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Giovanni Pascoli (31 dicembre 1855 - 6 aprile 1912)

Movimento letterario: Decadentismo, in parte anche Simbolismo


Opere principali : Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi conviviali, Il fanciullino

Vita

 1855. Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna.


 1862. Entra nel collegio degli Scolopiti a Urbino, dove riceve una formazione classica.
 1867. La morte del padre rompe la serenità familiare, l’anno successivo muore la madre e poi
la sorella e due fratelli.
 1873. Pascoli studia Lettere a Bologna e si avvicina al Socialismo. (idee politiche)
 1979. Viene arrestato durante una manifestazione e trascorre alcuni mesi in carcere; questa
esperienza lo allontana dall’azione politica.
 1882-95. Insegna in vari licei italiani. Vive con le sorelle Ida e Mariù, con cui ricostruisce
quel nucleo familiare che aveva perso da ragazzo, ma questo lo allontana dal mondo esterno e lo fa
chiudere nel suo pessimismo.
 1895-1904. La sorella Ida si sposa e Giovanni Pascoli vede in questo un tradimento del nido
familiare. Soggiorna spesso a Castelvecchio, vicino Lucca, dove trascorre vita appartata e di
campagna, e inizia la sua carriera di professore universitario, prima a Bologna, poi a Messina e
Pisa.
 1905. Subentra a Giosuè Carducci nella cattedra di letteratura italiana dell’Università di Bologna.
Nel frattempo la sua fama di poeta si è ormai consolidata.
 1911. Ormai figura di spicco nel panorama culturale italiano, Pascoli pronuncia il discorso La
grande proletaria si è mossa, con il quale esprime il suo appoggio alla guerra coloniale.
 1912. Muore a Bologna.

Opere:

(1891), è la prima raccolta di poesie Pascoli: canta la natura, la semplicità virgiliana dei
sentimenti, il proprio dolore per le sventure familiari e per la vita. Come le altre raccolte poetiche di
Giovanni Pascoli, Myricae andrà espandendosi con nuovi componimenti nelle edizioni successive: dalle 22
poesie della prima edizione si arriverà alle 156 dell’ultima.

: Il titolo dell'opera, "Myricae" appunto, è stato scelto dall'autore per diversi


motivi: le tamerici rappresentano l'infanzia dell'autore, in quanto egli ha vissuto nella campagna emiliana.
Parlando delle tamerici egli dimostra poi di prendere spunto dai versi virgiliani (4° BUCOLICA), mostrando
così la sua vasta cultura classica. Pascoli vuole poi far vedere che egli non ha bisogno di cantare grandi cose
per rendere belle le sue poesie, scegliendo delle umili tamerici e temi agresti come centro della sua opera.
Nella scelta di questo titolo Pascoli mostra la volontà di mettere al centro delle sue poesie le piccole cose.
Myricae raccoglie in prevalenza componimenti brevi, che ritraggono la vita campestre e la natura attraverso
immagini, suoni, colori e impressioni. Gli oggetti intorno ai quali il poeta si concentra si caricano di valenze
simboliche. A questo si aggiunge l’immagine ricorrente dei familiari morti del poeta.

Qui Virgilio descrive l’arrivo venturo di un puer (le cui identificazioni sono state molteplici: dal figlio del
protettore Asinio Pollione fino addirittura a Gesù Cristo) che sarà il portatore di una radicale rivoluzione
futura della vita degli uomini, che potranno godere di un’età straordinaria di pace e benessere dopo il
periodo tragico delle guerre civili (nuova età dell’oro).
Sono già presenti le caratteristiche principali del LINGUAGGIO POETICO PASCOLIANO.
-Onomatopee, come il “bubbolìo” del primo verso della poesia Temporale.
-Valore simbolico dei suoni, o fonosimbolismo, come la ripetizione di suoni cupi come la “o” o la “u” al
fine di creare un’atmosfera di tristezza e mistero.
-Linguaggio analogico, che crea una fitta rete di collegamenti tra le cose, ad esempio nella poesia XAgosto
le immagini della rondine e dell’uomo sono legate per analogia.
-Sintassi frantumata, fatta di frasi brevi e prive di elementi di connessione.
-Combinazioni metriche inedite, che Pascoli chiamerà “metrica neoclassica” e che si concretizza in un
ritorno alla metrica greca adattata alle esigenze della lingue italiane e alla volontà del poeta

Poemetti (1897)

Componimenti più lunghi e dal tono più narrativo. Pascoli utilizza la terzina dantesca.

Sono componimenti più ampi di quelli di Myricae e di tono meno lirico e più narrativo. Sono racconti in
versi in cui il poeta, attraverso le vicende di una famiglia contadina, celebra la piccola borghesia
campestre, in cui risiedono valori come la solidarietà, la laboriosità, la saggezza, la bontà e la purezza
morale.

La vita contadina, con i suoi ritmi ripetitivi e il suo piccolo mondo protetto, appare a Pascoli un rifugio
contro i mali del mondo e della storia. Le poesie si dividono in cicli, ognuno dei quali intitolato a una delle
operazioni dei campi. Nei Poemetti sono presenti anche temi più inquietanti, carichi di significati
simbolici, che evocano atmosfere notturne e rimandano al tema della morte.

Dal punto di vista metrico si nota, a differenza di Myricae, l’uso della terzina dantesca. Il linguaggio rimanda
alla poesia epica e conferisce eroicità ai personaggi della campagna.

Canti di Castelvecchio (1903)

Il ritorno alla poesia delle piccole cose

Giovanni Pascoli definisce queste poesie come delle Myricae, collegandole dunque alla sua prima raccolta.
Ritornano le immagini naturali e la vita di campagna e si torna al verso breve e alla dimensione lirica, che
Pascoli aveva abbandonato nei Poemetti. Nella natura il poeta cerca una consolazione al dolore; lo
capiamo dalla riproposizione dei temi del lutto familiare e della morte.

Dal punto di vista dei paesaggi viene presentato sia Castelvecchio, il paese nel quale il poeta si rifugia nei
momenti di riposo e al quale rimanda il titolo, sia il paese natale, luogo del nido perduto. Non mancano
anche qui i temi più morbosi, che rimandano alle segrete ossessioni del poeta: il sesso, vissuto col
turbamento di un fanciullo, e la morte, come rifugio ultimo.
Poemi conviviali (1904) Il mondo antico carico delle angosce della modernità

Il titolo deriva dal fatto che la maggior parte di queste poesie furono pubblicate sulla rivista «Il Convito». Si
tratta di poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antica, dalla Grecia fino al
Cristianesimo delle origini: vi compaiono personaggi come Achille, Ulisse, Elena, Solone, Socrate,
Alessandro Magno. Il linguaggio di Pascoli mira qui a riprodurre in italiano la poesia classica, ma sotto le
vesti classiche appaiono i temi consueti della poesia pascoliana. Il mondo antico non si presenta immobile
e perfetto, ma carico delle angosce della modernità.

PASCOLI E IL DECADENTISMO La poesia di Giovanni Pascoli si inserisce all’interno del Decadentismo,


movimento letterario che si diffonde alla fine dell’800 e che si basa sulla percezione del presente come
epoca di decadenza e su un ritorno all’irrazionale dopo le certezze del Positivismo.

INFO! DECADENTISMO Il Decadentismo vede la luce in Francia negli anni Ottanta dell’800 e prende il nome
dalla rivista “Le Décadent” che assume il ruolo di portavoce di una generazione di poeti maledetti, tra cui
Charles Baudelaire, le cui opere esprimevano uno stato d’animo estremamente diffuso nella cultura del
tempo e caratterizzato dal senso di disfacimento e decadenza, dalla perdita di ogni speranza e di
compiacimento autodistruttivo che preparavano ad un imminente crollo della civiltà e della vita.

Visione del Mondo Il Decadentismo è il movimento che meglio incarna le contraddizioni della società
capitalistica, ormai giunte a piena maturazione e si sviluppa in forte contrapposizione al positivismo che
legge la realtà come un insieme di fatti regolati da leggi meccaniche e finalizzate alla crescita e a un
armonioso e inarrestabile progresso. Proprio per questo il Decadentismo sostiene che:

-l’essenza della realtà è inconoscibile, è misteriosa, ambigua, indecifrabile e può essere compresa solo
liberandosi di una struttura razionale di pensiero;
-proprio per questo, il poeta decadente ricerca quelle condizioni di perdita di sé, come l’allucinazione, la
malattia, il delirio, la pazzia, il sogno e l’incubo che consentono di entrare in contatto con l’assoluto e
l’inconoscibile;
-per favorire queste condizioni, il poeta ricorre spesso a strumenti artificiali come l’alcool, l’assenzio, le
droghe, l’hashish, l’oppio, la morfina che permettono un’amplificazione delle facoltà umane e stimolano la
creatività artistica;
-il poeta è un profondo conoscitore della natura e riesce a entrare in contatto con la realtà profonda delle
cose attraverso le cosiddette epifanie, ovvero apparizioni e manifestazioni, innescate da dettagli
insignificanti;
-c’è un legame profondo tra tutti gli aspetti della realtà che è individuabile attraverso una serie di rimandi e
indizi, articolati in una rete che può essere colta solo in un momento di abbandono, attraverso visioni e
illuminazioni, senza continuità e certezze;
-ogni oggetto reale allude e rimanda a una dimensione più profonda e complessa, attraverso quelle che
Charles Baudelaire, ne I Fiori del Male, chiama corrispondenze;
-lo stretto legame tra tutte le cose e la rete di corrispondenze che struttura la realtà sfocia in visione
religiosa e filosofica assimilabile al Panismo che auspica l’annullamento di ogni cosa in qualsiasi altra e di
Dio o dello Spirito nella materia e nella natura che assume tratti divini;
-l’inconscio viene scoperto e valorizzato come la dimensione più vera in cui i poeti affondano se stessi, per
ritrovare l’essenza della realtà e la verità, anche se non studiato scientificamente come farà Freud
nell’Interpretazione dei Sogni. (collegamento con filosofia)
Positivismo
Della sua formazione positivista rimane nella poesia di Giovanni Pascoli la precisione nell’uso dei nomi di
animali e piante e l’attenzione alla correttezza scientifica. Famoso il passo in cui Pascoli rimprovera
Leopardi per aver messo in mano alla donzelletta di Il sabato del villaggio un mazzo di rose e viole, cosa
impossibile dal momento che rose e viole non fioriscono nello stesso periodo. Ma in lui si riflette anche la
crisi della scienza tipica della cultura di fine secolo, che sfocia in tendenze spiritualistiche. Nella scienza egli
non vede più lo strumento principale di conoscenza.
PASSO ROSE E VIOLE – IL SABATO DEL VILLAGGIO
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Analisi e figure retoriche:
https://blog.graphe.it/2015/11/10/il-sabato-del-villaggio-leopardi-parafrasi-figure-retoriche
Dopo la crisi del Positivismo la poesia di Giovanni Pascoli si apre all’ignoto e al mistero e cerca di decifrare i
messaggi enigmatici della natura. La rappresentazione degli oggetti non risponde a un’adesione verista
alla realtà. La soggettività del poeta li carica di valenze simboliche, rimandano a qualcosa di ignoto e
misterioso che si situa al di fuori di essi. Si vengono a creare legami segreti tra le cose, le corrispondenze
di cui parla Baudelaire, che solo possono essere colte abbandonando la logica.

La conoscenza diventa intuitiva, non più razionale. Simbolo, corrispondenze e irrazionalismo legano
indissolubilmente Pascoli alla cultura decadente.

PESSIMISMO

Il pensiero di Giovanni Pascoli è radicalmente pessimista e si basa sulla convinzione che la vita umana sia
dominata dal dolore e dal male. Questa visione porta il poeta a invocare la fratellanza: gli uomini, vittime
della loro infelice condizione, devono smettere di farsi del male tra loro e unirsi contro gli ostacoli della vita.
La sofferenza per Pascoli purifica ed eleva l’uomo, che dal dolore deve saper approdare al perdono. Pascoli,
rievocando nelle sue poesie l’uccisione del padre, si presenta come vittima del male del mondo, ma rifiuta
ogni vendetta.

POESIA PURA*

Per Giovanni Pascoli la poesia deve essere pura, non deve avere fini pratici, secondo una concezione tipica
dell’Estetismo. Il poeta scrive per il piacere di scrivere e di creare qualcosa di bello, non per consigliare o
ammonire i lettori. Tuttavia Pascoli aggiunge qualcosa rispetto alla poetica dell’estetismo: per lui la poesia,
proprio nel momento in cui diventa pura e disinteressata, assume un’utilità morale e sociale. La sua poesia
predica la non violenza e si oppone all’odio tra gli uomini, invocando la fratellanza. La poesia pura di Pascoli
è portatrice di un grande messaggio sociale, che prende la forma di un’utopia umanitaria, il sogno
irrealizzabile di un mondo migliore.

Atteggiamento del gusto e del pensiero che, ponendo i valori estetici al vertice della vita spirituale,
considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell'individuo; fa parte del
più vasto fenomeno del decadentismo.
//ESTETISMO

Atteggiamento del gusto e del pensiero che, ponendo i valori estetici al vertice della vita spirituale,
considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell'individuo; fa parte del
più vasto fenomeno del decadentismo. L'estetismo è un rifiuto reazionario e sdegnoso della realtà, della
democrazia, della società borghese per rifugiarsi in uno sprezzante isolamento, in una vertiginosa solitudine
che ha però come conseguenza la sconfitta dei suoi eroi freddi e intellettualizzati. Agli occhi dell'esteta,
l'arte è il solo valore autentico dell'esistenza; perciò egli costruisce la propria vita come un'opera d'arte;
perennemente alla ricerca della bellezza, egli rigetta ogni considerazione morale, ogni dovere imposto dalla
società umana. Tutto ciò che riguarda la forma esteriore deve essere bello, esuberante, lussuoso, e questo
riguarda ogni aspetto della vita, dal modo di vestirsi, al modo di arredare anche un salotto, ai temi delle
opere letterarie che il poeta scrive. Troveremo in queste opere grandi amori passionali, una forte
esaltazione della natura incontaminata, dei racconti tratti da una vita aristocratica e mondana, carica di
eccessi e soprattutto di disgusto verso ogni cosa banale e volgare. L’estetismo è quindi una continua ricerca
di ciò che appare bello ai sensi e che deve quindi essere lontano dalla sobrietà borghese e dall’ignoranza
delle masse incolte. I maggiori rappresentanti dell’estetismo sono Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio, in
Italia.

ESTETISMO COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI:

Schema introduttivo: "Vivere la propria vita come se fosse un'opera d'arte". “O si è un’ opera d’arte,o la
s’indossa”.
FILOSOFIA: SOREN KIERKEGAARD ---> Le possibilità della scelta: vita estetica, vita etica, vita religiosa.
La dimensione estetica consiste nel rifiutare o rimandare la scelta ---> E' la disperazione di Don Giovanni
che pur avendo posseduto infinite donne sente di non averne avuta realmente nessuna --> ogni concezione
estetica della vita è disperazione.
Italiano:
D’Annunzio---> il “Piacere”
- Andrea Sperelli, un giovane “impregnato d’arte” che è descrizione di D’Annunzio stesso e del suo ideale di
vita.
- La vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in
opera d'arte.
-Nei confronti del "doppio letterario” D'Annunzio ostenta un atteggiamento impietosamente critico.
INGLESE: Oscar Wilde---> Dorian Gray ,a dandy, who embodies Wilde’s own idea of beauty
The last chapter : the picture at the ends remains beautiful ---> art is immortal, survives people and is free
from any moral purposes ---> preface
BAUDELAIRE ---> Ricerca la perfezione della forma ed ha il culto della bellezza.
“Les fleurs du mal” I fiori del male:il titolo significa che vuole estrarre la bellezza dal male --->come base
della poesia c’è lo “spleen” (stato di depressione,noia,di disgusto per il mondo in cui vive ) ---> conduce una
vita da dandy ---> gusto per il lusso e oggetti d’arte --->debiti.
In inglese//
Aestheticism was a literary movement which developed in whole Europe by the middle of the 19th century,
as a reaction against the utilitarianism and the moral restrictions of the Victorian Society .
It originated in France about 1835. Adopting Gautier’s slogan “Art for Art’s sake”, the aestheticism broke
with the conventions of the time and gave free rein to imagination and fantasy. The early members of the
movement chose to live and extravagant “vie de Bohème”: a life spent in the pursuit of sensation and
devoted to the cult of art and beauty, sometimes marked by excesses, but always rich in creative energy.
In painting, the Aesthetic theories led (ha portato) to impressionism, where the artists chose what they
called “pure painting” where sentiment or moral judge were subordinated to colour and the pattern
(modello) of light and shadow.
In literature, Aestheticism was full of Hedonism and slowly became what is known (e lentamente divenne ciò
che è conosciuto) as Decadentism, between 1880 and 1890. After this period, in France was replaced by the
term “Symbolism”.
POESIA PURA*

Per Pascoli la poesia non deve avere fini estrinseci, pratici; il poeta canta solo per cantare, non vuole
assumere il ruolo di «consigliatore» e di «ammonitore», non si propone obiettivi civili, morali, pedagogici,
propagandistici.

Il Simbolismo di Pascoli

Giovanni Pascoli si inserisce in questo movimento in modo più pacato: non conduce una vita sfrenata,
tutt’altro! Dovremmo immaginarlo come un signorotto rotondetto tutto dedito agli studi, provato da una
vita di lutti (i suoi famigliari muoiono uno ad uno finché non rimane solo con sua sorella) e per questo il suo
Simbolismo cerca nella natura un simbolo dell’infanzia perduta: la figura principale della sua poesia è il nido
e la sua poetica è definita “del fanciullino”. Pascoli intende con questo il modo in cui il poeta dovrebbe
guardare il mondo, come un bambino appunto che per la prima volta si sorprende davanti alle bellezze del
mondo naturale.

POETICA DEL FANCIULLINO


Un discorso a parte merita il saggio Il fanciullino (1897), in cui Giovanni Pascoli espone la sua poetica.
*Punti principali*
Il poeta deve porsi nell’ottica del fanciullino e comportarsi come se vedesse le cose per la prima volta, con
stupore.
Per descrivere questo nuovo mondo egli deve usare un nuovo linguaggio, svincolato dai meccanismi della
comunicazione abituale e che vada all’intimo delle cose, riscoprendole.
La poesia diventa una conoscenza prerazionale, immaginifica, intuitiva e non logica. L’atteggiamento
irrazionale in Pascoli non determina un abbandono al sogno, ma anzi porta a uno scavo profondo nella
realtà e permette di conoscere le cose direttamente, senza la mediazione della ragione.
Il poeta-fanciullino è in grado di cogliere le somiglianze e le relazioni tra le cose, le corrispondenze che
vengono a creare una rete di simboli.
Il poeta è un veggente, dotato di una vista più acuta degli altri uomini e può spingere lo sguardo oltre le
apparenze ed esplorare il mistero.
Corrispondenze:

La sensibilità poetica dei Fiori del male e la sua tensione alla “poesia pura” anticipa anche soluzioni e scelte
stilistiche di poeti e correnti dei decenni successivi: su tutte, c’è la convinzione radicale che l’arte, per
sondare gli aspetti più reconditi dell’inconscio umano, non possa procedere per schemi razionali, ma
debba privilegiare le associazioni implicite ed analogiche tra le cose, secondo un procedimento a-
razionale (presenti in D’Annunzio e Pascoli) che sfrutta il potere evocativo delle parole e delle immagini.
“Manifesto” di questa poetica è appunto la poesia Corrispondenze, in cui lo sguardo del poeta individua
misteriosi punti di contatto tra la Natura e la sua coscienza. Le “corrispondenze” individuate dalla poesia
sono così il punto di partenza per l’ascensione verticale dalla realtà concreta ad un mondo ideale e
superiore:

La Natura è un tempio dove vivi pilastri ( Personificazione - Analogia )


lasciano talvolta scaturire confuse parole; ( Metafora )
l’uomo l’attraversa tra foreste di simboli ( Metafora )
che l’osservano con sguardi familiari:

Come da lontano lunghi echi si confondono


in fonda unità tenebrosa
vasta come il chiarore e la notte, ( Similitudine )
così i profumi, i colori e i suoni si rispondono.

Profumi freschi come la carnee dell’infanzia, (Sinestesia – Similitudine )


dolci come l’oboe, verdiI come i prati, (Sinestesia – Similitudine )
- e altri, ricchi, trionfanti e putrefatti, ( Sinestesia)

esalanti l’abbandono delle cose infinite:


l’incenso e l’ambra, il muschio e il benzoino, ( Analogia )
che cantano lo slancio dell’anima e dei sensi. ( Analogia )

FIGURE RETORICHE:

Anafora: ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati o di segmenti di essi.


Antitesi: si pongono in contrapposizione idee tra loro opposte.
Ossimoro: due termini tra loro opposti sono uniti in un unico sintagma.
Personificazione: raffigurazione di animali, cose o entità astratte come se fossero persone.
Similitudine: paragonare fra di loro due persone, animali, cose, azioni, avvenimenti, ecc. in base a
somiglianze che si individuano fra i due termini.
Ipallage: attribuire ad un elemento della frase un attributo o un verbo che logicamente andrebbe rivolto a
un altro elemento.
Metafora: usare un termine o un concetto nel suo significato proprio, sostituendolo con un altro con cui
abbia dei rapporti di somiglianza.
Sinestesia: accostamenti di aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse.
Analogia: procedimento logico con cui si cerca di estendere l'applicabilità di talune proprietà o regole da un
caso noto e definito, ad altri casi che presentino aspetti di ragionevole somiglianza.
SPLEEN
Quando il cielo basso e greve pesantemente incombe ( Anafora – Antitesi )
sullo spirito che geme in preda a lunghe pene, ( Antitesi )
e serrando tutto il giro d’orizzonte versa
una luce nera più triste della notte; ( Ossimoro )

quando la terra si trasforma in umida cella, ( Anafora )


dove la Speranza, come un pipistrello, (Persinificazine- Similitudine )
sbatte contro i muri con le timide ali ( Ipallage)
e urta con la testa nei soffitti marciti;

quando la pioggia spiegando le sue immense strisce ( Anafora )


imita le sbarre di una prigione smisurata ( Similitudine )
e un muto popolo di ragni si mette, infame ( Personificazione - Analogia )
a tessere la sua tela dentro il nostro cervello, ( Analogia )

con furia all’improvviso esplodono campane


lanciano verso il cielo un urlo orrendo ( Metafora )
che sembra il gemito ostinato ( Similitudine )
di erranti spiriti senza patria.

- E senza musica né fanfara, lunghi carri funebri ( Metafora )


sfilano lentamente nella mia anima; sconfitta
piange la Speranza e, dispotica, l’Angoscia atroce ( Personificazione )
Sul mio cranio arreso pianta il vessillo nero. ( Ipallage)

Il termine "spleen", che rappresenta uno dei temi centrali della poesia di Baudelarie, corrisponde
all'italiano noia, intesa, però, nell'accezione più piena e profonda di noia esistenziale. Il senso complessivo
del testo è semplice: la descrizione, ottenuta attraverso la personificazione di alcuni stati d'animo,
dell'angoscia che schiaccia, nella mente del poeta, tutti gli altri pensieri. Le caratteristiche principali, invece,
sono due: l'antitesi fra simbolismo e realismo (immagini vivide e concrete che stanno a simboleggiare
altro) e l'accostamento di elementi dotati di scarsa dignità letteraria e lo stile elevato con cui il poeta ne
parla.
Elementi riassuntivi di Pascoli
La natura e la campagna
L'idealizzazione della realtà popolare e della vita contadina
La descrizione della natura e della vita contadina, dei suoi oggetti e dei suoi ritmi sono al centro di tutta la
produzione di Giovanni Pascoli. Il poeta vede il suo ideale in una forma di vita che sta scomparendo. A
differenza del Verismo di Verga, Pascoli ignora gli aspetti più crudi della realtà popolare e la idealizza. Egli
preferisce concentrarsi sulle piccole cose di quel mondo e si pone nell’ottica stupita del fanciullino che vede
tutto per la prima volta. Con lo stesso sguardo stupito Pascoli si sofferma sugli eventi naturali, li spoglia dei
loro significati oggettivi e gliene conferisce di nuovi e simbolici.
Le piccole cose
Anche le piccole cose sono degne di essere cantate dalla letteratura, al pari dei miti e degli eroi antichi
Il mondo poetico pascoliano appare frantumato in tanti piccoli oggetti, brevi immagini, lampi di luce, scie di
odori, pensieri che appaiono e scompaiono all’improvviso. Di questo mondo visto a scatti Giovanni Pascoli
descrive le piccole cose.
Il poeta rifiuta il principio classicista che divide tra temi alti e bassi e non ritiene questi ultimi degni della
poesia. Per lui la poesia è anche nelle piccole cose, che hanno la stessa dignità di quelle grandi. Così si
ricollega al principio romantico per il quale ogni elemento della realtà è degno di entrare in letteratura e si
fa cantore del mondo contadino allo stesso modo in cui canta le glorie nazionali ed evoca i miti e gli eroi
antichi.
Vicende autobiografiche
Al centro di molte poesie di Giovanni Pascoli ci sono le sue vicende autobiografiche, in particolare la morte
dei suoi familiari. Importantissima l’immagine del nido distrutto, che il poeta cercherà per tutta la vita di
ricostruire. Nella poesia X Agosto, probabilmente la sua più bella, il poeta rievoca l’uccisione del padre,
accostandola a quella di una rondine e al martirio di Cristo sulla croce.
Quello che bisogna sottolineare è che Pascoli parte dalle proprie vicende personali per arrivare alla
condizione umana in generale. Così è anche per il suo pessimismo: nel proprio dolore egli vede il dolore di
tutta l’umanità e si attiva per porvi rimedio, seppur attraverso una visione utopistica.
X AGOSTO
Figure Retoriche
Allitterazioni “Lorenzo, stelle, tranquilla”; “Ritornava una rondine” (v. 5); “pigola sempre più piano” (v. 12);
“attonito addita” (v. 19); “atomo opaco” (v. 24);
Anafore: “ora è là, come in croce…/ ora là, nella casa…” (vv. 9 e 17); “che tende…/ che attende… / che
pigola”(vv. 9-12); “l’uccisero: cadde tra spini… l’uccisero: disse: Perdono” (vv. 6 e 14);
Epizeusi “aspettano, aspettano invano” (v. 18);
Apostrofe “San Lorenzo” (v. 1); “E tu, Cielo” (v. 21);
Anastrofi “Ritornava una rondine al tetto” (v. 5); “di un pianto di stelle lo inondi” (v. 23);
Metonimia “nido… / che pigola” (vv. 13-14);
Sineddoche “al tetto” (v. 5);
Sinestesia restò negli aperti occhi un grido” (v. 15);
Similitudine “come in croce” (v. 9);
Metafore “sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla” (vv. 3-4); “nido” (v.13); “di un pianto di stelle” (v. 23);
“atomo opaco del Male” (v. 24);
Personificazione “E tu, Cielo” (v. 21); “Male” (v. 24);
Iperbole “di un pianto di stelle lo inondi…” (v. 23); “atomo” (v. 24);
Enjambements “tanto / di stelle” (vv. 1-2); “tende / quel verme” (vv. 9-10); “addita / le bambole” (vv. 19-
20); “mondi / sereni” (vv. 21-22); “inondi / quest’atomo” (vv. 23-24).
Commento
Nella raccolta Myricae (parola latina, che significa “piccoli arbusti”, citazione virgiliana), Pascoli canta i
motivi del mondo della natura, caricandoli di significati simbolici. Infatti, la sua poetica, detta “del
fanciullino” (dal titolo di un saggio di poetica, da lui pubblicato nel 1897), consiste nel sapere trovare la
poesia negli oggetti quotidiani, nella campagna e nella natura che ci circonda, osservandoli con lo stupore e
la meraviglia di un bambino, che consentono di riscoprirne i lati segreti e la purezza originaria. Si tratta di
componimenti generalmente brevi e lineari, che rappresentano quadretti di vita campestre che si caricano
di significati misteriosi e spesso evocano l’idea della morte. È in quest’ottica che la celebrazione delle
piccole cose e del “nido” si può leggere come un baluardo che il poeta erige contro le forze inquietanti e
minacciose.

Nello specifico, in X Agosto, ricchissima di simboli, Pascoli, come in molti altri componimenti di Myricae,
rievoca la tragedia dell’uccisione di suo padre, avvenuta il 10 agosto 1867, trent’anni prima della stesura
della poesia. Il 10 agosto è, però, anche il giorno di San Lorenzo, quello in cui, secondo la tradizione
popolare, si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. Le stelle che cadono in quella notte, nell’immaginario
pascoliano, rappresentano il pianto del cielo sulla malvagità degli uomini: quest’immagine rende l’idea di
un cosmo profondamente umanizzato.

Prendendo le mosse dalla propria tragica vicenda personale, il poeta affronta i grandi temi del male e del
dolore: gli elementi familiari e biografici vengono trasposti su un piano universale e cosmico. Così, la
rondine e il padre uccisi, posti in evidente parallelismo (ritornava una rondine al tetto, v. 5 – anche un
uomo tornava al suo nido, v. 13; “l’uccisero: cadde tra spini”, v. 6 -“l’uccisero: disse: Perdono”, v. 14; “ella
aveva nel becco un insetto”, v. 7 – “portava due bambole in dono”, v. 16; “tende / quel verme a quel cielo
lontano”, vv. 9-10 – “addita / le bambole al cielo lontano”, v. 20), diventano il simbolo di tutti gli innocenti
perseguitati ed alludono scopertamente alla figura di Cristo, la vittima per eccellenza, che perdona i suoi
carnefici sulla croce, richiamata già nel titolo, con il numero romano X. La rondine che stava tornando al suo
nido portando un verme per i suoi piccoli, è stata uccisa durante il tragitto e li ha lasciati soli ed affamati;
allo stesso modo, il padre del poeta viene ucciso mentre sta tornando a casa, il “nido” chiuso e protetto,
portando due bambole in dono alle figlie, che ora lo aspettano vanamente, proprio come i piccoli della
rondine aspettano la madre, ormai affamati e morenti. L’unica differenza tra la rondine e il padre in punto
di morte sta nella parola “perdono” pronunciata dall’uomo.

La struttura del componimento è circolare (Ringcomposition), poiché esso si apre e si chiude con
l’immagine del cielo inondato di stelle cadenti, simboli del dolore (vocativo “San Lorenzo”, v. 1 – vocativo “E
tu, Cielo”, v. 21; “aria tranquilla”, v. 2 – “mondi / sereni”, vv. 21-22; “sì gran pianto”, v. 3 – “pianto di
stelle”, v. 23). Il Cielo, ossia Dio, è sentito come lontano, distante, indifferente, separato dal mondo, capace
solo di guardarlo dall’alto e di “piangere” sulle miserie umane, ma non di lenirne in nessun modo le
sofferenze. Il male, personificato, è incomprensibile per l’uomo, che si sente sempre in balia di un
insondabile destino. La Terra, nell’economia dell’universo, al cospetto dell’immensità del Cielo, non è altro
che un “atomo opaco”, un minuscolo ed insignificante corpuscolo che non brilla neppure di luce propria.

Di fronte alla malvagità del mondo, l’unico rifugio, dovrebbe essere il “nido”, unico luogo protetto in cui
trovare pace, ma la casa è anch’essa “romita”, solitaria, lacerata dalle tragiche vicende del mondo, dunque
insufficiente a proteggere l’uomo, a cui non resta che invocare invano il “pianto di stelle” del cielo che lo
soccorra e partecipi del suo dolore.
San Lorenzo , io lo so perché tanto San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero
di stelle per l'aria tranquilla di stelle nell’aria serena
arde e cade, perché si gran pianto s’incendia e cade, perché un così gran pianto
nel concavo cielo sfavilla. risplende nel cielo.

Ritornava una rondine al tetto : Una rondine ritornava al suo nido:


l'uccisero: cadde tra i spini; l’uccisero: cadde tra rovi spinosi:
ella aveva nel becco un insetto: ella aveva un insetto nel becco:
la cena dei suoi rondinini. la cena per i suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano; quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende, e i suoi rondinini sono nell’ombra, che attendono,
che pigola sempre più piano. e pigolano sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido: Anche un uomo tornava alla sua casa:
l'uccisero: disse: Perdono ; lo uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido: e nei suoi occhi sbarrati restò un grido:
portava due bambole in dono. portava con sé due bambole per le figlie...

Ora là, nella casa romita, Ora là, nella solitaria casa,
lo aspettano, aspettano in vano: lo aspettano, aspettano invano:
egli immobile, attonito, addita egli, immobile, stupefatto mostra
le bambole al cielo lontano. le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi E tu cielo, dall’alto dei mondi


sereni, infinito, immortale, sereni, che sei infinito, immortale
oh! d'un pianto di stelle lo inondi inondi con un pianto di stelle
quest'atomo opaco del Male! quest’atomo opaco del male!
TEMPORALE
1891 (prima edizione)
La poesia si compone di 7 versi settenari, di cui il primo isolato, legato da schema rimico ABCBCCA
Movimento letterario: Simbolismo
Temporale è uno dei componimenti più tipici ed esemplari della poesia di Giovanni Pascoli. In questo
testo viene descritto in pochi versi e attraverso rapide impressioni acustiche e visive l’inizio di un
temporale. La poesia fu inserita per la prima volta nella terza edizione di Myricae, risalente al 1893.
Testo
IL LAMPO IL LAMPO

E cielo e terra si mostrò E cielo e terra si mostrò


qual era: ciò che era: A

la terra ansante, livida, la terra ansante, livida,


in sussulto; in sussulto;B
il cielo ingombro, il cielo ingombro,
tragico, disfatto: tragico, disfatto:C
bianca bianca nel tacito bianca bianca nel
tumulto tragico tumulto B
una casa apparì sparì una casa apparì sparì
d'un tratto; d'un tratto;C
come un occhio, come un occhio, che,
che,largo,esterrefatto, largo esterrefatto,C
s'aprì si chiuse, nella s'aprì si chiuse, nella
notte nera. notte nera. A

2. LE CARATTERISTICHE FORMALI DOMINANTI DELLA POESIA:

Metrica: Due strofe (un verso-strofa e una sestina);

Rima: Rime libere (A;B;C;B;C;C;A);

Figure retoriche d’ordine:

-Climax ascendente: ansante, livida in sussulto, ingombro, tragico, disfatto, largo esterrefatto

-Anastrofe: bianca bianca nel tacito tumulto, una casa apparì…

-Enjambement (v 6-7);

Figure timbriche :

-Paranomasia: apparì sparì

Figure retoriche di significato:

-Similitudine: come un occhio s’aprì si chiuse

-Ossimoro: tacito tumulto;

-Metafora: terra ansante, cielo tragico

-Anafora: bianca bianca (l'accostamento dei due aggettivi ha valore di superlativo)

-Antitesi: apparì sparì i due verbi sono accostati senza nessun segno di punteggiatura.
NOVEMBRE

Testo dell'opera
1. Gèmmea l’aria, il sole così chiaro
2. che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
3. e del prunalbo l’odorino amaro
4. senti nel cuore…
5. Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
6. di nere trame segnano il sereno,
7. e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
8. sembra il terreno.
9. Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
10. odi lontano, da giardini ed orti,
11. di foglie un cader fragile. È l’estate,
12. fredda, dei morti.

Parafrasi
1. L’aria è limpida e trasparente come una gemma, e il sole è così chiaro
2. da portarti a ricercare gli albicocchi fioriti
3. e (con l’immaginazione) il profumo penetrante e amarognolo del biancospino.
4. a sentire nel cuore...
5. Ma il rovo è secco e le piante spoglie
6. tracciano disegni neri nel limpido
7. e vuoto cielo, e vuoto al passo che risuona
8. sembra il terreno. (=Il passo risuona sul terreno che rimbomba come se fosse vuoto.)
9. Tutto intorno c’è silenzio: solo, al soffio del vento,
10. senti da lontano, dai giardini e dagli orti,
11. il rumore delle foglie secche che cadono dagli alberi. È l'estate
12. fredda, dei morti (la cosiddetta estate di San Martino (11 novembre) contraddistinta da alcuni giorni di tempo
piuttosto mite).

Parafrasi discorsiva

L’aria è limpida e trasparente come una gemma, e il sole è così chiaro da portarti a ricercare gli albicocchi
fioriti e a sentire nel cuore, con l’immaginazione, il profumo penetrante e amarognolo del biancospino.
Ma il rovo è secco e le piante spoglie tracciano disegni neri nel cielo limpido e vuoto. Il passo risuona sul
terreno che rimbomba come se fosse vuoto.
Tutto intorno c’è silenzio: solo, al soffio del vento, senti da lontano, dai giardini e dagli orti, il rumore
delle foglie secche che cadono dagli alberi. È la cosiddetta estate di San Martino (11 novembre)
contraddistinta da alcuni giorni di tempo piuttosto mite.
Figure Retoriche
Anastrofe v. 1: Gèmmea l’aria; v. 3: l’odorino amaro senti;
Allitterazioni della –s e della –r: v. 5: secco, stecchite; v. 6: nere, trame, segnano, sereno; v. 7: sonante; v.
8: sembra. La sequenza allitterante della seconda strofa richiama l’aridità della natura. L’insistita
allitterazione della –s comunica un’idea di morte, e richiama il XIII canto dell’Inferno, il canto di Pier della
Vigna e dei suicidi, che si contraddistingue per il sigmatismo, cioè per la ripetizione del suono –s,
attraverso il quale Dante vuole sottolineare l’idea della morte;
Enjambements vv. 1-2; vv. 7-8; vv. 11-12;
Ipallage v. 11 : di foglie un cader fragile. Fragile dovrebbe riferirsi a foglie e non a cader;
Iperbato v. 5: secco è il pruno, stecchite piante; v. 7: vuoto il cielo; v. 8: sembra il terreno; v. 11: di foglie
un cader fragile;
Metafora v. 1: Gèmmea l’aria, metafora con sinestesia tattile-visiva;
Ossimoro vv. 11-12: estate, fredda;
Sinestesie v. 3: odorino amaro; v. 11: cader fragile.

Commento
Il titolo della poesia in questione richiama la stagione autunnale tutta e, in particolare, il mese dell’anno in
cui si commemorano i propri cari defunti. Il poeta accosta, infatti, l’illusione che si prova in una giornata
autunnale che sembra primaverile alla precarietà dell’esistenza. Come spesso accade in Myricae, anche in
questo caso ci troviamo dinanzi a un bozzetto naturalistico che si colloca in una dimensione ingannevole.

Se nella prima strofa della poesia ci troviamo dinanzi alla rappresentazione di una giornata cristallina di
novembre che può, seppur per pochi istanti, portare l’illusione della primavera, colta sia attraverso
sensazioni visive («gèmmea l’aria») che olfattive («del prunalbo l'odorino amaro»), nella seconda siamo già
dinanzi alla consapevolezza, rafforzata dal Ma avversativo del quinto verso, che in realtà si sta vivendo la
stagione autunnale che è una metafora dell’esistenza.
Le piante non sono in fiore, i rami degli alberi sono spogli e spiccano sullo sfondo del cielo disegnando nere
trame. Il bozzetto naturalistico inizia a comunicare l’idea della morte. All’illusione della primavera, che altro
non è che una metafora della vita, si contrappone la realtà funerea, l’algida legge della morte. Vi è, dunque,
una forte analogia tra la primavera, che rappresenta la vita e l’autunno, che è collegato alla morte.
Nella terza strofa ci troviamo di fronte alla tristezza della stagione autunnale: il silenzio è profondo e il
vento fa cadere le foglie. L’aggettivo «fragile», riferito alle foglie, secondo il Traina, «evoca l’aridità delle
foglie; ma, di riflesso, anche la loro caducità autunnale; nell’aggettivo bivalente la trama delle immagini si
apre al simbolo; precarietà delle stagioni, precarietà della vita, fruscio lieve del silenzio». La sinestesia
«cader fragile» (v. 11) e l’ossimoro «estate, /fredda» (vv. 11-12) trasmettono con maggiore forza il
messaggio di precarietà e morte espresso nella lirica.
Il paesaggio rappresentato nella terza strofa si può ritenere universale, come si evince dall’assenza di
riferimenti precisi allo spazio («intorno», «lontano») e dall’assenza di articoli («da giardini e da orti»). Come
avviene nelle altre liriche della raccolta, infatti, anche in questo caso Pascoli non intende descrivere la
natura in un preciso momento dell’anno (i giorni della prima metà di novembre, la cosiddetta “estate di San
Martino”), ma trasmettere un messaggio più profondo.
Il poeta – apparentemente intento a descrivere il paesaggio circostante – cerca di penetrare il senso
segreto delle cose (che si rivela carico di drammaticità e morte) osservandole con lo stupore e la meraviglia
di un "fanciullino", che consentono di riscoprirne i lati segreti e la purezza originaria.
Il gelsomino notturno di Giovanni Pascoli fa parte dell'ampia raccolta i Canti di Castelvecchio,
pubblicati per la prima volta nel 1903 (e poi in edizione definitiva postuma nel 1912). Il testo, composto da
sei quartine di novenari, a rima alternata, viene dedicata dal poeta all’amico Gabriele Birganti, in occasione
delle sue nozze. Nel Gelsomino notturno, ritroviamo tutto il respiro simbolista pascoliano, che trova nel
mondo naturale il termine di confronto per la propria acutissima sensibilità e per l’inquietudine esistenziale
che attraversa la sua poesia.

Al calare delle tenebre (nell’ora in cui il poeta rivolge il pensiero ai suoi cari morti), si aprono i gelsomini,
fiori notturni. Le farfalle notturne sono comparse tra i fiori bianchi. Da un bel po’ di tempo ormai i versi
degli uccelli sono cessati: solo in una casa in lontananza ancora si bisbiglia. I piccoli uccelli dormono sotto le
ali della madre, come gli occhi dormono sotto le ciglia. Dai calici aperti dei fiori proviene un odore simile a
quello delle fragole rosse. Lontano, nella sala risplende una luce. L’erba cresce sulle fosse dei morti. Un’ape
arrivata in ritardo ronza, trovando tutte le cellette già occupate. La costellazione delle Pleiadi splende nel
cielo azzurro e, come una chioccia i suoi pulcini, si trascina dietro le sue stelle. Per tutta la notte si spande il
profumo dei fiori che il vento porta con sé. La luce accesa va su per la scala, risplende al primo piano della
casa, si è spento… Quando giunge l’alba, si chiudono i petali del fiore un po’ sgualciti; dentro la parte del
fiore, molle e nascosta, dove stanno i semi, germoglia una nuova felicità, perché è stata concepita una
nuova vita.

Figure retoriche:
La Metrica: Sei quartine di novenari. Rime alternate ad eccezione del 23° verso.
Nella poesia vi è alternanza tra suoni duri e morbidi.
Enjambements:
si esala/l'odore di fragole rosse (verso 9-10)
sussurra/trovando già prese le celle (verso 13)
s’esala/l’odore che passa (verso 17-18)
Personificazioni:
là sola una casa bisbiglia.
Un'ape tardiva sussurra
Passa il lume su per la scala;
Similitudine:
Sotto l’ali dormono i nidi (verso 7)
come gli occhi sotto le ciglia (verso 8)
Metonimia:
le farfalle crepuscolari
Sinestesie:
l'odore di fragole rosse (sensazione visiva "rosse" + sensazione olfattiva "profumo")
va col suo pigolio di stelle (sensazione visiva "luce intermittente" + sensazione olfattiva "pigolio pulcini")
Metafore:
Un'ape tardiva sussurra (rappresenta il poeta escluso dall'attività amorosa di quella casa)
La Chioccetta per l'aia azzurra dentro l'urna molle e segreta (l'utero appena fecondato)
Onomatope:
bisbiglia (verso 6)
sussurra (verso 13)
pigolio (verso 16)
Testo dell'opera Parafrasi affiancata
1. E s’aprono i fiori notturni, 1. Si aprono i gelsomini, i fiori notturni
2. nell’ora che penso a’ miei cari. 2. al calare delle tenebre (nell’ora in cui il poeta rivolge il
3. Sono apparse in mezzo ai viburni pensiero ai suoi cari morti),
4. le farfalle crepuscolari. 3. Sono comparse tra i fiori bianchi.
4. le farfalle notturne.
5. Da un pezzo si tacquero i gridi:
6. là sola una casa bisbiglia. 5. Da un bel po’ di tempo ormai i versi degli uccelli sono
7. Sotto l’ali dormono i nidi, cessati:
8. come gli occhi sotto le ciglia. 6. solo in una casa in lontananza ancora si bisbiglia.
7. I piccoli uccelli dormono sotto le ali della madre,
9. Dai calici aperti si esala 8. come gli occhi dormono sotto le ciglia.
10. l’odore di fragole rosse.
11. Splende un lume là nella sala. 9. Dai calici aperti dei fiori proviene
12. Nasce l’erba sopra le fosse. 10. un odore simile a quello delle fragole rosse.
11. Lontano, nella sala risplende una luce.
13. Un’ape tardiva sussurra 12. L’erba cresce sulle fosse dei morti.
14. trovando già prese le celle.
15. La Chioccetta per l’aia azzurra 13. Un’ape arrivata in ritardo ronza,
16. va col suo pigolìo di stelle. 14. trovando tutte le cellette già occupate.
15-16. La costellazione delle Pleiadi splende nel cielo
17. Per tutta la notte s’esala azzurro e, come una chioccia i suoi pulcini, si trascina dietro
18. l’odore che passa col vento. le sue stelle.
19. Passa il lume su per la scala;
20. brilla al primo piano: s’è spento... 17. Per tutta la notte si spande
18. il profumo dei fiori che il vento porta con sé.
21. È l’alba: si chiudono i petali 19. La luce accesa va su per la scala,
22. un poco gualciti; si cova, 20. risplende al primo piano della casa, si è spento…
23. dentro l’urna molle e segreta,
24. non so che felicità nuova. 21. Quando giunge l’alba, si chiudono i petali del fiore
22. un po’ sgualciti; germoglia,
23. dentro la parte del fiore, molle e nascosta, dove stanno
i semi,
24. una nuova felicità, perché è stata concepita una nuova
vita.

La prima edizione dei Canti di Castelvecchio (i cui singoli componimenti sono precedentemente apparsi su
diverse riviste) viene pubblicata nel 1903 e, come già avvenuto in Myricae, viene poi rivista ed accresciuta
nel corso degli anni, sino all’edizione postuma del 1912. La raccolta, dedicata alla memoria della madre,
presenta la stessa epigrafe di Myricae, tratta dalla quarta bucolica di Virgilio (vv. 1-2: “Sicelides Musae,
paulo maiora canamus! | Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae”), e descrive sempre l’umile vita
campagnola e il mondo della natura, privilegiando in questo caso la realtà della Garfagnana (il poeta dal
1895 risiede a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca).
Tematiche CANTI DI CASTELVECCHIO

La celebrazione del mondo della Natura


Dal punto di vista tematico, i Canti di Castelvecchio si avvicinano a Myricae nell'attenzione riservata al
mondo naturale, che si fa portatore e simbolo del valore delle cose semplici e umili, intese spesso come
uno “schermo”, una protezione contro i lutti e i dolori del mondo, e come un universo protetto dove
ricostruire il proprio “nido” familiare.
La prospettiva rispetto a Myricae è però in parte diversa: se nella prima raccolta Pascoli descriveva un
microcosmo misterioso e perturbante (si pensi a L’assiuolo o Lavandare) qui si privilegia il ciclo naturale
delle stagioni, con l’alternarsi delle diverse stagioni. La scelta per Pascoli ha valore simbolico: all’eterno
ritorno del mondo naturale, che si rinnova e rinasce, si contrappone il tema pascoliano della morte e
l’angoscia della vita individuale (come ne La mia sera).
La morte, la poesia e il cosmo
La percezione della morte spinge da un lato il poeta a rifugiarsi nella dimensione del ricordo e della
giovinezza, spesso evocati sulla pagina con sapore nostalgico e malinconico 1; dall’altro acquistano più
rilievo i toni lirici, che, rispetto a Myricae, sono ben più numerosi di quelli narrativi o descrittivi. L’incupirsi
delle proprie prospettive esistenziali conduce Pascoli ad assegnare uno specifico compito alla poesia, che
ora deve esorcizzare il pensiero della morte o consolare il dolore individuale, data anche l’insufficienza delle
risposte assicurate dalla fede religiosa.
Da non dimenticare anche un particolare filone pascoliano, presente dai Canti in poi, dedicato alla tematica
astrale: in alcuni testi (come Il bolide), il poeta riflette sul rapporto tra mondo umano-naturale e
macrocosmo celeste.
L’ispirazione simbolista e lo stile dei Canti di Castelvecchio
Caratteristica dei Canti di Castelvecchio è una più marcata impronta simbolista, che porta alla massima
elaborazione lo stile dell’autore, in direzione di un linguaggio poetico “nuovo” e di sapore analogico, che
traduca sulla pagina tutte le sfumature dell’acutissima sensibilità del poeta nei confronti del mondo.
La sintassi e il lessico puntano così a distaccarsi dal linguaggio quotidiano, mescolando livelli diversi (da
quello “basso” a quello aulico, passando per i termini tecnico-settoriali o specialistici), lingue classiche o
straniere 2, e ricorrendo ad un ampio panorama di figure retoriche e di soluzioni metriche e fonico-lessicali
(come in testi quali Nebbia, Il gelsomino notturno, La cavalla storna), che avranno un profondo influsso
sulla poesia italiana primo-novecentesca.
ALEXANDROS

In questo celebre poemetto conviviale, Alessandro Magno è giunto alla fine di tutto ciò che poteva
conquistare; ora si volge , turbato, a esaminare il significato del suo cammino e delle sue conquiste.
Possedere terre e popoli non lo soddisfa, perchè nell'animo umano c0è una costante incontentabilità,
un'aspirazione all'oltre, destinata a scontrarsi con i limiti imposti dalla natura, dalla storia, dalla realtà. La
celebrazione dell'eroe antico diviene così, in Alexandros, una turbata interrogazione sui destini umani.
Siamo al polo opposto della cultura positivistica, con la sua fiducia negli strumenti razionali di conoscenza e
comunicazione; siamo agli antipodi anche del classicismo eroico delle Odi barbare di Carducci: quello di
Pascoli è un classicismo molto più inquieto e moderno.

Quali i motivi chiave? L'ansia dell'ignoto, il fascino del mistero e la brama inappagata. Il poemetto
Alexandros, come gli altri poemi conviviali, è ambientato nel mondo dell'antichità classica, di cui fa rivivere i
personaggi e i riferimenti storici, secondo però i modi e i sentimenti del Pascoli.
Alessandro, giunto alla sua ultima conquista, ai confini della terra, ne piange l'angustia, e rimpiange il sogno
che ne ampliava infinitamente la grandezza. Creatura insoddisfatta, egli sente vivo l'anelito che lo esaltava
e che gli brucia ancora dentro immenso come il suo sogno infranto dalla realtà, e perciò triste e infelice:
Piange dall'occhio nero come morte; piange dall'occhio azzurro come cielo
Così è la sorte sua e quella di tutti noi: sognare e inseguire la felicità e, una volta raggiunta la meta,
l'attuarsi del sogno, sentire, l'amarezza della delusione, e l'accendersi di un nuovo e più grande desiderio.
Il poemetto esprime lo stato d'animo e il pensiero filosofico del Pascoli più, allusivamente e
suggestivamente , per mezzo di quadri, di immagini e di musica che non per mezzo di sentenze. E in ciò sta
il suo valore poetico.

La vertigine
Il mistero tra sgomento e ricerca
La vertigine dell’abisso stellare e il mistero dell’universo sconfi nato si traducono nella
ricerca di un rifugio. Nella prima parte, il poeta si rivolge agli uomini che come lui
abitano la Terra sospesi nel vuoto infi nito, invitandoli a guardare in quale incredibile
posizione essi si trovino: penduli credendosi eretti. A rifl ettere su questo, aff erma il
poeta, viene quasi istintivo aggrapparsi a qualcosa per non precipitare nel cielo.
Nella seconda parte, alla sensazione di disagio fi sico subentra lo smarrimento
spirituale. L’orrore e la vertigine del vuoto si accrescono quando è buio ma, nel
contempo, è nel contesto notturno che balena la speranza di trovare uno scopo,
di scoprire, in fondo allo spazio infi nito, il termine ultimo, una verità assoluta e
defi nitiva: l’esistenza di Dio. È questa l’aspirazione di un’anima sgomenta di fronte
all’immensità del cosmo. Ma in quell’in vano e sempre si conferma il disorientamento
di Pascoli: il male del mondo e il dubbio che la vita non abbia senso non trovano
conforto nella ricerca dell’esistenza di Dio; infatti il poeta tende costantemente a un
Dio irraggiungibile, che con quel mistero si identifi ca.
Lo smarrimento cosmico e l’incertezza
Il tema pascoliano del mistero della vita, unito al fascino che gli ultramondi esercitano sull’uomo, è vicino
alla sensibilità del Decadentismo: lo smarrimento cosmico
dinanzi all’abisso dei cieli e all’infi nito dell’universo diventa simbolo della mancanza
di certezze dell’io.
Il terrore che nasce dalla contemplazione dei mondi celesti (la Grande Orsa quasi
ipnotizza il poeta) e l’angoscia per il mistero circostante (il poeta risucchiato nel vuoto
avverte la «vertigine») sfociano in una disperata quanto inutile ricerca di Dio.
Il lessico e le onomatopee
Il lessico, non sempre di immediata comprensione, ruota intorno all’area semantica
della vertigine cosmica: la Terra nel vortice dei cieli (aerea terra), la paura del vuoto
(l’orror del vano), l’immensità terrifi cante dello spazio (immenso baratro di stelle). L’uso
di forme onomatopeiche (seminìo, polverìo) e dei punti esclamativi e interrogativi è
una tecnica della poesia pascoliana: qui concorre a rendere il senso di sospensione
insito in quel precipitare senza fi ne e al tempo stesso il senso della ricerca di una
speranza per l’anima che anela un termine ultimo (sperar… che cosa?… Il termine ultimo!, Dio!). Si creano
così allusioni inespresse e il poeta lascia il lettore nel dubbio
di fronte al mistero del cosmo.
UNGARETTI
Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto, figlio di due immigrati lucchesi. Il padre operaio
dello scavo del Canale di Suez, muore pochi anni dopo la nascita del poeta.
Studia alla scuola svizzera École Suisse Jacot, una prestigiosa scuola della città egiziana. Conosce la
letteratura francese attraverso la rivista "Mercure de France" e inizia a leggere le opere dei simbolisti
francesi Rimbaud, Mallarmè, Baudelaire, anche grazie ai consigli dell'amico Moammed Sceab. Si avvicina
alla letteratura italiana con l'abbonamento alla rivista La Voce.
Si trasferisce a Parigi nel 1912, dove conosce il poeta Apollinaire, con cui stringe subito amicizia. Incontra
anche Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico e Modigliani. Nel 1914 Ungaretti è a Milano e sostiene la fazione
interventista. Nel 1915 si arruola volontario. Combatte sul Carso in Friuli, un paesaggio che Ungaretti
ritrarrà nella sua prima raccolta Il porto sepolto, pubblicato in 60 copie nel 1916. Il porto sepolto fa parte
del nucleo originario della poesia di Ungaretti, al centro delle successive metamorfosi editoriali, prima
Allegria di naufragi e poi L'allegria. Nel 1920 sposa Jeanne Dupoix, conosciuta nel 1918 in Francia. Si
impiega al Ministero degli Esteri. Aderisce al fascismo, firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel
1925. Nel 1923 viene ristampato Il porto sepolto con la prefazione di Benito Mussolini, conosciuto qualche
anno prima, durante la campagna interventista. Ungaretti, irrequieto e legato alla cultura degli intellettuali
francesi, si allontana dal fascismo e la seconda metà degli anni '20 rappresenta per lui un duro periodo di
povertà. Nel 1928 Ungaretti si converte al cattolicesimo, conversione che emerge nell'opera "Sentimento
del Tempo" del 1933. Nel 1936 si trasferisce in Brasile, a San Paolo, dove ottiene la cattedra di letteratura
italiana presso l'università della città. Rimane in Brasile fino al 1942. Nel 1939 muore il figlio Antonietto.
Questo tragico evento è evidente in molte poesie delle raccolte Il Dolore (1947) e Un Grido e Paesaggi
(1952). Muore nel 1970 a Milano, dopo che la sua opera era stata raccolta in un unico volume Vita di un
uomo nella prima edizione della raccolta Meridiani della casa editrice Mondadori nel 1969.

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