Sei sulla pagina 1di 8

1. Sìcelidès Musaè, | paulò maiòra canàmus!

2. Nòn omnìs | arbùsta iuvànt | humilèsque myrìcae

O Muse di Sicilia, eleviamo un po’ la materia

del canto! Non a tutti piacciono arbusti e le basse

tamerici;

poesia "humilis", che si eleva poco da terra,

La quarta Bucolica di Virgilio, aperta dalla celeberrima


invocazione alle Muse di Sicilia per elevare il proprio
canto 1 e poter celebrare degnamente l’avvento del puer e la
nuova età dell’oro che ne conseguirà. Benché l’appello
iniziale sia alle “Sicelides Musae” (v. 1; la Sicilia è la patria
di Teocrito, poeta greco del II-III secolo a.C. considerato il
padre della tradizione bucolica)
Giovanni Pascoli (1855-1912) è uno dei poeti più importanti della letteratura italiana. La poetica
pascoliana è intrisa di quel pessimismo cosmico che fa dell'autore uno dei principlai esponenti del
Decadentismo italiano. Rifiutando le spiegazioni della corrente positivista, Pascoli considera la poesia
come un elemento irrazionale che permette di giungere al vero. In questo senso l'autore sviluppa la
cosiddetta "poetica del fanciullino", che vede il poeta come un soggetto capace di vedere al di là
dell'aspetto più superficiale delle cose. L'infanzia è per Pascoli l'età ideale, che porta con sé il ricordo del
nido famigliare perduto per sempre. La poesia pascoliana vede un utilizzo innovativo del linguaggio, che
diviene fortemente fono-simbolico.

Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Il padre,


tenutario dell'importante famiglia Torlonia, ha una vita politica complessa e articolata
prima di fede repubblicana, poi monarchica. Svolge diversi incarichi pubblici e diventa
anche sindaco della città, prima di morire vittima di un omicidio, mai risolto, quando il
poeta ha soltanto 12 anni. Pascoli ha spesso spinto i suoi critici a letture di tipo
psicoanalitico, nelle quali viene attributo un grande peso al rapporto genitoriale. E'
indubbio, infatti, che la figura del padre abbia avuto un ruolo decisivo nell'elaborazione
del suo immaginario poetico e onirico. Per reagire al trauma della sua
scomparsa, Pascoli costruì l'immagine del nido, dove i pulcini superstiti resistono
alla perdita del capofamiglia. Altri lutti segnano la vita adolescenziale del poeta: la
morte della madre e della sorella Margherita (1868), quella del fratello Luigi (1871) e
del fratello Giacomo (1876). All'età di 17 anni Pascoli si avvicina al socialismo, tramite
un movimento fondato da Andrea Costa, ma ne darà col tempo un'interpretazione
sempre più riduttiva e deludente. Per aver elogiato pubblicamente l'anarchico Giovanni
Passannante, il giovane poeta conosce un paio di mesi di carcere nel 1879. Si laurea con
ottimi voti (1882), identificando nello studio il luogo dove trovare rifugio ai suoi stati di
angoscia e tentare una strada indipendente. Comincia ad insegnare in diverse città
d'Italia, fino ad ottenere nel 1905 la cattedra di Letteratura italiana all'Università
di Bologna, appartenuta prima di lui a Giosuè Carducci. Muore il 6 aprile 1912 nella
sua casa di Bologna, ucciso da un cancro al fegato.

Pensieri sull'arte poetica, il nucleo dei pensieri di Pascoli sulla letteratura e lo stile
poetico (ripubblicato con il titolo Il fanciullino nel 1903) e La base scientifica del mio
socialismo (1901), dove egli rinnega il "gelido credo di Carlo Marx" ed identifica il
"nuovo sole dell'avvenire" nei sentimenti di amore e carità. Segno della modernità del
poeta è la scelta dei maestri letterari: Leopardi e Dante. Le ultime raccolte,
dopo Myricae, i Poemi conviviali, i Poemetti, i Canti di Castelvecchio, saranno
sempre più all'insegna dell'ufficialità e influenzate dalla figura in trasformazione
di Pascoli: da una giovinezza dissipata e ribelle a una precoce senilità di poeta-
professore. Egli imposterà anche una voce tonante, da vate della terza Italia,
infondendo nei suoi ultimi componimenti toni retorici e nazionalisti; emblematica
è l'orazioneLa grande proletaria si è mossa, pronunciata nel novembre del 1911 in
sostegno della Guerra in Libia. Quando morì l'anno seguente, la sua originalità di
scrittore era perduta da tempo.

'infanzia diventa per Pascoli il luogo poetico per


eccellenza.

Il tema viene ripreso ne Il bove (animale protagonista anche di un ben diverso


componimento di Carducci): il poeta si trasfonde nella prospettiva
dell'elemento naturale, che disumanizza la voce lirica. E', infatti, l'onomatopea
l'orizzonte di ricerca di Pascoli: l'immissione nel linguaggio poetico di un
linguaggio non-umano (che trova la massima espressione ne L'assiuolo).
L'erudizione classica fa da contrappeso a questa naturalezza, con riferimenti al mito
classico e alla lingua latina. Questa compenetrazione di piano pre-grammaticale e post-
grammaticale fa sì che venga invece escluso il linguaggio "medio", colloquiale. La
poetica del fanciullino è stata per questi motivi associata al Simbolismo,
movimento che tuttavia Pascoli non conosceva (nonostante in gioventù avesse
tradotto Il Corvo di Edgar Allan Poe). Egli sembra sorpassare addirittura i
simbolisti nell'idea di una natura percepita attraverso i suoi piani di immediata
verosimiglianza e nel relativo "straniamento".

È un luogo comune quello di associare la poesia più sincera, genuina


e tipica di Pascoli all’età infantile, alla piccolezza, alle piccole cose,
quasi a livello rasoterra delle tamerici e degli arbusti. In un saggio su Leopardi,
questo poeta con il quale aveva profonde differenze dal punto di vista tecnico in
sede più strettamente poetica, in questa conferenza su Il sabato del villaggio in
occasione del centenario di Leopardi (1898), Pascoli scrisse: “Egli è il poeta a
noi più caro, e più poeta e più poetico, perché è il più fanciullo”:
questa tematica della scoperta del fanciullo all’interno dell’uomo
adulto, che possa avere quella freschezza di sensazioni, di percezioni tipica
dell’età infantile, ripresa con ogni probabilità dagli studi dei primi
pedagogisti scientifici della fine dell’Ottocento che Pascoli conosceva,
come è stato provato, e che però poteva trovare nella grande poesia
romantica, nelle stesse annotazioni di Leopardi, per esempio ne Il discorso di
un italiano sulla poesia romantica, si condensano nel 1897 ne I pensieri
sull’arte poetica che è appunto il testo più importante per l’elaborazione del
linguaggio di Pascoli e soprattutto per l’immagine dell’infanzia come
luogo da riscoprire, luogo poetico per eccellenza. Il testo in cui si condensa
tutta questa riflessione, Il fanciullino, che poi resterà come una specie di sigla
di antonomasia su Pascoli è del 1903 e riassume tutta questa lunga stagione
di riflessioni.

“Un più grande mondo” è il mondo visto dagli occhi del bambino,
dagli occhi addirittura dell’animale, cioè il poeta si trasfonde, si
compenetra nella prospettiva che non è quella dell’uomo adulto né quella
dell’essere umano, bensì di un elemento qualsiasi della natura, come può essere
un animale che vaga nei campi. Queste immagini campestri quindi non
sono idilli, bozzetti agresti, ma proprio disumanizzazioni della voce
lirica; la voce lirica diventa la voce animale, si fa verso animale. In un famoso
saggio degli anni ’50, Gianfranco Contini spiegò che uno degli orizzonti
di ricerca fondamentali di Pascoli è quello dell’onomatopea, cioè della
voce degli animali, dell’immettere all’interno del linguaggio poetico il linguaggio
non umano, per esempio quello degli uccelli, come vedremo ne L’assiuolo, una
famosa poesia di Myricae. Gli uccelli, considerando la mitologia familiare,
psichica e personale di Pascoli (quella del nido), sarà una delle presenze naturali
nelle quali questa poetica di Pascoli si trasfonde più felicemente, insieme però a
una cultura ed erudizione classica che si sovrappone a questa naturalezza: è
come se l’aspetto “pre-grammaticale”, come lo chiamava Contini, e quello
post-grammaticale, quello erudito, di poesia postuma, cioè la poesia in
latino, i riferimenti continui al mito classico, il riferimento a Virgilio nei titoli
dei suoi libri di poesia si compenetrassero insieme, saltando il piano medio,
colloquiale, della lingua naturale o comunque della visione naturale delle cose.
In questo, molta critica ha ravvisato una coerenza, una complanarità, una
similitudine tra Pascoli e le grandi poetiche europee di quel tempo,
cioè le poetiche del Simbolismo; poetiche che trasfondono il piano della
realtà in un piano di corrispondenze più o meno immaginarie, di evocazione di
mistero ed enigma, di piani che non sono quelli immediatamente visibili. In
realtà, Pascoli non conosceva i grandi autori francesi suoi contemporanei, ma in
adolescenza aveva, per esempio, tradotto Il corvo di Edgar Allan Poe, questo
grande incunabolo romantico della poetica del Simbolismo. Come se avesse
trovato la sua via personale al Simbolismo, indipendentemente dai grandi
maestri: Rimbaud, Verlaine, Mallarmé. Giacomo Debenedetti, che scrisse molti
saggi su Pascoli e dedicò a questo autore un corso universitario, parlava non a
caso di “rivoluzione inconsapevole”: Pascoli rivoluziona il linguaggio
poetico senza saperlo, semplicemente sviluppando una sua poetica, una sua
visione della letteratura, una sua visione del mondo.

C’è di più: in questa poetica del fanciullino sembra sorpassare i


simbolisti sul loro stesso terreno, cioè in questa idea di una natura
percepita nelle sue categorie immediate, nei suoi piani di immediata
verosimiglianza, ma anche di trasposizione su un piano diverso, c’è qualcosa che
assomiglia a quello che i grandi teorici del Novecento, i formalisti russi, in
particolare Viktor Šklovskij, chiameranno lo “straniamento”. Perché il
fanciullino? Perché il fanciullino o l’animale vedono le cose per la prima volta;
non hanno la nostra abitudine alla vita, la nostra consuetudine, la nostra
assuefazione alla natura e ai fenomeni naturali, ma è come se, nel momento in
cui il fanciullino scopre il mondo, in quel momento lo vede per la prima volta,
nuovo, come se fosse stato appena creato.

Myricae è una raccolta in progress, esito


di un’elaborazione lunga e complessa come poche altre.
Tra i grandi libri della poesia italiana otto-novecentesca, oltre
ai pascoliani Canti di Castelvecchio, forse solo
l’ungarettiana Allegria e, sia pure in modo diverso,
il Canzoniere di Saba hanno storie editoriali e compositive
altrettanto articolate. La vicenda di Myricae corre parallela
al primo tratto del percorso poetico del suo autore. La
testimonianza più antica risale al 1889

l contrasto tra la serenità agreste, assunta a mito


positivo e salvifico, e la morte, intesa in senso assoluto
’analogia e il cosiddetto fonosimbolismo. Alla
precedente fase di stampo tutto sommato realista (siamo
all’incirca nel periodo 1885-1895) succede la tendenza
sempre più forte a restituire della realtà una visione
percorsa da tratti surreali, in cui gli oggetti sono caricati
di significati ulteriori rispetto quelli che appartengono loro
nel linguaggio comune.

1. Dov'era la luna 1? Ché il cielo

2. notava in un'alba di perla 2,

3. ed ergersi il mandorlo e il melo

4. parevano a meglio vederla.

5. Venivano soffi di lampi 3

6. da un nero di nubi 4 laggiù:

7. veniva una voce dai campi:

8. chiù 5...

9. Le stelle lucevano rare

10.tra mezzo alla nebbia di latte 6:

11.sentivo il cullare del mare,

12.sentivo un fru fru 7 tra le fratte;

13.sentivo nel cuore un sussulto,

14.com'eco d'un grido che fu 8.

15.Sonava lontano il singulto:

16.chiù...

17.Su tutte le lucide 9 vette

18.tremava un sospiro di vento;

19.squassavano 10 le cavallette
20.finissimi sistri d'argento 11

21.(tintinni a invisibili porte

22.che forse non s'aprono più? 12... );

23.e c'era quel pianto di morte...

24.chiù...

1. Dov’era la luna? Perché il cielo

2. era tutto immerso in una luce perlacea,

3. e sembrava che il mandorlo e il melo si allungassero

4. per cercare di vederla.

5. Provenivano fremiti di lampi

6. dalle nubi nere in lontananza:

7. e dai campi si sentiva venire un verso:

8. chiù…

9. Le poche stelle risplendevano

10.fra la nebbia color latte:

11.sentivo il rumore delle onde del mare che mi cullava,

12.sentivo un fruscio fra i cespugli;

13.sentivo nel cuore un sussulto,

14.provocato forse dal ricordo di un dolore passato.

15.In lontananza risuonava come un singulto:

16.chiù…

17.Su tutte le cime degli alberi, lucide per luce lunare,

18.passava tremante un soffio di vento;

19.le cavallette suonavano scuotendoli


20.come dei finissimi sistri d’argento

21.(forse segnali tintinnanti a porte invisibili

22.che probabilmente non si apriranno più?…);

23.e ancora si sentiva quel pianto di lutto…

24.chiù…

25. 1 Dov'era la luna: nonostante il colore perlaceo diffuso nell’aria la luna


probabilmente è ancora sotto la linea dell’orizzonte, e quindi non visibile.
Spicca, come spesso nella poesia pascoliana, il dato coloristico, lieve e
sfumato, con cui si apre la scenografia notturna de L'assiuolo.

26. 2 un'alba di perla: analogia pascoliana, tipica della poetica del


fanciullino e, più in generale, dello stile simbolista.

27. 3 soffi di lampi: sinestesia che unisce sensazioni di ambiti sensoriali


distinti e che, nel ricchissimo bagaglio tecnico pascoliano, serve ad
esprimere tutte le sfumature e le impressioni delle tempesta notturna in
arrivo.

28. 4 nero di nubi: l'espressione, anziché concentrare l'attenzione sulle nubi,


la sposta sul loro colore cupo e minaccioso.

29. 5 chiù: questo è il suono onomatopeico che Pascoli attribuisce al canto


dell’assiuolo, un rapace notturno somigliante al gufo ma poco più
grande di un merlo comune; il verso dell’assiuolo, monotono e
monosillabico, viene percepito come un melanconico e tristo
presagio di morte.

30. 6 nebbia di latte: i primi due versi della seconda strofe focalizzano
l'attenzione sulla luce notturna e lunare, che filtra per una nebbia che
impedisce la vista delle stelle, ma fa comunque filtrare un indefinito
chiarore.

31. 7 fru fru: altro suono onomatopeico che rappresenta il fruscio dei
cespugli.

32. 8 Il ricordo del dolore del passato che riaffiora in superficie a causa
del suono lugubre dell’assiuolo.

33. 9 lucide: il dato coloristico è ulteriormente arricchito e - al tempo


stesso - sfumato: le "vette" degli alberi sono rese luminose dal riflesso
della luce lunare.

34. 10 squassavano: verbo di sapore onomatopeico, che contribuisce


all'allitterazione della sibilante "s".
35. 11 sistri d'argento: I sistri sono strumenti metallici a scotimento che
emettono un sibilo acuto; erano utilizzati nell'antico Egitto per il culto
misterico della dea Iside, che prometteva la resurrezione dopo la
morte.

36. 12 Le invisibili porte della morte probabilmente non si apriranno più


per restituire i morti alla vita. Quindi il culto di Iside, evocato dal suono
dei sistri, non ha effetto. Il tema dei “cari” defunti è molto
presente nell’opera di Pascoli, che fu molto segnato dalla morte
prematura del padre e della madre, come si vede emblematicamente in X
Agosto o ne La cavalla storna.

Más grande solo de la lechuza

Potrebbero piacerti anche