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La storiografia imperiale e repubblicana nel proemio degli Annales di Tacito

a cura di Giuseppe Palermo

Per Tacito la battaglia di Azio (31 a.C.) segna la fine della

storiografia repubblicana, che annovera molti storici (multi

auctores), i quali hanno riferito (rettulerunt, verbo caro a Tacito che

lo usa nell’incipit cap. 32 del IV Annales pleraque eorum quae

rettuli quaeque referam) gli avvenimenti successivi alla fondazione

di Roma (post conditam urbem octingentos et viginti prioris aevi

annos), quelli di cui era protagonista il popolo romano (res gestas

populi Romani). Gli storici di questa fase memorabant le gesta di

Roma, pari eloquentia ac libertate, cioè coltivavano il pregio dello

stile e affrontavano argomenti riguardanti la lotta politica interna,

come Tacito precisa nel cap. 32 del IV Annales: discordias

consulum adversus tribunos, agrarias frumentariasque leges,

plebis et optimatium certamina libero egressu memorabant.

Questi sono i contenuti e gli attori della libertas: discordiae, leges,

certamina, consules, tribuni, plebs, optimati. Poiché la storia della

res publica è tramata all’esterno da res gestae che si identificano

con ingentia bella, expugnationes urbium, fusos captosque reges,

all’interno dello scontro tra i vari ordini della società romana, lo

storico riferiva su questi eventi ed era libero nella misura in cui

fissava nel ricordo dei posteri lo scontro tra poteri, tra patrizi e plebei.

Il proemio delle Storie deve essere dunque integrato dal cap. 32 del

IV Annales. Quest’analisi di Tacito fa emergere una forte


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a cura di Giuseppe Palermo

contraddizione di fondo, e cioè: la libertas cela l’insidia e il rischio

del caos dilagante, qualora le varie parti, smarrendo il senso del

limite, cedano alla licentia, sì che Tacitò può rilevare nel proemio

dell’Agricola che vetus aetas vidit quid ultimum in libertate esset.

Lo storico non si mostra interessato per le analisi costituzionali,

quanto per la particolare considerazione del processo che fa

tralignare la libertas in licentiam, nell’incessante analisi di quel

quid ultimum, che innesca la transizione alla servitus del

principato, quando si ripropone l’insidia della degenerazione quid

[ultimum] in servitute, adempto per inquisitiones etiam loquendi

audiendique commercio. Tacito non si fa illusioni: sia la libertas

sia la servitus possono degenerare, entrambe sono non entità statiche

ma dinamiche, continuamente oscillanti sino ad un punto estremo, in

cui, precipitando si snaturano.

La battaglia di Azio (31 a.C) sancì l’esaurimento della libertas,

che fu sacrificata nell’interesse della pace, con il conferimento di

tutto il potere ad uno solo. Finiscono le guerre civili, muore la libertà,

la pace è garantita: «...omnem potentiam ad unum conferri pacis

interfuit». La grande storiografia repubblicana si estingue, magna

illa ingenia cessere, per cedere il passo a quella imperiale,


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a cura di Giuseppe Palermo

caratterizzata dall’infrazione della verità, veritas pluribus modis

infracta est, a causa di tre fattori:

1. Inscitia rei publica ut alienae: spesso gli storici ignorano la

politica, come se questa spettasse ad altri. È un atteggiamento che

riguarda lo storico imperiale o quegli intellettuali che non

partecipano più alla vita della stato e che per questa loro esclusione

o autoesclusione non riescono a cogliere la verità degli eventi. Tacito,

naturalmente, ha nei confronti di questa categoria di uomini un

atteggiamento fortemente critico, poiché ritiene che anche sotto i

cattivi principi possano esistere uomini virtuosi: Sciant quibus

moris est illicita mirari, posse etiam sub malis principibus

magnos viros esse, obsequimuque ac modestiam, si industria ac

vigor adsint, eo laudis excedere, quo plerique per abrupta sed in

nullum rei publicae usum ambitiosa morte inclaruerunt.

Sappiano quelli che sono soliti ammirare gli atti illegali, che anche

sotto principi malvagi vi possono essere grandi uomini, e che

l’ossequio e la modestia, se l’operosità e il vigore le accompagnano,

superano la lode tanto, quanto la maggior parte acquistarono fama

per precipizi ma senza alcuna utilità per lo stato con una morte

ambiziosa.

2. Libido adsentandi: cioè spirito di adulazione.


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a cura di Giuseppe Palermo

3. Odium adversus dominantes: odio verso i potenti.

Queste sono le tre cause che hanno contribuito a trascurare la

ricerca della verità, impedendone anche l’acquisizione dei posteri.

Gli storici imperiali sono o infensi o obnoxii, cioè o ostili o servili.

Anche Tacito allora potrebbe rientrare in queste categorie? Lo

storico adduce la propria esperienza personale per dimostrare di

avere l’animo sgombro dalla tendenziosità: Galba, Otone, Vitellio

non gli furono noti nec beneficio, nec iniuria; ammette che la sua

carriera (dignitas) è iniziata sotto Vespasiano (a Vespasiano

incohatam), è stata accresciuta da Tito (a Tito auctam),

progredendo sotto Domiziano (a Domitiano longius provectam).

Quindi Tacito ribadisce la sua incorrupta fides (attendibilità) e

sostiene che bisogna scrivere neque amore et sine odio. Conclude

annunciando che riserverà alla vecchiaia la trattazione dell’epoca di

Nerva e Traiano, rara felicitate temporum, ubi sentire quae velis

et quae sentias dicere licet. In realtà lo storico, forse deluso

dall’operato sia di Traiano sia di Adriano, tutt’altro che principi

costituzionali, ne omise la trattazione, stendendo sui due augusti

monarchi una spessa cortina di silenzio e di indifferenza.

23 ottobre MM Giuseppe Palermo

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