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NIETZSCHE (Abbagnano)

Nasce a Rocken, presso Lipsia, nel 1844. Da giovanissimo comincia a scrivere poesie e comporre
musica e si immatricola come studente di teologia a Bonn, per poi trasferirsi a Lipsia dove studia
anche la filologia classica e conosce e apprezza gli scritti di Schopenhauer. A soli 24 anni ottiene la
cattedra di Lingua e letteratura greca presso l’Università svizzera di Basilea; entra in rapporto con il
musicista Richard Wagner, di cui diviene un fervente ammiratore. Nel 1872 pubblica il suo primo
libro, “La nascita della tragedia”, che incontra l’ostilità dei filologi. Intanto compone altre opere,
mentre l’amicizia con Wagner si affievolisce: Nietzsche vede in lui l’estremo rappresentante del
Romanticismo e scorge nella sua esistenza orientata verso il cristianesimo l’affermarsi di uno spirito
di rassegnazione e rinuncia. La sua salute si va indebolendo e, sempre alla ricerca di climi favorevoli
e di un benessere che non verrà mai, vive tra la Svizzera, l’Italia e la Francia in solitudine. Stabilitosi
a Torino dopo una serie di vicissitudini personali, ai primi del 1889 Nietzsche ha un crollo psichico e
comincia a scrivere lettere esaltate ad amici, uomini di Stato, membri di case regnanti. Sarà l’amico
e filosofo Overbeck a farlo ricoverare in una clinica per malattie nervose. Viene preso in custodia
dalla sorella, che fonda un archivio a Weimar con il proposito di gestire l’eredità letteraria del
fratello e conservarne i manoscritti. La fama del filosofo cresce proprio quando lui, immerso nelle
tenebre della follia, non può più rendersene conto. Muore a Weimar il 25 agosto 1900, mentre i
libri che aveva dovuto pubblicare a proprie spese corrono ormai per tutta l’Europa.
Il nome di Nietzsche è stato associato per lungo tempo alla cultura nazifascista: questa lettura è
stata sicuramente agevolata dalle azioni della sorella, la quale ha contribuito a diffondere
l’immagine del fratello come teorico e propugnatore di una paligenesi reazionaria dell’umanità.
Complice anche il noto episodio della visita di Hitler all’archivio, al termine della quale il dittatore,
dopo aver ricevuto da Elisabeth un bastone appartenente al filosofo, uscì tra due ali plaudenti di
folla. Bisogna anche ammettere che nei testi editi e inediti di Nietzsche si trovano spunti
antidemocratici e antiegualitari atti a favorire una lettura “reazionaria” o “di destra”, nonostante
risulti decisamente eccessiva la pretesa di attribuirgli la paternità dell’ideologia nazionalsocialista.
Il pensiero di Nietzsche risulta caratterizzato da una critica radicale della civiltà e della filosofia
dell’Occidente, che si traduce in una distruzione programmatica delle certezze del passato. Egli
tratteggia un nuovo tipo di umanità nell’immagine del “superuomo”, e a questa originalità di
contenuti accompagna la ricerca di nuove modalità espressive e forme di comunicazione filosofica.
A partire a “Umano, troppo umano” (1878-1880) opta per la forma breve dell’aforisma, cioè
un’illuminazione istantanea finalizzata a cogliere le cose al volo. “Così parlò Zarathustra” (1883) si
ispira invece alla scrittura in versetti propria dei Vangeli, segue il modello della poesia in prosa e
dell’annuncio profetico, ricco di simboli, allegorie e parabole. Negli ultimi scritti prevalgono invece
l’esposizione autobiografica e l’invettiva polemica.
L’opera di Nietzsche viene convenzionalmente suddivisa in quattro fasi, da considerare come tappe
transitorie di un pensiero in divenire:
1) Gli scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano (1872-1876) – “La nascita della
tragedia”
2) Gli scritti intermedi del periodo illuministico (1878-1882) – “Umano, troppo umano”, “La gaia
scienza”
3) Gli scritti del meriggio o di Zarathustra (1883-1885) – “Così parlò Zarathustra”
4) Gli scritti degli ultimi anni o del tramonto (1886-1889) – “L’Anticristo”, “Ecce homo”.

IL PERIODO GIOVANILE
“La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo” (1872) è
un’opera composita, nella quale coesistono filologia, filosofia, estetica, teoria della cultura. Il
motivo centrale è la distinzione tra APOLLINEO e DIONISIACO: con questa coppia di opposti (che si
concretizza in altre sottocoppie, come forma-caos, stasi-divenire, finito-infinito, sogno-ebrezza,
luce-oscurità) Nietzsche intende indicare, innanzitutto, i due impulsi di base dello spirito e dell’arte
dei greci.
- L’Apollineo, che scaturisce da un impulso alla forma e da un atteggiamento di fuga di fronte al
divenire, si esprime nelle forme limpide e armoniche della scultura e della poesia epica;
- Il Dionisiaco, che scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, si esprime
nell’esaltazione creatrice della musica e della poesia lirica.
In contrasto con l’immagine dominante di una Grecia come mondo della serenità e dell’equilibrio,
egli insiste sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca, portata a scorgere
ovunque il dramma della vita e della morte e gli aspetti orribili dell’essere. L’apollineo nasce
proprio come conseguenza di una visione dionisiaca dell’esistenza e dal tentativo di sublimare il
caos nella forma, di trasfigurare l’assurdo in qualcosa di definito e armonico. In un primo tempo i
due impulsi convissero separati e opposti, ma nell’età della tragedia attica (Eschilo e Sofocle) si
armonizzarono tra loro, dando origine a capolavori sublimi. La tragedia manifesta, infatti, il perfetto
accoppiamento tra apollineo e dionisiaco. Nell’arte successiva si nota il prevalere dell’apollineo,
con un conseguente processo di decadenza che si concretizza nella tragedia di Euripide e attinge la
sua espressione paradigmatica nell’insegnamento di Socrate, ossia del filosofo cui si rifà il
tragediografo e con il quale si compie l’uccisione delle profondità istintuali della vita. La decadenza
della tragedia funge così da spia rivelatrice della decadenza della civiltà occidentale nel suo
complesso e trova il proprio simbolo nell’opposizione tra uomo tragico e uomo teoretico.
Per Nietzsche il Dionisiaco è una costante antropologica che costituisce il substrato di ogni uomo.
La celebrazione dello spirito tragico e dionisiaco coincide con una forma di celebrazione edlla vita
che tende a porsi al di là del pessimismo e dell’ottimismo. Per Nietzsche la vita è dolore, lotta,
incertezza, errore. Essa non ha ordine né scopo, ma è dominata dal caos e due atteggiamenti sono
allora possibili:
Il primo è quello della rinuncia e della fuga, che mette capo all’ascetismo (Schopenhauer)
Il secondo è quello dell’accettazione della vita così com’è, mette capo alla vita stessa e al
superamento dell’uomo stesso.
Il mondo è per Nietzsche una sorta di gioco estetico e tragico, costituito dalla lotta tra gli opposti
primordiali della vita e della morte, della gioia e del dolore. Soltanto l’arte riesce a comprenderlo
veramente, e da ciò la natura metafisica dell’arte e la sua funzione di organo della filosofia. Tutto
ciò sfocia nell’ideale di una rinascita della cultura tragica incentrata sull’arte e, in particolare, sulla
musica, di cui il filosofo scorge in Wagner un’incarnazione emblematica.
Storia e Vita
Tra il 1873 e il 1876 Nietzsche compone le quattro “Considerazioni inattuali”, che si traducono in
un’opera di critica della cultura contemporanea. Egli si schiera apertamente contro lo storicismo e
lo storiografismo, sostenendo che l’eccesso di storia indebolisce le potenzialità creatrici dell’uomo,
fino a trasformarsi in lui in una vera e propria malattia. Sentendosi in balia del passato, che con i
suoi fardelli soffoca la “forza plastica” della vita, l’uomo risulta incapace di creare qualcosa di
nuovo nel presente e, nella sua impotenza, finisce per accontentarsi di una sorta di consumismo
della storia. Secondo Nietzsche, nella vita è indispensabile il fattore oblio, innanzitutto perché
senza una certa dose di incoscienza non c’è felicità e, in secondo luogo, perché per poter agire
efficacemente nel presente occorre saper dimenticare il passato. La storia deve essere al servizio
della vita e non viceversa: la vita deve essere l’ottica entro la quale rapportarsi alla storia per
instaurare un rapporto proficuo col passato. Nietzsche identifica 3 tipi di storia e storiografia,
ognuna delle quali presenta un aspetto positivo e uno negativo.

La storia monumentale è propria di chi guarda al passato per cercarvi modelli e maestri che non
scorge nel presente: compete a chi è attivo e nutre aspirazioni, ma essa tende a mitizzare o ad
abbellire il passato cancellandone alcuni accadimenti, e stimola all’eccesso.
La storia antiquaria è propria di chi guarda al passato con fedeltà e amore, al punto da riconoscersi
frutto ed erede di una tradizione che lo giustifica: essa compete a chi preserva e venera, ma ha la
tendenza a “mummificare” la vita, cioè a paralizzare l’agire e a ostacolare ogni progetto di
cambiamento.
La storia critica è propria di chi guarda al passato come a un peso da cui liberarsi per poter vivere:
compete a chi soffre e sente la necessità di rompere con la tradizione, ma la conseguenza negativa
consiste nel portare a dimenticare che noi siamo il risultato delle scelte delle precedenti
generazioni e che non è possibile liberarsi totalmente dal loro condizionamento.
Tali atteggiamenti si possono correggere solo in virtù di un approccio che integri tutte e tre le
possibili tipologie di rapporto con la storia.

IL PERIODO ILLUMINISTICO
“Umano, troppo umano” (1878-80) segna l’inizio di un nuovo periodo del filosofare di Nietzsche,
caratterizzato dall’esplicito ripudio dei maestri di un tempo (Schopenhauer, Wagner diventano
espressioni della decadenza moderna). Abbandona la “metafisica da artista” e privilegia la
prospettiva della scienza. Se prima metafisica e arte fungevano da vie preferenziali di accesso
all’essere, ora il filosofo si impegna in una critica della cultura tramite un metodo scientifico di
pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli errori che gravano sulle loro menti. I concetti o le
figure in cui si concretizza la filosofia illuministica sono lo SPIRITO LIBERO e la FILOSOFIA DEL
MATTINO.
Lo spirito libero si identifica con il viandante, ossia con colui che grazie alla scienza riesce a
emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando così la filosofia del mattino, basata sulla
concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.
Per Nietzsche, Dio è il simbolo di ogni prospettiva oltremondana, che contrapponga questo a un
altro mondo, e la personificazione delle certezze ultime dell’umanità, di tutte le credenze elaborate
nel tempo per dare un senso e un ordine rassicurante alla vita. Lo definisce la più antica delle bugie
vitali, e identifica nell’origine dell’idea di Dio la paura dell’uomo di fronte all’essere. Ne “La gaia
scienza” (1882) l’autore “drammatizza” il messaggio della morte di Dio, attraverso il racconto
dell’uomo folle, ricco di simboli e immagini che veicolano profondi messaggi.
La morte di Dio coincide con l’atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare il
faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormai maturo per varcare l’abisso che
divide l’uomo dal superuomo, che ha come condizione necessaria del suo essere l’abbandono della
religione e della vertigine da essa provocata, conquistando il mare aperto delle possibilità
connesse alla libera progettazione della propria esistenza. L’universo di Nietzsche è tale solo se si
fonda sul presupposto di un mondo sdivinizzato, inequivocabilmente ateo. Il suo ateismo vuole
essere così radicale che egli contesta ogni ipotetico surrogato di Dio, ben conscio che gli uomini,
abbattute le vecchie credenze, tendono a crearne di nuove.

IL PERIODO DI ZARATHUSTRA
In questa nuova fase si raggiunge la consapevolezza che con l’eliminazione del “mondo vero” è
stato tolto di mezzo anche il “mondo apparente”, cioè ogni scissione dualistica della realtà.
Nietzsche presenta Zarathustra (profeta persiano vissuto probabilmente tra il 1000 e il 600 a.C.)
come colui che, essendo stato il primo a “creare l’errore fatale” della morale, deve anche essere il
primo a riconoscere quell’errore. I temi di base dell’opera “Così parlò Zarathustra” (1883-85) sono:
il superuomo, la volontà di potenza, l’eterno ritorno.
Il Superuomo
È un concetto filosofico di cui Nietzsche si serve per esprimere un modello di uomo in cui si
concretizzano i temi di fondo del suo pensiero. È colui che è in grado di accettare la dimensione
tragica e dionisiaca dell’esistenza, di reggere la morte di Dio e la perdita di certezze, di emanciparsi
dalla morale e dal cristianesimo, di porsi come volontà di potenza. In quanto tale, si colloca
sull’orizzonte del futuro: infatti, sebbene Nietzsche si sforzi di trovare nel passato i precursori del
superuomo, quello di cui parla è irriducibile ad altri modelli. È un nuovo tipo di uomo, un
“oltreuomo” che si colloca al di là di ogni tipo antropologico dato, capace di creare nuovi valori e di
rapportarsi in modo inedito alla realtà. Esso è presentato come “il senso della terra”: l’uomo è
sostanzialmente corpo, l’anima, che dovrebbe essere il soggetto di un’ipotetica esistenza
ultraterrena, è insussistente. Questa rivendicazione della natura terrestre del superuomo si lega
all’accettazione totale della vita che gli è propria. Nietzsche descrive la genesi e il senso del
superuomo alla stregua di una libertà che libera se stessa e narra “tre metamorfosi dello spirito”: -
il cammello rappresenta l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio, alla
morale, al dovere;
-il leone rappresenta l’uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, ma raggiungendo una
libertà negativa, libertà “da” e non “di”;
- il fanciullo rappresenta il superuomo, quella creatura che, nella sua innocenza ludica, sa dire si
alla vita e inventare se stessa a guisa di “spirito libero”.
L’Eterno Ritorno
Nietzsche presenta la teoria dell’eterno ritorno dell’uguale, ovvero della ripetizione eterna di tutte
le vicende del mondo, come il pensiero più profondo e decisivo della sua filosofia. Nel discorso
intitolato “La visione e l’enigma”, Zarathustra narra di una salita su un impervio sentiero di
montagna durante la quale egli, con il nano che lo segue, giunge di fronte a una porta carraia con
la scritta “attimo” (=il presente) e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che “nessuno ha mai
percorso fino alla fine”, in quanto si perdono nell’eternità. Essi dirigono rispettivamente al passato
e al futuro. Zarathustra chiede al nano se le due vie siano destinate a contraddirsi in eterno, e alla
sua risposta vaga che allude alla circolarità del tempo, il profeta chiede “non dobbiamo tutti esserci
stati un’altra volta? Non dobbiamo ritornare in eterno?”. Segue la controversa scena del pastore e
del serpente, volta a dimostrare come l’uomo può trasformarsi in superuomo solo a patto di
vincere la ripugnanza soffocante del pensiero dell’eterno ritorno e di accettarlo. Nietzsche recupera
una concezione precristiana del mondo, che presuppone una visione ciclica del tempo opposta a
quella rettilinea di tipo cristiano-moderno.
“Tutto va, tutto torna indietro: eternamente ruota la ruota dell’essere. [...] Ricurvo è il sentiero
dell’eternità”.
Credere nell’eterno ritorno significa non poter sperare che il senso dell’essere sia “fuori”, un oltre
irraggiungibile e frustrante, ma nell’essere stesso; significa anche disporsi a vivere la vita, e ogni
attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso, realizzando la “felicità del circolo”.

L’ULTIMO NIETZSCHE
Nelle opere dell’ultimo periodo campeggia il tema della critica della morale e del cristianesimo,
considerati come le tipiche forme di coscienza e azione attraverso le quali l’uomo è giunto a porsi
contro la vita stessa. Nietzsche entra in una polemica serrata con il proprio tempo e, tra i toni
esaltati e violenti propri di un iconoclastico filosofare “con il martello”, si propone di distruggere
definitivamente le credenze dominanti, per fare posto all’avvento di un nuovo pensiero finalizzato
alla creazione del superuomo.
Il primo passo da compiere è quello di mettere in discussione la morale e, in vista di ciò, il filosofo
tenta di svelarne l’origine psicologica. Egli ritiene che i pretesi valori trascendenti della morale e la
morale stessa, intesa come specifico modo di essere, non siano altro che la proiezione di
determinate tendenze umane; anche la “voce della coscienza” è solo espressione della presenza in
noi delle autorità sociali dalle quali siamo stati educati. La moralità si configura come “l’istinto del
gregge nel singolo”, il suo assoggettamento a determinate direttive fissate dalla società. Con il
cristianesimo, inoltre, questa appare improntata ai valori antivitali del disinteresse,
dell’abnegazione, del sacrificio di sé, frutto del risentimento dell’uomo debole verso la vita. Poichè
ha inibito gli impulsi primari dell’esistenza e ha corrotto le sorgenti naturali della gioia e del piacere
mediante la nozione di PECCATO, il cristianesimo storico ha prodotto un tipo di uomo malato e
represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza e che sfociano in
un’aggressività rabbiosa contro la vita e in uno spirito di vendetta verso il prossimo. A tutto questo
Nietzsche contrappone la più risoluta ed entusiastica affermazione della vita, una radicale
trasvalutazione di tutti i valori da intendere come un nuovo modo di rapportarsi a essi,
concependoli come proiezioni libere dell’uomo e della sua antiascetica volontà di potenza.
La Volontà di Potenza
Nietzsche identifica la volontà di potenza con l’intima essenza dell’essere, ovvero con il carattere
fondamentale di ciò che esiste: essa si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva e
autosuperantesi (autocreazione, libera produzione di sé medesima al di là di ogni piano
prestabilito). La molla fondamentale della vita è la spinta all’autoaffermazione di sé e trova la sua
espressione più alta nel superuomo. Dalla concezione della vita come autocreazione segue che
l’arte (forza creatrice) sia la sua forma suprema: “il mondo è un’opera d’arte che genera se stessa”.
L’artista può essere definito come la prima visibile figura dell’oltreuomo.
La volontà di potenza ha il proprio culmine nell’accettazione dell’eterno ritorno, ovvero nell’atto
tramite il quale il superuomo si libera dal peso del passato e comprende il carattere creativo e
redentore della volontà rispetto al tempo.
[Di fronte ai concetti di sopraffazione e dominio connesse alla volontà di potenza è possibile
osservare gli aspetti antidemocratici e antiegualitari che emergono dal pensiero di Nietzsche].
Nichilismo
In un primo momento Nietzsche intende per nichilismo la “volontà del nulla”, ovvero ogni
atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo concreto (platonismo, cristianesimo).
In una seconda accezione, lo adopera per la specifica situazione dell’uomo moderno e
contemporaneo che, non credendo più nei valori supremi di Dio, del bene, della verità, finisce per
avvertire lo sgomento del vuoto e del nulla. Avendo immaginato fini assoluti e realtà trascendenti,
dopo aver scoperto che non esistono l’uomo piomba nell’angoscia: quanto più si è illuso, tanto più
è rimasto deluso.
Nietzsche definisce se stesso come il “primo perfetto nichilista d’Europa”, che però ha superato e
lasciato dietro di sé questo stato intermedio che appare come un “no” alla vita e che, attraverso
l’esercizio della volontà di potenza, prepara il grande “si” ad essa. Il passo in avanti avviene nel
momento in cui il nichilismo, da distruttivo, passa al momento costruttivo o creativo, ovvero
quando ci si rende conto che il senso, non essendo ontologicamente dato, deve essere
umanamente inventato: accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la
morte delle antiche certezze e delle vecchie fedi è il significato ultimo del superamento del
nichilismo.
Prospettivismo
Niezsche utilizza il termine per indicare la teoria secondo la quale, non esistendo cose o fatti, ma
solo interpretazioni circostanziate di cose o di fatti, il mondo cessa di avere un unico senso per
acquistarne innumerevoli, che corrispondono ad altrettante interpretazioni formulate da
determinati angoli prospettici. Alla base di ognuna di esse stanno bisogni e interessi collegati
all’istinto di conservazione e alla volontà di potenza. Le “verità”, allora, sono solo “illusioni di cui si
è dimenticata la natura illusoria”. Gli stessi concetti e categorie (Kant) sono schematizzazioni che,
per il fatto di essersi ormai consolidate, vengono scambiate per verità oggettive e modi di essere
della realtà. Coerentemente con questa visione, Nietzsche critica la scienza moderna e la sua
visione meccanicistica e deterministica, che ha imposto un’interpretazione univoca della realtà ben
lontana dal polimorfismo della natura.
Il fatto che non esista un criterio assoluto di verità non significa, però, che tutte le interpretazioni
siano equivalenti: come criteri principali di scelta il filosofo indica la salute e la forza, cioè la vita
stessa come volontà di potenza.

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