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PLATONE

La vita:
Platone nacque intorno al 427 a.C. da genitori entrambi aristocratici e fin da giovane
pensava di dedicarsi alla vita politica, ma ciò cambia non appena Atene viene sconfitta nella
guerra del Peloponneso.
Questo periodo è raccontato da Platone stesso nell’opera “lettera VIII”, anche se non siamo
certi che questa fu scritta direttamente da lui, ma in ogni caso cui ci sono principalmente
solo informazioni su di lui e sulle sue opere.
In tale opera parla del cambiamento nella politica ateniese con l’avvenimento dei Trenta
Tiranni anche se agli inizi era piuttosto fiducioso dei nuovi governanti che sarebbero dovuti
esseri estremamente colti e con un profondo senso del dovere.

Tutte le sue aspettative furono deluse e la situazione peggiorò non appena fu ristabilita la
democrazia, poiché Platone in quel periodo assisti al processo del maestro Socrate e qui
capì che la società ateniese è in rovina.
Dopo ciò egli tentò di intervenire, ma l’unico modo per farlo era rendersi utile tramite la
filosofia, la società poteva migliorare solo con la presenza di governanti migliori che
andavano educati adeguatamente e per Platone la filosofia era l'unica che poteva riuscirci.
La motivazione principale della filosofia platonica è quella di rendere giusta la società, in
modo tale che cittadini essere felici al suo interno.egli quindi riprende la domande di Socrate
sulla virtù e indaga sul ruolo di queste nella realtà, ma ciò significava che prima di
rispondere a queste domande, doveva capire che cosa era la realtà.

Egli capisce quindi che ciò che esiste e che conosciamo non si manifesta sempre
concretamente ai nostri sensi, e per questo solo la ragione può arrivare a conoscere il di dà
immutabili ed eterne aldilà dell’esperienza.
Nella sua prospettiva inoltre, l’essere umano è colui che esiste nella realtà e che è capace di
comprenderla, ma il tratto distintivo di queste di quest’ultimo è il fatto di possedere un’anima
(per capire la natura dell’uomo deve prima capire che cosa è l’anima).
una volta chiarito il ruolo dell’anima si può comprendere cose alla virtù e come va insegnata,
perciò Platone la identifica nella giustizia che consiste nell’equilibrio delle componenti
dell’anima.
Compreso ciò egli capisce che analogia con la struttura dell’anima, anche la società è
composta in più parti che devono interagire in armonia contribuendo al bene collettivo.

Dopo la morte di Socrate, Platone intraprende i viaggi in città del mondo greco tra cui
Taranto e Siracusa, nella quale frequenta il tiranno Dionisio il Vecchio e provi in questo
periodo inizia a scrivere la sua prima opera.
Nel 378 a.C. tornò ad Atene e formò l’Accademia, ossia una scuola filosofica chiamata così
perché situata in un giardino dedicato a questa.
Pochi anni dopo tornò Siracusa con lo scopo di educare filosoficamente il nuovo tiranno
Dionisio il Giovane e in questo modo Platone avrebbe potuto applicare la sua filosofia allo
scopo con la quale fu pensato inizialmente.
Dionisio, però, non era un bravo allievo e sembrava privo di tutto ciò che era necessario per
studiare la filosofia e per questo Platone se ne andò, ma solo quattro anni dopo tornava a
riprovarci, di nuovo senza successo.
Ormai settantenne tornò definitivamente ad Atene dove si concentrò perlopiù
sull’Accademia, mentre a Siracusa Dione, colui che chiamò Platone all’inizio per fargli
educare il tiranno, prese il posto di Dionisio e cercò di imporre i principi filosofici nella vita
politica.
Non ebbe successo e fu assalito e ucciso con una congiura, infatti Platone prima di morire
scrisse in onore dell’amico che non era riuscita ad aiutare “Lettera VII”.

Le opere:
Come anche viene scritto nella “lettera VII", Platone ha la stessa concezione della filosofia
del suo maestro Socrate, infatti questa è una disciplina basata sull’interazione diretta
(verbali) tra colui che insegna e colui che apprende.
Egli crede inoltre che già è diffusa di per sé per trasmettere adeguatamente il sapere
filosofico, ma peggio è quando questo è posto per iscritto.
La scrittura mette a rischio il procedimento che il maestro attua per guidare il suo allievo
all’apprendimento, poiché questo allontana le parole dal contesto in cui il maestro le
esprime.
Di ciò Platone ne parla nel “Fedro” tramite Socrate che racconta del rifiuto della scrittura da
parte di un sovrano egizio e qui ci spiega inoltre che la scrittura può ingannarci, dandoci
l’impressione di sapere qualcosa che in realtà non sappiamo.
Quindi per Platone il testo scritto è solo una imitazione imperfetta del linguaggio parlato.

Nonostante le similitudini tra Platone e Socrate (il quale si rifiutò completamente riscrivere
testi filosofici), Platone non rifiutò interamente la scrittura come il maestro, infatti utilizzò lo
stile più simile possibile alle discussioni orali, ossia il dialogo.
La maggior parte di questi ha come protagonista Socrate e il nome che gli fu attribuito
derivava dalle persone con cui quest’ultimo colloquiava eccetto per: “La Repubblica”, “Il
Sofista”, “Il Politico”, “le leggi” e “Il Simposio” che derivano dal contesto e dal principale
argomento trattato.
Usò questo stile perché qui poteva inserire i tratti fondamentali della pratica orale, ossia il
veloce susseguirsi di idee diverse, l’analisi dei ragionamenti e le varie obiezioni.
Platone pensò anche però che la scrittura era come uno strumento ausiliario, perché quella
essenziale era discussione orale e proprio nel “Fedro” Socrate paragona i testi scritti ad un
farmaco che cura e avvelena il corpo allo stesso tempo.

I dialoghi di Platone si suddividono in tre gruppi:


-Dialoghi giovanili/socratici:
● scritti dopo la morte di Socrate
● obiettivo di fornire un resoconto della vita/dottrina di Socrate
● il più famoso è “apologia di Socrate” che non è proprio un dialogo perché è il discorso che
Socrate tiene in tribunale.

-Dialoghi della maturità:


● li scrive tra i 40 e i sessant’anni prima di andare a Siracusa
● Il protagonista è Socrate, ma qui oltre al suo pensiero, Platone ci mostra una sua personale
visione filosofica
● Per dire ciò usa il mito che con la sua chiarezza produce importanti effetti pedagogici, ma lo
usa anche come funzioni divulgativa per semplificare concetti complessi quando i concetti
vanno vanno aldilà della comprensione razionale (es: Simposio, Repubblica, Fedro)
-Dialoghi della vecchiaia/dialettica:
● scritti negli ultimi anni della sua vita
● qui sviluppa completamente la dialettica che serve per dare una definizione alle cose
● la figura di Socrate viene sempre di meno usata fino a scomparire
● lo stile si allontana da quello iniziale di Socrate perché ora usa di più lunghi interventi nel
quale vengono discussi argomenti filosofici.

A loro volta i dialoghi che sono compresi questi gruppi si dividono in:
-Diretti
● le battute si susseguono nel presente
● la maggioranza dei dialoghi sono diretti
-Indiretti
● anche in questi in un cornice dialogica, ma alcuni personaggi rievocano dialoghi
passati riferiti dal narratore
● i suoi dialoghi più importanti sono indiretti (Simposio, Fedone, Parmenide e
Repubblica)

L’etica, esempio di Socrate:


Prima di morire Socrate diede una sorta di spiegazione della virtù, identificandola nel sapere
e capendo che un’azione è virtuosa se compiuta consapevolmente.
Oltre a ciò dimostrò ai presunti sapienti che in realtà non lo erano, dichiarando che il suo
unico sapere era quello di non sapere, ma nonostante capì questo, egli lasciò ai suoi
discepoli il problema della conoscibilità della virtù.
Per questo Platone in molti dialoghi ricerca una definizione che poi non viene trovata, per
sostenere la tesi per chi pensa di possedere il potere assoluto si sbaglia.
Questi dialoghi in cui viene posta una domanda, ma non viene data la risposta,si chiamano
dialoghi aporetici.
In questi ultimi, il lettore è preso dalla capacità di Socrate nel fare obiezioni, ma al termine
del dialogo non si arriva mai ad una definizione valida anche se risultano ben chiare quelle
che sono errate.
Il problema della conoscibilità della virtù emerge soprattutto nel “Protagora”, “Gorgia” e nel
“Menone” che vengono spesso chiamati “Trilogia della virtù”.
Nel Protagora si affronta la domanda: “si può insegnare la virtù” e Protagora sostiene di sì
perché lui ne è capace.
Questo però si limita ad insegnare regole di comportamento che variano caso per caso e
quindi non sa identificare la virtù con la precisione.
Protagora sostiene però che se questa è legata al sapere allora è per forza insegnabile, ma
solo se connessa al vero sapere e alla fine il dialogo Socrate si auto-rimprovera perché è
caduto in contraddizione.
Platone quindi narra tutto ciò sostenendo che sì, la virtù è insegnabile, ma per poterlo fare è
necessario possedere il sapere in cui questa consiste.

Nel Gorgia, invece, Socrate pone il problema della definizione della retorica e proprio Gorgia
che la insegna ai giovani gli risponde dicendo che è l’arte di costruire discorsi persuasivi su
cosa è e non è giusto.
Socrate contesta e dice che se la retorica coincide con la persuasione non insegna in realtà
nulla di giusto perché sono tecniche che servono a fare sembrare giuste e virtuose cose che
non lo sono.
Paragona poi la retorica alla cosmetica che ci mostra un corpo sano, ma solo tramite la
ginnastica raggiungiamo quel corpo sano.
La cosmetica è solo una tecnica di manipolazione e come questa si contrappone alla
ginnastica, la filosofia si contrappone alla retorica, e il sapere che la filosofia dovrebbe avere
per contribuire al benessere delle anime, è ancora da definire.

La grandezza di Socrate consiste nell’aver difeso la sua concezione di virtù e lui stesso ha
fatto della sua vita e morte un esempio di cosa significa vivere secondo la virtù.
Socrate stesso però parla delle capacità limitate e insoddisfacenti degli esempi, più in
particolare nel Menone contesta che la virtù è presa tramite degli esempi, infatti gli uomini
possono fare da esempio, ma di per sé non ci dicono che cosa è la virtù e nemmeno ci
danno il pensiero filosofico connesso ad essa.

Da ciò viene da pensare che la virtù, non essendo osservabile, non esiste, ma esistono solo
degli esempi che ne danno la prova.
Platone non è però d’accordo, infatti per lui la virtù è un valore morale che esiste
indipendentemente dagli individui virtuosi e se non possiamo vederla è perché quello che
osserviamo sono apparenze ed è necessario andare oltre a queste.
Questa è la svolta della filosofia platonica, che parte dalla concezione iniziale del maestro
per giungere ad una conclusione ontologica inerente alla struttura della realtà e tale
conclusione è alla base della principale teoria platonica, ossia la teoria delle idee.

La teoria delle idee:


Platone, dopo aver constatato che quando ci guardiamo attorno vediamo per esempio azioni
virtuose, ma non virtù in sé per sé, capì che tutto ciò che noi percepiamo con i nostri sensi è
soltanto un’apparenza di realtà, che lui stesso chiamò mondo sensibile.
Qui ci sono le cose concrete di varie forme, ma anche gli esseri viventi tra cui l’uomo.
Platone ritenne che tutto ciò che si trova nel mondo sensibile è organizzato secondo le idee
che sono al di là di questa realtà, cioè nel mondo intelligibile.
e idee sono quindi i concetti astratti e immateriali e mentre delle cose nel mondo sensibile
sono numerose e visibili tramite i sensi, queste sono uniche e sono visibili solo mediante una
facoltà cognitiva superiore, ossia l’intelletto.

Il concetto platonico di idee è perciò molto differente dal nostro, anche se per entrambi le
concezioni, queste sono immateriali.
Tuttavia quelle platoniche esistono indipendentemente da quello che accade nelle singole
menti, poiché se ognuno avesse le proprie idee queste non potrebbero funzionare come
principi di riferimento validi per tutti e per tutto.
Se le idee fossero pensieri nella mente, il mondo intelligibile dipenderebbe dal quello
sensibile e appunto per questo per Platone è il mondo intelligibile che definisce quello
sensibile.
In sintesi, le idee sono immateriali ma non soggettive, le possiamo conoscere solo grazie
all’intelletto perché situate nel mondo intelligibile e pertanto queste sono anche eterne e
immutabili.
Seguendo questa logica Platone definisce il mondo intelligibile come iperuranio, che si
trova aldilà del cielo e questo è quindi uno spazio astratto e costituito dall’insieme delle idee.
All’interno del mondo intelligibile, le idee si distribuiscono su due livelli: sul livello inferiore
le idee costituiscono un modello per le cose del mondo sensibile: per esempio nel Fedone
Platone spiega che se nel mondo sensibile ci sono cose come caldo o freddo è perché nel
mondo intelligibile c’è il concetto di entrambi.
Invece sul livello superiore vi sono le idee che permettono di valutare ciò che accade nel
mondo sensibile e in questo caso prendono il nome di valori.
Questi specificano come dovrebbe essere il mondo sensibile, ma poi spetta a coloro che
sono lì la decisione sul come agire.
Al vertice di questo livello c’è l’idea del bene ovvero il principio supremo per Platone poiché
questa permette a tutte le altre idee di valere come principi di organizzazione del mondo
sensibile e noi possiamo conoscere tali idee solo grazie a queste idea del bene.

Nel mondo sensibile, invece, si trovano le cose concrete anche se ci sono cose che
sembrano reali, ma non lo sono come per esempio le immagini delle ombre, degli specchi o
dei dipinti.
Queste immagini si basano su supporti reali (la superficie che proietta lo specchio) e
raffigurano oggetti che possono essere reali, ma quello che vediamo nell’immagine di per sé
non è reale, poiché è una semplice apparenza.
Per Platone però, la differenza tra cose e immagini è necessaria per capire la relazione tra i
due mondi, poiché le idee funzionano come modello per il mondo sensibile allo stesso modo
per cui le cose funzionano come modelli per le immagini.
Una certa cosa determina come deve essere fatta un’immagine per poter raffigurare.

Le relazioni che collegano i due mondi sono tre per Platone:


1)Imitazione o Mimési, che lega le immagini alle cose che queste raffigurano anche se
nell’imitazione per Platone c’è sempre un grado di perfezione, poiché non esiste
un’immagine così precisa da coincidere perfettamente con l’oggetto che raffigura e
analogamente nel mondo sensibile non ci sono cose che corrispondono perfettamente ad
un’idea.
2)La partecipazione o Metessi, che significa che le cose, in quanto imitazioni delle idee
prendono parte all’esistenza delle idee, poiché le cose tendono ad adeguarsi ad esse
sebbene il mondo sensibile non corrisponde perfettamente a quello intellegibile, non va
inteso come una falsa copia ingannevole.
3)La presenza o Parusia, che significa che le cose rendono più presenti nel mondo sensibile
le idee stesse e queste possono solo rendersi presenti nelle cose che imitano.

Teoria della conoscenza: il mito della caverna


Dalla teoria dell’essere di Platone consegue la sua teoria sulla conoscenza, poiché questa
consiste nell’andare oltre l’esperienza del mondo sensibile per elevarsi alle idee del mondo
intelligibile.
Per spiegare meglio tale teoria, nella Repubblica, Socrate, introduce il mito della caverna al
suo interlocutore.
Socrate gli chiede di immaginare dei prigionieri incatenati in una caverna da tutta la loro vita,
ma le loro spalle c’è un fuoco che proietta della luce sul muro di fronte.
Tra il muro e il fuoco si muovono delle persone creando delle ombre, nonché le uniche cose
visibili ai prigionieri e quindi il mondo delle ombre appare ai loro occhi come se fosse il
mondo vero.
Così Socrate spiega la nostra illusione di realtà che abbiamo nel mondo sensibile grazie all’
imitazione delle idee del mondo intelligibile.
Il mito però continua con uno dei prigionieri che si libera e che inizia ad esplorare la caverna
fino a trovare una via di uscita, anche se si trova in difficoltà.
Il prigioniero esce e piano piano riconosce che quello era il mondo reale, mentre le ombre
della caverna erano solo limitazioni di questo.
Iniziò poi ad ambientarsi fino ad adattarsi completamente la luce per poi contemplare tutto
ciò che è in cielo, compreso il sole per ultimo.

Socrate quindi spiega che il filosofo è nella stessa situazione del prigioniero, poiché si
distingue dagli altri uomini perché non ha più l’illusione della realtà e quindi riconosce che ad
esistere realmente sono le idee.
Inoltre se per i prigionieri il punto di arrivo nel processo di liberazione è la scoperta del sole,
per il filosofo, il suo processo di elevazione, è la scoperta dell’idea del bene.
Capiamo quindi che in questo mito i prigionieri rappresentano gli esseri umani nel mondo
sensibile, mentre l’uscita dalla caverna è il processo che ci fa accedere alla conoscenza del
mondo intelligibile.
Per Platone, inoltre, l’anima delle persone non appartiene al mondo sensibile, sebbene si è
imprigionata in un corpo questa è immateriale e immortale e quindi prima di essersi
incarnata, era come le idee che hanno accesso al mondo intelligibile.
Tuttavia una volta nel corpo, l’anima è distratta dalla proiezione falsa delle idee quindi le
dimentica, ma il ricordo di queste rimane ancora radicato nell’anima ( va ritrovato e
riattivato).

Per Platone quindi, la conoscenza consiste nella reminiscenza, ossia nella riattivazione
delle idee precedentemente contemplate.
Una persona non appena riconosce questo ricordo delle idee viene risvegliata dalle cose per
percepire il mondo sensibile, quindi conoscere le cose consiste di base nel ricordarle.
Conoscere e Ricordare è alla base della teoria platonica sulla conoscenza, anche detta
innatismo e proprio questa concezione è discussa nel Menone, dove Socrate pone delle
domande riguardanti l’area di un quadrato ad un schiavo che ignorava l’esistenza della
matematica.
Alla fine del discorso lo schiavo riesce a dare una risposta a Socrate, ma non perché
conosce le idee o le regole matematiche, ma perché tramite suggerimenti e le domande di
Socrate è riuscito a recuperare quei concetti dentro di sé.

Dalla teoria della reminiscenza capiamo che per Platone c’è però una divisione tra
esperienza sensibile e conoscenza intellettiva:
la prima porta ad una forma di conoscenza imperfetta, ossia l’opinione idoxa,
la seconda ci fa raggiungere una conoscenza detta scienza/epistéme.

La politica:
il percorso di elevazione fino al mondo intelligibile è descritto nel mito della caverna che
potrebbe concludersi positivamente, ma per Platone il prigioniero che ormai ha imparato a
vivere nella realtà, deve tornare nella caverna per aiutare gli altri.
Questi sono restii a liberarsi poiché quella per loro era normalità ormai e non vogliono
rinunciarvi.
Socrate paragona nella Repubblica la condizione del prigioniero liberato che ritorna a quella
del filosofo che torna nel mondo sensibile per guidare gli uomini verso la virtù e il sapere,
nonostante abbia accesso al mondo intelligibile.
Facendo così, il filosofo mette rischio la propria vita, ma lo deve fare, infatti la virtù che
deriva dal sapere consiste nel rendere partecipe agli altri di tale sapienza e di aiutarli ad
organizzare nel miglior modo la vita collettiva, assicurandosi che a capo dello Stato ci sia
qualcuno con così tanto sapere da poterlo diffondere agli altri.
L’esito della ricerca del sapere è dunque la partecipazione alla vita pubblica/politica.

Il benessere della società deriva dalla giustizia e proprio nella Repubblica Socrate indaga la
vera natura della giustizia facendo domande e obiezioni, ma al contrario dei dialoghi
socratici, qui si procede in direzione della soluzione corretta.
Socrate capisce che per rispondere deve mettere come soggetto della ricerca la collettività,
poiché la giustizia si manifesta all’interno della comunità organizzata da una Polis.
Queste si formano perché gli uomini da soli non riescono a soddisfare i loro bisogni.
Una comunità è formata da: agricoltori (forniscono cibo), manifattori e commercianti.
Questa disposizione non tiene conto però delle debolezze e delle tendenze degli uomini,
poiché occorrono figure come medici e custodi che fronteggiano il loro squilibrio.
Una società guidata dai governanti è detto Stato i suoi abitanti sono i cittadini che nello
Stato ideale hanno tre classi: i governanti, i guerrieri e i produttori che esercitano funzioni
pratiche.
Quindi per comprendere l’idea di giustizia bisogna capire come funziona lo Stato ideale e
come devono relazionarsi le categorie di cittadini.

Nello Stato ideale ognuno delle tre classi deve essere composta da persone con
caratteristiche adatte alla loro funzione: i produttori richiedono mansioni pratiche e dato che
non sono stimolati, queste persone devono essere motivate da desideri egoistici.
I guerrieri devono avere una notevole forza sia fisica che psicologica e infine governanti
richiedano le eccellenza nel sapere, dato che devono prendere decisioni utili per tutto lo
Stato e per questo Socrate paragona tali figura a quella del filosofo.
Governanti e guerrieri in quanto custodi sono esonerati nelle attività produttive mentre i
produttori garantiscono il bene anche se per loro è obbligatorio obbedire ai comandi dei
governanti.
Tuttavia sia governanti che guerrieri seguendo questa logica, devono esercitare il potere
solo per la comunità non essendo condizionati da alcun fattore né familiare, né economico e
quindi questi non devono possedere altro al di fuori del proprio potere.

Questo Stato ideale è come una aristocrazia del sapere e della ragione guidata dai custodi
che limitano l’egoismo dei produttori, ma se questi utilizzassero il loro potere per fine
egoistici, avverrebbe la degenerazione dello Stato intero che per Platone può essere di
quattro tipi:
1)Timocrazia nella quale l’orgoglio è maggiore dell’interesse comune
2)Oligarchia cioè che il potere ce l’ha una minoranza
3)Tirannide nel quale prevalgono i desideri e l'arbitrio individuale
4)Democrazia ovvero quando coloro che dovrebbero governare non sono abbastanza
autorevoli poiché la maggior parte dei cittadini persegue i propri propri interessi.
L’idea di giustizia come armonia:
Tra le 3 parti caratterizza la giustizia nel caso del singolo individuo e quindi ora è possibile
stabilire che è una persona giusta.
Per Platone tale persona è colui che pratica la virtù e quindi una persona è giusta se le
componenti della sua anima sono in armonia da loro, dato che c’è una sorta di analogia tra
le componenti dello Stato e quelle dell’anima.
l’istinto è mosso dal desiderio del mondo sensibile proprio come produttori, l’impero compie
azioni mobili ispirate dall’idea del bene come accade ai guerrieri che affrontano pericoli per il
bene dello Stato mentre la ragione guida l’anima governando gli impulsi come governanti
guidano lo Stato da questa analogia, Platone riesce a risolvere la questione tra virtù e
sapere di Socrate.

Uno Stato è è l’ giusto solo se anche i suoi custodi lo sono, così da poter esercitare la virtù e
quindi questi vanno educati e sottoposti a una rigida disciplina che li educa ad apprezzare
l’importanza dell’ordine, dell’equilibrio e della bellezza.
nella prima fase dell’educazione, si impara ai giovani custodi la ginnastica (per l’armonia del
corpo), l’arte l’ (educa la sensibilità per la bellezza) e la matematica (addestra la loro
intelligenza).
Questa fase è in comune con i guerrieri e dura fino a 20 anni, sono le fasi successive che
danno ai custodi una comprensione del mondo delle idee e la disciplina fondamentale per
fare ciò la dialettica.

Quest’ultima studia le idee mediante l’unificazione e la suddivisione e ha lo scopo principale


di prendere l’idea come principio in comune tra varie cose.
Un esempio è nella Repubblica dove spiega che l’idea di giustizia può essere unitaria
perché da armonia tra le parti, ma lo stesso tempo analizza lo Stato dal punto di vista dello
Stato e dell’individuo.
Per Platone la dialettica è appunto una pratica principalmente orale poiché il linguaggio
produce effetti immediati sull’allievo.

Al fine che i prossimi custodi siano virtuosi, questi devono avere buoni insegnamenti che
vanno protetti da quelli cattivi per non indebolire l’anima.
Per Platone dovrebbe esserci quindi una estrema vigilanza su tutto ciò che forma una
persona, dalle fiabe alle opere letterarie e artistiche che conosciamo durante la formazione.
L’arte può essere dunque nociva poiché potrebbe distrarre i giovani custodi all’obiettivo
iniziale della conoscenza ed è inoltre un’imitazione di un’imitazione dato che riproduce solo il
mondo intelligibile.
Nella Repubblica inoltre, si parla dell’ipotetica caccia degli artisti dalle Polis, dato che un
futuro custode non potrà mai diventarlo se condizionato dalla cattiva arte e dalla cattiva
poesia.

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