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BAUDELAIRE ha fatto entrare nella lingua francese una parola inglese “spleen”, che appartiene al lessico medico e 

significa “umore
nero”. La parola descrive lo stato d’animo che deriva da quest’ “umore nero”: noia, angoscia dell’esistenza, disgusto di tutto,
scoraggiamento che provoca crisi accompagnate da allucinazioni, malinconia esasperata che accentua l’angoscia del Tempo.  
Ma per Baudelaire questo sentimento è ancora più radicale e profondo del male del secolo dei primi Romantici, e si accompagna ad
un’aspirazione all’ideale, l’esatto sentimento contrario. 

Baudelaire era un poeta, un traduttore e un critico letterario. Ha vissuto sotto il segno del paradosso. La sua vita come la sua opera riflette
una lotta tra il bene e il male.
I fiori del male è la raccolta di poesie in versi scritta da Baudelaire. Le sei sezioni del libro “Spleen e ideale”, “Quadri parigini”, “Il Vino”,
“Fiori del male”, “Rivolta”, “La Morte” evidenziano le tensioni che caratterizzano lo spirito della modernità.
Tra esaltazione della bellezza e abbattimento della noia, tra espressione della sensualità e quella del dolore, Baudelaire è testimone della
disperazione dell’uomo moderno immerso nel cuore delle grandi città.

L'Albatros è una poesia di Charles Baudelaire, pubblicata per la prima volta nel 1857 nella raccolta di poesie I fiori del male. La poesia, che
prende come metafora quella di un albatro intrappolato, parla in realtà della vita degli artisti, costretto a vivere in un ambiente che non
riconoscono come proprio. Allo stesso tempo, però, la poesia esprime anche un senso di ammirazione per la bellezza e la libertà dell'albatro che,
proprio come fanno gli artisti, cerca incessantemente la libertà nonostante le difficoltà.  

 
CORRISPONDENZE La poesia Corrispondenze fa parte della prima sezione del libro I fiori del male, che si chiama Spleen e ideale: il testo
originale era in versi alessandrini, tradotti in italiano con 17 endecasillabi uniti in un’unica strofa.
Questa poesia racconta la visione del mondo del poeta: egli è l’unico che riesce a cogliere le corrispondenze tra le cose
della natura e l’interiorità dell’uomo.
Ha una sensibilità diversa, si presenta come un veggente che deve rivelare il mistero delle cose.
La poesia infatti descrive come la Natura racconti qualcosa agli uomini attraverso un linguaggio poco comprensibile: ci sono molti simboli che
contengono però qualcosa di familiare.
La poesia si apre con una metafora in cui la Natura stessa viene paragonata ad un tempio.
Esiste poi una corrispondenza misteriosa tra i profumi e i colori che riportano a qualcosa di oscuro. utilizza diversi piani per descrivere queste
corrispondenze (versi 10-14):
 l’olfatto – il profumo di bimbo);
 l’udito – il dolce suono dell’oboe;
 la vista – il verde delle praterie.

La poesia si chiude poi con la descrizione di quelle sensazioni che si collegano ad atmosfere di corruzione e ricerca del piacere:
 incenso;
 ambra;
 benzoino – una resina balsamica.

PERDITA D AUREULA. Perdita d'aureola è la più famosa delle poesie in prosa scritte dal poeta francese Charles Baudelaire negli
anni Sessanta dell'Ottocento. Si trat- ta di un breve testo drammatico che mette in scena un dialogo tra due personaggi: il poeta e un suo
 
amico che si incontrano al bordo di una strada trafficata della città. poeta ha perso la sua aureola, ha perso la sua corona d'alloro, cioè ha
perso, fuor di metafora o fuor di allegoria, la sua sacralità, la sua investitura, non è più la coscienza critica della società, il portavoce dei
suoi ideali, non è più cioè quello che si chiamava un tempo “il poeta-vate”,

SPLEEN: Nella raccolta I fiori del male, esistono ben quattro poesie dal titolo Spleen, ma con questo nome ci si riferisce comunemente solo
alla quarta di queste.
Il nome deriva dalla parola inglese 'spleen', che significa letteralmente ‘milza’, e indica cioè quell'organo del corpo umano che
tradizionalmente veniva indicato come quello che produce un liquido nero, la bile, che è causa del malumore, della tristezza e della noia,
tutti sentimenti che vengono espressi nel componimento. Il tema della lirica è dato da questo senso di disperazione senza via d’uscita, che a volte
attanaglia l’uomo, incapace di spiegarlo perfino a se stesso. Baude- laire ha descritto questo stato d’animo in ripetute composizioni poetiche (ben quattro liriche
sono intitolate Spleen), ma la presente emerge per la sua forza, per la violenza delle sue immagini.

PREFAZIONE A GERMINE
La Prefazione, datata ottobre 1864, è uno dei primi e più significativi”manifesti”del Naturalismo francese. Il romanzo, uscito nel 1865, è la storia
di una serva, malata di isteria, che si degrada progressivamente, fino alla morte, per una passione amorosa. Fu ispirato ad un caso vero, quello
di una domestica dei due fratelli. Nel ricostruire la vicenda, essi si fondano su una rigorosa documentazione: si tratta dunque di un ”documento
umano”, una formula che avrà poi molta fortuna nel Naturalismo .
CAPUANA RECENSIONE AI MALAVOGLIA: In Italia il naturalismo viene importato da Luigi Capuana, narratore siciliano ed assumerà
caratteristiche proprie inserito in una realtà differente da quella dei paesi già industrializzati. E lo fa con una recensione nel Fanfulla della
Domenica ai Malavoglia, l’opera maggiore di Verga:

La pagina è interessante perché ci offre la distanza che Capuana istituisce tra la produzione positivistica letteraria francese e la letteratura
verista italiana. Innanzitutto egli intuisce come la produzione di Zola abbia radici sin da Balzac; quasi a dire che l’unica novità portata dall’autore
di Germinal sia solo quello di rendere più “oggettiva” l’opera d’arte. Quindi sottolinea sin da subito che non è l’ideologia a fare dell’opera d’arte
un’opera innovativa, ma il modo in cui è scritta. Insomma la novità della nuova cultura dev’essere soprattutto estetica e quindi non può riguardare
il contenuto (a cui dev’essere data la liceità di descrivere il deforme) ma il grado dell’impersonalità raggiunta di modo che l’“opera d’arte si faccia
da sé”.
Ciò è dovuto dal fatto che i romanzi europei si situano laddove l’industrializzazione è forte, e quindi la rappresentazione del reale è soprattutto
urbana, dove avvengono i cambiamenti e le tensioni sociali. Per questo i protagonisti dei romanzi inglesi e francesi di questo periodo saranno
operai o minatori (Germinale, L’Assomoir di Zola; Oliver Twist, Tempi difficili di Dickens).
Necessariamente diversa è la situazione italiana dove il paesaggio agrario è ancora dominante e le grandi città del Nord non possono competere
con le capitali europee.

Decadentismo e Simbolismo (1885- 1920)


Il Decadentismo sorge in Francia alla fine dell’Ot- tocento. Non è un preciso movimento culturale o arti- stico, che inizia con un manifesto
programmatico. È un modo di pensare, un atteggiamento, che coinvolge letterati ed artisti stanchi della ragione, della scienza, del Positivismo,
del Realismo e del Naturalismo, e insoddisfatti della cultura e dell’ottimismo ufficiali. Esso quindi recupera quei valori individualistici e ir- razionali
(l’intuizione, il sentimento, la volontà, l’in- conscio, il rifiuto di certezze acquisite una volta per sempre) che il Realismo e il potere costituito
avevano messo da parte. Il termine agli inizi ha un significato negativo, ma poi è usato per indicare una nuova con- cezione dell’arte, che si
contrapponeva ai miti e alle pratiche artistiche del Realismo, e che faceva emerge- re la crisi della letteratura e, più in generale, la crisi di valori
di una intera civiltà.
L’iniziatore può essere considerato Charles Baudelai- re (1821-1867), che scrive Les fleurs du mal
Il Decadentismo italiano (1890- 1920)
Il Decadentismo giunge in Italia verso il 1890. I suoi maggiori esponenti sono Giovanni Pascoli (1855- 1912) e Gabriele D’Annunzio (1863-1938).
Essi svi- luppano i temi decadenti in due direzioni opposte: in- timistica e rinunciataria il primo, estetistica e supe- romistica il secondo.
Nel Decadentismo e nel Simbolismo – soprattutto in Pascoli – hanno le loro radici le correnti poetiche che sorgono in Italia nella prima metà del
Novecento: Crepuscolarismo, Ermetismo ecc. e che vorrebbero staccarsi e polemizzare con le loro origini.

VERGA: Con il Verismo la realtà meridionale è tematizzata per la prima volta. Ciò è positivo, anche se Capuana è su posizioni moderate e
conservatrici; e Verga ritie- ne che il desiderio di miglioramenti economici pro- vochi la crisi della società tradizionale.

Rosso Malpelo (1878) è la storia di un ragazzino che ha i capelli rossi e che perciò diventa responsabile di tutti gli incidenti che avvengono
nella miniera in cui lavora. Suo padre muore nel crollo del pilastro che sosteneva una galleria. Sua madre e sua sorella, che non lo avevano mai
amato, lo abbandonano. Egli prende sotto la sua protezione Ranocchio, un ragazzi- no che era divenuto zoppo cadendo dall’impalcatura dove
lavorava come muratore. La vita durissima della miniera uccide Ranocchio. Rosso Malpelo si meravi- glia che la madre pianga per lui, che non
riusciva a guadagnare nemmeno quello che mangiava: sua ma- dre non gli aveva mai fatto nemmeno una carezza. Nella miniera trova rifugio un
evaso di prigione. Poco dopo egli se ne va, affermando che la prigione era migliore di quella vita. Un giorno il proprietario della miniera vuole
esplorare le gallerie, per vedere se esi- ste un percorso più breve verso la pianura. Gli operai si rifiutano di esplorare le gallerie e costringono
Ros- so Malpelo a farlo. Il ragazzo parte e scompare.

Fantasticheria (1878-79) è una specie di riassunto de I Malavoglia. Verga immagina di accompagnare una giovane nobildonna milanese ad
Aci Trezza. Qui in- contrano i personaggi che poi saranno i protagonisti del romanzo. L’autore descrive la noia della donna e l’estrema povertà
dei paesani, che tuttavia dimostrano un incredibile attaccamento alla vita. La novella con- tiene l’espressione più radicale del pessimismo ver-
ghiano, quando il protagonista – lo stesso scrittore – ripete più volte che per quegli abitanti era meglio non essere nati. Presenta anche l’ideale
dell’ostrica: l’o- strica, finché resta attaccata allo scoglio, fa una vita grama ma sicura; quando, per sete d’ignoto o per de- siderio di migliorare la
sua condizione, va nel vasto mare, è preda di pesci voraci e nella catastrofe coin- volge anche i suoi cari. La conclusione, pessimistica e
desolatamente senza speranza, è che è meglio accet- tare una vita dura ma sicura piuttosto che cercare di migliorare le proprie condizioni
economiche: ciò non farebbe altro che peggiorare la situazione. Nella no- vella sono indicati anche alcuni valori: il focolare, la famiglia, l’unità e la
solidarietà fra i membri della famiglia.

LA ROBA Riassunto. Il viandante che percorre le strade intorno a Catania si sente dire e ripetere che i campi sono tutti di Mazzarò. Mazzarò era
un poveraccio, ma si era ar- ricchito lavorando 14 ore al giorno. Continuava a fare la vita che aveva sempre fatto: non spendeva nulla per sé e
consumava un pasto frugale. Egli dava lavoro a moltissimi braccianti e andava spesso nei camp all’improvviso, per controllare che essi
lavorassero. Si era fissato di voler diventare ricco come il re. E si preoccupava di aumentare sempre di più la sua “ro- ba”. Ormai i suoi
possedimenti si perdevano a vista d’occhio. Ad uno ad uno aveva comperato tutti i campi del barone, che gli aveva dato lavoro per cari- tà. Il
barone però non sapeva badare alla sua “roba” e veniva derubato dai suoi dipendenti. Mazzarò andava in giro sempre senza denaro, perché
riteneva che non avesse importanza, non era “roba”. Se metteva da parte una somma, comperava altri campi. Era anche dispiaciuto che la
cassa per la madre defunta gli fosse costata alcuni tarì. Ma, quando il medico gli disse che aveva un cancro, che stava per morire e che
pensasse alla sua anima, Mazzarò uscì nel cortile e come un pazzo con il bastone cominciò ad uccidere gli animali che gli capitavano a tiro,
urlando: “Roba mia, viente- ne (=vieni) via con me!”.

Malavoglia è il soprannome dei Toscano, una famiglia di pescatori di Aci Trezza. Capofamiglia è il vecchio padron 'Ntoni. Con lui nella casa
del "nespolo" vivono il figlio Bastianazzo con la moglie Marezza detta la "Longa" e i loro cinque figli 'Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia.

Il giovane 'Ntoni parte per il servizio militare e la famiglia perde uno dei maggiori sostegni. Per questo il vecchio 'Ntoni decide di prendere a
credito una partita di lupini che conta di rivendere al mercato di Riposto. Durante il viaggio per mare la "Provvidenza", la barca dei Malavoglia,
naufraga: il carico si perde, Bastianazzo muore. Padron 'Ntoni pressato dai debiti è costretto a vendere la casa del "nespolo".

Una serie di sventure si abbatte sui Malavoglia troncando ogni speranza di riscatto.
Luca arruolatosi muore nella battaglia di Lissa, seguito poco dopo da Maruzza vittima di un'epidemia di colera. L'inquieto 'Ntoni si dà al
contrabbando e viene arrestato. Lia, compromessa per una presunta relazione col brigadiere don Michele, lascia il paese e diventa una
prostituta. Mena per le difficoltà familiari non può sposare compare Alfio e triste e sfiorita invecchia precocemente.

Alla morte del vecchio 'Ntoni, che si spegne solo e disperato in un letto d'ospedale, il suo posto viene preso da Alessi, che dopo aver sposato
la Nunziata, riscatta la casa del "nespolo" e riprende l'attività del nonno.
Una notte, scontata la pena, torna 'Ntoni, ma solo per dare l'addio definitivo a una vita che non gli appartiene più.

MGD L’intenzione iniziale – rispettata – era quella di raffigurare un arrampicatore sociale: un «mastro» che diventando ricco si merita il titolo di
«don», senza però riuscire a far dimenticare le sue origini (di qui l’unione di «mastro-don»).
L’azione si svolge tra il 1820-21 e il 1848-49, fra la provincia di Catania e Palermo. Sullo sfondo stanno alcuni eventi storici di rilievo: una rivolta
carbonara del 1820; l’epidemia di colera del 1837; la rivoluzione del 1848; la nascita della borghesia terriera e imprenditoriale (rappresentata
appunto da Gesualdo); il decadimento della nobiltà cittadina (quella del duca di Leyra).
Il romanzo Mastro don Gesualdo è composto di 21 capitoli, riuniti in quattro parti.
DIODATA:

MORTE MDG: Parte fondamentale del romanzo è la sezione che riguarda la morte di Mastro don Gesualdo, che possiamo analizzare
dividendola in tre macrosequenze:
 Gesualdo ammalato nel palazzo del genero e della figlia a Palermo
 Gesualdo che prende coscienza della gravità della sua malattia e del fallimento della sua vita
 La morte vera e propria di Gesualdo
Nella prima macrosequenza la narrazione avviene secondo il punto di vista di mastro-don Gesualdoche nel palazzo del genero si accorge
dell’improduttività della vita aristocratica e dello sperpero della ricchezza: a nulla è valso accumularla, se ne viene fatto un simile scempio.
Quando è arrivato ormai alla fine, Gesualdo è lasciato solo, più sopportato che accudito. La conclusione è affidata a don Leopoldo, del tutto
insofferente all'accudimento di quello che ritiene un uomo suo pari, forse addirittura inferiore: Pazienza servire quelli che sono nati meglio di noi.
Mastro-don Gesualdo è per gli umili un traditore della loro classe, e per questo disprezzato. Ma allo stesso modo non è accettato dai nobili,
perché nato umile.
Verga non mostra solidarietà con il suo personaggio: lo si comprende dai termini utilizzati per descrivere l'agonia di Gesualdo: capricci,
canzone, contrabbasso, uzzolo e mattana.

PIRANDELLO:

LA CARRIOLA Un rispettato avvocato e professore di diritto, di ritorno da un viaggio di lavoro a Perugia, si trova prima a mettere in dubbio
l’essenza dell’esistenza e poi la propria stessa identità una volta giunto davanti al campanello della propria casa, dove sono elencati i suoi titoli e
lo attendono i membri della propria famiglia. Dopo una lunga riflessione che lo porta a constatare quanto siano ingannevoli le parole che
designano la sua posizione e persino il rispetto che tutti comunemente gli portano, decide di concedersi, al riparo da occhi indiscreti, un attimo di
assoluta irrazionalità e infantilismo. Si chiude nel proprio ufficio e solleva le gambe di un’anziana cagnolina facendole fare per qualche secondo il
gioco della “carriola”. Colmo di gioia per questo momento insensato, ritorna poi subito alla vita di tutti i giorni rimettendosi al lavoro.

IL TRENO HA. …Belluca è un impiegato senza particolari qualità – come spesso accade ai protagonisti di Pirandello – che si scaglia
irrazionalmente contro il proprio capo sul posto di lavoro farfugliando frasi senza senso. Dopo essere stato licenziato e condotto in un ospizio per
folli, il racconto, attraverso la voce del narratore, fa luce sulla sua vita, segnata da un profondo disagio domestico (il protagonista è responsabile
dell’assistenza di tre donne non vedenti e del mantenimento di due figlie) e dalla vita lavorativa condotta in un ambiente ostile e oppressivo.
L’alienazione lo porta quindi alla follia, ma il suo gesto apparentemente immotivato viene spiegato dal contesto in cui si trova a vivere,
permettendogli, una volta scoperto lo scenario retrostante, di recuperare il posto di lavoro con qualche deroga e pausa che gli consenta di
respirare.

SAGGIO SULL UMORISMO Il noto saggio di Luigi Pirandello su L'umorismo, pubblicato nel 1908.


 

L'originale forma discorsiva del saggio mette a fuoco non solo la storia dell'umorismo, ma anche la sua natura profonda: la differenza
tra "comico" ed "umorismo" è quella che - nel famoso esempio della "vecchia signora [...] tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti
giovanili" - corre tra l'"avvertimento" e il "sentimento del contrario". Al centro di tutto, c'è la "riflessione" che permette di scorgere una verità
diversa dietro alla facciata del mondo (e che sarà oggetto di forti critiche da parte di Benedetto Croce, principale voce della filosofia
idealista del tempo). L'umorismo pirandelliano diventa allora una forma di percezione della realtà, oltre le nostre finzioni e addirittura al di là della
nostra stessa identità, secondo uno "strappo" (per dirla con Mattia Pascal, cui il saggio è dedicato) che scaturire da un momento qualunque,
anche dal fischio di un treno (come dimostrato dall'omonima novella). Una lezione, quella umoristica, che Pirandello terrà ben presente quando,
nel suo metateatro, porterà in scena le "maschere" della nostra coscienza. i tratta di un saggio, molto articolato, in cui Pirandello espone e
confuta molti giudizi intorno al significato del termine. È una ricerca critica, che parte da uno studio del filologo Alessandro D’ Ancona su Cecco
Angiolieri, in cui Cecco viene considerato il primo umorista della letteratura italiana, una delle prime testimonianze in volgare.

Il saggio è suddiviso in due parti ed è una pubblicazione del 1908, una rielaborazione complessa del compito svolto dall’autore per il concorso ad
ordinario, sviluppata come uno studio critico sull’argomento: è diviso in due parti, la prima, consistente in sei capitoli che, partendo dalla parola
umorismo, affronta le questioni preliminari; le distinzioni sommarie; l’umorismo e la retorica; l’ironia comica nella poesia cavalleresca e gli
umoristi italiani. La seconda parte affronta temi più specifici: l’essenza, il carattere e la materia dell’umorismo, entrando, come si suol dire, in
medias res.

CIUAULA SCOPRE LUNA Ciàula è il soprannome di un uomo sulla trentina conosciuto da tutti in miniera per la sua ingenuità che confina
quasi con l’handicap mentale. Svolge il ruolo di “caruso”, ossia trasporta lo zolfo per Zi’ Scarda, un esperto minatore segnato dagli anni di lavoro,
costretto dal direttore della miniera a restare al lavoro di notte. Ciàula, incaricato di accompagnarlo, non è terrorizzato dagli anfratti della miniera
scavata per centinaia di metri nel ventre della terra poiché la conosce come le sue tasche, ma paradossalmente dal buio della notte che troverà
uscendo. Nella sua ingenuità, infatti, il protagonista non ha mai visto la luna. Così, quando la paura di uscire dalla miniera lo sta quasi bloccando
dentro, si accorge del fatto che il cielo notturno è illuminato dal corpo celeste, ritrovando, irrazionalmente, la sicurezza e il coraggio di poter
tornare a casa.

PASCOLI Myrìcae, 1903

Myrìcae (1891, 1903) è la prima raccolta poetica di Pascoli, che la arricchisce nel corso degli anni. L’opera contiene alcuni quadretti di vita
campestre soltanto apparentemente veristici, poesie sulla morte del padre o dediche alle sorelle. Presenta anche i temi della poesia successiva,
la morte, il dolore, il mistero, il nido, il simbolismo ed il pessimismo. Il titolo latino indica le tamerici, erbe lacustri che hanno un aspetto poco
appariscente ed umile, quale vuole essere la poesia pascoliana. L’opera è dedicata al padre

LAVANDARE Riassunto. Nel campo, arato per metà, resta un aratro, che pare dimenticato. Dal fossato proviene il rumore cadenzato delle
lavandaie, che accompagnano il loro lavoro con lunghe cantilene: “È giunto l’autunno e tu non sei ancora tornato. Quando sei partito, sono rima-
sta come quell’aratro in mezzo al campo lasciato in- colto”.

NOVEMBRE Riassunto. L’aria è limpida e il sole è così chiaro che con gli occhi si cercano gli albicocchi in fiore (= sembra primavera). Ma il
pruno è secco e gli alberi alzano al cielo i loro rami senza foglie. Da per tutto è silenzio. In lontananza si sente il rumore delle foglie spezzate dal
vento. È l’estate fredda dei morti (=è no- vembre; la realtà quindi è ben diversa da quello che appare).

Commento

1. Il poeta mostra che la descrizione veristica della realtà è inattendibile e insufficiente: l’aria tiepida fa pensare alla primavera, invece è la breve
estate di san Martino, che interrompe i giorni nebbiosi di novem- bre. Il poeta accentua il significato tra ciò che appare ai sensi e ciò che
effettivamente è identificando l’e- state di san Martino (11 novembre) con la commemo- razione dei defunti (2 novembre).

2. “Di foglie un cader fragile”, cioè “le foglie cadono accartocciandosi e facendo il rumore di spezzarsi”. La fragilità delle foglie indica però anche
la fragilità e la caducità della vita umana. Il simbolismo appare giustificato e funzionale. L’onomatopea, contenuta ---I☺I---

ARANO Riassunto. Qualche pampino rosso brilla nel filare di viti e la nebbia del mattino si alza dal terreno ricoper- to di cespugli. I contadini
sono occupati nell’aratura, nella sarchiatura e nella semina. Il passero, nascosto tra i rami del moro, spia i loro movimenti, assaporan- do il
momento in cui andrà a beccare le sementi. La stessa cosa fa il pettirosso in mezzo alla siepe, da do- ve fa sentire il suo canto melodioso.

Commento

1. Il poeta tratteggia il campo nella nebbia del matti- no; quindi descrive il lavoro dei contadini, intenti all’aratura e alla semina; infine si sofferma
sul passe- ro e sul pettirosso, che aspettano il momento in cui essi se ne vanno per andare a becchettare le sementi. Il pettirosso fa sentire il suo
canto, tintinnante come una moneta d’oro.

X AGOSTO Riassunto. Il poeta sa perché nella notte di san Loren- zo cadono le stelle. Una rondine ritornava al nido con un insetto nel becco. La
uccisero. I rondinini aspetta- no invano. Anche un uomo ritornava a casa con due bambole. Lo uccisero. Perdonò i suoi assassini. Nella casa lo
aspettano invano. Perciò il Cielo riversa il pianto delle stelle cadenti sulla Terra, oscurata dalla malvagità degli uomini.

L ASSIUOLO Riassunto. Il poeta si chiede dov’era la luna, poiché il cielo era immerso in un chiarore diffuso; in lontanan- za si sentivano i lampi
di un temporale, ma dai campi proveniva un verso angoscioso. Poche stelle brillava- no in cielo, il mare sciabordava tranquillo, ma dalle siepi
proveniva un verso angoscioso. Le cime degli alberi erano mosse dalla brezza, le cavallette stride- vano come sistri d’argento davanti a porte
misteriose, chiuse forse per sempre. E continuava quel verso an- goscioso, quel canto di morte.

GELSOMINO NOTURNO Riassunto. Ormai è sera. I fiori della notte si aprono e ritornano le farfalle del crepuscolo, mentre il poeta pensa ai suoi
cari defunti. Tutto è silenzio. In una ca- sa un lume è ancora acceso. Un’ape cerca di entrare nell’alveare, ma trova tutte le celle occupate. Il lume
sale su per la scala, brilla al primo piano, poi si spe- gne. Ormai è giunta l’alba: i fiori un po’ gualciti si richiudono; dentro un’urna molle e segreta
nasce una nuova felicità.

ITALY taly, l'ultimo dei "Primi Poemetti", è una delle poesie più lunghe del poeta romagnolo (450 versi in due canti di terzine dantesche: canto
primo, canto secondo) e ricalca moduli epico-narrativi. La dedica è singolare: Sacro all'Italia raminga. Tratta infatti uno degli argomenti più
scottanti della storia sociale italiana tra Ottocento e Novecento, quello dell'emigrazione, fenomeno che riguardò non meno di 20 milioni di nostri
connazionali. Ciò che spesso oggi sfugge è come, nell'intenzione di chi allora partiva, si trattasse di una migrazione temporanea che aveva come
fine principale quello di migliorare la propria condizione economica (e quella della propria famiglia) in patria... per farsi un campo, per rifarsi un
nido.

La vicenda narra di un gruppo familiare di quattro persone che ritorna una sera di febbraio a Caprona, in Garfagnana, per portarvi la piccola
Maria detta Molly, nella speranza che l'aria salubre di montagna la possa guarire dalla tisi. La accompagnano il vecchio nonno e gli zii Beppe e
Ghita. Nella casa avita, nera per la fuliggine e buia, è rimasta la nonna i cui gesti quotidiani come mungere le vacche, pulire la greppia e filare, si
ripetono immutabili da sempre. La prima reazione della piccola è di rifiuto e nella sua lingua d'oltremare dice allo zio Beppe: Bad country, Ioe,
your Italy! E lo zio la compiange: Poor Molly! Qui non trovi il pai con fleva di fronte al pane fatto in casa e al latte appena munto messo in tavola
dalla nonna. a poco a poco la nonna la conquista, con i suoi gesti lenti, con il suo filare sempre uguale, che ripercorrono lo stesso affetto da
generazioni. Sono proprio quei gesti del tempo delle fate, che nessuno in America fa più, che rapiscono la fantasia di Molly che trascorre ore
accanto al focolare e alla nonna. E Molly decide, decide di die in Italy. " oh yes, Molly morire in Italy!"

Italy allora si commuove e il maltempo lascia il posto al sole primaverile che guarisce la piccola. In quella casa che la bimba bad chiamava
tornano le rondini, sweet, sweet. Ma la situazione iniziale si ribalta: il bel tempo fa guarire la tosse di Molly, ma la tosse prende ora la nonna e se
la porta via.

Il poemetto si chiude con la partenza della famiglia dopo il funerale. Hanno preso la ticchetta del barco e tra un buona cianza (chance) e
un good byese ne vanno, con la promessa di ritornare, anche quella della piccola Molly.

IL LAMPO Il lampo è una delle poesie più intense di Pascoli, sempre dedicata al perenne tema della morte e in particolare della morte
del padre. Tuttavia sembra abbracciare un significato più universale.
Lo scenario inquietante e tragico è ottenuto da Pascoli con la tecnica impressionistica che consiste nella giustapposizione di diversi
elementi visivi, che danno mobilità alla scena.
La luce del lampo può rappresentare un’improvvisa presa di coscienza del dolore e dell’insensatezza della vita.
È quindi forte l’antitesi tra il mondo sconvolto e la casa, «bianca bianca» che appare improvvisa, come unico porto sicuro. Essa è il nido, il
mondo degli affetti familiari, tema biografico della poesia pascoliana. 
LA Grande Proletaria si e’ mossa : è un celebre discorso del poeta Giovanni Pascoli pronunciato al teatro dei Differenti di Barga il
pomeriggio del 26 novembre 1911, in occasione di una manifestazione di supporto ai feriti della guerra italo-turca. In esso, il poeta prese
pubblicamente posizione a favore dell'intervento militare italianoin Libia, iniziato poche settimane prima, a scopi di espansione coloniale.

Nelle prime pagine de Il Fanciullino è racchiusa tutta la poetica di Giovanni Pascoli, al punto che in un certo senso quest'opera può essere
definita il suo testamento letterario.
Secondo Pascoli, la poesia non è invenzione, ma è scoperta: si trova nelle cose stesse e in esse bisogna saper vedere. Non tutti hanno però la
possibilità di farlo: per vedere davvero si deve osservare le cose in maniera pura, con occhio puro, come se le vedesse per la prima volta.
Questo modo di guardare è proprio del bambino, del fanciullo. Il poeta deve perciò ricordare e ripetere le impressioni che provò da bambino. La
poesia deve essere spontanea, intuitiva, priva di sovrastrutture culturali, proprio come la concezione del mondo che ci formiamo nell’infanzia.
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LA POETICA DANNUNZIANA

La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio non può essere disgiunta dalla sua vita, è molto ampia e si divide in 3 categorie:
o ESTETISMO: idea della vita come opera d’arte. La vita deve essere colta, raffinata, esclusiva e incarnare in sé l’opera d’arte. Per
D’Annunzio la bellezza è al di sopra di tutto, è un valore assoluto.
o PANISMO: deriva da Pan, dio greco della natura e indica l’idea di una condizione di fusione con la natura, dove il rapporto
soggetto-oggetto viene superato.
o SUPEROMISMO: deriva dal termine “superuomo”, introdotto da Nietzsche in filosofia. Il superuomo di D’Annunzio è una figura
per la quale non valgono i valori della gente comune, è un personaggio legato all’idea dell’eroe tradizionale, al di sopra della
morale comune e delle regole imposte dal mondo. 

PIOGGIA PINETO Tematica 

Il tema centrale è quello del panismo ovvero della fusione tra l’uomo e la natura.


La poesia narra di un uomo e una donna colti da un temporale mentre si trovano in una pineta, avvenimento che porta i due protagonisti a vivere
l’esperienza della naturalizzazione panica, cioè del loro fondersi con la natura fino a perdere le sembianze umane e giungere alla
trasformazione in elementi vegetali.

o Prima strofa: La poesia racconta di una passeggiata del poeta in un giorno di pioggia nella pineta, accompagnato dalla donna
amata che lui chiama Ermione. Il poeta si rivolge alla donna invitandola al silenzio, per percepire con estrema attenzione i suoni
straordinari della natura. La pioggia cadendo favorisce la fusione con il paesaggio dando inizio ad una metamorfosi che porta il
poeta ed Ermione, a iniziare a perdere le sembianze umane per assimilarsi alla vita vegetale, rigenerando e purificando il loro
amore e i loro pensieri. 
o Seconda strofa: il rumore costante della pioggia diventa come una musica che cambia di intensità in base al fatto che le gocce
d’acqua vanno a colpire un fogliame più o meno rado. A questi suoni si uniscono il gracidare delle rane ed il frinire delle cicale
come se tutta la natura fosse un’orchestra in cui ogni elemento naturale rappresenta un diverso strumento che le dita della
pioggia suonano. La metamorfosi panica fa sì che il poeta e la donna non più umani, abbiano una vita vegetale in cui il volto e i
capelli di Ermione, bagnati dalla pioggia non si distinguano più dagli altri elementi del bosco. 
o Terza strofa: la pioggia aumenta, il suo crepitio aumenta e copre il canto delle cicale e delle rane, che progressivamente si
indebolisce fino ad estinguersi del tutto. La pioggia pulisce le piante del bosco e rigenera l’anima del poeta e della donna. 
o Quarta strofa: La pioggia scende sul volto di Ermione e sembra che stia piangendo, ma non è un pianto di dolore ma di gioia. Si
sta per compiere la metamorfosi vegetale e l’aspetto della donna ora ha perso ogni sembianza umana: il viso non è più bianco
ma è verdeggiante ed ella, come una ninfea, sembra uscire dalla corteccia di un albero. La metamorfosi trasforma le varie parti
del corpo in forme della natura: il cuore è come una pesca non ancora colta, gli occhi sono come fonti d’acqua ed i denti sono
come mandorle acerbe. Gli amanti corrono nel bosco mentre la vegetazione li circonda e li avviluppa.

LA SERA FIESOLANA l tema centrale della poesia La sera fiesolana è quello del calare della sera, in cui il paesaggio ha una metamorfosi ed
assume caratteri ed emozioni umane.
Il paesaggio serale scandisce infatti il ritmo della poesia che il poeta descrive attraverso tre immagini, come originariamente indicava lo
stesso D’Annunzio nella fase di stesura della lirica, all’inizio di ogni strofa:
o La natività della luna: la luna appare all’orizzonte;
o La pioggia di giugno: la pioggia cade leggera sulla campagna;
o Le colline: lo sfondo delle colline che custodiscono il mistero della vita.
o
o Prima strofa: Il Poeta passeggia nella campagna con la donna amata. Sta per calare la sera e dinnanzi a loro un contadino, in cima
ad una scala, raccoglie le foglie del gelso. All’orizzonte la luna sta sorgendo e diffonde sulla campagna il proprio chiarore. 
o Prima lauda: Il poeta loda la sera che ha le sembianze di una donna dal viso perlaceo e dai grandi occhi umidi.
o Seconda strofa: Il poeta rivolge alla donna parole dolci come la pioggia primaverile che cade con picchiettii leggeri sulla natura, sui
gelsi, gli olmi, i vigneti, i giovani pini, sugli olivi, sul grano e sul fieno mietuto e ricopre tutto di una luce sfumata. 
o Seconda lauda: Il poeta loda la sera che ha le sembianze di una donna vestita dei profumi della vegetazione e stretta in vita da una
cintura come un fascio di fieno tenuto insieme da un ramo di salice.
o Terza strofa: le parole del poeta riveleranno all’amata il mistero sacro della sera, il segreto custodito dalla natura che ogni volta si
rinnova. 
o Terza lauda: Continua la lode della sera vista adesso nel momento di sospensione in cui, con l’apparire delle prime stelle, lentamente
si spegne nel buio della notte

il verso è tutto. Non esiste il male e il bene ma solo il bello che è valore supremo, culto. L’esteta rifiuta la realtà meschina e vive in una
dimensione rarefatta di sublime e arte. Ben presto però l’autore si accorge di qualcosa non perdonabile: l’esteta è debole in questa sua
finzione, non può davvero opporsi alle forze disgregatrici dell’Italia postunitaria e all’intraprendenza feroce della borghesia. La debolezza viene
smascherata senza remore in Andrea Sperelli, protagonista de “Il piacere” ma anche alter ego di D’annunzio stesso con il quale lui adotta un
atteggiamento impietosamente critico. Andrea è infatti un uomo dalla volontà debole, distrutto e svilito dalla stessa che lo lascia
completamente privo di moralità.

ANDREA SPERELLI: Il brano proposto è tratto dal secondo capitole del Piacere. Il Piacere è il primo romanzo che D’Annunzio scrisse nell’estate
del 1888 e pubblicò l’anno successivo, ottenendo un largo successo di pubblico e imponendosi anche all’estero come narratore esordiente.

Il protagonista è Andrea Sperelli, un giovane aristocratico che ha avuto un’educazioen raffinata e vive a Roma, dove frequenta la buona società. 
In questo brano il narratore traccia qui la storia della sua formazione, che riassume i principi di una visione estetica della vita. Andrea Sperelli, così
come ci viene descritto da D’Annunzio, è il tipico eroe decadente, il cui temperamento mostra una profonda debolezza della volontà e un’assenza
del senso morale, sostituiti dall’istinto, da un esasperato senso estetico e da una concezione edonistica della vita. Il ritratto di Andrea Sperelli ci
mostra le caratteristiche psicologiche del personaggio. Egli è un conte, anzi, è un giovine signore: chiaro è qui il rimando al protagonista
del Giorno di Parini che però, a differenza di D’Annunzio, era animato da intenti censori e sarcastici. D’Annunzio non ha questi intenti anche se
mostra una presa di distanza critica dal personaggio, presentato come l’emblema di una classe sociale fin de siècle, edonista e decadente.
Andrea Sperelli è l’ideal tipo di un modello umano esemplare (che rappresenta in parte lo stesso D’Annunzio): il perfetto esteta. Le sue passioni
principali sono la passione per l’arte e la bellezza, erudita e raffinata, perché nutrita di studi e letture. Procedendo da questa premessa l’esteta —
attraverso un completo dominio di sé (Habere, non haberi) — fa della propria vita un’opera d’arte; attua l’estensione del culto della bellezza
dall’arte alla vita, e l’estetica diventa una morale. Comprendendo questa regola superiore, l’esteta prova disprezzo per la massa, si distacca dagli
uomini comuni, perché non vuole avere a che fare con il grigio diluvio democratico che rende tutti volgarmente uguali e indistinti. Nonostante tale
idea di superiorità, l’esteta non è mai soddisfatto di sé, perché insita nel culto della bellezza è l’inappagabile ricerca della sensazione,
dell’immaginazione, del piacere, come una continua sperimentazione di nuove esperienze.

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