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IL DECADENTISMO

Il termine viene inizialmente coniato per catalogare una produzione letteraria ritenuta
inferiore rispetto al romanticismo. Tutto parte da uno scritto di Verlaine intitolato
"Languore", lui si sente come l'impero nel periodo di decadenza ed è come se lui si
disinteressasse poiché sta finendo un mondo e ne sta iniziando un altro.
Queste idee erano condivise da alcuni circoli letterari parigini che si ispiravano molto
alla bohemien con la sua vita irregolare e a Baudelaire. Nel 1886, nasce una rivista
intitolata "decadent" che può essere intesa in senso stretto come la Bohemien o in
senso generico come in italia per indicare la fine del 1800 e inizio 1900. Nel 1881 si
assistette alla pubblicazione dei Malavoglia di produzione Verista e i Malombra di
produzione decadentista. Questo ci fa capire che Verismo e Decadentismo sono
correnti che coesistono.
Caratteri del decadentismo:
-rifiuto del positivismo= sono convinti che non è quello il modo di conoscere la realtà.
-la vera realtà è misteriosa= sono convinti che bisogna uscire dalla realtà quotidiana
e ricercare nel mistero dell'aldilà trovando la vera essenza.
-tutti gli elementi della vita sono legati ad analogie e differenze= nel senso che si
creano tra elementi che non hanno nulla in comune ma il poeta cerca di creare un
unione.
Benedetto Croce definisce con disprezzo e "malati di nervi" i 3 massimi esponenti
decadenti: Antonio Fogazzaro, Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio, i quali a
causa della loro nevrosi esprimono una concezione morbosa della vita. Croce cerca
di accomunarli in una condanna moralistica vedendo in loro una decadenza di valori
etici e morali dovuta dal declino degli ideali risorgimentali. E' dalla sua polemica che
partono gli studiosi. In questo periodo si scopre l'inconscio di Freud che, con una
spiegazione razionale, tende ad affascinare i decadenti. La conoscenza non può
essere razionale e si può consumare nei momenti di irrazionalità come nevrosi/follia
(causati da alcool o droghe). Si parla di panismo: pan= era il Dio della natura e
quindi uomo che entra in contatto con la natura.
SIMBOLISMO ED ESTETISMO
Si distinguono due tendenze dominanti:
-Simbolismo= 1886, Francia, nasce prima come filone letterario e dopo come
movimento artistico. Per simbolo si intende un'immagine/oggetto che ricerca o
rappresenta altro che può essere dentro oppure indefinito pertanto non
immediatamente identificabile: infatti gli artisti non si servono mai di elementi
comprensibili e anche quando richiamano un oggetto concreto fanno riferimento ad
un qualcosa che va aldilà. Alla base di questa poetica c'è la contestazione del
realismo secondo cui, la parola è un corrispettivo della cosa designata: il simbolismo
rifiuta l'idea che la realtà sia quella dell'esperienza bensì ricerca la misteriosità delle
cose. Charles Baudelaire = massimo esponente. Questa nuova poetica non deve
spiegare nulla, bensì deve suggestionare giacchè è una sorta di veggente.
-Si rifiuta la poesia come discorso: si deve solamente suggestionare il lettore.
-la poetica deve evocare: si inizia a far ricorso alla sinestesia e analogia.
-c'è un linguaggio vago e sintassi disarticolata: non dà un'indicazione precisa.
-la musicalità: è importante il suono delle parole.
-vengono respinti i metri e le tradizioni: prevale il verso libero e alla rima si
sostituisce l'assonanza.
Estetismo è utilizzato in Inghilterra per riferirsi ad esperienze dell'autore come Oscar
Wilde rincorre la "ricerca del bello" e in Italia troviamo Gabriele D'Annunzio. L'esteta
decadente è artefice di emozioni sempre rare attraverso atteggiamenti raffinati; per
lui il principio regolatore è la bellezza, non il giusto uscendo così dalla morale
comune. Tutta la sua vita è un'opera d'arte con atteggiamenti raffinati.
PASCOLI
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855. Cresce circondato dagli
affetti e a stretto contatto con la natura e i paesaggi della campagna (temi principali
nella sua poetica). Il padre lo manda a studiare nel collegio Raffaello, gestito dai
padri Scolopi, ecclesiastici e eccellenti latinisti. Mentre era al collegio con i suoi
Fratelli, il 10 agosto 1867 lo raggiunge la notizia della morte del padre, ucciso da una
fucilata. Il poeta rimarrà segnato per sempre da questa tragedia; l'anno dopo muore
la sorella maggiore, seguita subito da sua madre e poi dal fratello Luigi. Rimasto
orfano è costretto a seguire a Rimini il fratello Giacomo (ormai capofamiglia) e poi a
trasferirsi a Firenze, dove gli Scolopi gli garantiscono un'istruzione gratuita presso il
liceo. Si lega anche ai circoli socialisti bolognesi. Nel 1879 (dopo la morte del fratello
Giacomo), privo di tutela e di sostegno economico, costretto a elemosinare per le
strade di Bologna, Pascoli viene arrestato. Trascorre in carcere 3 mesi
concentrandosi solo ed esclusivamente sullo studio e sulla poesia. Si laurea poi nel
1882 e subito dopo viene nominato professore di lettere latine e greche nel liceo di
Matera. Lontano da casa pensa costantemente alle sorelle più piccole. Il legame con
le sorelle, strette intorno a lui all'interno del tanto desiderato "nido", continua; le
lettere scritte durante questi periodi di lontananza dalla famiglia rivelano il carattere
quasi maniacale di tale legame. Alla fine del 1894, la sorella Ida si fidanza e pochi
mesi dopo si sposa: Pascoli ne è sconvolto e considera questo matrimonio come un
tradimento, un attentato all'integrità del "nido". Nel frattempo Pascoli è diventato
sempre più importante dal punto di vista letterario, nel 1891 dà alle stampe Myricae,
il suo primo libro. Si tratta di una pubblicazione quasi clandestina, il timido poeta,
quasi vergognandosi dei suoi testi, richiede che il libretto esca in sole 100 copie.
L'anno dopo viene preparata un'edizione a più ampia tiratura che rivela Pascoli
come uno dei migliori poeti italiani. I successi letterari gli aprono le porte
dell'università; infatti negli anni lavora per diverse università come nell'Università di
Bologna.
All'insegnamento Pascoli affianca lo studio e il lavoro poetico, a cui ama dedicarsi
nella casa di Castelvecchio dove si è trasferito con Maria fin dal 1895. Qui il poeta
vive come in un rifugio, la sua esistenza di poeta e insieme di contadino, in quella
desiderata vita rurale. Muore a Bologna nel 1912 e viene sepolto a Castelvecchio,
dove Maria resterà fino alla fine dei suoi giorni, custode delle memorie del fratello.
LE OPERE: POEMETTI
I poemetti saranno suddivisi dall'autore in Primi poemetti e Nuovi poemetti. In questa
raccolta domina un'intenzione più narrativa, si adottano strutture metriche più ampie,
come la terzina dantesca (nella divina commedia), con lo scopo di innalzare toni e
contenuti. La celebrazione della natura (come nelle Georgiche di Virgilio) è vista
come un salvataggio per la realtà brutale e artificiosa della città industriale. Vanno
comprese l'esaltazione della piccola proprietà rurale, reale e metaforica, di un mondo
"nido" ancorato all'immutabile semplicità di azioni e pratiche quotidiane. Il lessico è
autentico, puntiglioso; richiama epiteti classici. Con una sperimentazione linguistica il
poeta raggiunge soluzioni molto innovative.
CANTI DI CASTELVECCHIO
L'opera pubblicata per la prima volta nel 1903 comprende 69 componimenti suddivisi
in due sezioni. La scelta del titolo rinvia a Leopardi di cui si recuperano i motivi della
memoria e del rapporto uomo-natura come fonte di riflessione esistenziale.
L'epigrafe virgiliana, identica a quella di Myricae, rimanda a quella prima raccolta,
con cui i canti di castelvecchio intrattengono un esplicito rapporto di continuità e il
plurilinguismo pascoliano si arricchisce ulteriormente di aulicismi e tecnicismi.
I canti sono ordinati secondo l'alternarsi delle stagioni. Il tema dominante è
soprattutto autobiografico visto il continuo riaffiorare del ricordo dell'uccisione del
padre. La rievocazione del passato è accompagnata costantemente dallo sguardo
malinconico che il poeta posa sull'ambiente e sul mondo esterno, segnato sempre
dal mistero e dal cupo incombere della violenza e del male.
POEMI CONVIVIALI
Pubblicata nel 1904, richiama il nome della sede editoriale che aveva accolto i testi
per la prima volta, la rivista romana "Convivio", al gusto estetizzante che
caratterizzava il decadentismo italiano, Pascoli sembra voler alzare il contenuto e la
forma rispetto alle opere precedenti: non abbiamo più poemetti, ma poemi e
un'epigrafe virgiliana più elevata: "Non omnes arbusta iuvant". "non a tutti piacciono
gli arbusti", come a dire che dal mondo umile della campagna delle prime raccolte si
passa ad argomenti più elevati. I 20 testi della raccolta sono tutti incentrati su
personaggi storici o mitologici del mondo antico (Omero, Alessandro Magno, Ulisse),
anche se non mancano riferimenti a Roma e al cristianesimo. Su tali figure del
passato Pascoli proietta la propria sensibilità. Ci troviamo di fronte a antieroi
consumati dal dubbio. privi di certezze, tormentati. L'antichità per Pascoli è un luogo
su cui imprimere il segno del proprio sentire più profondo: lo sgomento di fronte alla
realtà colma di pianto.
LA PRODUZIONE POETICA IN LINGUA LATINA
Il poeta immette nella lingua, nei personaggi e negli ambienti i suoi tipici stati
d'animo. Da qui scaturisce l'identificazione con personaggi condannati o reietti:
gladiatori, schiavi, sconfitti dalla Storia, con i quali Pascoli sente di condividere la
dimensione del dolore e dell'ingiustizia. Il suo è un latino ben diverso da quello della
tradizione; ciò testimonia l'estrema libertà del poeta nel relazionarsi con le forme e le
immagini del passato.
LA PRODUZIONE IN PROSA
Egli non rinuncia a dare espressione in versi alla propria ideologia politica, nella
quale si intrecciano un generico umanitarismo e un amore per le glorie italiane. Tale
componente della sua personalità intellettuale emerge in particolare nell'orazione "la
grande proletaria s'è mossa" del 1911 scritto in occasione della guerra libica, il poeta
celebra l'impresa militare come un'opportunità per sanare la piega epocale
dell'emigrazione e garantire terre nuove da lavorare ai ceti più poveri. L'esaltazione
pascoliana dell'umile Italia bisognosa di riscatto è motivata dalla convinzione che
solo recuperando le nobili vestigia del passato si sarebbe potuta ripristinare la
concordia tra le diverse classi sociali a difesa della "nazione contadina".
MYRICAE
Questa è la prima raccolta poetica di Pascoli. E'una raccolta di poesie che viene
pubblicata per la prima volta nel 1891; nel 1911 ci sarà l'ultima edizione dell'opera. Il
titolo della raccolta deriva da un verso della quarta Bucolica di Virgilio, nella quale il
poeta latino sceglie di affrontare un tema più elevato e di innalzare il tono stilistico
rispetto ai componimenti precedenti: "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili
tamerici". Gli arbusti e le tamerici, costituiscono due emblemi della poesia pastorale
e dello stile dimesso. Anche per Pascoli il termine myricae sta a indicare la
predilezione per argomenti umili e quotidiani; egli elimina pertanto la negazione
dell'epigrafe virgiliana e ne rovescia il significato coerentemente con la ricerca di
genuinità e purezza teorizzata nel Fanciullino.
I TEMI
La maggior parte dei testi di Myricae presenta quadretti di campagna ed elementi
meteorologici. La natura è vista come fonte di consolazione, come luogo della
memoria in cui poter rievocare il passato e l'innocenza perduta, ma anche di
inquietudine e turbamento. Sono molte le figure di bambini presenti nei
componimenti della raccolta. Essi sono per lo più piangenti, tristi oppure poveri o
malati: nel loro destino si riflettono le sofferenze private del poeta e le sue paure di
fronte al male che pervade il mondo. Mentre il positivismo aveva concepito l'ignoto
come un territorio da sottoporre a una ricerca, Pascoli da autore decadente ne fa
centro di una sofferta meditazione. A generare la sofferenza non è la natura, ma
l'uomo sociale, responsabile dell'odio e della violenza, diverso da quello primitivo.
Ciò spiega il senso di smarrimento e di solitudine. Collegato al tema del "nido" è
quello dei morti. Anche in questo caso la biografia di Pascoli ha influito
sull'ispirazione di Myricae. Di fronte alla morte, al camposanto e alla tomba, adesso,
non si prova sgomento e paura. Il poeta cerca di recuperare una sorta di
comunicazione affettiva con i defunti della propria famiglia.
LO STILE
L'esperienza pascoliana rappresenta una profonda novità, in quanto alternativa al
monolinguismo lirico di ascendenza petrarchesca. Nel lessico pascoliano
sopravvivono vocaboli della tradizione letteraria, sono presenti termini di un
linguaggio "pre-grammaticale" come per esempio le onomatopee, inoltre, compaiono
termini di un linguaggio "post-grammaticale" cioè vocaboli tecnici e specialistici.
La sintassi risulta quasi sempre franta, spezzata, regola il discorso con un
andamento ellittico, eliminando i soggetti espliciti, i verbi. Utilizza l'analogia e la
sinestesia, l'uso frequente delle onomatopee e il ricorso del fonosimbolismo: utilizzo
di parole già esistenti scelte dal poeta in virtù del loro suono.
IL FANCIULLO
Pone la sua riflessione sulla poesia nel saggio "il fanciullino". L'idea centrale è che
anche nell'età adulta di ogni individuo sopravviva un fanciullo che osserva il mondo e
vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima vita. Egli utilizzerà una lingua
ingenua, senza la malizia e le prescrizioni sociali. La verità delle cose e del mondo si
rivelerà in tal modo autentica. La poesia non sarà più fondata sulla logica razionale
del reale, che si limita a distinguere e catalogare, ma sull'intuizione e
sull'immaginazione. La poesia diventa il luogo della conoscenza istintiva delle cose,
della loro riscoperta con uno sguardo pieno di stupore, grazie al quale si può
penetrare nella profondità della natura, nella sua più intima e recondita essenza, nel
mistero e nell'abisso della verità. L'emozione e la sensibilità percettiva del
"fanciullino" possono così rivelare il valore segreto che risiede anche negli oggetti
più umili. Il carattere alogico della poesia permette di esplorare territori misteriosi,
scoprendo cose che sfuggono ai nostri sensi. Conseguenza di questo atteggiamento
irrazionalistico è la ricerca di traslati che permettano di mostrare analogie e relazioni
impreviste tra gli oggetti. Secondo Pascoli la poesia è un'attività per lo più
metaforica, che recupera le voci della natura e adotta una lingua che è ancora in una
fase pre-grammaticale. Il poeta riuscirà a ripristinare un rapporto magico con la
realtà. Pur senza ignorare l'implicito messaggio sociale insito nella poesia, Pascoli
sottolinea l'autonomia dell'atto poetico e la sua natura spontanea e disinteressata.
L'unico obiettivo che la poesia riconosce a sè stessa è quello di esprimersi con
purezza, rifiutando di essere applicata a finalità prefissate e a interessi politici
strumentali o contingenti "il poeta è poeta". Si tratta di una rivoluzione per molti
aspetti inconsapevole. La conservazione della rima e il rispetto delle forme metriche:
un'ambivalenza che fa di lui un "rivoluzionario nella tradizione".
IL NIDO
Traumatizzato dai lutti familiari Pascoli tenta di trovare sicurezza negli affetti familiari,
negli ambienti più intimi. Le immagini della sua poesia evidenziano una costante
opposizione dentro-fuori; al primo elemento sono associate le sensazioni di calore,
dolcezza, purezza e amore, al secondo quelle di freddo, dolore, paura e morte.
Secondo Pascoli il progresso di stampo positivistico ha esposto l'uomo a nuovi
pericoli, rendendolo piccolo e smarrito. L'unica possibilità per conservare la propria
integrità e salvare l'innocenza consiste per lui nel regredire all'età dell'infanzia,
tempo sereno non ancora toccato dalle inquietudini della vita adulta. La madre è il
nume rassicurante dei luoghi più protetti, del "nido", del camposanto. Il "nido" è il
luogo della ricomposizione dell'unità familiare, il camposanto rappresenta il recinto
del culto dei morti, lì dove è possibile ripristinare l'intimo colloquio con ciò che nella
realtà si è perduto per sempre. La madre stessa è quindi simbolo del "nido". E' la
madre che simboleggia la felicità dell'infanzia; la sua morte coincide con una perdita
irreparabile e con un lutto che non può conoscere riparazione. La violazione del
"nido" comporta dunque la scoperta di tutto ciò che di spaventoso sta "fuori" di esso.

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