Sei sulla pagina 1di 146

BI BLI OTHECA SARDA

N. 1
CANTI
Canti barbaricini
Canti del salto e della tanca
a cura di Giovanni Pirodda
In copertina:
Francesco Ciusa, La sete, 1910 circa ILISSO
Sebastiano Satta
9 Prefazione
23 Nota biografica
24 Nota bibliografica
CANTI BARBARICINI
31 A Vindice mio figlio
PRELUDIO
35 Don Chisciotte
LE BARBARICINE
39 Nella tanca
40 Notte di S. Silvestro
41 Meriggio
42 Intima
43 Cimitero alpestre
44 Il pane
45 In morte dun bambino
46 Tedio
47 Il fabbro
48 Notte tra i monti
49 La lampana
50 Il boccale
51 Cala Gonone
52 SullOrtobene
53 La cantoniera
SONETTI DELLA PRIMAVERA
57 Il vino
58 Alba
59 La capanna
60 Le api
61 Il poledro
62 Pace
LEGGENDE PASTORALI
65 La greggia
66 Il pane della bont
67 Il campo dei fanciulli
69 I tre re
I COLLOQUI COI MORTI
75 La cena dei morti
77 La madre
78 La fanciulla
79 Lo sposo
80 Laratore
81 Il pastore
LE SELVAGGE
85 Disperata nuziale
86 La sposa
87 Notte nel salto
88 Vespro di Natale
89 Il ritorno
90 I grassatori
93 Il voto
95 Ditirambo di giovinezza
96 Sperduti
97 Massimo Gorki
101 ALLE MADRI DI BARBAGIA
ANTELUCANE
109 Leppa e vomere
Riedizione delle opere:
Canti barbaricini,
Roma, La vita letteraria, 1910;
Canti del salto e della tanca,
Cagliari, Il Nuraghe, 1924.
Copyright 1996
by ILISSO EDIZIONI - Nuoro
ISBN 88-85098-43-6
SOMMARIO
Satta, Sebastiano
Canti / Sebastiano Satta ; a cura di Giovanni
Pirodda. - Nuoro : Ilisso, c1996.
288 p. ; 18 cm. - (Bibliotheca sarda ; 1).
((Contiene: Canti barbaricini ; Canti del salto
e della tanca.
I. Pirodda, Giovanni
851.912
Scheda catalografica:
Cooperativa per i Servizi Bibliotecari, Nuoro
204 Nuoro dinverno
205 A Vindicino
206 Allamata
207 Stella
209 Le prefiche
LAUTOMOBILE PASSA
217 Il villaggio
218 Lo stazzo
219 La tanca
220 La bardana
221 Il poeta
223 Tre primavere
224 Emigranti
225 Ninnananna di Vindice
227 Il palo telegrafico
228 Epitalamio barbaricino
231 Egloga
232 Il padre
233 La madre di Orgsolo
234 Cani da battaglia
236 Piccolo giambo
237 La scuola di Chilivni
241 Laquilastro
244 Murrazznu
245 Orthobne
246 La spia
251 AI RAPSODI SARDI
261 Note
269 Glossario
110 Saluto ai goliardi di
Sardegna
112 Il canto della bont
114 Sgelo
IN LODE DI FRANCESCO CIUSA
117 Il Natale di Lazzaro
119 Alla fonte
120 La madre dellucciso
127 ODE AL GENNARGENTU
ICNUSIE
133 LAlternos
135 In memoria
136 Garibaldi
139 Cuore, adora!
141 Piccole anime
142 Apparizione di Ges ai
mietitori del Campidano
144 Il seminatore
147 Il bove
149 Il cane
151 A una madre
153 I morti di Buggerru
155 A Efisio Orano
CANTI DELLOMBRA
161 Sepulta domus
162 Lancora doro
163 Mater lacrymarum
164 Espiazione
165 Sole
166 Madri e spose
167 Sogni
168 Lallodola
169 Stelle
170 Ninnananna funebre
CANTI DEL SALTO
E DELLA TANCA
173 Lia
177 Il focolare
178 Il presente
MUTTOS
183 Primavera
184 Cuori lontani
185 Cuori lontani
186 Saluto dal Campidano
187 Il mietitore
188 Il violento
189 La luna nera
190 Sposa
191 La portatrice dacqua
192 La surbile
193 Il bandito
194 Il nomade
195 La madre
196 San Francesco
197 Gonare
198 Novembre
199 Aprile
200 Il falco
201 Laquila
202 Augurale
203 Il cacciatore
PREFAZIONE
Alla notizia della morte di Sebastiano Satta pastori e bandi-
ti, e insieme a loro i contadini, scesero dai monti per accompa-
gnarlo allultima dimora. Il poeta fu popolare e amato fra i Sar-
di contemporanei, che si dilettavano ad ascoltare anche in
pubbliche letture i suoi canti, ispirati agli ideali di uguaglianza
e di progresso sociale, ai miti di un immaginario collettivo: la
natura, la donna (sposa e madre-matriarca), lamore, le leggen-
de tradizionali, il pastore, il bandito, lodio, la vendetta, il ribel-
lismo e lattesa di una palingenesi. Sono i temi di una mitica e
drammatica identit sarda, che Satta riproponeva a un nuovo
pubblico, ricorrendo alla mediazione autorevole delle forme
letterarie e metriche della poesia italiana fra Otto e Novecento.
Ma, al di l del mito, lesperienza sattiana raggiunge una capa-
cit poetica spesso misconosciuta, che merita di essere anno-
verata almeno tra le voci minori di quel periodo.
Nel succedersi dei giudizi critici sulla poesia di Satta si af-
facciano di continuo perplessit e riserve riguardo al valore del
lavoro sulla lingua poetica da lui compiuto. I toni alti del lin-
guaggio e dello stile, il registro prevalentemente aulico hanno
fatto pensare a una piatta imitazione della poesia carducciana
e, generalmente, del classicismo ottocentesco, secondo influssi
non rielaborati originalmente.
In realt loperazione poetica compiuta da Satta, se analiz-
zata nelle sue componenti e nelle sue modalit di elaborazione
(anche alla luce dei documenti, di recente studiati, sui suoi in-
teressi linguistici), si rivela ricca di implicazioni e tuttaltro che
priva di originalit.
Per capire i caratteri della poesia sattiana si pu prendere
lavvio da un dato ad essa esterno, ma che pure la condiziona
fortemente: lorientamento ideologico democratico e socialista di
Satta, con le forti ripercussioni che esso ha non solo sulle temati-
che, ma anche sullo stile e sul linguaggio, come del resto avviene
9
Pascoli fu fatto delle forme e dei toni espressivi della poesia po-
polare; cos come nei componimenti di carattere oratorio e ce-
lebrativo evidente linflusso del DAnnunzio delle Laudi.
Tuttavia lelaborazione di un linguaggio sostenuto, alto, che
innesta su un fondo classicistico e carducciano anche lespe-
rienza della poesia primo-novecentesca, perviene a risultati
pur nella loro discontinuit assai singolari, anche per la pre-
senza, in quel processo, di un altro fattore: il sempre pi vivo
interesse manifestato da Satta per la tradizione di poesia sarda,
in particolare per quella usualmente definita semicolta, e la
considerazione del ruolo da essa svolto nella cultura dellIsola.
Sulla base di questa riconsiderazione, lideale del poeta-vate
mazziniano e carducciano viene a configurarsi anche con i tratti
del poeta di quella tradizione, e la formula di Carducci riguardo
al linguaggio poetico, che deve essere di intonazione montata
almeno di un grado su la prosa, si incontra con laulicit e il
prestigio di quella poesia trasmessa in forme prevalentemente
orali, concepita quindi per il canto e per ludito, di impostazio-
ne declamata e ne riceve unimpronta e connotazioni popolari
e pi autoctone. I riferimenti espliciti ai poeti di quella tradizio-
ne, soprattutto nellultima fase della parabola di Satta, tornano
pi volte. Si ripetono gli elogi dei rapsodi sardi (nobilitati attra-
verso questo termine che li collega alla poesia greca arcaica e a
Omero, con suggestioni probabilmente anche dellomerismo
pi moderno, soprattutto pascoliano); elogi che descrivono
questa figura con accenti fortemente celebrativi.
Ma soprattutto il canto a loro dedicato, Ai rapsodi sardi,
lultimo di Satta, pur enfatico e forse troppo diffuso, offre una
serie di elementi e di suggestioni che mi paiono, anche nei lo-
ro caratteri contraddittori, rivelatori di alcuni nuclei profondi
della personalit poetica di Satta.
Alla base del componimento una spiegata ammirazione
per i poeti sardi estemporanei: essi vengono descritti come ae-
di erranti che vanno per lantica isola () a dispensare larghi
il canto / ad ogni cuore: al mietitore affranto / tra le messi, e al
pastore tra suoi redi. La loro funzione quindi quella di ralle-
grare e alleviare col canto le pene degli uditori: Il mesto che vi
Prefazione
11
in un consistente filone della poesia italiana fra Ottocento e pri-
mo Novecento.
Gi Francesco De Sanctis, nelle sue lezioni su Mazzini e
la scuola democratica, aveva rilevato come nella letteratura di
orientamento democratico fosse prevalente la disposizione al
linguaggio elevato, oratorio, sia per la continuit di quelle ten-
denze con la tradizione classicistico-giacobina, sia per la forte
presenza in esse di intenti di persuasione.
Il tono alto, il linguaggio aulico, la disposizione oratoria, il
rapportarsi a un complesso di immagini proprie di una tradi-
zione letteraria nobilitata da riferimenti storici e culturali presti-
giosi (in particolare il mondo classico) sono caratteri che tro-
viamo nella letteratura democratica per tutto lOttocento, ma
anche in molta poesia novecentesca.
La formazione radicale e lorientamento socialista di Satta
hanno dunque un ruolo importante nel determinare la fisionomia
del poeta e la peculiarit del suo linguaggio poetico. Egli risente
non solo, in generale, degli influssi del socialismo umanitario ita-
liano, ma anche dei caratteri che assumevano in Sardegna le pri-
me manifestazioni intellettuali del movimento, in cui, salvo rari
casi, lastrattezza delle proposte, il carattere intellettualistico delle
elaborazioni erano prevalenti. Eppure la militanza politica di Sat-
ta non fu puramente ideale se a Nuoro in quegli anni, rispetto ad
altre citt sarde, il socialismo ebbe una storia pi mossa e se at-
torno a lui si form un nucleo di giovani intellettuali progressisti,
tra i quali si distinse presto Attilio Deffenu.
Nellevoluzione e maturazione della sua poesia, dalle prime
prove (decisamente ricalcate su moduli carducciani e su varie
manifestazioni della poesia minore del secondo Ottocento, da
Stecchetti a Cavallotti, con tracce anche del realismo alla Bette-
loni) fino ai componimenti pi complessi e originali delle rac-
colte maggiori, hanno un ruolo importante gli influssi, accolti in
modo pi duttile rispetto a quei primi riecheggiamenti della liri-
ca italiana dellultimo Ottocento e del primo Novecento. Per
esempio, nelle Leggende pastorali o nella stessa ideazione dei
Muttos hanno certo influito luso che da Severino Ferrari e da
10
continuamente con le valenze linguistiche ed espressive della
lingua poetica italiana. Si trattava di trovare e rielaborare un
modello lirico narrativo, che aveva espresso modelli linguistici e
letterari altamente elaborati e distanti dai modelli della lingua
locale, e far s che corrispondesse alla natura culturale del vissu-
to sardo, allesperienza del mondo barbaricino, con una opera-
zione di commutazione, di ricerca di equivalenze e di riformu-
lazione in un altro codice. Equivalenze e commutazioni difficili,
che inducono a soluzioni di compromesso al fine di non stra-
volgere, rendendolo irriconoscibile, quello specifico etico e cul-
turale cui il poeta intende fare riferimento.
Nella scelta del lessico e nelladeguamento del verso si av-
vertono nella poesia di Satta indizi di un preziosismo, ora arcai-
co ora moderno, non esteriore n superficiale, ma che forza la
parola italiana a rendere unimmagine, unidea, un sentimento
finora inespressi, con elementi che conferiscono allesito poeti-
co del componimento risonanze e suggestioni inconsuete.
Quando il poeta affronta tematiche sociali, dove il linguaggio
ambisce a una comunicazione pi diretta, non obliqua n ambi-
gua, diverso il trattamento linguistico, che si serve di un voca-
bolario pi prosaico, pi vicino alluso quotidiano. La ricerca del
vocabolo raro, arcaico, prezioso, sostituita dalla parola pi pre-
cisa e pi aderente alla realt a livello comunicativo; vi domina il
verso sciolto e pi libero si fa il gioco delle rime e delle strofe.
Lapertura al quotidiano, alle movenze e ai toni della lingua
popolare evidente in alcuni titoli (Il palo telegrafico, La canto-
niera, Emigranti); e inoltre nelle indicazioni anagrafiche precise
bimbi di dieci anni o nelle puntualizzazioni cronologiche.
Non mancano frammenti delloralit di tipo colloquiale, ed
espressioni proverbiali e gnomiche, anchesse delloralit, che
concentrano una saggezza popolare garante di autorit colletti-
va, al di l del contingente; e locuzioni proprie delluso corrente,
specie nei componimenti a struttura dialogico-narrativa, dove
evidente lintento del poeta di rispettare il linguaggio dei propri
personaggi. N mancano i dialettismi, che danno colore al tessu-
to e allimmagine poetica, e convivono con vocaboli di diverse
regioni italiane diventati duso generale. Prevalenti i toscanismi,
Prefazione
13
ascolta / si rallegra () affanni e pene / dimentica, e si abbe-
vera di gioja; e il ricordo del canto lo accompagna nel suo
cammino: Ambia col grave ritmo delle ottave.
I molti tratti che Satta fornisce disegnano la figura di un poeta
consolatore, di una poesia in certo modo positivamente evasiva:
la vostra camena una fanciulla / bellissima che vien dalla fonta-
na / balda e dolce, la rossa anfora sulla / sua testa () Il pellegri-
no stanco chiede un sorso / per la sua sete, inclina ella la brocca
/ rscida, e quegli beve e il cammin corso / obla e benedice.
Satta tuttavia, senza togliere nulla alla positivit di quella funzio-
ne, sembra auspicare per questa poesia contenuti pi impegnati,
considerando anche quale prestigio e potere essa possieda per il
suo fascino su vasti strati popolari: amati e venerati / siete per-
ci, fratelli, e senza trono / n spada, siete re () dinanzi vi sta il
coro / e lansia turba: chini sullirsuta / criniera dei cavalli, i man-
driani / odon, e voi cantate. Il canto fede: / e lanima selvaggia
ora vi chiede / se debba amare od odiar domani.
Ed ecco allora lesortazione: Ammonitela voi, coi vostri
carmi, / o fratelli! () la mia terra cantate. E lelogio di questa
poesia anche celebrazione della lingua in cui si esprime,
lantico / idoma del forte Logudoro, di cui vien tracciata la
storia nelle sue manifestazioni fondamentali.
Sulla base di questo vivo interesse per le forme e i modi della
poesia in lingua sarda, laver adottato litaliano, codice diverso da
quello sardo, poneva a Satta problemi di non facile soluzione.
Come esprimere e rappresentare la civilt della sua terra, in un
momento di transizione e di crisi, in una lingua come litaliano,
in gran parte estranea? La prima difficolt consisteva nellorien-
tarsi in un contesto nazionale che andava diversificandosi anche
nel linguaggio poetico, in relazione a esperienze nuove, a realt
e gruppi emergenti, interpreti di esigenze di modernit nei com-
portamenti, nella mentalit, nel linguaggio poetico.
Cantare liricamente i temi e le vicende della realt sarda si
presentava come un compito difficile, perch i codici di questa
realt, presente in Satta come vissuta e nota attraverso le aule
del tribunale e lesperienza sociale quotidiana, interferivano
12
suo linguaggio, espressioni latine e il gusto della citazione, pe-
raltro moderato. Ma a livello espressivo prevale ed dominante
lo sfruttamento del potere evocativo della parola, del ritmo, del-
le immagini, ottenuto attraverso la commistione e loscillazione
tra elementi dialettali e italiani, spesso felice e talora forzata.
Laspetto pi evidente del lavoro espressivo di Satta si co-
glie nello sfruttamento del patrimonio linguistico dapparte-
nenza, in vari settori: toponimi, elementi del paesaggio, della
fauna e della flora, espressioni tipiche di gioia o di dolore o si-
mili; nomi di persone, richiami di animali (cani, ecc.), espres-
sioni gnomiche, calchi o voci dialettali che riprendono elemen-
ti dellabbigliamento o oggetti duso; lindicazione di arti e
mestieri, nomi di esseri fantastici della tradizione popolare.
Il rapporto con il sardo costituito da un consapevole lavo-
rio di adattamento, risolto in un difficile amalgama espressivo:
ne risulta una proposta di lingua poetica italiana immersa nel
contesto culturale e linguistico regionale. Questa operazione
sostenuta in particolare dal ricorso ad un espediente stilistico:
lassunzione del punto di vista interno al mondo rappresentato,
che porta in primo piano uno o pi personaggi, dietro cui si
eclissa la voce del poeta; e ci soprattutto nei componimenti a
forte connotazione dialogica.
Loperazione poetica di Satta dunque pi ambiziosa e im-
pegnativa di quanto non sia emerso dal dibattito critico che si
sviluppato sulla sua opera. Essa si fa carico di una tradizione
poetica regionale, sia sul versante della tradizione in lingua
sarda, sia sul versante della produzione in italiano pi mode-
sta e recente, e tuttavia significativa , per rilanciare, con una
coscienza pi scaltrita e aperta e meno subalterna, una espe-
rienza poetica che ponga sullo stesso piano i valori di una
realt locale, trascurata ed estranea, e gli strumenti espressivi e
tecnici di una tradizione colta, in un momento in cui si tende a
dar voce alle culture emergenti che ambiscono ed esigono di
avere diritto alla parola nel concerto nazionale.
Quali i risultati effettivi di questo lavoro nella molteplicit di
testi prodotti da Satta? utile tornare allideale rappresentato dai
rapsodi sardi per capire le ragioni della scelta diversa, linguistica
Prefazione
15
che riflettono una tendenza toscaneggiante diffusa dopo lunit
dItalia nelle varie regioni della penisola.
Satta si riserva anche uno spazio di sperimentazione lingui-
stica di matrice pascoliana, ma che ha soluzioni originali e ade-
guate al ritmo e alla tonalit della sua vena poetica. Si tratta di
quel settore espressivo agrammaticale e fonico in cui il poeta
interessato a cogliere le valenze sonore della parola, in partico-
lare delle onomatopee e pi diffusamente dei vocaboli fono-
simbolici che, mentre catturano le immagini sonore di eventi
naturali (il vento, la pioggia), di esseri come la pecora, il caval-
lo, e di oggetti come i sonagli, intensificano il carattere comu-
nicativo ed espressivo della lingua, proprio perch gli effetti di
suono richiamano con immediatezza limmagine e insieme ad
essa il significato e le sue amplificazioni simboliche.
Alcune di queste voci risultano nei dizionari depoca (Cru-
sca, Fanfani, Tommaseo), altre sono attestate a livello lettera-
rio in componimenti di Pascoli e DAnnunzio. Numerose sono
le parole che esprimono suoni ed immagini del mondo naturale
applicate a esseri umani (le madri schiomate uggiola[no] sullo
spento focolare; di gioia nitr / mia madre) in una sorta di
rapporto ravvicinato che esalta la naturalit umana e attiva una
corrispondenza emotiva e vitale tra uomo e natura.
Di tipo pascoliano anche la ricerca del termine preciso
per quanto riguarda la flora e la fauna (con particolare predile-
zione per quella sarda): con questa caratteristica, che spesso
accanto al termine duso presente anche la variante rara e
preziosa (lentischio, lentisco, sondro; biancospino, prunalbo)
o il corrispettivo dialettale, in riferimento soprattutto al mondo
animale (lupupa, sa pupusa; la lumaca, sa croca).
Un aspetto vistoso della poesia di Satta luso del colore,
legato a unaggettivazione ad ampia gamma coloristica, talvolta
intensificata anche dal ricorso al sostantivo metaforizzato (ala-
bastro, argento, corallo, ecc.).
La lingua di Satta anche lingua aperta agli influssi e agli
apporti di altri codici linguistici, per lo pi circoscritti al terreno
lessicale: sono presenti francesismi (fenomeno diffuso a vari li-
velli nella seconda met dellOttocento), molti gi acquisiti nella
lingua italiana, e ispanismi. Non mancano, sul versante colto del
14
Ma dopo il ritorno a Nuoro, nellesperienza di Satta matura
il recupero della cultura antropologica e la sempre pi viva
consapevolezza della specificit della realt sarda: e certamen-
te nel definirsi di questa coscienza ha avuto un ruolo importante
la ricca e drammatica esperienza forense.
Al termine della sua parabola esistenziale Satta esprime,
nel canto Ai rapsodi sardi, forse in forma polemica, paradossa-
le, una disposizione opposta a quellapertura appassionata, e
per certi aspetti ingenua, alla cultura esterna, in cui si era rico-
nosciuto negli anni sassaresi. Una disposizione enunciata nel
sogno di una Sardegna separata da ogni altra terra da cui le
sono pervenute solo sventure: quale amica vela / navig a te
() recando una speranza alla tua pena[?] e chiusa in se stes-
sa: Agli strani remota / io ti vorrei: sinistra sanguinosa / coi tuoi
banditi, con le tue citt / morte, ingioconda atroce febbricosa, /
ma tutta sola e oprante e senza pianti.
Tuttavia il recupero della sardit qui espresso in modo radi-
cale non porta il poeta nuorese a negare gli ideali umanitari e
di apertura alla modernit. Essi si configurano come due compo-
nenti della sua personalit che, con un vario prevalere nel tem-
po, talvolta convergono, pi spesso coesistono in lui, come termi-
ni di unintima contraddizione, quasi di unantinomia insanabile.
Nella produzione sattiana spicca un filone di canti di espli-
cita partecipazione politica, sociale, ideologica: I morti di Bug-
gerru, A Efisio Orano; o di carattere celebrativo e civile, come
Saluto ai goliardi di Sardegna, Il canto della bont, La scuola
di Chilivni, che propongono un ideale di crescita culturale e
sociale, come pronunciamenti ispirati a una fattiva militanza so-
cialista. Anche se vero (ma ci tipico di questa tradizione di
poesia) che in positivo le indicazioni di Satta non assumono
tratti precisi: il sogno di un avvenire migliore cui la Sardegna
aspira e verso cui deve tendere espresso pi di una volta at-
traverso la metafora dellaurora.
Ma un altro largo filone nasce dallassunzione dei valori del-
la Sardegna pi tradizionale, dallesigenza di rappresentare, con
unottica dallinterno, fatti, figure, comportamenti, mentalit,
Prefazione
17
ma anche tematica, compiuta da Satta rispetto alla tradizione
autoctona, pure cos esaltata in quel componimento. Infatti,
pur nella rappresentazione solenne e in positivo dei rapsodi, il
poeta, con accenti dolorosi e significativi, dichiara non solo
limpossibilit per lui di identificarsi, ma anche di essere in
consonanza con loro: se allanime che adoro, / anime tristi
ardenti nel silenzio / come lampe sonasse nel canoro / ac-
cento dei miei padri la canzone / della speranza mia, monda
dassenzio / e pura dogni fosca visone, / anchio alla pensosa
turba assorta / tal inno innalzerei che alle parole / alate () si
leverebbe lanima risorta. / Ma fu negato a me questo celeste /
dono, quello cio di poter alleviare gli acerbi affanni e le fu-
neste / cure col canto.
Mi pare che in questi versi si esprima consapevolmente
una condizione contraddittoria, scissa e lacerata, che forse, co-
me dicevo, ci introduce nel cuore della personalit culturale e
dellesperienza poetica di Satta. In maniera abbastanza chiara,
qui espressa la coscienza che la tradizione dei rapsodi, di cui
egli aveva evidenziato il carattere sostanzialmente evasivo e
consolatorio (pur nei toni celebrativi), non pu essere assunta
come modello primario da un poeta sardo teso verso la moder-
nit, e pertanto animato da ideali di impegno civile e consape-
vole delle drammatiche contraddizioni in cui si dibatteva la co-
munit isolana.
Questa coscienza il punto darrivo di unevoluzione cul-
turale che segnata da passaggi fondamentali: la fervida assi-
milazione di molteplici aspetti della letteratura contemporanea,
lapertura alle esperienze e alle ideologie politiche pi innova-
trici, provenienti prevalentemente dalla cultura italiana, realiz-
zatesi soprattutto durante il soggiorno sassarese; tali esperienze
maturano negli anni nuoresi, per quanto concerne laspetto
politico, con la partecipazione, soprattutto ideale, al movimen-
to di promozione sociale e di crescita nellambito dellideologia
socialista; e per quanto concerne laspetto letterario con lela-
borazione di una poesia che tenta diverse vie, anche intimisti-
che, ma che principalmente si lega alla tradizione di poesia de-
mocratica cui si sopra accennato.
16
Cos Il voto una preghiera (blasfema, da un punto di vista
esterno) alla Madonna di Gonare e a S. Francesco di Lula perch
facciano morire di morte violenta il nemico di colui che prega, e
ne disperdano la famiglia, con la promessa di doni se il voto sar
esaudito. I grassatori rappresenta la divisione dei ricchi frutti
delle grassazioni tra un folto e differenziato gruppo di mandria-
ni. Nei Colloqui coi morti, sul fondamento della credenza popo-
lare del ritorno dei morti la notte del 2 novembre, vengono pre-
sentate in una serie di scorci (a parte il primo componimento
che svolge un tema pi personale e intimistico) mentalit e si-
tuazioni tipiche: come Il pastore, che torna nella notte dei mor-
ti per chiedere di essere placato col sangue del suo nemico; o
La fanciulla, che tornando nella sua casa non attratta dai cibi
apprestati per lei dalla madre, ma dal suono di chitarra di una se-
renata. In altri si riprende in modo pi efficace la forma della leg-
genda pastorale, come nello Sposo, assai nota. Anche nelle altre
sezioni troviamo esempi di queste immagini, come quella della
Sposa, che piange angosciata perch nella lana bianca del corre-
do ha trovato un bioccolo nero, segno di malaugurio, o quella
della Disperata nuziale. Questa tematica svolta anche nellulti-
ma raccolta dei Canti del salto e della tanca, come in Tre prima-
vere, Epitalamio barbaricino, Egloga, Il padre, La madre di
Orgsolo o, ancora, Laquilastro, Murrazznu.
Un posto a parte hanno i Muttos, originale trasposizione
dei mutos popolari, che costituiscono unampia sezione dei
Canti del salto e della tanca. Il salto semantico tra sisterria e
sa torrada, tipico di questa forma poetica, utilizzato da Satta
per produrre (rielaborando anche immagini proprie della tradi-
zione popolare) analogie e suggestioni ardite, che ricordano
esperienze della poesia europea pi moderna.
Questi e pochi altri esempi costituiscono un corpo di testi
che rappresenta, con risultati diseguali, ci che Satta riuscito a
realizzare di un disegno o di unaspirazione a un quadro pi
ampio e organico, come si deduce da ci che scriveva a un ami-
co: vorrei raccogliermi per scrivere una collana di canzoni in-
torno alla Sardegna, ai suoi eroi, ai suoi monti, ai suoi pastori,
alle sue usanze barbariche, allanima, al cuore della Barbagia,
Prefazione
19
drammi del mondo sardo, soprattutto barbaricino, nello sforzo
di capire, e far capire, quel mondo, percepito e vissuto come
diverso e specifico. Questo aspetto dellopera di Satta costitui-
sce una componente raramente conciliabile con quegli astratti
ideali umanitari. Si tenga presente, per esser cauti nel giudicare
come tematiche di maniera queste raffigurazioni (per esempio,
imitazioni dellAbruzzo barbarico del DAnnunzio, o della Ma-
remma carducciana), il clima culturale che ne costituisce il ri-
svolto. Era un clima dominato dalle idee della Scuola positiva,
diffuse in opere scientifiche saggistiche e nella divulgazione
giornalistica (spesso richiamantesi al socialismo), che interpre-
tava molte manifestazioni della vita barbaricina, in particolare il
banditismo, come espressione di una zona delinquente e di
una comunit barbarica e primitiva.
Satta reagisce con scelte che hanno indubbiamente linten-
to di rovesciare (anche utilizzando moduli della tradizione let-
teraria pi o meno recente) il punto di vista da cui considerare
il mondo sardo e i suoi fenomeni peculiari.
Significativo in questo contesto il richiamo a Gorkij e alla
sua rappresentazione dal di dentro, partecipata e dolente, degli
emarginati, dei diversi: dallaffinit, percepita da Satta, tra
quelle figure e i pastori sardi nasce la suggestiva immagine di
un incontro reale tra lo scrittore russo vagabondo e i pastori
barbaricini. E tu venisti, scalzo, tra i mentastri / a quei fuochi; e
i pastori () ti guardarono curvi sui vincastri. / Tutta lanima tri-
ste di Barbagia / ti guardava in quegli occhi.
Da questo orientamento tematico deriva un complesso di
componimenti assai differenziati, che costituiscono daltra parte
i risultati parziali di un progetto forse pi ampio di rappresenta-
zione dallinterno, per episodi e scorci, del mondo barbaricino.
Alcuni di essi, meno significativi, sono rifacimenti talvolta edul-
corati di favole popolari, o leggende pastorali, come I tre re,
Il campo dei fanciulli, Il pane della bont, o anche Lia. Altri vo-
gliono mostrare aspetti singolari di quel mondo, con un punto di
vista interno ad esso, senza giustificazioni o commenti, se non
nellamplificazione e nelle coloriture che intendono trasporre in
italiano i tratti di una mentalit e di un comportamento specifici.
18
altri di questa raccolta (per esempio, Il palo telegrafico), costi-
tuiscano un elogio puro e semplice del progresso. Se fosse ne-
cessario, si potrebbe citare una testimonianza esterna al testo e,
mi pare, attendibile: quella di Vincenzo Soro, che fu vicino al
poeta negli ultimi anni. Questi racconta che nella circostanza da
cui presero spunto quei componimenti (linaugurazione della li-
nea automobilistica Nuoro-Terranova) Satta piangeva malinco-
nicamente. C in quei quadri in cui il villaggio, lo stazzo, la
tanca e la bardana cantano lepicedio di s stessi (M. Ciusa
Romagna) la consapevolezza di uno scontro tra mondi troppo
diversi fra loro, del sovrapporsi di modi di vita nuovi a un uni-
verso che il poeta sente proprio, e sul quale essi incombono
con potenzialit distruttive.
In conclusione opportuno ribadire la contraddittoria ma
vitale compresenza nel poeta nuorese di due tendenze: da una
parte ladesione al progresso, alla modernit, ai progetti di cre-
scita sociale e politica, e alle suggestioni culturali e letterarie
che venivano da fuori; dallaltra, lattaccamento a un mondo
sentito come proprio, autentico nella sua specificit umana,
culturale e naturale (si consideri il ruolo del paesaggio, sia co-
me sfondo sia come soggetto del quadro, nella sua poesia). Le
componenti, le ragioni, il contesto di questo contrasto irrisolto
possono essere alla base di un interesse attuale per Satta, che
vada al di l di celebrazioni acritiche e superi anche le riserve
suscitate da disuguaglianze e incertezze di stile e di linguaggio,
considerando la sua opera, nelle sue molteplici implicazioni,
come espressione di un momento fervido e drammatico della
nostra storia.
Giovanni Pirodda
Prefazione
21
insomma! () nella quale dovrei chiudere tutto ci che ho nel-
lanima. () Ma questo sogno mi cade.
La rappresentazione della societ pastorale nella poesia sat-
tiana minata da uninquietudine profonda, che nasce soprat-
tutto dalla consapevolezza che la sua storia senza sbocco.
Analizzando con attenzione il complesso dei componimenti,
non difficile notare che delle due facce della Sardegna tradi-
zionale, agricola e pastorale, vengon rappresentate, vero, con
tratti pi marcati le condizioni di miseria e di sofferenza dei con-
tadini (si veda, per esempio, Il bove, in cui, con procedimento
tolstoiano, viene assunto il punto di vista del bue, che dichiara
di preferire le proprie fatiche a quelle del contadino che lo gui-
da; o ancora si veda Laratore); daltra parte per per essi che
viene prospettata, sia pure con i tratti vaghi che sono stati accen-
nati, una possibilit di riscatto (si ricordi per esempio lAppari-
zione di Ges ai mietitori del Campidano o Il seminatore).
Invece la condizione dei pastori, anche se talvolta raffigura-
ta con tratti solenni e celebrativi (ma la mitologia dei re-pastori
proposta quasi sempre in riferimento al passato), data come
una condizione tragicamente senza avvenire, e la ribellione ad
essa nel banditismo, che senza sbocchi. in particolare il
nomadismo, con la solitudine che esso comporta (torbidi e soli
nel fatale andare), che viene considerato quasi unantica con-
danna (si veda La greggia), un modo di vita arcaico e sorpassa-
to (fantasmi duna antica et), eppure cos connaturato alla ci-
vilt di cui Satta si sente profondamente partecipe.
Questa condizione di profondo contrasto mi pare che sia il
nucleo pi vivo della sua personalit poetica. Ne possiamo co-
gliere una manifestazione significativa nella sezione Lautomo-
bile passa dellultima raccolta, che si chiude (Il poeta) con quel-
la che stata considerata la formulazione pi chiara da parte di
Satta delladesione ai tempi nuovi e della conseguente rinunzia
alla societ e alla civilt tradizionali.
Io avrei per dei dubbi sulla possibilit di identificare pie-
namente lautore con quella voce di Poeta che invita a seppelli-
re in mare senza pianti la patria che nudr lanima amara / di
crucci. E dubito molto che quella serie di componimenti, come
20
NOTA BIOGRAFICA
Sebastiano Satta nacque a Nuoro nel 1867 e vi mor nel
1914. Comp i suoi studi a Sassari, prima al liceo, dove ebbe co-
me insegnante il carducciano Giovanni Marradi, e poi allUni-
versit, nel corso di laurea in legge. Nella Sassari repubblicana e
radicale del tempo ader a ideologie ed esperienze politiche
progressiste, prendendo parte giovanissimo al risveglio della vi-
ta culturale in Sardegna e contribuendo ad animare la vita della
citt, nella quale scorgeva affinit con la Bologna carducciana,
che aveva conosciuto durante il servizio militare. Si dedic pre-
cocemente allattivit poetica, componendo versi in cui evi-
dente lammirazione per Carducci, e svolse una vivace attivit
giornalistica: fond con Luigi Falchi la rivista La Terra dei Nura-
ghes e collabor ad altri periodici isolani, nonch a La Nuova
Antologia, a Il Giornale dItalia, e ad altri periodici del conti-
nente. Laureatosi a 27 anni, divenne presto il miglior avvocato
del foro nuorese. Ader alle idee socialiste, interpretando il suo
socialismo umanitario in accordo con i bisogni e i caratteri del-
la realt locale. Sposatosi nel 1905, ebbe una figlia, Raimonda,
che mor prematuramente nel 1907; a lei, chiamata affettuosa-
mente Biblina, si ispir per i Canti dellombra, una sezione
della prima delle sue raccolte maggiori. Nel 1908 nacque il se-
condo figlio, provocatoriamente chiamato Vindice. Colpito da
paralisi nello stesso anno, non cess per questo di comporre
versi, dettando le sue poesie pi famose, confluite nelle raccol-
te Canti barbaricini (1910) e Canti del salto e della tanca
(usciti postumi nel 1924).
23
1924, con scritti di: Raimondo Carta Raspi, Per Sebastiano Sat-
ta; Vincenzo Soro, Sebastiano Satta; Ettore Janni, Sebastiano Satta;
Paolo Orano, Sebastiano Satta poeta; Attilio Momigliano, Canti
barbaricini; Antonio Scano, Poeta di Sardegna, Poeta di Pro-
venza; Luigi Falchi, Poesie minori inedite o sconosciute; Carlo
Calcaterra, Il Poeta della Sardegna; Vip (Vincenzo Piccoli), Can-
ti barbaricini; Salvatore Ruju, Sebastiano Satta oratore; Michele
Saba, Sebastiano Satta giornalista; Raimondo Carta Raspi, Seba-
stiano Satta, Bibliografia.
Vincenzo Soro, Sebastiano Satta, Luomo e lopera, Cagliari, Il Nu-
raghe, 1926.
Ferdinando Neri, Il maggior poeta sardo, in Saggi di letteratura
italiana, francese, inglese, Napoli, Loffredo, 1936.
Carlo Calcaterra, Il poeta barbaricino, in Con Guido Gozzano e al-
tri poeti, Bologna, Zanichelli, 1944.
Albo sattiano, Cagliari, Il Nuraghe, 1964, con scritti di: Raffaello
Marchi, Premessa a una rivalutazione critica; Giuseppe Dess,
Impressioni; Gavino Pau, Su alcuni inediti di S. Satta; riproduce
testi editi, inediti (Per la pace in Orgosolo, Gli asfodeli) e tradot-
ti, autografi e fotografie, opere di artisti sardi partecipanti al con-
corso indetto nellambito delle celebrazioni per il 50 anniversa-
rio della morte del poeta.
Giuseppe Petronio, Sebastiano Satta, Cagliari, Fossataro, 1965.
Nunzio Cossu, Sebastiano Satta, in Letteratura italiana, I minori,
Milano, Marzorati, 1969, pp. 3401-3425.
Bruno Rombi, Sebastiano Satta, Vita e opere, Genova, Sabatelli,
1983.
Sebastiano Satta: dentro lopera dentro i giorni, Atti delle gior-
nate di studio, Nuoro, 9-10 marzo 1985, a cura di Ugo Collu e
Angela M. Quaquero, Nuoro, 1988.
Giovanni Pirodda, Gli intermezzi figurativi del poeta, in Seba-
stiano Satta nel trentennale del Lions Club di Nuoro, Sassari,
Gallizzi, 1989.
Alessandra Carta, Poetica, lingua e stile nei Canti di Sebastiano
Satta, tesi di laurea, Universit degli Studi di Cagliari, Facolt di
Lettere, anno accademico 1992-93.
25
NOTA BIBLIOGRAFICA
SCRITTI DI SEBASTIANO SATTA
Nella Terra dei Nuraghes, Versi di Sebastiano Satta, Pompeo
Calvia, Luigi Falchi, Sassari, Dess, 1893.
Versi ribelli, Sassari, Gallizzi, 1893 (ristampati a Cagliari, Il Nura-
ghe, nel 1925 con prefazione di Vincenzo Soro e con laggiunta
di Primo maggio).
Discorso per Garibaldi, Nuova Sardegna, Sassari, 2-3 giugno 1907.
Discorso per Garibaldi a Caprera, Nuova Sardegna, Sassari, 6-7
luglio 1907.
Canti barbaricini, Roma, La vita letteraria, 1910.
Canti del salto e della tanca, Cagliari, Il Nuraghe, 1924.
Poesie malnote, ignorate e disperse, raccolte da Luigi Falchi, Ca-
gliari, Il Nuraghe, 1932 (raccoglie poesie pubblicate a partire dal
1891 su giornali e riviste).
Canti barbaricini, Cagliari, Il Nuraghe, 1933.
Lettere inedite, Il Convegno, Cagliari, a. I, n. 1-2, gennaio-feb-
braio 1946.
Lettere inedite, Il Ponte, Sassari, a. VII, n. 9-10, settembre-ottobre
1951.
Canti, a cura di Mario Ciusa Romagna, collana Lo specchio,
Milano, Mondadori, 1955, 1980
3
(comprende i Canti barbaricini
e i Canti del salto e della tanca).
Lettere a Grazia Deledda, Ichnusa, Sassari, n. 1, 1956.
Canti barbaricini e altre poesie, a cura di Francesco Corda, Ca-
gliari, 3T, 1983 (comprende i Canti barbaricini, i Canti del salto
e della tanca e altre poesie tra giovanili e disperse).
Canti barbaricini, a cura di Anna Luce Lanzi, Bologna, Mucchi, 1993.
SCRITTI SU SEBASTIANO SATTA
Luigi Falchi, Lopera poetica di Sebastiano Satta, La Nuova An-
tologia, Roma, 1 aprile 1915.
A Sebastiano Satta / nel X anniversario della morte / La Fonda-
zione Il Nuraghe, Cagliari 29 novembre 1924, Il Nuraghe,
numero monografico, Cagliari, a. II, n. 22, novembre-dicembre
24
CANTI BARBARICINI
29
Questo libro, che ha in fronte il nome del mio bambino e si
chiude con i ricordi di una pena indimenticabile, canta o, me-
glio, narra il dolore della mia gente e della terra che si distende
da Montespada a Montalbo, dalle rupi di Corsi fino al mare;
e canta dolor di madri, odio di uomini, pianto di fanciulli.
Barbaricini ho voluto chiamare questi canti perch sono
accordi nati in Barbagia di Sardigna; ed anche quando essi
non celebrano spiriti e forme di quella terra rude ed antica, bar-
baricini sono nellanima e barbaricine hanno le fogge e i modi.
Le selvagge, che sono il cuore nero del libro, ricordano gli
ultimi anni di sconforto e di tenebra, quando gli ovili erano de-
serti e tremende e tragiche suonavano le monodie delle prefiche,
e lanimo era smarrito e percosso da sciagure e od nefandi.
Ah, il poeta vide veramente quelle madri vagare sui monti
cercando i figli feriti nelle stragi omicide, e vide veramente
arar la terra coi fucili legati allaratro!
Ma la notte dilegu e si udirono i canti antelucani
S. S.
Nuoro (Sardegna), ottobre 1909
A VINDICE MIO FIGLIO
Io ti veda calar dal Gennargentu
Con un cavallo innanzi e laltro dopo,
E baldo, con la tua pipa dottone!
Ninnananna dei sorbettieri dAritzo
Canti barbaricini
31
PRELUDIO
DON CHISCIOTTE
O primavera di Barbagia, io torno
Alle tue tanche, tra il fiorir del cisto
E del prunalbo. Come dolce e tristo
il tuo sorriso sotto il ciel piovorno!
Dalle montagne e dalla Serra, intorno
Balena. Oh sogno mio di gloria, visto
Sempre e perduto sempre! Oh come misto
Di lacrime e di gioia fai ritorno!
E ancor ti sego. Ahi! ma mentre vado
Per tanche e solitudini ravviso
In me, pur senza spada e roncinante,
Quel Don Chisciotte quando usc nel riso
Dellaurora e da hidalgo asosegado
Divenne, o sogno, gaballero andante!
Canti barbaricini
35
LE BARBARICINE
NELLA TANCA
Ecco: non fu che un subito
Sogno del sole il raggio;
E lunghe fredde assidue
Stagnan sul pian selvaggio
Lombre in eterno. Stendesi
Nuda silenzosa,
Sino ai lontani vertici,
La terra lacrimosa.
Solo un pastore, immobile,
Col manto e con la tasca,
Guarda quel regno gelido
Di tenebra e burrasca
Canti barbaricini
39
MERIGGIO
Sulle mute fontane,
Specchi fidi dei boschi,
Pendon viluppi foschi
Dellere e di lane.
Non il frullar dunala
Per gli orti e nella serra.
Nel silenzio la terra
La grande anima esala.
Sol due cipressi neri,
Dagli aurei raggi avvolti,
Scuoton la testa, colti
Chi sa da quai pensieri.
Canti barbaricini
41
NOTTE DI S. SILVESTRO
Un tempo oh povert
Che ti pasci di grami desideri!
Quando tu, Madre, ci crescevi sola
E triste, come laquila selvaggia
Che nutre i figli sulla rupe, ed eri
E grande e veneranda a tutti i cuori;
Poich era scarso il fuoco
Del focolare, e poco,
O nulla, il vino della cena in nero
Cerchio sedendo, sempre nel silenzio
Noi volgevamo un unico pensiero
Di affanno , io che nel core
Gi mi sentivo ad ogni
Palpito un vol di sogni,
Qual dapi sovra un fiore;
Io gi sognavo, o Madre, questa casa
Che a noi sola commise
Linvitta tua virt,
La casa che tu regni, o Madre buona;
E noi gi grandi, e tu
Serena, e noi tuo scudo e tua corona
Di vittoria. Ah non rise
Lantico sogno invano!
Vedi: nel focolare
Arde lelce ed il selvaggio
Olivo; il vino brilla
Nei nitidi bicchieri; lalta loggia
Sapre ai miei sogni su lazzurro incanto
Delle vette e dei piani.
E anchessa, odi? la pioggia
Non ci piange pi il pianto
Di quegli anni lontani.
40
CIMITERO ALPESTRE
Sui recinti di ferro
Stretti dalle vitalbe,
Sulle lapidi scialbe,
Sulle croci di cerro,
Nevica. Un cardellino
Svola plora rivola
Da un nudo biancospino
A una deserta aiuola.
Rabbrividisce al vento
Un gracil crisantemo,
Schiuso a un suo riso estremo
Il calice dargento.
Su, dalla terra algente,
Fiorisce ultimo fiore,
Come un sogno damore
In anima dolente.
Canti barbaricini
43
INTIMA
Mia madre quando mio fratello viaggia
Accende una pia lampada,
Ed io penso: Sul capo amato raggia
Pi luce questa lampada
Materna che non Sirio ardente o lOrsa.
Entro quel raggio unanima
Segue a notte la prua fragile, morsa
Dalle indomite rffiche.
E mamma, tutta assorta nel lontano
Figlio, la testa tremula
Reclina, quasi il vol delluragano
Senta dintorno striderle.
Pensa, o buona! gi il d che dai lontani
Lidi la prima lettera
Verr. Sul breve foglio, tra le mani
Trepide, quante lacrime!
42
IN MORTE DUN BAMBINO
Per G. A. Deffenu
Dio, vecchio gatto grigio! Un topolino
Nelle tue grinfe tremule incapp
Tu scherzavi col piccolo bambino.
Egli rideva e non dicea di no!
Oh le febbri! oh le veglie! oh quel sorriso!
E disse: o mamma, io vado; torner.
Ma forse tu gli apristi il paradiso,
Tu, gatto grigio, e pi non ritorn.
Canti barbaricini
45
IL PANE
Pane, lievito santo come il germe
Chiuso nel grembo, dopo quanta guerra
Ti conquist il debil uomo inerme,
Prono sugli aspri solchi della Serra!
E ti bagn pur di suo sangue in erme
Tanche ed in salti inospiti, doverra
Triste larmento brado, e pendon ferme
Nubi dincendio a desolar la terra.
Sia pace per la croce della mano
Che tintrise e ti stese, e per lignoto
Sangue che ti bagn, pane, sia pace.
E di te si abbia gioia anche chi al piano
Non scese a seminare, e va, pel vuoto
Mondo, con solo il suo dolor seguace.
44
IL FABBRO
Ah tu semini stelle con la mano!
Arde lultima fiamma, ecco, su Monte
Atha e tu picchi ancora, o buon titano,
Dallalba! I carratori volti al mare
Vedon rider nellombra, fin dal ponte,
Quel tuo stambugio come un focolare.
A quel sono la sedula massaia
Si desta per la casa e dice ai figli:
O figli, lora: Gi sulla giogaia
Trema il Grappolo, e i cieli son vermigli.
Vengono a te i garzoni e dicon: Zio,
Tu maestro del ferro, eccoti il vecchio
Ferro, e tu facci un vomere. Con pio
Vigor tu batti ed ecco dalle mani
Ti esce il vomere. E quello come specchio
Ben poi risplende quando gli anzani
Spargon pregando la semente, e i solchi
Fumigan sciolti, e ascoltano tra snelle
Selve il bruso degli orzi alti i bifolchi.
Ed ecco pur, battuti in quel tuo roggio
Antro, falcetti e industrose falci.
O bel cantare del ricolto! Il poggio
Tutto ne suona tra le messi e i tralci.
Ed al ricolto, premio al tuo lavoro,
Ecco grappoli azzurri, ecco mannelle
Di spighe doro, una corona doro!
Canti barbaricini
47
TEDIO
In altra terra, o patria, io bevvi il vino
De tuoi colli: e rividi, in una gaia
Visione, la fulgida giogaia
Di Montalbo e il mio bel monte vicino.
Cantava il capinero e il cardellino
Presso la fonte lungo la giuncaia,
E, nel sogno, odorava il rosmarino
Lungo i filari dove luva invaia.
O patria, o sogno! Ora nel cuor mi tace
Anche questo deso, ch in pi romito
Angolo il mio pensiero si raccoglie.
Pur l vi canta, nella vitrea pace
De lalba, un nido: e sapre tra il granito
Delle tombe la rosa centifoglie.
46
LA LAMPANA
A Valmar
Nutrito ho per te la mia lampana
Di rame con olio doliva.
Con zirbo, se manchimi lolio,
Per te la terr sempre viva.
Se zirbo non ho, dalle tanche
Vo cogliere al sole e al nevisco
Le bacche, e vivr la tua lampana
Con lolio dellaspro lentisco.
E se pur lentisco non ho,
Se nieghi larbusto il suo fiore,
Dar per nutrir la tua lampana
Il sangue del vivo mio core.
E se pur il sangue mi fugga
Dal cuore penato ho gi tanto!
Dar per nutrir la tua lampana
Un pianto infinito: il mio pianto!
Canti barbaricini
49
NOTTE TRA I MONTI
Io non odo che quei noci
Stormeggiare nella notte;
Io non odo che le voci
Cupe e lugubri del vento.
Fila, vecchia parca, fila,
Qual dallombra esce un mistero,
Esce unombra, essa da negre
Lane trae lo stame nero.
Negro stame di mia vita!
Fila e canta: Tra le rotte
Rupi sovra il monte un corvo
Picchia e batte tutta notte.
tanti anni che egli picchia!
Non vi ha rupe, non vi ha cerro
Che non tremi al martellare
Di quel suo rostro di ferro.
Tutto il monte a poco a poco
Egli deve sgretolare
Senti, senti gi, nellorride
Forre, i massi rintronare
Fila e fila. Nella notte
Io non sento che il ronzo
Di quel fuso, e il martellare
Di quel rostro sul cuor mio.
48
CALA GONONE
Ecco la luna: tra i cespugli roridi
Laura notturna mormorando va,
Come un sospiro della diva, un alito
Effuso a notte per limmensit.
Lontano piange il mare. Di quante anime
Dolenti suona il pianto in quel fragor?
Quanti sogni damanti anime passano
Sullaure, dentro questo cheto albor?
Canti barbaricini
51
IL BOCCALE
Boccale, alla serena Baronia
Ti port da Levante una paranza
Bianca, che aveva a prora una speranza
Doro, e la buona stella di Maria.
Ecco: ed io ti arrubino or mentre danza
La neve al vento e cuopre alta la via,
Con questo vin nato che ha la fragranza
Degli arsi greppi e odora di luma.
E vedo nel tuo seno andar le nubi
Marine: odo dagli orti in riva al mare
Stormire i melograni ed i carrubi:
E belle donne nel lido sonoro
Cantar di quando con galee corsare
Venne in armi da Tripoli il Re moro.
50
LA CANTONIERA
Quanti anni! Unerma casa cantoniera.
Io la rivedo come dentro un velo
Di lagrime e ricordi: un vecchio melo
Pispigliava di nidi alla vetriera.
I cavalli scotean la sonagliera,
Annitrendo al mattino, e per il cielo
Bianco movean profumi dasfodelo
E spigo dalla rorida brughiera.
Era la tappa. Oh garrulo vaggio!
Paska, guancia fiorita, or per laddio
Mesci i bianchi sorrisi e lacquavita
Poi te salutavamo, nel gran raggio
Destate, con non mai spento desio,
O mio vecchio Ortobene, allapparita.
Canti barbaricini
53
SULLORTOBENE
Meriggiano le pecore e i pastori.
Elci e felci non fremono a una stanca
Ala di vento; il mare si spalanca
Da monte Bardia fino a Galtell.
Lombra di un volo e un grido di rapina:
Laquila. Con un dondolo lento
Si rimescola il branco sonnolento:
Lombra dilegua in seno al mezzod.
52
SONETTI DELLA PRIMAVERA
Ad Antonio Ballero,
Pittore di Barbagia
IL VINO
Sanguinasti dal cuore del granito,
E dentro un cavo tronco aspro di alburno
Ti franse, o vino, un uomo taciturno
E truce come in funero rito.
E, o vino, nella sera, odi? un viburno
Canta a un elce un dionisiaco mito
Io chiamo nel mio cuore dal notturno
Cielo i miei sogni a un funebre convito.
E li inebrio di te: ch mal lincerto
Volo ferman sullanima romita
Da che vi giacquer morte le chimere.
Ahi! ma vinto lincanto, dal deserto
Cuor rivolan stridendo oltre la vita,
Dentro cieli di fiamma, aquile nere.
Canti barbaricini
57
LA CAPANNA
Dolce, o capanna, quando agli uragani
La selva si querela e si dispoglia,
Riparar nel tuo nido, sulla spoglia
Di un montone, e parlar di cacce e cani.
Ma pi dolce, se ridano i lontani
Fuochi dai poggi, e palpiti ogni foglia
Alla sera, indugiar sulla tua soglia
Erbosa tra il bruso largo dei piani.
Sulla giogaia pendono ghirlande
Di stelle: van le greggi per profonde
Serenit, fra luccicar di fonti.
Poi nellombra un nitrito! Ch gi grande,
Tra mormorii di rivoli e di fronde,
Salza la luna a benedire i monti.
Canti barbaricini
59
ALBA
Or i sardi pastori, allindorarsi
Dei cieli, mentre van con tintinno
Dolce le greggi a ricercar gli sparsi
Rivi, levan le fronti e adoran Dio.
Rapiti, quasi sentano levarsi
La luce in seno, fremono ad un pio
Sgomento come quercie, su per gli arsi
Greppi, dei venti roridi al desio.
Poi vanno lungo il risonante mare,
Fra prati dasfodelo e per le rupi,
Vanno fantasmi duna antica et.
Torbidi e soli nel fatale andare,
Il cuore schiavo di pensieri cupi,
Locchio smarrito nellimmensit.
58
IL POLEDRO
Meraviglia a vederlo! la cervice
Stellante tra la nitida criniera
Erse il poledro, schiusa la narice
Ai soffi ardenti della primavera.
Nessun dei giovinetti, audace schiera
Di ardimenti e di prove sfidatrice,
Osava premer quella groppa nera
Come il tormento e correr la pendice.
Gloria a chi primo lo cavalca! disse
Il vecchio. Ai giovinetti trem il cuore.
Allor nella criniera gli confisse
Egli lartiglio, e saldo in groppa come
Un drago, spar via col corridore,
Dritto il bel capo tra le grigie chiome.
Canti barbaricini
61
LE API
Api ingegnose che sulla collina
Disegnate con vaga architettura
I bei favi, se a voi nieghi la dura
Terra il fiorrancio e la margheritina,
Voi sciamate sullaria, auree, allaltura
Azzurra e ai fiori della selva elcina;
E lieta della vostra ebbra divina
Gioia ogni fronda ed ogni creatura.
Oh lieta di tal gioia, nel lontano
Mare, lIsola antica che sinciela
DallOrtobene a monte Atha sovrano
Arrida, quando fulgida si svela
A chi naviga il mar meridano,
Dolce sognando allombra della vela!
60
LEGGENDE PASTORALI
PACE
Van le placide greggi per gli steli
Bianchi di luna; brillano vermigli
Fuochi dappresso e attorno, su pei cigli
Rocciosi, sotto il puro arco dei cieli.
Ammonisce il vegliardo ora i fedeli
Pastori, a lui devoti come figli:
La sua parola suona nei consigli
Grave e solenne come nei vangeli.
Della pace egli parla che nel cuore
Siede a colui che con le mani monde
Di sangue vive: e spargon tantamore
Le sue parole, e versan tanta pace
I cieli, che nelle anime iraconde
Ogni torva passione alfin si tace.
62
LA GREGGIA
Quando nacque la greggia ed era bianca
E lieve come nuvola fu Dio
Che a lei cinse una sua fiorita tanca
Con siepi di asfodelo in Ugolio.
Ma la pecora matta rase il pio
Chiuso e la siepe: e bruca e musa e arranca
Si fugg. S che a lei disse il buon Dio:
E tu vattene, va, n sii mai stanca
Di andare! E va la greggia, da quellalba
Remota, va dai monti al grigio lido
Di Sardegna, va e va, umile e scialba.
E dietro a lei, seguendo nella traccia
Delle nuvole il suo sogno, va il fido
Pastore, con la mazza e la bisaccia
Canti barbaricini
65
IL CAMPO DEI FANCIULLI
Caprai di Lula, e voi che pei meandri
Di Corrasi spargete allalba i branchi
Snelli, e voi, donne, che tra gli oleandri
Lavate lungo le fiumane i bianchi
Lini e le lane: avete visto il padre
Nostro? Noi lo cerchiamo da pi giorni
Invano, e invano al vento che su le adre
Selve vola gridiamo chei ritorni.
forte e bello. Se egli debbia ai piani
Ardon le macchie come eccelsi roghi,
E in un sol giorno falcian le sue mani
Quanta terra in un giorno aran due gioghi
Cos gemendo, i pargoletti figli
Cercano il padre. Van per la brughiera
E per la selva: ridon di vermigli
Alti fuochi le mandrie nella sera.
Chieggon del padre a quanti al focolare
Patrio saffrettan dalla fosca serra,
Ed a quanti dagli orti in riva al mare
Salgon con le primizie della terra.
O voi, vedeste il padre nostro? Il padre
Vostro noi non vedemmo. Or sotto il cielo
Morto gemon quei cuori: O padre, madre
Nostra, ove sei? Ed han negli occhi un velo
Di pianto. Ahi! le colombe alte sul monte
Svolano, n saccolgono leggiere
Sullonda, ch d sangue oggi la fonte,
E le colombe non ci voglion bere.
Canti barbaricini
67
IL PANE DELLA BONT
I tetti fumigavano
Dalle scandule brune, tra il nevisco,
E tre donne sfornavano e infornavano
Al lume del lentisco.
Venne uno stormo di fanciulli O zia
Un pane. Va in malora!
O zia, zetta mia,
Un pane. Va in malora!
O zia, mammina mia,
Un pane Va in malora!
Ah che dopo lavaro
Diniego, ingrato e amaro
Si fece il pane! E allora
Pass Ges bambino;
Ges bambino venne
Al borgo di Barbagia:
Donne, un pane! Per te, vieni, piccino.
E una donna distese
Un po di pasta dorzo sulla bragia:
Ed ecco che quel poco
Divenne molto, e s divenne grande
Quel pane che a sfornarlo
Ci vollero tre pale.
Ch sempre cresce e crescer pi sempre
Il pan della Bont.
66
I TRE RE
A Clinio Quaranta
Fratello, un sasso, senza voci e serto
Di fonti, sotto cielo algido e greve
Montalbo; e anchessa sua sorella Neve
Lo sdegna, tanto pare aspro e diserto.
Dalle sue vene lucide di schisto
Qualche erba rada e poco cisto sapre:
Tristi pastori spargono le capre
A pascer di quellerba e di quel cisto.
Or una volta per i greppi impervi
Di questo monte ceran tre pastori,
Tre fanciulli che avevan degli astori
Gli artiglietti e le brame, ed eran servi.
E un giorno eran le capre per la frasca
Sul vertice siedevan presso un botro
Senza pi pane, ed era come un otro
Esausto e secco la lor vecchia tasca.
Ed uno sospirava: Oh le lontane
Sere di maggio quando io pasco lorzo,
Ch nelle spighe tenero, e poi smorzo
La mia piccola sete alle fontane!
E laltro sospirava: Oh fosse giugno,
A smelar miele agreste, il miele nostro:
Lelce lo geme, simile a colostro,
Ogni ferula ronza come un bugno!
E il terzo: Oh andare, andare, a passi tardi,
Da tanca a tanca fino a Dortoro,
E coglier lerbe buone e i cardi doro
E mangiar di quellerbe e di quei cardi!
Ahi! la fame trebbiava come pula
Canti barbaricini
69
O figli, sangue del cuor vostro! Prono
Sullacque il padre, dalla rotta gola
Versa lultimo sangue: non pi il suono
Udrete, o figli, della sua parola.
Talvolta, o padre, nella gran calura
Cos indugiavi sulla fonte bruna;
Ma poi sorgevi e nella mietitura
Lucea la falce tua come la luna.
Or non ti levi. Or chi oprer le falci
Tue, chi il lucido aratro, chi il tuo carro?
Chi poter gli ulivi alti ed i tralci?
Chi, padre, a noi dar, miseri, il farro?
N pi vedremo, a giugno, alto e lucente
Dalla tua terra lorzo biondeggiare:
Il solco aperto e manca la semente,
E non sappiamo come seminare!
Chi il pianto vostro ud, fanciulli? In cielo
Passavan stormi garruli duccelli
Volti allalbergo; e appresero lanelo
Gemito vostro, o piccoli orfanelli.
Appresero. E alla notte tutta bianca
Di luna era la terra sovra il piano
Che il padre ar, con ala non mai stanca
Corser gli uccelli a seminarvi il grano.
Iva e reda la nuvola canora:
Ogni altro campo diede per quei brulli
Solchi un chicco: e cos, verso laurora,
Fior di messi il campo dei fanciulli.
68
Corriam sul vecchio, gli rubiam gli agnelli
E facciamo larrosto di Natale!
Si mossero: e li vide San Francesco
Dalla sua casa e non gli disse nulla.
Il vento galoppava per la brulla
Landa, col suo sonaglio gigantesco.
Venivan dagli sparsi ovili i fischi
Dei pastori lontani ed il gannire
Dei cani. Tetro spasimava alle ire
Della bufera il salto dei lentischi.
Poi nellombra uno strido ultimo: il nibbio.
E sulle tanche il palpitar di un velo
Tenue pallido gelido, e dal cielo,
Da tutti i cieli, turbin il sinibbio.
Il sinibbio la neve gi dai monti
Al pianoro, da Corte a monte Spada;
La neve che asserraglia la contrada
Ai cavallari, e lega rivi e fonti.
La neve che sommessa dice ai cani
Di non rignare: linimico spettro
Dei branchi, che con sue dita di vetro
Scioglie alle morte pecore i campani:
La neve che con sue lame argentine
Taglia le carni, e coi suoi baci beve
Il pianto amaro; il turbine, la neve
Con tutte le sue sferze e le sue spine.
La neve muta e cieca, o cuor di mamma!
Ah! un palmino di terra quanto basta
Per riporvi la paglia ch rimasta
In una greppia, e riveder la fiamma!
Mamma del cielo!
Ed ecco alla randagia
Covata si offr unelce con sua veste
Canti barbaricini
71
Le lor voglie. Era il vespro di Natale;
Svariava oltre i lentischi, nel brumale
Fumar dei tetti, solitaria Lula.
O fratres, disse e rise il pi grandino
Dei fanciulli, io lo vedo e non lo vedo:
Ma in ogni focolare c lo spiedo
Oggi, e le olive col finocchio e il vino.
Ma noi siam sbrici, o cuoricin mio bello.
Lo spiedo, s, ce lo pu dare unelce:
La fiamma, s, ce la pu dar la selce:
Ma chi, fratelli, ci dar lagnello?
Ah lagnello! Lo avremo nellartiglio
Noi pure il nostro agnello, o fratellini.
Io so un branco dagnelli trimestrini:
Uno stupore: bianchi come il giglio.
E li governa un vecchio di centanni
Che ci ha lovile dentro una spelonca;
Quando esce con la fune e con la ronca
Taglia le rame e si compone i manni;
Poi li raccatta, geme e si rimbuca:
Conta i mastelli e guarda la cannizza,
Rivoltola le forme, e riattizza
Il fuoco, e giace nella sua mastruca.
E il suo stramazzo sono sette agnelle,
E due montoni sono i capezzali.
Il vecchio, senza beni e senza mali,
Dormiglia e sogna pascoli e fiscelle.
Ma c il mastino a scompigliar la tana;
E alla spiga granita c la golpe;
A pollaio che canta va la volpe;
E a pastore che dorme la bardana.
Facciamo la bardana! Il mandrale
stanco, e dorme sodo, o miei fratelli.
70
I COLLOQUI COI MORTI
Di lutto eterno, come quelle meste
Vedove donne tue, sacra Barbagia.
E lelce li raccolse con dolcezza
Di madre, nel suo pio grembo ospitale.
I tre cuori, dimentichi del male,
Sentiron rifiorir la fanciullezza.
Trem nellombra un lumicino doro
La stella E nel silenzio delle valli
Squill un vario nitrito di cavalli,
Un ambiar gaio, un fremito sonoro.
E non erano, Aritzo, i tuoi ben conti
Mercantuzzi, e non erano i tuoi rossi
Ronzini, scesi dai tuoi boschi mossi
Dal riflo, o Regina delle fonti.
Ma Gaspero, Melchior e Baldassare:
Erano i re dArabia, i tre re magi,
Cavalcavan per piani e per ambagi;
Avean passato il Logudoro e il mare.
E portavan bisacce con dovizie
Di balsami e di mirra e doro e gemme.
Andavano coi servi a Betelemme;
E i servi aveano i cibi e le primizie.
E videro i fanciulli, che nel sogno
Dormivan buoni, dolcemente avvinti:
I capelli sembravano giacinti,
E il molle volto un fiore di cotogno.
Sostarono i re buoni; e con un manto
Di broccato, coprirono i fanciulli;
Nelle lor mani posero trastulli
Doro, e un balsamo ad addolcirne il pianto;
E accanto a loro posero un agnello,
E i bianchi pani e delizioso vino.
Cos, fuori del male, il lor festino
Si ebbero anchessi, i miseri, o fratello!
72
LA CENA DEI MORTI
Oh spillatemi il vin di Valditortora
Pieno di sole. Candida ed allegra
Splenda al mezzo la mensa; molta negra
Elce bruci nel vasto focolar.
E poich i fior ricordano le vivide
Aure, cogliete molti fior negli orti,
E spargeteli: a salutarmi i morti
Verran stanotte e qui vorran cenar.
Ecco gi giungon, ma non pi nel memore
Cuore echeggia il rumor dei passi noti:
Dai sepolcreti gelidi e remoti
Come ritornan silenziosi a me!
Varcan la soglia, e lieti attorno al candido
Desco siedono. O dolce compagnia,
Tutta piena di te lanima mia,
Lanima in cui sfioriro amor e f.
Quanti anni di silenzio e solitudine
Melanconicamente sono volti
A te pensando! Invano in altri volti
Amati il tuo sorriso il cuor cerc.
Or qui rimani! Brillan tra le grigie
E brune chiome rossi crisantemi;
Stanno negli occhi ancora i sogni estremi,
I sogni che la morte vi tronc.
Mescete, o morti, il vino! Il vin purpureo
Al cuor vostro ricordi i campi e i clivi
Aurei di luce e spighe, e i vecchi olivi
Azzurri nel fiammante mezzod.
Ricordi al vostro cuor la coppa agli ospiti
Prta tra i canti, e lopere e le prove
Canti barbaricini
75
LA MADRE
Il vento or si tace ora sfrasca,
Ascolti? fra i noci e i noccioli:
Ritornano i morti figlioli,
O madre, col ronco e la tasca.
Li vedi: e ti balza nel cielo
Il cuore come una calandra.
Ritornan da lande di gelo
Dove mai non pasce una mandra.
Ritornan da terre lontane.
Ti chiedon la cena: tu guardi.
O madre, oh i tuoi poveri sguardi
Di pianto che cercano un pane!
E un pane, un sol pane non lhai
O mamma, pei figli tuoi morti.
O figli che piansi, che amai,
Che piango, o miei figli risorti!
E gli occhi le brucian di fiamma,
E piange, o figlioli, per voi.
O mamma non piangere. O mamma,
Oh vieni a cenare con noi!
Canti barbaricini
77
Magnanime, e la patria terra dove
Il bel fiore dei vostri anni fior.
E tu, che solo, e lungi ai figli e al placido
Tuo tetto, oltre le grandi acque riposi,
Tu, padre, che tra i sogni lacrimosi
Dellinfanzia vedemmo a noi sfuggir,
Arridimi! Svaniron della pallida
Infanzia i sogni tristi, e della bruna
Vita lombre. Toccando in cuor pi duna
Ferita, muoviam lieti allavvenir.
E tu, nutrice, a cui cingean le grigie
Chiome e i casti pensieri una ghirlanda,
O mia nutrice, buona e veneranda
Come una madre, arridimi anche tu.
Ed amatemi, o morti. La mia povera
Casa gioconda sol per il ritorno
Vostro, e io solo per voi sento dattorno
Squillare i canti della giovent.
Ma gi i fiori avvizziscono, e fiammeggiano
Smorte le vampe della luce scialba;
Si affaccia tra le stelle ultime lalba,
Tornano i morti ai sepolcreti lor.
Partono i morti e accennano e mi chiamano:
Io li guardo sparir con gli occhi in pianto;
Il mio calice cade a terra infranto;
Essi mi accennan e chiamano ancor.
76
LO SPOSO
Il fiume travolsemi, o Lia,
Mi uccise col rosso cavallo.
Or dormo in una casa di cristallo
Gi nel mar di Baronia.
Pur nella notte sacra posso
Ritornare al mio focolare:
E mi vedrai, mia Lia! verr dal mare
Ritto sul cavallo rosso.
E ne udrai da lungi la pesta,
E il fremito della criniera.
O Lia, togliti allora dalla testa,
O mia Lia, la benda nera.
Io ti veda vestita doro
Vestita di fiamma, o mio fiore.
E ancor ti avvolgan i canti del coro,
E le fiamme del mio cuore.
Canti barbaricini
79
LA FANCIULLA
Biblina, dolce figlia, figlia morta
Nel fior degli anni tuoi come in un sogno!
Vieni a cena: serbato ti ho una torta
Di uva passe e di poma di cotogno.
O mamma mia, non voglio la mia cena;
Voglio solo affacciarmi al limitare.
Sai? ancor mi tormenta quella pena
Antica e non mi lascia riposare!
Oh! cessata dei servi la gazzarra
Ebbra, a me salga dalla siepe bruna
Un fremebondo suono di chitarra,
Sotto la luna.
78
IL PASTORE
Ululi come un cane, anima uccisa!
Io ti sento nel vento della notte.
Senza fucile, v per piani e grotte
Con la gola recisa.
O mio core! con le tremanti mani
Ti seppellii: ne pianse ogni pastore.
Ahi! la greggia mi bruca sopra il cuore
E mi abbaiano i cani.
Dormono gli altri morti: e tu per le erte
Cime sobbalzi dispettoso e torto.
Gli altri morti hanno pace: io sono un morto
Con le pupille aperte.
Dimanda dunque a qualche morto amico
La medicina che ti faccia bene!
Padre! la medicina nelle vene
Del mio coral nemico.
Canti barbaricini
81
LARATORE
Il tempo, o zetto, s dolco!
Venite alla seminatura.
Profondo assai pi dogni solco
il solco ovio giaccio, o cratura!
Sfornato vi ho sette focaccie
E vi ho rammendato il gabbano;
La cavallina ha le bisaccie
Con le tasche ricolme di grano.
Unaltra cavalla sul dorso
Mi ha sviato nel gran mezzogiorno;
Rapito mi ha fuor dogni corso
Per strade che non hanno ritorno.
Zetto, se fredda la sera
Vi scalderete al focolare;
Io dir nella mia preghiera,
Che il sole vi venga a riscaldare.
Pi dolce del miele del bugno
La vampa del fuoco tuo vivo.
Ma il sol, creatura, cattivo:
Mi ha ucciso con la falce nel pugno.
80
LE SELVAGGE
DISPERATA NUZIALE
Il padre tu mhai morto! Pur ti accoglie
Oggi il corteo di nozze. Ecco la sposa:
Dal busto doro, come un fior di rosa,
Le sboccia il seno: un fiore tra le foglie.
Offron la lana, e dicono i pastori:
Cos bianca ti veda unaltra et,
Quando la figlia, sposa, se ne andr,
Trepidando, fra gli inni dei cantori.
Ed ecco, o sposo, il miele! Agreste timo
Tanta dolcezza mai non stiller,
Quanta ne avrai nel cuore il d che il primo
Figlio il rude puledro inforcher.
E andate. E bianche mani ove tu passi
Spargon coi fiori il buon grano augurale.
Ma io che piango, su te verso il sale,
Il sale, o traditore, su tuoi passi.
Canti barbaricini
85
NOTTE NEL SALTO
Nullaltro sentivo che i colpi
Dellirto cignale negli elci:
Un lento brusire di felci
E a tratti il bramir delle volpi.
Il fuoco taceva. I guardiani,
Ravvolti nei manti di albagio,
Seguivan nel sonno il randagio
Vagar delle greggi e dei cani.
Quandecco, nel cielo senzastri,
Vibr dagli ovili vicini
Il vigile urlo dei mastini
E un largo sfrascar doleastri;
E gi dalla vetta soprana
Al nostro bivacco, tra i radi
Ginepri, volgendosi ai guadi
Notturni, pass la bardana.
Canti barbaricini
87
LA SPOSA
O sposo vestito di grana,
La sposa tua piange: perch?
Bevuto hai dallanfora rossa
Di quella fanciulla lontana?
Smarrito ha lanello tuo doro,
Lavandosi nella fontana?
Veduta ha la stella diana
Sul monte vicino alla luna?
O entrata la mala fortuna
In casa di un dolce parente?
Non bevvi dallanfora rossa
Di quella fanciulla lontana;
Smarrito non ha lanel doro
Lavandosi nella fontana;
N ha visto la stella diana
Sul monte vicino alla luna;
N entrata la mala fortuna
In casa dun dolce parente.
Ma piange, ma piange, io lo so,
Ma piange, ma piange perch
Tra i cumuli bianchi di lana,
Un bioccolo nero trov.
86
IL RITORNO
Ferito, a notte, giunsi allabituro;
Giunsi alla dolce soglia e mi fermai.
Ah! io non vidi, non vedr pi mai,
Il cielo cos grande e cos puro.
Il sangue mi gocciava dalle vene:
Le prefiche cantavan la mia morte:
Mamma piangeva la mia mala sorte.
Esse cantavan tragiche e serene.
Cadea sui volti scarni la criniera
Arsiccia e grigia come lolivastro:
Cuor di tua madre, fiore di mentastro,
Molle di sangue nella terra nera!
Ecco, balzai tra loro: il limitare
Vamp di gioia e di gioia nitr
Mia madre, ed ogni prefica mi offr
Il pane e il vino presso il focolare.
Canti barbaricini
89
VESPRO DI NATALE
Incappucciati, foschi, a passo lento
Tre banditi ascendevano la strada
Deserta e grigia, tra la selva rada
Dei sughereti, sotto il ciel dargento.
Non rumore di mandre o voci, il vento
Agitava per lalgida contrada.
Vasto silenzio. In fondo, Monte Spada
Ridea bianco nel vespro sonnolento.
O vespro di Natale! Dentro il core
Ai banditi piangea la nostalgia
Di te, pur senza udirne le campane:
E mesti eran, pensando al buon odore
Del porchetto e del vino, e allallegria
Del ceppo, nelle lor case lontane.
88
Tacquero e si segnarono. E dai sacchi
Caprini ei tolse le orerie, tesori
Ignoti, e molti calici e boccali
Di argento, e gli otri e i roridi f ali
E le pelli, conforto ai tuoi pastori,
O Barbagia, nei gelidi bivacchi.
Tolse i rasi e i damaschi, e con le mani
Sanguinose li svolse. Eran giardini
Di gigli doro, fiori di mala
Li avean portati allarsa Baronia
Sulle devote barche i levantini,
In tempi antichi, da lidi lontani.
Mostr i broccati, simbolo di gloria
Alle aspettanti vergini, ed i freni
E larmi ed i monili ed i coralli.
E monete istoriate di cavalli
Non mai visti: cavalli saraceni,
Lievi, chiomati, cari alla Vittoria.
Or guardavano intenti e avean nei tetri
Cuori lempia follia dello sparviero
Selvaggio. Era tra lerbe un lucer dastri.
Non mai quelle lor mani, che i vincastri
Stendevan dolcemente sullimpero
Delle greggie errabonde, come scetri,
Non mai n pur nei sogni avean ghermito
Cose s belle. Trassero le sorti,
E spartiron le prede. E nei boccali
E nei calici voller gli augurali
Vini mescere: i giovani ai pi forti
Davan le tazze, come in un convito.
Beveano in cerchio. E a Liba anche, in quel loro
Gaudio, porsero il calice di argento,
Augurando. Egli bevve con un riso
Canti barbaricini
91
I GRASSATORI
Anelavano ai boschi dellaltura,
Arsi, felini. Il vento dellaurora
Agitava i lor velli irti e le chiome.
I cavalli, gi vinti dalle some
Inique, procedean stanchi. Era lora
Delladunata e della partitura.
E con loro era Liba, il mandrano
Di molte greggi, Liba, il domatore
Di giovenchi e poledri. Ora non pi:
Ch gi sulla sua forte giovent
Scendeva lombra; e aveva rotto il cuore
E bianco il viso e debole la mano.
Li avea seguiti a lungo. Or su per lerta
Mal reggeva al cavallo il duro freno,
E invan chiedeva balsami alle fonti.
Or si moriva. E, in sogno, uda dai monti
Un tinnir di campani al ciel sereno
Ahi! forse era la sua mandria diserta.
Ma sul monte al ferito, a pi degli elci,
Ecco i giovani stesero il giaciglio
Di molli fronde; mentre gli anzani
Sceglieano i tronchi e, con le accorte mani
E col ferro, destavano il vermiglio
Seme del fuoco dalle acute selci.
E brillarono i fuochi. Ed: O fratelli,
Disse il pi vecchio io spartir le prede,
E ognun se labbia come vuol la sorte.
Faremo come quando, posti a morte
I cervi che la caccia ilare diede,
E le carni si spartono e le pelli.
90
IL VOTO
Nostra Signora bella,
Che sul monte Gonare
Hai la casta dimora
In vista ad ogni terra,
In vista a tutti i mari:
Se a te salgan pei cieli tempestosi
Di procelle e destini,
Le preghiere degli umili marini
E i voti delle barche coralline:
Se a te salgan sullaure vespertine
I sospiri fidenti
Delle vegliate culle e dei bivacchi:
Se a te giungan sui venti
Meridani laffanno degli arsi
Mietitori, e lanelito
Degli scalzi pedoni,
E dei mendichi erranti,
Perch sei vista dalle opposte strade,
Che vanno tra i frumenti e i melograni,
Che vanno tra gli elceti e viti doro,
Ai gialli Campidani,
E al verde Logudoro:
Mascolta tu, Signora di Gonare!
E tu, santo Francesco,
Che non tolleri ambagi;
Ed hai la bianca casa a pi del monte
Privo di fonti, poich tu sei solo
Fontana di fortezza e verit
Ed hai servi pastori,
Ed hai tanche e giovenche,
E serbi nel tuo cuore formidabile
Canti barbaricini
93
Estremo. Erano i cieli di narciso;
Bianche mandre di nubi sopra il vento
Migravano al lontano Logudoro.
Liba, mio piccol cuore, parl allora
Un antico, che degli Evangelisti
Aveva il grave eloquio o Liba, noi
Sovra un letto di quercia ai luoghi tuoi
Ti porterem stanotte, e l, non visti,
Ne verranno i tuoi vecchi sullaurora.
Or prendi, intanto: tuo questo dipinto
Freno e questarmi, che ti pongo a lato;
Tuo questo miele; tuo questo boccale;
Tuo questo drappo che non ha luguale:
a palme doro, un palio di broccato,
Il pi bello di quanti tu ne hai vinto.
Oh! disse lui, non larmi e non il freno,
E nullaltro io pi voglio. Gi minaccia
Lastore e il nido plora su la frasca!
O piccol zio, voi solo date a Paska
Quel drappo doro, e, come le mie braccia,
Quelle palme le avvolgano il bel seno.
92
DITIRAMBO DI GIOVINEZZA
A Vittoria Ciusa
Date lacquavite alle mani,
Prendete la tasca e lo schioppo
E andiamo. Ohi! che galoppo,
Che rombo tra lurlo dei cani.
Prenderemo i cavalli che a frotte
Corron nitrendo le tanche,
Gli figgerem nel collo le branche,
Li avventeremo contro la notte.
Versatemi il vin di Marreri
Che mi apre le vene del cuore.
O donna, apparecchia i taglieri,
E poi hutalab! col corridore.
Ho un sogno nellanima torva,
O uccellin mio di Primavera!
Vo traversar la Costera,
Vo entrar nellaspra Bonorva.
L nella chiesa, sul coro,
Vi una santa doro, vi !
Voglio portarti quella santa doro:
Ruber la Madonna per te!
Canti barbaricini
95
Chiuso con tre suggelli,
Laffanno e le rancure
Dellatterrito micidiale, il tardo
Pianto delle galere,
Ed il segreto pianto
Delle madri davanti alle prigioni;
Santo dei forti, santo dei banditi,
E dei rapinatori;
Ascoltate il mio priego: io non vi voglio
Pascoli di trifoglio
Al gregge mio; non voglio
Ricchezze, n mastini
Da presa, n cavalli
Corridori, n ori
Alla mia donna. Voglio
Solo una grazia, voglio
Che il mio mortal nemico
Affoghi nel suo sangue;
La sua femmina, madre dei suoi figli
Accatti negli ovili;
Questo vi chiedo. E a voi, nostra Signora,
Adorner le mani
Di unalba cornola;
E a te, Santo di Lula,
Accender una lampada,
Che in notte di procella
Sia vista dai caprai di Bruncuspina,
E alle anime penanti in purgatorio
Una giovenca matter, pi bianca
Della neve, spettacolo ai pastori
Che accorrono dai salti ad ammirarla.
E i miei servi la chiamano,
Tra il rosso mareggiar della fiorita
Tanca: Bandierin-mare.
94
MASSIMO GORKI
Io ti vidi, poeta. Il ciel senzastri
Rompeva in pianti sopra la brughiera.
Balenavano i fuochi della sera
Intorno intorno pe deserti castri.
E tu venisti, scalzo, tra i mentastri
A quei fuochi; e i pastori, in quella spera
Spasimante di fiamme alla bufera,
Ti guardarono curvi sui vincastri.
Tutta lanima triste di Barbagia
Ti guardava in quegli occhi, e ti si offra
Con quel fuoco ogni cuore non ignaro:
Ch sentivano dentro la randagia
Procella che batteva la tua via,
Lo strazio loro e il tuo, Massimo Amaro!
Canti barbaricini
97
SPERDUTI
E giunsero al villaggio
Che ardeano i focolari:
Dai chiusi limitari
Ne traspariva ancora qualche raggio.
Ai piccoli raminghi
Aprite, o cristiani!
Non gli uomini, ma i cani
A quel grido risposero coi ringhi.
E andaron per le piane
Nevose e per le grotte;
Vagaron giorno e notte,
Penando, senza fuoco e senza pane,
Ahi soli nei perigli!
Ben sapevan le belve
Nelle natie lor selve,
Dar cibo e pace ai lor piccoli figli.
Fuggiron tra il nevischio,
Pregando. Ecco la chiesa:
Solenne erma sospesa
Sui dirupi, tra lelci ed il lentischio.
Aprici, o Dio, Signore!
Sui cardini di ferro,
Lalta porta di cerro
Rimase anchessa chiusa come un cuore.
96
ALLE MADRI DI BARBAGIA
ALLE MADRI DI BARBAGIA
Io dico questo canto a voi, Madri dolorose
Di Sardegna: oggi che rudi
Mani avvolgon allelce verde le purpuree rose,
E riposan magli e incudini.
Fugge la notte, o Madri. Sul risveglio della landa,
Nel gran cielo antelucano,
Solitaria ne brilla qualche stella: una ghirlanda
Di astri uscitale di mano.
E dallombra or il canto, o madri, va a chi spera
Va a chi sogna, a nunzare
La luce, come uccello, figlio della Primavera,
Che improvviso vien dal mare.
Madri che dolorando il dolor di tutti i cuori
Guardavate i muti cieli;
Voi, che perdute nellombra degli antichi errori
Prone tra le fami e i geli,
Mormoraste: O Dio, sia fatta la tua volont!
Che sentiste arder nel pio
Seno lalta promessa che vi sorridea: Verr
In terra il regno di Dio.
O Madri, o Madri! I cieli vi mentirono, e mentito
Vi ha Ges mille e mille anni,
E vi ruin dai ferrei taciti evi un infinito
Gorgo di odio e donte e affanni.
E vedeste per terre fosche di albatri e di assenzio,
Dove dormon le remote
Stirpi, pur essi i figli spasimare nel silenzio
Delle assidue opere ignote.
Curvi sui torti aratri, iteravano il cammino
Delle glebe, oggi, domani,
Canti barbaricini
101
E sovra tutto il vostro cuore, colmo di divina
Bont, vivo di un sol sogno!
Ma pur i figli, reduci dagli ovili, nelle mani
Vi poneano umili un loro
Dono: unutil conocchia, istoriata sui lontani
Monti, in un ramo di alloro.
E brill la conocchia per voi nel crepuscol tetro
E nella serenit
Dellalba, o Madri antiche: e fu il segno e fu lo scetro
Della vostra deit.
Ma non sempre il lor ferro segu docile, nel riso
Dellingenuo cor, la pace
Dellopra onde scolpite si mesceano al fior daliso
Luva e ledera seguace.
E non sempre le mani si snodarono innocenti
Al musar trepido e lieve
Dei redi, o nel soffolcere le ulivete mal gementi
Sotto il peso della neve;
Ma irroraron di sangue, di fraterno sangue, i dumi
Delle tanche: arsi, feriti,
Tra le voci del vento, discendeano ai verdi fiumi
A lavarsi, i cainiti!
Cupa leco dei monti iter le fratricide
Voci ai glauchi anfiteatri:
E solcaron la terra torvi, con larmi omicide
Annodate ai santi aratri!
E voi tutto sapeste, tutto voi sentiste, o Madri!
Ed appresero le balze
Anchesse il vostro strazio quando, abbandonati i quadri
Focolari, usciste scalze
A cercarlo il cuor vostro, Madri! Prefiche ed Erinni
Che di canti e vaticin
Ghirlandate le culle, di che tetri e vindici inni
Coronaste i letti elcini!
Canti barbaricini
103
Finch non traboccavano di quei solchi sul confino,
Con la stiva nelle mani.
E guidavan nel debbio lutil fuoco come un cane,
Nellaer vivo di ogni ardore,
Vigili a contenere quelle lor fiamme lontane
Dalla siepe del Signore.
E nelle notti, quando scende fra li orzi alle fonti
Cauto a bevere il cignale;
Quando il cielo si annera vasto, e brontola dai monti
Balenando il temporale,
Essi urgevan la greggia nomade e gli armenti bradi
Ai pianori dalle valli,
Avvolti in nere pelli, avventando ai torbi guadi
Con felino urlo i cavalli
Oh! ma sempre nel cuore li seguiste voi, dolenti.
E se il fuoco dolivastro
Garriva alla bufera; e se ardea nei cieli intenti
Presso il novilunio un astro,
Fu pi vivo laffanno. E a precorrere laurora
Spiavate dalle soglie
Fumide il cielo, e al vostro gemito tacea, nellora
Grande, il vento tra le foglie.
Poi allalba per loro voi tesseste il rude albagio
E torceste laspro lino.
E nulla fu per voi: non la lana del randagio
Gregge, non il miele o il vino.
E tutto fu per loro: e quel molto, e pi quel poco
Che fu vostro. E in ogni giorno
Serbaste a loro un dono: quel giaciglio accanto al fuoco
Per le sere del ritorno,
E il pane delle nozze, e la dolce uva vernina,
E le poma del cotogno,
102
Se vitale mi fu, come il primo soffio alpestre
Che mi avvolse, e come il cibo
Primo, il dolore, o Madri! se mi fu sacro ogni vostro
Dolor, Madri, nel dolore
Di mia Madre (e salimmo, o fratello, il viver nostro
Con quellombra dentro il cuore!)
Madri, io libo. Io non veda voi pi curve, come lelce
Trta dal vento, su gli anni
Morti, dir alla fiamma che vi nasce dalla selce
E dal ferro, i vostri affanni:
Non vi veda con gli occhi fisi al muto limitare
Aspettare chi non torna,
E gemere e penare e plorare ed implorare
Quando annotta e quando aggiorna:
Non vi veda schiomate uggiolare sullo spento
Focolare nei villaggi
Taciturni. Oh solinghe voci profughe sul vento
Nel delirio di selvaggi
Riti. Oh voci di Madri! monodie di prefiche ebbre
Di vendetta e mala sorte,
Sulle terre precinte dal silenzio della febbre,
Dal silenzio della morte
Madri, io libo! La terra come voi ci sia materna,
E dia pane e dia letizia
Ai figli, ai vostri figli: e vi regni augusta eterna
La Giustizia.
Canti barbaricini
105
I letti che la scure strapp allelce: dove i morti
Furono stesi ad ascoltare
Gli ultimi canti: i letti dove giacquer biechi e torti,
Volti i piedi al limitare.
Madri, dallor sullanima vostra fu tutto il silenzio
Sconsolato che nel piano
Flagellato dal sole, quando fiammeggia lassenzio,
E il ciel sembra pi lontano.
Le mani che infioravan come un canestro votivo
I presenti nuzali;
Le mani che tremando stendean lolio dulivo
Su le ferite mortali;
Le mani che poneano nei caprini sacchi il pane
Al pastore e allaratore;
Le mani che versavano sulle nostre lotte insane
Tutti i balsami del core;
Quelle supplici mani si serraron stanche e scarne
Ahi! per sempre nella muta
Preghiera, e mai non ebbe altre pene pi la carne,
Da quel pianto combattuta.
O Madri, o Madri! i cieli vi mentirono, e mentito
Vi ha nei secoli Ges:
E il suo regno non venne, e quel suo sogno svanito
E non torner mai pi.
E non da lui la gioia verr a voi; ma vi verr
Dalla montagna e dal mare,
Vasta e tacita come la luce; e non avverr
Da quel vostro umil pregare;
Non dalluomo o da Dio; ma sar lardente figlia
Del cuor vostro e dellumano
Volere, e sapr molcere quanti seni e quante ciglia
Han pregato ai cieli invano!
Madri! col puro latte, odorato del rupestre
Timo, a quella gioia io libo.
104
ANTELUCANE
LEPPA E VOMERE
Dice la Leppa: Un giorno benedetta
E sacra in pugno del milizano,
Nei campi ove gi limpeto romano
Si franse balenai come saetta.
Ora, a guardia dellumile casetta
E della virt prisca, non invano
Vigilo, e arrido al pallido isolano
Nei tormentosi sogni di vendetta.
Ed il Vomere: Al giusto io d le buone
Messi; come pia arca, a me si schiude
La terra che di strage empia tu irrori.
E attorno a me, dalle colline prone,
Salza a sera, fornita lopra rude,
Il canto arvale dei lavoratori.
Canti barbaricini
109
Buona, nellanima loro che anela
Alle fontane schiuse tra i vergini
Fiori, ai tuoi vertici arsi ove laquila e il cor sinciela.
Lascia la crocea benda, che avvolseti
Al capo il torbido giorno di rabide ire.
Ascolti? a Te ne vengono, primavera dellanima
Nostra, e a Te linno cantano dellavvenire.
Per sempre snebbiano via con le nuvole
I truci sogni dinanzi a loro:
Eccoti il vino, il vin purpureo
Dei colli, mescilo nellospitale tua coppa doro!
Non io. Nel calice mio pi non fumiga
Il vino ambrosio della mia giovinezza,
Pure, se ancor sullinvido cuor passi il vostro cantico,
Sfolgorante di indomita fede e fortezza,
Sentir, o liberi Goliardi, lmpito
Del dolce sogno, sogno che fu,
E che ancor memore sorge dallanima
Cercando il cantico, cercando il sole di giovent.
Canti barbaricini
111
SALUTO AI GOLIARDI DI SARDEGNA
Per il Congresso universitario sardo tenutosi in Nuoro
Odi? essi giungono, o Madre, o Patria!
Essi che cantano linno dellavvenire.
Or tu lascia la crocea benda, che male avvolseti
Al fiero capo il torbido giorno delle ire;
Cingi la benda candida e affacciati
Alta, dei monti sul limitare
Tremolo delci nere, e ben volino
In alto gli animi e gli inni e i falchi ad augurare!
Vedi? a Te giungono dal golfo ondisono
Curvo sul lucido mar come arco di luna;
Dai bei lidi che videro la vela infaticabile
Di Ulisse, volta alle isole della Fortuna.
A te ne vengono dalla magnanima
Citt che levasi bianca tra brune
Selve pacifiche, dove ancor vibrano,
Da mura dirte, i fieri sensi del suo Comune.
E Tu con ospite core, Tu accoglili,
O Madre, o Patria! Non pi essi agli impronti
Sogni concedon lanima, ma vindici ad un vindice
Lor richiamo, ecco levano le balde fronti.
Per poco il nitido pennecchio or dunque
Posin le mani, o Madre, e il tetro
Stame dei negri velli, e la nobile
Rcca, di gracili intagli insigne, come uno scettro.
Posino lopere. Ed il pi fervido
Tuo vino mescasi, e si spezzi il tuo pane
Pi puro; per lor, vittima fausta, simpiaghi il fulvido
Cignale entro le fumide forre montane.
Sentano lanima Tua dentro lanima
110
Non desta ancor la fiamma? Ah! voi spargete lelce
Ed intrecciate solo pensieri di bont!
O figli, o figli! quanto arse in fondo alloscura
Anima nostra di odio, in voi arda damore.
O Bont, rideranno precinti dal candore
Tuo tutti i sensi e i sogni della Citt futura.
Oh siate buoni! nulla vi sar di pi grande
E di pi augusto che la Bont, sotto il sole.
I canti degli eroi non valgon le parole
Del giusto, e il rosso alloro non val le pie ghirlande.
Lanima vi trabocchi di amor, come una coppa
Di latte; nel perdono vostro amate pur quelli
Che si nutrono dodio: anchessi son fratelli
Nostri, ed intorno a loro fu vasto il pianto e troppa
Lombra; versate il vostro balsamo anche sul male
Che nel cuore delluomo; amate anche il felice
Inesperto del pianto; anche la meretrice
Amate, e il folle e il truce ed il micidale.
Nulla sar pi grande di questo amore e un vano
Sogno fu ogni altra cosa! Alluomo che il coltello
Brand torvo nellira, mormorate: Fratello!
E il ferro gli cadr dalla snodata mano.
Alla donna che strugge nellopera servile
Il d di giovinezza: alla negletta ancella
Che anela scalza ed arsa, mormorate: Sorella!
E il cuor le tremer come fiore in aprile.
Amate ogni vivente creatura: ogni cosa
Viva: il fior della Vita! La cicuta e la spica,
La vipera e limplume, laquila e la formica,
La fronda del cipresso e il fiore della rosa.
E nulla, o figli, ai piccoli vostri padri sar
Pi dolce che la vostra ben divinata messe.
O nati a suggellare le fulgide promesse,
Spargete lelce e i sogni di pace e di bont.
Canti barbaricini
113
IL CANTO DELLA BONT
Per il primo Congresso dei Maestri sardi tenutosi in Nuoro
Fabbro, che sullincudine sai battere il fecondo
Vomere, e, se lo voglia il Dritto, anche la spada;
Tu che inondi di snito e luce la contrada,
Gi prima che la stella lasci il ridesto mondo;
Seminator, che il solco segni tra i pigri veli
Del novembre, e la stiva reggi devotamente,
Come una croce, e versi dal pugno la semente,
E dal cuor la speranza, grande, guardando i cieli;
Uomo dei campi, che col tuo nobile ferro
Straz, per fecondarlo, il faticoso cuore
Della terra, onde poi il calice ha il licore,
La lampana la fiamma, e lombra arguta il cerro;
Pastore, irto di pelli, che, quando dalla reggia
Del monte rompe il nembo, col vento e la bufera,
Vai fosco e taciturno, pensando nella sera
Con egual core ai figli e ai redi della greggia;
E donne, o voi bendate ai d mesti di croco,
Che coronate di ninnananne divine
E le culle e le bare; voi madri, voi regine,
Caste custoditrici del lievito e del fuoco:
Udite, udite! Vengono, ecco, al rupestre nido
Nostro i piccoli padri! A lor, s come dopo
La pia fatica, dite il canto, e di piropo
Ogni anima fiammeggi nellaffettuoso grido!
Vengono i dolci padri di tutti i figli: i buoni
Pastor che danno il timo allorfano agnelletto:
I fabbri di virt: i saggi che al negletto
Fior dan la luce; gli uomini delle seminagioni.
Dite il canto. Ma quale canto, o figli, dir
Lanima vostra, in cui, come in non tocca selce,
112
IN LODE DI FRANCESCO CIUSA
SGELO
Palpita tutto al molle,
Languido mite fiato
Di marzo, il risolcato
Colle.
Or fuori della bruma
Aulisce di vole;
E verde altare al sole
Fuma.
Levansi attorno i monti
Sereni alti splendenti
Di gelo, e di gementi
Fonti.
O Barbagia! e sui cigli,
Coronata baleni
Di nevi, e di sereni
Gigli.
114
Notte
IL NATALE DI LAZZARO
I
Vedi Natale: scende dai pertugi
Del soffitto la luna e imperla un velo
Sullinsonne occhio tuo. Negli stambugi,
Se c la luna, vi si addoppia il gelo.
Odi? rombano, cantan con anelo
Empito le campane, e tu trangugi
Fiele, ed i tuoi pensier, neri segugi
Arrandellati, abbaian contro il cielo.
Oh! Dapril, quando Pasqua, nel profondo
Ciel varde fuoco, e sono pie le fonti,
E vi ha di molta erbuccia e radichelle
Ma a Natale hanno aguzzi rai le stelle;
Son chiusi i cuori e son fredde le fronti,
E muto e nero e senza sole il mondo.
II
Tu ascolti e vedi in sogno. Ecco il fiorito
Desco e, tra molto acciottolo sonoro
E canti, ecco il majal, di sacro alloro,
Come un cesareo vate, redimito.
Borghesi e filistei parlan fra loro
Di Ges nato e sognano il convito
Celeste e mangian lenti, con decoro,
Ch il cibo assai, pi assai che lappetito.
Ma tu balzi fantasma, alto, ed ascolti
Canti barbaricini
117
Mattino
ALLA FONTE
O Francesco, la prima creatura
Che ti sorrise dalla sanguinosa
Nostra terra, sfior come una rosa
Selvaggia, in un mio canto di sventura.
Or la rivedo, schiusa dalla pura
Tua mano giovanil, con rugiadosa
Fronte di gloria, riguardar secura
Oltre il sogno, alla sua vita affannosa.
Oh fuor dei venti della truce sera
Cammina, anima! Il nostro ermo destino
Celato come il fuoco delle selci.
O Francesco, e udiremo a primavera
Costei, fornito il suo duro commino,
Parlar della tua gloria, alta fra gli elci!
Agosto 1904
Canti barbaricini
119
Gi dallabisso della via salire
Lululo estremo di cognati cuori
Sovra le turbe passano bagliori
Di nembo e tuoni, di corrucci e dire!
Guardan dallombra disperati volti.
Dicembre 1903
118
Errando per pianure doleastri,
Ti mosse incontro questa forma viva?
I tuoi sogni lontani eran come astri
Accesi sopra solitaria riva.
E a te vena dallombra antelucana
La parola profonda
Di questa terra antica:
E ascoltasti linsonne
Vento seminatore
Nella tanca lontana;
E adorasti il silenzio
Del ciel meridano
Quando le selve pendon come cetre
E vibra sulle pietre
Dei vertici lo squillo
Del falco cacciatore.
Tutte accogliesti in cuore
Le melodie del campo e dellovile
Del debbio e del vaggio
Dei nomadi pastori,
Della vendemmia e della tosatura,
E della domatura dei selvaggi
Torelli e dei poledri corridori.
Ecco: e tra questi accenti
Varcasti il limitare
Del tuo silenzio: e allopra creatrice
Drizzasti il cuore con virt nativa.
E fu puro il tuo gesto,
E casto come quello delluom che ara,
E della donna che apparecchia il pane,
E del pastor che guida, nella chiara
Notte di luglio, il branco alle fontane.
E fosti triste e solo al tuo lavoro,
Solo alla tua fortuna;
Con solo il tuo dolore,
Con solo il dolce amore
Canti barbaricini
121
Meriggio
LA MADRE DELLUCCISO
Madre, nel grido della turba, il carro
Train lucciso figlio tuo dal monte;
E troppo lenti erano i gravi bovi
A portartelo al tuo solo dolore.
Or te lo senti ripassar sul core
Il sanguinoso carro.
E ti stai sulla pietra
Del focolare, ove spartivi il farro
Con la sua gioia; e inconsolata e tetra
Ti affliggi, o madre, nellimmota pena
Della tua vita; e ti discarna e adunca
Il dolore col suo ferreo ronciglio
Pi dallor che con lui, col dolce figlio,
Falciavi lorzo per le chiuse valli.
Altra messe ora mieti:
La falce del pensiero
Taglia spighe di pianto;
Leghi i mannelli del gran sogno infranto
Nel tuo silenzio, sotto il cielo nero.
E non sola una madre con un solo
Dolor tu sei, ma sei
Ahi! tutta la Barbagia di Sardigna,
Sola sui tristi monti
Tra il singulto del mare
Tra il singulto dei venti,
In vista agli orizzonti
Seminati di pene,
Tacite e vive come fiamme ardenti
Di bivacchi notturni.
O Francesco, o fratello!
Da quali nostri cieli taciturni,
120
Della tua Primavera
Dar la cauta schiera
Degli onesti tuoi ladri e dei banditi.
Se laurora arder su tuoi graniti
Tu la dovrai, Sardegna, ai nuovi figli.
A questo: a quanti cuori
Vegliano nella tua ombra, aspettando!
O fratello, e tu primo alla vittoria,
Da il grido dai vermigli
Pianori: Agita il palio
O rosso cavallo,
O cavallo di gloria, hutalab!
Aprile 1907
Canti barbaricini
123
Che ti arridea dal Marghine lontano.
Ed ecco, la tua mano
Ora ha ghermito il sogno:
Ghermito lo ha, cos, con giovanile
Impeto, come quando
Salivi lerta cima a snidiare
I falchetti; cos, come sapevi
Con la sicura fionda
Spiccar la pina dallaerea fronda!
Ora lasciati a tergo il truce intrico
E gli striscianti sibili e lesiguo
Aer dello speco: col sogghigno ambiguo
Nulla pi ti domanda il gran Nemico.
Va per la tanca in fiore:
La terra tutta bianca
Di greggie e di asfodeli;
Balzano su dallartemisie doro,
Trillan da tutti i cieli,
Le allodole, o fratello!
Ah! sveneran lagnello
Pi grasso, oggi, i pastori,
E ti daranno il latte,
E parleran con te di questa loro
Madre, e avranno nel cuore
Il pianto del ricordo!
E lanziano dir: Sian benedette
O figlio, le tue mani.
Sardegna, o Madre, chi nella tua notte
Non ebber mai pi vasta notte i cieli
Chi dir il canto alla tua luce, il canto
Della tua primavera?
O Taciturna, o Sola!
La profonda parola
No, non ludrai dai cento tuoi loquaci
Rabula, tronf tra il plaudir dei fetidi
Subrostrani: n porpora alle rose
122
ODE AL GENNARGENTU
ODE AL GENNARGENTU
Anima, ascolti? Un grido di vittoria
in cielo. Passan le aquile. Al supremo
Vertice sali, e l, sogna lestremo
Sogno di gloria.
Ascendi. Non qui il tinnulo lamento
Degli armenti, o di nostra vita i segni.
qui la pace: e sono questi i regni
Ermi del vento.
E gi sul vento levansi, da monte
Spada, spettri di nubi. Sopra il cuore
unombra: son passati. Nel chiarore
Sbito, un fonte
Luccica e scroscia. Odorano le valli
Di serpillo e di quercia; erti fra lerbe
Aspre, poggian nitrendo a queste acerbe
Aure i cavalli.
Ecco, la cima. Come area regna
Il cielo, qual la vidi nel deso!
Oh, che tutta ti abbracci oggi col mio
Cuore, Sardegna,
Tutta! Dai picchi dove la mattina
Stanno i vecchi pastori a rimirare,
Alti fra i greggi bianchi, il tremolare
Della marina;
Ai piani dove van silenzose
Ombre di mandre e nubi; ai bei meandri
Delle gole, ove intesson gli oleandri
Serti di rose;
Canti barbaricini
127
Lalta parola. E tu, terra del nostro
Sogno, Barbagia,
Accoglila nel cuor, come del lento
Verno il germe nel buon solco si accoglie;
E tu vedrai dal tuo Monte, che ha soglie
Sacre, di argento,
Scender la Gioia. Tu vedrai sui monti
Fiammeggiare quel giorno le bandiere
Del sole; tutte tutte le bandiere
Dei tuoi tramonti.
Dar serti di pace lolivastro
Della tua tanca: i tuoi figli, i pastori,
Sentiranno levarsi dai lor cuori
Selvaggi un astro.
Oh benedetta per la tua ventura,
Come lo fosti per il tuo dolore!
Sii benedetta per il nostro amore,
Barbagia, pura,
Pia madre che ci nutri di tua forza.
Sii benedetta per i limitari
Schiusi allospite; per i focolari
Dove non smorza
Mai la fiamma lanziano; per il pane
E per il latte dato al vandante
Ed al ramingo; per la greggia errante
Che alle fontane
Scende col sole, mite e bianca, a bere;
E intorno stanno le cavalle e i cani
E i servi: e quei che se ne van pe piani
E le brughiere,
Canti barbaricini
129
Ai ruderi del grande Enosigeo
Memori, proni tra i lentischi e i mirti,
E a quelle che te vider, sarde sirti,
Divo Aristeo.
Deh! da quanto mistero arso di lande
Tendon gli animi a te, siderea vetta.
E tu ti stai, vigilia eterna, eretta
Al nembo e al grande
Ciel, che sinarca sul perpetuo pianto
Del mare. E sai di nostra stirpe i fati,
E udisti o gloria! dopo i disperati
Impeti, il canto
Della vittoria, quando dai confini
Dei monti balenarono, su gli adri
Valichi, i vostri flammei avvisi, o padri
Barbaricini.
Or nella notte irrompe pe deserti
Valloni la bardana: alti, nei neri
Manti, passano torvi cavalieri
Tastando i certi
Schioppi, se senton ridere nel cuore
Lodio. Pur qui, mondo di crucci e dire,
Sal un giorno, guardando allavvenire,
Un vatore.
E sullultimo sasso, su cui vola
Laquila e il vento, e ha serto di vole
Selvaggie, scrisse e riguardava il sole
Una parola.
E qui fiammeggia O nubi, e tu, randagia
Aura, ditela voi nel volo vostro
128
ICNUSIE
Cercando i redi, richiamando a nome
Le agnelle, sperse gi, nel temporale:
E han sandali di pelle di cignale,
E intonse chiome:
E sanno nelle costellazoni
Legger lora del tempo, e senza freni
San domare i polledri, e son sereni,
Gagliardi e buoni
Sii benedetta per le tue capanne
Dove tra i salmi passano leggende:
Dove, nei vespri, ronzan le tremende
Tue ninnenanne;
Per le selve che al cuore che dolora
Danno sensi di forza e melodia,
Quando vi scorre trepida, su via
Di fior, lAurora;
Per le tue donne che tra vagli e spole
Dicon lor tristi canti; per i vecchi
In molte opere esperti; pe pennecchi
Tremuli al sole
Come fronda di pioppo; per leletta
Tua nuova sorte; per il tuo dolore;
Per lodio nostro; per il nostro amore:
Sii benedetta!
130
LALTERNOS
Sui campi di Tiesi, in unalba del Giugno 1796
Allalba il carro doro per la via
Lattea scendeva, e unaquila garria
Fu visto o fato! Don Giovan Maria,
Il ribelle Alternos, qui cavalcare.
Lalto suo sogno, grave di avvenire,
Limpeto fatto di speranze e dire,
La forza di chi sorse a maledire
Egli vide dal sommo ruinare.
Errava triste e solo. Per il piano
Fuggiangli locchio e lanima lontano:
Ch ancor vedeva quel suo sogno, invano,
Sui boschi, dietro i monti, balenare.
I monti della patria! Come veli
Di ninfe si svolgevano nei cieli
Le nubi antelucane: gli asfodeli
Svettavano al chiaror crepuscolare.
Or nella gloria di sue rosse aurore,
Cinto di lampi si levava il cuore,
Anelando. Or non pi, dentro il fragore
Dellarmi, linno, soffio aquilonare!
Non dal pulpito pi prete Muroni
Legato ha il suo ronzino agli arponi,
E polveroso ancora, e con gli sproni
Rugge sui vili, ch non sa pregare.
Non pi nel solco del mattino doro
Le urgenti turbe! O verde Logudoro,
Canti barbaricini
133
IN MEMORIA
A G. Asproni
Noi lo vedemmo e udimmo i vecchi dicono
Seduti allombre verdi del sacrato,
E a lui pensando, i pii vecchi risognano
Tutti i migliori sogni del passato
Noi lo vedemmo e udimmo. In lui la ruvida
Possa della sua gente: e il dritto e sano
Oprare: in lui leloquio formidabile
Vivo di lampi come luragano.
In lui la gaia bonoma: schiudevasi
Talor la sua pensosa fronte ai voli
Darguti motti, e allor egli appariane
Come una quercia viva dusignoli.
Ed egli fu del nostro dritto valido
Affermatore. Allor per questa terra
Volser giorni men rei. Deh! come allanima
Il ricordo di Lui oggi si afferra!
Cos i vegliardi. E i rimembranti giovani,
Scendendo a sera dalle fosche vette
Ai villaggi, che in fiere solitudini
Maturan dii e covano vendette,
Ripensano: Oh se ancor di sua grandanima
Passasse un lampo, o Patria, ancor tu noi
Vedresti in folta schiera assurger vindici
Dellonta nostra e de destini tuoi!
Canti barbaricini
135
Di che fiamme avvolgesti il nobil coro,
In ogni ovile e in ogni casolare!
Non pi veglie animose fra le gole
Dei salti, e vaste fronti aperte al sole,
Non nei consigli pi sensi e parole
Ardenti come fiamma sullaltare.
Ma non questo ribelle alla tempesta,
Se pur stride nel cielo la funesta
Ora dei vinti, la pensosa testa
Sconsacrata sapr, vinto, piegare.
Solo a te, Sarda Terra, come a madre
Egli piega! Le sue vindici squadre
Egli seppe per te scioglier dalle adre
Glebe, e agitarle come nembo il mare.
Tutto fu vano! Oh voci dellavita
Casa deserta! Oh fiori della vita
Deserta, o figlie! Oh compagnia romita
Dei padri sardi intorno al focolare!
Or lanima solinga sotto i grigi
Cieli vede lesilio di Parigi;
Prone le turbe vede, e sui fastigi
Dei monti scender lombra secolare.
134
E il riso suo buono, o pastori,
Versava la gioia del vino:
Il dolce suo riso divino
Versava il suo cuore nei cuori.
Ai mesti il suo seno si apriva
Cos come a voi, quando arriva
La greggia ad un campo di fiori.
E al pari di voi fu sereno:
Di fiamma Egli pur si vest:
E correr sapea senza freno
Per le pampas al mezzod,
Cos come voi, per le bianche
Vermiglie pianure e le tanche
Urlando: Oh! hutalab!
E gioia si avea dellaurora
Per campi ed in aspre scogliere:
E seppe, guardando le sfere,
Cos come voi, legger lora:
E martire fu, patrarca,
Guerriero, pastore e navarca
Succinto, e di voce sonora:
E oprava la falce al gran raggio
Di luglio: e reggeva le mandre,
Sereno nellumil vaggio
Tra canti di steli e calandre.
Poi, stanco, con lanima sgombra
Di affanno, addormivasi allombra
Del suo cavallino selvaggio.
Saliva per erte piccde
E aveva nei lunghi capelli
Il vento pampro, e nei belli
Occhi avea baleni di spade.
E, amigos! diceva agli eroi,
Canti barbaricini
137
GARIBALDI
ai pastori sul monte,
nel crepuscolo del mattino
Io dissi ai pastori: Pastore
Chiomato, coperto di sacco,
Che prima che balzi lastore
Dai vertici lasci il bivacco,
E guidi col saggio vincastro
La greggia che sale con lastro
E torna con lastro, allalbore;
Fratello che dici: Lo guardi
Iddio! quando tocchi il trifoglio,
Saliamo le cime dai tardi
Tramonti, e vedremo lo scoglio
Dove Egli ha la gran sepoltura:
Fratelli, tocchiamo laltura,
Sospinti dai sogni gagliardi.
Ah, voi non udiste che il nome
Suo grande: quel nome che fu
Clangore di gloria, e fu come
Fiamma di immortal giovent!
Ma voi non sapete, no, quanto
Fu buono, e la gioia e lincanto
Effusi dallauree sue chiome.
Oh luce di vera bont
Mai spenta per varia fortuna!
Oh il cor che ondeggiava qua e l
Nel petto leonino, in quelluna
Visione, in un fremito solo,
In quellempito solo, in un volo
Soltanto nel tuo, Libert!
136
CUORE, ADORA!
A voi morti con ogni sacramento nelladorno
Letto; a voi, placidi morti
Testati, che lasciaste buoni, in quellultimo giorno
Scrigno, casa, vigna ed orti;
A voi sorrida un gelido aprile di ghirlandette
False, in un falso giardino,
E onesti cuor di pietra a voi razzin lacrimette
Di cristallo e colino!
Oh di fiamme svolo dellorrendo cimitero
Cristano, oltre le porte!
Sembran oggi i cipressi borghesucci messi in nero,
Colti da un pensier di morte.
Ma tu, mio vivo cuore, tu non palpiti n fremi
In questombra, oggi n mai:
Tu non chiedi ai tuoi serti lacrimosi crisantemi,
E tu lagrime non dai.
Vola, vola, selvaggio cuore, lungi, sopra i venti
Del novembre; con le foglie,
Con le nuvole vola! Non dar pianti n lamenti
Della morte sulle soglie.
Cuore, adora! O deserte buche floride di assenzio
Su cui gemono tra il velo
Della bruma le voci della selva e del silenzio,
E le lagrime del cielo:
Erme fosse, ove aspettano quanti caddero per le nere
Vie, sul lastrico, nel sole:
Sepolcri donde svettano alberi come bandiere
Mormoranti alte parole:
Canti barbaricini
139
Amigos, cos come voi
Chiamate gli uguali: Fratelli!
Sul vertice queste parole
Io dissi al fratello, al pastore.
Taceva nel mar di vole
La tomba del Liberatore.
Ardevan i cuori e le fronti;
Sui fumidi patr orizzonti
Raggiavan le cime nel sole.
Tacevan, percossi dallora
Solenne, i pastori; sul vento
Saliva, ma fievole, ad ora
Ad ora, il tinnir dun armento.
Taceano raccolti i pastori:
Sentivan gi sorger nei cuori
Un biondo sorriso daurora.
E fu da quel giorno una coppa
Di latte il lor cuore, e pi dolce
Fu il gesto, e non disser mai troppa
La pace che lanima molce;
E gi per dirupi e per valli,
Agli aspri selvaggi cavalli
Pi baldi saltarono in groppa.
138
PICCOLE ANIME
Van gli scalzi fanciulli nello scialbo
Crepuscol di gennaio
A legnare. Frizzando da Montalbo
Li saluta il rovaio.
Gli elceti sembran templi di cristallo
Parati dalla brina.
Nel silenzio, non visto, stride un gallo:
Buon d, bianca mattina!
Essi legnano: e stampan sullinforme
Costa, tra i cespi brulli,
Lorme Oh tristi sul ghiaccio, allalba, lorme
Degli scalzi fanciulli!
E laceran tra i vepri, nelle spine,
I lor laceri panni;
Ed insanguinan pur le lor manine
Di bimbi di dieci anni.
Ma non piangono. Ai piccoli fu detto
Che il buon Dio, che gli uccelli
Guarda dal gelo, con lo stesso affetto
Veglia su i poverelli.
Ahi! ma pensa un di loro: Tra le brume,
Per guardarsi dai rudi
Inverni, gli uccelletti han le loro piume,
E noi siam quasi ignudi
Canti barbaricini
141
O cuore adora quanti cadder bagnando col cuore
Loro il sogno. Cuore, adora
Quanti sparvero senza preci, arrisi oltre il dolore
Dal fulgore dellaurora;
Quanti morir ribelli, pure col ferro assassino
Sovra i balzi solitari;
Quanti giaccion, non vinti n da Dio n dal destino
Nella terra e sotto i mari.
140
Mai queste mani! Tacquero. Su loro
Risero i cieli, il cisto
Odor dallaltura, e nel pianoro
Ecco, apparve ai dolenti Ges Cristo
Come una fiamma. A lor vena dai monti
Lontani, per sentieri
Di ciclame e pervinca, dalle fonti
Specchianti nubi e voli di sparvieri.
Pass la voce sua per gli orizzonti,
Sereni, in visone:
Figli, guardate allalto, erte le fronti,
Ch gi vicina la Redenzione.
Canti barbaricini
143
APPARIZIONE DI GES
AI MIETITORI DEL CAMPIDANO
Sul colle a sera sette mietitori,
Adusti come figli
Del deserto, guardavan sui pianori
Vasti pendere i cieli alti e vermigli.
Come in sogno legavano con mani
Stanche, mannelle doro
E pensavano: Noi per pochi pani
Dorzo falciam le messi del pianoro
E del colle; le messi che per poco
Pane i curvi bifolchi
Han seminato, con lo sparso fuoco
E col vomere aprendo questi solchi.
Pur noi n loro non abbiam frumento
N spighe n farina:
Son le opre nostre come pula al vento,
La nostra vita unombra che declina
Canta il grillo, e dagli arsi Campidani,
Oh lungo andare stanco!
Moviamo a questi luoghi alti, per piani
Di brace, scalzi, con la falce al fianco.
La falce passa, morde i culmi e cade
Ecco la messe, intorno
Ecco altre messi; e innanzi, ecco, altre biade
Non nostre. Nostro il sol del mezzogiorno,
E laffanno! Per noi non han li arbusti
Ombra e la fonte langue.
Eppure, o Dio, noi camminiam per giusti
Sentieri, n grondarono di sangue
142
Ardean sui monti gli astri ultimi e i roghi
Trasse laratro, e il fumido cammino
Apr dei solchi. Procedeano i gioghi
Lenti, silenti: ed ei con atto grave
La stiva dalle valli agli alti luoghi
Reggea come il timone duna nave
Volta a lidi promessi. Le sementi
Dalla sua mano si spargean soave-
mente sulla pia terra, e dai ridenti
Cieli scendeano augei non visti in pria,
Sugli aratri sui solchi e le sorgenti:
Poi risalian con nova melodia
Cantando oltre le nubi, incontro al sole,
S che il ciel ne tremava darmonia.
E parole di pace, alte parole
Non mai prima profferte, da quei cuori
Tetri rompeano, come romper suole
Dal greppo lelce. Ed ecco dai pianori
Crescer la messe che d il pane, e in serti
Pampinei la vite che i dolori
Scioglie e le cure. Oh scesa dagli aperti
Cieli, da tutti i cieli, alba invocata
Nellombra! Ora non pi per i deserti
Salti con occhio torbido luom guata
Il fratello, n pi van come lupe,
E scalze e scarne sovra la brinata,
Tristi donne accattando dalle cupe
Macchie la bacca del lentisco e il frutto
Canti barbaricini
145
IL SEMINATORE
Egli guard, guard con quei sereni
Occhi suoi che vedeano oltre lerrore
Ed oltre il male, e vide in tutti i seni
Crescer alte le selve e, tra il fragore
Delle acque, ud sol rompere quel grido
Che lancia dalla sua rupe lastore.
Ed una turba ignota che avea nido
In antri e spechi vide, ed a quei mesti
Disse: Venite a me. Ecco, io vi guido
Verso il Sogno. Rifiorir con questi
Sterpigni luoghi anche la vostra vita,
E a voi saranno tutti manifesti
I doni della terra. Redimita
La fronte del gran Sogno, cos il saggio
Parl ai dolenti e agli umili; e brandita
Con le mani incolpevoli, nel raggio
Del sol, la scure, irrompe tra le selve
Profonde e tra i dirupi. Al suo passaggio
Cedean le secolari ombre e le belve,
Ed egli urgeva, e alla siderea testa
Gli si avvolgean le agresti madriselve,
Spontaneamente. Ma poi che funesta
Grandeggiava ancor lombra, egli il divino
Incendio indusse, e suscit la festa
Delle pronube fiamme. Indi, al mattino
144
IL BOVE
Alcuna invidia mai, gramo bifolco,
Io non ebbi di te, sebben s dura
Opra mi sia quel profondarti il solco,
E franger la maggese, e a mietitura
Carreggiarti il frumento, e poi le botti
Gravi portarti dopo svinatura.
Ch senza affanno a me volgon le notti
Nella fumida stalla; e tu ti sdrai
Senza letto n pace in tristi grotti.
A me ferrana e lupinella mai
Non mancano; tu, dopo la fatica,
Spesso, fratello, un solo pan non hai.
Solo pel tuo signor cresce la spica,
Verziga lorto; e sol per lui quel vino
Che tu ne spremi d la vigna aprica.
Chi pi gramo di te? Non luccellino
Che svola e becca, pur tra nevi e geli,
Quanti germi ha la zolla e fior lo spino.
Non pur quelle che sotto aperti cieli
Van pecorelle per la valle sola
Brucando i cespi ed i rarsi steli.
Nulla tu sei! Tu pieghi alla parola
Del tuo signore; a lui, tu, senza saio,
Vedi filare quella tua figliola
E lana e lino. Poi, quando brumaio,
Canti barbaricini
147
Del caprifico su da rupe a rupe.
Ch gi da tutti gli orizzonti a tutto
Il cielo, tra il tumulto del lavoro
Redentore, ed il fremito del frutto
Vinto, e il brusir dei solchi, balza il coro
Arvale, e assiduo splende ad ogni cuore
Dallaie colme di covoni doro
Il tuo spirito, o Dio Seminatore!
146
IL CANE
Tu non sai come fu. Fanno sette anni
Ora, a dicembre: un ben crudo mattino!
Io sentivo un ronzo come di vanni
Rigidi, entro la gola del camino
Rispento. Babbo? Oh, babbo era lontano!
Mamma morta. Lass nellabbaino
Cero io solo. E aspettavo o uomo! invano
Chegli venisse e che portasse un pane
Al suo cuore. Sentivo il tramontano
Sulla gronda, e una romba di campane
Lontane che chiamavan sconsolata-
mente, chi sa quali genti lontane.
Oh, ma lui non torn! Dallimpannata
Si vers lombra, ed in quellombra un gelo
Di morte Mi sembr che una folata
Mi rapisse su in alto: il pianto, un velo,
Mi nascose quellombra e quel dolore,
Mi spir intorno un alito di cielo
Primaverile Era la morte. Oh, cuore
Mio, quella morte!
E poi? Rinacqui cane,
Poi, come vedi: e mebbe un cacciatore
Per figlio, e con lui corsi per le piane
Selvagge nel bel sole e, mentre il corno
Rintronava, balzavo entro le tane.
N come or fai tu, bimbo, e come un giorno
Feci io pure, la notte, quando sfalda
Larga la neve, vagolai pi intorno
Canti barbaricini
149
Scalzo mi segui e, servi, andiamo insieme
Per le colline morse dal rovaio.
Fra le porche gelate stride e geme
Laratro: io v sereno, ch chi bene
Si nutre il gelo e lopera non teme.
mezzogiorno: roco il suon ne viene
Dal piano; e tu quel pan, che ti dispensa
Scarso il padrone per nudrir tue pene,
Biasci pensoso. A me sapre limmensa
Campagna con sua fresca erba odorosa,
Pi lieta e liberale dogni mensa.
Tali i nostri destini. N mi cosa
Dolente il giogo, poich tu sopporti
Giogo pi grave, e pieghi dolorosa-
mente la fronte invidando i morti.
148
A UNA MADRE
Per Maria Antonia Bianco Cavallera
Se in cospetto alla morte, ecco, sei sola;
Se in cuor pi non ti suona
La Sua parola, lultima parola,
Dolce Madre, perdona.
Perdona a noi che, stretti nei fatali
Cerchi di questa terra,
Lo guardiamo tra ladri e micidiali
Mentre la morte afferra
La Madre! Non a quelli che nel tardo
Lor cuore al ditirambo
Borghese mescon le lor leggi. O dardo
Buono e mortale, o giambo!
Ah! non sperate che il suo cuor si franga
Nella nuova sventura:
Ei con laratro e con largentea vanga
Risalir laltura.
Noi lo vedrem portarci dal dolore
Pi fulgide parole;
Egli far come il seminatore
Che arando guarda il sole.
E, o Madre, tu che te ne vai lontano
Per sempre, oltre il dolore,
Tu, Madre, che ti affacci oggi allarcana
Ombra con quel tuo cuore
Infranto, sentirai dentro la tomba
I disperati appelli:
E li vedrai ben giunger, tra la romba
Canti barbaricini
151
Accattando; ch mi accogliea la falda
Del camino e ci avevo, sai, mattina
E sera, zuppa calda e cuccia calda.
Mor quel padre, ed ecco (oh la divina
Provvidenza!) mi accolse questa buona
Dama, un po arcigna, ed anche un po beghina,
Ma buona. E, tu non sai, la mia patrona
lei la mente della Societ
Protettrice dei cani: una persona
A modo insomma. vero, essa non ha
Un chicco pei reietti e pei fanciulli,
Ma pei cani! Ti dico in verit
una grazia: ci hai sonno? e tu ti culli
In poltrona; ci hai fame? e lei ti ingozza
Di pasticci: noi siamo i suoi trastulli,
Il suo amore. E con lei spesso in carrozza
Noi pur si va, pieni di sacra fede,
Alla pia societ. La bruma mozza
Per le strade il respiro; e vi si vede
Di dentro, o bimbi, alluscio del fornaio
Triti, come ombre, in mezzo al marciapiede.
O fratello, io lo so! Ride il rovaio
Tra gli sbrendoli e voi dalle vetrate
Guardate il pane, mentre ferve il gaio
Sfaccendo dello sforno e ne fiutate
Lalore e, in sogno, dite: Ah! quello mio
E tendete la mano e ne mangiate
In sogno, sai, come facevo anchio,
Quando non ero cane.
150
I MORTI DI BUGGERRU
Novembre, non agli orti
Tuoi chiederemo i fiori
Per ghirlandare questi nostri morti.
Noi coglieremo fiori di bufera
Lungo il sonante mare.
Li copriremo delce,
Li cingeremo di selvaggio ulivo,
E con fiori di sole, o Primavera!
Ch non son morti. Nellignava fossa
Non posan essi verdi azzurri stanchi
Cadaveri Ma vanno
Oltre lete fiumane, sul profondo
Cuor della terra, e scavano
Ancora. Van tra il rombo di altre mine
Per altre vie. Su loro
il festoso scrosciar delle acque e il coro
Delle selve, divino. Ardon le lampane
Pari ad astri non mai prima veduti.
E a loro innanzi fuggono gli impuri
Spiriti della tenebra, gli oscuri
Spiriti della terra: Avanti, neri
Compagni mal sepolti! Oltre il sepolcro,
Gi! oltre la radice aspra dei monti,
Oltre lalvo sereno delle fonti,
Oltre ogni umana mole,
Oltre ogni sogno infranto,
Oltre la terra che matura al sole
La sua messe di pianto
Sardegna! dolce madre taciturna,
Canti barbaricini
153
Dellinno, i suoi fratelli:
E sulla tomba tua, su quellaltare,
Sparger a piene mani
Ghirlande nere colte in mezzo al mare,
Traverso gli uragani!
152
A EFISIO ORANO
No, tu non hai paura
Della loro galera.
Essi vanno nellombra della sera
Tra larve e mostri, e tu guardi allaurora.
Coronata di rose la tua prora
Varca con te, non vinto, alla promessa
Isola di Fortuna.
Chi dar vita al nostro sogno, grande
Come il cielo? Chi ai pallidi profeti
Ombregger la fronte di ghirlande?
Ah! non Tartufo giudice, e non Ponzio
Pilato in tocco, e non Perrin Dandin
O sua Eccellenza Cifas daranno
Fiori ai fatali araldi.
O anime tementi, onesti gufi
Appollajati fra le crepe e i tufi
Della Legge, voi quando in cittadine
Rabbie latr la fame e negli spazzi
E per le vie romb negra la piena
Del dolore, e gocci su li arsi sassi
Il sangue, ben voi dietro le cortine
Con le mani agli orecchi, scialbi e pazzi
Di terrore, agognaste questa bianca
Ora della vendetta.
S, questora.
Ecco dite: O benedetta
Pace tornata al desco cristano.
Madama or potr accedere allargentea
Sea sicura, e i figlioli dalle suore
Avran bocche di dama e gelsomini;
E dormiremo placidi, nei letti
Canti barbaricini
155
Non mai sangue pi puro
E innocente di questo ti bruci
Il core E tanto ne still dallurna
Della morte! Pastore,
Re del silenzio, sul tuo sogno immobile
Passan le rosse nuvole,
Passano i venti sul tuo chiuso cuore
Ascolti? Il tuo silenzio
Vinto dai colpi dei vendicatori:
E gi sulla collina
Bela e svaria la mandra,
E canta la calandra
Ch laurora vicina.
Uomo, che pieghi i tralci
Per la vendemmia altrui,
Al fuoco che sotterra arde, dai grappoli
Gemer vino dallegrezza eterna!
Uomo, che segni sotto i cieli vasti
Piccolo i brevi solchi,
Ed pur grande quella tua fatica!
Altri vomeri squarciano lantica
Terra e laran, non visti, altri bifolchi.
Le piccozze son vomeri ben forti,
Ogni zolla gi gravida di unalta
Promessa, e fiorir
Una messe di gioia e di bont.
Lallodola gi canta sullaltura:
Preparate le falci,
E dite il canto della mietitura!
154
Eccovi il vino e il pane:
I cantori e le cetre
Preludiano alla danza.
O sogni, o primavera
Di serenanti giorni,
Se mai non torni, se pi mai non torni
Ad assillarci questo
Avanzo di galera.
Canti barbaricini
157
Presidati dalle zanzariere
E dalla legge. Or morda la canea
Il ferro delle gabbie.
Ai rosei pesciaioli e ai macellari
Nitidi, oggi dovuto questo omaggio;
E in dolce vassallaggio
A Sua Eccellenza gialla
Questo dono dovuto.
Uomo che mai non ridi
Padre di tutti noi,
Noi gonzi, figli tuoi,
Ti offriam questo canestro
Di frutta settembrine:
Son pigne porporine
Tinte di sangue nero,
Anni di tristi pene
E mesi di silenzio,
Intrecciati con poma aspre di assenzio,
Groppi di corda e serti di catene.
O fratelli, evo! Fratelli, gloria!
redenta la terra
Che fu trista nei secoli:
E degli onesti gufi la vittoria!
E raca a te che al vino
Nostro mescesti il fiele,
O figlio di Caino.
O come dolce trilla e dolce squilla
Dalla lontana Nurra
Alla Barbagia azzurra,
Dalla Trexenta allalida Marmilla,
Il nuovo idillio! E pace, o minatori
Di Buggerru, e voi, gobbi mietitori
Del Campidano; e pace, o voi pastori
Delle rupi! Venite alle fontane:
Lasciatevi cadere
Dagli artigli le pietre.
156
CANTI DELLOMBRA
Las de pleurer de vivre et destre miserable
Desportes, Epitaphes
SEPULTA DOMUS
Mi dicevan: Fulano
ricco, ha molti armenti,
Ha vigneti e fiorenti
Pomar ai poggi e al piano.
assai ricco Fulano!
Ed io cantavo nel mio cuor fedele:
Ah! pi grande tesoro
Mi ho io nella mia casa:
Una figlietta, una bambina doro
Che raggia dastri tutti i miei pensieri
O bambina, bambina!
Ed ecco tu sei morta.
Ed io non ho pi nulla;
E invidio ora il mendico
Che d nel cavo della mano al figlio
Lacqua delle fontane;
E invidio anche il tapino
Che torna allabituro senza pane
E trova il figlio lacero, piangente
Nella tenebra, privo
Di ogni cosa, ma vivo!
Canti barbaricini
161
MATER LACRYMARUM
Perch oggi pieghi i ginocchi
S pallida, e ancora quel pianto
Ti scuora e ti brucia negli occhi?
Lo so: sfaccendando in un canto
Hai visto quel suo vestitino;
Quel nuovo, a fioretti di lino.
E hai pianto ed hai pianto ed hai pianto!
Canti barbaricini
163
LANCORA DORO
Tu eri la mia ncora doro
Che mi affidavi del porto:
Per te ho riamato il lavoro
Sereno felice risorto.
Ed ora! Deserta la culla
Tua breve, in un ciel di bufera
Io vo verso lultima sera,
Sperduto, o mia figlia, nel nulla.
162
SOLE
Che valmi se laria serena
Se ridon di canti e di fiori
I cieli le piazze i poggiuoli,
Se tu non ci sei, mia piccina?
Ritorna bambina, bambina!
Noi siam cos poveri e soli
Cos, senza te: siam due cuori
Battuti da un vento di pena.
Canti barbaricini
165
ESPIAZIONE
Cuore or non ti frangere, ch devi
Piangere e molto ancora. Una catena
Or ti data di spasimo e di pena
Che le altre al paragone ti fur lievi.
Alacre ai vasti soli ed alle nevi,
Un avvoltoio, con insonne lena,
Distrugger qualunque sia serena
Ora di gioia nei tuoi giorni brevi.
E darai sangue sotto al tuo flagello,
E avrai per ogni battito un martirio
Poi che ti piacque di parer s forte:
Ch non sapesti rompere il suggello
Di tua vita, e con Lei, nel gran delirio
Di quellora, baciar la bella morte.
164
SOGNI
O figlia, figlia, o mia morta bambina,
Tu crescerai con noi, ch ancor ci suona
Nel cuore il dondolo della tua culla.
Tu crescerai con noi, sarai fanciulla
Oh come bella! e ci darai corona
Di gioia, o nostra piccola regina.
O mia bambina, e un giorno sarai sposa
Oh come adorna! e tra fioretti e grani
Varcherai trepidando il limitare.
O figlia, figlia mia, non lo varcare:
Tra i sogni della vita lacrimosa,
Almeno in sogno, accanto a noi rimani!
Canti barbaricini
167
MADRI E SPOSE
Se madri e spose vedo in bianca vesta
Levar cantando lor pargoli al sole,
Lanima che ne rise, or se ne duole,
In suo ricordo sbigottita e mesta.
Ch sempre non vag sola per questa
Ombra di angoscia senza far parole,
Ma err cantando per fiorite aiuole
Cogliendo sogni, o figlia, alla tua testa.
O figlia figlia figlia, ed ecco a terra
Sparsi quei sogni! E morta la speranza
Che mi reggeva nellinutil guerra.
Ma non morto il dolor che marronciglia
Tacito il cuore, e me, fuor dogni stanza,
Urge nellombra te cercando, o figlia!
166
STELLE
Non mai vidi per chiare finestrelle
Arder fiammelle in notte senza luna
S vive, come sopra la tua cuna
Vidio ridere il coro de le stelle.
E le stelle venivan di lontano:
Spiavano il tuo riso tra i ricami
De la culla, e diceano: Oh come bella!
Poi si partian pel cielo antelucano
E tornavan ai lor alti reami
Pur parlando di te, dolce angelella.
Ahi! ma una sera ti han cercato invano
E fuggiron le stelle quella sera
Molli di pianto dentro lombra nera.
Ora sanno ove dormi: e ad una ad una
Vengono a salutarti a notte bruna,
Tra mormorii di steli e di alberelle.
Canti barbaricini
169
LALLODOLA
Bambina, attorno al tuo bianco recinto
Prono un bifolco sulla stiva ed ara:
La lodoletta con sua voce chiara
Lo accompagna dal cielo di giacinto.
Anchio pur aro, o figlia. Oh ma non mai
Lopra mi parve s grave e nemica:
Ch a coronar la mia vana fatica
Tu, lodoletta mia, non canterai.
168
CANTI DEL SALTO E DELLA TANCA
NINNANANNA FUNEBRE
Chetati via non piangere: noi pur verremo quando giunga lora.
Riposa, e ninna-nanna! i tuoi piedini
Son stanchi di cercarci ninnananna, non vedi? ecco laurora,
Ed tutta la notte che cammini!
Riposa: a te daccanto pace hanno anchessi gli errabondi re
Della tanca, scettrati di vincastro;
I pastori che i gigli dei prati spargeran, figlia, su te
Nelle serene notti di alabastro.
Sette cani mastini e sette alani!
Li legheremo, o figlia, al limitare
Perch la morte non venga a bussare
dai Canti della Culla
Oh perch non ho chiuso le porte
Con sette stanghe di cerro;
Oh perch con sette catene di ferro
Non ho precluso ladito alla morte?
Oh perch
170
LIA
Gonari, il monte, avea la benda oscura,
E Lia fugg col suo nato innocente.
Laccompagn la rabbia di sua madre,
La maledizione di suo padre,
Il riso e la bestemmia della gente:
Ma Lia si strinse al cuor la creatura,
E and col suo peccato. Gli aratori
Aravano sereni al piano e al monte;
Incitavano i buoi: Boe montad!
Dal piano rispondean: Boe porpor!
E nella rosea sera lorizzonte
Palpitava di mugghi e di clamori.
Uomini santi, la piet dun pane,
Ch non ha latte il cuoricino mio:
Piet, uomini santi! Ahi! che i bottoli
Lazzannaro, i fanciulli pe viottoli
La rincorsero, e gli uomini: Che Dio
Ti salvi! mormoraron, le lontane
Figlie pensando, e aperta la bisaccia
Presso il fuoco, con lolio dellolivo
Tinsero i pani dorzo per la cena.
Ed ella se ne and con la sua pena,
Riscaldando quel suo redo mal vivo
Col pianto che rigavale la faccia.
E cammina cammina, ecco le mandre,
Ecco i pastori vestiti di pelli
E fiamma, coi fucili e il manto nero:
E tanche inseminate e nel mistero
Del salto, stazzi fumidi ed agnelli,
E cani e greggi e voli di calandre.
Canti del salto e della tanca
173
Lia preg: Miei pastori, sono sola
Su questa terra: mi fuggito il latte
Pel patimento, e questo pegno fido
come implume caduto dal nido,
N so nutrirlo, ch ho le membra sfatte
Dal pianto. Son la cenere che vola.
Oh datemi ristoro, cristiani,
Dun po di latte, un sorso appena, un sorso
Per imboccare questo piccolino.
E se ci non potete, ah! che il piccino
Succhi almen dalla pecora che il dorso
Ha spelato, ed bolsa, o mandriani.
Bofonchiaron gli anziani, i principali:
Costei figlia del demonio, e ci ha
Il malocchio che fa intristire i branchi:
Andiamo! E dietro ai greggi neri e bianchi
Sparvero nella luminosit
Del mattino, coi lunghi pastorali.
E cammina cammina, ecco il villaggio,
Un abituro un uscio il focolare:
Presso la mola una giumenta sciolta
E redata, e una vecchia. Se Dio molta
Pace vi dia, preg dal limitare
La mesta, cui brillava in cuore un raggio,
Fate chio possa munger la giumenta
Per allattare questa malfatata
Creatura del mio seno. Oh via, peccato
Mortale! Ardea per tutto il vicinato
Lallegria del vin novo, e unaura grata
Salia dei sanguinacci con la menta.
And per la montagna. Era la sera.
Il monte di Gonari avea il cappotto
174
Bigio. Tremava nel silenzio il bosco
Delle quercie, aspettando dal ciel fosco
La neve: intorno altre montagne e sotto,
Coi lentischi e col fiume, la brughiera.
Tornavano i pastori sui ronzini
Con gli agnelli allarcione; i fanciulletti,
Passeri stormeggianti, dalle siepi
Cogliean le bacche rosse pe presepi;
Tornavan gli aratori, e nei boschetti
Accendevano i fuochi gli scorzini.
La neve venne a notte: cielo e terra
Si confuser fra loro, e forre e selve
Miagolaron al vento, al rude vento
Che corre tutta lIsola, lamento,
Pianto di mari duomini di belve.
E Lia, la madre, sola, fra la guerra
Della terra e del cielo, aveva il ploro:
Un singulto di allodola ferita.
Cerc il dirupo o mamma o mamma o mamma!
Pur riscaldando con lultima fiamma
Di quella anima sua, della sua vita,
Il suo nato innocente, il suo tesoro.
Ma ecco gi dalla valle, tra gli aneli
Sospiri della macchia, alto uno scoppio
Sal di gioja: un volo di colombe
Sui risonanti vanni, e suoni e rombe
E squilli vivi di campane, il doppio
Di Natale, un immenso osanna ai cieli.
Ancora supplic: Vergine, giglio
Del cielo, in questa notte senza pene,
Voi allattaste il bambino Ges;
Piet, nostra Signora, io non ho pi
Canti del salto e della tanca
175
Una goccia di sangue nelle vene
Per allattare linnocente figlio
Del mio peccato! Simili a viole
Rifiorironle i seni, e caldo e pieno
Il latte le sal. Con larancino
Manto, dal mare si lev il mattino,
E rise il sole: e dallamato seno
Rise a sua madre il bambinello e al sole.
176
IL FOCOLARE
Non veglie allegre, sardo focolare,
Alla tua fiamma, ma pensose fronti:
Il padre antico, lospite che ai fonti
Lontani beve, e prega nellentrare.
E la madre che al ciel crepuscolare
Pi ripensa gli erranti, mentre ai monti
Fa vento, e vanno i figli con i pronti
Mastini dietro i branchi a vigilare.
Siedono intorno: invan soffian severe
Le Srbili, ch brilla lanimosa
Ridente fiamma ai mesti in ogni sorte.
E briller perpetua fin che in nere
E gialle bende, bianca e sanguinosa,
Batta alle soglie fumide la Morte.
Canti del salto e della tanca
177
IL PRESENTE
Per le nozze di Emilio Sechi
Oh se fossi un pastore! Un re pastore
Come quelli di Fonni che governano
Greggie di agnelle innumeri:
O se pur fossi come quel chiomato
Patriarca dOrgsolo, padrone
Di cento armati servi,
Che nellottobre chiaro, quando scende
Dal suo bel Sangiovanni al Tirso e al mare,
Con le sue mandre, giovanil corona
Gli fanno i maschi figli
Campeggia tutta lIsola,
E lurlo dei mastini
E degli agnelli il tremulo belo,
Copre il sonante fremito del mare.
Se pari a questi fossi, amico mio,
Ecco, direi, ai miei servi pastori,
Nove carri di lana caricate,
Di lana matricina,
Di quella bianca e pura come il fiore
Del mandorlo, e tre velli
Di montone, pur essi, molli e candidi,
Come daprile i cumuli,
E andate dallamico del mio core,
E ditegli: Lamico tuo, devoto
Al buon costume antico,
Ti manda questa lana e questi velli.
La lana per la rocca veneranda
Della tua sposa bruna;
Le pelli per i cari pargoletti
Che vi nascano in pace ed in fortuna.
178
Ma, fratello! pass
Vasto lincendio sul mio dolce ovile:
E del mio lieto gregge di speranze
Un agnello mi resta,
Che fiero nutro con la madre cara,
Vindice dellinfranto mio destino!
Pure ti posso offrire
Un dono pi soave,
Un serto agresto
Di motteti damore:
Freschi fiori natii,
Che udirono gli azzurri pigolii
Dei nidi a primavera,
Che sentirono i canti del pastore
Lieti, se torni a sera al focolare,
Dove la dolce sposa sta a ninnare.
Canti del salto e della tanca
179
MUTTOS
PRIMAVERA
Fiorita la brughiera.
Dormon ne lerba in fiore
Servi, mastini e armenti;
Fiorita la brughiera
O uccel di primavera,
Volale dentro il cuore
E dille i miei tormenti.
Canti del salto e della tanca
183
CUORI LONTANI
Una cerva dal piano
Con una freccia al fianco
Sale a bagnarsi al fonte
Una cerva dal piano
Dalla chiesa del Monte
Vedo il mare lontano,
E piango e piango e piango!
184
CUORI LONTANI
Uccelli che volate
Ai venti, allaria nera
Sino alle terre more
Uccelli che volate
Almen per una sera
Le ali mi prestate
Chio vada dal mio cuore!
Canti del salto e della tanca
185
SALUTO DAL CAMPIDANO
Lass fonti di diamante
Sono in boschi fronzuti:
Qui la rana si lagna
Lass fonti di diamante
Nubi che alla montagna
Andate, i miei saluti
Recate al mio gigante!
186
IL MIETITORE
Un tristo mietitore
In terre non cristiane
Spighe taglia di tosco
Un tristo mietitore
Mhai tradito! Che il pane
Ti sia contrario, e nostro
Figlio ti strappi il core.
Canti del salto e della tanca
187
IL VIOLENTO
Cani e ferro al cinghiale:
Ma in verde selva ombrosa,
Dolci panie alluccello
Cani e ferro al cinghiale
Colomba, a te una rosa
E un bacio: a tuo fratello
Tre fitte di pugnale!
188
LA LUNA NERA
Nel cielo insanguinato
La luna brilla nera
Ch morto lusignolo
Nel cielo insanguinato
Vado come una fiera
Per salti e tanche solo!
Perch tu mhai lasciato?
Canti del salto e della tanca
189
SPOSA
Sul colle, a primavera,
C un mandorlo fiorito
Ronzante dapi doro
Sul colle a primavera
Oh quella dolce sera
Con qual core smarrito
Ti separai da loro!
190
LA PORTATRICE DACQUA
I frati di Monteraso
Pingon la Maddalena
Con una rosa in bocca
I frati di Monteraso
Bevi alla mia brocca,
Bevimi da ogni vena
Il sangue che m rimaso!
Canti del salto e della tanca
191
LA SURBILE
La cuna urla daffanno
Ch la Srbile col laccio
Fischia sotto le porte
La cuna urla daffanno
Ti son caduta in braccio!
Dammi meglio la morte,
Ma non mi fare inganno.
192
IL BANDITO
Rosso il turbine venta
Sugli stazzi dAl:
Le cagne rignan forte
Rosso il turbine venta
nato in mala sorte,
Alla morte savventa
Chi amare mi vorr!
Canti del salto e della tanca
193
IL NOMADE
Vedo da punta Udd
La fonte della Rosa
Il mare e il sol levante
Vedo da punta Udd
Colomba graziosa,
Dietro il mio branco errante,
Venire vuoi con me?
194
LA MADRE
Ai ruscelli la menta,
Al cielo lastro doro,
Allanima la fede
Ai ruscelli la menta
Dormi dormi, tesoro!
La lampana s spenta
Ma il mio cuore ti vede.
Canti del salto e della tanca
195
SAN FRANCESCO
Stamane al primo albore,
Cantando i rosignoli,
Son passati i tre Re
Oh andare andar con te,
A San Francesco, soli,
In promessa damore!
196
GONARE
A meglio udir cantare
Gli usignoli, i tre Re
Han fermato i cavalli
Oh andare andar con te,
Per monti verdi e valli,
Sposi freschi a Gonare!
Canti del salto e della tanca
197
NOVEMBRE
Sotto il cielo piovorno
Scendon branchi e mandriani
Dal monte alla marina
Oh fossi un de tuoi cani
Per esserti vicina
Sempre, la notte e il giorno!
198
APRILE
Per la strada fiorita
Tornano al caro monte
La greggia ed il pastore
Alla svolta, sul ponte,
Ti rivedr, bel fiore,
Cantando allapparita.
Canti del salto e della tanca
199
IL FALCO
Alto, nellalba fresca,
Il falco, occhioni doro,
Vaga qua e l sul vento
Uno solo ne adoro,
E tu ne adori cento,
Ogni volto tinvesca.
200
LAQUILA
Dal ciel laquila piomba
Sul branco, a rapinare
La pi bella agnelletta
Cento ne so guardare,
Ma tu sei la diletta
Dellanima, colomba!
Canti del salto e della tanca
201
AUGURALE
Bianca la notte tace:
Chi picchia alla mia porta
Con la mazza dalloro?
O capo danno porta
Frumenti al Logudoro,
E alla Barbagia pace!
202
IL CACCIATORE
Componi il fuoco: venta
La neve dalla gola
DOrne. Empi il boccale.
Componi il fuoco: venta
Ma tu tracci il cinghiale
Sul monte, e il cuor diventa
Allegro alla tormenta.
Canti del salto e della tanca
203
NUORO DINVERNO
Allesule
Freddo nido. A mezzod
Fuggendo il sole lustra
Tugur e vie fangose.
Freddo nido. A mezzod
Vero: anzi una lustra
Tra montagne nevose;
Pure il tuo cuore qui!
204
A VINDICINO
Zio Grillo nella vallata
Ha smarrito gli agresti
Pifferi tra la bruma.
Zio Grillo nella vallata
Vedi? Il diavolo spiuma
Le colombe celesti,
E fa la nevicata.
Canti del salto e della tanca
205
ALLAMATA
Ecco gli ultimi squilli.
Il tizzo manda arguto
Gli ultimi bagliori.
Ecco gli ultimi squilli
Oh accanto a te seduto,
In questa notte, e odori
Larrosto e il vino brilli!
206
STELLA
La stella dei tre Re
Sul dirupo! Ha un sorriso
Di grazia ogni granito:
La stella dei tre Re
Sette nemici ho ucciso,
Sono armato bandito,
E tremo innanzi a te!
Canti del salto e della tanca
207
LE PREFICHE
Dedicata allamico G. Boldetti
Notte di vento, notte di lamenti!
Tre prefiche stan ritte sopra i monti:
Vigili e tristi stanno a lamentare.
Non femmine ma Dee: sul focolare
Degli antri fan lamento con le fonti,
E il cuor divino gittano sui venti.
Barbaricine Dee che sui dirupi
Celan in arche dalle cento chiavi,
I sensi e i segni delle nostre vite:
Implacabili Mire redimite
Dalma quercia: Eumenidi soavi
E invincibili: e piangon sulle rupi.
Piangon col vento, gemon cantilene,
Nenie di madri su infiorate cune:
Ruggon bestemmie mormoran preghiere,
Latrano come cagne sperse in nere
Montagne, sotto cieli di sfortuna,
Ridon dementi, sognano serene.
Urlan damore sotto il ciel crudele:
Singhiozzan come voi, spose, sui fidi
Cuori defunti: spasiman feroci,
Avventan sorde disperate voci
Di vedovate madri lungo lidi
Deserti, dietro le fuggenti vele.
O Deu, o Deu, o Deu! grida, raccolti
Nel busto doro i seni, la marina
Prefica del Brdia. Al mesto grido
Rompon in pianto sul deserto lido
Canti del salto e della tanca
209
Le sirene: ma i cuori e la supina
Terra, paion in gran sonno sepolti.
O Deu, o Deu! Barbagia, la tua notte
Profonda e perigliosa: n ginepri
Hai tu per le tue fiaccole, n miele
Per le ferite tue. O di assenzio e fiele
Abbeverata madre! Aspri di vepri
Sono i tuoi colli, e son deserte e rotte
Le argentee porte dei tuoi gioghi. Il sole
Brucia il tuo pane, e son fatti scorzini
I tuoi pastori e serve le pastore.
Oh antichi maggi, odorate aurore
Di serpillo! Sala dai cilestrini
Borghi, un ronzo di pecchie e argute spole.
Ora la febbre stilla dalla esausta
Idria, lacqua agli scalzi falciatori
Di giunchi e biodo, nei maligni greti;
I poggi senza canti ed i forteti
Senza fontane, assonnan tra i vapori
Gravi estuosi sotto laria infausta.
Perfida e grigia sta sopra Corsi
Laltra prefica; siede al focolare
Spento, ch bene la riscalda il vampo
Del cuor crudele. Ohi! Imm! Imm! Il lampo
Insanguina la tanca il salto il mare,
Urlan le Furie sui vertici rasi
Dai dmoni del vento. Imm! la pietra
Del focolare fredda e tutta nera
Di sangue! O miei selvaggi figli morti!
Per gli ovili deserti urlano i torti
Nembi: son spenti i fuochi e nella fiera
Solitudine, il mio cuore simpietra.
Sciagura al d che al disperato cuore
Scese il congedo vostro, o mandrani.
Esuli dalla tanca, in mozze chiome,
Leccaste il rancio della ciurma, come
Cani da piatto, e i turbini lontani
Invocai avversi alle migranti prore.
Ora badate i porci nella pampa,
E siete servi e siete manovali
Smarriti e inermi: ed ogni eremitano
Vi sputa addosso, e avete dellestrano
Paese, modi e fogge, e siete quali
La gente di bisaccia, senza vampa
Di vergogna sul viso. O miei banditi,
Meglio meglio gli sdegni ed i corrucci
Vostri ed il vostro sangue, che non questo
Vil seme di bastardi! O asilo agresto
Dei monti, ultimo asilo, di che crucci
Frem il mio seno, quando, tra i graniti,
Belli e violenti i vendicatori
Giacquero uccisi! E tu, aquila grigia,
Re di strada, canuta giovent
Fulminata sul greppo! Ora non pi
La brava tua canzon, mentre meriggia
La montagna, richiama i cacciatori.
Tornate, esuli imbelli, alle divine
Montagne. Gi da tempo hanno le volpi
Guastato la vendemmia, e han fatto tane
Negli ovili i cignali. Alle lontane
Mandre tornate, alle baldanze, ai colpi
Di fucile, tornate alle rapine.
Estrema voce al disperato coro
Vien gi da Bruncuspina. La nivale
Canti del salto e della tanca
210 211
Tuoi, o madre veneranda, e del martoro
Tuo, e dellodio di tutti i figli tuoi!
Fatele onore, ch fu madre antica
Di pastori patriarchi, che al verno
Popolavan di greggi i Campidani
E i paesi del mare, e avevan cani
E cavalli bellissimi, e governo
Avean sulla gena scalza ed aprica.
E fu nutrice di servi fedeli
Che, delle spose immemori, nelluzza
Del mattino, sui monti vigilavano
I verri, ed imperterriti cacciavano
Lirto cignale, con la selce aguzza,
E con la fionda laquila dei cieli.
E fu madre di vecchi e di garzoni
Arguti ai canti come la cicala
Del poggio, esperti al coro ed alla gara:
E dagricoli fu madre preclara,
Abili nel guidare sopra unala
Di monte, i plaustri gravi di covoni.
Fatele onore! E voi, strani romiti
Pastori di Lod, che vi cibate
Di carne e miele, voi di bassa fronte:
E voi pastori miei del Supramonte
Di Orgsolo, aspre stirpi coronate
Di nera chioma, indomiti Pelliti,
Ecco, voi tutti, presso le fontane
Dei vostri ermi valloni, tra la selva
Cedua, stanate coi magri mastini
Il gran cervo solone; dai quercini
Boschi caduti, moribonda belva,
Sal le solitudini montane.
Prefica piange: piange fuor dei boschi
Fragorosi, pi su dei cieli foschi,
Nellaere immacolato, in un nimbale
Dadema di nevi e dastri doro:
Donne, filate nella triste veglia
Le lane nere, i peciati velli
Degli arieti cresciuti nelle spiagge;
Filate, mentre anchesse le selvagge
Fiere dormono e gli alberi e gli uccelli,
E solo la dolente anima veglia.
Donne, tessete con lo stame nero
Il fosco orbace, e lo tagliate tutto
Tutto tutto ad un nero vestimento.
Ahi! non bastano cento e cento e cento
Canne dordito, per vestir di lutto
Tutti i vostri pensieri e il mio pensiero!
E, donne, sospendete allarchitrave
Di ginepro, le lampade di ferro:
E sia spento e spazzato il focolare,
E in devoto cerchio a lamentare
Siedete su sgabelli alti di cerro,
E bruciate lolibano soave.
Ch vostra madre verde alpestre ramo
Di leccio, amor dellaquile, cuor mite
Ed atroce gi compie il suo destino.
Fatele onore, ch altra, nel divino
Cuore di madre, non port ferite
Pi di questa Selvaggia che piangiamo.
E neppur dieci coppie di quei buoi
Fortissimi, nutriti nel pianoro
Con la quercia, potrebbero in sette anni
Trainare la soma degli affanni
212
Canti del salto e della tanca
213
Qui luccidete ed arrostite i lombi
Sullampio focolare, e focolare
Sia un cerchio di nuraghe, e dal caprino
Otre fremente voi spillate il vino,
E pranzate nel bosco secolare
Ultimo, tutto vivo di colombi.
Fate il banchetto funebre, ed il canto
Triste e fatale ogni lamentatrice
Intoni cinta delle bende gialle:
La domatrice rude di cavalle,
La fiericida, la vendicatrice,
Stesa sui monti col grande arco infranto!
214
LAUTOMOBILE PASSA
a Claudio Demartis e a Baravelli
IL VILLAGGIO
lalba, unalba nuova, pur se il gallo
Non canti e taccia il corno
Del capraro, ch incombe al triste vallo
E al mare il mezzogiorno.
Alba di vita questa! Donne, il vino
Date agli uomini, e il miele
Ai fanciulli, e a tutti il bacio e il divino
Riso del cuor fedele.
Rotto lincanto desolato: avr
Un pio palpito umano
Anchesso il mio cuor rude: la citt
Lieta mi d la mano.
Canti del salto e della tanca
217
LO STAZZO
O Febbre che fu? Unaquila, una freccia,
Col volo fremebondo,
Mi corse sulla strada aspra di breccia,
E mi parl del mondo!
218
LA TANCA
Divina solitudine, che fu?
Nel silenzio dellora,
Udivo nascer lerba e scender gi
Il pianto dellaurora.
Or, ecco, un rombo strano e strane belve
Passano. O rusignoli
Antelucani, o fiori, o mandrie, o selve,
Ora non siam pi soli.
Canti del salto e della tanca
219
LA BARDANA
Io son ferita! O miei feroci alunni,
Con la soga e la ronca
Che guidai nelle lune degli autunni
Ventosi, alla spelonca
Del mandrano, a cui feci dai loschi
Occhi, recer la vita,
O miei figli, tornate ai vostri boschi,
La leggenda finita!
220
IL POETA
Udite, morituri archimandriti,
Patriarchi custodi
Dellantico costume, e voi, banditi,
Belli feroci prodi:
La patria che nudr lanima amara
Di crucci, moribonda.
Or voi con lelce fatele una bara
Grande grave profonda,
E, morta, ve la chiudete, nei manti
Neri del secolare
Suo silenzio ravvolta, e senza pianti,
Sprofondatela in mare.
Canti del salto e della tanca
221
TRE PRIMAVERE
O arsa Barona, se la pernice
Tra i fieni guidi la covata, e il grano
Biondeggi lieto, sogna nel tuo piano,
Tra fiume e mare, il tuo figlio felice:
Di primavera a me piace tra pioppi
Sieder cantando, e udir donne a cantare
Motti damore. Fra sereni scoppi
Di risa, quella che m preso il cuore
Fugge e mi sfida: chi potr legare
La bella fiera coi lacci damore?
Ma sogna il figlio del verde pianoro,
Luomo vestito di broccato e doro:
Di primavera sento nelle bianche
Notti di luna un fremer di cavalli.
Ecco io deliro correr per le tanche
Fiorite, su un puledro di tre anni,
Correre sempre, correr fin che i gialli
Fuochi del sole indorin San Giovanni!
Ma pensa il figlio della rupe, cuore
Tutto di selce ed anima dastore:
Di primavera lanima minveste
Un folle soffio di rapinamento!
Oh calar dai dirupi, con agreste
Torma orgolese, a saccheggiar gli ovili,
E poi salire, anzi volar sul vento
Dellarora, al monte, ai noti asili!
Canti del salto e della tanca
223
EMIGRANTI
Non dormono, ma sognano: lartiglio
Dun nostalgico sogno s confitto
Loro nel cuore: non pi il bel coritto
A fiamme azzurre, il coritto vermiglio
Che li vestia di luce, ma il fustagno
Vile e la fuscacca! Il sogno al rullo
Della nave si culla: fosco e brullo
Dentro il cuore il villaggio, erto grifagno
Sulla deserta rupe: al limitare
Filano nere donne taciturne.
Ed ecco la montagna e grotte ed urne
Sonore al vento che vien su dal mare.
Pascon lungi i mufloni. I padri, soli,
Nelle capanne. sera: dallaltura
Sale la luna: van per la frescura
Armenti e greggi e cantan gli usignoli.
224
NINNANANNA DI VINDICE
Tacciono i galli e taccion gli usignoli
Poi che sul colle tramont la luna.
Ninnananna, tesoro! i grilli soli
Strepono fuori della zolla bruna.
Quando sarai grandino, ninnananna,
Coi giunchi caccierai per la foresta
I pettegoli grilli, ninnananna,
Che al triste padre tuo rompon la testa.
Cala la luna: dalle balze doro
Si leva, cinto di coralli, il sole.
Su su su su! Le vipere tra loro
Sibilano e le biscie fan carole.
Quando sarai pi grande, ninnananna,
Sarai pi ardito e destro cacciator:
Schiaccia la testa ai serpi, ninnananna,
Che al triste padre tuo schizzan tra fior.
Oh notte della colma primavera!
Or scendon i cinghiali dalle selve
A sgretolar le spiche; lombra nera
tiepida daneliti di belve.
Su, in groppa, con lo schioppo, ninnananna,
Caccia i cinghiali e uccidili sul monte:
I falchetti son desti, ninnananna,
E il primo raggio imbianca lorizzonte.
Lalba vicina: accendi la tua face
Al primo raggio, o mio Vindice. Al piano
Vanno i rei mostri in guerra col mendace
Stuolo dei sogni: allerta, o mio sovrano!
Sei fatto grande e fiero, ninnananna!
Son mille pi di mille i tuoi compagni:
Canti del salto e della tanca
225
Allegri, cacciatori, ninnananna,
Che laria corsa da continui lagni.
Cadono i mostri. Alla tua culla santa
Piovono i cieli fiamme di rubini;
Taccion sotterra i grilli canterini,
Ma il gallo, ninnananna, il gallo canta!
Ninnananna, tesoro, il gallo canta!
226
IL PALO TELEGRAFICO
Sulla deserta vetta
Il palo telegrafico
Ronza perpetuo ai venti.
Lorfanello eremita,
Il servetto capraro
Batte con una selce lesil palo,
E ascolta la profonda
Segreta melodia
Che si sprigiona dal percosso legno.
Or si ricorda quando sua madre
A Nuoro venne: era nel luglio ardente;
Nel gran sole tonavan le campane
Dalla chiesa maggiore, e, dentro, lorgano
Sospiroso gemea con simil voce.
Fuori una turba oscura,
Ed urli e pianti, e lululo
Di sua madre, e suo padre condannato.
Il cuore amaro sussult. Non piange:
Sa che il sardo non deve pianger mai.
Canti del salto e della tanca
227
EPITALAMIO BARBARICINO
Un gallo canta e gli risponde un gallo.
Rintrona il corno pastoral: riapre
La servetta le stalle, escon le capre
Bianche pavide: il greppo di corallo.
Ma perch oggi ronzano lalbata
Lapi dellorto e mormoran tra loro?
Stasera vien la sposa inanellata,
In nivea benda, col bel cinto doro.
Pendon uccise pecore e montoni
Dai cavicchi di corno: nei canestri
Olezzan fichi e pesche, e di campestri
Gigli sparsa la corte. Oh quanti suoni
E balli avremo qui, ch dai paesi
Corsi dai soffi ardenti della Libia
Son venuti stanotte i Marrubbiesi
Esperti della falce e della tibia.
Or riposan nel portico, su letti
Di pervinca; nellora vespertina
Intoneranno la pelicordina,
La danza dei mandriani giovinetti.
E tu, labbro di miele, tu rapsodo,
Che le generazioni e le scritture
Sacre conosci, e sai, divino, il modo
Di allietare tutte le creature,
Che sei signor dei sogni e re degli inni,
E col tuo verbo leghi gli usignoli,
Su levati, gi saprono i boccioli
Del beldigiorno e squillano i cachinni
Delle operose serve, e un canto intessi
Memore e bello che allegrezza dia
228
Ai mesti: al falciatore tra le messi,
E al nomade pastor nella sua via.
E tu, nutrice antica, apri il portone:
Spalancalo, ch or vengon dagli ovili
I guardiani dei branchi, coi fucili
A pietra, e portan tutti il porchettone
Fausto, ravvolto in salvia ed in mortelle,
E portan pur cignali e mufle doro,
Piegate, sanguinanti dalle selle
E le trote e le anguille del Taloro.
Ecco gli ospiti amici arsi dal sole,
Arrivati da rfili e dai salti
Marini, belli con legati agli alti
Arcioni, il serramanico e le pistole,
Con lesili archibugi e le cinture
Di cordovano azzurro, e la bisaccia
Fiorita. In dono recan confetture
Di cedro e il moscatello e la vernaccia.
Non vino: ch stan chiuse nel celliere
Molte botti, e tutte dolianese
Ambrosia, che prigioniera intese
Il palpito di venti primavere.
Sangue del sole espresso dalle rupi
Calcaree, amaro come il fior del vepro,
Ardente e aulente come su le rupi
Di Puntanidos fiamma di ginepro.
Rompete i cocci e i piatti! Ed entra, o sposa,
Nella tua nuova casa. E voi, leggiadre
Vergini, sospingetela alla madre
Nuova: ella labbracci con lacrimosa
Gioja! E voi tutti, reverenti, doni
Datele e il bacio, e le fanciulle intanto
Appresentino i vini ed i torroni.
Canti del salto e della tanca
229
E tu, rapsodo, tu libera il canto:
Amore suona forte la sua tromba,
E intma guerra in un giardin fiorito.
Volata qua, col suo cuore ferito,
Una gentile e candida colomba.
Datele un amuleto di verbasco
E vino dolce e pane di frumento,
Fatele un letto doro e di damasco
E una culla con tavole dargento.
230
EGLOGA
Sono in prigione i piccoli pastori,
E maggio scende gi dalla ferrata
E batte ai cuori. Non la madre afflitta
Essi pensano, s le nicchie azzurre
Della montagna, le sublimi tazze
Dellaquila e del cervo.
Verdi di pino gli altipiani odrano;
I cavalli son sciolti e i padri cacciano
Canuti sulla rupe.
Doghi e molossi latrano,
Ma i giovinetti stesi, sulla sella
La bruna testa, vedono passare
Alti voli di astori e cilestrine
Ombre di nubi, mentre il servo antico
Fa racconti di sangue e di rapine.
Canti del salto e della tanca
231
IL PADRE
Figlio innocente! Il marmo ed il granito
Son fragili ricordi, e il bronzo e il ferro
Sono in bala dei fulmini.
E quella pietra nera
A cui presso ti vidi
E ti era accosto il dogo
Che avea rotto le soghe
S, quel nero basalto battezzato
Col tuo sangue, sar roso dai secoli.
Lodio soltanto sta nei cuori eterno.
O figli, o figlie cui dolce fratello
Egli fu, o miei figli!
E voi nepoti, figli
Della settima generazone,
E pi in l, mandrani,
Aratori, pastori,
Banditi, quando ai rivi e alle fontane
Vi dissetate, proni come belve,
E quando con lo sguardo muto e acuto
Voi giudicate il pascolo ed il solco,
Vi guardin di sotterra
Gli occhi suoi di colomba,
Fisi, e vi sanneri intorno il mondo
Pe l suo ricordo e per la sua vendetta.
232
LA MADRE DI ORGSOLO
La madre cerca il figlioletto ucciso:
Era una palma, un fiore di narciso!
E aspettandolo, in pianti saddormenta:
Un nembo di vendette fuori venta.
Sognando cerca tutta la campagna,
La valle il piano il bosco la montagna.
E cerca e cerca lo ritrova in cielo,
Con la mandra, in un campo dasfodelo.
O mamma, taspettavo e sei venuta:
Ma come piangi, come sei sparuta!
Oh rimanti con me! Ecco, laurora,
E il padre il padre mio non viene ancora.
Babbo non viene ancora a queste parti,
rimasto laggi per vendicarti!
Canti del salto e della tanca
233
CANI DA BATTAGLIA
Per la guerra libica
Sardi mastini di gran possa, voci
Nellombra formidabili, mastini
Di quel buon sangue antico, che gli atroci
Padri aizzaron contro i legionari:
Alani dOrzul, barbaricini
Doghi cogitabondi sanguinari:
Cani di Fonni, vigili sui monti
Deserti al passo dei rapinatori:
Pugnace razza implacabile, pronti
Sempre allassalto, come laura lievi,
Seguaci come lombra, negli orrori
Delle notti ventose, tra le nevi,
Soli compagni al nomade e al bandito:
Il bandito nel fiero odio tenace
Richiama il suo fedel dogo nutrito
Di strage: Murrazznu, Sorgolino,
Leone, Trator! ma pi gli piace
Il nome fratricida di Caino.
Cani di tutta lIsola, al pastore
Presidio ed allarmento, dalle acute
Zanne bramose a sradicare il cuore,
Ecco: la Guerra suona la dana,
La Cacciatrice chiama le sue mute
Alla gran caccia, come alla bardana.
Ma si caccia altrimenti che nei freschi
Querceti di Gallura e Logudoro,
Qui cuor per cuore sia, cani sardeschi!
Siate tremendi e prodi a gara a gara,
234
Come in quel germinale, sul sonoro
Lido di Quarto, in Capo Carbonara.
O pastore dOgliastra, tu che calchi
Primo gli ultimi ghiacci dellOrisa,
E ne sai tutti i venti e tutti i valchi,
Grande un mastino drzana tu scaglia:
Egli sapr cacciare in quella guisa
Che sui dirupi, in mezzo alla battaglia.
Egli tracci quellun, che il tuo vicino
Strazi innocente, e a lui cavi lentragna
Come allagreste verro il buon mastino!
Ecco ritorna. Pedra Liana ai raggi
Del sol morente unara: la montagna
rossa di garofani selvaggi.
Aquile nere vanno incontro al sole,
Alte divine; Gennargentu splende
Nella gran sera cinta di viole.
Torna il mastino drzana. Alle porte
Schiuse al duolo, una madre in nere bende
Sta grande e fiera in un pensier di morte.
Verr, Ogliastra, sanguinoso a bere
Prima al tuo monte. Dagli a dissetarlo
Tutte le vene delle tue scogliere,
Ma non lavarlo, no! Sian rosse ed adre
Le sue zanne di sangue, ch a mirarlo
Gioja ne avr quellaspettante madre.
Canti del salto e della tanca
235
PICCOLO GIAMBO
Bocche che ancor sentite
Il desio di materni
Baci, e agli immiti inverni,
Come gigli sfiorite:
Lievi manine fatte
Per sorprender farfalle,
Per coglier nella valle
I nidi tra le fratte:
O piedini cui morde
Frizzando acuto il gelo,
Se agghiaccia terra e cielo
Il Dio misericorde:
Chi vi fa ramingare
Cos, sempre, o piedini?
O poveri bambini,
Chi vi fa mendicare?
Perch piangono i cigli
Vostri, o bambini leggiadri?
Non han pi scure i padri
Non han le madri, artigli?
236
LA SCUOLA DI CHILIVNI
Tornavo alle mie rupi, alla mia lustra,
A una tomba romita
Tornavo: oh tomba innocente, che lustra
Dalla montagna la nascente luna!
Pioveva: nel livido orizzonte
Era un sorriso solo
Di crisantemi rossi.
Per la stazione desolata e vasta
Non ombre o voci. I treni eran partiti
Per terre di dolore
Portando altri dolori.
Nel piovoso orizzonte
Laiuoletta ridea
Davanti a un dolce nido:
La scuola Salve, pia scuola, nel verno
Delle tanche ventose incoronata
Di fiori: arnia ronzante
Di cento voci doro.
Alla fredda mattina,
Quando gli armenti bradi
E lerrante pastore
Escono dalla notte
Torvi, con locchio insonne,
E canuti di brina,
Voi dalle cantoniere
Dal Logudoro antico,
Del pampineo Meilogu,
Armonioso, amico
Dei vati, e delle nere
Di solchi piane drdara,
Dai bianchi bugni
Solitari e tediosi,
Canti del salto e della tanca
237
Voi sciamate, piccini,
A questarnia festosa,
Sul tonante convoglio
Che vi attende e vi porta.
E la scuola vi accoglie
E vi abbraccia, o miei figli;
Vi accoglie col sorriso
De suoi fiori vermigli
Coi tepori dun nido,
Con la parola augusta
Delle vostre regine,
Le madri che, in divine
Ansie mortali, il cuore
Hanno sempre sospeso
Pei loro figli e per i figli altrui;
Con la dolce parola
Di quelle vostre madri giovinette,
Delle vergini madri,
Le vigili sorelle
Vostre maggiori, liete
Nellopera gentile,
Pari a lodolette quando salzano
Dai solchi dellaprile
E in vista al nido cantano.
E le vigili schiarano
A voi la strada oscura
Con la facella doro.
E vi ammoniscon: Gloria
A chi sparge il buon seme
Per la trebbia futura:
E gloria a tutti i cuori
Palpitanti damore,
In terra e sotterra:
Gloria alle braccia umane
Faticanti nel mondo
Pei piani per i monti per gli ocani.
Ma alle vostre vetrate
238
Grida il vento sinistro,
Urla il sinistro fischio
Del dmone che va
Con la sua turba nera,
Col rapido traino
Di gioje e di tormenti.
Che se luggia vi avvolga e quel lavoro
Vostro, la nobilissima fatica,
Vi sembri dura ed inamabil cosa,
Ripensate alle pene vagabonde
Travedute nel vostro breve volo,
Nel vostro breve viaggio cinguettante;
Ripensate la pena
Nel piccolo pastore,
Che invidia velli ed erbe alla sua greggia,
E se ne va ramingo sotto il cielo
Vasto, che lo minaccia e lo percote
Cieco, con le sue raffiche di gelo;
Ripensate la pena
Del misero aratore
Che ara senza canti, tra la sizza
Del gelido mattino,
La terra che un altro uomo mieter;
E riandate la pena
Di quel seminatore
Che avete visto torvo contro il nembo,
Seminare il suo solco, e avea nellatto,
Spoglio di santit,
Una crudel tristezza, una minaccia
Folle: parea che il misero gittasse
Semente dodio sulla terra antica.
Or ecco lora del ritorno, e tu
Sbuchi, ronzante sciame luminoso,
E sallegra il deserto.
Ed lora che i treni
Canti del salto e della tanca
239
Sono giunti dal mare,
Spinti dalle tempeste,
E gi dai monti neri,
Aneli a rincontrarsi
In questo muto cuore
DellIsola. La turba
Nera che viene e va
Sui fumosi convogli,
La varia turba oscura
Che parla tace e canta:
Loperajo, il signore,
La placida signora,
La madre del bandito
Che trema come fronda,
Il ladro catenato,
Il soldato che fischia
E canticchia, lastuto
Cellonajo, lanziano
Coi calzoni di saia,
Ed il rapsodo, arguto
Re dei canti, in bisaccia,
E il nomade col sago,
Barbuto e taciturno,
Tutti con un palpito
Di gioja guardan voi,
Piccoli alunni, figli
Di tutti i cuori, fiori
Fioriti in rudi solchi,
Albe aspettate in tormentose notti.
E sospirano: Gloria
A te, buono, per questo
Albergo ai voli onesti,
Per questarnia sicura
Agli innocenti sciami,
Per questa fonte pura
Scavata nel deserto.
240
LAQUILASTRO
Smarriti, a notte, andavano. Melchiorre
Guardingo, innanzi. Rombava la voce
Della bufera, grande tra le forre.
Era lira di Dio in quellatroce
Valle dOrune. Ai lampi, camellieri
Servi e re si facevano la croce,
E gridavano: Siamo passeggieri
Sperduti a mezza strada. Aiuto, aiuto
Ai re magi, porcari di Marreri!
Chiamavano al deserto: ch lirsuto
Guardiano, se infuria la bufera,
Pi bada e pensa al suo verro sperduto,
Che non ai re. Dun tratto unombra nera
Scorge Melchiorre: un piccolo servetto
Pastore vede, in pelli e in ventrera,
Un aquilastro, con un suo branchetto
Smunto, a un ridosso per la tramontana.
Dolce gli parla: O bel sardignoletto,
Salute! Odi, fa opera cristiana:
Noi siamo forestieri e abbiam smarrita
La strada. Andiamo a Nuoro: lontana
Nuoro? Eh! fa lui, una bestia spedita
Vi giunge in unoretta, ma un pedone
Ne impiega quattro, ch tutta salita.
Ma voi chi siete? Da quale regione
Canti del salto e della tanca
241
Venite? Forse siete proprietari
In cerca di bestiame o di pascione?
E codesti animali straordinari
Che davolo sono? Son cammelli,
Questi a due gobbe, gli altri dromedari;
E noi siamo i tre re. Senza vascelli
Siam venuti dai regni doltremare,
A recare speranze e sogni belli.
Ora si va a Nuoro. Ci vuoi fare
La strada fino a Nuoro? Su, ride
Gi lastro, e abbiamo a cuore darrivare.
S, la stella lucea su Puntafide,
Grande e chiara. La vede ed a cavallo
Baldo salta il fanciullo, il falconide,
E va coi re. Allalba, il nudo vallo
Tutto desto; le mandre per gli ovili
Bianche vagan tra sondri di corallo.
Il bimbo trotta e ciarla: Oh voi, fucili
Non ne avete Mio padre navea uno
Lungo, di canne sottili sottili.
Mio padre? Lhan sgozzato presso al pruno
Del limite: arava in Punta Fumosa
Arava: non facea male a nessuno!
Io son servo. Mia madre Graziarosa
sola in casa, sola, ora. Ed al pio
Ricordo della madre dolorosa
Tacque. Poi borbott in quel nato
Suo modo un canto che sembrava il pianto
Di un affanno che non conosce oblo.
Ma ecco Nuoro: ecco il camposanto,
La tanca della morte, e la chiesetta
Sola: la Solitudine, e daccanto
Labituro di Lino, con lerbetta
Argentea innanzi: e in fondo della via
Il dazere nella sua garetta.
Nuoro squillava allepifana.
Eccovi giunti, disse laquilastro,
Io torno, e voi andate con Maria.
E tu con Dio, risposero, e che lastro
Nostro ti segua, e dovunque tu vada
Ti si muti in olivo lolivastro.
Per, prima, hai da sceglier ci che aggrada
Di pi a te, tra bei donuzzi choggi
Noi portiamo ai beb dogni contrada.
E le oprate bisaccie a fiori roggi
Versr tanti giocattoli, che il brullo
Piccolo spiazzo se ne empiva a moggi.
Ma laquilastro non trov un trastullo
Alla sua pena: sempre ha fitto in core
Suo padre ucciso; il misero fanciullo.
Ah no! Tra quei balocchi, al suo dolore
Ride, disperso fuori dalla fida
Guaina, un bel pugnale a passacore.
Lo ghermisce, ch lodio fratricida
Del suo perverso seme nel rubesto
Cuor ratto gli divampa, ed: Ecco, grida,
Ecco il trastullo mio: datemi questo!
Canti del salto e della tanca
242 243
MURRAZZNU
Luomo devesser contro alluom nemico
Simile a Murrazznu.
Murrazznu, il molosso, allalbeggiare
Lev il cignale e fiero linsegu.
Sotto le quercie, allombra, a meriggiare
Stavan pastori e branchi a mezzod,
Quando il molosso ansante ritorn,
E lansima dal petto gli cacci
Il sanguinante cuore della belva.
244
ORTHOBNE
Elci solenni, erboso limitare
Di eremi deserti, un vol dastore
Nel mezzogiorno, palpiti di mare,
Una preghiera, un canto di pastore.
E gi Nuoro, soave e maledetta,
Cuor di Sardegna: e intorno, nellaperto
Fulgore del mattino, il vasto serto
Dei monti, arsi di sole e di vendetta.
Canti del salto e della tanca
245
LA SPIA
Gi dallantro di Lino la bufera
Si sferra, disse il vecchio, con lo sguardo
Segnando il nembo. Entrammo: la capanna
Tra i selvatici olivi come un nido,
Tremava al vento. Un pargolo assonnava
Cullato da una strana ninnananna.
Accucciata dappresso era la madre,
Bruna scarna: una schiava!
Oggi n mai
Avr pace la spia, Lino la spia,
Disse il vecchio. Ch a lui per poco infame
Prezzo, piacque tradir gli ospiti suoi.
Eran banditi, e Dio spinse quei mesti
Alla casa di Lino. Il vino e il pane
Agli ospiti egli porse, poi nel sonno
Li uccise: il sonno uccise!
Ahi! da quel giorno
La sua casa ruin. Sonava intorno
Dopre e di canti la tranquilla casa.
Tolto dai bugni candidi, nei ziri
Chiariva il miele, e dentro saldi tini
Di castagno fervea, gioja dei prandi,
Il vino. Or tutto se ne and sul vento,
Come la piuma degli uccelli. Morta
Senza pur quella pace che ai pi mesti
Destini Dio non nega, la sua sposa,
Gi florida e ridente come un mandorlo
In fiore.
Solo, misero, percosso
Or dallodio di mille anime, Lino
246
Va per la terra, va per gli sterpigni
Campi, sui monti, nelle solitarie
Valli, tremando, ch implacata sente
Sui passi suoi la pesta daltri passi,
Non visti mai, che sempre mai lo seguono,
E non lo giungon mai.
Se mendicando
A le nostre capanne egli si affaccia,
Ogni cor lo respinge. Un pane dorzo
E poco latte, fuor della capanna,
A lui porge il pastore, e Lino siede
In un canto, lontan dal focolare
Che solo splende ai buoni. Indi solingo
Dagli ovili si toglie, e va col vento
Per le tanche randagio, n lacuto
Assiduo gelo della mortal febbre,
Che le misere sue membra raggriccia,
Scioglier potrian pur quelle che sul folto
Ortobene, nereggian elci annose,
Se ardesser tutte tutte in un sol rogo.
Ora lass nellantro suo, che al vento
Sempie di voci, Lino ascolta il nembo
Folgoreggiando dirupare al piano,
E fra lmpito sente, e il rotolare
Grave dei tuoni, fremer con la nostra
Lira di Dio.
Cos dallaquilino
Reo sguardo, balenando limplacato
Odio, il vecchio parl.
Dal vasto piano
Fra il gemito e lo scroscio delle quercie,
Passionate dai flammei abbracciamenti
Del fulmine, sala vario il tumulto
Canti del salto e della tanca
247
Degli armenti e dei greggi, e voci e sibili
Dei mandriani, e dei torrenti il tuono.
Ruppe allor dalla mia anima il grido
Su la procella. O rivi che, dai vertici
Fulminati, correte alacri al mare:
E negri uccelli, voi che dei divini
Cieli siete i pensier torbidi: e voi
Venti, che siete degli aperti cieli
Il palpito e la voce, con voi lungi
Rapite il seme onde germoglia lodio
Che il cor ci strugge, e dolce sopra lanima
Scenda un sogno di pace, qual, su torva
Fronte, scende una pia mano materna.
248
AI RAPSODI SARDI
AI RAPSODI SARDI
O fratelli, rapsodi dalla chiara
Voce, dal cor soave pi che il fiore
Della melissa, ai canti ed alla gara
Aneli, come indomiti morelli
Allinvito del vento emulatore,
L nel pianoro bianco di olivelli:
O poeti, se allanime che adoro,
Anime tristi ardenti nel silenzio
Come lampe sonasse nel canoro
Accento dei miei padri la canzone
Della speranza mia, monda dassenzio
E pura dogni fosca visone,
Anchio alla pensosa turba assorta
Tal inno innalzerei che alle parole
Alate, trionfante aquila al sole,
Si leverebbe lanima risorta.
Ma fu negato a me questo celeste
Dono, dun pietoso nume dono,
Molcer gli acerbi affanni e le funeste
Cure col canto. E amati e venerati
Siete perci, fratelli, e senza trono
N spada, siete re: ch allor che ai prati
Ritorna il nuovo april cinto di foglie
E prmule, recando sogni e grate
Ombre ai pastori, allerme vostre soglie
Batte con una rama dasfodelo
Il sole e vincorona, e lumil vate
Fatto re della terra e re del cielo.
E andate per lantica isola, aedi
Erranti, a dispensare larghi il canto
Ad ogni cuore: al mietitore affranto
Tra le messi, e al pastore tra suoi redi.
Canti del salto e della tanca
251
O gioja in rimirarvi alti rapiti
Sulla festosa folla che vi abbraccia
Rinfiammandovi in cuor gli estri sopiti,
Col suo palpito immenso! Ecco, unebrezza
Visibile vinebria: arde la faccia
Alla sbita febbre, e la lietezza
Dellanima trabocca in inni e in canti
Meravigliosi. Ed come stillante
Favo la vostra bocca, dei fragranti
Favi il pi colmo e ambrosio: e il vostro cuore
un montanello sulla onduleggiante
Vetta del pioppo, quando il giorno muore,
E ridon doro i colli e vien la sera
Silenzosa, e dalla rosea rama
Immoto pia pia e canta e chiama
Tutte le melodie di primavera.
Oh gioja udirvi allora, quando piena
Vi sale londa delle rime al labbro
Grazoso! Da quale ignota vena
Tanta dolcezza? Il mesto che vi ascolta
Si rallegra: gli par che un ventilabro
Doro nel cuor gli ventoli una folta
Messe di speme incognita. E va lento
Per piane verdi dorzi, alla sua tanca
Vermiglia e azzurra sospirante al vento.
Ambia col grave ritmo delle ottave,
In sogno sulla sua cavalla bianca
Stellata, in groppa avvinta la soave
Compagna. Monte Spada ecco dimoia:
Acque dargento scendon con serene
Rime: il mesto indugia e affanni e pene
Dimentica, e si abbevera di gioja.
Ch la vostra camena una fanciulla
Bellissima che vien dalla fontana
Balda e dolce, la rossa anfora sulla
252
Sua testa daquiletta: il cuor le vola
Lieto innanzi, la bella filograna
Tinnisce il riso dellaperta gola.
Il pellegrino stanco chiede un sorso
Per la sua sete, inclina ella la brocca
Rscida, e quegli beve e il cammin corso
Obla e benedice. Ella sorride
E lontanando, dalla rosea bocca
Versa motti damore. Tal ne arride
La vostra musa ingenua, a cui lantico
Idoma del forte Logudoro
Cinge doppia corona: una dalloro,
Laltra di rose e dolivastro aprico.
O sacro idioma, nato tra nuraghi
E tombe e selve in cuore alla pianura,
Lieta di messi dopre e branchi vaghi:
Maschio eloquio fiorito perch i padri
Ti parlassero gravi sullaltura
Quali profeti, puro a che le madri
Ninniassero i figli, o uccisi o morti
Li piangessero: accento alto dimpero
Sul labbro a Leonora: urlo di forti
Schiuso in un inno dal deserto grembo,
Madre, minace tuo, inno del nero
Tuo cuor, Sardegna, quando il breve nembo
Folgor su tuoi sonni. Oh bel picchiare
Allalba, di quel verso che rugg,
Martellando i battenti, Cando si
Tenet bentu est prezisu bentulare.
Gloria, fratelli, al fabbro di quellinno
Che per nere capanne e spersi ovili
Cerc i cuori, e col suo fiero tintinno
Li trasse verso il sole a le vendette.
Oh! i cavalier di soga e i bianchi e vili
Lacch, incontro ai menghi e alle berrette!
Canti del salto e della tanca
253
E gloria ai padri aedi, gloria al sacro
Coro che dal Limbara al mare azzurro
Di Spartivento, insino al solco macro
Di Aritzo, per lintera taciturna
Isola, sospir come un sussurro
Di primavera sulle fosse. E unurna
Di miele vers sulla tristezza
Delluomo. Quando Luca, in aspre selve,
Ai banditi cantava, quelle belve
Si scioglievano in pianti di dolcezza.
Voi siete buoni come si conviene
Alluomo amico delle muse, e i giorni
Trascorrete nellopere serene
Del monte e della valle. Tu profondi
Il solco tuo diritto, e i canti adorni
Ti aleggiano dintorno come ai biondi
Frumenti, stormi garruli. Tu il branco
Guidi, pastore aedo, alle sorgenti
Benignamente: la verga di bianco
Tamarisco il tuo scettro, poich sdegni
Il rissoso bastone, e nei lucenti
Silenzi della notte quando i segni
Del ciel ridon pi belli, e il cor che sa
Ode sperse armonie lanima carca
Dinnocenza, tu incedi, patrarca
Dantico tempo nella nostra et.
Tu nella rosea nitida pietraia
Batti sui ferrei cogni col mazzuolo,
In pugna col granito. La giogaia
Ti avvolge col suo anelito e con grandi
Velari dombra, e in quel silenzio, solo,
Con la tua mazza nella selce scandi
Picchi tnnuli, s che unarmonia
Pare anchesso quel tuo rude lavoro.
Ma negli ozi leggiadri in solata
254
Piazza, o in ampio cortil, la gara arguta
Adnavi. Dinanzi vi sta il coro
E lansia turba: chini sullirsuta
Criniera dei cavalli, i mandriani
Odon, e voi cantate. Il canto fede:
E lanima selvaggia ora vi chiede
Se debba amare od odiar domani.
Ammonitela voi, coi vostri carmi,
O fratelli! Cantatele dei padri
Che contro Roma caddero con larmi
In pugno: celebrate la perversa
Virt dei vinti, cui scov dagli adri
Covili di Belv, la rabbia avversa
Dei mastini famelici: dei vinti
Che nei fri dellUrbe, presso i templi
Marmorei, di ferrei ceppi avvinti,
Parevan di s mala domatura
Che nessun li comprava, s dagli empi
Cuor la vendetta tralucea sicura.
Glorificate lodio secolare,
Lamore eterno, avvalorate i cuori.
O poeti, cantate gli splendori
Della Sardegna libera sul mare.
Madre fatale e bella a tutti ignota
Anche ai tuoi figli, chi ti adorer
Comio tadoro! Agli strani remota
Io ti vorrei: sinistra sanguinosa
Coi tuoi banditi, con le tue citt
Morte, ingioconda atroce febbricosa,
Ma tutta sola e oprante e senza pianti.
Io ti vedrei mandriana ai dolci maggi
Salire, coronata di ronzanti
Pecchie, il tuo monte acceso dallaurora,
Dietro i branchi, e passar sui bai selvaggi,
Prima nellrdia, ardita corridora.
Canti del salto e della tanca
255
256
Eppur, fratelli, io minebriai di questa
Triste patria che sta sola sul mare,
E nutre come laquila rubesta,
I figlioli di sangue. Ed il mio cuore
Risorto palpit duna solare
Letizia nel suo seno, e il mio dolore
Si tramut in un sogno di speranza.
Lanima si confuse nella luce
Sulla montagna, e seppe la fragranza
Dei fiori agresti nati sulle tombe
Dei primitivi, e nella selva truce
Degli orgolesi apprese, tra le rombe
Del ponente, lurr del sanguinario
Pallido e triste come un sire, e in Monte
Rasu, sent sullerba e sul bel fonte,
Sotto lelce e il ginepro solitario,
Sparsa la santit di San Francesco.
E vener nei boschi doleastri
Un dio pellita, e navig nel fresco
Mattino, dalla rada umile, bianca
Di greggi, alla Caprera cinta dastri
E dinni; e l dove pi chiara e franca
Risuona londa sullazzurro abisso,
La scogliera mir donde le sarde
Donne traeano il prezioso bisso
Per vestire lEroe. E nel tepente
Vernal meriggio oh come dolce marde
Quel ricordo! solc, tra la clemente
Selva di glauchi ulivi, larmoniosa
Onda del Temo: su, tuona la caccia,
E gi, ai battelli le flessuose braccia
Protendono i rosai con una rosa.
E sogn lungo una deserta riva
Fra due rovine: il mare infaticabile
Abbracciava la terra che gli offriva
I suoi gigli languenti, e sole e cielo
Canti del salto e della tanca
257
Oh nei sereni monti in cime e in grotte,
Alte fiamme di pace, quando i cieli
Simbrunan vasti, e dormon i fedeli
Armentari alla virgina notte!
Io ti vedrei nel vespero di giugno,
Sugli aerosi miei colli sereni,
Bella e discinta con la falce in pugno,
Mieter cantando quellultima randa,
E spulare coi zeffiri tirreni
Il frumento sullaja veneranda.
Spartiresti il tuo pane ai tuoi figlioli
Giustamente, ch lungo fonti chiari
E verdi vigne e sussurranti broli,
Gli elcini carri carichi di grano
Tu guideresti ai nostri limitari
Fioriti di giaggioli e zafferano.
E siederesti poi, madre, sul monte,
In cuor secura con la certa fionda
E la scure. Chi toccher la fronda
Di quercia che ti ombregger la fronte?
Ma ti vedo raminga nella tanca
Sterpigna, lungo il lido, ad ascoltare
La gran voce del flutto che simbianca
Ululando: l presso un branco bela
Melanconico, e tu guati il tuo mare
Deserto. Dimmi, quale amica vela
Navig a te dalle felici prode,
Recando una speranza alla tua pena,
Un nettareo nepente al tuo cuor prode,
Una facella doro a questa nera
Tua notte, o taciturna? Il ciel balena
Tacito e cala tacita la sera
Obliosa. Da qual vermiglia vetta
Ti vestir laurora di splendore?
Tu laspetti nellombra, ed hai nel core
Sogni di gioja e sogni di vendetta.
Folgoravano flammei un immutabile
Riso alla terra e al mare. L, tra i veli
Del Tirso, la citt degli Arborensi
Dorma: bella per sue case tacenti
Quali sepolcri, tra profondi incensi
Dorti, lungo silenziose vie
Cinte di palme: mesta di piangenti
Campane: soavissima per pie
Rosee mattine, in vago chiuso aulente
Di viole e di mandorli: solenne
E sacra per il tempio che contenne,
In faccia al mare, il dio di nostra gente.
Cos sogn e sper, sardi rapsdi,
Il mio cuor rude chiuso sopra latro
Sen della madre mia: pur le melodi
Ignor del mistero ondella sacra.
O fratelli, vorrei esser laratro
Che morde il seno della tanca e lacra
Viscera della rupe, a penetrare
Tutta lombra e le desolazioni
Che lammantano eterne. O focolare
Di porfido spazzato dalla morte,
Sepolcri di giganti, alti burroni
Degli aspri monti, dove alle risorte
Primavere, fremono chiomati
Teschi di mandriani e di banditi:
Sparsi nuraghi, e voi, santi graniti
Del limite, temuti e venerati,
in voi questo mistero? O ne villaggi
Sepolti nelle valli come in bare?
O nei debbi notturni e nei selvaggi
Valichi, ove urge le spaurite torme
La bardana dal tacito calzare?
Non io lo so: ben so che questa enorme
Tristezza sovrumana e ch divino
258
Questo silenzio, e che mia madre dea!
Sia gloria a lei dal mare al cilestrino
Cerchio dei monti. O candidi fratelli,
Cinti di gioja, se alcunombra rea
Mai vaduggi ch ai nostri cuor rubelli
Voi siete come agli orti lusignolo,
Ed allarso oliveto la cicala,
Voci di gioja in cuor temprate lala,
A un canto che convien sia forte al volo.
La mia terra cantate. E chi la gara
Vinca, si avr in premio un bel poledro
Che Osilo dom, Osilo chiara
Altrice e domatrice di cavalli.
E in premio pur si avr una di cedro
Cavezza adorna, e una di fior gialli
Ben oprata bisaccia, valorosi
Incliti doni. Ma pi prezioso
Dono il serto fiorito nei muscosi
Dirupi dOrtobene; al vincitore
Fanciulla loffrir per radioso
Occhio insigne, nel pallido languore
Dellamplesso divina. Ella, sul monte,
In vista allOleastra e alla Gallura,
Oh gloria! Cinger con lelce pura
Al vincitore la superba fronte.
Canti del salto e della tanca
259
NOTE
NOTE AI CANTI BARBARICINI
Monti e cime di Barbagia ricordati nel volume:
Bruncuspina cima sovrana del Gennargentu.
Corsi Monte Atha dalle brulle rupi azzurre.
Gonare devoto, in vista a tutti i mari.
Montespada con la sua spada di neve.
Monte Brdia antica guardia contro le scorrerie dei Saraceni.
Montalbo sasso erto, senza fonti e senza boschi.
Ortobene monte ad oriente di Nuoro, dalle serene ombrie.
PRELUDIO
Don Chisciotte
Tanca: campagna incolta, cinta da siepe o muriccia, dove pasturano i
branchi nomadi e gli armenti bradi.
LE BARBARICINE
Nella tanca
Tasca: lo zaino, per lo pi di pelle caprina, tagliato a sacca, dove i
pastori ripongono il loro viatico di nomadi.
LEGGENDE PASTORALI
I tre re
Frat [r]es: nella parlata di molti villaggi della Barbagia suona come in
latino: fratelli; ed anche, come nella leggenda dei tre re, amici e
compagni. Nobile traslato che rivela la nobilt dei ruvidi cuori.
Bardana: corruzione di gualdana, triste vocabolo che esprime una
selvaggia e quasi abitudinaria attitudine dei vecchi sardi pelliti. Non
la razzia, ed pi e meno della rapina.
La casa di San Francesco: una chiesetta bianca e solitaria, a mezza
costa di unaltura di scopa e lentisco, di fronte a Montalbo.
I COLLOQUI COI MORTI
Secondo una leggenda sarda, nella seconda notte di novembre, i morti
di Barbagia tornano ai loro focolari, mangiano le torte di uva passa e
le mele e le pere vernine, e parlano dei loro amori e dei loro od!
263
fiero il ribelle proposito di chiamare alle armi le popolazioni sarde
per scuotere il giogo delle prepotenze baronali.
Accolto sulle prime con entusiasmo ed acclamato salvatore della Pa-
tria, fu poi abbandonato nellultimora e perseguitato anche dagli an-
tichi suoi amici.
Il poeta canta lo schianto del ribelle esule che, allombra del suo so-
gno infranto, nellalba del 16 giugno 1796, abbandona la terra che
non seppe intenderne il palpito sovrumano, e va a riversare la piena
della sua amarezza sotto i cieli di Parigi.
In memoria
Giorgio Asproni: fu pastore, ex canonico, deputato e fu affermatore
di ogni idea di libert.
Nacque in Bitti nel 1809, mor in Roma nel 1879, dove il Comune gli
eresse un ricordo marmoreo in Campo Verano.
CANTI DELLOMBRA
Sepulta domus
Fulanu: parola di origine spagnola: Don Fulanos, e significa Tizio,
Caio, ecc. ecc.
Note
265
LE SELVAGGE
Notte nel salto
Salto: non il saltus dei latini. La parola usata in Sardegna per
esprimere la distesa di pi tanche ed ovili.
Ditirambo di giovinezza
Hutalab: urlo di gioia selvaggia, col quale il cavaliere barbaricino
sprona a corsa sfrenata il cavallo, animando se stesso di questo frene-
tico ardore.
ALLE MADRI DI BARBAGIA
Letti elcini : letti fatti con frasche di elce o di quercia (lettu de sida) su
cui gli uccisi, come in una lettiga, vengono trasportati alle loro case.
ANTELUCANE
Leppa e vomere
Leppa: coltello lungo e robusto con fodero, fatto per lo pi da un
tronco di spada. Lo portano alla cintola i pastori della montagna.
IN LODE DI FRANCESCO CIUSA
La madre dellucciso: la statua (una viva forma di dolore) che schiu-
se allo scultore Francesco Ciusa le porte dellEsposizione internazio-
nale di Venezia.
E lopera gagliarda e nobilissima, s una statua, ma anche un fram-
mento del plastico poema I Cainiti col quale il giovine artefice bar-
baricino si propone di illustrare la vita e mistica e rude e selvaggia
della nostra Terra.
ODE AL GENNARGENTU
Sulla punta pi alta del Gennargentu (Yanua-Argenti) un ignoto scris-
se col minio sacre parole: Bont, Libert, W il Socialismo!
ICNUSIE
LAlternos
G. M. Angioi di Bno: uomo tanto pi vicino alla virt modesta degli
antichi, quanto lontano alla virt vantatrice dei moderni come lo
chiama Carlo Botta, quando luragano della rivoluzione francese
scosse le membra della vecchia Europa feudale, matur nellanimo
264
La scuola di Chilivni
Chilivani nodo centrale, in aperta campagna, di tutte le ferrovie dellisola.
Un munifico donatore istitu, presso alla stazione, una scuola elemen-
tare per i bambini dei ferrovieri e dei casellanti sparsi sulle varie linee.
I treni del mattino raccolgono i piccoli alunni che poi, a sera, riporta-
no alle loro case.
Murrazznu
Cane famoso, caro a tutti i cacciatori del Nuorese. Lepisodio della
caccia vero.
AI RAPSODI SARDI
Cando si Tenet bentu est prezisu bentulare: Quando si leva ven-
to occorre trebbiare. il ritornello del logudorese inno angioino, al
cui canto la Sardegna insorse contro gli ordinamenti feudali. Gli ac-
cenni che seguono nei versi riguardano episodi della rivoluzione.
rdia: gara di corse a cavallo.
Note
267
NOTE AI CANTI DEL SALTO E DELLA TANCA
MUTTOS
Quasi motti o motteti. Li ho derivati dalla poesia popolare sarda. In
essi mi piaciuto conservare talora le stranezze e di concetto e di ver-
so e di rima, quali graziosamente fioriscono sulle labbra dei sardi poe-
ti, quasi sempre improvvisatori.
Srbili: spiriti erranti sulle montagne di Barbagia nelle notti ventose,
vampiri alle culle.
Le prefiche
il sogno duna notte dinverno ed un canto funebre. Le prefiche
della razza piangono sui venti tutto ci che in terra di Barbagia muore
dilegua emigra.
Eremitano, Cani da piatto: li ho derivati dal dialetto, perch mi pare
che non vi sia un vocabolo italiano che li traduca perfettamente. Ere-
mitanu voce dialettale che serve a denotare luomo miserabile e in-
fingardo, di vil cuore. Cane de isterju (cane da piatto) quel cane che
negli ovili non sa guardare le capanne e i branchi, e non fa che leccare
i mastelli dei latticini: ed attributo che si d comunemente ad un uo-
mo vile e dappoco.
Aquila grigia: era un forte e vecchio bandito che sapeva tutte le vie
del piano e del monte. Mor mentre un aquilotto, un fanciullo, gli
squittiva dappresso: il quale, gridandogli coraggio, cadde con lui ne-
gli amari passi della fuga. Era una vecchiezza gioviale: cantava canzo-
ni di guerra, ed era anche buon compagno di cacciatori e canattieri
nelle serene caccie sui monti nuoresi.
Cervo solone: non lalces maschilis, ma pure un gran cervo di cui
si va sperdendo la razza sui monti dellisola. Chi canter lelegia alle
ultime aquile alle ultime fiere agli ultimi boschi agonizzanti sui gioghi
della patria?
Cani da battaglia
In Ogliastra, presso il piccolo villaggio di rzana, era nato il tenente
medico Demurtas, ucciso a Sciara-Sciat, mentre medicava i feriti.
Capo Carbonara: ricorda ai sardi il tentativo di sbarco dei francesi,
nel marzo 1793, respinto principalmente ad opera dei fieri mastini dei
pastori. Cos almeno la leggenda.
Murrazznu, Sorgolino, Leone, Traitore (traditore), Caino: comuni
appellativi di cani sardi.
266
GLOSSARIO
Composto di trecentonove lemmi, il presente Glossario
amplia le poche Note apposte dallautore alla fine di ogni rac-
colta con lintento di specificare il significato di alcuni termini
duso colto e letterario, o comunque difficilmente rintracciabili
nei vocabolari italiani pi diffusi.
Delle diverse accezioni di ciascun termine sono riportate
nella maggior parte dei casi solo quelle relative allutilizzo da
parte del Satta; laddove una stessa parola sia stata adoperata con
diversi significati in distinte poesie si specificato di seguito il ti-
tolo della poesia nella quale occorre in tale accezione. Si rite-
nuto opportuno, quando possibile, indicare letimo delle parole
proposte. Non fanno parte del Glossario i termini che trovano
spiegazione nelle Note dellautore.
Le principali opere consultate per la redazione del Glossa-
rio sono:
Giovanni Spano, Vocabolario Sardo-Italiano e Italiano-Sardo,
Cagliari, Tipografia Nazionale, 1851;
Max Leopold Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, voll. I-III,
Heidelberg, Carl Winter, 1960;
Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana. Dizio-
nario etimologico, Firenze, Le Monnier, 1968;
Ferruccio Calonghi, Dizionario Latino-Italiano, Torino, Rosen-
berg & Sellier, 1975
3
;
Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco-Italiano, Roma, Societ Edi-
trice Dante Alighieri, 1979
28
;
Aldo Duro, Vocabolario della lingua Italiana, voll. I-IV, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 1986-94.
271
272
addoppiare v. tr., der. di doppio, letter. per raddoppiare.
adito s. m., dal lat. ad]tus, part. pass. di adire comp. di ad verso
e ire andare; entrata, passaggio.
adro agg., variante poet. di atro, dal lat. ater, a, um; nero, scuro.
aduggiare v. tr., dallant. auggiare, forse der. di uggia, danneggiare
con la propria ombra.
adusto agg., dal lat. adustus part. pass. di adur/re bruciare, letter.
bruciato, riarso.
agresto agg., ant. o letter. per agreste.
albagio s. m., dallarabo al-bazz, orbace.
albata s. f., dal lat. alba, f. sostantivato dellagg. albus bianco;
componimento poetico-musicale, detto anche mattinata
canto mattutino ed equivalente italiano del fr. aubade e
dello spagnolo alborada.
albatro s. m., dal lat. arbtus, letter. corbezzolo.
alburno s. m., dal lat. alburnum der. di albus bianco; la parte pi
esterna e giovane del legno di alberi e arbusti.
algente agg., dal lat. algens -entis, part. pass. di alg7re avere o essere
freddo.
alido agg. e s. m., variante poet. di arido, toscanismo.
almo agg., dal lat. almus, der. dal tema di al/re nutrire, letter.
che ristora, che alimenta quindi, per estens. nobile, ma-
gnifico, eccelso.
alore s. m., letter. per aulore profumo, a sua volta dal lat. ol7re
attraverso una forma con dittongo aulere.
altrice agg. e s. f., dal lat. altrix -icis, der. di al/re nutrire, alimenta-
re, letter. che nutre, che alimenta.
alvo s. m., dal lat. alvus, letter. ventre, intestino, utero; fig. cavit,
parte interna.
ambage s. f., dal lat. ambages comp. di amb- intorno e tema con al-
lungamento apofonico di ag/re condurre, letter.
1) cammino tortuoso (I tre re);
2) discorso oscuro, giro di parole (Il voto).
ambiare v. intr., dal lat. ambulare camminare; andare al passo del-
lambio cio, nei quadrupedi, procedere muovendo con-
temporaneamente gli arti di un lato, successivamente a quelli
dellaltro lato.
ambrosio agg., dal gr. o:octo, immortale, attraverso il lat. ambrosius,
che ha il profumo o il sapore dellambrosia, cibo dellimmor-
talit di cui si sarebbero nutriti gli dei della mitologia greca.
annitrire v. intr., variante ant. o letter. di nitrire.
antelucano agg., dal lat. antelucanus, comp. di ante prima e lux luce,
Glossario
273
ABBREVIAZIONI
adattam. = adattamento
agg. = aggettivo
ant. = antico, antiquato
com. = comune
comp. = composto
contr. = contratto
der. = derivato
dim. = diminutivo
estens. = estensione, estensivo
f. = femminile
fig. = figurato
fr. = francese
gr. = greco
ingl. = inglese
intr. = intransitivo
invar. = invariabile
lat. = latino
letter. = letterario
log. = logudorese
longob. = longobardo
m. = maschile
part. = participio
pass. = passato
pl. = plurale
poet. = poetico
pop. = popolare
pres. = presente
prob. = probabilmente
propr. = propriamente
prov. = provenzale
s. = sostantivo
sign. = significato
sim. = simile
sing. = singolare
sinon. = sinonimo
spec. = specialmente
suff. = suffisso
tr. = transitivo
trasl. = traslato
v. = verbo
* = quando precede un
vocabolo latino o gre-
co indica che il termi-
ne non si riscontra nel-
le fonti, ma che la sua
esistenza stata con-
getturata sulla base di
esiti pi tardi
con il suff. aggettivale -anus, letter. che precede la nascita
del giorno.
apparita s. f., ant. comparsa, lapparire.
aprico agg., dal lat. aprcus soleggiato; trasl. che ama il calore e
la luce del sole, soprattutto riferito a fiori e piante.
aquilonare agg., dal lat. tardo aquilonaris, letter. daquilone, settentrio-
nale, quindi vento aquilonare tramontana.
archimandrita s. m., dal lat. tardo archimandrita a sua volta dal gr. otot-
cj, comp. da ot- der. di oo comando, guido e otco
recinto quindi convento, in origine il superiore di un mona-
stero greco; in questo caso sinon. di pastore, colui che guida,
conduce la mandria, con implicita unidea di autorevolezza.
armentario s. m., dal lat. armentarius, custode o pastore di armenti.
arrandellare v. tr., der. di randello; legare stretto, anche legare tirando
la corda con un randello (Il Natale di Lazzaro).
arroncigliare v. tr., der. di ronciglio gancio, uncino, letter. piegare, torcere.
arrubinare v. tr., der. di rubino, letter. dare il colore del rubino, render
vermiglio; in senso particolare riempire un contenitore di
vino rosso (Boccaccio).
artemisia s. f., dal lat. artemisia, gr. octcto, der. di Act, Arte-
mide; genere di piante composite tubuliflore delle quali
fanno parte, ad esempio, lassenzio e il dragoncello.
arvale s. m., dal lat. arvalis, agg. der. di arvum campo coltivato,
letter. agreste.
atro agg., dal lat. ater, a, um, nero, scuro.
auge s. m., forma contr. per augello, dal prov. auzel uccello.
aulente agg., part. pres. di aulire, letter. odoroso, profumato.
aura s. f., sinon. letter. e poet. di aria, di solito in senso fig.
avito agg., dal lat. avitus, degli avi, tramandato o ereditato dagli avi.
biasciare v. tr., sinon. letter. e poet. di biascicare forse a sua volta dal
lat. *blaesiare der. di blaesus bleso; mangiare lentamente,
trattenendo a lungo il cibo in bocca, come costretto a fare
chi non ha denti.
biodo s. m., prob. dal lat. *budla, dim. del lat. tardo biuda ulva,
sinon. di biodolo, nome com. di varie piante palustri.
biondeggiare v. intr., tendere al biondo, cominciare a imbiondire, spec.
del grano prossimo alla maturazione.
bisso s. m., dal lat. tardo byssus, gr. :. cco,, di origine fenicia. Tela
finissima e preziosa di lino, molto ricercata presso gli antichi
Greci; particolare stoffa, di colore metallico tendente al rame,
ottenuta sottoponendo a filatura e tessitura i filamenti setacei
che costituiscono lappendice terminale, detta appunto bisso,
274
della Pinna nobilis.
bolso agg., dal lat. vulsus, part. pass. di vell/re, propr. strappato;
malato di bolsaggine; fig. pomposo, retorico.
bonoma s. f., dal fr. bonhomie, der. di bonhomme buonuomo, bo-
nariet.
botro s. m., forse dal gr. :oto, fosso, buca, letter. fossato o val-
loncello scosceso.
bramire v. intr., dal fr. bramir, letter. urlare di bestie selvatiche, in
particolare il bramito il verso del cervo.
breccia s. f., forse dal lat. *imbricea der. di imbrex -]cis embrice, si-
non. di pietrisco o ghiaia, oppure dal lat. volgare *briccia a
sua volta da un tema brikka- rilievo roccioso diffuso in
area mediterranea.
brolo s. m., dal lat. medioevale broilus, a sua volta dal lat. tardo
brog]lus, di origine celtica, letter. e ant. orto, frutteto, tosca-
nismo.
brumaio s. m., dal fr. brumaire, der. di brume nebbia. Secondo me-
se del calendario repubblicano francese; corrispondeva al-
lintervallo tra il 22 ottobre e il 21 novembre.
brumale agg., dal lat. brumalis, der. di br0ma solstizio dinverno,
forma contr. di *brevma, cio breviss]ma (dies); invernale,
nebbioso.
brusire v. intr., letter. far brusio, bisbigliare.
bugno s. m., sinon. di alveare, arnia.
cachinno s. m., dal lat. cachinnus, letter. scroscio di risa sguaiate.
calandra s. f., dal lat. *calandra, der. dal gr. ko!otco,, prob. attra-
verso il prov. come il fr. calandre; piccolo passeraceo (Me-
lanocorypha calandra), allodola.
camena s. f., nome di divinit latine delle acque e delle sorgenti, co-
me le muse dei Greci simboli e ispiratrici della poesia.
canea s. f., muta di cani abbaianti che insegue la selvaggina; lo stes-
so abbaiare. In senso fig. schiamazzo o moltitudine schia-
mazzante.
cannizza s. f., forma poet. per canniccio graticcio di canne usato
per riporvi il formaggio da lasciar stagionare.
carco s. m. e agg., forma contr. e poet. di carico.
carola s. f., dal fr. carole danza; far carole danzare in cerchio, te-
nendosi per mano.
castro s. m., dal log. ant. kstru, nei Condaghi usato come sinon.
di nurke nuraghe, da cui la parola, ergendosi i nuraghi
perlopi su alture atte alla difesa, ha tratto il sign. di monte,
altura, sardismo.
Glossario
275
ceduo agg., dal lat. caeduus, der. di caed/re abbattere, tagliare,
che pu essere tagliato, detto di bosco che si taglia perio-
dicamente per ricavarne legna.
celliere s. m., ant., dal lat. cellarium cantina, dispensa.
cellonaio s. m., forma poet. per cellerario (ant. celleraio) dal lat. me-
dioevale celleraius, lat. tardo cellerarius o cellararius, der.
di cellarium; dispensiere, cantiniere, anche in senso fig.
cerro s. m., albero delle fagacee (Quercus cerris), quercia.
ciclame s. m., variante poet. di ciclamino.
cilestrino agg., celeste, azzurro chiaro.
clangore s. m., dal lat. clangor -oris, der. di clang/re, letter. raro;
suono di tromba, forte rumore metallico o anche strepito,
chiasso.
cognato agg., dal lat. cognatus consanguineo; parente, fratello,
anche in senso fig.
cogno s. m., poet. per conio, dal lat. cun/us, cuneo, utensile ado-
perato per spaccare la legna o la pietra, sardismo.
colostro s. m., liquido bianco-giallastro prodotto dalla ghiandola
mammaria dal quarto mese di gravidanza fino al quarto-
quinto giorno dopo il parto. detto anche primo latte.
committere v. tr., letter. affidare, consegnare.
conto agg., dal lat. cogn]tus, part. pass. di com/re ordinare, di-
sporre, ant. noto, conosciuto.
cordovano s. m., variet di cuoio marocchino.
coritto s. m., dal log. korttu corpetto, der. dallitaliano ant. coretto
giubboncino di cuoio, sardismo.
covile s. m., dal lat. cuble der. di cubare giacere; luogo riparato
nel quale gli animali si rintanano per dormire, da cui il fig.
abitazione squallida, spelonca.
croceo agg., dal lat. croceus der. di crocus, gr. koko,, croco, zaffe-
rano; letter. color zafferano.
croco vedi voce precedente.
culmo s. m., dal lat. culmus, fusto delle graminacee.
cuna s. f., letter. culla, in senso proprio e fig.
cuoprire v. tr., forma poet. per coprire.
debbio s. m., etimo incerto; pratica agricola consistente nel bruciare
le erbe secche che ricoprono i terreni e sotterrarne poi le
ceneri; fig. campo bruciato.
debbiare v. tr., migliorare un terreno mediante il debbio.
dana s. f. e agg., altro nome del pianeta Venere, detto anche Luci-
fero, che appare il mattino a oriente prima del sorgere del
sole e la sera subito dopo il tramonto.
276
dimoiare v. intr., sciogliersi, liquefarsi, di ghiaccio o neve, o sgelar-
si del terreno, toscanismo.
diruto agg., dal lat. dirtus, part. pass. di diru/re rovinare, distrug-
gere, letter. abbattuto.
dogo s. m., letter., adattam. del fr. dogue e dellingl. dog, cane.
dolco agg., dal lat. tardo dulcare addolcire, detto propr. del clima
dolce, mite, toscanismo.
dritto s. m., ant., forma sincopata di diritto, sia nel sign. giuridico,
sia nel sign. pi ampio di giustizia e sim.
dumo s. m., dal lat. dumus, letter. spino, pruno.
mpito s. m., letter. impeto, forza, toscanismo.
entragna s. f., dal lat. interaneum (pl. interanea), dallagg. intera-
neus interno, der. di inter tra, dentro; interiora, viscere
spec. degli animali.
estuoso agg., dal lat. aestuosus, der. di aestus -us calore, ribollimen-
to, letter. ardente, fervente, ribollente anche procelloso,
ondeggiante.
face s. f., dal lat. fax facis, poet. fiaccola, in senso proprio e fig.
facella s. f., dal lat. tardo facella, dim. di fax face, ant. e poet.
falconide s. m., poet., dal lat. falco -onis falco, appartenente alla fa-
miglia dei falchi.
fastigio s. m., dal lat. fastigium, prob. affine a fastus -us fasto, let-
ter. cima, sommit.
febbricoso agg., dal lat. tardo febricosus, letter. che d la febbre o feb-
bricitante.
ferrana s. f., dal lat. volgare ferrago -g]nis alterazione di farrago
-g]nis a sua volta der. di far farris farro, foraggio.
ferrata s. f., ant., grata di ferro, inferriata e, per estens., la finestra
che ne munita.
fiale s. m., poet., alterazione dellant. fiavo, che dal lat. *flavus
per *favlus dim. di favus favo.
filograna s. f., poet. per filigrana.
fiorrancio s. m., comp. di fiore e rancio arancio, altro nome della
candelora, pianta delle composite tubuliflore.
fiscella s. f., dal lat. fiscella, dim. di fiscina, da fiscus cesto, letter. ce-
stello circolare di giunchi o vimini adoperato per fare la ricotta.
fiso agg., poet., fisso, detto soprattutto dello sguardo.
flammeo agg., dal lat. flammeus, flammeum, der. di flamma fiam-
ma, letter. fiammeggiante, che ha il colore e la luminosit
delle fiamme.
forra s. f., dal longob. furha porca, spazio fra i solchi, gola stret-
ta e profonda dovuta in genere allerosione dellacqua.
Glossario
277
forteto s. m., der. di forte nel sign. di malagevole, letter. fitta bo-
scaglia, toscanismo.
fratta s. f., dal lat. fracta, neutro pl. di fractus, part. pass. di frang/re
rompere, spezzare quindi (rami) rotti da cui il sign. attuale di
siepe, macchia di pruni o il terreno stesso che ne coperto.
frizzare v. intr., dal lat. *frictiare, der. di frictus, part. pass. di frig/re
friggere e di fricare fregare, provocare una sensazione di
sottili punture.
fulvido agg., dal lat. tardo fulv]dus der. di fulvus fulvo per incrocio
con fulg]dus, ant. e poet. fulvo o splendente.
fumido agg., dal lat. fum]dus, der. di fumus fumo, letter. fumoso,
fumante o fig. nebbioso, che emana vapore.
fumigare v. intr., esalare fumo o vapore, toscanismo.
gannire v. intr., dal lat. gannire con riferimento alla voce di alcuni
animali, emettere un suono forte per gioia o dolore.
garrire v. intr., dal lat. garrire, voce onomatopeica:
1) emettere garriti, di animali (LAlternos);
2) garrire al vento, sventolare di bandiere e vessilli o,
poet., anche di fiamme (Alle madri di Barbagia).
garrulo agg., letter., di animale che garrisce, di persona chiassosa o
ciarliera; fig. allegro.
germinale s. m., settimo mese del calendario repubblicano francese,
corrispondente allincirca al periodo compreso tra il 21 mar-
zo e il 20 aprile.
giambo s. m., genere di poesia o componimento poetico satirico e
mordace.
giogaia s. f., catena di gioghi montani; per estens. catena di mon-
tagne.
giuncaia s. f., sinon. di giuncheto.
golpe s. f., ant. e letter. volpe, toscanismo; sinon. in disuso di car-
bone, malattia che colpisce i cereali a causa della quale la spi-
ga prende laspetto di una coda spelacchiata di volpe.
granito agg., part. pass. di granire, letter. che ha messo i chicchi, i
grani; per estens. maturo.
greppo s. m., letter. pendio di unaltura, ciglio rialzato di una strada
o di un fosso.
grifagno agg., dal prov. grifanh, di origine germanica (alto-tedesco
gr]fan afferrare), letter. rapace, attribuito generalmente
agli uccelli; per estens. tipico degli uccelli di rapina, detto
degli artigli, del becco, degli occhi. Fig., riferito agli occhi
umani, fieri, minacciosi.
groppo s. m., groviglio, nodo intricato, viluppo.
278
guatare v. tr., dal germanico wathen (in tedesco Wacht guardia),
letter. guardare con interesse, sospetto o paura.
idria s. f., dal lat. hydria, gr. .co, der. di . co acqua; grande
vaso dellantica Grecia, di bronzo o di ceramica, utilizzato
per conservare lacqua.
immite agg., dal lat. immitis, comp. di in- prefisso negativo e mitis
mite; non mite, quindi feroce, spietato.
impietrarsi v. intr., sinon. meno com. di impietrire.
incielare v. tr., letter. collocare in cielo, innalzare alla beatitudine
celeste.
inclito agg., dal lat. incl]tus, variante di incltus, comp. di in- e te-
ma di clu7re o cl0ere aver fama, esser celebre, letter. nobi-
le, illustre.
inospite agg., dal lat. inhospes -p]tis, comp. di in- prefisso negativo e
hospes straniero, letter. inospitale, selvaggio.
intonso agg., dal lat. intonsus, comp. di in- prefisso negativo e tonsus,
part. pass. di tondere tosare, letter. che ha i capelli lunghi.
invaiare v. intr., propr. divenir vaio, diventare pi scuro, detto di
frutti quando cominciano ad assumere il colore proprio del-
la maturazione.
invescare v. tr., der. dellant. vesco vischio; catturare col vischio; in
senso fig. attrarre a s, legare quindi anche far innamorare.
invido agg., dal lat. inv]dus, der. di invid7re guardare torvamente,
comp. di in- e vid7re vedere, letter. invidioso.
invitto agg., dal lat. invictus, comp. di in- prefisso negativo e victus
vinto, part. pass. di vinc/re vincere, letter. non vinto, in-
vincibile.
lampana s. f., letter. lampada, toscanismo.
legnare v. intr., far legna.
libare v. tr., dal lat. libare, affine al gr. !c:o versare a gocce, of-
frire agli dei versando sullaltare da cui brindare.
licore s. m., variante poet. e pop. di liquore, toscanismo.
luma s. f., arbusto dal nome scientifico Citrus limonia lumia sim.
al limone, dai frutti acidi.
lupinella s. f., pianta delle leguminose coltivata per foraggio.
lustra s. f., dal lat. lustra, pl. di lustrum pozzanghera, tana, affine
a lutum fango; ant. e letter. tana, nascondiglio.
macro agg., dal lat. macer -cri, letter. magro, smunto.
madreselva s. f., il cui pl. corretto madreselve e non madriselve (Il
seminatore); altro nome del caprifoglio (Lonicera caprifo-
lium) e per estens. anche di altre piante dello stesso genere.
maggese s. m. o f., pratica agricola, anticamente svolta nel mese di
Glossario
279
maggio, da cui il nome, consistente nel lasciare a riposo per
un certo periodo un terreno, non coltivandolo ma conci-
mandolo e lavorandolo per renderlo fertile per la successiva
coltura. Per estens. il terreno sottoposto a tale trattamento.
malfatato italianizzazione dellagg. log. malefaddu, riportato dallo
Spano, a sua volta derivato dal prov. malfadat; misero, in-
felice, sciagurato.
mandriale s. m., forma poet. per mandriano.
mannella s. f., meno com. del m. mannello, der. di manna, lat. tardo
manua, a sua volta da manus mano; piccolo fascio di spi-
ghe, fascio di spighe che sta in una mano.
manna vedi voce precedente.
martro s. m., dal lat. tardo martrium, variante di martyrium; ant. per
martirio, soprattutto nel sign. estens. di tormento, tortura.
mastruca s. f., dal lat. mastr0ca, vocabolo paleosardo; giaccone, sen-
za maniche, di pelle di capra, pecora o capriolo portato dai
pastori.
mattare v. tr., dal lat. mactare sacrificare; letter. uccidere, ammaz-
zare, macellare.
mengo s. m., italianizzazione della voce sassarese mngu contadi-
no, zappatore, dallitaliano menico, dim. di Domenico, no-
me proprio usato nel senso spregiativo di stupidotto, perso-
na rozza e ignorante.
meriggiare v. intr., dal lat. merdiare, der. di merdies meriggio, riposa-
re allombra durante le ore calde del meriggio; con uso tr. e
valore causativo (meriggiare il bestiame) tener gli animali
a riposare allombra nelle ore calde del meriggio.
minace agg., dal lat. minax -acis, ant. e letter. minaccioso.
molcere v. tr., poet. dal lat. mulc7re lusingare ma anche lenire.
monodia s. f., dal gr. otoco, comp. di oto- mono e o cj canto;
lat. monod]a; canto a una sola voce.
montanello s. m., dim. di montano, altro nome di alcuni uccelli dellor-
dine dei passeriformi.
morello agg. sostantivato, dim. di moro cavallo dal manto nero.
mortella s. f., der. del lat. murtus o myrtus mirto; altro nome del
mirto o, pi raramente, del bosso.
musare v. intr., di etimo incerto; di animali, star col muso levato.
navarca s. m., dal lat. navarchus, gr. to.oo,, gr. tardo to.oj,,
comp. di to, nave e oo comandare; comandante, ca-
pitano.
negletto agg., dal lat. neglectus, part. pass. di neglig/re trascurare,
non curare, letter. trascurato, abbandonato.
280
nepente s. m., dal lat. nepenthes, gr. tjcttj , che elimina il dolore,
comp. di tj-, prefisso negativo, e c tto, dolore. Nome che
gli antichi Greci davano a una bevanda, estratta da unerba
egiziana, alla quale era attribuito il potere di lenire il dolore e
donare loblio degli affanni. In senso fig. qualsiasi bevanda
che dia sollievo.
niegare v. tr., forma poet. per negare.
nimbale agg., poet., der. di nimbo, forma ant. e letter. per nembo, dal
lat. nimbus nuvola luminosa da cui disco di luce, corona
luminosa, aureola.
ninniare v. tr., sardismo per ninnare cullare, cantare la ninnananna.
nivale agg., dal lat. nivalis nevoso der. di nix nivis neve; letter.
nevoso.
nudrire v. tr., forma letter. per nutrire.
oleastro s. m., dal lat. oleaster -stri, der. di olea olivo. Letter. per oli-
vastro.
olbano s. m., dal lat. medioevale olbanus, adattam. del gr. !t:oto,,
voce di origine semitica (ebraico l/b9n1h); nome poet. o
letter. dellincenso.
olivello s. m., der. di olivo, nome regionale del ligustro e di alcune
specie di dafne.
ondsono agg., dal lat. undis8nus, comp. di unda onda e tema di so-
nare risuonare, letter. che risuona del rumore delle onde.
oprare v. intr. e tr., variante poet. o letter. di operare.
oreria s. f., der. di oro. Insieme di oggetti doro lavorato, di forma-
zione analoga al pi com. argenteria.
palio s. m., variante di pallio. Drappo di stoffa riccamente intessu-
ta o ricamata con il quale si premiava nel Medioevo il vinci-
tore di alcune gare.
pampero s. m., dallispanoamericano pampero der. di pampa. Vento
freddo argentino che spira da sud-ovest, proveniente dalla
regione delle pampas da cui il nome.
pampineo agg., dal lat. pampineus, letter. ricco di pampini.
pania s. f., sostanza appiccicosa ottenuta dalle bacche del vischio
e utilizzata un tempo per la cattura di piccoli uccelli. Fig. at-
trazione damore, che lega come vischio.
paranza s. f., imbarcazione da pesca dotata di un solo albero a vela la-
tina. Usata soprattutto nellAdriatico per la pesca a strascico a
coppie (in paranza), in cui ogni imbarcazione traina unala
della rete. Il nome deriverebbe infatti da paro paio, coppia.
pasciona s. f., dal lat. pasc/re pascolare, annata di maggiore fruttifi-
cazione, alternata a una di scarsa produzione. Per estens.
Glossario
281
pascolo ricco e abbondante o anche abbondanza, prospe-
rit, toscanismo.
passacore s. m. invar., coltello dalla lama lunga, sottile e acuminata,
pugnaletto, stiletto.
pecchia s. f., letter., dal. lat. apicla, dim. di apis ape.
peciato agg., letter., der. di pece; nero e lucido come la pece, to-
scanismo.
pellita agg. e s. m., dal lat. pelltus, a, um(der. di pellis pelle) coperto
di pelli, duna pelliccia. In Livio usato come sinon. di Sardo, o
come attributo dei Sardi; riferito a testes in tale accezione (o for-
se con il sign. di testimoni corrotti?) anche in Cicerone; Sardo.
pennecchio s. m., dal lat. peniclus spazzola, pennello. Quantit di lino,
cotone o altra fibra da filare posta allestremit della rocca.
piccda italianizzazione del part. pass. sostantivato di pikare, v. per
il quale il Wagner, nel suo Dizionario Etimologico Sardo, ri-
porta il sign. salire, arrampicarsi; salita, sardismo.
pina s. f., sinon. di pigna, toscanismo.
piovorno agg., der. di piova, letter. piovoso.
piropo s. m., dallagg. gr. .oo , dallaspetto di fuoco, comp. di
fuoco e { oo, aspetto. Minerale dei granati color
rosso intenso.
pispigliare v. intr., voce onomatopeica, bisbigliare o anche cinguetta-
re, pigolare.
plaustro s. m., dal lat. plaustrum carro.
plorare v. intr. e tr., der. di ploro pianto,
1) intr. piangere, lamentarsi;
2) tr. compiangere, piangere una persona morta.
poledro s. m., variante poet. di puledro.
pomario s. m., dal lat. pomarium, der. di pomus albero da frutto,
letter. frutteto.
porca s. f., dal lat. porca di origine indoeuropea, striscia di terre-
no ai lati del solco.
possa s. f., der. di potere, letter. potere, vigore, forza.
prandio s. m., dal lat. prandium, letter. pranzo, banchetto.
prece s. f., dal lat. prex precis, letter. preghiera, supplica.
precinto agg., dal lat. praecinctus, part. pass. di praecing/re precin-
gere; letter. circondato, cinto.
preclaro agg., dal lat. praeclarus comp. di prae- pre- che d valore
superlativo e clarus chiaro, illustre, letter. insigne.
prisco agg., dal lat. priscus, poet. antichissimo, remoto.
pronubo agg., dal lat. tardo pronbus, da pro per e nub/re sposa-
re; in senso fig. la persona, ovvero la cosa o la situazione,
282
che favorisce ununione amorosa.
prunalbo s. m., comp. di pruno e albo, ant. e poet. biancospino.
pugna s. f., dal lat. pugna, deverbale di pugnare combattere, let-
ter. e poet. lotta, battaglia.
querelare v. intr., der. di queri lagnarsi, lamentarsi, dolersi.
rabido agg., dal lat. tardo rab]dus, der. di rabies rabbia, letter. fu-
rioso, rabbioso.
rabula s. m., dal lat. rabla, di etimologia incerta, letter. abbaiato-
re, avvocato arruffone, capace solo di gridare.
raca dal lat. r+c+, adattam. dellaramaico raqa propr. vuotezza
e quindi uomo vuoto, presuntuoso; dire raca insultare.
raggricciare v. intr. (usato transitivamente in La spia), rannicchiarsi,
rattrappirsi.
ramingare v. intr., letter. vagare, vagabondare, errare.
rancura s. f., ant. o letter. angoscia o rancore.
razzare v. tr., der. di razzo raggio, non com., spargere intorno a
raggiera.
redato part. pass. di redare propr. ereditare; letter. con i redi, con
i cuccioli o anche figliato, di solito in questultima accezio-
ne al f. (Lia).
redimire v. tr., dal lat. redimire coronare, cingere, ornare; usato
quasi esclusivamente il part. pass. redimito e i tempi da
questo composti.
redire v. intr., dal lat. redire, comp. di re prefisso iterativo e ire an-
dare, con laggiunta di una d eufonica, poet. ritornare, tor-
nare indietro.
redo s. m., der. di erede, con aferesi; letter. cucciolo, piccolo dani-
male, vitello, puledro, agnello, toscanismo.
reo agg., letter. malvagio, crudele, iniquo.
ricolto s. m., part. pass. sostantivato di ricogliere, ant. raccolto.
rifolo s. m., variante non com. di refolo soffio di vento.
rignare v. intr., variante di ringhiare, toscanismo.
roggio agg., dal lat. rub/us, r8bius der. di ruber rosso, ant. di co-
lore rosso.
romito agg., letter. solitario.
ronca s. f., variante non com. di roncola, per indicare tanto lat-
trezzo contadino quanto larma astata di forma sim.
ronciglio s. m., ant. gancio, uncino, rampino.
roscido agg., dal lat. rosc]dus, der. di ros roris rugiada, ant. e letter.
rugiadoso, rorido o anche, per estens., umido.
rosignolo s. m., dal prov. rosinhol alterazione del lat. tardo *lusciniolus,
dim. del lat. classico luscin]a, variante ant. o letter. di usignolo.
Glossario
283
rovaio s. m., prob. dal lat. volgare borearius, der. di boreas vento
di settentrione, forse con linflusso di rovo perch pungen-
te; tramontana, vento del nord.
rubello agg., ant. ribelle.
rubesto agg., ant. robusto, gagliardo.
rugge terza persona sing. dellindicativo pres. di ruggire, forma
ant. o letter. per ruggisce.
ruinare v. tr. e intr., variante ant. o letter. di rovinare.
sacrato s. m., variante di sagrato.
sago s. m., dal lat. sagum, piccolo mantello, perlopi militare, in
uso nellantica Roma.
sardesco agg., der. di Sardo, ant. della Sardegna.
sbrendolo s. m., brandello, pezzo di stoffa.
sbricio agg., der. di sbriciare, misero, logoro, striminzito, toscanismo.
scandere v. tr., letter. per scandire.
scandula s. f., poet. per scandola dal lat. scandla, der. di scand/re
salire, regionale scaglia di legno usata per ricoprire i tetti in
luogo delle tegole.
schiomare v. tr., ant. e letter. mettere o avere in disordine le chiome,
in senso fig. agitarsi, disperarsi.
scorzino s. m., letter. per scorzatore, operaio selvicoltore che esegue
la scorzatura, cio che priva della scorza i polloni di un ce-
duo di querce.
scuorare v. tr., ant. o letter. per scorare.
securo agg., dal lat. securus, ant. o letter. per sicuro, nel sign. di
che non corre pericolo o privo di timore.
sedulo agg., dal lat sedlus comp. di s7 (= sine) senza + dolus dolo,
letter. zelante, diligente.
serpillo s. m., dal lat. serpyllum o serpullum, gr. c.!!o,, variet di
timo coltivata per estrarne un olio essenziale dalle propriet
medicamentose.
serto s. m., dal lat. sertum corona, neutro sostantivato di sertus,
part. pass. di ser/re intrecciare, letter. ghirlanda, corona.
sfrascare v. intr., letter. muoversi, agitarsi fra le frasche, provocare un
rumore di frasche smosse.
sidereo agg., dal lat. sidereus der. di sidus -d/ris stella; stellare.
sinibbio s. m., vento sferzante di solito portatore di neve, toscanismo.
sirte s. f., letter. banco di sabbia pericoloso per la navigazione
da cui il fig. pericolo, insidia.
sizza s. f., di etimo incerto, letter. vento freddo e pungente, to-
scanismo.
snebbiare v. tr., sgomberare dalla nebbia da cui, in senso fig., liberare
284
da ci impedisce la comprensione, rendere chiaro.
snidiare v. tr., forma letter. per snidare.
soffolcere v. tr., dal lat. suffulcire puntellare, letter. sostenere, appog-
giare.
soga s. f., dal lat. tardo s9ga fune, letter. striscia di cuoio, cor-
reggia, sardismo.
solingo agg., poet. solitario.
sondro s. m., altro nome del lentisco.
sono s. m., non com. suono ripetuto e insistente.
snito s. m., dal lat. son]tus -us suono, strepito, der. di s8n1re
suonare, letter. suono, rumore.
sparuto agg., forma ant. del part. pass. di sparire, smunto, deperito,
emaciato, pallido.
spazzo s. m., dal lat. spatium, spazio aperto, distesa di terreno.
speco s. m., dal lat. specus, letter. antro, spelonca.
speme s. f., dal lat. spem, accusativo di spes, poet. speranza.
spera s. f., der. di speranza, esemplato sullant. prov. espera, ant. e
letter. speranza.
spica s. f., variante ant. e poet. di spiga.
spulare v. tr., pulire, mondare della pula.
stambugio s. m., der. di stamberga, forse incrociato con lant. bugio
buco, stanza misera e sporca, toscanismo.
stame s. m., dal lat. stamen, filo.
sterpigno agg., pieno di sterpi, forma meno com. per sterposo.
stiva s. f., dal lat. stiva, letter. sinon. di stegola, cio nelle macchi-
ne agricole ciascuno dei due bracci posteriori che ne per-
mettono la guida.
stramazzo s. m., forse der. di strame; materasso o saccone, strapunto.
strepere v. intr., dal lat strep/re, letter. fare strepito, far rumore.
subrostrani s. m., pluralia tantum, der. di sub sotto e rostra la tribuna
degli oratori e lo spazio del foro intorno ad essa (cos detta
perch ornata con i rostri delle navi prese agli Anziati nel
338 a.C.); fannulloni, coloro che nellantica Roma solevano
trattenersi presso i rostra.
svariare v. intr., der. di variare:
1) deviare, allontanarsi (I morti di Buggerru);
2) letter. e poet. apparire di diversi colori, dare limpressio-
ne di un rapido movimento (I tre re).
svenare v. tr., der. di vena, uccidere tagliando le vene o, riferito ad
animali, sgozzare.
svinatura s. f., lestrazione del vino dai tini di fermentazione per sepa-
rarlo dalle vinacce.
Glossario
285
tamarisco s. m., dal lat. tardo tamariscus, prob. per incrocio di tam+rix
tamerice con lentiscus lentisco; sinon. meno com. di ta-
merice.
tepente agg., part. pres. di tepere dal lat. tep7re essere tiepido; tie-
pido, caldo.
testato agg., part. pass. dellintr. testare dal lat. testari fare testa-
mento, ant. e poet., non com. che ha fatto testamento.
tinnire v. intr., dal lat. tinnire, letter. tintinnare, risuonare.
tinnulo agg., dal lat. tinnitus der. di tinnire, letter. tintinnante.
tizzo s. m., dal lat. ttio -onis, legno che brucia, tizzone.
tocco part. pass. senza suff. di toccare, toccato.
tosco s. m., variante poet. di tossico, veleno, toscanismo.
tracciare v. tr., dal lat. *tractiare, der. di tractus, part. pass. di trah/re
trarre, ant. seguire le tracce, le orme, riferito ad animali.
trito agg., dal lat. tritus, part. pass. di ter/re pestare, logorare,
ant. e letter. misero, malvestito.
uzza s. f., aria fresca del mattino o della sera, toscanismo.
vagolare v. intr., der. di vagare, letter. vagare.
valco s. m., forma contr. ant. o poet. di valico.
vallo s. m., variante del pi com. f. valle.
vampo s. m., ant. e letter. vampata, intenso calore.
vanni s. m., pluralia tantum, forse dal lat. vannus crivello, accostan-
do il movimento di chi agita il crivello con il volo, poet. ali.
vedovare v. tr., der. di vedova, letter. lasciare o rendere vedova o,
con uso fig., privare.
velario s. m., dal lat. velarium, der. di velumvelo, tendaggio di stoffa
colorata che nei teatri e negli anfiteatri romani era steso a ripa-
rare pubblico e attori dal sole; tenda, cortinaggio, sipario.
ventare v. intr., der. di vento, ant. e poet. tirare vento, soffiare.
ventilabro s. m., dal lat. ventilabrum, der. di ventilare, congegno agri-
colo, gi noto ai Greci che lo chiamavano .ot, con cui si
ventilava il frumento per separarlo dalla pula.
ventriera s. f., der. di ventre, ant., borsa o tasca di pelle che un tempo
si portava cinta in vita.
vepro s. m., variante poet. del letter. vepre, dal lat. vepres, pruno
selvatico.
verbasco s. m., dal lat. verbascum tassobarbasso, pianta erbacea
spontanea piuttosto comune.
vernino agg., der. di verno, invernale, dellinverno riferito in modo
particolare alla frutta.
verno s. m., forma poet. per inverno.
verzigare v. intr., variante meno com. del poet. verzicare, der. di verde,
verdeggiare o cominciare a verdeggiare, detto di piante.
286
vetriera s. f., variante rara o letter. di vetrata.
viatore s. m., dal lat. viator der. di viare viaggiare, a sua volta der.
di via via, letter. viandante.
viburno s. m., dal lat. viburnum lentaggine, viorna, genere di pian-
te dai fiori bianchi o rosa.
vincastro s. m., der. di vinco nome com. di alcuni salici, letter. basto-
ne di vinco.
vindice agg., dal lat. vindex -]cis garante, mallevadore, letter. ven-
dicatore.
vitalba s. f., dal lat. vitis alba vite bianca, pianta comune nei boschi
caducifogli, ha fiori bianchi, profumati, riuniti in pannocchie.
zirbo s. m., dal lat. medioevale zirbus di origine araba, ant. o raro
omento, la formazione peritoneale che ricopre gli intestini
degli animali.
ziro s. m., dallarabo zr grande orcio, regionale vaso o tinozza
di terracotta, orcio.
Glossario
287
Finito di stampare nel mese di ottobre 1996
presso lo stabilimento della
Tipografia Torinese, Grugliasco (TO)

Potrebbero piacerti anche