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Giovanni Pascoli (1855-1912)

Decadentismo

Vita
La vita di Pascoli è costellata di tragedie che influenzarono profondamente le sue produzioni. Il 10
agosto 1867 il padre venne ucciso a fucilate da alcuni sicari, mandati, probabilmente, da un rivale
che aspirava al suo ruolo di amministratore. Gli assassini non vennero mai trovati e questo diede a
Pascoli un intenso senso di giustizia.
Negli anni seguenti, a causa di difficoltà economiche, la famiglia di Pascoli dovette trasferirsi a
Rimini dove lui potè ricevere una rigorosa formazione classica. Nel giro di pochi anni perse la
madre e due dei nove fratelli. A causa delle ristrettezze della famiglia, Pascoli dovette lasciare la
scuola ma, grazie ad un suo professore, riuscì a proseguire e a terminare il liceo a Firenze. Studiò a
Bologna, presso l’Università di Lettere, dove ebbe come insegnante Carducci. Fu durante questi
anni che iniziò ad interessarsi all’ideologia socialista, finendo arrestato durante una
manifestazione contro il governo (esperienza che fu per lui traumatica e causò il distacco dalla
politica). Dopo aver ripreso gli studi e conseguito la laurea in lettere, Pascoli iniziò la carriera di
insegnate a Matera (trasferendosi assieme alle surelle Ida e Mariù, nel tentetivo di ricreare il
“nido” familiare), per poi sportarsi prima a Massa e poi a Livorno (dal 1887 al 1895).

Il nido familiare e gli anni di insegnamento:


I traumi infantili del poeta vengono rivelati dal suo morboso attaccamento alle sorelle e alla sua
chiusura nel “nido familiare”. Proprio a causa di questa chiusura e dell’attaccamento ossessivo al
“nido” della sua infanzia, del quale è stato privato da bambino, Pascoli taglia qualsiasi forma di
rapporto con l’altro: nonostante desideri ardentemente un “nido” suo nel quale ricoprire il ruolo
di padre, non avrà mai relazioni amorose. Infatti, ai suoi occhi, queste hanno un fascino torbido e
misterioso, che lui riesce solo ad osservare da lontano, senza mai farne parte.
Il matrimonio della sorella Ida (avvenuto nel 1895, mentre lui insegnava a Livorno) arrivò a Pascoli
come un tradimento che generò in lui intense manifestazioni depressive. Fu nello stesso anno che
Pascoli prese in affitto una casa a Castelvecchio, nella campagna di Lucca, ben lontano dalla vita
cittadina, dove si trasferì con la sorella Mariù e dove condusse, almeno esteriormente, una vita
serena. In realtà Pascoli era profondamente turbato da angosce e paure dovute sia dal periodo
storico (due anni dopo la sua morte, nel 1914, scoppierà la prima Guerra Mondiale) sia dal terrore
per la morte.
Sempre nel 1895 ottenne la cattedra di Grammatica greca e latina a Messina, per poi passare a
Pisa (più vicina al suo rifugio a Castelvecchio) nel 1903 ed infine a Bologna, dove prese la cattedra
di Letteratura italiana, subentrando al suo maestro Carducci.

Visione del mondo e poetica

Formazione e uso del simbolismo (passaggio dal positivismo alle tendenze spiritualistiche):
Pascoli riflette sia la cultura positivista degli anni settanta dell’ottocento sia la crisi della scienza,
avvenuta intorno a fine secolo. Si può notare l’influenza del positivismo nella precisione con cui
usa la nomenclatura ornitologica (nomi uccelli) e botanica, così come la lettura di testi di
astronomia (ispirati al sapere scientifico dell’epoca) gli abbia permesso di sviluppare i temi astrali
nelle sue poesie.
Invece, l’esaursirsi della fiducia nella scienza, si ritrova in Pascoli sotto forma di curiosità verso
l’ignoto ed il mistero, che si trovano oltre ai limiti dell’indagine scientifica (questi sono gli anni in
cui si affermano sempre di più tendenze spiritualistiche e idealstiche, che si contrappongono allo
studio scientifico). La curiosità di Pascoli verso l’ignoto, in ogni caso, non lo avvicina in alcun modo
alla religione. Il fascino che il cristianesimo esercita su di lui resta nei limiti del messaggio morale.
Alla precisione del poeta nell’usare i nomi corretti per piante e uccelli è facilmente ricollegabile il
concetto di simbolismo, ampiamente utilizzato dall’autore.
Gli oggetti materiali assumono, nella poestica di Pascoli, significati simbolici e allusivi, rimandando
a qualcosa al di là di essi. Questa caratteristica di Pascoli, oltre a derivare dalla formazione
positivista, ha anche un significato differente: i termini precisi permettono di scoprire la vera
natura delle cose, è dando il nome alle cose che possiamo scoprirle per la prima volta (come
accadde ad Adamo, che, non conoscendo nulla, fu il primo a dare nomi alle cose).
Si può quindi dire che alla precisione scientifica della terminologia botanica e ornitologica usata da
Pascoli si va ad accostare una percezione del mondo più visionaria, il mondo viene ora visto
attraverso il velo del sogno e perde la sua oggettività.

Il Fanciullino:
La visione che Pascoli ha del mondo si rivela nel saggio "Il fanciullino", pubblicato sul "Marzocco".
In questa opera l'autore spiega come la figura del poeta coincida con quella del fanciullino
presente in ognuno di noi, che vede ogni cosa con meraviglia e stupore esattamente come fosse la
prima volta. Questo avviene proprio come avveniva per Adamo, infatti, anche il fanciullino utilizza
un nuovo linguaggio (la "novella parola") che permette di descrivere le cose andando nel loro
intimo e che fa sì che avvenga la loro riscoperta. Nella metafora del fanciullino, che tende a
rendere la poesia ricca di immaginazione, si può scorgere una concezione del mondo tipica del
romanticismo (periodo caratterizzato dall'esaltazione dei fanciulli e del loro modo ingenuo di
rapportarsi col mondo) che però Pascoli modifica, facendogli prendere una piega tipicamente
decadentista. È proprio l'atteggiamento che Pascoli assume mettendosi nei panni del fanciullino
che gli permette di cogliere l'essenza segreta delle cose, che sfuggirebbe alla normale percezione
delle cose. Un'altra caratteristica del fanciullino è la sua capacità di scoprire la trama di
"rispondenze misteriose" che unisce tutto ciò che appartiene al reale e che consente al poeta di
apparire come "veggente", dotato di una vista più acuta di quella di tutti gli altri uomini e che può
scoprire ed esplorare il mistero che va oltre alle apparenze sensibili del reale. Sono proprio queste
caratteristiche (insieme al fatto che il fanciullino permetta di sprofondare totalmente "nell'abisso
di verità" senza passaggio graduale) che fanno sì che sia palese l'appartenenza della poesia
pascoliana all'ambito decadente. Nonostante questo, Pascoli è l’esatto contrario del poeta
maledetto tipico del decadentismo, che rifiuta le regole della borghesia e si ribella ai valori della
società. Egli incarna, infatti, l’immagine del piccolo borghese, chiuso nella sfera limitante degli
affetti domestici.

La poesia “pura”:
È anche il concetto del fanciullino che permette di concepire la poesia di Pascoli come “pura”;
l’autore non tenta di “consigliare” il lettore, non si pone obblighi civili, morali o di propaganda e
non ha alcun fine. Nonostante questo, l’autore ritiene che proprio a causa del suo essere “pura”,
quindi assolutamente disinteressata e spontanea, possa ottenere un grande impatto sui lettori.
Citando Virgilio, che, come disse l’autore, fece poesia del tutto disinteressata insegnando ad
amare la vita e tentando di abolire le inutili guerre dell’uomo, Pascoli desidera dare vita al
“fanciullino” in ognuno di noi: è proprio la figura del “fanciullino” che permette di ridurre l’odio e
la violenza, spingendo l’uomo a compiere atti di bontà. Si può quindi dire che Pascoli, tramite le
sue poesie, voglia lanciare un messaggio sociale che invita all’affratellamento degli uomini, al di là
delle barriere e delle differenze di classe. Il poeta rifiuta la “lotta tra classi”, ripudiando il principio
aristocratico e classicista secondo cui è necessaria una separazione tra alto e basso (quindi tra
classi più abbienti e meno), accettando solo le prime. Pascoli trova che entrambe siano ricche di
poesia, come crede siano degni di attenzione sia gli argomenti più elevati che quelli più umili,
affermando quindi che la poesia è anche nelle piccole cose (che hanno pari dignità a quelle
auliche).

Le raccolte

Produzioni:
L’ordine della pubblicazione delle poesie di Pascoli non coincide con l’ordine nel quale sono state
composte. Infatti, nonostante negli anni Novanta il poeta scrisse molte poesie, queste saranno poi
pubblicate in diverse raccolte (Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio e Poemi Conviviali) nel
corso di quindici anni.

 Myricae, raccolta di liriche (1891)


 Nei primi anni del Novecento pubblicò diverse poesie su importanti riviste (“La Vita Nuova”, “Il
Marzocco”)
 Poemetti (1897, che vennero arricchiti in sucessive ristampe)
 Canti di Castelvecchio (nel 1903)
 Poemi Conviviali (nel 1904)

Myricae:
È la prima raccolta pubblicata di Pascoli e contiene 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Il titolo è
una citazione di Virgilio, che in suo poema proclama di voler innalzare il tono del suo canto
(rendendolo più aulico). Nel farlo, scrive che non a tutti piacciono piante umili come gli arbusti
(quindi paragonando la sua scrittura più semplice agli arbusti sopracitati). Pascoli, invece, utilizza le
piante umili come quelle citate da Virgilio come simbolo delle piccole cose che vuole porre al
centro della sua poetica.
I componimenti del Myricae sono molto brevi e carichi di sensi misteriosi e suggestivi, alludendo
ad una realtà ignota ed inafferrabile. Sono proprio queste atmosfere che spesso richiamano alla
mente l’idea della morte. I testi sono carichi di onomatopee ed è dato grande valore simbolico ai
suoni.
Due delle poesie pubblicate sul “Myricae” sono X Agosto, dove Pascoli scrive della morte del
padre, avvenuta la notte di San Lorenzo del 1867, e l’Assiuolo, dove viene descritto l’uccello
notturno.

X Agosto:
La poesia si compone di sei strofe di quattro versi ognuna. I versi sono decasillabi e novenari
(rispettivamente di 10 e 9 sillabe). Le rime seguono lo schema alternato (ABAB).
Dal punto di vista del senso e del contenuto la prima strofa si lega all’ultima, mentre le strofe
centrali si dividono in due dedicate alla rondine e due all’uomo. La prima strofa crea un senso di
aspettativa, di una rivelazione che avverrà nell’ultima strofa e che ci consegna un nuovo senso
della notte di San Lorenzo e delle sue stelle cadenti.
X Agosto è una poesia molto differente dalle altre presenti nella raccolta: non è un quadro di
natura, ma un discorso nel quale il poeta affronta i temi del male e del dolore, contrapponendo la
realtà terrena a quella trascendente. Sono presenti diverse allusioni cristologiche, come gli “spini”
tra cui cade la rondine, che ricordano la corona di spine di Cristo, e la croce che va a formare con le
ali l’uccello quando precipita al suolo: allude sia alla figura di Cristo sia a quella del padre che,
morendo, perdona i suoi uccisori proprio come il primo perdonava i suoi persecutori (il paragone
del padre a Cristo, che è un esempio di similitudine, viene fatto probabilmente per sottolinearne
l’innocenza e il martirio subìto da un uomo giusto per mano di persone malvagie).
Si possono trovare, nella poesia, diversi esempi di metonimia, ossia la figura retorica che permette
la sostituzione di un termine con un altro in rapporto stretto (“il suo nido…che pigola”, in realtà
non è il nido a pigolare ma i rondinini).
I temi principali ruotano attorno al concetto di decadenza, all’avversione nei confronti del
positivismo e della scienza, che è incapace di porre sollievo ai dolori umani. Nella poesia, Pascoli
imposta il problema in chiave metafisica e religiosa: ogni uomo che soffre è l’immagine di Cristo, e
il cielo piange sull’”atomo opaco del male”. Ma il tipo di religione menzionata non è in alcun modo
positivista, anzi, abbraccia pienamente il pensiero decadentista: il cielo non piange per purificare
la Terra, ma è impotente davanti a tutto quel male e si limita a compiangerlo. L’analogia tra la
rondine e l’uomo non è solo nel loro sacrificio, ma anche nel fatto che sono stati entrambi
violentemente esclusi dal nido.

L’Assiuolo:
La poesia, esteriormente, consiste nella descrizione di un paesaggio lunare, è composta da tre
strofe che si strutturano in modo analogo: la prima quartina rimanda immagini di quiete e serenità
mentre la seconda delinea immagini più inquietanti (angoscia, dolore, morte), presentano tutte e
tre rime secondo lo schema ABAB CDCD.
La prima strofa descrive il momento prima che sorga la luna, con il cielo perlaceo e la natura quasi
protesa nell’attesa della sua comparsa (della luna), come se essa possedesse una funzione magica
di purificazione. Nella seconda parte della strofa, invece, si delinea un’immagine più inquietante: il
nero di nubi in avvicinamento coprono il bianco dell’aura lunare e i lampi in lontananza. In questa
scena si ode il verso dell’assiuolo, descritto come “voce”, al quale Pascoli attribuisce diversi
simboli. Esso infatti rimanda sensazioni di malinconia e mistero.
La seconda strofa ripresenta immagini serene e distese, con il chiarore della luna ed il rumore del
mare. Anche qui si trova una nota misteriosa nella seconda parte, dove il poeta descrive un guizzo
imprecisato nella vegetazione e il successivo sussulto nel cuore dell’autore. Quella che prima era la
voce dell’uccello ora diventa un “singulto”.
La terza strofa è anch’essa in simmetria con le precedenti: all’inizio vi è nuovamente la luce lunare
seguita immediatamente dal rumore di cavallette e dal sospiro del vento che trema. Il singulto
dell’uccello, in questa strofa, si tramuta in un “pianto di morte”.
Si può dire che nella descrizione del canto dell’assiuolo c’è una progressione negativa: quella che
era semplicemente la «voce» dell’uccello suona poi come un «singulto», e infine il verso
dell’assiuolo si concreta in un «pianto di morte».
Nella poesia sono presenti allitterazioni (“fru fru tra le fronde”) ed è caratterizzata da un affollarsi
di sensazioni che, insieme agli elementi naturali, assumono valori di simboli (tra essi predomina il
grido dell’assiuolo (chiù)).

Canti di Castelvecchio:
Dal punto di vista tematico, i Canti di Castelvecchio si avvicinano a Myricae nell'attenzione
riservata al mondo naturale, che si fa portatore e simbolo del valore delle cose semplici e umili,
intese spesso come uno “schermo”, una protezione contro i lutti e i dolori del mondo, e come un
universo protetto dove ricostruire il proprio “nido” familiare.
La prospettiva rispetto a Myricae è però in parte diversa: se nella prima raccolta Pascoli descriveva
un microcosmo (come nell’Assiuolo) qui si privilegia il ciclo naturale delle stagioni, con il loro
alternarsi. La scelta per Pascoli ha valore simbolico: all’eterno ritorno del mondo naturale, che si
rinnova e rinasce, si contrappone il tema della morte (che ora appare come rifugio dolce in cui
sprofondare) e l’angoscia della vita individuale. Ricorre qui il motivo delle tragedie familiare e dei
cari morti, inoltre, è presente anche un continuo rimando al paesaggio di Castelvecchio, tipico
della sua infanzia. Viene anche trattato il concetto dell’eros (affascinante e ripugnate insieme,
come nel “Il gelsomino notturno”.

Il gelsomino notturno:
La poesia "Gelsomino notturno" fu composta da Giovanni Pascoli per le nozze di un amico e vi è
raffigurato il tema dell’unione dei due sposi e del conseguente germogliare di una nuova vita. Nei
versi è presente una metafora sessuale delicatissima. Il gelsomino notturno è fiore che si apre di
notte e di giorno si chiude. Il simbolismo pascoliano si esprime nel rapporto tra il fiore e la donna,
il fiore fecondato grazie alle farfalle notturne che ne trasportano il polline è metafora della donna
resa madre nell'unione con il compagno. 
L’elemento della narrazione è affidato a delle immagini e il poeta coglie il mistero che palpita nelle
piccole cose della natura. Si accorge che la notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono
fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando la vita consueta cessa. L’ora della
vita notturna è anche un’ora di malinconia per il poeta che prova un senso di esclusione. 
Il binomio vita e morte è evidente nell’immagine dei fiori notturni (come ricordo dei familiari
defunti), nelle farfalle crepuscolari (simbolo sia di vita che di morte) e nel nascere dell’erba sulle
fosse.
La lirica è composta di sei quartine di versi novenari a rima alternata, schema: ABAB.

La mia sera:
La poesia descrive la pace serale di un giorno tormentato da un selvaggio temporale; in questa
situazione meteorologica il poeta vede strette connessioni con la sua vita familiare, funestata
dal misterioso omicidio del padre quando egli era ancora fanciullo. Ritroviamo infatti il quadretto
naturalistico della campagna, il tema della famiglia e quindi dell’infanzia di Pascoli. L’andamento
del componimento è crescente infatti procedendo nella lettura, la sera sembra arrivare
trasmettendo sempre di più sensazione di tranquillità.
Va notata una precisa divisione della materia e degli argomenti della poesia, sia a livello delle
singole strofe sia a livello della struttura dell’intero testo. Ogni strofa è divisa quasi a metà a
seconda del tema che lì viene svolto: il confronto tra la furia della tempesta e la “pace” della sera
oppure tra la situazione esterna e il proprio dramma personale; fa eccezione solo la strofa
conclusiva, che conclude il discorso mettendo in rilievo i ricordi infantili del poeta. In una
prospettiva più ampia (quindi la struttura totale e generale della poesia), la suddivisione in due
parti è altrettanto precisa: i primi venti versi presentano la situazione meteorologica, mentre i
restanti presentano le analogie simboliche tra questa e lo “stanco dolore” che deriva al poeta dalla
della perdita del padre.
Tra le figure retoriche del testo troviamo naturalmente onomatopee (“c’è un breve gre gre di
ranelle”; “Don… Don… E mi dicono, Dormi!”), allitterazioni ed anafore (anche a lunga distanza,
come per la ripresa del termine “sera” in chiusura di ogni strofa) che sottolineano, insieme con lo
schema rimico, i termini-chiave della poesia, e li propagano come in un “effetto eco”. Non
mancano metafore (“La nube nel giorno più nera”).
Poemetti:
Sono componimenti più ampi rispetto a quelli di Myricae e hanno un taglio più narrativo. Anche
qui assume un importante ruolo la vita in campagna e la rappresentazione della vita contadina,
che permette al poeta di celebrare valori tradizionali come la solidarietà familiare, la bontà e la
purezza morale. Il mondo rurale e di campagna di Pascoli è molto distante da quello tipicamente
verista di Verga, infatti è incredibilmente idealizzato e idillico, al contrario di quello del secondo,
che si concentra sulla miseria e sulla degradazione umana.
Nei Poemetti Pascoli si sofferma su aspetti umili e quotidiani, descrivendo con accuratezza il lavoro
nei campi. Questo, però, non vuole avere funzione di documentario, a viene utilizzato dal poeta
per dar vita alla bellezza e alla poesia delle piccole cose quotidiane.

Ideologia politica

Dall’adesione al socialismo alla fede umanitaria:


Durante gli anni universitari Pascoli subì l’influenza del socialismo che andava dilagando. Questo
spirito anarchico era causato dalle ingiustizie della declassazione e dalle inquietudini dovute
all’avanzata della civiltà industriale, che toglieva sempre più prestigio alla cultura tradizionale.
L’autore, proveniente dalla piccola borghesia, declassato e impoverito, si ritrovava perfettamente
nello spirito ribelle che avevano tanti giovani del suo ceto, impegnati in proteste contro la società.
Le ingiustizie più grandi che Pascoli portava con sé e alle quali tentava di porre giustizia erano,
però, l’uccisione del padre, la caduta in povertà della famiglia ed il susseguirsi di lutti avvenuti negli
anni seguenti: tutto ciò gli sembrava frutto di un meccanismo al quale avrebbe posto rimedio
solamente ribellandosi. Finì, durante una manifestazione governativa, arrestato. Questo gli causò
profondissimi traumi.
L’anno in cui Pascoli fu processato fu anche l’anno della svolta socialista, che si avvicinava sempre
più alle ideologie di Marx. Pascoli, che desiderava ardentemente un affratellamento di tutti gli
uomini, non rinnegò gli ideali socialisti, ma li trasformò in una generica fede umanitaria. Il
Socialismo quindi diventa, per lui, un appello alla bontà e all’amore.
Secondo l’autore, per raggiungere l’armonia, ogni classe sociale avrebbe dovuto mantenere la
propria fisionomia e collocazione, ma avrebbe dovuto collaborare con le altre con fraternità e
amore. Era essenziale che tutti si accontentassero di ciò che avevano, ed essere felici anche del
poco.
Per Pascoli, però, il poco è preferibile al molto, ed il piccolo al grande, questo perché la felicità è
raggiungibile solo nel modesto podere. Con questo ragionamento il poeta mitizza il mondo dei
piccoli proprietari agricoli, ceto che, causa del capitalismo, stava sempre di più scomparendo.

Nazionalismo
L’ideologia di pascoli si basa sul concetto del nucleo familiare, che si raccoglie all’interno di una
piccola proprietà, ogni membro estremamente legato all’altro. Ma questo senso del nido, chiuso
ed esclusivo, si amplia ad abbracciare tutta la nazione. È qui che si collocano le radici del
nazionalismo pascoliano. Per questo motivo Pascoli risente molto del dramma dell’emigrazione:
l’italiano è costretto a lasciare la patria come colui che viene strappato dal nido.
La tragedia dell’emigrazione porta Pascoli a far proprio un concetto molto sviluppato dell’epoca:
esistono nazioni “capitaliste”, ricche e potenti, e azioni “proletarie”, povere e oppresse, che non
sanno sfamare i propri figli (come l’Italia). L’autore arriva quindi ad ammettere la legittimità delle
guerre condotte da nazioni proletarie, che diventano quindi non guerre d’offesa ma guerre di
difesa, portate avanti per dar lavoro ai loro figli più poveri e per tanto sacrosante.
Sulla base di questi principi Pascoli appoggerà la guerra in Libia (1911), celebrandola come
momento di riscatto dell’Italia.
Il poeta, quindi, fonde insieme socialismo umanitario e nazionalismo colonialistico.

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