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tamerici;
Pensieri sull'arte poetica, il nucleo dei pensieri di Pascoli sulla letteratura e lo stile
poetico (ripubblicato con il titolo Il fanciullino nel 1903) e La base scientifica del mio
socialismo (1901), dove egli rinnega il "gelido credo di Carlo Marx" ed identifica il
"nuovo sole dell'avvenire" nei sentimenti di amore e carità. Segno della modernità del
poeta è la scelta dei maestri letterari: Leopardi e Dante. Le ultime raccolte,
dopo Myricae, i Poemi conviviali, i Poemetti, i Canti di Castelvecchio, saranno
sempre più all'insegna dell'ufficialità e influenzate dalla figura in trasformazione
di Pascoli: da una giovinezza dissipata e ribelle a una precoce senilità di poeta-
professore. Egli imposterà anche una voce tonante, da vate della terza Italia,
infondendo nei suoi ultimi componimenti toni retorici e nazionalisti; emblematica
è l'orazioneLa grande proletaria si è mossa, pronunciata nel novembre del 1911 in
sostegno della Guerra in Libia. Quando morì l'anno seguente, la sua originalità di
scrittore era perduta da tempo.
“Un più grande mondo” è il mondo visto dagli occhi del bambino,
dagli occhi addirittura dell’animale, cioè il poeta si trasfonde, si
compenetra nella prospettiva che non è quella dell’uomo adulto né quella
dell’essere umano, bensì di un elemento qualsiasi della natura, come può essere
un animale che vaga nei campi. Queste immagini campestri quindi non
sono idilli, bozzetti agresti, ma proprio disumanizzazioni della voce
lirica; la voce lirica diventa la voce animale, si fa verso animale. In un famoso
saggio degli anni ’50, Gianfranco Contini spiegò che uno degli orizzonti
di ricerca fondamentali di Pascoli è quello dell’onomatopea, cioè della
voce degli animali, dell’immettere all’interno del linguaggio poetico il linguaggio
non umano, per esempio quello degli uccelli, come vedremo ne L’assiuolo, una
famosa poesia di Myricae. Gli uccelli, considerando la mitologia familiare,
psichica e personale di Pascoli (quella del nido), sarà una delle presenze naturali
nelle quali questa poetica di Pascoli si trasfonde più felicemente, insieme però a
una cultura ed erudizione classica che si sovrappone a questa naturalezza: è
come se l’aspetto “pre-grammaticale”, come lo chiamava Contini, e quello
post-grammaticale, quello erudito, di poesia postuma, cioè la poesia in
latino, i riferimenti continui al mito classico, il riferimento a Virgilio nei titoli
dei suoi libri di poesia si compenetrassero insieme, saltando il piano medio,
colloquiale, della lingua naturale o comunque della visione naturale delle cose.
In questo, molta critica ha ravvisato una coerenza, una complanarità, una
similitudine tra Pascoli e le grandi poetiche europee di quel tempo,
cioè le poetiche del Simbolismo; poetiche che trasfondono il piano della
realtà in un piano di corrispondenze più o meno immaginarie, di evocazione di
mistero ed enigma, di piani che non sono quelli immediatamente visibili. In
realtà, Pascoli non conosceva i grandi autori francesi suoi contemporanei, ma in
adolescenza aveva, per esempio, tradotto Il corvo di Edgar Allan Poe, questo
grande incunabolo romantico della poetica del Simbolismo. Come se avesse
trovato la sua via personale al Simbolismo, indipendentemente dai grandi
maestri: Rimbaud, Verlaine, Mallarmé. Giacomo Debenedetti, che scrisse molti
saggi su Pascoli e dedicò a questo autore un corso universitario, parlava non a
caso di “rivoluzione inconsapevole”: Pascoli rivoluziona il linguaggio
poetico senza saperlo, semplicemente sviluppando una sua poetica, una sua
visione della letteratura, una sua visione del mondo.
8. chiù 5...
16.chiù...
19.squassavano 10 le cavallette
20.finissimi sistri d'argento 11
24.chiù...
8. chiù…
16.chiù…
24.chiù…
30. 6 nebbia di latte: i primi due versi della seconda strofe focalizzano
l'attenzione sulla luce notturna e lunare, che filtra per una nebbia che
impedisce la vista delle stelle, ma fa comunque filtrare un indefinito
chiarore.
31. 7 fru fru: altro suono onomatopeico che rappresenta il fruscio dei
cespugli.
32. 8 Il ricordo del dolore del passato che riaffiora in superficie a causa
del suono lugubre dell’assiuolo.