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L’età della Controriforma (1560-1600)

DALLA RIFORMA ALLA CONTRORIFORMA


L’avvenimento culturale più importante del XVI secolo è rappresentato dalla Riforma protestante, che ha
origine nel 1517 dalla protesta di Martin Lutero nei confronti della corruzione della Chiesa romana, e che
ben presto si diffonde in tutta l’Europa del Nord.
La reazione della Chiesa cattolica consiste nella convocazione del Concilio di Trento che, durato dal 1545 al
1563, si concluderà con l’affermazione della supremazia della Chiesa cattolica e dell’autorità papale in
materia di fede. Ha inizio così l’età della Controriforma, durante la quale il potere ecclesiastico
intensificherà l’opera di controllo e repressione su ogni forma di dissenso.
La lotta contro l’eresia sarà condotta soprattutto dalla Santa Inquisizione e dal tribunale del Sant’Uffizio.
Tra i compiti di quest’ultimo vi è la redazione dell’Indice dei libri proibiti, elenco ufficiale di tutte le opere,
contemporanee, passate e tradizionali, ritenute contrarie ai dettami della Chiesa. I testi della tradizione
vengono così modificati e riadattati, elemento che attenuerà il fenomeno della ricerca filologica.
Il rapporto tra intellettuali e potere religioso diventa sempre più difficile, con le accademie che si
trasformano in organi ufficiali al servizio della Chiesa e il mondo editoriale che si uniforma ai dettami della
Controriforma: nella seconda metà del XVI secolo, quindi, quasi tutto il mondo culturale si troverà sotto
l’influenza della Chiesa cattolica.

LE TENDENZE CULTURALI
In netto contrasto con i concetti di ordine, misura ed equilibrio presenti nelle opere del primo
Rinascimento, la linea di tendenza culturale e letteraria che si va delineando nel periodo della
Controriforma è una tendenza che si richiama ad una realtà di tipo basso, che recupera gli aspetti irrazionali
dell’esistenza. Inoltre, il rifiuto per il vincolo, avvertito come eccessivamente restrittivo, delle regole
stilistiche, determinerà lo sprigionarsi di forse opposte e contrastanti: è proprio in questo contesto che è
possibile cogliere la genesi del Manierismo.
La corrente artistico-culturale del Manierismo rappresenta un ritorno all’irrazionale e la rottura degli
equilibri precedenti. Si avverte inoltre un nuovo senso di inquietudine esistenziale, che si riflette nella
rinuncia all’armonia compositiva e alla ricerca di un’espressione più problematica e meno pacificata.

I contenuti più tipicamente manieristici sono rappresentati nei seguenti temi (crisi certezze razionali):
- Tema della follia
- Tema della malinconia (componenti fondamentali poesia Tasso)
- Paura della morte, dell’ignoto e del mistero portano gli autori ad abbracciare tematiche magico-
demoniache (Vita di Cellini, Gerusalemme liberata di Tasso)
- Tema dell’orrore (settori della novellistica e della tragedia)
- Soluzioni utopiche (Città del Sole, Campanella)

Per quanto riguarda la scelta di soluzioni formali, alla misura del classicismo si contrappone la ricerca di
soluzioni esasperate ed estreme, con una mescolanza e contaminazione di stili e generi diversi.
La ricerca di effetti capricciosi e bizzarri spesso di basa su situazioni paradossali o grottesche, attraverso la
mescolanza tra genere tragico e comico.
Tra le caratteristiche principali del Manierismo vi è quindi una forte tendenza sperimentale, che porta alla
ricerca di inedite combinazioni.

I generi principali, nel Manierismo, sono:


- Produzione in prosa -> dialogo mimetico, consente di esprimere pluralità di opinioni;
- Trattatistica politica poco sviluppata, ma presente con Della Ragion di Stato;
- Inaugurazione, con la Vita, del filone letterario dell’autobiografia;
- In ambito poetico, poesia epica più trattata rispetto a quella cavalleresca;
- Introduzione di genere inusuale, la favola pastorale (frutto contaminazione tra elementi commedia,
tragedia e poesia bucolica).
BENVENUTO CELLINI
Orafo e scultore, al servizio di grandi committenti come il papa, il re di Francia Francesco I e Cosimo de’
Medici, Benvenuto Cellini (1500-1571) condusse una vita sregolata, macchiandosi di reati gravi come
l’omicidio (ne compì 3). La sua personalità passionale ed energica, talvolta violenta, oltre a non permettergli
di stabilirsi in un luogo per lunghi periodi della sua vita, sarà al centro della Vita.
Nella narrazione della propria vita Cellini riversa un’enorme tensione esistenziale, che lo porta a presentare
ogni aspetto con caratteri iperbolici: raffigura sé stesso come un grande artista teso a vincere le avversità
della fortuna mediante la propria virtù, pur negli aspetti contraddittori del proprio carattere (sfrenata
immoralità – forte sentimento religioso).
Egli intende porre la propria vota come esempio di catarsi dalla degradazione morale per grazia di Dio.
Lo stile della Vita è caratterizzato da una colorita dialettica fiorentina e da una sintassi varia, spesso
contraddittoria e priva di armonia e chiarezza.

Uno dei passi più famosi della Vita di Cellini è quello della fusione del Perseo, perché si riferisce all’attività
principale dell’artista e tratta dell’aspetto tipico dell’autobiografia celliniana: l’affermazione della volontà
dell’individuo sugli elementi ostili della natura e della storia.
Lo slancio vitale del protagonista non è separabile dall’interesse per i problemi della tecnica, che
accompagnano l’esecuzione dell’opera. Ciò nonostante, Cellini riesce a compiere l’opera soprattutto grazie
al “furore”, virtù soprannaturale che fa di lui una specie di “superuomo”.
questa prospettiva di giudizio deve tuttavia tenere presente l’intervento divino: la vittoria sugli elementi
negativi è accompagnata da un’invocazione a Dio, che già in altre occasioni lo aveva soccorso.
La febbre può essere considerata quindi di origine diabolica, un momento transitorio, a cui segue una vera
e propria purificazione. In questo episodio risulta quindi fondamentale la contrapposizione tra bene e male.

TOMMASO CAMPANELLA
Calabrese d’origine, il frate domenicano Tommaso Campanella (1568-1639) visse nel segno della ribellione
all’autorità ecclesiastica e politica. Fu processato sia per eresia sia per aver partecipato a congiura contro
prepotenza dei feudatari e del clero calabrese. Durante i 27 anni passati in carcere scrisse quasi tutte le sue
Poesie e opere di contenuto filosofico, teologico e politico.
L’opera più importante di Campanella è La città del Sole. Gli interlocutori sono un ospitalario, un genovese
nochiero di Colombo, il quale racconta come, sbarcato sull’isola di Taprobana, venisse condotto alla città
del Sole, una città ideale, in cui il potere temporale e spirituale è affidato a un principe sacerdote e a 4
ministri. Tutti i beni sono in comune, comprese le donne: questo aspetto garantisce l’assoluta uguaglianza
dei cittadini: i compiti e i gradi sociali sono assegnati a seconda delle attitudini e dei meriti di ognuno.
Da questa organizzazione statale derivano altre scelte politiche:
- Guerra solo come mezzo per difendere gli oppressi;
- Giustizia basata su poche leggi ed eseguita pubblicamente;
- Importanza, nell’educazione, della preparazione filosofica, metafisica e astronomica.
-
La comunione dei beni, La città del sole
Sull’esempio della Repubblica di Platone, Campanella immagina una citta-stato in cui coloro che hanno abbandonato
la propria patria decidono di vivere alla “filosofica”.
Il sistema ipotizzato dall’autore si basa sul rovesciamento delle relazioni sociali esistenti, in cui l’”amor proprio”
(egoismo) ha creato gravi ingiustizie. Il vivere alla filosofica in commune presuppone quindi l’abolizione della proprietà
privata, la comunanza dei beni, condanna del lusso e privilegi, amministrazione pubblica ed efficiente della giustizia. La
felicità viene così a coincidere con l’eliminazione dei bisogni e la realizzazione di una sostanziale uguaglianza (deriva
idea società comunistica, valori originari crist. primitivo)
Il tema dell’utopia consiste proprio in questa città, proiezione fantastica dei desideri e delle speranze di un mondo
migliore. La raffigurazione di una città utopica rappresenta un polemico rifiuto del presente e una fuga dalla realtà del
proprio tempo.
Lo Stato ideale ideato da Campanella, tuttavia, ha anche un significato politico: l’opera sembra nascere infatti dalla
condanna di quel sistema di soprusi a cui erano costretti i popoli del Sud Italia. L’opera assume quindi un significato di
denuncia e di protesta (i “molti filosofi” erano sfuggiti a “predoni e tiranni”, trasposizione allegorica legata alle
condizioni del proprio tempo, che conv. Campanella a part. congiura).
GIORDANO BRUNO
Nato a Nola nel 1548 e divenuto frate domenicano, nel 1563 è costretto a lasciare l’Italia per l’accusa di
eresia, trovando rifugio in varie città europee, tra cui Parigi, Ginevra e Londra. Viene arrestato a Venezia e
trasferito a Roma dove, dopo un lunghissimo processo, viene condannato al rogo, essendosi rifiutato di
ritrattare le proprie tesi, nel 1600.
La prima opera pervenuta di Giordano Bruno è la commedia Il candelaio (1582) che ridicolizza, attraverso
l’uso di un linguaggio dissacrante, le storture della mentalità e del costume del tempo.
L’atteggiamento polemico e sarcastico nei confronti delle istituzioni culturali del tempo è evidente anche in
molti altri dialoghi dell’autore.
Egli inoltre non accetta il sistema tolemaico (terra al centro), avvicinandosi alle idee di Copernico. Dalla
prospettiva dell’esistenza di un universo infinito, Bruno celebra il valore supremo della filosofia: essa è
superiore alla religione, alla quale viene attribuito un ruolo strumentale, di guida delle masse.
Il suo rifiuto delle regole e della letteratura pedantesca si affianca all’idea di poesia come “eroico furore”,
libera ispirazione di origine divina.
Oltre al rifiuto dei modelli vi è anche un rifiuto delle regole della letteratura rinascimentale, attraverso
l’utilizzo di un linguaggio incontenibile, che rifiuta norme grammaticali e sintattiche, riflessione di un uomo
che non è più al centro di un universo gerarchizzato, ma proiettato in un cosmo misterioso.

Contro le regole e i pedanti, Eroici Furori, Dialogo I


In quest’opera sono evidenti alcuni dei tratti caratteristici dell’opera letteraria e del pensiero di Bruno:
la poesia viene intesa come una forma di ispirazione divina, intollerante di vincoli e limitazioni: per questo
non può nascere dalle regole, ma va affermato che solo dalla poesia si possono ricavare alcune regole.
Attraverso questa visione, Bruno entra in contrasto sia con le premesse metodologiche e teoriche di epoca
cinquecentesca sia con gli “anticlassicisti”, che avevano puntato tutto sul rovesciamento dei contenuti e
delle forme della letteratura idealizzante. Bruno si propone invece di azzerare la situazione precedente,
senza compromessi.
La polemica di Bruno investe una letteratura senza valori propositivi, ridotta a puri esercizi formali, priva di
ogni tipo di autentica funzione: una letteratura che è giunta al termine della sua parabola storica.

L’intellettuale incompreso, Atto IV, Scena XVI, Il candelaio


La comicità della scena è giocata su espedienti tipici della commedia del ‘500, quali i fraintendimenti
linguistici, la beffa ai danni del pedante Manfurio e il travestimento della banda diretta da Sanguino.
La comicità è data dal fatto che tutte le affermazioni in latino di Manfurio vengono volutamente distorte
dalla banda di Sanguino, che fingono di non capire.
Il linguaggio della scena presenta una mescolanza tra registri diversi: quello alto dell’intellettuale “pedante”
Manfurio, che si ostina a usare una lingua morta anche nella vita quotidiana, contrapposto a quello asso e
volgare dei falsi birri.
Tra il mondo intellettuale ed astratto di Manfurio e quello realista e plebeo di Sanguino non c’è
comunicazione: il pedante viene preso in giro e aggredito dai birri, che fingono di non conoscerlo (topos
letterario). Si fronteggiano quindi due linguaggi e due tipi di personaggi tipici della letteratura
cinquecentesca: il pedante, non in grado di elaborare un prodotto culturale originale (Aretino), e il soldato
spaccone e volgare (Plauto).
La satira di Bruno si scaglia nei confronti di una falsa cultura (in grado solo di ripetere dogmi astratti), di una
falsa moralità e di una falsa sicurezza, con cui una certa società elabora i propri schemi intellettuali.
Si scaglia quindi contro una cultura divenuta retorica, degradata nell’astratto dei dogmi.

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