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Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855.

All’età di 7 anni viene mandato in un collegio di Urbin


o dove apprende le lingue classiche.Nel 1867 avvenne un evento drammatico per pascoli , ovvero il 10 agosto di qu
ell'anno suo padre Ruggero venne ucciso e negli anni successivi seguirono altri dolorosi lutti. Morirono la sorella ma
ggiore Margherita, la madre e il fratello Luigi.Tutto ciò segnò la vita e l’animo del poeta. Nel 1873 Pascoli si iscrive
alla Facoltà di Lettere di Bologna ,dove insegnava Giosuè Carducci. Nel 1876 venne revocata la sua borsa di studio,
quindi perdendo il suo sussidio e a seguire la morte improvvisa del fratello si ritrovò in una situazione economica p
oco agiata . Dopo questi fatti pascoli abbandona la militanza politica e concentra le sue energia sugli studi; le sue co
ndizioni economiche migliorano perché riesce ad ottenere nuovamente una borsa di studio, in aggiunta la vendita del
la sua casa a a San Mauro gli permettono di vivere in condizioni dignitose. Nel 1882 si laurea finalmente.
Pascoli vive con grande disagio il suo primo incarico da professore di latino e greco. Per lui sono anni non facili data
la distanza con la famiglia e le difficoltà economiche, tuttavia si dedica con impegno ed entusiasmo all'insegnament
o. Nel 1884 pascoli ottiene il trasferimento a Livorno. Nel 1891 per il matrimonio di un suo amico d'infanzia pascoli
prepara una raccolta di 22 testi, intitolata *myrice*. Il libro attira subito l'attenzione di d'annunzio che lo lusinga tr
amite una recensione pubblicata sul quotidiano il mattino di Napoli, mentre riceve una tiepida accoglienza da Carduc
ci. E nel 1892 gli viene assegnato il premio *certamen* ossia una competizione di poesia in latino.
Tra pascoli e d'annunzio il rapporto oscilla continuamente tra stima e avversione, soprattutto da parte di Pascoli che i
nvidia il collega per il maggior successo e con la paura di un plagio da parte di d'annunzio. Il loro rapporto peggiora
quando d'annunzio chiede a pascoli come tradurre in italiano un coro della tragedia greca . Pascoli, non gli da una ris
posta ma prende tempo poiché aveva paura di vedere le sue opere nelle mani degli altri, come già d’altronde success
e con l’opera di d’annunzio “l’innocente”, e quando gli risponde gli dice la sua intenzione di redigere un saggio su
quel argomento. E da lì si rompere il loro rapporto fin quando d'annunzio però fece il primo passo per far pace dedic
ando a pascoli la poesia “commiato”. pascoli reagirà con momenti di disponibilità e stima e altri di totale indifferenz
a. Scrivere per il ```marzoccco```, sul quale trovano posto le sue riflessioni sulla poetica e che poi edita integralmente
con il titolo il *fanciullino*. Nel 1885 la sorella ida si sposa determinando la rottura del nido famigliare e questa sce
lta crea un gran turbamento in pascoli .egli soffre molto la separazione e temere il vincolo sempre più stretto che si v
errà a creare tra lui e Maria. Pascoli infatti si sente il dovere di proteggerla. Nel 1896 chiede in gran segreto a sua cu
gina, di sposarlo e lei accetta. E la sorella quando venne a conoscenza di ciò tento di ostacolare il matrimonio metton
o uno contro l'altro. Pascoli e Maria affittano una villa a castello vecchio di Barga dove pascoli scrivere i poemetti de
dicati a Maria.
A pascoli si presenta l'occasione che stava aspettando cioè la cattedra di letteratura italiana a Bologna dove deve sub
entrare a Carducci ,dove accetta l'offerta. Le ultime raccolte di Pascoli sono caratterizzate da una poesia di tipo risor
gimentale. E tiene a braga con discorso poi pubblicato chiamato la grande proletaria si è mossa,con cui tende a giust
ificare la guerra in Libia muore nel 1912.
Il saggio intitolato Il fanciulline esce a puntate sulla rivista "Il Marzocco nel 1897: ampliatoe rielaborato, viene poi i
nserito da Pascoli nella raccolta Miei pensieri di varia umanità (1903),
infine nei Pensieri e discorsi (1907). Nella forma definitiva è un testo in venti brevi capitoli, in cui Pascoli espone la
sua poetica, ossia le sue idee su che cosa sia la poesia e su quali siano compiti del poeta.Egli per pascoli uno spirito s
ensibile e raro, che esercita un ruolo importante per gli altri uomini
Per rappresentare la sensibilità poetica Pascoli si serve del simbolo del «fanciullino», un essere che guarda al mondo
in modo ingenuo, con lo stupore di chi vede ogni cosa per la prima volta: grazie all'intuizione spontanea il «fan ciulli
no» sa immaginare e cogliere aspetti inconsueti della realtà, senza le barriere e i con dizionamenti dettati dalla ragion
e. Questa creatura è presente in ogni persona: nell'in fanzia coincide con il bambino, mentre nell'età adulta viene me
ssa in disparte, perché l'uomo maturo adotta uno sguardo razionale sul mondo, è attento ai propri obiettivi e doveri, s
i esprime in modo serio e convenzionale («noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce»), senza dare spazio a immaginaz
ione e fantasia. Nell'uomo tuttavia il «<fanciullino» non scompare: resta presente in ciascuno e può riemer gere, man
ifestandosi con reazioni spontanee e imprevedibili davanti ai fatti della vita.
Il fanciullino possiede 2 grandi qualità la capacità di vedere e quella di dare un nome alle cose. E agisce seguendo il
proprio istino e il proprio stupore soffermandosi a vedere ascoltare e toccare ogni cosa. E inoltre scopra affinità e leg
ami anche tra cose totalmente diverse.
Si tratta ovviamente di una fanciullezza ideale ma non realistica.
E nonostante il fanciullino e presente in tutti solo il poeta riesce a dargli voce attraverso la poesia e per pascoli la po
esia e uno stato di illuminazione interiore.
Myrice si presenta come una raccolta di poesie apparentemente semplici, dedicate a piante, animali. Tuttavia ci sono
anche allusioni al dolore,ai desideri e agli interrogativi profondi del poeta.
*Myrice* esce per la prima volta a puntate nel 1891 ma pascoli rielabora testi, accentua tematiche e atmosfere che g
li stanno a cuore : l'edizione definitiva esce nel 1903 ed è quasi un libro e il titolo è ispirato a Virgilio. La semplicità
delle poesie di pascoli tuttavia è soltanto apparente poiché gli oggetti più comuni possono alludere a temi generali ch
e riguardano l’esistenza umana. Secondo il critico pier vincenzo menagalda pascoli e sempre lì e altrove, cio signific
a che nel leggere un testo pascoliano non ci si può accontentare del significato letterale ma è necessario guardare anc
he altrove. È possibile infatti individuare nella poesia due discorsi paralleli, l’uno generato dal lato letterale del testo,
l’altro da ciò a cui essi allude. La ripetizione di suoni, di parole chiavi, di situazioni ricorrenti rimanda simbolicame
nte ai temi ossessivi del mondo di pascoli.
Alcune immagini assumono una valenza precisa, tanto che si può parlare di simboli ricorrenti. Così per pascoli “il ni
do” è il luogo privilegiato degli affetti e della protezione rispetto al mondo ostile e pericoloso; “le siepe” rappresenta
no una barriera necessaria tra se e la realtà esterna; “la nebbia” è il tempo che dissolve i ricordi più dolori. Altre imm
agini invece costituiscono simboli più difficili da decifrare perché assumono significati diversi a seconda dei contesti
. Anche “l’iollidico” offre un immagine di se non univoca: talora di rappresenta come un padre nel tentativo di ricost
ruire il nido con le sorelle e talora assume invece l’atteggiamento di un bambino segnato dal dolore. Per alcuni famili
ari morti, pascoli sente la necessità di offrire loro tributi in memoria per tenere a bada la propria angoscia. In pascoli
affiora infatti l’oscuro senso di colpa di essere sopravvissuto. Si nota inoltre come nelle myrice la madre di pascoli si
a un vero e proprio personaggio mentre il padre no.
All’interno di myrice lo studio di poesie che appaiono come descrizioni paesaggistiche, espressioni di valori tipici de
l mondo piccolo borghese. Come evidenza lo studioso giuseppe nava, curatore della più importante edizione di myri
ce, i poeti classici sono oggetti di imitazione diretta da parte di pascoli nelle poesie in latino ( omero, virgilio). Allo s
tesso modo dante e leopardi sono citati in modo esplicito oppure recuperati per affinità tematiche. nonostante pascoli
prende le distanze sul piano teorico delle idee di carducci mostra tuttavia un affinità con il suo maestro per la scelta
di suddividere le myrice in sezioni sulla base di criteri metrici e tematici.
I critici hanno usato la formula di accordo con la tradizione per indicare come pascoli sia fortemente radicato nella s
ua epoca ma allo stesso tempo in una prima svolta alla lingua della tradizione sopratutto sul piano fonico, letterale e
sintattico. Le caratteristiche della myrice è la brevità e per quanto riguarda la sintassi emerge la tendenza a privilegia
re la paratassi. Spesso mancano anche i nessi logici del tipo temporale o casuale il discorso procede con accostament
i improvvisi salti inattesi e ritorni all’indietro sono ricorrenti le onomatopee: all’uso di termini onomatopeici di senso
compiuto come “fruscio” “tintinno”.
Si accompagna la frequenza creazione da parte del poeta di sillabe o neologismi con il preciso scopo di riprodurre su
oni in modo realistico. Si è parlato per pascoli di un vero e proprio monosimbolismo, ossia la capacità delle sillabe di
diventare portatrici di suoni, poiché nella rappresentazione della realtà prevalgono il punto di vista del fanciullino e
la sua impressione davanti ai fenomeni, tra le figure di significato hanno particolarmente rilevanza le analogie.
se si confronta il linguaggio etico di myrice con quello di carducci e d’annunzio si nota che il livello di lingua non è
più quello dell’eloquenza o dell’ ornamento ma quello di una comunicazione diretta dal poeta al lettore sul piano met
rico pascoli rispetta la tradizione per la scelta di forme chiuse, ma si mostra innovativo nell’ adottare versi poco com
uni e strutturare metriche note ma desuete. In myrice è possibile identificare alcune opposizioni di corrente che si rip
etono un po’ in tutta l’opera. La prima contrapposizione e quella tra ripetizione e sperimentalismo.
Pascoli insiste in modo ossessivo su alcuni temi in particolare su quello che è stato definito il suo romanzo familiare.

si potrebbe dire che pascoli tenta di recuperare un legame interrotto con il padre .nell’opera di pascoli convivono la p
recisione del dettaglio e la costruzione di atmosfere indefinite: da un lato emerge la volontà di rendere esattamente il
dato reale, con grande accuratezza nella scelta dei nomi. Dall’altro canto svolge la tendenza opposta. Il poeta ama ra
ccontare storie su di se e sulla sua famiglia, sui personaggi che colpiscono l’attenzione.
La grande proletaria si è mossa è un discorso pronunciato da Giovanni Pascoli nel Novembre 1911 a Barga, in occas
ione della campagna di Libia. E’ molto interessante leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento s
torico poichè svelano un Pascoli nazionalista e fortemente interventista, difficile da conciliare con il “socialista dell’
umanità”, quale si definiva egli stesso. Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria al
la sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati oltremare e oltralpe, dopo an
ni di sfruttamento e ingiurie, dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui trarre il proprio sostentamento. In
oltre il paese aveva bisogno di dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia sembrava un’occasione i
deale per potersi riscattare agli occhi dell’Europa: “Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano tr
oppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar
terrapieni, a gettar moli, a scavar Carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad
animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è pi
ù umile e perciò più difficile ancora”. Questo tentativo di presentare la campagna di Libia come una guerra difensiva
e non di attacco, unica modalità accettata dai socialisti, ignorava completamente il fatto che i libici avessero diritto a
lla autodeterminazione. La Libia è descritta da Pascoli come un paese naturalmente favorevole alla colonizzazione it
aliana, perchè vicina geograficamente e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offriva erano però sprecate dall
’inerzia e dall’arretratezza delle popolazioni locali, e gli italiani avevano il dovere “civilizzatore” d’intervenire per sf
ruttare a pieno il territorio, portandovi cultura e progresso. La Libia diveniva così, nelle parole di Pascoli, una second
a patria a tutti gli effetti per il nostro paese.
La penisola italica dell’epoca appare nelle sue parole fortemente unita dal punto di vista militare, e in quest’unità sco
mpare addirittura la lotta di classe: “Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo esercito. Li gua
rdi ora in azione. Terra. mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno, vi sono perfettame
nte fusi. E vi sono le classi e le categorie anche là: ma la lotta non v'è o è lotta a chi giunge prima allo stendardo nem
ico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore. A questo modo là il popolo lotta con la nobiltà e con la borghesia. Cos
ì là muore, in questa lotta, l'artigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca”.

La grande proletaria si è mossa è un discorso pronunciato da Giovanni Pascoli nel Novembre 1911 a Barga, in occas
ione della campagna di Libia. E’ molto interessante leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento s
torico poichè svelano un Pascoli nazionalista e fortemente interventista, difficile da conciliare con il “socialista dell’
umanità”, quale si definiva egli stesso. Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria al
la sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati oltremare e oltralpe, dopo an
ni di sfruttamento e ingiurie, dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui trarre il proprio sostentamento. In
oltre il paese aveva bisogno di dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia sembrava un’occasione i
deale per potersi riscattare agli occhi dell’Europa: “Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano tr
oppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar
terrapieni, a gettar moli, a scavar Carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad
animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è pi
ù umile e perciò più difficile ancora”. Questo tentativo di presentare la campagna di Libia come una guerra difensiva
e non di attacco, unica modalità accettata dai socialisti, ignorava completamente il fatto che i libici avessero diritto a
lla autodeterminazione. La Libia è descritta da Pascoli come un paese naturalmente favorevole alla colonizzazione it
aliana, perchè vicina geograficamente e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offriva erano però sprecate dall
’inerzia e dall’arretratezza delle popolazioni locali, e gli italiani avevano il dovere “civilizzatore” d’intervenire per sf
ruttare a pieno il territorio, portandovi cultura e progresso. La Libia diveniva così, nelle parole di Pascoli, una second
a patria a tutti gli effetti per il nostro paese.
La penisola italica dell’epoca appare nelle sue parole fortemente unita dal punto di vista militare, e in quest’unità sco
mpare addirittura la lotta di classe: “Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo esercito. Li gua
rdi ora in azione. Terra. mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno, vi sono perfettame
nte fusi. E vi sono le classi e le categorie anche là: ma la lotta non v'è o è lotta a chi giunge prima allo stendardo nem
ico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore. A questo modo là il popolo lotta con la nobiltà e con la borghesia. Cos
ì là muore, in questa lotta, l'artigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca”.

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