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domenica 17 dicembre 2017

L’ETA’ FLAVIA

Ottaviano morì nel 14 d.C. Inizia così la dinastia Giulio-Claudia, che vide il succedersi di: Tiberio,
Caligola, Claudio e Nerone. Quest’ultimo morì nel 68 d.C. Questi anni furono caratterizzati da un
periodo cupo di anarchia politica. Questa anarchia culminò nell’anno tra il 68 e il 69 d.C., noto
anche con il nome di Anno dei quattro Imperatori. si susseguirono infatti: Galba, Otone, Vitellio e
Vespasiano. I primi tre erano dei condottieri o comandanti militari. Vespasiano invece era un
generale, e fu lui ad imporsi sugli altri. Inizia così l’età Flavia che durò dal 69 al 96 d.C. Gli
imperatori furono tre: Vespasiano e i suoi due figli Tito e Domiziano (che morì appunto nel 96
d.C). Tito e Domiziano sono fratelli. Vespasiano desiderò costruire un anfiteatro, l’anfiteatro
Flavio. Esso è maggiormente noto con il nome di Colosseo. Questo nome deriva dal fatto che
accanto all’anfiteatro vi era un’enorme statua di Nerone. L’anfiteatro venne costruito per ottenere
il consenso della massa, della plebe secondo la logica del “Panem et Circenses”. In questo
modo riuscì a distrarre il popolo da altri problemi. Le sue azione politiche furono molto inusuali.
Fece costruire dei bagni aperti a tutti gli uomini (oggi noti con il nome di “vespasiani”). Inoltre
impose una tassa sull’urina e sulla raccolta dell’urina. Per via di queste decisioni venne molto
criticato dai suoi due figli, tuttavia alle lamentele Vespasiano rispose con la celebre frase
“Pecunia non olet”, il denaro non puzza. Sotto il governo di Vespasiano vi fu una grande rivolta
in Giudea, e nel 70 d.C. Tito distrusse il tempio di Gerusalemme. Tito fu sperato in Giudea, ma a
Roma fu l’esatto opposto. Egli venne considerato dal popolo come una delizia del genere
umano. Domiziano invece fu molto autoritario, aggressivo, violento e dispotico. Voleva essere
venerato come un “Dominus et Deus”, secondo l’ottica dei sovrani orientali.

PRODUZIONE TECNICA E SCIENTIFICA A ROMA

La tecnologia a Roma non si sviluppò rapidamente, questo perché tutto veniva svolto dagli
schiavi. Un personaggio da ricordare in questo periodo è senza dubbio Plinio il vecchio. Egli
morì a causa dell’eruzione del Vesuvio e per colpa della sua “Curiositas”. Plinio il vecchio scrisse
un opera intitolata “Naturalis Historia”. Essa è una sorta di enciclopedia. Possiamo capire
immediatamente che non era stata pensata per avere uno scopo letterario, infatti all’inizio
presenta un indice. In quest’opera Plinio il vecchio racchiude taccio ciò che era conosciuto un
tempo. Tuttavia mescola fonti attendibili a vere e proprie leggende. Ne è una prova la
descrizione che fa di alcune creature o animali che rispecchiano esattamente le credenze
popolari.
Un altra figura importante fu Stazio, un autore latino che si convertì al cristianesimo. Vine infatti
citato da Dante nel Purgatorio. In età imperiale si erano diffuse le cosiddette “Recitationes”. Si
trattava di esercizi di retorica che venivano svolti su argomenti puramente inventati, così da
aggirare il problema dell’assenza della libertà di espressione. Spazio scrisse la “Tebaide”,
l’”Achilleide” e le “Silvae”. Sono componimenti in versi e si parla di poesia di occasione.

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MARCO FABIO QUINTILIANO

Nacque a Calahorra, nella Spagna Tarragonese, nel 35 d.C. circa. Il padre era un retore e
maestro di eloquenza. Fu presto condotto a Roma, dove venne educato dai migliori docenti
dell’epoca. Ritornò in seguito in Spagna dove intraprese come avvocato una brillante carriera,
facendosi notare dal governatore romano Galba, che divenne imperatore nel 68. (uno dei quattro
imperatori). Proprio nel 68 d.C. Quintiliano tornò a Roma insieme all’imperatore Galba. In questo
periodo iniziò la sua attività di insegnamento e mantenne a lungo la prima cattedra statale di
eloquenza, che era stata istituita da Vespasiano nel 78 d.C. e garantiva una retribuzione di ben
100000 sesterzi annui. Conclusa la carriera di insegnamento pubblico, Domiziano gli affidò
l’educazione dei due nipoti affidati alla successione. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò a
scrivere la sua grande opera, l’”Institutio oratoria” (la formazione dell’oratore), che riuscì a
vedere pubblicata prima che la morte lo cogliesse, probabilmente nel 96 d.C.
L’“Institutio oratoria” ci è stata tramandata per intero. L’opera è stata dedicata a Vitorio Marcello,
consigliere di Domiziano, e conta dodici libiche illustrano i precetti ideali per l’educazione
dell’oratore fin dall’infanzia, fornendo un corso completo di istruzione. L’originalità dell’opera
risiede in diversi aspetti. Innanzitutto nel fatto che si stacca completamente dai manuali tecnici e
unisce la serietà dei contenuti trattati con una partecipata esposizione dal punto di vista
letterario. Nella pagina iniziale Quintiliano presenta la sua opera come un lavoro della vecchiaia,
chiesto con insistenza dagli amici più cari. Egli afferma di non voler costruire nuove teorie
“inveniendi nova”, il suo scopo è quello di chiarire i dubbi che sono venuti a formarsi tra le
diverse teorie sull’oratoria sia dal mondo greco sia da quello latino. Questo è un atteggiamento
“normalizzatore”. L’”Institutio oratoria” risponde anche ad un esigenza concreta che stava molto
a cuore a Quintiliano: infatti da alcuni documenti del tempo risulta che circolavano già a Roma
degli scritti di retorica sotto il suo nome. Tale opera era anche molto attesa dal pubblico. Inoltre
un manuale completo di retorica rispondeva inoltre all’esigenza dei principi della dinastia Flavia,
che volevano promuovere una cultura “normalizzata” per la formazione della nuova classe
dirigente di funzionari. Infine, quest’opera si colloca all’incrocio di tre campi culturali di rilievo: la
retorica, per la formazione dell’oratore, la pedagogia, per la nuova attenzione rivolta agli allievi e
la critica letteraria per i giudizi espressi nel libro X.
Nella visione di Quintiliano gli studia humanitatis sono il fondamento culturale dell’uomo politico
virtuoso, così come la virtù morale è fondamento dell’uomo e del cittadino. Questo binomio
inseparabile porta a compimento il percorso dell’uomo politico/dell’oratore come via bonus
discendi peritus, inaugurato da Catone e portato avanti da Cicerone (modello principale di
Quintiliano). Questa convinzione ha un’importante conseguenza sul piano pedagogico: il
maestro infatti deve essere si colto, ma deve anche possedere una certa sensibilità, così da
comprendere l’animo degli allievi. Deve essere una maestro di virtù oltre che di retorica. Il
precettore deve porsi nei confronti dei suoi allievi con l’animo di un padre, e deve perciò
prendere il posto dei genitori che glieli anno affidati. L’originalità del suo pensiero non sta tanto
nel curriculum degli studi, ma risiede nella sua attenzione alla psicologia dell’età evolutiva. Pone
infatti una certa attenzione sui bisogni dei bambini, che sono si soggetti deboli, ma come tali
devono essere rispettati e osservati con attenzione. Quintiliano viene considerato come uno dei
fondatori della moderna psicologia infantile.
Una delle sezioni più note della sua opera è il libro X. Esso contiene una vera e propria storia

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della letteratura che ha contribuito a disegnare il canone classico degli autori latini. La finalità di
questo excursus è innanzitutto educativa. Quintiliano pone l’accento su una valida preparazione
dell’oratore che deve imparare a conoscere la potenzialità comunicativa della parola attraverso
lo studio dele opere degli autori più illustri. Il criterio base per Quintiliano è quindi quello stilistico.
Infine Quintiliano intende rivalutare la letteratura latina nei confronti di quella greca. Egli lo fa
affermando che se la letteraturaa greca ha raggiunto indubbiamente vertici artistici altissimi, la
letteratura latina non è stata da meno. Inoltre ha saputo lasciare spazio all’originalità attraverso
l’invenzione di alcuni generi come quello satirico. Nel libro XII (ultimo libro dell’opera) Quintiliano
tira le somme del suo insegnamento: l’oratore non deve solo possedere doti retoriche e un
amplia cultura, ma deve essere un uomo onesto.

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