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LA VITA
(1835 – 1907)
Egli nacque nel 1835 a Valdicastello, in Versilia, da una famiglia benestante. Il padre avrebbe
voluto studiasse medicina come lui ma si laureò in lettere a Pisa nel 1856, iniziando la sua carriera
di insegnante nelle scuole secondarie. Nel 1860, il ministro dell’Istruzione Mamiani, lo chiamò
all’Università di Bologna dove ottenne una cattedra di letteratura italiana per 40 anni. Condusse la
vita del professore e dello studioso (“poeta professore”) circondandosi da allievi devoti alla scuola.
Partecipò attivamente alla vita culturale del tempo collaborando ai periodici culturali di allora:
“Fanfulla della domenica” e “Cronaca bizantina”. Il suo era una carattere battagliero per cui
sostenne varie polemiche letterarie e politiche.
Ottenne il premio Nobel per la Letteratura nel 1906 e morì nel 1907.
Si fece giacobinamente sostenitore dei diritti del popolo, soprannominato la SANTA CANAGLIA,
capace di abbattere le tirannidi e trasformare il mondo rendendolo ricco di virtù civili e di energie
politiche.
Nella maturità però venne gradualmente moderando le sue posizioni accettando la monarchia,
in quanto si rese conto che solo un monarca poteva gestire il popolo e avvicinandosi al
nazionalismo. Egli si trasformò nel POETA UFFICIALE dell’Italia umbertina, IL VATE: colui che
diffondeva arti e nobili valori.
Gli inizi della produzione poetica carducciana sono segnati dal classicismo intransigente degli
“Amici Pedanti”. Per cui le prime raccolte di versi, come Juvenilia e Levia gravia, sono poco più
che esercizi di apprendistato poetico.
Mentre “Giambi ed Epodi” è una raccolta di poesie di un altro livello: già il nome allude alle forme
metriche classiche utilizzate per le poesie di violenta satira e invettiva. Qui infatti il poeta sfoga le
sue ire da democratico e anticlericale contro l’Italia del presente, la politica corrotta, l’oscurantismo
della Chiesa (opposizione al progresso sociale) e la tirannide papale.
Scrive anche un Inno a Satana, che rappresenta l’apice del suo violento anticlericalismo, con
cui scatenò violentissime polemiche, criticando la superstizione religiosa in nome del progresso e
della ragione.
Qui sono raccolte tutte le poesie scritte fino a quel momento, nate da spunti intimi e privati o
dalla sollecitazione della letteratura e della storia. La metrica, che le accomuna, si ri fa alle
forme tradizionali della lirica italiana, il cui elemento particolare è la rima: che da anche il titolo
alla raccolta.
Le poesie ispirate alla letteratura nascono in seguito alla lettura di poeti antichi che ha
suscitato in Carducci emozioni che vuole racchiudere in queste poesie. Ci sono le liriche
dedicate a Omero, Virgilio, Dante, Petrarca, Ariosto.
Le poesie ispirate ad eventi storici hanno, alla base, un confronto con la mediocrità del
presente animato dal desiderio di contrapporgli altre età più “ideali”. Quelle che il poeta
preferisce sono: la Roma repubblicana, il Medio Evo comunale, la Rivoluzione francese, il
Risorgimento italiano. Tutti celebrativi degli ideali civili e politici cari a Carducci.
Vi sono poesie come “Primavere elleniche” e “Ad Alessandro D’Ancona” in cui esprime la
sua volontà di fuga in un’Ellade, che rappresenta un mondo di gioia vitale e pura bellezza
per dimenticare la realtà moderna. Qui compare quel classicismo esotizzante e romantico,
di un’intima esigenza di evasione in un mondo ideale. Contrappone l’infanzia e la
giovinezza, caratterizzate da tempo libero, pieno, gioioso, ad un presente grigio e
deludente. [la giovinezza si proietta nell’amata Maremma Toscana che sembra quasi
essere la proiezione lirica della soggettività del poeta].
In tutte le liriche è evidente questa TENDENZA EVASIVA che fa sì che la condizione abituale della
poesia carducciana sia quella del sogno.