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Il fanciullino è un testo di poetica in cui Pascoli racconta la sua idea di arte.

Per Pascoli la voce interiore (noi


irrazionali, la voce del bambino) la possediamo tutti. Non bisogna basarsi sulla logica per capire il mondo, il
fanciullino è presente in tutti noi. Quando siamo piccoli si parla con le parole del fanciullino, non ci sono
pregiudizi e non c’è la facoltà razionale, non si usa la scienza ma ci si affida alle sensazioni che rivelano
ferita nascoste più profonde di quelle scientifiche. Ogni bambino è un poeta, poi si cresce e si entra in
contatto con la logica, con la società che ci impone determinate cose, si entra in contatto con delle
sovrastrutture che fanno cambiare la voce del bambino, esso rimane ma cambia voce parlando con quella
dell’adulto, escludendo e dimenticando piano piano il bambino.

La sua produzione si concentra tra il 1891 e il 1910, egli scrive:


o Myricae: ha avuto tantissime edizioni, aggiungendo tantissime poesie. È andato sempre aggiungendo
e rimettendo mano a queste opere.
o Poemetti: una delle sue raccolte fondamentali.
o Canti di Castelvecchio (Garfagnana), è un paese in cui Pascoli era andato con le sorelle a ricostruire
il suo nido familiare
Ci sono anche poesie scritte in latino in cui fu premiato nel 1903.
Pascoli pur essendo un poeta decadente aveva una buona cultura classica ed era stato educato da austri
positivisti quindi aveva l’impostazione di formazione tipica scientifica, anche se nelle sue poesie fa
tutt’altro.
Queste tre raccolte, per quanto possano essere diversi sia sul piano del paesaggio sia sul piano della forma in
quanto alcuni testi brevi e altri lunghi, dal punto di vista dei temi trattati e delle idee sono tutti riconducibili
alla stessa poetica, noi riconosceremo Pascoli in tutte le opere. con Leopardi invece in parte era così poiché
c’era un’impostazione ambientale diversa, in Pascoli gli troviamo invece gli stessi fili conduttori e gli stessi
temi ma con forme diverse. Le cose che li accomunano sono i paesaggi, mai cittadini e sempre contadini.

È il nome di una pianta di tamerici, ovvero piante simili agli arbusti delle pinete situate vicino alla spiaggia,
e sono piante comuni che non sono belle e non sono pregiate sono piante generiche. Il fatto di aver scelto
questa pianta è un motivo legato all’umiltà, non si tratta di una rosa o un giglio, ma è un arbusto che cresce
spontaneamente. Il secondo motivo è tratto da un verso delle bucoliche di Virgilio, quindi c’è un riferimento
classico: “Arbusta iuvant humilesque myricae”, è un verso estrapolato dal contesto e il significato che ne dà
Pascoli è “ci piacciono gli arbusti delle umili tamerici” (ci piacciono le piante umili), invece il verso
originale di Virgilio era diverso: c’erano due pastori nei boschi che cantavano e uno dei due cantando vuole
dire che non gli piacciono solo le tamerici, ciò sta a significare che ai pastori non piacciono solo i canti da
poco ma anche le poesie più importanti. Pascoli quindi prende il verso e lo smonta dicendo il contrario: “a
noi piace l’umiltà e piace la poesia delle piccole cose”.
Myricae è composta da 156 liriche, la loro particolarità è data dal frammentismo e dall’impressionismo:
queste poesie non hanno una trama, ma sono impressioni di un attimo, per esempio quando si sta in
campagna si può vedere qualcosa e scriverci una poesia, quindi sono poesie d’occasione che rimandano
all’idea dell’epifania, ovvero il concetto in cui all’improvviso appare un legame misterioso con quello che
vedo e che diventa poesia, di conseguenza è il fanciullino interiore che parla. Sono poesie molto brevi legate
alle percezioni suscitate dal mondo naturale. I versi assumono un significato simbolico, quello che si vede
non riguarda solo tamerici o altre piante, ma ogni elemento diventa un simbolo di una realtà profonda,
dunque è una poesia simbolista. Pascoli ci racconta cosa c’è dentro alle cose e il loro mistero.
Pascoli è colui che inaugura la poesia moderna, nasce la poesia del ‘900. Leopardi, che è stato un innovatore
dal punto di vista della tecnica, aveva usato un linguaggio tradizionale. Con Pascoli c’è molta libertà
nell’utilizzo del verso anche se permangono ancora forme classiche.
Se vuole dare voce al fanciullino deve trattare delle piccole cose, il fanciullino infatti deve stupirsi degli
oggetti piccoli e quotidiani, dunque fa un uso particolare del linguaggio. Il simbolo non è contenuto
nell’oggetto in sé ma sta nella sensazione che tale oggetto evoca, ciò a cui rimanda, ciò che fa sentire
attraverso la voce dell’inconscio non della razionalità.
Le parole dunque hanno spesso un simbolo per il suono che emettono che ci racconta qualcosa, per questo la
poesia si riempie di onomatopee, infatti non è tanto il contenuto che interessa ma la forma. Si utilizzano
parole che prima non sono mai state utilizzate nella poesia e non sono prese solo per il significato che
hanno: si alternano suoni di cose semplici a suoni di cose complesse.

I morti sono l’ossessione di Pascoli. L’episodio che segna maggiormente la sua vita è la morte del padre, e
dopo quel giorno la morte diventa suo tema fondamentale, pensa che questo sia stato l’episodio della
distruzione del suo nido familiare. Questi due temi (morte, nido) diventano un vero e proprio “leitmotiv”, è
il filo rosso che unisce molte delle sue poesie. Ferite mai rimarginate sono anche la scomparsa della madre e
del fratello. Sembra quindi rifugiarsi nei suoi morti per fuggire, e i morti diventano un luogo di rifugio per
scappare da una realtà che non funziona e da un mondo che non gli piace.

Il vuoto che si è aperto con gli eventi luttuosi viene rivissuto tramite il ricordo. Il poeta lo rievoca tramite un
simbolo ricorrente che è quello del nido, ma anche attraverso immagini che rimandano alla protezione, alla
famiglia. Queste immagini rimandano ad una sicurezza perduta, ma anche al tempo in cui il poeta ascoltava
nitida la voce del fanciullino. Il nido dunque rimanda al nuovo nucleo familiare che Pascoli ha tentato di
ricostruire ricomponendo i cocci della sua famiglia, insieme alla sorella Ida e Maria (poi solo Maria).
Il nido può diventare una casa, il simbolo della famiglia e il luogo della protezione che lui tanto cerca perché
si sente solo al mondo. Lui non si sposa mai con nessuno e non avrà mai figli perché per lui la famiglia è
quella da cui è nato, non quella che ci si crea (infatti quando Ida si sposa lo prende come un tradimento).
Sembra che Pascoli abbia bisogno di protezione, non si sente sicuro in questo mondo: c’è qualcosa di
freudiano nel rapporto con la sorella, che in senso simbolico diventa sai moglie che mamma per lui.
Per Pascoli il momento di infanzia serena è quello che viene prima della morte del padre, in cui il fanciullino
poteva vivere felice e parlare liberamente, era il momento in cui il nido era ancora tutto intero.
Tutti questi temi (morte del padre, nido che viene ricostruito, i morti ecc…) vengono fuori attraverso il
ricordo: è piacevole il ricordo prima della morte del padre, tutto quello che viene dopo è negativo.

Pascoli ha una visione positiva della natura, è benigna, eppure verrà rappresentata in tutti i modi perché nella
poesia la natura diventa rappresentazione dell’animo del poeta: diventa simbolo, quando troviamo una
natura terribile non è un giudizio su di essa, ma dice cosa è diventata simbolo e quale realtà misteriosa del
suo animo gli ha fatto vedere.

Il nucleo più originale delle poesie di Pascoli è nello stato di illuminazione interiore che si manifesta quando
incontriamo una determinata circostanza, che improvvisamente si carica di significati, fino ad allora
sconosciuti. In questo elemento è fortissima la relazione tra la teoria del Fanciullino e la prassi poetica.

Il linguaggio è caratterizzato da:


o Esperienza di rinnovamento radicale del linguaggio poetico
o Voci del linguaggio quotidiano
o Voci del linguaggio scientifico
o Fonosimbolismo: è dare al suono di una parola un valore simbolico. I significati diventano
simbolici derivano non dal contenuto ma d’ala uomo, è il suono che diventata simbolo.
o Onomatopee
o Sinestesie, analogie e simboli

“X Agosto” è una poesia in cui ci sono un sacco di simboli. Sembra però molto costruita a tavolino in
quanto c’è poco del torbido, del misterioso e del perverso che Pascoli ci regala con le poesie. C’è quindi una
costruzione studiata, che dà l’idea di artificiale. È una poesia molto lontana da Pascoli, lui infatti cerca
sempre di lasciare sconvolti e di far vedere i misteri, questa poesia invece è molto sistematica. Generalmente
Pascoli tende a toccare la profondità dell’animo nero, qua però il fanciullino si sente poco, mentre si sente di
più la penna del poeta.
Il 10 agosto è la notte di San Lorenzo in cui si guardano le stelle: c’è un fenomeno astronomico in cui uno
sciame di meteore che sembrano stelle e che passano di fianco alla terra il 10 agosto, ecco perché c’è la
credenza che in questo giorno si vedono molte stelle cadenti, quindi la tradizione popolare ha associato
questo evento astronomico al martirio di San Lorenzo e le stelle cadenti diventano le lacrime del cielo di San
Lorenzo. Pascoli ha presente questa credenza popolare, e per questo chiama così questa poesia.
La poesia si può dividere in sei storie: notte di S. Lorenzo; morte della rondine; nido; morte dell’uomo; la
casa (nido); il male.
Ciclo: notte di S. Lorenzo
Il primo verso inizia con un invocativo che si riferisce a San Lorenzo e a questa notte. C’è un cielo che
piange, c’è qualcosa che rimanda al dolore, che secondo la tradizione è il dolore della morte del Santo.

Morte della rondine


C’è un uccellino che sta tornando a casa, è stato colpito ed è precipitato in un rovo. Ha in bocca dei vermi e
stava tornando a casa nel nido per dare da mangiare ai piccoli.

Nido
La rondine sembra morta come in croce. Stanno pigolando i rondinini sempre più piano, perché l’assenza
della mamma è la conseguenza che piano piano essi moriranno

Morte dell’uomo
Questo signore stava tornando a casa quando l’hanno ucciso e portava due bambole in dono.

La casa (nido)
Aveva dei figli che, come i rondinini, sono lontani e aspettavano il padre tornare a casa. I figli lo aspettano
invano e lui è immobile straziato in terra con lo sguardo sbarrato. C’è una relazione tra i due fatti.

Ciclo: il male
Il cielo inonda la terra di lacrime e di stelle.

Commento
Innanzitutto inizia utilizzando un sacco di simmetrie: la rondine torna al nido e l’uomo torna a casa, i due
hanno avuto lo stesso destino di morte perché il male è l’elemento essenziale di questo mondo ed è un male
universale che tocca tutti, sono stati uccisi nell’ingiustizia. Ci dice che il male riguarda tutta la natura
invertendo due termini, come a dire che c’è una perfetta intercambiabilità e simmetria tra i due personaggi:
dice che la rondine torna al tetto, l’uomo torna al nido. Altra perfetta corrispondenza tra le due esperienze
sono i doni che essi portano: la rondine porta il cibo ai rondinini, mentre l’uomo porta le bambole alle sue
figlie. Inoltre, altra corrispondenza, la rondine tende il cibo al cielo, l’uomo indica al cielo le bambole come
per chiedere il perché di tutto questo male. La telecamera si sposta al punto di vista dei rondinini che stanno
lì ad aspettare il cibo che non arriverà mai, così come i bimbi aspettano il padre; viene fuori quindi un male
umano universale. All’inizio si nomina il cielo, con la c minuscola (è il cielo in quanto tale), mentre alla fine
ha la C maiuscola come a dire che esso è un’entità divina. La terra viene chiamata “atomo” e “opaca”,
caratteristiche tipiche anche della condizione dell’animo. Il concavo iniziale può voler dire anche vuoto, il
cielo è lontano da noi e impotente; se Dio esiste non ci aiuta e non interviene in questo mondo. La prima e
l’ultima strofa hanno come tema il cielo, la seconda e la terz'ultima la rondine, la terza e la penultima il nido,
cioè la casa.
Il 10 agosto dell’87 è stato ucciso il padre, quindi si capisce che quell’uomo è tutti gli uomini, ma in questo
caso ci ha raccontato attraverso questa data qualcosa di profondamente biografico. C’è un sistema di rete di
simboli profondi: le spine e la croce rimandano a Gesù, per eccellenza l’uomo morto ingiustamente, così
come questi esseri, c’è una rete di simbologie e chiude il cerchio tornando al titolo scrivendo “X agosto” in
quanto la croce rimanda a cristo e alla crocifissione.
I temi sono:
o Nido
o Famiglia
o Violenza
o Inevitabilità del male
o Divino

Inoltre lui non è cristiano, ma mette queste simbologie perché Cristo diventa simbolo dell'inevitabilità del
male e dell’uomo morto ingiustamente, è simbolo del male che colpisce tutti, della morte ingiusta per
l’umanità di tutti. Simbolo che rimanda per antonomasia alla morte ingiusta. Lo fa in un testo in cui dice che
il cielo è forse vuoto, senza Dio, creando una rete di significati ancora più intricata.

Schema metrico:
Myricae è composta da sei quartine in cui si alternano versi decasillabi e novenari con rima alternata ABAB,
CDCD.

Figure retoriche:
• Enjambement (versi 1-2)
• Metafora (verso 3 "gran pianto" al posto di stelle cadenti)
• Anastrofe o inversione (versi 3-4 "gran pianto nel concavo cielo sfavilla")
• Sineddoche (verso 5 "ritornava una rondine al tetto” invece di “al nido”)
• Anafora (versi 6-14 ripetizione di una parola a inizio verso "l'uccisero")

È la prima poesia di Pascoli con una struttura poetica riconducibile a Baudelaire, ai simbolisti francesi,
quella che rende Pascoli un poeta europeo e non solo italiano. Si tratta di una poesia il cui titolo è
“l’Assiuolo”, animale notturno simile alla civetta. L'animale notturno normalmente, nella percezione
collettiva e nell’immaginario collettivo, è un animale legato alla notte e non sono animali felici, ha un
simbolo cupo e portatore di emozioni negative legate alla morte. Viene chiamato da Pascoli con il nome
scientifico (l’Assiuolo), ciò perché Pascoli ha una cultura positivista e perché è amante della botanica (lo si
vede con Myricae) e dunque conosce tutti questi nomi scientifici e li usa per la prima volta nella poesia nel
loro significato e nel loro misto (il linguaggio di Pascoli è innovativo perché usa delle parole che prima non
c’erano e non venivano usate, a volte anche solo per il loro semplice significato sonoro).
È composta da 3 strofe che si corrispondono, una corrispondenza chiara è il fatto che l’ultimo verso è
composto da una sola parola “chiù”, il verso dell’Assiuolo (onomatopea); evidentemente se chiude tutte le
strofe con questo verso, questo suono non sarà solo un modo per creare una simmetria generica, ma
diventerà anche un simbolo. Il suono si riempie di volta in volta di significati. È una poesia immersa
profondamente e completamente nella natura e immersa nei suoi elementi, Pascoli è completamente
immerso nella natura. Sembra l’uomo di Baudelaire che girava nel bosco in attesa dell’Epifania, della
rielezione che deve venire all’improvviso. Gli elementi naturali sono tantissimi: luna, cielo, mandorlo, melo,
lampi, nubi, campi, stelle, nebbia, mare, fratte, vette, vento, cavallette.
È ambientata all’alba (descritta dalla prima strofa), ma non è un’alba tradizionale: lui si trova in un bosco,
c’è della foschia, una nebbiolina, e la luce inizia a filtrare ma non si vedeva ancora, tanto che il mandorlo e il
melo sembravano tirarsi su quasi a cercare di vedere per primi il sole, come se fossero vivi, a cercare di
aspettarla come se dovesse succedere qualcosa da un momento all’altro. L’alba è il momento in cui la notte
lascia spazio al giorno, è quindi un momento di passaggio perché c’è qualcosa che sta cambiando e si sta
trasformando, è una soglia, il punto che separa il dentro dal fuori, il prima dal dopo e sembra che la natura
sia in attesa di questo cambiamento. Non è soltanto il cielo pallido davanti a lui, ma guardando verso il mare
si vedono dei lampi, dei quali però non si sentono i rumori ma si vedono solo dei bagliori, che arrivano da
nubi scuri. Dunque non è un bel mattino, è un’atmosfera sospesa e lui si sente solo lì. Ad un certo punto
sente una voce dai campi, il verso dell’Assiuolo (chiù). È una voce che in questo momento è soltanto un
segnale che la natura manda, che pian piano si rivela per quello che è. Questa rivelazione sul piano poetico
avviene grazie a una climax, ascendente: questo verso ha qualcosa di inquietante e la voce all’inizio non si
schiarisce nel suo significato simbolico, bisogna aspettare le storie successive e piano piano questa voce
diventa un singulto (seconda strofa) e poi un pianto di morte (terza strofa). Pian piano quella voce si rivela
per quello che è, ovvero simbolo della morte, e se il chiù è un segno della morte, allora la poesia parla del
passaggio tra la vita e la morte. Il fatto che lui si trovi in un momento di rivelazione, di Epifania lo si capisce
dall’incipit: è come se si trovasse all’improvviso in questo momento, come se non sapesse dove si trova (si
chiede dov’era la luna). Dopo che sente il “chiù” guarda il cielo e vede le stelle che lucevano e si mette in
ascolto del suono del mare, sente un “fru fru” tra i cespugli e poi un sussulto nel cuore, come se questo
momento fosse di più di una semplice alba. Sente qualcosa di non percepibile attraverso la ragione, di
lontano e di indefinibile, si passa da verso naturale a qualcosa che lui sente dentro, sta diventando suo e sta
trovando il filo segreto: questo verso non è soltanto un verso, è un lontano grido dal passato. Pian piano gli
elementi della natura si mettono in ordine per far uscire fuori la verità. I sistri sono strumenti musicali
antichi risalenti agli egizi; essi associavano il suono dei sistri al momento e al rito funebre, erano strumenti
musicali che venivano utilizzati nei momenti funebri. Quindi il suono di queste cavallette, che si sente dal
suono delle parole utilizzate nel verso, è un richiamo alla morte. Le porte che non si aprono più sono le porte
della morte, il campanello è il campanello delle porte dell’aldilà. L’alba quindi in questa poesia non è solo il
passaggio tra la notte e il giorno ma anche tra vita e la morte, e quel chiù era un pianto di morte (racconta di
porte che non si aprono più).
o 1 strofa: ci sono una serie di opposizioni (alba-indefinita, buio-luce, notte-giorno, momento di soglia-
momento di passaggio) tutta la struttura rimanda ad un senso di attesa, sta per succedere qualcosa (la
verità), sta per mostrarsi l’epifania.
o 2 strofa: nella seconda strofa il chiù diventa un singhiozzo e piano piano si manifesta il filo segreto
che porta alla verità, non è la verità assoluta ma la verità che percepisce il poeta, la verità che ci
voleva raccontare
o 3 strofa: c’è un altro elemento (i sistri) che porta alla comprensione di ciò che sta sentendo e vedendo
realmente.
Il fanciullino che sente questi rumori ha paura, il panico è il momento in cui io non so spiegarmi le cose
come stanno e quindi ha un effetto di paura irrazionale. Ma questa paura irrazionale e questo filo segreto
Pascoli ce lo fa vedere esattamente nel modo che ci aveva detto Baudelaire: attraverso il fonosimbolismo e
tante figure retoriche. L’Assiuolo dunque simboleggia la comprensione dell’Epifania, del momento
improvviso. Tutte queste figure sono tipiche del decadentismo e questa poesia è una poesia europea, che
dice cose che non possono essere dette e lo fa attraverso le figure retoriche.
Il linguaggio
A studiare il linguaggio di Pascoli è stato Contini (uno dei più importanti critici della letteratura italiana),
che a proposito di questo ha scritto una pagina memorabile che viene sempre citata quando si parla di
pascoli. Il linguaggio di Pascoli non ha niente a che vedere con le regole grammaticali; è un linguaggio
agrammaticale o pregrammaticale, come quello dei bambini. È estranea alla lingua come istituto, istituzione
e regolamento. Si incontrano in coppia termini tecnici e tecnicismi, l’insieme tra questi linguaggi infantili e
termini tecnici (qualche volta le parole hanno solo funzione espressiva e vengono usate solo per i loro
suono). Qualche volta si presentano sotto un aspetto di nomenclatura scientifica, ciò significa che questo
linguaggio è un linguaggio nuovo che mette insieme parti che prima erano considerate come impossibili da
legare tra di loro e lo fa stessi in funzione espressiva.

È un’opera pubblicata nel 1901, appartenente a «I canti di Castelvecchio» del 1903 ed è una poesia
d’occasione, scritta per il matrimonio di un suo caro amico, Gabriele Briganti. Il gelsomino notturno (nome
tratto dalla botanica) è un fiore che si apre di notte chiamato anche «bella di notte». È un componimento
breve che, come quelli di Myricae, hanno la stessa ispirazione naturale, ma cambia il paesaggio.

Analisi
Il linguaggio è perfettamente comprensibile e non necessariamente ricercata. Le uniche parole difficili sono:
• Fiori notturni: il gelsomino notturno
• Viburni: arbusti
• Chioccetta: la chioccetta di cui parla Pascoli è la costellazione delle Pleiadi, che viene chiamata
volgarmente chioccetta perché ha un gruppo di grandi stelle, seguito da un gruppo di stelle più
piccole, come una gallina seguita dai pulcini. “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolio di
stelle” è una metafora per indicare la costellazione.
È ambientata nel momento in cui si aprono le belle di notte, durante il calar del giorno, durante il quale lui
pensa ai suoi cari scomparsi. Tra i fiori appaiono le falene (“farfalle crepuscolari). Da qualche parte c’erano
dei gridi, che ora sono finiti e solo la casa bisbiglia (in realtà chi è dentro la casa bisbiglia). Chi racconta la
storia è fuori dalla casa, non troppo vicino, e nella casa si è celebrato il matrimonio di Gabriele Briganti
quindi ci sono delle grida, che però sono finite. Sta arrivando il momento della prima notte di nozze e, in
questo momento, le ali della madre coprono il nido, come le ciglia coprono gli occhi. Dai gelsomini si sente
odore di fragole rosse e nella casa viene accesa la luce. Nelle fosse sta nascendo l’erba: “fosse” è una scelta
lessicale per indicare le fosse dei morti. Nella quarta strofa ci sono due immagini: la prima è quella dell’ape,
la seconda quella della chioccetta. Un’ape torna nel suo alveare, ma trova tutte le celle occupate e il cielo
rappresenta l’arrivo della sera. Con queste due immagini Pascoli sta raccontando l'addormentarsi della
natura. Lo sguardo poi torna sulla casa. È notte, lui sente degli odori e vede passare per le scale la candela
dei due sposi che stanno andando a dormire. La candela si spegne e Pascoli inserisce dei puntini di
sospensione che stanno ad indicare il fatto che i due amanti stanno facendo l’amore. Passa tutta la notte e
arriva l’alba. Si chiudono le belle di notte, un po’ 'sgualciti, e dentro i fiori si nasconde una vita nuova, sta
per nascere qualcosa.
L’utilizzo del termine “urna” rimanda sempre all’ambito oscuro della morte.
La poesia rimanda alla morte. Il primo segnale arriva dal titolo, in quanto è un fiore notturno. Un altro
segnale di morte è quando dice “nell’ora che penso ai miei cari”, quando dice “fosse” e quando dice “urna”.
Tutta la poesia rimanda anche alla natura, con moltissimi elementi naturali. Ci sono poi parole che
riguardano gli uomini: “cari”, “tacquero i gridi”, “la casa bisbiglia”, “gli occhi sotto le ciglia”, “splende un
lume là nella sala”, “passa il lume su per la scala”.
Il grande tema è l’amore e si fa in maniera molto complessa. Anche gli elementi naturali parlano di amore:
la farfalla e l’ape sono elementi maschili, i fiori e i petali elementi femminili e l’impollinazione è il simbolo
della nuova vita. Il tema erotico viene trattato innanzitutto a livello naturale. Poi c’è l’elemento umano, che
però si sdoppia. Da un lato ci sono i due amanti e dall’altro c’è “l’urna molle e segreta” che rimanda al
ventre femminile. Il fiore sgualcito rappresenta quindi la donna, dopo aver consumato l’atto sessuale, in
attesa di una nuova vita. In questo universo pieno di vita però ci sono elementi estranei, come chi sta
raccontando la storia e non partecipa a tutto questo movimento. Anche l’ape che non riesce ad entrare nelle
celle è un simbolo di esclusione, e così come l’ape si sente esclusa dalle celle della vita, anche Pascoli si
sente escluso da tutto questo movimento. Tutte le immagini sono un riferimento al suo essere escluso. Si
arriva quindi al tema della morte, che viene fuori attraverso la notte, le farfalle crepuscolari e poi i due
elementi più evidenti, ovvero la parola “fosse” e la scelta del termine “urna”. Dal suo punto di vista è nella
morte che c’è la realizzazione dell’esistenza concreta. Il momento in cui Pascoli ha vissuto l’esperienza di
morte, ha cambiato la sua vita; prima Pascoli viveva come il fanciullino, che non riusciva a concepire il
sesso e non è mai riuscito a diventare grande. Si capisce che Pascoli conserva ancora il fanciullino dal modo
in cui lui vede la costellazione, ovvero come una gallina che guida i suoi pulcini. Il poeta quindi non accede
alla dimensione erotica, che viene considerata estranea alla sua vita. L’unica dimensione che resta a Pascoli
è quella del nido famigliare, in cui gli uccelli dormono sotto le ali della madre. Soltanto nella casa e nel nido
ritrova se stesso.

Questa poesia, pubblicata nel 1901, appartiene ai poemetti che sono, sì una raccolta più lunga, ma anche
molto più narrativa e di facile comprensione. È un racconto in versi. È una poesia torbida e propriamente
femminile. Il poemetto è il racconto di Maria e Rachele, che Pascoli scrive ispirandosi alla sorella Mariù, la
quale da bambina era stata in convento in provincia di Forlì. Durante una passeggiata con la loro maestra, lei
e le altre ragazze erano state attratte da un fiore mai visto, formato da tante campanelle color porpora
pendenti a grappolo in cima a un fusto piuttosto alto. Curiose di vederlo da vicino, vi si erano accostate per
sentirne l’odore, ma la suora, allarmata, aveva subito intimato loro di non annusarlo, perché si trattava di un
fiore venefico, dal profumo letale. In effetti, la digitale purpurea era una pianta officinale da cui si estraeva
un farmaco efficace contro l’insufficienza cardiaca, ma assai pericoloso, se assunto in dosi eccessive, perché
tossico, e anzi perfino mortale.
Il poeta immagina che due amiche, Maria (sua sorella) e Rachele (personaggio immaginario), ormai adulte,
si ritrovino a rievocare i tempi del convento, e che una delle due confidi all’altra di aver disubbidito alla
suora, inebriandosi dell’odore di quel fiore.
Da un lato le bambine, rispetto al fiore, sono spaventate, ma anche dubbiose. Da una parte c’è quindi
l’attrazione, dall’altra il rifiuto del fiore proibito.

Analisi
o Maria: Rimanda alla donna angelo di origine stilnovista, bionda e esile «d’umiltà vestuta», occhi
semplici e modesti, è tornata molte volte a trovare le bianche suore della sua infanzia. Non cede alla
tentazione
o Rachele: Femme fatale, bruna e esile (come la Lupa). I punti di sospensione suggeriscono qualcosa
di indicibile. Gli occhi ardono. Non è mai tornata al convento, «nell’orto chiuso», che evidentemente
sentiva opprimente.
Il testo è diviso in tre parti:
Prima strofa, che prepara il ricordo che caratterizza le due strofe successive. Fino al verso 7 il clima è molto
vago, indefinito. I puntini di sospensione suggeriscono che la natura di Maria è molto diversa da quella di
Rachele che sembra il suo opposto. Nei primi 7 versi le donne parlano, ma non si sa di cosa, né chi o dove
siano. Il clima diventa sempre più chiaro: Maria parla apertamente e in maniera maggiore rispetto a Rachele
riguardo all’esperienza vissuta in convento. Rachele parla poco. È presente il linguaggio post-grammaticale
e il fonosimbolismo (ginepri zirlano torbidi) e l’argomento è caratterizzato dal contrasto tra l’ingenuità di
Maria e la spregiudicatezza di Rachele che, nel momento in cui Maria non ricorda il nome del fiore, è pronta
a dire che quello è il fiore della morte. Ecco allora che il fior di morte assume valore simbolico e si carica di
mistero. La digitale purpurea ha un odore che attira, ma al quale, allo stesso tempo, non riesci a resistere.
Pascoli sottolinea l’insidia del fiore mediante l’ossimoro “dolce–crudele” e mette a luce le conseguenze
pericolose di avvicinarsi.
Seconda strofa, che presenta il ricordo e la mescolanza di sensazioni visive, uditive e olfattive. Le due
amiche, tenendosi l’una con la mano sulla spalla dell’altra, rievocano le vicende del passato che si
materializzano profondamente nel presente. Esse vedono il monastero in cui si cantano le litanie e si
celebrano le cerimonie solenni con l’incenso. L’odore delle rose e delle viole, di innocenza e mistero,
sembra reale. È qui introdotto un trapasso molto significativo tra suoni e profumi (litanie-profumo) e tra
odori e suoni (melodie-odore delle rose). Vengono rievocati i momenti della visita dei parenti nel convento e
i pianti di alcune educande che ricevono la visita di un loro spasimante e si rendono conto di essere isolate
dal resto del mondo. Le giovani hanno abiti bianchi e lunghi e si muovono in un ambiente così sereno che
presenta però in un angolo un raggruppamento di “dita umane spruzzolate di sangue” che emanano il loro
profumo. Si tratta dei fiori della digitale purpurea che vengono umanizzati. È presente l’opposizione
tematica tra il candore delle fanciulle, sottolineato dalla presenza delle rose e delle viole e dalle loro vesti
bianche, e il senso del mistero, sottolineato dal profumo della digitale. Anche nel convento, luogo tanto
protetto e pio, si allungano le ombre del turbamento e della seduzione.
Anche a prescindere, per un momento, dalla digitale purpurea, simbolo culminante del proibito, non sono
poche le spie del male che s’insinua e serpeggia nel convento: un male nascosto, invisibile, che s’introduce
inavvertito nei cuori o nei sensi, sicché non c’è modo di contrastarlo
Terza strofa: ritorno al presente. Rachele piange e confessa il suo peccato a Maria, senza alzare i suoi occhi
scuri per la vergogna e il senso di colpevolezza. Rachele afferma di aver sentito il profumo della digitale,
mentre era con le cetonie, animaletti verdi, e di aver sentito nel cuore il fermento di un sogno inquietante: è
chiamata alla trasgressione. Lei, quindi, con un flash back ricorda la sera in cui aveva odorato il fiore, presa
da una voce ipnotica. Nell’evocazione del mondo dell'infanzia, la riemersione dal passato dei “dolci anni che
sai” non è però esente da una sensazione di inquietudine, legata proprio alla digitale purpurea cui Maria e
Rachele, da bambine, associavano l’idea di morte (e che a poco a poco si caratterizza invece come
la rimozione psicoanalitica, secondo la formulazione di Sigmund Freud, della tentazione sessuale).
Questo procedimento funziona attraverso dettagli, particolari, impressioni fugaci che stimolano
l’affioramento in superficie di una verità non conosciuta o non compresa. Il conflitto latente è insomma
quello tra l’innocenza del mondo felice d’infanzia e la scoperta del sesso, che è al tempo stesso affascinante
e minaccioso come la pianta della digitale, che nella prospettiva distorta delle due bambine diviene “una
spiga [...] di dita | spruzzolate di sangue, dita umane”.
Il fascino del proibito, del male, del gorgo, le pulsioni autodistruttive di cui ci ha parlato già Baudelaire,
sono comuni a tutti: ognuno incontra la sua digitale purpurea.
Il poeta non chiarisce quale sia la sua trasgressione. Potrebbe, perciò, trattarsi di: un sogno in cui Rachele
prova la sensazione della sensualità amorosa; La visita di uno spasimante a cui lei ha ceduto; L’assunzione
della droga.
La digitale purpurea è, in ogni caso, il simbolo della trasgressione. Pascoli era traumatizzato e ossessionato
dall'amore erotico tanto che lo delega sempre ad altri. Per il poeta la donna è la madre o la sorella, mentre la
donna-amante non è altro che un demone.

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