Cesare Pavese è stato uno scrittore, poeta e traduttore italiano.
Riguardo la sua vita, dobbiamo ricordarci alcuni elementi fondamentali che andranno poi ad influenzare l’intera vita e poetica dell’autore. Il primo elemento è la nascita nelle Langhe cuneesi. Il secondo elemento è la perdita del padre in età infantile e strettamente collegato a questo episodio, si giustificano l’introversione e timidezza dell’autore che lo perseguiteranno per tutta la vita. Infine, ultimo elemento fondamentale è stata la condanna a tre anni di confino in Reggio Calabria a causa di attività antifasciste. Proprio durante questo confino nasce il racconto “Il carcere” ed “Il mestiere della vita”. La poetica di Pavese è caratterizzata da: - Linguaggio metaforico - Simbolismi che ci riportano ad immagini, gesti e parole - Sintassi semplice quasi come se le sue opere fossero un discorso parlato a volte anche dialettale, rendendo il linguaggio fortemente sperimentale All’interno della poetica di Pavese ritroviamo delle coppie di elementi contrapposti con forte valore simbolico: - Città e campagna - Ozio e lavoro - Uomo e donna - Infanzia e maturità Tutto ci riporta a dei conflitti interiori del poeta, dei disagi e delle fragilità psicologiche che prendono le proprie radici dagli anni giovanili e dal forte senso di solitudine sofferto. Oltre a queste coppie di temi cardine della poetica di Pavese, ritroviamo in tutte le opere, la riflessione sul mito, maggiormente approfondita in un saggio teorico, risalente al periodo dopoguerra, chiamato “Il Mito”. All’interno del saggio, Pavese afferma che il mito è una trasfigurazione di un’esperienza a contatto con il mistero o con il sacro, la quale rimane unica ed eccezionale acquistando quindi un valore eterno. È il caso, di tutte le esperienze infantili, riconosciute dallo scrittore come qualcosa di privilegiato e straordinario, poiché tutto durante il periodo infantile avviene per la prima volta in modo spontaneo ed inconsapevole. Proprio per questo il mondo infantile per il poeta viene visto come uno dei momenti della vita in cui l’essere umano è a stretto contatto con tutto ciò che è più naturale, primitivo e selvaggio, da cui prende vita il mito. Quindi l’uomo avrà sempre un ritorno a tutte quelle esperienze infantili, alle radici, le quali segneranno il suo percorso. Altri concetti chiave all’interno della poetica di Pavese sono: - la solitudine, tratto caratterizzante della vita stessa dell’autore - il ritorno alle origini, ad esempio il ritorno di Anguilla, protagonista de “La luna e i falò”, che torna dopo anni di migrazione in America, nei paesi delle langhe in cui era cresciuto. Questo è anche il caso dell’autore, il quale dopo anni di emigrazione in America, dopo una delusione amorosa, torna verso le sue radici nelle Langhe piemontesi. Questo perché l’autore interpretava l’andare avanti nella vita come un allontanarsi sempre di più da sé stessi e dalle proprie origini e quindi tornare a casa, verso le proprie radici, è proprio come cercare di riprendere in mano sé stessi e recuperare il tempo perduto, sfortunatamente sempre fallendo. Infatti, il ritorno a casa per Anguilla è molto deludente, scoprendo che ciò che aveva lasciato non esisteva più; infatti, la cascina della Gaminella in cui era cresciuto insieme a Virgilia, Padrino e le loro due figlie era ormai abitata da un uomo violento, Valino; che Padrino era stato costretto a fare l’elemosina in mezzo alla strada fino alla morte e che le sue due figlie si erano ormai sposate. Anguilla ebbe una sorte altrettanto deludente tornando alla fattoria delle more in cui si era spostato alla morte di Virgilia ed al trasferimento di Padrino e le figlie, dai 13 ai 18 anni. Infatti, scopre che a gestire la fattoria insieme a Sor Matteo non c’erano più le tre figlie Silvia, Irene e Santa; la prima destinata ad un matrimonio violento, la seconda morta durante il travaglio e la terza, di cui Anguilla era sempre stato segretamente innamorato, giustiziata per aver fatto da spia sia per i tedeschi che per i partigiani. Dialoghi con Leucò Sono una serie di 27 dialoghetti mitologici composti tra il 1945 ed il 1947, in cui i protagonisti sono dei Titani, ninfe, eroi, elementi naturali che dialogano tra loro commentando le storie dell’antina mitologia greco-latina. Anche qui si possono riconoscere i temi principali della poetica di Pavese quindi: l’infanzia e la maturità, la fine dell’innocenza e la solitudine, la natura umana selvaggia e la società degli uomini, il sesso e il sangue, il fondo della natura umana e l’ispirazione alla serenità olimpica, il destino e la morte. In tal modo il mondo appare in una continua metamorfosi: vi è riflesso tutto il diagramma del mito, dal caos primigenio e alla lotta fra divinità primordiali e i nuovi dèi olimpici, alle molteplici avventure degli dèi, degli eroi, degli uomini mescolati fra loro, che si conoscono e si insidiano, si amano e combattono in una miriade di storie, uomini che aspirano ad essere immortali, divinità che sentono il fascino della temporalità. Eppure, tutto porta I segni di un oscuro destino superiore, da cui non riescono a liberarsi. GLI DÈI - (9-11 marzo 1947) In principio era il Verbo Genesi Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus Umberto Eco, Il nome della rosa Il nome non è l'ente, non è fondamento del reale Aristotele Il nome e la cosa nascono insieme Cesare Pavese (Per Eco e Aristotele il nome è da considerarsi senza effetto ai fini dell'esistenza – la rosa comunque ci sarebbe) A mo' di postfazione, Pavese riassume i temi dei Dialoghi e dà loro una – provvisoria, forse – sistemazione. È il dialogo più all'unisono. Due amici, inerpicandosi sulla montagna, si pongono domande non da poco, l'uno quasi a sostegno dell'ipotesi dell'altro. Veri amici, stupiti di fronte al fascino delle cose che compaiono davanti a loro? Personalmente preferisco immaginare una ascesa solitaria e un colloquio con sé stesso. Le risposte ai quesiti sono nel consueto linguaggio di Pavese, “ellittico”, per dirla con Calvino. C'è differenza c’è fra mito e realtà? Intorno a noi vi è ancora il mondo selvaggio, primordiale? Passo dopo passo io o gli scalatori sprofondano nel mondo simbolico, nelle credenze più antiche, sempre riemergenti. Non erano più superstiziosi di noi, i nostri antenati. Erano uomini come noi, che cominciarono a raccontarsi storie fatte di simboli, nel tentativo, urgente per chi si pone problemi esistenziali (tutti gli uomini e le donne, nessuno escluso), di ottenere risposte dal mondo esterno elaborate dall'immaginario umano. Una cosa è certa: questi nostri lontani antenati “non avevano tempo né gusto per perdersi in sogni”. Narravano quel che vedevano, cose incredibili, ma non si stupivano più di quanto oggi quando sentiamo affermare le banalità più evidenti. E non erano folli, lo siamo noi se non riusciamo a cogliere, in questi luoghi rarefatti un vuoto, come di attesa. Se a questa attesa diamo un nome, se la leghiamo a una storia “l'alito del vento ha più fragore di una bufera dentro il bosco”. Allora quel che una volta è stato tornerà ad essere per sempre. Le domande che la mente si pone di fronte al disagio vanno inevitabilmente oltre la banalità, emergono come quesiti essenziali. Più sofferenza esige più speranza. Quel che cercarono di tramandarci gli antichi è che c'è qualcosa che a noi sfugge. Non il cibo o il benessere: l'incontro col mistero che è in noi, che siamo noi stessi. Per seguire ancora la metafora dell'ascesa in montagna si potrebbe dire che, per Pavese, la nostra era ci coglie, per così dire, a metà percorso. Sta a noi scegliere se salire o ridiscendere. Condizione essenziale per andare avanti è non espungere la nostra origine caotica. Il mostro che abbiamo parzialmente messo a tacere va riconosciuto e, in qualche modo, anche onorato, come insegna Euripide nelle baccanti.
L'ISOLA – (8-11 settembre 1946) - L'UOMO ODISSEO E COLEI CHE SI NASCONDE
Calipso è una ninfa, in alcune versioni figlia del Sole e di Perseide, una sorella di Circe. Vive in una grotta profonda nell'attuale Circeo, allora circondato dal mare. Tutto lì è splendido: giardini spontanei, frutti, fiori, sorgenti, un bosco sacro. Fila e tesse con le schiave (ninfe), cantano mentre lavorano. (Kerènyi, FS) E' la felicità? La condizione è molto diversa e viene allo scoperto nel confronto con Odisseo. Le parole non hanno lo stesso significato per chi “accetta l'istante che viene e l'istante che va, non conosce il domani, non spera di vivere né di morire”. L'ebbrezza, il piacere, la morte, non hanno scopo se non in sé. Per Odisseo, invece, è immortale chi non teme la morte. Smania, non vuole accettare una sorte predeterminata, come i vecchi dei che il mondo ignora, sprofondati nel tempo come le pietre, come Calipso stessa. Non sfugge al rimpianto perché crede nel divenire, crede nel ritorno dei giorni felici. Calipso ascolta il silenzio, il nulla, perché crede che nulla torni ad essere. E' ormai quasi-nulla essa stessa, un'ombra. Quando Odisseo partirà sarà un risveglio, da lei temuto come dagli umani la morte