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L'ETA' DEI FLAVI, NERVA E TRAIANO

Dopo l'imperatore Nerone, c'è un periodo di confusione dove 4 imperatori si


contendono il potere. Tra questi, diventerà imperatore Vespasiano che dà inizio alla
dinastia dei Flavi; era un imperatore proveniente dalla provincia e per la prima volta
vennero stabiliti (dallo stesso imperatore) quali erano i poteri di un imperatore (con
lui nascerà il governo). Vespasiano prima di diventare imperatore stava combattendo
una guerra contro gli ebrei, conclusa poi dal figlio Tito (diaspora degli ebrei=
allontanamento degli ebrei). Successivamente divenne imperatore il figlio Tito (dato
che la successione era ereditaria) che era considerato un ottimo imperatore( delizia
del genere umano, si fece amare dal popolo), ma governò per pochi anni a causa
della sua morte. Dopo Tito, prese potere suo fratello Domiziano che concentrò nelle
sue mani tutto il potere a discapito del Senato: si considera un Dio sceso in terra.
Venne eliminato da una congiura e fu il primo a perseguitare i cristiani; alla sua
morte un vecchio senatore (Nerva) divenne imperatore, che aveva come unico
compito quello di riordinare l'impero dal caos, tanto che stabili il "principio di
adozione": l'imperatore doveva cercare, "adottare" la persona più adatta a ricoprire
quel ruolo. Adotta come suo successore Traiano che allargherà l'impero
raggiungendo la massima estensione.
LA SCUOLA A ROMA
C'erano 3 gradi di scuola:
-la scuola primaria= 7/12 anni dove c'era il "magister ludi" e il "calculator" che
insegnavano a leggere, scrivere e a fare i calcoli.
-scuola secondaria= 12/15 anni dove c'era il "grammaticus" che insegnava la lingua
greca e latina.
-scuola di retorica = 20 anni dove c'era il "rhetor" che insegnava l'eloquenza e il
"master" che prendevano era ad Atene per perfezionarsi.
Esisteva inoltre una scuola pubblica (insegnante retribuito che insegnava a tanti
alunni) e una scuola privata (insegnante privato che ha un solo alunno).
QUINTILIANO
Quintiliano nacque intorno al 35 d.C a Calagurris in Spagna. Come tutti i provinciali
ricchi, Quintiliano perfezionò i propri studi a Roma, dove frequentò i migliori maestri
di grammatica e retorica. Terminati gli studi tornò in patria verso il 60 d.C e inizio la
professione di avvocato e maestro di retorica. Molto importante fu la sua amicizia
con Galba; quando quest'ultimo fu proclamato imperatore nel 68 d.C convinse
Quintiliano a seguirlo a Roma, dove ebbe molto successo. La sua capacità
professionale fu molto apprezzata dall'imperatore Vespasiano che gli concesse una
cattedra di eloquenza con stipendio pubblico. Nell'88 d.C si ritirò dall'insegnamento e
si dedicò al suo trattato sull'educazione dell'oratore (Institutio oratoria). Scritta negli
ultimi anni di vita, l'opera raccoglie i frutti della sua pratica di insegnamento.
Successivamente Domiziano gli affidò l'educazione dei nipoti. Il 96 d.C non coincide
solo con la pubblicazione della sua opera, ma anche con la sua morte
L'INSTITUTIO ORATORIA L'opera principale di Quintiliano (l'institutio oratoria=
l'educazione dell'oratore) è il più ampio trattato latino di retorica. Ci è pervenuto per
intero, grazie a Lorenzo Vata, diviso in 12 libri.
CONTENUTI OPERA (PAG.234 a 236).
LA PEDAGOGIA DI QUINTILIANO
La caratteristica che distingue l'opera di Quintiliano dagli altri trattati di retorica è
l'attenzione alla psicologia dell'apprendimento. Secondo lui, l'educazione dell'oratore
deve essere curata fin dalla prima infanzia, il periodo cruciale per lo sviluppo della
personalità. Deve trattarsi di un processo che coinvolge la formazione di tutta la
persona (perciò è necessario che le nutrici parlino correttamente, che i genitori siano
colti e i maestri siano competenti). Il ragazzo va seguito in particolar modo nella
scuola elementare ( ludus litterarius) e nella scuola media (scuola del grammaticus)
ed è proprio qui che Quintiliano propone alcune novità metodologiche. Per L'autore,
le punizioni corporali vanno evitate poiché inutili e dannose; l'alunno non va mai
trattato come uno schiavo, ma come un futuro cittadino. Grande importanza, invece,
viene data al gioco utile per lo sviluppo dell'intelligenza e della fantasia, il bambino
mentre impara deve divertirsi; per insegnare l'alfabeto, ad esempio, Quintiliano
propone l'uso delle letterine d'avorio che i bambini possono usare a piacere- giochi
per l'infanzia con valore educativo. La pedagogia di Quintiliano è caratterizzata
dall'ottimismo, ha fiducia nelle capacità dell'educazione, dunque, l'educazione
oratoria assume un valore formativo totalizzante. Lo studio deve contribuire allo
sviluppo della persona. L'autore è a favore della scuola pubblica e sconsiglia l'uso
del precettore privato. Secondo lui, è giusto sottrarre il ragazzo al clima familiare,
inoltre, la socialità eccita l'intelligenza e il lavoro di classe facilita l'apprendimento.
Molto importante è anche la figura dell'insegnante che deve essere dotato di
profonda cultura e umanità, deve essere una persona onesta e competente.
LO STILE
C'erano due tendenze stilistiche:
-l'asianesimo: uno stile sovrabbondante di figure retoriche e coloriture lessicali
-l'atticismo: era uno stile più semplice e lineare.
Mentre Cicerone aveva cercato di conciliare i due stili, Quintiliano ha cercato di
trovare una via di mezzo; raggiungendo come risultato uno stile chiaro e di piacevole
lettura. La sua scuola è una scuola umanistica (ritorna il concetto di humanitas) ed
ha avuto molta influenza sul pensiero pedagogico moderno.

MARZIALE
Marziale nacque probabilmente nel 40 d.C in Spagna, dove si spense nel 104 d.C.
Il poeta passò metà della sua vita a Roma, dove si stabili sotto Nerone. A Roma
cercò appoggio trovandolo nell'ambiente di Seneca e fece la conoscenza di Lucano
(nipote di Seneca). Queste frequentazioni si interruppero però con la repressione
della congiura pisoniana contro Nerone nel 65 d.C. Dopo la morte di Nerone,
Marziale ebbe un successo solido sotto i Flavi. Da Tito ottenne benefici economici
del cosiddetto "ius trium liberorum" (legge dei tre figli=si intendeva un privilegio
fiscale e legale che in origine veniva assegnato a chi aveva tre o più figli e che in
seguito gli imperatori concessero anche a chi non possedeva tali requisiti); sotto
Domiziano ebbe anche il titolo di "tribuno militare" (ufficiale di alto rango) senza
privilegi economici. Sono diverse le testimonianze di rispetto che il poeta indirizza
alla casa regnante, in forme celebrative spesso adulatorie: a cominciare dalla
raccolta "liber de spectaculis" che Marziale compose nell'80 d.C per l'inaugurazione
dell'anfiteatro Flavio. Marziale pubblicò quasi un libro all'anno (undici libri di
epigrammi= breve componimento diretto a fissare in modo ironico o satirico). I primi
libri ad essere pubblicati furono le due brevi raccolte "Xenia" (regali per gli ospiti) e
"Apophoreta" (regali da portar via), costituite da epigrammi che descrivono i vari doni
che ci si scambiava durante le feste dei Saturnalia. Dopo la morte di Domiziano i
versi di Marziale continuano a suonare adulatori anche nei confronti di Nerva e
Traiano. Durante gli ultimi anni della sua vita, trascorsi a Bilbilis, Marziale pubblicò
solo un libro, il dodicesimo e ultimo della raccolta, nel 102 d.C.
EPIGRAMMI E LA POETICA
La raccolta di epigrammi di Marziale inizia con il "liber de spectaculis" che è anche il
libro più antico, al quale seguono dodici libri di epigrammi, mentre Xenia e gli
Apophoreta sono collocati alla fine. Il totale è dunque di quindici libri. Il principale
teatro degli epigrammi di Marziale è Roma (descritta nei suoi aspetti quotidiani).
L'immagine di Roma che emerge da questi epigrammi è prevalentemente quella di
una città caotica e popolata da un'umanità varia. Maggior importanza viene data
proprio ai diversi tipi umani ricchi di vizi e stranezze; i difetti presi di mira non sono
solo quelli del comportamento ma anche quelli fisici. Tra i suoi epigrammi, i
componimenti celebrativi in lode dell'imperatore hanno un ruolo importante. L'intero
"liber de spectaculis" è dedicato all'inaugurazione del Colosseo e celebra la
magnificenza dell'opera voluta da Vespasiano e portata a termine da Tito. Il tono dei
componimenti contenuti in questo libro è adulatorio (il Colosseo viene descritto come
un monumento che supera le più celebri meraviglie del mondo). Marziale negli
epigrammi funerari riesce a rappresentare un dolore sincero, una commozione
affettuosa che non ha riscontro nel resto della sua produzione, Solo l'amore non
compare molto frequentemente nella sua raccolta, ed è presentato in una
dimensione divertita e un po' stereotipata; inoltre gli epigrammi di carattere erotico
hanno un tono ben diverso da quello del "liber" di Catullo. Marziale, infatti, si
interessa non tanto alla passione, quanto all'immediato impulso del desiderio e del
sesso: e canta più spesso l'amore di altri che il proprio. Uno spazio maggiore ha
invece nell'opera di Marziale il tema dell'amicizia, presentando una riflessione sulla
natura di questo legame che può essere positivo o negativo (vero amico o falso
amico). Il Tema dei doni si sviluppa all'interno della raccolta in relazione alla festa in
cui lo scambio dei regali era necessario: i Saturnali, Il breve libro "Xenia" (i doni per
gli ospiti) è fatto di semplici distici (2 versi) che descrivono ingredienti e vini, il libro
degli Apophoreta (i regali da portar via) presenta una maggiore varietà di piccoli
oggetti. Marziale parla di sé come di uno che fa la vita da "cliente" (cittadino umile
che si lega ad un patrono entrando nel suo seguito e offrendogli sostegno) ed è
angosciato dalle ristrettezze economiche e dai fastidi della vita in città. Durante
l'impero il ruolo di cliente andava facendosi sempre più umiliante. Non si trattava
soltanto di rendere dei servigi a un patrono (cittadino che occupa una posizione
sociale elevata e che stringe legami con cittadini più umili ai quali offre sostegno
economico) ormai la massa dei clienti serviva soprattutto a documentare il prestigio
e il potere dei ricchi protettori. Spesso il poeta trae spunto dalla sua condizione di
poeta- cliens, di cui descrive gli aspetti faticosi e umilianti: la salutatio al mattino,
l'obbligo di accompagnare il protettore. Una volta tornato in patria, egli spiegherà
l'insostenibilità della condizione di cliens una delle ragioni che lo hanno portato a
lasciare roma. In molti epigrammi Marziale ci spiega la sua poetica, presenta i suoi
epigrammi come letteratura di divertimento, semplice e schietta. Inoltre, troviamo
dichiarazioni di poetica particolarmente impegnative; chi legge poesia difficile,
insinua Marziale, lo fa per non trovarvi motivo di riflettere su se stesso. Dunque,
Marziale riproduce la vita realisticamente capace di suscitare una riflessione più
profonda sulla condizione morale degli uomini del tempo senza desiderio di
offendere. Lo stesso ricorso a nomi fittizi serve ad irrigidire, serve a mascherare
quelle situazioni della vita quotidiana che il poeta ha scelto di riprodurre attraverso la
finzione poetica.

GIOVENALE
Giovenale nacque ad Aquino intorno al 60 d.C, Marziale che era un suo amico lo
presenta come un cliens. La produzione letteraria di Giovenale è esclusivamente
satirica e il fatto che il poeta dichiari di volersi riferire a personaggi di un passato
ormai trascorso ci assicura che la pubblicazione dell'opera deve essere collocata in
un periodo successivo alla morte di Domiziano.
LE SATIRE
Di Giovenale ci sono giunte sedici satire divise in 5 libri. Si tratta di componimenti
dalle dimensioni piuttosto diseguali.
Satira 1 La musa dell’ indignatio: richiamandosi a Lucilio, il poeta spiega le sue
scelte letterarie, espone la sua poetica. Giovenale si sofferma sulla descrizione della
realtà quotidiana, ma guardare la società per quello che è implica scrivere
necessariamente delle satire. A muovere il tutto è l'indignatio (indignazione) che offre
la Roma contemporanea e che spinge il poeta a parlare del mondo corrotto in cui
vive. La maggior parte dei componimenti di Giovenale è dedicata alla descrizione
dell'umanità che popola Roma (ladri, ricchi, personaggi ripugnanti, omosessuali,
adulteri...), ma nei suoi versi predomina il tono sdegnato. Accanto al disprezzo per i
diversi personaggi compaiono anche alcuni spunti di insegnamento morale, con una
specifica dichiarazione dei modelli di virtù che vanno seguiti.
Satira 3 contro i costumi orientali: qui il personaggio Umbricio fugge da Roma e
spiega il perchè. Roma è ormai invasa da una massa di orientali che ha imposto i
propri modelli di comportamento; l'affermarsi delle diversità sociali determinato dalle
ricchezze ha reso la città invivibile. Tutto costa troppo e per la gente la vita
quotidiana è diventata pericolosa (qui sviluppa il tema del razzismo e della
corruzione presente a Roma). Il poeta si dimostra ostile alla cultura straniera. Nella
terza satira, infatti, Umbricio scappa da Roma, dove dice che una persona normale
non può più vivere; un vero romano non ha più spazio in una città come quella.
Secondo Umbricio, la città è stata aggredita da un agente esterno, è stata infatti
invasa e rovinata da una massa di stranieri (i giudei, i greci e gli orientali).
In realtà Giovenale non immagina neanche di poter trovare fuori da Roma possibili
modelli culturali da opporre all'insoddisfaciente realtà che osserva. Per Giovenale la
superiorità della cultura romana può essere ristabilita solo liberando i costumi ormai
corrotti, tornando alla purezza originaria delle antiche genti italiche.
Satira 6 contro le donne: la satira è frutto di un atteggiamento interiore violentemente
misogino. Qui il poeta cerca di dissuadere il suo amico dall'idea di prendere moglie,
questo perchè secondo Giovenale le donne possedevano ogni vizio, ogni cattiva
abitudine; racchiudono per il poeta la somma di ogni male. Secondo il poeta, le
donne hanno rovesciato con le frivolezze più varie il modello della moglie univira,
fedele, modesta, erano corrotte e senza moralità; inoltre lasciavano i mariti per
inseguire dei gladiatori (più belli e forti). Anche la vita del poeta viene descritta in
maniera negativa; mentre prima i poeti erano importanti per gli imperatori, adesso si
vendono per sopravvivere (cliens). Di fronte a questa situazione, Giovenale si limita
a contrapporre la bassezza del presente alla purezza dei costumi di un tempo.
Giovenale ricorre a un'età mitica per illustrare la perfezione originale della cultura. Si
tratta dell'età dell'oro evocata più volte dal poeta come quadro di riferimento. Lo
sviluppo più ampio del tema si trova all'inizio della sesta satira in cui si dice che
"pudicitia" viveva tra gli uomini ai tempi felici delle origini, mentre il rispetto
della fides viene attribuita all'umanità primitiva. Giovenale loda la vita dei municipi
italici, visti come la più immediata possibilità di evasione dalla capitale dell'impero.

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