Sei sulla pagina 1di 6

EUGENIO MONTALE

La vita: Nacque a Genova nel 1896. Frequentò scuole tecniche e nel 1915 ottenne il diploma di ragioniere. Prese lezioni di canto, ma
abbandonò l’idea, rinunciando ad una carriera per la quale era abbastanza bravo. Dopo la 1° guerra mondiale, fece amicizia con
Camillo Sbarbaro. Nel 1923 conobbe Anna degli Uberti, che avrebbe cantano nelle sue poesie come Annetta-Arletta. Nel 1922,
pubblicò le sue prime poesie su Primo Tempo, rivista letteraria torinese fondata da Giacomo Dibenedetti. Da qui entrò in contatto
con l’ambiente intellettuale torinese. Conobbe Pietro Gobetti, che fondò Baretti, una rivista autorevole sulla quale Montale,
pubblicò nel 1925, il saggio Stile e tradizione (importante per capire i fondamenti della poesia). Il 1925 fu un anno importante per
Montale, perché pubblicò nella casa editrice di Gobetti, la sua prima raccolta di poesie, Ossi di seppia.
A Firenze: All’inizio nel 1927 si trasferì a Firenze, per svolgere il lavoro di redattore, presso la casa editrice Bempoard. Nel 1929
prese l’incarico di direttore del Gabinetto scientifico-letterario Viesseux. Nel 1933, conobbe Irma Brandeis, una studiosa
americana, che Montale avrebbe citato nelle sue poesie come Clizia. Nel 1939 scrisse la sua seconda raccolta, Le Occasioni presso
Einaudi, un altro editore. Prese l’incarico di traduttore, collaborò insieme ad altri scrittori al progetto dell’analogia Americana,
promosso da Elio Vittorini per la casa editrice Bompiani. Dal 1962, visse accanto a Drusilla Tanzi. Essa venne menzionata nelle
poesie come Mosca. Nel 1943, uscirono a Lugano le poesie di Finisterre, che sarebbero poi state inserite nella terza raccolta, La
Bufera e altro. Dopo aver ospitato Carlo Levi e Umberto Saba, preseguitati per motivi razziali, Montale entrò a far parte del
Comitato di Liberazione Nazionale toscano. Nel 1945, collaborando insieme ad altri autori, fondarono Il Mondo, una rivista di
argomenti culturali.
Gli anni del dopoguerra: Nel 1948, si trasferì a Milano e pubblicò il Quaderno di Traduzioni, menzionando alcuni poeti inglesi,
come Shakespeare, Blake, ecc.. Cominciò a svolgere la sua attività di redattore, preso un quotidiano importante, Il Corriere della
Sera, scrivendo racconti, articoli di argomento culturale, ecc... Nel 1954 ottenne l’incarico di critico musicale per Il Corriere
d’informazione. Altri articoli e saggi da lui scritti, furono Auto da fè, Fuori di casa e Sulla poesia. Nel 1971, uscirono i versi di
Satura presso la Mondadori. Nel volume, possiamo trovare gli Xenia, dedicati alla memoria della moglie. Nel 1967, Montale venne
nominato senatore a vita per aver illustrato la patria per altissimi meriti nel campo letterario e artistico e nel 1975 ottenne il
premio Nobel per la Letteratura. Nel 1977, la Mondadori raggruppò tutte le sue opere in un unico volume, Tutte le poesie, a cui
seguì presso Einaudi l’edizione critica chiamata L’opera in versi.

OSSI DI SEPPIA: è la prima raccolta poetica di Montale ed esce nel 1925 presso la casa editrice di Piero Gobetti. Il libro
contiene 61 liriche, secondo un preciso disegno concettuale. In apertura troviamo In Limine, componimento uscito nel 1924 e in
chiusura, troviamo Riviere un testo del 1920. Le altre poesie sono divise in quattro sezioni:
 Movimenti, che contiene 13 testi di vario argomento;
 Ossi di seppia, che dà il titolo all’opera e comprende 22 componimenti;
 Mediterraneo, poemetto composto da 9 liriche;
 Meriggi e ombre, composto da 15 poesie estese e complete.
Dal punto di vista filosofico, troviamo l’influenza del pessimismo di Schopenhauer e l’interesse per le correnti di pensiero che si
opponevano al determinismo positivistico.
Dal punto di vista letterario, c’è un legame con la poesia di D’Annunzio, dal quale Montale prende spunto. L’altro modello
fondamentale è Pascoli, sia per la scelta di trattare oggetti poveri, sia per alcuni procedimenti stilistici.
Montale prende spunto anche da altri poeti come Guido Gozzano, per il suo rifiuto di una poesia aulica.
Il titolo e il motivo dell’aridità: Gli «ossi di seppia» sono i residui calcarei di quei molluschi che il mare deposita sulla impoverita
riva. Alludono quindi a una condizione vitale impoverita, prosciugata, ridotta all'aridità minerale o quasi all'inconsistenza. In
conseguenza di questo impoverimento, la poesia non può più aspirare ai toni aulici e ricercati, ma deve ripiegare sulle realtà
minime, marginali, sui detriti che la vita lascia dietro di sé, puntando su uno stile spoglio e secco, privo degli abbellimenti retorici
tipici della lirica tradizionale. Difatti un tema centrale che percorre il libro è quello dell'«arsura», dell'aridità. Anche se sullo sfondo
dei versi montaliani si riconosce il paesaggio ligure, questo non è mai paesaggio ligure descritto nella sua realistica fisicità, ma
sembra sempre dissolversi in una dimensione astratta e metafisica. Si tratta dunque di una vera e propria prigionia entro i confini
della realtà materiale, che si manifesta soprattutto nell'eterno ritornare del tempo su se stesso, nel ripetersi monotono di gesti e azioni
senza alcun mutamento. L’uomo si illude di muoversi, di andare in qualche direzione, ma in realtà il suo è un immoto andare.

Il varco e la speranza: Il poeta si protende a cercare un «varco» che consenta di uscire dalla prigionia esistenziale: un «miracolo»,
«una maglia rotta nella rete / che ci stringe» (In limine), da cui apre: balzare fuori e fuggire, «l'anello che non tiene», che ci consenta
di la catena con cui siamo legati. Ma questo varco per il poeta non si apre.. al massimo può percepire il <«<nulla»> che si cela dietro
l'apparenza ingannevole delle cose e augurarsi che altri riescano nell'impresa in cui egli ha fallito. Nonostante la triste
consapevolezza raggiunta, gli Ossi si chiudono con una nota positiva: nell'ultima lirica, intitolata Riviere, il poeta annuncia la
speranza che un giorno la sua anima non sia più «<divisa»>, possa trovare una nuova armonia con la totalità del reale.
La poetica: A differenza della linea simbolista, Montale non può più avere fiducia nella parola poetica come formula magica
capace di arrivare all'essenza profonda della realtà, di dar voce al mistero, di imporre un ordine al caos dell'anima. La poesia
è in grado di proporre messaggi positivi, certezze di qualunque tipo, morale o metafisico: può solo offrire ormai definizioni in
negativo. Ne consegue un rifiuto della magia musicale del verso, che era stata il fulcro della poetica simbolista. Montale non ricorre
al linguaggio analogico. Quella degli Ossi è, al contrario, una poetica degli oggetti: essi compaiono nella poesia come equivalenti
concreti di concetti astratti o della condizione interiore del soggetto. È una poetica che presenta qualche somiglianza con quella del
"correlativo oggettivo", elaborata all'incirca negli stessi anni dal poeta anglo-americano Thomas Stearns. Un esempio di questo
procedimento si può cogliere nei versi della poesia Spesso il male di vivere ho incontrato. Qui il poeta per definire il <<male di
vivere», lo stato d'animo tipico dell'uomo contemporaneo, descrive un incontro reale con alcune presenze concrete.. Gli oggetti a cui
il poeta fa riferimento negli Ossi sono sempre umili, dimessi, prosaici.
Le soluzioni stilistiche: La poesia non può che ridursi a «qualche storta sillaba e secca come un ramo». Ne deriva, negli Ossi, una
ricerca di suoni aspri, di ritmi rotti e antimusicali, di un andamento prosastico. Il lessico accoglie termini comuni, "impoetici"
(cioè lontani dal linguaggio poetico tradizionale). Si possono anche incontrare termini rari, letterari e aulici, perché Montale,
seguendo il modello di Gozzano, vuole far scontrare l'«aulico» con il «prosaico»> con l'obiettivo di ottenere un effetto ironico. Per
quanto riguarda la metrica, gli Ossi sono lontani dalla rivoluzione operata da Ungaretti, che distrugge il verso tradizionale
frantumandolo in brevi versicoli. Montale fa ricorso al verso libero, ma usa spesso il verso più classico della poesia italiana,
l'endecasillabo.
Il secondo Montale, Le Occasioni: I testi scritti tra il 1929 e il 1939 sono pubblicati nella seconda raccolta Le occasioni. In queste
poesie Montale porta alle estreme conseguenze quella poetica degli oggetti già presente negli Ossi di seppia. Lo stile ora è più elevato
e ricercato, e quindi risulta più difficile cogliere il significato profondo del pensiero del poeta. La difficoltà nella lettura delle
Occasioni nasce anche dal fatto che il legame con i fatti autobiografici quasi mai viene rivelato apertamente ed è eliminato ogni
commento psicologico: restano solo gli oggetti, il cui significato diventa così oscuro e difficile da decifrare. Questo modo di
intendere la poesia nasce dall'intenzione di allontanarsi e di isolarsi dalla società di massa, dalla dittatura fascista e dalle prospettive
di un possibile conflitto; il fine è quello di difendere la purezza dei valori e la dignità dell'uomo colto.
La donna salvifica: Questo atteggiamento di religiosa adorazione nei confronti della cultura e della poesia si concretizza
nell'immagine della donna-angelo, una nuova Beatrice che, attraverso le sue virtù miracolose (l'intelligenza e la capacità di prevedere
il futuro), è in grado di in dicare una via di salvezza dall'inferno quotidiano. Nella terza raccolta, La bufera e al tro, essa avrà poi il
nome di Clizia, che nella mitologia greca era la donna innamorata del dio Sole-Apollo e da lui trasformata nel fiore del girasole. Il
girasole si volge sempre verso la luce del Sole, che rappresenta l'energia vitale; ma Apollo è anche il dio della poesia, e per questo
Clizia rappresenta anche il valore della cultura. Nella realtà biografica la donna si chiamava Irma Brandeis ed era un'ebrea americana
studiosa di letteratura ita liana, costretta a lasciare l'Italia nel 1938 a causa delle leggi razziali. Nella raccolta compaiono anche altre
immagini di donne, solitamente segnate da un destino di irrequietudine, di precarietà, di fuga, e si distingue la figura di Arletta, la fan
ciulla conosciuta da Montale durante i soggiorni estivi a Monterosso.
Satura: Per diversi anni Montale non scrive più poesie. Quando torna ai versi, raccoglie i suoi componimenti in Xenia (1966), ma
questo libro avrà la sua struttura definitiva nel 1971 e il poeta lo intitolerà Satura. Xenia è un termine greco, utilizzato nella
letteratura latina, che indica i doni che si fanno a chi è stato nostro ospite: infatti i componimenti sono indirizzati alla moglie morta e
Montale li intende come doni offerti a lei. Il termine Satura, invece, allude al carattere satirico di molti componimenti della raccolta,
ma anche al fatto che il poeta intende seguire il significato originale della parola che nella letteratura latina era usata per indicare un
genere in cui si mescolavano svariati argomenti, spesso suggeriti dalla realtà contingente della cronaca e del costume. Stando così le
cose, egli ritiene che l'unico modo per fare poesia in questo tempo sia quello di scrivere versi antilirici, privilegiando un tipo di poesia
prosastica che rimanda al parlato. Lo stile, così volutamente degradato, dovrebbe risultare pertanto, nelle intenzioni di Montale, uno
specchio della società del suo tempo
GIUSEPPE UNGARETTI
La vita.
Dall’Egitto all’esperienza parigina. Giuseppe Ungaretti nacque nel 1888 ad Alessandria d’Egitto. Il padre
aveva trovato impiego come operaio presso il cantiere del canale di Suez, dove morì nel 1890. La madre,
rimasta vedova, gestì un piccolo forno di pane. Giuseppe frequentò fino al 1905 la prestigiosa École Suisse
Jacot e iniziò a occuparsi di letteratura, leggendo i maggiori scrittori moderni e contemporanei, da Leopardi a
Nietzsche. Di questi anni sarebbe rimasta in lui la memoria di un paesaggio fantastico e irreale che si ritrova
spesso nei suoi versi. Nel 1912 si recò a Parigi, dove frequentò i corsi del Collège de France e della Sorbona.
Ebbe modo di approfondire la conoscenza della poesia decadente e simbolista, influenzato da Baudelaire.
Frequentò gli ambienti dell’avanguardia, conoscendo alcuni fra i maggiori artisti e scrittori, come Pablo
Picasso. Nel 1915 pubblicò le sue prime poesie sulla rivista “Lacerba”.
Nel 1914 Ungaretti era venuto in Italia per partecipare alla guerra. Arruolatosi come volontario in un
reggimento di fanteria, fu inviato a combattere sul Carso, dove compose le liriche che pubblicò poi a Udine
alla fine del 1916, con il titolo “Il porto sepolto”. Alla fine del conflitto fu nuovamente a Parigi, dove nel 1920
si sposò con Jeanne Dupoix, da cui ebbe due figli.

L’affermazione letteraria e le raccolte poetiche della maturità. Nel 1921 si trasferì a Roma; aderì al fascismo,
convinto che la dittatura potesse rafforzare la solidarietà nazionale da cui si era sentito a lungo escluso.
Ottenne un impiego presso il Ministero degli Esteri e cominciò a collaborare come giornalista e come saggista
a prestigiosi periodici italiani ed europei. Nel 1933 pubblicò la raccolta “Sentimento del tempo”, che
comprende le poesie scritte a partire dal 1919. La sua figura costituisce un punto di riferimento essenziale per
la nuova tendenza poetica che si affermò negli anni trenta, l’Ermetismo.
Nel 1936 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Letteratura italiana presso l’Università di San Paolo in Brasile.
Questo periodo felice venne funestato dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e da alcuni gravi lutti
familiari: morono il fratello e il figlio. Nel 1942 iniziò a insegnare Letteratura italiana contemporanea
all’Università di Roma e fu nominato Accademico d’Italia. Dalle esperienze traumatiche di questo periodo è
segnata la prima raccolta poetica del dopoguerra, “Il dolore” (1947). Non va dimenticata l’attività di
traduttore, che Ungaretti svolse per un lungo periodo.
Negli ultimi anni egli si dedicò all’edizione completa e definitiva dei suoi versi, pubblicati nel 1969 con il titolo
“Vita d’un uomo. Tutte le poesie.”. Morì a Milano nel giugno 1970.

“L’allegria”.
La funzione della poesia. Quando Ungaretti cominciò a riordinare le sue poesie e diede loro il titolo di “Vita
d’un uomo”, bolle sottolineare il carattere autobiografico, proponendo la sua opera poetica come una sorta
di nuova «ricerca del tempo perduto». Egli aveva affermato: «Io credo che non vi possa essere né sincerità ne
verità in un’opera d’arte sei in primo luogo tale opera d’arte non sia una confessione». Il carattere
autobiografico dell’opera va spiegato attraverso la concezione dell’arte elaborata da Ungaretti, che sarà
propria anche degli ermetici. Per questi poeti letteratura e vita sono strettamente connesse tra loro e la
letteratura ha un ruolo privilegiato, in quanto, assumendo un valore quasi religioso, svolge la funzione di
svelare il senso nascosto delle cose. La poesia dunque ha il compito di illuminare e illustrare l’essenza stessa
della vita.

L’analogia. Mentre le liriche più vecchie hanno ancora cadenze discorsive, quelle successive assumono un
andamento completamente diverso, che tende ad escludere le componenti più propriamente realistiche,
attraverso un’estrema riduzione della frase alle funzioni essenziali della sintassi e della parola.
Questa capacità di sintesi della poesia è coerente con l’essenza profonda dei contenuti che vuole comunicare
ed è conseguita da Ungaretti attraverso il mezzo espressivo dell’analogia. Ciò crea un distacco dalla
letteratura precedente.
Ungaretti sostiene che la letteratura dell’Ottocento, in particolare la poesia, aveva cercato di conoscere il reale
in modo analitico, istituendo collegamenti chiari e immediatamente comprensibili tra gli oggetti o tra i
concetti. Si tratta tuttavia di una conoscenza “lenta” e faticosa, capace di rivelare solo gli aspetti immediati e
superficiali della realtà. Ungaretti contrappone il suo nuovo modo di fare poesia, “rapido” e sintetico, che sa
mettere in contatto immagini lontane, le quali apparentemente non hanno nulla in comune e non esprimono
un senso immediato ed evidente. Così facendo il poeta supera «in un baleno» la distanza che separa il mondo
della realtà e della storia da un mondo superiore e divino che rivela il senso delle cose.

La poesia come illuminazione. Per Ungaretti il poeta è una sorta di “sacerdote” della parola, che sa cogliere i
nessi segreti delle cose. Si tratta di una concezione che attribuisce alla poesia un significato magico ed
esoterico. Il mistero della vita non può essere svelato attraverso il discorso disteso e razionale delle scienze,
ma può soltanto essere “illuminato” grazie alla forza di penetrazione intuitiva che caratterizza la parola
poetica. La parola assume il valore di una improvvisa e folgorante “illuminazione”, in cui, per un attimo, la
poesia riesce a raggiungere la totalità e la pienezza dell’essere.

Gli aspetti formali. Il carattere estemporaneo di queste illuminazioni ha un riflesso sul piano formale. Dal
punto di vista della versificazione comporta la distruzione del verso tradizionale e l’adozione di versi liberi per
lo più brevi. La sintassi rifiuta le costruzioni complesse, adeguandosi allo sforzo di cogliere l’“attimo”, di
“illuminare” un particolare aspetto della vita: la strofa è spesso costituita dalla sola frase principale e non è
frequente la presenza delle subordinate. La parola viene fatta risuonare nella sua autonomia e nella sua
purezza, talvolta isolata fino a farla coincidere con la misura del verso. La punteggiatura è quasi del tutto
assente
Sul piano lessicale la poesia di Ungaretti appartiene a un sistema rigorosamente monolinguistico, che tende a
trasferire gli elementi della realtà su un piano più astratto, metafisico e spirituale.

Le vicende editoriali e il titolo dell’opera. Di quest’opera è possibile distinguere tre fasi:


● un primo gruppo di poesie fu pubblicato nel 1916 con il titolo “Il porto sepolto”;
● gli stessi versi vennero ripubblicati nel 1919 insieme con altri, con il titolo “Allegria di naufragi”;
● in seguito l’autore continuò a modificare la composizione della raccolta; tra le edizioni fondamentali
ricordiamo quella del 1931, in cui il titolo divenne “L’allegria”, e quella del 1942.
“Il porto sepolto” allude a «ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile».
“Il porto sepolto” equivale così al segreto della poesia, nascosto nel fondo di un «abisso» nel quale deve
immergersi il poeta.
Il titolo “Allegria di naufragi” costituisce un’espressione ossimorica. «Allegria» si riferisce all’«esultanza d’un
attimo» che può avere origine soltanto dal «sentimento della presenza della morte da scongiurare»;
«naufragi» sta a indicare proprio l’effetto distruttivo della morte e come tutto sia «travolto» e consumato dal
tempo.

La struttura e i temi. La componente autobiografica è per così dire “trasfigurata”, in quanto i singoli eventi
assumono il valore di un’esperienza paradigmatica in cui l’uomo incontra la verità.
Un gruppo di temi e immagini si lega all’infanzia e all’adolescenza del poeta trascorse ad Alessandria
d’Egitto. Il discorso si approfondisce nei motivi del nomadismo, dell’estraneità. Il senso di sradicamento che
emerge rappresenta metaforicamente una condizione esistenziale, quella del poeta che va alla ricerca della
sua originaria identità perduta.
Un decisivo momento di transizione è quello costituito dall’esperienza del fronte. La guerra consente ad
Ungaretti di stabilire un contatto con la propria gente e di avvertire la consapevolezza di una ritrovata
identità grazie al ricongiungimento con la natura, in un’atmosfera dal forte carattere religioso. La guerra
costringe a vivere nel precario confine fra la vita e la morte, dove ogni cosa può rovesciarsi nel suo opposto e
scomparire per sempre all’improvviso; essa traduce in immagini nitide quella “poetica dell’attimo”.
Nell’edizione definitiva dell’“Allegria”, il poeta recuperò alcuni testi precedenti, dove si delinea
un’oscillazione dialettica tra essere e nulla, realtà e mistero, presenza e assenza, gesto e immobilità.
L’ERMETISMO
Significato del termine Ermetismo: La definizione del termine ermetismo venne riconosciuta nel 1936 ed è data dai critici
Francesco Flora (critico aperto alle esperienze della letteratura contemporanea) e Carlo Bo. Nello stesso anno Francesco
Flora, pubblicò La poesia ermetica. Analizzando il linguaggio analogico della poesia di Ungaretti, il critico, mette in evidenza
un carattere enigmatico e impenetrabile, chiuso (cioè ermetico). Tale termine era destinato a diventare sinonimo di oscurità e
di indecifrabilità. La parola potrebbe rinviare alla figura di Ermete Trismegisto, autore del periodo della civiltà ellenistica di
libri magici in cui si rivelano segreti religiosi. In questo caso, l’Ermetismo fu sinonimo di conoscenza esoterica, che
riguardava valori religiosi.
La “letteratura come vita”: È il saggio di Carlo Bo, uscito nel 1938 su “Il Frontespizio”. Il testo contiene dei fondamenti
teorico-metodologici della poetica ermetica di cui è considerato, al di là delle denegazioni dell'Autore, come il manifesto.
Sono facilitati nella loro capacità di rappresentare le esigenze della nuova poesia, lirici nuovi (titolo di un’antologia curata dal
critico Luciano Anceschi). Secondo l’interpretazione di Bo, l’Ermetismo fa coincidere la poesia con la vita.
Nell’Ermetismo la letteratura si identifica con l’io profondo del soggetto e ha come scopo la ricerca della verità. Secondo
Bo, la letteratura è la strada per conoscere noi stessi.
La chiusura nei confronti della storia: La verità cercata dai poeti ermetici, è ontologica (relativa all’essere eterno). La poesia
vive nel rapporto dell’individuo con sé stesso, al di fuori di ogni altro legame con la collettività. La “letteratura come vita”
comporta il rifiuto della storia, aggiornandosi in una “letteratura difesa dal movimento”. Il non confrontarsi con la storia,
divenne un’accusa rivolta agli ermetici nel periodo del dopoguerra, ma potranno rispondere che la totale chiusura in uno
spazio interiore rappresenta il modo di sottrarsi alla retorica e alle scelte culturali del fascismo.
Il linguaggio: Il rifiuto di ogni compromesso con la storia ha conseguenze sul piano delle scelte stilistiche. Tra queste
troviamo lo scrittore in una forma di individualismo totale e un linguaggio difficile, oscuro, al limite. La poesia ermetica si
rivolge ad un pubblico ristretto che condivide l’impostazione e le scelte. Lo strumento dell’espressione è l’analogia.
(introdotto in poesia dai simbolisti, ripreso da D’Annunzio e Pascoli e poi dalla poesia novecentesca). Il centro su cui si
concentra questa ricerca è la parola, che si fa evocatrice ed allusiva.
I poeti ermetici: L’ermetismo è la tendenza poetica che si concentra nel decennio della 2° guerra mondiale. Oltre a
Quasimodo e Luzi, tra i poeti ermetici troviamo Sergio Solmi, Libero de Libero, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto e
Arturo Onofri. Fra gli autori che non tollerano l’Ermetismo, troviamo Cesare Pavese, la cui raccolta Lavorare stanca, è
composta da poesie riguardanti la realtà storico-sociale, descritta con toni narrativi.

SALVATORE QUASIMODO
Il periodo ermetico: Uno dei più significativi esponenti dell'Ermetismo, nasce a Modica nel 1901 e trascorre la giovinezza in
Sicilia, dove frequenta scuole tecniche. Durante un soggiorno a Firenze, suo cognato, Elio Vittorini, lo presenta a Eugenio
Montale e ad Alessandro Bonsanti, intellettuale e scrittore fiorentino, che gli pubblica le prime poesie sulla rivista "Solaria".
La sua prima raccolta poetica, Acque e terre (1930), è seguita nel giro di pochi anni da Oboe sommerso (1932) ed Erato e
Apollion (1936). Nel 1934 Quasimodo ottiene la cattedra di Letteratura italiana al Conservatorio di Milano. Nel 1942
pubblica le Nuove poesie, confluite nello stesso anno nel volume complessivo Ed è subito sera, che prende il titolo da una
delle sue liriche più famose. Le sue prime raccolte sono incentrate sulla riflessione intorno alla condizione esistenziale
dell'uomo, segnata dalla solitudine e dalla precarietà. Sul piano stilistico l'autore si allontana radicalmente dalla lingua parlata:
l'espressione, densa di analogie, è caratterizzata dalla concisione per cui la parola assume significati simbolici e indefiniti.
L'evoluzione stilistica e tematica del dopoguerra: A partire dalle Nuove poesie, nella lirica di Quasimodo comincia a
verificarsi un graduale cambiamento, che risulterà evidente nelle raccolte del dopoguerra, tra le quali ricordiamo Con il piede
straniero sopra il cuore (1946), Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949) e Dare e avere (1966). Il verso si
allunga e diventa più lineare, i temi si arricchiscono di elementi tratti dalla realtà e il messaggio diventa più accessibile e
comunicativo. Anche per l'influsso dei tragici avvenimenti della guerra e dell'immediato dopoguerra, che sollecitano una
nuova forma di impegno civile degli intellettuali, il discorso del poeta si trasferisce dal piano spirituale ed esistenziale a
quello storico e la poesia diventa, uno strumento di testimonianza politica e di polemica sociale. Nel 1959 a Quasimodo viene
conferito il premio Nobel per la Letteratura. Muore a Napoli nel 1968

Potrebbero piacerti anche