chi mai accetterebbe una proposta del genere? Dovremmo
dunque chiederci cosa stiamo chiedendo agli altri, quanto il
nostro dolore, la nostra delusione, le nostre aspettative, le
nostre lacrime turbino, disturbino, alterino l'esperienza altrui,
e quanto questo tipo di posizioni stiano soprattutto e fonda­
mentalmente alterando la nostra stessa esperienza, dove una
serie di condizionamenti culturali relativi al senso da dare al
concetto di buona famiglia, rischiano di condizionare la nostra
incarnazione, che prevederebbe una ricchezza di fasi che inve­
ce, a causa delle nostre sovrastrutture preconcette, fallirà di
manifestarsi, con grave danno progettuale per lo Spirito che
noi fondamentalmente siamo.
Non impoveriamo dunque lo slancio espe1ienziale altrui fa­
cendo pesare la nostra egoistica sofferenza, non inquiniamo il
nostro amore con l'ombra del ricatto affettivo.
A volte va regalata agli altri la libertà di essere anche at­
traverso un po' di silenzioso sacrificio.

459

Potrebbero piacerti anche