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NIETZSCHE

Nietzsche è un pensatore dell’800. Nasce vicino Lipsia a Röcken nel 1844, era figlio di un
pastore protestante. Studia alla prestigiosa scuola di Pforta, nota per i suoi rigidi sistemi
educativi. Studia teologia, segue le lezioni di filologia classica di Friedrich Ritschl. Legge
“Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer e ne rimane particolarmente
colpito, tanto è vero che comincia la sua vicenda sotto il segno di Schopenhauer, a cui
dedica anche una delle sue considerazioni “Schopenhauer come educatore”. Ottiene molto
giovane la cattedra di Lingua e letteratura greca all’Università di Basilea. Nietzsche ha
un’amicizia con Richard Wagner. Dunque Schopenhauer, Wagner, il pessimismo, il
dramma musicale e l’importanza dell’arte segnano la giovinezza di Nietzsche, insieme al
fatto che è un filologo. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché scrive un testo, che
è “La nascita della tragedia” del 1872. Nietzsche pensa di scrivere un testo filologico sulla
nascita della tragedia, sulla quale vi è una discussione lunghissima sull’origine del genere
tragico in Grecia. Egli quindi interviene in questo dibattito, ma il suo libro sarà stroncato dai
filologi perché risulta un libro più filosofico che filologico. Ad un certo punto la sua amicizia
con Wagner si incrina: per quanto ne sappiamo per un motivo anche filosofico, cioè
Wagner dà un’inclinazione religiosa al suo pessimismo, si converte anche al cattolicesimo.
Questo è inaccettabile per Nietzsche, che invece inizia un percorso che lo porterà al
nichilismo attivo, cioè non della rinuncia come quello di Schopenhauer, ma un nichilismo
attivistico (quello dell’OLTRE UOMO e della VOLONTÀ DI POTENZA). Inizia un periodo,
che è definito periodo illuministico. Scrive dei libri, in cui non solo si distacca da Wagner,
dalla sua visione al cristianesimo, ma inizia a criticare la cultura occidentale, a mostrarne le
radici istintuali non razionali (Nietzsche è proprio un critico radicale del razionalismo
europeo) con un famoso testo, “Umano troppo umano” del 1878. In quest’opera Nietzsche
pensa di dimostrare che tutte le cose più elevate in cui si credeva fino a qualche
generazione fa in Europa - come gli ideali morali, i principi logici, quelli religiosi (a cui poi
dedicherà opere successive) - sono umane troppo umane, cioè non sono cose
trascendenti, non sono cose religiose, non vengono dall’alto, ma dalla nostra
organizzazione biologica, chimica, dalla nostra struttura istintuale. Si ammala, diventando
molto nervoso/psichico. Rinuncia alla cattedra e, anche in preda alla follia, gira per
l’Europa: Svizzera, Italia, Francia, Engadina. Un’opera importante del 1882 è “La gaia
scienza”, in cui si affacciano alcune tesi tipiche della dottrina nietzschiana. Altra opera
molto importante è “Così parlò Zarathustra” (1883), in cui Nietzsche consegna il suo
messaggio presentandosi come un ‘profeta’ (profeta dell’oltre uomo, del superamento
dell’uomo, profeta dell’eterno ritorno, di una nuova visione della vita), lui che in realtà aveva
rovesciato tutte le concezioni religiose tradizionali. Importante è anche “Al di là del bene e
del male” (1886) e “Genealogia della morale” (1887).
Inoltre si incontra un personaggio della storia familiare di Nietzsche, ed è la sorella
Elisabeth Forster-Nietzsche. Essa era sposata con un personaggio antisemita ed era
l’editrice delle opere di Nietzsche. Quest’ultimo, prima di cadere nella follia, aveva lascito
degli appunti, una parte di questi appunti venne pubblicata come “La volontà di potenza”
nel 1901. Testo importante anche perché la sua pubblicazione avviene in un clima di
esaltazione nazionalistica, tedesca; è un testo che sarà interpretato in chiave nazional-
socialista ed è questo il problema di questa edizione. E la sorella è l’artefice, insieme ad
altri, dell’interpretazione di Nietzsche come pensatore reazionario, nazional-socialista.
Nietzsche muore il 25 agosto del 1900.
IL RAPPORTO CON IL NAZISMO
Secondo alcuni Nietzsche è stato fondamentale per la genesi del nazional-socialismo. Un
testo che interpreta Nietzsche in chiave nazionalista è quello di Alfred Baumler intitolato
“Nietzsche, il filosofo e la politica” (1931), agevolato dalle operazioni messe in atto dalla
sorella. Sicuramente l’edizione dell’opera (La volontà di potenza) curata dalla sorella,
Elisabeth Forster-Nietzsche, favorisce l’interpretazione e l’attenzione di tipo nazionalista
di Nietzsche, attenzione che addirittura lo stesso Hitler ha avuto nei confronti di Nietzsche.
Questa concezione però ha le sue radici, al di là della scorretta edizione degli appunti di
Nietzsche, nel fatto che le opere di Nietzsche sono ricchissime di riferimenti anti-
democratici, anti-socialisti, contro la mentalità comune, contro l’eguaglianza.
Nietzsche è un pensatore anti-democratico e anti-egualitario, quindi è chiaro che poi il
pensiero anti-egualitario anti-democratico di destra, troverà in questo autore un punto di
riferimento. [Perché poi c’è tutto questo problema?] Certamente perché i grandi interpreti di
Nietzsche, fra cui Heidegger, si allontanano dalla lettura nazista di Nietzsche; ma
soprattutto il problema nasce dal fatto che nel secondo dopoguerra, a partire dagli anni
settanta, c’è una lettura progressista di Nietzsche, che diventa un’icona di sinistra [NON
DIRLO ALL’INTERROGAZIONE = diventa un’icona di sinistra perché a un certo punto negli
anni sessanta e settanta la cultura della contestazione di sinistra vuole contestare l’ordine
borghese, la logica e i valori tradizionali, il cristianesimo, la sessuofobia e Nietzsche diventa
un autore ‘spendibile’ da questo punto di vista, a cui si può fare ricorso per dire che
dobbiamo mettere in questione tutta la storia culturale europea da sinistra].

LE CARATTERISTICHE DEL PENSIERO E DELLA SCRITTURA DI NIETZSCHE


Il pensiero di Nietzsche si pone come un pensiero di demolizione della cultura tradizionale,
da cui il titolo dell’opera “Filosofare col martello”. Egli nell’Ecce homo dice: Io non sono un
uomo, sono dinamite. Nietzsche, infatti, riesce a cogliere il momento di rottura della
cultura classica europea. Tutti i valori tradizionali sono rovesciati (=Non c’è più l’alto e il
basso, la catena che ci legava al sole è rotta, Dio è morto). A questa cultura di tutto ciò che
era definito in Europa non bisogna rispondere come Schopenhauer, come Wagner, con la
rinuncia - il pessimismo - con la rassegnazione, ma cercando di dar vita ad un nuovo tipo
umano, ciò che Nietzsche tratteggia con l’immagine dell’oltreuomo (übermensch), nel
senso di andare al di là dell’uomo. [l’HOMO NOVUS del fascismo, il SUPER UOMO di
D’annunzio, il quale tuttavia dà una versione semplicistica, un po' retorica, non ha lo
spessore e la profondità di Nietzsche].
Nietzsche pensa che la demolizione della cultura tradizionale europea sia il presupposto di
una nuova esistenza libera degli esseri umani, senza ipocrisie, senza maschere, di tipo
ideologico o morale. Ciò che noi chiamiamo morale in realtà è solo espressione di un
cattivo sentimento, cioè il ‘risentimento’. Nietzsche scrive un testo, “La genealogia della
morale”, in cui dice che ciò che noi crediamo essere forme di razionalità (i valori morali
come la giustizia, l’umiltà, la moderazione) in realtà sono espressione del risentimento dei
deboli (il debole ha bisogno dei valori morali per proteggersi, il forte prende quello che
vuole). La genealogia, ossia l’origine della morale è non un principio elevato (il dovere
kantiano) ma il risentimento degli infelici.
A questa originalità di contenuti si unisce la ricerca di nuove modalità espressive e di nuove
forme di comunicazione filosofica. Il pensiero non si struttura più nella forma del trattato,
perché Nietzsche è un pensatore antisistematico. Non c’è una ragione sulla base della
quale costruire un sistema, anzi tutto è CAOS e non dobbiamo accettare questo caos
gioiosamente come fanciulli, danzare nietzschianamente. Dobbiamo essere capaci di
danzare sul caos, quindi anche la forma letteraria non può essere sistematica: per questo
utilizza l’aforisma. Tuttavia non basta leggere un aforisma per capirlo, piuttosto dopo
averlo letto bisogna cominciare ad interpretarlo. In Nietzsche tutto è interpretazione, lui
stesso dirà “non esistono fatti morali, ma solo interpretazioni morali dei fatti”.

LE FASI DEL FILOSOFARE NIETZSCHIANO


L’opera di Nietzsche si suddivide in varie fasi:
 Gli scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano
 Gli scritti intermedi del periodo ‘illuministico’ o ‘genealogico’
 Gli scritti ‘del meriggio’ o ‘di Zarathustra’
 Gli scritti degli ultimi anni o ‘del tramonto’

IL PERIODO GIOVANILE
Il pensiero di Nietzsche nasce da un testo “La nascita della tragedia dallo spirito della
musica: Ovvero grecità e pessimismo” (1872). È un’opera che non ha un successo
accademico perché nel mondo accademico tedesco si è sempre stati piuttosto rigorosi nel
rispetto delle metodologie scientifiche di ogni settore. Il testo di Nietzsche, invece, mette
insieme filosofia, filologia, estetica, critica della cultura e dunque non corrispondeva ai
canoni di rigore filologico del tempo.
Nietzsche è convinto che per comprendere il mondo greco bisogni superare il modello
neoclassico, l’interpretazione di una grecità caratterizzata dall’armonia, dall’equilibrio, da
quella che Hegel chiama ‘la bella e felice eticità dei greci’. Secondo Nietzsche questa
rappresentazione del mondo greco è data da due elementi dello spirito della grecità:
 L’elemento Apollineo (dal dio Apollo, dio del sole ma anche della razionalità, della
misura, dell’equilibrio, del sapere), che scaturisce da un impulso alla forma,
all’equilibrio e alla razionalità, si esprime nella scultura e nella poesia epica.
 L’elemento Dionisiaco (dal dio Dioniso, dio del vino, dell’ebbrezza, della sensualità,
della danza), che scaturisce da una forza vitale, si esprime nella musica e nella
poesia lirica.
Dunque secondo Nietzsche nello spirito dei greci erano presenti queste due tendenze
opposte: volontà di sublimazione della vita nelle forme razionali dell’equilibrio e della
misura (spirito apollineo), ma anche un confronto con la vita per quella che essa è, cioè
caos-impulso-orrore-morte (spirito dionisiaco). I greci sarebbero stati capaci di un rapporto
intenso con la vita, avrebbero visto in faccia gli orrori e le atrocità dell’esistenza e avrebbero
reagito a tutto questo attraverso una ricerca della forma e dell’equilibrio. Nietzsche
rappresenta quello greco, come uno spirito attraversato da una lacerazione fra un senso
dell’esistenza nei suoi caratteri istintuali e una reazione che consisterebbe nel tentativo di
sublimare il caos alla forma.
La tragedia greca, secondo Nietzsche, nasce dallo spirito dionisiaco e raggiunge però una
condizione di armonia e di equilibrio, che si esprime proprio nei tragici greci. Ma nel primo e
secondo tragico greco: Eschilo e Sofocle. Quest’ultimi rappresenterebbero una sorta di
momento di equilibrio tra elemento apollineo e elemento dionisiaco [Che cos’è la tragedia
greca? Cit.: “Un coro dionisiaco (l’elemento dionisiaco si esprime nel ‘coro’) che sempre di
nuovo si scarica in un mondo apollineo di immagini” (l’elemento apollineo è nella
rappresentazione del ‘dialogo’).
Questa armonia tra apollineo e dionisiaco, tuttavia, viene turbata dal prevalere
dell’elemento apollineo, il cui responsabile è Euripide. Nelle tragedie di Euripide, infatti, il
coro è marginalizzato, prevale l’elemento del dialogo, i personaggi non sono più preda di
un destino cieco ma sembrano riuscire a ragionare su ciò che avviene. Dunque Euripide si
rifà all’insegnamento razionalistico e ottimistico di Socrate, l’avvelenatore della vita, con cui
prevale la razionalità e vengono uccisi gli istinti vitali (opera che sarà completata
successivamente da Platone). Tutto questo rappresenta, per Nietzsche, la rottura
dell’equilibrio sotteso alla tragedia greca e la decadenza della tragedia. Quest’ultima
decade non solo come forma letteraria, ma decade la civiltà (sic et simpliciter): prevale
sull’uomo tragico, cioè l’uomo che si confronta con l’aspetto orribile della vita ma è capace
di dire «sì» alla vita, l’uomo teoretico, cioè l’uomo che si rifugia nelle forme concettuali
sfuggendo così al divenire (l’uomo socratico prima e platonico dopo).
Questo momento della filosofia di Nietzsche è un momento profondamente condizionato
dal pensiero di Schopenhauer e anche dall’esperienza della musica wagneriana. Nietzsche
fa propria la lezione pessimistica di Schopenhauer, ma respinge la soluzione dell’ascesi.
Al pessimismo si deve rispondere con un sì alla vita. In Nietzsche la vita viene vista nella
sua tragicità, ma a questa vita tragica dobbiamo dire di sì, accettarla, e non rifugiarci nelle
forme della razionalità per difenderci dell’inquietudine del divenire. Dobbiamo essere
dionisiaci, cioè accettare l’ebbrezza della vita e naturalmente le sue conseguenze.
In questo momento Nietzsche è convinto che la rinascita della civiltà passi attraverso una
nuova forma di arte, in grado di recuperare la lezione dei tragici greci: il dramma
wagneriano, forma d’arte che mette insieme musica e dramma.

Storia e vita
Nietzsche scrive quattro “Considerazioni inattuali” un testo che racchiude quattro saggi di
critica della cultura contemporanea.
Nietzsche sostiene che la sua epoca sia caratterizzata da un eccesso di conoscenza
storica [l’800 è il tempo del culto della storia] e che questo indebolisce le potenzialità
creatrici dell’uomo, fino a trasformarsi in una ‘malattia’. Inoltre, per Nietzsche, la storia
favorisce l’idolatria del fatto: il fatto del passato, gli esempi del passato, la grandezza del
passato. Interessante qui è la messa in discussione del fatto e la difesa della vita: secondo
Nietzsche, per ognuno di noi è necessario il fattore oblio, sia perché senza una certa dose
di incoscienza non c’è felicità, sia perché per poter agire efficacemente nel presente
bisogna saper dimenticare il passato.

IL PERIODO ILLUMINISTICO
Nietzsche scrive un testo “Umano, troppo umano” (1878-1880) che segna l’inizio del
periodo illuministico. Tale periodo è caratterizzato dal ripudio di Schopenhauer e
Wagner, visti ormai come decadenti e malati.
Questo cambiamento conduce al passaggio dalla metafisica alla scienza, che non vuol
dire scienza meccanicistica ma l’applicazione di criteri di indagine razionale e spregiudicati
a tutto ciò che storicamente è stato considerato vero. Qui Nietzsche è convinto che sia
necessario una vera e propria critica culturale di tutto il patrimonio di sapere - metafisico,
religioso, artistico – del passato, orientata ad emancipare l’uomo dagli errori del passato
(critica degli idoli in Bacone).
Per far questo Nietzsche adopera un metodo critico e storico-genealogico: critico perché
eleva il ‘sospetto’ a regola di indagine (considerato uno dei maestri del sospetto insieme a
Marx e Freud), storico-genealogico perché cerca di ricostruire le origini dei nostri valori,
concetti, convinzioni che spesso sono storiche (es. il processo che ci conduce a dire che
esiste Dio).
Il metodo di Nietzsche si articola in due fasi:
1. In primo luogo un’analisi storico-concettuale, che mostra come quei concetti che
vengono ritenuti ‘eterni’, sono in realtà frutto di un processo storico e dunque relativi
e contingenti
2. In secondo luogo una critica demistificante, attraverso la quale i concetti vengono
privati del loro carattere mistico, etereo, teoretico e ricondotto alla vita e alle sue
esigenze
In Umano, troppo umano e Genealogia della morale Nietzsche parla del suo metodo come
di una «chimica delle idee e dei sentimenti»: chimica nel senso di analizzare/sciogliere
(ana luo) i fenomeni complessi nei loro elementi di base e vedere quali sono e gli elementi
di base delle nostre più elevate convinzioni sono sempre interessi, bisogni e istinti. Quindi,
qual è la vera radice di Dio e dei nostri valori trascendenti? I nostri bisogni, ossia qualcosa
di umano, troppo umano. Questa filosofia è per Nietzsche una filosofia del mattino, o
filosofia di spiriti liberi, ovvero una filosofia della vita, dell’esistenza nella sua incertezza.

La morte di Dio e la fine delle illusioni della metafisica


[Qual è la più lunga delle nostre menzogne? Dio]. Nietzsche, come Schopenhauer, è
convinto che non bisogni dimostrare l’inesistenza di Dio. Non c’è il problema di negare
l’esistenza di Dio, perché Dio è già morto. Nietzsche è convinto che il mondo e la cultura
del suo tempo siano sdivinizzate, cioè prive di una sincera fede in Dio. Ciò che resiste, in
realtà, è un’abitudine legata ai nostri interessi a credere che Dio esista, ma fino in fondo
nessuno ci crede più. Qui Nietzsche comprende qualcosa che poi fa parte della storia
soprattutto della seconda metà del novecento, cioè la “scristianizzazione”. Nella cultura
europea dell’ottocento Dio scompare, con lui scompare qualsiasi prospettiva
oltremondana, cioè qualsiasi convinzione che esista al di là del mondo dell’esistenza, e
scompare tutto un mondo di certezze, le quali, secondo Nietzsche, erano menzogne che
servivano a vivere, inventate per reagire ad un mondo caotico e crudele.
Nei “Frammenti postumi” dice Nietzsche: «Di fonte a questo mondo insensato Dio serviva a
dare fiducia». Queste menzogne servivano a convincerci che al di là delle apparenze, il
mondo avesse un senso logico. Il senso logico del mondo, per Nietzsche, è una bugia
vitale: non riusciremmo a vivere senza mentire a noi stessi, dicendoci che in fondo c’è un
senso logico delle cose. Dunque quello che Nietzsche capisce è che la cultura scientifica,
storica, di stili di vita che si affermano nell’Europa della seconda metà dell’ottocento sono
incompatibili con questa bugia vitale.
Nella “Gaia Scienza”, Nietzsche drammatizza il messaggio della morte di Dio: un folle
uomo corse al mercato dicendo di: «Cerco Dio! Cerco Dio!» e annuncia ai compresenti, i
quali ovviamente lo trattano come un pazzo, che Dio è morto e «siamo stati noi ad
ucciderlo: voi e io!» (‘noi’ ovvero l’Europa contemporanea). Tuttavia questo annuncio se era
gioioso in Feuerbach (= Dio è morto quindi noi siamo liberi), in Nietzsche c’è il senso
sconvolgente della morte di Dio, poiché significa che non c’è più l’altro e il basso, che il
mondo ha perso il suo ancoraggio, che siamo soli e sperduti in un universo caotico.
Questo frammento contiene una ricca simbologia filosofica. Infatti l’uomo folle rappresenta il
filoso-profeta; gli ascoltatori rappresentano i borghesi o gli intellettuali del suo tempo,
coloro secondo cui morto Dio rimane la scienza, la storia, la democrazia. Tutto ciò che
Nietzsche interpreta come sostituti di Dio, anch’essi illusioni. Una Parte della cultura
dell’ottocento non ha compreso che Dio è morto, vivendo come se Dio fosse ancora
qualcosa in cui è possibile credere, ma anche chi ha compreso la fine della fede in Dio (es.
gli atei) non hanno compreso il carattere sconvolgente: se Dio non esiste più, tocca
all’uomo prendere il suo posto, e quindi cercare di dare un senso alla vita che non ne ha. È
soltanto perché Dio non esiste che noi siamo finalmente liberi di diventare “oltreuomini”,
ma per fare questo dobbiamo rifiutare qualsiasi surrogato di Dio e accettare quello che
veniva definito il ‘mondo apparente”, perché l’unico mondo che resta è proprio quello un
tempo potevamo chiamare apparente, cioè il mondo dell’esistenza con creta con le sue
incertezze e i suoi orrori. Quindi Nietzsche annuncia la morte di Dio, ma questa crea lo
spazio per l’affermazione definitiva di ciò che è oltre l’uomo: un’umanità capace di dare un
senso e dire sì alla vita, senza però inventare menzogne.
ATTENZIONE: La fine della fede in Dio, nei valori morali-teologici-metafisici tradizionali,
paradossalmente, dice Nietzsche, è il portato della stessa educazione filosofica e cristiana,
perché il cristianesimo e la filosofia ci hanno insegnato la passione per la verità. Alla fine
questa ricerca per la verità è come se si rivolgesse contro sé stessa: la ricerca della verità
porta a scoprire che ogni verità è falsa, la ricerca del bene porta a scoprire che ogni valore
morale è un valore fittizio. Dice Nietzsche è una vera e propria auto-soppressione della
morale e anche delle convinzioni teologiche. Abituati a ricercare e a desiderare la verità
alla fine l’uomo dell’ottocento scopre che la verità richiede la soppressione, proprio del « la
più lunga delle nostre menzogne» (DIO).

PERIODO DI ZARATHUSTRA
Con l’opera “Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno” si apre la fase della
“filosofia del meriggio”. Infatti, ormai scomparso il mondo vero, finisce anche il mondo
apparente cioè finisce ogni distinzione tra apparenza e realtà. In quest’opera, Nietzsche
presenta la figura di Zarathustra (fondatore semi-leggendario, nella Persia del VII secolo
a.C., dell’antica religione dello zoroastrismo, cioè la radice del manicheismo, secondo la
quale concezione il mondo era il risultato di una lotta perenne tra due princìpi cosmici che
sono il Bene e il Male). Zarathustra, infatti, dopo essersi ritirato in solitudine in montagna,
scende tra gli uomini ad annunciare la morte di Dio (egli dirà “Gott ist tot!”, “Dio è morto”) e
l’avvento del superuomo.
La domanda che sorge spontanea è “Perché Nietzsche sceglie proprio la figura di
Zarathustra per far rappresentare la sua profezia?” Non c’è una risposta unanime,
probabilmente perché Zarathustra, essendo l’inventore della metafisica della morale, ha il
compito di riconoscere questo errore (questo perché per Nietzsche la distruzione della
metafisica e della morale sia il frutto dell’insegnamento della stessa metafisica e della
stessa morale che perseguono la verità). Il superuomo, presentato in quest’opera, è l’uomo
che assume fino in fondo l’esito nichilistico della cultura europea la quale conduce alla
scoperta che non c’è l’essere, non c’è la verità, non c’è Dio (ucciso dalla cultura europea
contemporanea). Il superuomo capisce che è necessario andare oltre l’uomo, capisce che
c’è bisogno del superamento del modello antropologico tradizione (questo al contrario del
superuomo dannunziano che altro non era che una versione potenziata dello stesso uomo).
Questo superamento avviene grazie alla fedeltà alla terra, non è un superamento di tipo
trascendente. Egli si riconosce come corpo (ritorna il tema del recupero della corporeità
della filosofia del ‘700-‘800, con la differenza che mentre il corpo di Feuerbach viene
razionalizzato quello di Nietzsche è legato alla sua dimensione impulsiva). Nietzsche, in
quest’opera, utilizza immagini molto importanti per rappresentare il percorso verso l’oltre-
uomo concepito come colui che libera sé stesso. Questo cammino è rappresentato da 3
metamorfosi: quella del cammello, quella del leone e quella del fanciullo. La fase del
cammello è la fase dell’accettazione della tradizione, dell’uomo che porta i pesi della
tradizione. La fase del leone è la fase dell’energia distruttiva in cui c’è la liberazione dai pesi
della tradizione. La fase costruttiva è quella del fanciullo, la fase della leggerezza (“il libero
danzare del fanciullo”), del sì alla vita, dell’oltre-uomo grazie alla liberazione dai fardelli
della vita. A tal proposito potrebbe sorgere una domanda: “Ma tutti possiamo diventare
oltre-uomini?”. Per Nietzsche questo non è possibile, negli anni ’60-’70 c’è stata una lettura
di sinistra per la quale questa proposta di liberazione dai pesi della società riguarda tutti ma
questo non è presente in Nietzsche, per il quale la liberazione riguarda una “razza
dominatrice”, una classe elitaria composta da chi ha forza ed energia, il che ha portato a
letture di tipo reazionario di destra. L’altro grande concetto presente in quest’opera è quello
dell’eterno ritorno dell’uguale, “il più abissale dei miei pensieri” per Nietzsche, cioè il
continuo ripetersi delle vicende del mondo. L’idea che tutte le cose si possano ripetere
eternamente è insopportabile se non diamo senso ad ogni attimo della nostra esistenza.
Per Nietzsche si può dire di sì al continuo ripetersi delle cose, accettando la concezione
ciclica del tempo, solo in questo modo. Questa concezione è espressa da Nietzsche con
una serie di immagini e simboli. Questa concezione, secondo la quale tutto ritorna,
rappresenta per Nietzsche una critica alla concezione cristiana ma anche a quella europea
progressista del tempo. Il tempo, per i cristiani, ha una sua struttura lineare, una sua
direzione in avanti e ogni momento successivo rappresenta l’attesa del compimento di
qualcosa di sensato. In questo modo si proietta nel futuro l’attesa di senso che caratterizza
la nostra esistenza. Per Nietzsche questa concezione del tempo rappresenta l’incapacità
dell’uomo di dare senso al presente (tant’è vero che Gianni Vattimo, il quale diede una
grande contributo alla penetrazione del pensiero di Nietzsche nella cultura italiana, chiama
questa struttura del tempo una “struttura edipica”, in cui ogni attimo successivo divora il
precedente come il figlio deve uccidere il padre come nella concezione di Freud). L’eterno
ritorno, al contrario, rappresenta la capacità di dare senso ad ogni attimo. SI danno varie
interpretazioni di questa dottrina: c’è un’interpretazione cosmologica, secondo la quale
Nietzsche volesse recuperare la concezione cosmologica greca in quanto tale. Ma il vero
senso è tutt’altro che questo, esso è antropologico ed etico. L’eterno ritorno dell’uguale è il
modo di vivere l’esistenza dell’oltre-uomo, il quale dà senso ad ogni attimo della sua
esistenza (ipotesi dell’essere). Il tema dell’accettazione della vita sembra avere un limite
rispetto al passato che è al di fuori del potere di chiunque (factum in fectum fieri non potest”
“non è possibile far sì che ciò che non è avvenuto sia avvenuto” ma il superuomo può farlo
e a tal proposito Nietzsche inventa l’”amor fati”. Esso è l’atto con il quale amando ciò che è
stato, il superuomo fa suo ciò che ormai è immodificabile. Nietzsche dice che
quest’accettazione del fato non è qualcosa di passivo ma di attivo il che non è propriamente
corretto perché essendo un’accettazione c’è comunque un elemento di passività.
L’ULTIMO NIETZSCHE
Per avere l’oltre-uomo bisogna liberarci di Dio ma anche di tutte le sue manifestazioni
secondarie come la morale. Accettare la vita, secondo Nietzsche, significa mettere in
discussione tutte quelle regole morali che erano nate dall’ostilità verso la vita. Per
Nietzsche il problema morale del nostro tempo non è più sapere cosa è giusto e cosa è
sbagliato ma è il problema del valore dei valori. Per rispondere a questo problema è
necessaria un’analisi genealogica della morale (vedere la genesi e il processo di
formazione dei nostri valori), cioè fare un’analisi psicologica che dimostra che quei valori
che si presentano come trascendenti non lo sono, quelli che si presentano come
puramente morale e logici non sono indipendenti dalla nostra esperienza. Nietzsche
sostiene che la stessa “voce della coscienza” non è la voce di Dio, del dovere kantiano, ma
la voce di altre persone cioè della società (lo stesso tema che tornerà nel super-io di
Freud). In altre parole, la moralità è “l’istinto del gregge nel singolo”.
Questa voce della coscienza nasce dal fatto che in origine, nel mondo classico, la morale
era l’espressione di valori aristocratici e cavallereschi (morale dei signori), ma questa
morale man mano vede il prevalere della morale degli schiavi, cioè una morale del
disinteresse, dell’abnegazione, del sacrificio di sé. E perché prevale questo tipo di
morale?”. Per Nietzsche, in origine, la classe egemone era composta da guerrieri e
sacerdoti. Ad un certo punto i sacerdoti sentono la propria inferiorità e quindi prevarrà non
con la forza (essendo inferiori) ma con il veleno (indebolendo la forza dei guerrieri), cioè
con la morale il tutto dettato dal risentimento. Per definizione, questo disvalore attuato dal
popolo sacerdotale è incarnato nel popolo ebraico (altro appiglio delle letture di estrema
destra). A questo punto Nietzsche propone una trasvalutazione dei valori, in questo modo
i valori che abbiamo chiamato morali (umiltà, castità, abnegazione) vanno trasvalutati, cioè
rovesciati nuovamente. Bisogna ridare il primato ai valori in quanto tali che per Nietzsche
sono la forza, l’energia, la gioia.

LA VOLONTA’ DI POTENZA
La volontà di potenza per Nietzsche è l’intima essenza dell’essere. Non si tratta della
volontà di vivere di Schopenhauer, in quanto non è semplicemente la volontà di
autoconservazione e di prolungamento dell’esistenza, ma una volontà di autoaffermazione.
Apparentemente potrebbe assomigliare al conatus sese conservandi di Spinoza, ovvero la
spinta a conservare sé stessi non come semplice riproduzione di sé, ma come
ampliamento e potenziamento. Il tema del potenziamento ritorna in questo caso con
Nietzsche come volontà di potenza, ma mentre in Spinoza ognuno di noi è chiamato a
potenziare sé stesso all’interno di un discorso che è quello della sostanza, della metafisica,
di una struttura del mondo che è logica e geometrica. In Nietzsche ognuno di noi è
chiamato ad affermare sé stesso, partendo dal nulla, lo sforzo che si compie è affidato a noi
stessi e non ha nessun orizzonte metafisico sostanziale che lo custodisce e che lo spiega.
[Avere e voler avere di più, in una parola la crescita, ciò è la vita stessa. Si tratta della
mentalità dell’Occidente europeo del 900, caratterizzato dalla volontà di espansione, di
crescita.]
La volontà di potenza è una spinta a diventare migliori, ad essere ricchi di vita, di esistenza
e di esperienza. La volontà di potenza è creatività, produzione di senso e di valori in quanto
è autoaffermazione a partire dall’assenza di riferimenti oggettivi, metafisici e morali. La
volontà di potenza si instaura poi come volontà di dominio, di sopraffazione. Se ne abbiamo
la forza, ne abbiamo il diritto. [Indubbiamente però Nietzsche centrando la visione del
mondo sui valori vitali porterà il suo pensiero a fare i conti con il tema della violenza e del
dominio, perché la vita nella sua essenzialità biologica è fatta anche di sopraffazione,
dominio e violenza]. C’è un'avversione radicale verso l’eguaglianza; Nietzsche dice che la
lotta per l’eguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia perché l’eguaglianza significa
porre sullo stesso livello il debole e il forte, l’incapace e il capace, l’inetto e il vincente.

NICHILISMO
Il nichilismo in Nietzsche ha due significati fondamentali. il primo è la volontà del nulla, ciò
che troviamo in Schopenhauer ma anche nel Cristianesimo secondo Nietzsche, perché di
fronte allo spettacolo della vita nelle sue brutture e imperfezioni, la rinuncia alla vita è vista
come una forma di nichilismo. Siccome il mondo è imperfetto, lo rifiuto, ma nel Platonismo
e nel Cristianesimo il rifiuto si accompagna all’idea che esista un mondo perfetto, all’idea
che esista un Dio che è tutto.
Il secondo significato riguarda la situazione storica dell’uomo contemporaneo, ovvero
l’uomo che ha scoperto che Dio non esiste, che i valori non sono veri valori. Questa
scoperta produce una reazione nichilistica. Nei frammenti postumi, Nietzsche alla domanda
<< che cos’è il nichilismo?>>, risponde <<manca il fine; manca la risposta al ‘perché?’>> e
<< i valori supremi si svalorizzano>>. Diventiamo nichilisti quando scopriamo che non c’è
l’essere, non c’è Dio, a questo punto manca il perché dell’esistenza, i valori si svalorizzano
e più abbiamo creduto in tutte queste cose, più sarà dura la nostra caduta nel nichilismo.
Persa la fede in un’autorità sovraumana ne cercherà un’altra, in grado di parlare un
linguaggio assoluto e di imporre fini e compiti, allora inizierà a credere nello stato, nel
socialismo, nella scienza, nello spirito immanente, la ragione, il gregge, l’istinto sociale. Per
Nietzsche l’uomo non deve abbandonarsi a nuove menzogne, anzi, deve passare da un
NICHILISMO PASSIVO ad un NICHILISMO ATTIVO. Secondo Nietzsche non bisogna solo
prendere atto del fatto che i valori non esistono e crogiolarsi nel nulla; bisogna prenderne
atto e distrugge il mondo delle certezze per dare senso. Se non esiste il mondo vero spetta
a noi il compito di dover dar senso.

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